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News 46/SSL/2017
Lunedì, 13 novembre 2017
Dalla valutazione dei rischi al piano di emergenza aziendale.
Un intervento si sofferma su alcune possibili criticità dei piani di emergenza aziendali
e sulla confusione degli obblighi normativi. La valutazione dei rischi, il piano di
emergenza, il piano antincendio e le zone d’ombra.
Trieste, 10 Nov – Se l’esistenza dei “piani di emergenza” nei luoghi di lavoro è nota
per la visibilità di vari elementi legati alla gestione operativa del piano (estintori,
segnaletica, mappe di orientamento in caso di emergenza, …), tuttavia sono spesso
“meno note tutte le misure che vanno attuate in prima persona, i ruoli attesi, le
indicazioni normative e quelle procedurali aziendali, in quanto spesso ritenute
appannaggio solo di tecnici ‘esperti’”. E questa “scarsa conoscenza e fiducia
rispetto alle finalità e ai contenuti del Piano di Emergenza”, dipende
dall’atteggiamento nei confronti dei “due termini che definiscono questo
documento, cioè: ‘Piano’, quindi la necessità di pianificare, ed ‘emergenza’, vale a
dire qualcosa che non attiene la normalità, in cui invece il rischio dovrebbe essere
nullo o ben controllato”.
A ricordare alcune possibili criticità dei piani di emergenza, fornendo anche alcune
indicazioni sulla nascita di questi piani, è un intervento raccolto nel volume “La
gestione dell’emergenza: coordinamento tra addetti aziendali e soccorritori esterni”
curato da Giorgio Sclip (RSPP, membro del Focal Point per l’Agenzia europea per la
sicurezza e la salute sul lavoro – Università degli Studi di Trieste), edito da EUT Edizioni
Università di Trieste. Un volume che raccoglie i contributi della giornata di studio
“Sicurezza accessibile. La gestione dell’emergenza: coordinamento tra addetti
aziendali e soccorritori esterni. Cosa bisogna fare per rendere efficace il soccorso in
caso di emergenza”, che si è tenuta il 22 ottobre 2014 a Trieste.
In “La gestione delle emergenze: relazione fra piani aziendali e rischi ambientali”, a
cura di Maddalena Coccagna (architetto, ricercatore, Laboratorio TekneHub,
Tecnopolo dell’Università di Ferrara, Dipartimento di Architettura), si forniscono
alcune utili informazioni sui piani di emergenza a partire da una ricerca, condotta
da un gruppo di lavoro interdisciplinare e con riferimento al terremoto avvenuto in
Emilia, che “ha voluto analizzare il ruolo e le modalità di attuazione del Piano di
Emergenza aziendale nel caso di un evento calamitoso alla scala ambientale”,
anche per valutare l’impatto e le possibilità di miglioramento nella pianificazione e
nella gestione dell’emergenza.
L’intervento si sofferma ad esempio sul passaggio, nelle aziende, dalla valutazione
dei rischi al piano di emergenza.
La relatrice ricorda, a questo proposito, che l’oggetto di una Valutazione dei Rischi
(VdR) è descritto al Titolo I Sezione II del D.Lgs 81/2008 e richiede quindi la
“conoscenza preventiva di:
- luoghi di lavoro (spazi, altezze, illuminazione, ecc);
- rischi specifici derivanti dai lavori svolti (rumore, vibrazioni, sostanze pericolose,
ecc);
- scenari di rischio più ampi cui può essere soggetta l’attività (anche se spesso
vengono limitati all’incendio);
- mansioni lavorative degli addetti e grado di esposizione ai rischi (tempi, modi,
numero di persone, ecc);
- capacità degli addetti (fisiche, mentali, distribuzione nell’attività, formazione,
ecc)”.
E una volta individuate le fonti di rischio e il loro impatto sull’organizzazione
dell’attività, “il Datore di Lavoro deve assicurarne l’eliminazione o la riduzione,
attraverso misure di prevenzione e di protezione adeguate:
- misure passive (sistemi di allarme, dispositivi di protezione collettiva, ecc);
- misure attive (estinzione del fuoco, DPI, ecc);
- misure procedurali (chi fa cosa, squadre di intervento, ecc)”.
