2. La sce na statunitens e tra gli anni 50 e 60
Nel movimento beat la cultura nera è mitizzata, come
testimonia un passo tratto da On the road di Jack Kerouac:
Camminavo nella sera piena di lillà con tutti i muscoli
indolenziti in mezzo alle luci della Ventisettesima Strada nella
Welton in mezzo al quartiere negro di Denver, desiderando di
essere un negro, sentendo che quanto di meglio il mondo dei
bianchi ci aveva offerto non conteneva abbastanza estasi per me,
e neppure abbastanza vita, gioia, entusiasmo, oscurità, musica,
né notte sufficiente.
In ambito musicale, i legami che uniscono le culture
giovanili bianche alla classe operaia nera sono stretti,
particolarmente per quanto riguarda il jazz. Intorno agli anni
'30, molti musicisti bianchi hanno suonato insieme con artisti
neri nelle jam session, mentre altri ne hanno ripreso la musica
traducendola e trasferendola in un contesto diverso. In tale
processo la struttura e il significato del jazz subiscono una
modificazione: lo swing bianco, infatti, elimina buona parte
della carica di rabbia ed erotismo della linea calda del jazz,
dando luogo ad un suono delicatamente raffinato da night
club. Questi significati repressi vengono trionfalmente
riaffermati nel be-bop.
Il bop nacque col jazz ma un pomeriggio, non so su quale
marciapiede, forse nel 1939, 1940, Dizzy Gillespie, o Charley
Parker o Thelonius Monk, passando davanti a un negozio di
abbigliamento da uomo sulla 42a Strada o nella South Main a
Los Angeles, a un tratto sentì dagli altoparlanti un errore
incredibile e impossibile nel jazz che poteva aver udito solo
nella sua immaginazione, ed ecco un'arte nuova. Il bop...
3. A descrivere con queste parole la nascita del bop è
Kerouac, nel volume di recente pubblicazione intitolato
Scrivere bop. L'amore di Kerouac per questo tipo di musica è
tale da fargli identificare le regole della scrittura che lui
propone con le modalità di improvvisazione di Charlie Parker
al sassofono. Il racconto immaginario della nascita del bop
prosegue in questo modo:
Dizzy o Charley o Thelonius stava camminando per la strada udì
un rumore, un suono, metà Lester Young, metà grezza-nebbia-
piovosa che ha quel brivido di eccitamento da baracca, binario,
pezzo di terra vuoto, l'improvvisa enorme testa di Tigre sullo
steccato dei bagnati di pioggia di un sabato mattina senza
scuola, " Ehi!" e corse via a passo di danza. Al piano, quella
notte, Thelonius inserì una nota sorda fuori tono rispetto alle
calde note di tutti gli altri(...) La strana nota fa alzare il
sopracciglio al trombettista della band. Per la prima volta, quel
giorno, Dizzy è sorpreso. Porta la tromba alle labbra e suona
un'umida evanescenza.(...) ride Charlie Parker piegando a
battersi la caviglia. Si porta il contralto alla bocca e - con la linea
del jazz - dice << Non ve lo avevo detto?>>. Parlando eloquente
come i grandi poeti di una lingua straniera che cantano con la
lira in paesi stranieri, per mare, e nessuno li capisce perchè
quella lingua non è ancora nota a terra - il bop è la lingua
dell'inevitabile Africa D'America, going suona come gong ,
Africa è la vibrazione dei fiati e il piede che batte obliquo il
ritmo - l'improvviso stridio disinibito che urla finché la tromba
di Dizzy Gillespie lo soffoca - fai tutto quello che vuoi - deviando
la melodia verso un altro bridge improvvisato con un lacerante
protendersi di artigli, perchè essere furbi e falsi?
Da una serie di jam-session improvvisate al Minton's
nasce, così, intorno agli anni'40, il New York sound. Charlie
4. Parker, Dizzy Gillespie e Thelonius Monk, come raccontava la
cronaca immaginaria della nascita del bop di Kerouac, erano i
protagonisti di questo tipo di suono che diventò la base di
una emergente cultura sotterranea.
Verso la metà degli anni '50, un pubblico bianco, nuovo
e più giovane, cominciò ad avvicinarsi al New York sound,
nonostante fosse difficile da ascoltare e ancora più da imitare.
