1. La quarantena: dal Medioevo al COVID-19
Etimologicamente la parola quarantena significa segregazione di quaranta giorni prescritta per malati affetti
da malattie contagiose; in seguito viene interpretata come isolamento, segregazione di persone o animali per
motivi sanitari, indipendentemente dal numero dei giorni. Difatti, il numero quaranta è sempre stato molto
significativo nella storia delle società cristiane occidentali poiché rappresentante il tempo necessario alla
purificazione sia dell’anima che del corpo. Partendo dai quaranta giorni di diluvio universale raccontato dalla
Bibbia, in cui l’Arca di Noè portò in salvo tutte le specie di animali presenti sulla Terra che descrive il
passaggio dalla dissolutezza dell’uomo alla purificazione simboleggiata dal diluvio. Importante è anche il
periodo di rinuncia e preghiera della Quaresima che precede la Pasqua e che ricorda i quaranta giorni in cui
Cristo digiunò nel deserto. Ma perché proprio quaranta giorni? Il termine quarantena fu introdotto nel
Medioevo, in particolare nel XIV secolo, per indicare il lasso di tempo per cui venivano isolati gli equipaggi
delle navi al fine di prevenire la diffusione di malattie contagiose.
Sappiamo benissimo che il Medioevo fu un periodo caratterizzato dal timore di Dio, o meglio, dal timore
dell’inferno e dalla speranza del paradiso. In effetti, erano proprio questi sentimenti a guidare le azioni di
ogni uomo e, quindi, l’organizzazione di ogni società. Come abbiamo visto precedentemente,il numero
quaranta per il Cristianesimo è emblema di tempo necessario alla purificazione, e la forte influenza cattolica
sull’Europa medioevale fece in modo che la scelta dei quaranta giorni come periodo di pulizia dell’uomo da
ogni malattia o da ogni possibile contagio, fu un’azione interamente fondata sulla paura di Dio.
Proprio nel Medioevo, in particolare nel 1348, ci fu una pestilenza che travolse Firenze e costrinse i suoi
abitanti a fuggire dalla propria città e a rifugiarsi altrove. Nel Decameron, Boccaccio ci racconta come dieci
ragazzi abbandonarono Firenze e vissero la quarantena come un momento di condivisione, di storie, di balli e
di canti: il modo ideale per dimenticarsi della paura della malattia.
Tre secoli dopo, nel 1630, ci fu una nuova ondata di pestilenza che,questa volta, colpì Milano e che fa da
protagonista negli ultimi capitoli dei Promessi Sposi diManzoni. Infatti è proprio di peste che muoiono
l’antagonista principale don Rodrigo e frà Cristoforo, poco dopo essere riuscito a sciogliere il voto di castità
di Lucia. Il romanzo, essenzialmente, si conclude quando la peste finisce, dando sfogo ad un diluvio
purificatore ed analogo a quello narrato nella Bibbia, precedentemente citato.
Nel 1918, verso la fine della Prima guerra mondiale, una malattia respiratoria (o qualcosa simile ad essa)
chiamata “bronchite purulenta” si diffuse per tutta la Francia. Non ci volle molto che gli spostamenti delle
truppe nei quattro angoli del mondo fecero diffondere la malattia anche in Regno Unito, Italia, Stati Uniti,
Russia, India e Africa. I giornali iniziarono a denominarla “influenza spagnola” perché la Spagna era l’unico
paese in cui si poteva discutere liberamente della malattia, in quanto priva di censura. Fu la prima vera
pandemia. La malattia colpiva i polmoni e causava insufficienza respiratoria, febbre alta, tosse ed emorragie
da naso e bocca. Si manifestò con tre ondate e fece più morti della guerra che si lasciava alle spalle.
2. L’anno scorso un virus proveniente da Wuhan, in Cina, chiamato Coronavirus (COVID-19) per il suo aspetto
simile ad una corona se visto al microscopio, devastò la città in cui venne scoperto. I sintomi sono febbre
alta, tosse secca e stanchezza e può portare al decesso se contratto in casigravi o da persone
immunodeficienti, anziane o con patologie respiratorie. La mancata conoscenza dei sintomi e la mancanza di
protezione hanno fatto in modo che il virus si diffondesse rapidamente in tutto il resto del mondo.
Ora,cos’è che accumuna queste epidemie/pandemie? La solidarietà generazionale, ovvero il sacrificio di
tutti per il bene di molti. In questi due mesi di quarantena ci è stato chiesto di rinunciare a sempre più cose,
non andare più a scuola o alcuni a lavoro, non vedere più i propri amici, non andare più al bar o al ristorante,
non uscire per poter camminare in riva al mare e, cosa più importante, rimanere lontani dai nostri cari,
specialmente quelli più anziani, per non contagiarli. Sacrificare la propria libertà individuale per il bene degli
altri: è questo quello che ci viene chiesto di fare e che sicuramente venne chiesto di fare durante la pandemia
di influenza spagnola, la peste del 1630 e quella del 1348. Ma aldilà di tutto ciò, è la paura che ci spinge ad
essere solidali con gli altri, la paura di perdere i propri cari lontani da tutto e da tutti, la paura di essere
contagiati, la paura di vedere medici o infermieri uscire la mattina per andare in ospedale e non vederli più
tornare la sera. Credo che una mamma del Medioevo sia egualmente spaventata ad una mamma del
ventunesimo secolo quando pensa che si potrebbe ammalare e contagiare il proprio figlio, di peste o di
coronavirus che sia, quindi, fa tutto ciò che può per aiutare dove ce n’è bisogno. Credo che le storie, i balli e
i canti siano ancora i metodi più efficaci per dimenticarsi almeno per qualche minuto della malattia e credo
che una storia, bella o brutta, meriti sempre un lieto fine.