2. (…) Presumere di liberare il mondo dalle anime in pena – dalla loro intelligenza speciale – sarebbe, e sarebbe stato, un danno per l'umanità. Il pensiero filosofico, la ricerca di Dio, le opere d'arte, le utopie non esisterebbero. Dobbiamo ogni onore alla comunità dispersa di chi è stato archiviato, rinchiuso, disinfettato, catalogato come folle, nonché accusato di essere visitato da demoni e pericoloso per gli ordini costituiti. L'inquietudine è uno stato di grazia. Occorre non averne più paura. Ci riserva emozioni incomprensibili ad altri (…). Duccio Demetrio, in “Autoanalisi per non pazienti”
3. OLTRE L’ISTANTE durami oltre l’istante o rinnegami adesso ma non morirmi – oblio – quando sfuma il silenzio e il ronzio sciama tra le ciglia, e nebulose aurore cedono il cielo al giorno saggio, di giudiziosi intenti non schiacciarmi di suole abituate all’agio della via, consacrata e piana, da percorrere breve non farmi neve sporca di fanghiglia, o rimpianto in lento scanalare e non morirmi cancro né cancrena o parkinson precoce – e sgravami la croce di notti striminzite che arrancano la meta di un’alba senza giorno bestemmiami piuttosto il nome tuo, prima che spunti il sole
4. ALLORA SÌ schiacciata dal nonsenso, mi dispenso dall’atto del pensarci, e sai che faccio: mi ritiro in un cantuccio, m’addormento e se m’insogno, allora sì, m’immenso
5. DAPPOCAGGINE per insolvenza ed esercizio inetto (dappocaggine scaltra di parole) l’assetto si scompagina. e la mole del silenzio s’intumula nel petto del troppo nominato, ingenerato
6. CI DURA IL GESTO STANCO Non i notturni in armonia di fiato né i sorrisi sfumati in sinfonia d’aurora si ostineranno al tempo, ma lo scrocchiare sordo dei sassi all’impietoso passo persuaso altrove. Ci dura il gesto stanco, il saluto distratto lo scarto di una schiena.
7. NECROFOBIA sospiri strazi spasimose pene presto! un superdosaggio di afflizioni! prima che questa stagnea sobrietà mi infibuli i neuroni e nelle vene mi necrotizzi di mortalità
8. (…) Una poesia, come una persona, ha tempi suoi. Per cui conoscere una persona a memoria significa sincronizzare i battiti del proprio cuore con i suoi, farsi penetrare dal suo ritmo. Ecco, questo mi piace. A me piace amare un persona e conoscerla a memoria come una poesia, perché come una poesia non la si può comprendere mai fino in fondo (…). Fabio Volo, in Il giorno in più
9. DOPO DOCCIA E CAFFÈ e ora che il buio è andato ridisegno i confini mi conformo, combacio, poi scompaio di forme mattutine detestate perché ho sostanza d’ombra, di giorno scolorisco al grigio – topo ma poi trovo un contegno rinsavisco, dopo doccia e caffè
10. COME IPOTESI D’ARIA Ora sei un tempo astratto come ipotesi d’aria labbra schiuse strozzate a pelo d’acqua lì, dove l’onda incalza dove fiocca una rosa e si disfoglia coltre breve candida coltre a custodire il fiato che si spezza.
11. VISIONI E quando la parola diventò risacca d’acquamelma un rifrangente stanco, desiderò il silenzio – quello assoluto, puro, che dimora negli abissi segreti di montagna e nei ghiacci perenni – a lunghi passi consumò la strada finché giunse al principio, alla sorgente e all’altipiano dove il mondo tace. Da lì guardò il deserto. E accadde che quell’eco ormai distante, quel barbaglio di voce stentata, di balbuzie, come fosse concime germogliò un campo dei miracoli e non serviva codice d’accesso se incastonata agli occhi, a dismisura vergine e sconsacrata si svelò terra promessa invana.
12. QUISQUILIE DELL’AFFANNO UNIVERSALE punto d’osservazione: angolo acuto, tutto ciò che da qui posso vedere è soltanto uno spicchio d’universo lo stridere di gomme sull’asfalto l’incespicare pudico di un passo l’offeso ritrattarsi di una mano la piaga oscura di una nuca l’ombra molle di un ciglio l’umida traiettoria di una voce l’aruspice presagio di un sorriso il marmoreo biancore di un abbraccio l’eternità di pietra di una schiena la scia di un t’amo con la bocca altrove poi è la notte che cede all’indulgenza e pietosa rimbocca l’interstizio
13.
14. (…) Fillide è uno spazio in cui si tracciano percorsi tra punti sospesi nel vuoto, la via piú breve per raggiungere la tenda di quel mercante evitando lo sportello di quel creditore. I tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro, sepolto e cancellato: se tra due portici uno continua a sembrarti piú gaio è perché è quello in cui passava trent'anni fa una ragazza dalle larghe maniche ricamate, oppure è solo perché riceve la luce a una cert'ora come quel portico, che non ricordi piú dov'era. Milioni d'occhi s'alzano su finestre ponti capperi ed è come scorressero su una pagina bianca. Molte sono le città come Fillide che si sottraggono agli sguardi tranne che se le cogli di sorpresa (…). Italo Calvino, in “Le città’ invisibili”