Così, i beat e gli hipster cominciarono ad improvvisare un
proprio stile esclusivo su una forma di jazz meno
compromessa: un jazz di "pura astrazione" che metteva in
corto circuito la banalità".
Hebdige così descrive le reazioni all'emergere delle
sottoculture hipster e beat:
Questa convergenza senza precedenti di nero e di bianco,
proclamata con tanta aggressività e con tanta spudoratezza
provocò un'inevitabile controversia che si incentrava sui temi
della razza, del sesso, della rivolta, ecc., e che si sviluppò
rapidamente in panico morale. Tutti i sintomi classici dell'isteria
5. più comunemente associata all'emergere alcuni anni dopo del
rock'n roll erano presenti nella reazione con cui l'America
conservatrice, che si sentì oltraggiata, salutò i beat e gli hipster,
e allo stesso tempo si andò sviluppando da parte di osservatori
"liberal" interessati al fenomeno tutta una mitologia del negro e
della sua cultura. A questo punto il negro andò libero, indenne
dalle desolanti convenzioni che tiranneggiavano membri più
fortunati della società (cioè gli scrittori) e, sebbene intrappolato
in un ambiente crudele di strade e basamenti squallidi, per una
curiosa inversione anche lui ne uscì alla fine vincitore (...) Il
negro nebulosamente osservato attraverso la prosa di Norman
Mailer oppure attraverso gli esangui panegirici di Jack Kerouac
(...), poté servire per i giovani bianchi da modello di libertà in
schiavitù.
Goldman, autore citato da Hebdige, disegna in
modo sintetico il profilo delle sottoculture hipster e
beat:
lo hipster era (...) un tipico dandy delle classi inferiori,
abbigliato come un magnaccia, che affettava un tono freddo e
cerebrale - per distinguersi dai tipi grossolani e impulsivi che lo
circondavano nel ghetto - e che aspirava alle cose migliori della
vita, come a dell'ottima 'erba', al sound più bello, quello del jazz
e quello afro-cubano
laddove...
il beat era in origine uno studente della più schietta classe
media, come Kerouac, che si sentiva soffocare dalla città e dalla
cultura che aveva ereditato e che voleva sostituire con luoghi
lontani ed esotici, dove avrebbe potuto vivere con la 'gente',
scrivere, fumare e darsi alla meditazione.
Secondo Hebdige, la sottocultura hipster vive una
vicinanza reale, non solo spirituale, con la comunità dei neri:
6. hipsters e neri vivono, infatti, a contatto nei ghetti
metropolitani. Il beat, invece, vive un rapporto immaginario
con il negro-come-nobile-selvaggio.
Così, benché le sottoculture hipster e beat si organizzassero
intorno ad un'identità condivisa con i negri (simbolizzata nel
jazz), la natura di tale identità, resa palese negli stili adottati dai
due gruppi, era qualitativamente diversa. I vestiti da gangster e
gli abiti leggeri all'italiana dello hipster incarnavano le
aspirazioni tradizionali (...) del magnaccia negro, mentre il beat,
deliberatamente vestito di stracci, in jeans e sandali, esprimeva
il magico rapporto con una miseria che costituiva nella sua
immaginazione un 'essenza divina, uno stato di grazia, un sacro
rifugio.
Questa distinzione netta tra la sottocultura hipster e
quella beat sembra essere contraddetta dalle parole con le
quali Kerouac racconta la nascita del movimento beat.