Tutte queste analisi – continua l’intervento – “dovrebbero portare alla
predisposizione di un Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), così da organizzare
in sicurezza le attività che vengono svolte normalmente, e di un Piano di Emergenza,
utile quando un certo pericolo si manifesta e deve quindi essere affrontato dai
lavoratori (fuoco, fuga di sostanze pericolose, sisma, ecc)”, ma purtroppo esiste una
certa “confusione” fra quelli che sono gli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/2008 (Testo
Unico) e le indicazioni del D.M. 10 marzo 1998 “Criteri generali di sicurezza
antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro”.
D.Lgs. 81/2008
Articolo 18 - Obblighi del datore di lavoro e del dirigente
1. Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e i dirigenti, che
organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad
essi conferite, devono:
(…)
h) adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e
dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed
inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
i) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e
immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di
protezione;
(…)
m) astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della
salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una
situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato;
(…)
Infatti se l’assenza del Piano è “elencata tra le violazioni gravi previste all’Allegato I
del D.Lgs 81/08, tuttavia la sua redazione viene generalmente ricondotta al punto
8.1 dell’allegato VIII del D.M. 10/03/1998, che però si occupa solo del rischio di
incendio”.
D.M. 10 marzo 1998 - Allegato PIANIFICAZIONE DELLE PROCEDURE DA ATTUARE IN
CASO DI INCENDIO
8.1 - GENERALITÀ
In tutti i luoghi di lavoro dove ricorra l’obbligo di cui all’art. 5 del presente decreto,
deve essere predisposto e tenuto aggiornato un Piano di Emergenza, che deve con
tenere nei dettagli:
a) le azioni che i lavoratori devono mettere in atto in caso di incendio;
b) le procedure per l’evacuazione del luogo di lavoro che devono essere attuate
dai lavoratori e dalle altre persone presenti;
c) le disposizioni per chiedere l’intervento dei VVF e per fornire le necessarie
informazioni al loro arrivo;
d) specifiche misure per assistere le persone disabili.
Il piano di emergenza deve identificare un adeguato numero di persone incaricate
di sovrintendere e controllare l’attuazione delle procedure previste.
Il risultato di questa confusione è, dunque, una divergenza di obiettivi “fra il Testo
Unico, che raccomanda al Datore di Lavoro di tutelare il lavoratore da ‘tutti’ i rischi
cui può essere esposto, e la pianificazione dell’emergenza, che rischia di limitarsi
solo alla possibilità di incendio o di esplosione”.
Tuttavia il Piano di Emergenza aziendale “contiene e comprende il Piano
antincendio, ma non sono la stessa cosa; l’adozione di procedure di intervento che
non tengano conto di ciò, crea essenzialmente due fenomeni:
1) le indicazioni antincendio (che sono le più note) vengono adattate a tutti i rischi
ambientali; da qui, ad esempio, l’assenza di azioni di protezione personale durante il
sisma, a favore invece di un esodo immediato ed indifferenziato;
2) vengono ricavati tanti scenari e procedure quanti sono le possibili tipologie di
rischio, sintetizzando diversi manuali e indicazioni, con fonti più o meno attendibili.
Vista la loro complessità, raramente queste azioni sono effettivamente note ai
lavoratori o vengono sperimentate nelle prove annuali di emergenza (spesso
confuse con le prove di esodo antincendio...)”.
La relazione indica poi che non sempre il Piano di Emergenza aziendale è quindi
univoco.
Nei luoghi di lavoro “sono generalmente presenti, alternativamente:
a) un unico Piano di Emergenza “antincendio”, soprattutto nelle aziende soggette al
controllo dei Vigili del Fuoco (come le scuole);
b) due Piani distinti: uno destinato alla pratica antincendio e uno da allegare agli
incartamenti previsti in azienda dal Testo Unico (e quasi sempre i due documenti
non sono congruenti, quindi non è chiaro quale sia da adottare sul posto);
c) un unico Piano di Emergenza, che contiene anche le disposizioni antincendio e
ogni altro rischio, con procedure tutte diverse e fin troppo dettagliate, di consistenza
quasi enciclopedica”.
Inoltre – continua la relazione - dalla lettura congiunta del Testo Unico e del Decreto
ministeriale del 1998 si evidenziano poi anche altre zone d’ombra, “ad esempio:
- come vanno individuati e valutati i rischi dovuti al contesto in cui si trova l’attività?
- Chi e come decide in azienda la ‘gravità’ di un’emergenza, sia essa in atto o solo
annunciata (ad esempio l’arrivo di una forte perturbazione o di un tornado)?