La Beat Generation è una visione che abbiamo avuto, John
Clellon Holmes e io e Allen Ginsberg in un modo ancora più
incredibile, alla fine degli anni '40, la visione di una generazione
di splendidi hipster illuminati che di colpo si levavano e si
mettevano in viaggio attraverso l'America, seri, curiosi,
vagabondando e arrivando dappertutto in autostop, cenciosi,
beati, belli nella loro nuova bruttezza piena di grazia (...) beati,
nel senso di battuti ma pieni di ferme convinzioni - Avevamo
anche sentito vecchi Papà Hipster delle strade del 1910 usare la
parola in quel modo, con malinconico scherno - Non designò
mai i giovani delinquenti, designava gli individui dotati di una
spiritualità diversa che non formarono mai una banda ma
rimasero come Bartleby solitari a guardare fuori dalla finestra
cieca della nostra civiltà - gli eroi sotterranei che avevano
finalmente voltato le spalle all'occidentale macchina "della
libertà" e si drogavano, ascoltavano il bop, avevano lampi di
7. genio, sperimentavano il "turbamento dei sensi", parlavano
strano, erano poveri e felici, profetizzavano un nuovo stile per
la cultura americana, un nuovo stile (pensavamo)
completamente libero da influenze europee (...) una nuova
formula magica-
Sempre sulle pagine dello stesso scritto, intitolato Sulla
Beat Generation, Kerouac descrive uno scenario dove la
cultura beat rappresenta uno sviluppo coerente della
sottocultura hipster. A tratti, anzi, i due termini si
confondono:
Scrivevamo storie su non so quale strano e beato santo negro hip
col pizzetto che attraversava lo Iowa in autostop con la tromba
fasciata, portando il misterioso messaggio del soffiare su altre
coste, in altre città, come un vero e proprio Gualtiero Senzaavere
alla testa di un'invisibile Prima Crociata - Avevamo i nostri eroi
mistici e scrivemmo, anzi cantammo romanzi che parlavano di
loro, costruimmo lunghi poemi che celebravano i nuovi "angeli"
dell'underground americano - In realtà era solo un gruppetto di
ragazzi hip veri patiti dello swing...
8. Dalle parole di Kerouac emerge una situazione dove la
distinzione tra sottocultura beat e hipster risulta essere una
forzatura analitica. Anche per quanto riguarda lo stile
vestimentario i termini si confondono:
... la gioventù del dopoguerra di Corea emerse cool e beat, ..., e
presto fu ovunque, il nuovo look, il look trasandato e
"sconvolto", alla fine cominciò ad apparire anche nei film (James
Dean) e in televisione, gli arrangiamenti bop che erano un tempo
la segreta musica da estasi dei beat contemplativi cominciarono
ad apparire in ogni golfo mistico e in ogni spartito per orchestre
tradizionali, le visioni bop diventarono patrimonio comune del
mondo della cultura di massa ... l'assunzione di droghe divenne
ufficiale (tranquillanti e tutto i resto), e anche il modo di vestirsi
degli hipster beat venne trasmesso alla nuova gioventù del
rock'n'roll tramite Montgomery Clift (giacche di pelle), Marlon
Brando (T-shirt), e Elvis Presley (basettoni)...
Kerouac, nell'articolo del 1959 "Beati: le origini della
Beat Generation", così racconta la nascita del movimento beat:
Questo articolo riguarderà necessariamente me stesso. Dirò tutto
fino in fondo. Quella mia foto pazzesca sulla copertina di Sulla
strada è venuta così perché ero appena sceso dalla cima di
un'alta montagna dove avevo passato due mesi in completa
solitudine e di solito avevo l'abitudine di pettinarmi i capelli
perché devi fare l'autostop in autostrada e tutto quanto e di
solito vuoi che le ragazze, guardandoti, ti considerino un essere
umano e non una bestia ma il mio amico e poeta Gregory Corso
si sbottonò la camicia e tirò fuori un crocifisso d'argento appeso
a una catena e disse << Mettitelo, portalo fuori dalla camicia e
non pettinarti!>>. Così, ho passato un bel pò di giorni a San
Francisco andando in giro con lui e gente come lui, alle feste,
nelle gallerie, nei ritrovi, alle jam sessions, nei bar, alle letture di
9. poesie, nelle chiese, camminavamo per strada parlando di
poesia, camminavamo per strada parlando di Dio (e a un certo
punto una strana banda di delinquenti si arrabbiò e disse <<Che
diritto ha quello di portare quella roba?>> e la mia banda di
musicisti e poeti gli disse di calmarsi) e alla fine il terzo giorno, il
giornale <<Mademoiselle>> volle farci delle foto, a tutti noi, così
posai com'ero, capelli selvaggi, crocifisso e tutto il resto, con
Gregory Corso, Allen Ginsberg e Phil Whalen...
La cronaca di Kerouac riguardante la nascita del
movimento beat fornisce, allo stesso tempo, la
rappresentazione di uno stile di vita e di uno stile
vestimentario che lo rappresenta coerentemente. Il crocifisso,
così, non è un segno gratuito, ma l'elemento significante che
testimonia la ricerca di una nuova spiritualità:
Non mi vergogno di portare il crocifisso di nostro Signore.
Perché sono un beat, cioè, credo nella beatitudine e credo che
Dio amava il mondo al punto di donargli il suo unico figlio...
10. Queste affermazioni possono essere meglio comprese,
considerando il significato che Kerouac attribuiva alla parola
"beat". Nell'articolo "Agnello, non leone", contenuto nella
stessa raccolta Scrivere bop, Kerouac chiarisce che:
Beat non significa stanco, o sconfitto, bensì beato, la parola
italiana per beatific : essere in uno stato di beatitudine, come
San Francesco, cercare di amare tutto nella vita, cercare di essere
sinceri fino in fondo con tutti, praticare la sopportazione, la
gentilezza, coltivare la gioia del cuore. Come si può realizzare
una cosa del genere nel nostro folle mondo moderno fatto di
molteplicità e milioni? Praticando un pò di solitudine,
andandosene da soli ogni tanto a far provvista della ricchezza
più grande: le vibrazioni della sincerità. Essere seccati non è
essere beat. Si può essere chiusi in se stessi ma ciò non significa
necessariamente essere scontrosi. Il beat non è una forma di
critica stanca e vecchia. E' una forma di affermazione spontanea.
Che razza di cultura sarebbe se tutti con faccia rabbuiata
dicessero"Questo non mi sembra giusto"?
Dalle parole di Kerouac emerge il profilo di un
movimento che cerca una profonda rigenerazione spirituale,
sia attingendo dalle fonti più pure della religione cristiana sia
cercando di avvicinare le filosofie orientali, in particolare il
buddismo. E' una ricerca che propone valori profondamente
antagonisti rispetto al materialismo consumista e al
"carrierismo" , che possiamo considerare fondanti
dell'american way of life. Proprio per questo, la subcultura
beat viene presto associata alla devianza:
...e quanto orrore provai nel 1957, e poi nel 1958, quando
improvvisamente mi accorsi che tutti, la stampa, la televisione e
il circuito dei conferenzieri alla moda usavano la parola "Beat" a
significare anche l'esplosione dei giovani delinquenti e gli orrori
11. delle folli manganellate di New York e Los Angeles e
cominciarono a chiamare quello Beat, beato quattro scemi che
marciavano contro i Giants di San Francisco contestando il
baseball, come se (adesso) succedesse nel mio nome...Oppure
quando un assassinio, un volgare assassinio commesso sulla
North Beach, venne etichettato come un omicidio della Beat
Generation, e pensare che da piccolo passavo per un eccentrico,
nel mio quartiere, perché impedivo ai ragazzi di tirare sassi agli
scoiattoli, perché gli impedivo di friggere i serpenti nelle lattine
o di gonfiare i rospi con una cannuccia per farli scoppiare.
Sempre nello stesso articolo - "Beati: le origini della Beat
Generation"- Kerouac intuisce che un'altra modalità per
disinnescare le forze di opposizione (oltre all'etichettamento
da parte dei mass media come gruppo di "devianti") è il
processo di assorbimento delle controculture all'interno del
sistema moda:
Così adesso in televisione danno programmi sui beatniks che
cominciano con la satira di ragazze vestite di nero e ragazzi in
jeans con coltelli a serramanico e magliette sportive e svastiche
tatuate sotto le ascelle, e poi arriveranno ai rispettabili
presentatori tutti azzimati in abito Brooks Brothers tagliato a
jeans e maglione di lana, in altre parole, è un semplice
cambiamento di moda e maniere...Quindi non c'è di che
rallegrarsi. I Beat, in realtà, nascono dalla vecchia voglia
americana di fare baldoria e cambierà solo qualche vestito e
renderà inutili le sedie in soggiorno e presto avremo Segretari di
Stato beat e saranno istituiti nuovi orpelli, in realtà nuovi motivi
di malizia e nuovi motivi di virtù e nuovi motivi di perdono...