- Che azioni vanno intraprese di conseguenza?
- Come si valuta la fine di una situazione di pericolo, soprattutto se questo coinvolge
aspetti non totalmente sotto il controllo dell’attività?
- Come tenere conto nelle proprie procedure della presenza di utenti non formati”?
Si indica poi che nel caso di gravi calamità ambientali - come alluvioni, frane,
terremoti, … - la gestione di un’emergenza “non può limitarsi a descrivere come
mettere al sicuro ciò che non lo è, ma dovrebbe essere finalizzata anche ad evitare
alle persone di subire ulteriori disagi dall’interruzione del proprio lavoro, di un servizio
o di un sostegno sociale”. Aspetti particolarmente rilevanti nel caso di attività che
non possono essere facilmente interrotte e messe in sicurezza, come “per i luoghi
dove sono presenti sostanze pericolose (prodotte, trasportate, ecc) oppure dove le
vie d’esodo non sono ordinarie (spazi confinati, gallerie, navi, grandi manifestazioni
all’aperto, ecc) o degli ambiti dove sono radunati un pubblico o molti utenti (scuole,
teatri, ospedali, centri commerciali, ecc)”.
Ricordiamo, in conclusione, che l’intervento, che vi invitiamo a leggere
integralmente, si sofferma poi su vari altri aspetti: le emergenze ambientali,
l’attivazione degli allarmi, i piani di esodo e l’educazione alla gestione
dell’emergenza.
E segnaliamo, infine, che in materia di prevenzione incendi:
- il 18 novembre 2015 è entrato in vigore anche il Decreto del Ministero dell'Interno 3
agosto 2015 relativo all’approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai
sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139;
- il 25 agosto 2017 è entrato in vigore il Decreto del 7 agosto 2017 “Approvazione di
norme tecniche di prevenzione incendi per le attività scolastiche, ai sensi dell'art. 15
del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139”.
RTM
Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:
“ La gestione delle emergenze: relazione fra piani aziendali e rischi ambientali”, a cura di
Maddalena Coccagna (architetto, ricercatore, Laboratorio TekneHub, Tecnopolo dell’Università di
Ferrara, Dipartimento di Architettura), intervento tratto dal volume “La gestione dell’emergenza:
coordinamento tra addetti aziendali e soccorritori esterni”, edito da EUT Edizioni Università di Trieste e
correlato alla giornata di studio “Sicurezza accessibile. La gestione dell’emergenza: coordinamento
tra addetti aziendali e soccorritori esterni. Cosa bisogna fare per rendere efficace il soccorso in caso
di emergenza” (formato PDF, 8.4 MB).
Fonte: puntosicuro.it
Lavoro online, piattaforme, rischi salute e sicurezza, Eu-Osha.
BILBAO – Lavoro online. Pubblicata da Eu-OSha una relazione (in inglese) sulla
sicurezza e la salute nel lavoro online e da piattaforme digitali. Nel lavoro
occasionale, a domicilio, crowd work, in ogni tipo di regime professionale che
potrebbe instaurarsi quando domanda e offerta di si confrontano quasi totalmente
online.
La tutela dei lavoratori nell’economia delle piattaforme digitali: una panoramica
degli sviluppi normativi e politici nell’UE). Nuove sfide per le politiche occupazionali
europee e rischi emergenti su lavoro.
Info: salute e sicurezza lavoro economia piattaforme online
Fonte: quotidianosicurezza.it
Come valutare e prevenire gli infortuni stradali in orario di lavoro.
Nel mondo del lavoro la strada è diventata il sito di lavoro più pericoloso e non solo
per il settore trasporti. Un intervento si sofferma sulla prevenzione e la valutazione
degli infortuni stradali in orario di lavoro.
Modena, 9 Nov – Sono da diversi anni che come giornale ricordiamo, attraverso la
pubblicazione di articoli e interviste dedicate, i fattori di rischio correlati ai tanti
infortuni professionali che avvengono su strada. Nel mondo del lavoro ormai la
strada “è diventata il sito di lavoro più pericoloso e non solo per il settore trasporti”.
Inoltre la strada “è un sito complesso… non solo di lavoro”, ad esempio per la
possibile presenza di cittadini, studenti, turisti, pensionati, … Ed è “un sito di lavoro
che il Datore di Lavoro non può gestire”.