Contro queste forze della reazione Kerouac arriva a
scagliare un vero e proprio anatèma:
12. E tuttavia, tuttavia, sia maledetto chi crede che Beat Generation
significhi crimine, delinquenza, immoralità,
amoralità...maledetto chi ne attacca le basi soltanto perché non
capisce la storia e i desideri struggenti degli animi
umani...maledetto chi non capisce che l'America deve, dovrà
cambiare e sta già cambiando, per quanto ne so. Sia maledetto
chi crede nella bomba atomica, chi crede nell'odio contro i padri
e le madri rinnegando il più importante dei dieci comandamenti,
maledetto (tuttavia) chi non crede nell'incredibile dolcezza
dell'amore sessuale, e maledetti siano i tipici portatori di morte,
maledetto chi crede nelle guerre e nell'orrore e nella violenza e
riempie i nostri libri e schermi e soggiorni di quelle schifezze,
maledetto chi fa cattivi film sulla Beat Generation dove
casalinghe innocenti vengono violentate da beatniks ! Siano
maledetti i veri squallidi peccatori che perfino Dio trova
occasione di perdonare... maledetto chi sputa sulla Beat
Generation, il vento restituirà lo sputo.
Questa strenua difesa della purezza degli ideali del
movimento beat mette in chiaro quali siano i valori di
riferimento di questa subcultura; rivela, allo stesso tempo, una
profonda anima mistica e un mal celato senso d'impotenza.
Emerge, infatti, una visione del sociale dove l'opposizione al
grande Moloc non riesce a trovare altre vie che l'anatèma.
Quando, agli inizi degli anni'60, Allen Ginsberg tenterà
la via dell'impegno politico, Kerouac così motivò, in una
intervista, la sua presa di distanza dalle posizioni dell'amico:
Ginsberg si è interessato alla politica di Sinistra... e io dico come
Joyce, come Joyce ha detto a Ezra Pound negli Anni Venti: <<Non
mi seccare con la politica, l'unica cosa che mi interessa è lo
stile>>. E poi mi sono stufato della nuova avanguardia e del
sensazionalismo a razzo. Sto leggendo Blaise Pascal e prendo
appunti sulla religione. Mi piace andare in giro con gente
intellettuale, come direste voi, e non a ritrovarmi proseliti della
13. mia mente, all'infinito... Il gruppo beat, come voi dite, si è
disperso all'inizio degli Anni Sessanta, ciascuno è andato per la
sua strada, e questa è la strada mia: vita di casa, come all'inizio,
con una puntata ogni tanto ai bar locali.
Negli stessi anni, in una lettera indirizzata a Fernanda
Pivano, Kerouac scrive:
Devi sapere che noi che abbiamo incominciato la beat
generation qui negli Stati Uniti (io, Holmes, Ginsberg) da allora
siamo stati trascinati in attacchi di carattere politico e perciò ce
ne restiamo per conto nostro (come all'inizio). Il mondo gira, ma
l'arte rimane.
Da queste citazioni emerge il ritratto di un artista
ripiegato su se stesso, dedito alla propria opera e, per certi
versi, sganciato dal nuovo movimento culturale che si afferma
negli anni '60, il movimento hippie.
Sarà invece Ginsberg a costituire la figura "ponte" tra le
due generazioni. Come racconta la Pivano, fu un suo viaggio in
India nei primi anni '60 a segnare la svolta:
Quando arrivò dall'India anche la sua apparenza era un pò
cambiata. Negli anni dell'università, quando visse con Jack
Kerouac e William Borroughs e poi attraversò l'America con Neal
Cassidy e Jack Kerouac, l'anticonformismo del suo aspetto
esteriore non andava al di là della Resistenza al Consumo sulla
quale si basava appunto la più appariscente forma del dissenso
di quegli anni: in un momento in cui pareva che il neo-
materialismo dilagante avesse fatto del denaro una religione,
dell'igiene un Dio, dell'anonimità aziendale una legge e della
tecnocrazia un destino inevitabile, era un gesto profondamente
contestatario respingere danaro, igiene, anonimità e tecnocrazia.
I blue jeans sbiaditi, i sandali e le scarpe da tennis, le giacche a
vento portate estate e inverno crearono in quegli anni della
14. ripresa economica del dopoguerra...uno shock che creò una
presa di coscienza almeno altrettanto importante di quella
creata un decennio dopo dagli abbigliamenti basati sulla
creatività e la fantasia cosidetti hippie. In quegli anni Ginsberg
aveva i capelli corti e il viso asciutto, il sorriso pronto e un
magnetismo che era sempre il protagonista delle descrizioni di
biografi e intervistatori...Fu in India che Ginsberg cambiò
aspetto, quando visse fra i sapienti e i santoni e si lasciò crescere
i capelli fino alle spalle e la barba fin dove voleva arrivare, più
che altro per non compiere un atto di violenza tagliandoli contro
natura e contro ragione; così girò per l'India, ornato della
collana shivaita degli iniziati e così tornò in America nel 1963. Il
10 giugno 1965 mostrò questa sua immagine a un reading di
poesia alla Albert Hall di Londra. Erano presenti 7000 persone e
ragazze a piedi nudi distribuivano fiori in un'atmosfera greve di
incenso e di hashish...Fu questo primo embrione della scena
hippie, che esplose a San Francisco nel 1966...
Intorno alla metà degli anni'60, così, Allen Ginsberg,
tenne a battesimo il nuovo movimento hippie. Il fatto non è
così strano se si pensa che la subcultura beat e quella hippie
condividono valori di fondo quali la ricerca di una nuova
spiritualità e, in particolare, la filosofia della non-violenza.
15. L'epicentro del nuovo movimento culturale fu,
comunque, la scuola. La prima rivolta, che prese il nome di
Free Speech Movement, si scatenò a Berkeley nel settembre
del 1964 quando le autorità amministrative vietarono la
raccolta di fondi per una causa politica esterna alla vita
dell'università. Nella raccolta di scritti dal titolo L'altra
America degli anni '60, tradotta da Fernanda Pivano, si può
leggere un resoconto in prima persona di quegli avvenimenti:
Ci siamo messi a sedere intorno a un automezzo della polizia e lo
abbiamo tenuto immobilizzato per oltre 32 ore. Finalmente la
burocrazia amministrativa ha accettato di negoziare.
Emerge presto, però, che il vero oggetto d'interesse per il
Movimento è il rapporto tra studenti e sistema formativo.
Poter contare all'interno della struttura scolastica, diventando
protagonisti di un processo che riguarda la propria vita, è una
esigenza fortemente avvertita. Si afferma, infatti, la percezione
che il processo educativo americano sia una crudele cerimonia
iniziatica. Nell'articolo di Weinberg "Il Free Speech Movement
e i diritti civili", contenuto nella già citata raccolta L'altra
America degli anni'60, leggiamo:
...l'istruzione che conduce al conseguimento del diploma di
graduation appare un rito per mettere alla prova la capacità di
sopportazione del candidato, una serie di prove che, se superate
con successo, consentono l'ingresso ai corsi della graduate
school; e, a quelli che sono riusciti a passare indenni attraverso
le prove dell'intero rito, è concesso il titolo pomposo: il Ph.D. Più
uno emerge, migliore è il posto di lavoro che ottiene...Troppo
spesso il processo educativo appare come un'eliminatoria,
regolata dalle leggi della domanda e dell'offerta. Quanto meglio
uno gioca la partita tanto meglio uno è compensato.
16. Il sistema educativo americano appare, quindi, come una
istituzione che si ispira al modello darwiniano della selezione
naturale, finalizzata all'emergere del più forte e ben poco
preoccupata della crescita e della formazione culturale degli
studenti. Lo scontento manifestato nel settembre 1964
trascende, quindi, l'episodio contingente. I circa quattro mesi
di rivolta che seguono, permetteranno di ottenere spazi
"liberi" e il diritto di organizzare Teach In su argomenti
politici all'interno dell'università.
Il primo Teach In fu dedicato al Vietnam. L'impegno
americano, infatti, era andato via via aumentando e nel 1965
erano cominciati i primi bombardamenti.
Contemporaneamente erano iniziate e si erano estese le
manifestazioni di protesta. Le matrici da cui muoveva il rifiuto
per la guerra andavano moltiplicandosi: da un lato, c'erano
vari comitati, più o meno affiliati ai vari movimenti radicali e
antinucleari internazionali, che propugnavano una scelta
pacifista e antinucleare per la società occidentale; dall'altro, si
faceva strada un modello di pensiero aperto alle culture
orientali e precapitalistiche. La scoperta della spiritualità e del
misticismo orientale si unì, infatti, alla rilettura in chiave
antropologica della mitica comunione con la natura delle
popolazioni indiane d'America: l'insieme si formalizzò nella
proposta di un "uomo nuovo", impegnato a ritrovare la
propria interiorità e pacificamente inserito in un contesto
naturale da osservare e rispettare.
I maestri del nuovo umanesimo furono i protagonisti
della cultura alternativa del decennio precedente: Allen
Ginsberg, Gary Snyder, Timothy Leary. La strada da percorrere
17. verso l'ideale di "uomo nuovo" viene indicata con estrema
chiarezza da Timothy Leary:
Dovete cominciare col cambiare il vostro abito, la vostra casa, i
vostri movimenti, il vostro ambiente, in modo tale che rifletta la
grandezza e la gloria della vostra visione divina. Dovete avere
un aspetto diverso e agire diversamente. Ma questo processo di
sintonizzazione dev'essere armonico ed elegante. Per favore
nessun gesto distruttivo o ribelle!...Camminate, parlate,
mangiate, bevete come se foste un felice Dio della foresta.
La prospettiva terrorizzante da cui si cerca di uscire con
questa proposta di vita è quella esemplificata nella figura
dell"impiegato di Manhattan", descritta da Leary in questi
termini:
...lavora in una camera buia, che puzza di aria inquinata. Si
muove in mezzo ad un ammasso di mobili anonimi e fatti in
serie per andare in un bagno di celluloide o in una cucina
impersonale di plastica. Fa una prima colazione a base di cibo-
carburante anonimo, tolto da una scatola o impacchettato.
Indossa la divisa anonima del cittadino-robot, biancheria di
cotone, scarpe, camicia, cravatta e giacca. Viaggia in gallerie buie
di metallo fuligginoso e di cemento grigio verso la scatola di
alluminio che è il suo ufficio... Il denaro che guadagna gli serve
per il suo cibo di celluloide e per il suo appartamento dall'aria
inquinata. Quest'uomo è circondato da un ambiente grigio,
inquinato, morto, impersonale, fatto da una catena di
montaggio, prodotto in serie e anonimo. Questo è l'ambiente di
un robot-meccanico.
Per uscire da questo tunnel esistenziale ci si rivolge alle
filosofie orientali e spesso si fa ricorso all'uso di sostanze
stupefacenti -funghi sacri, marijuana, LSD-, in grado di
18. provocare l'espansione dello spettro percettivo, fare
esperienza di nuovi stati di coscienza e liberare grandi energie
creative, prive di condizionamenti sociali.
Così, anche i canoni estetici e della bellezza corporea
subiscono profondi cambiamenti. Nella raccolta già citata
L'altra America degli anni'60 troviamo l'articolo "La
generazione hippy " di Kupfemberg, estremamente esplicito a
questo proposito:
L'hippy decora il proprio corpo come un'opera d'arte. Lo
ricopre di collane, lo dipinge, lo addobba con abiti dei colori
dell'arcobaleno e nello stile composito formato dalla mescolanza
stridente di tutti i tempi e di tutti i paesi; non c'è un modo
giusto di vestirsi, non c'è un modo giusto di fare l'amore. Che
mille corpi fioriscano.
Un elenco dettagliato del vasto repertorio vestimentario
del movimento hippy ce lo fornisce Fernanda Pivano, cronista
d'eccezione della nuova cultura americana.Così, descrive la
moltitudine degli spettatori presenti ad un concerto di Dylan,
al Community Theatre:
Ma per me che venivo da un'Europa sopraffatta da una idea
gotica della politica e medioevale del costume, ottocentesca della
cultura e vittoriana della moralità, quella serata rappresentò
soprattutto l'immersione nel New Look (come già si diceva allora
per difendersi dall'etichetta sociologica del New Style of Life),
che poche settimane dopo sarebbe stato fregato nello stereotipo
hippie inventato dai media. C'erano ragazze con vestaglie di
velluto abbottonate fino alla bocca e aperte dalla cintola in giù,
ragazzi vestiti da principi del Rinascimento, le giacche di daino
frangiate che 4 anni dopo sarebbero arrivate in Europa nella scia
del musical Hair, cappotti di montone bianco lunghi fino a terra,
colori sgargianti nelle sete lucide e campanelle tintinnanti
19. portate al collo, alle caviglie, sulla testa, ai polsi; occhiali verdi e
gialli, giacche napoleoniche e da ammiraglio, pantaloni da
generale della Guerra di Secessione, piume indiane, berretti di
velluto raffaelleschi, camicie di cotone Mayflower, code di volpe,
mantelle da Dracula, magliette bianche di cotone da marinai alle
caldaie della nave, gonne lunghe da film western, granny
dresses, fiori, collane, pizzi. La rivolta al consumismo era passata
dalla fase rinunciataria e polemica dei blue jeans alla fase
creativa e ribelle del vestito <<inventato>> invece che
<<subìto>>: beffa insolente e pacifica all'industria della moda.
La scoperta della Pivano del New Look hippy durante un
concerto di Dylan non è certo stata casuale. Dylan, infatti, è
uno degli artisti che meglio diede voce agli ideali del
movimento, firmando quelli che diventarono dei veri e propri
inni generazionali. Pivano, così, spiega le ragioni del successo
di Bob Dylan:
Il miscuglio folk-blues-rock di Bob Dylan, con le sue storie che
non riguardavano gli amori di un ragazzo per una ragazza o
viceversa ma erano ispirate allo scontento sempre più incalzante
tra la gioventù americana, raggiungeva un pubblico ormai quasi
disabituato a leggere versi ma disposto ad ascoltarli attraverso la
musica e d'altra parte già stanco dei diluvi imitativi dei Beatles
ma disposto ad ascoltare questo rock and roll rivoluzionario, con
la sua carica polemica e il suo messaggio liberatorio: un
messaggio che era diventato di massa nel 1962, quando Blowing
in the Wind venne cantata da milioni di persone come canto di
raccolta nel corso del Movimento negro in Difesa dei Diritti
Civili.
Nel 1965, lo stesso anno in cui Pivano si accorge di
Dylan, Ginsberg stila, un programma per una grande
manifestazione, cercando così di chiarire in modo
20. inequivocabile a tutti le intenzioni e le modalità della riunione
e impedire reazioni disordinate in caso di provocazioni:
Annunciate in anticipo che è una marcia sicura, portate la nonna
e i bambini, portate famiglia e amici. Dichiarazioni aperte: "Non
veniamo a combattere e non combatteremo"
La manifestazione diventa una grande festa pacifica fatta
di suoni, canti, colori e tantissimi fiori.
Il momento culminante del movimento è, però, il grande
raduno del 14 gennaio 1967, tenutosi nel Parco del Golden
Gate a San Francisco, vero e proprio centro della cultura
alternativa giovanile. La mutazione culturale proposta da Leary
è avvenuta; lo spettacolo è senza precedenti:
Ventagli, piume, pennacchi e zanne; campanelli, tamburi,
carillons e incenso; stendardi, fiamme, bandiere e talismani;
collane portafortuna, arance e carote; palloni, fiori, bambù e
vesti-animali; flauti e ceste; mani giunte, occhi chiusi, fronti
serene e sorrisi; stoffe da preghiera e bastoni da shaman...
In mezzo a tutto questo:
il prof. Leary... con un fiore giallo dietro l'orecchio; Leonore
Kandel, in rosso e arancione; Gary Snyder seduto sull'orlo della
piattaforma...maestro di cerimonia, parla con gioia. Allen
Ginsberg, catalizzatore e distillatore di tutto, in una tunica
bianca.
Questo grande rito collettivo si chiude, al tramonto, con
Allen Ginsberg e Gary Snyder che salmodiano il mantra Om
Sri Maitreya rivolti verso il sole, in una atmosfera di grande
pace e poesia.