A sottolineare questi aspetti e a fornire utili indicazioni per la prevenzione degli
infortuni professionali su strada è un intervento nei workshop dal titolo “Piano
regionale della prevenzione - Mini Workshop sui progetti del Setting Ambienti di
Lavoro”. Workshop, organizzati dalla Regione Emilia Romagna, che si sono tenuti
durante la manifestazione “ Ambiente Lavoro Convention” (Modena, 13/14
settembre 2017).
Nell’intervento “Prevenzione degli infortuni stradali in orario di lavoro”, a cura
dell’Ing. Luca Scarpellini (SPSAL AUSL Romagna – Cesena), si indica che
“approcciando il tema ‘sicurezza stradale’ occorre, da subito, essere consci che ci
sono anche reali problemi di competenze, linguaggi dissimili, interferenze
istituzionali”, … E se l’utente della strada conosce “principalmente il Codice della
Strada ed il relativo regolamento attuativo”, “non è abituato – spesso neanche il
lavoratore - a considerare il D.L.vo 81 come pertinente”.
Infatti si segnala che nell’indice del D.Lgs. 81/2008 il problema degli incidenti
stradali non è esplicitamente contemplato: “qui non si parla di sicurezza stradale, al
massimo di cantieri stradali”! Ma è evidente che la strada merita l’attenzione degli
operatori della sicurezza sul lavoro. E alla prevenzione degli incidenti stradali si fa
riferimento nei macro obiettivi relativi all’Intesa sul Piano nazionale della prevenzione
2014-2018 approvato il 13 novembre 2014 dalla Conferenza Stato-Regioni.
Tuttavia, guardando “bene” il Testo Unico (D.Lgs. 81/2008), in realtà buona parte del
decreto può essere considerato “pertinente” con i temi della sicurezza stradale.
Ad esempio con riferimento a:
- Titolo I: Organizzazione generale;
- Titolo III: Uso di attrezzature e dpi;
- Titolo V: Segnaletica;
- Titolo VI: Movimentazione manuale dei carichi;
- Titoli VIII - IX – X: A seconda delle merci trasportate.
Riguardo al Titolo I il relatore indica che “uno degli adempimenti obbligatori,
secondo alcuni il principale, in capo al Datore di Lavoro è la valutazione del rischio
da formalizzare mediante redazione di apposito documento di valutazione dei rischi
(DVR)”. E altro punto di rilievo è la “creazione dell’organizzazione della sicurezza con
i ruoli previsti dalla norma tra cui il Medico Competente. Non ultimo il tema della
formazione informazione ed addestramento; per diverse mansioni l’unica arma a
disposizione della prevenzione”.
E se il Decreto Legislativo n. 81/2008 prevede tutta una serie di adempimenti e
responsabilità in capo ad ogni azienda, a partire dalla valutazione di tutti i rischi
presenti, “per una corretta valutazione” dei rischi stradali bisogna partire dalle basi.
Cosa causa un incidente stradale?
Sicuramente, come emerge da molti studi, la principale causa è antropica, riguarda
cioè l’uomo, il conducente. Questi sono i principali fattori antropici all’origine della
maggior parte degli incidenti/infortuni:
- stanchezza alla guida: “per tutta una serie di categorie di trasporto (camion con
peso maggiore di 3,5 tonnellate ma con diverse eccezioni; trasporto persone)
sussiste l’obbligo di montare cronotachigrafi allo scopo di limitare i tempi di guida.
Per tutti gli altri c’è solo il buonsenso, la prudenza e la formazione a corretti stili di vita
e di lavoro. Possono essere fornite ai lavoratori istruzioni operative”;
- uso di alcol e sostanze psicotrope: “per tutti i dipendenti che guidano e sono
ricompresi nelle categorie di legge è prevista la sorveglianza sanitaria con
effettuazione di alcol test e di test sull’uso di sostanze psicotrope. Per tutti gli altri c’è
di nuovo solo il buonsenso, la prudenza e la formazione a corretti stili di vita e di
lavoro. Possono essere forniti ai lavoratori dispositivi per la misurazione del tasso
alcolemico, sono in fase di sperimentazione dispositivi che consentono l’accensione
dei veicoli solo dopo un esito positivo del controllo sull’alcool”. L’intervento si
sofferma in particolare sulla Legge 30 marzo 2001, n. 125, la “Legge quadro in
materia di alcol e di problemi alcolcorrelati”;
- dispositivi elettronici alla guida: “è il problema emergente e sempre più dilagante,
la versione del nuovo millennio della vecchia distrazione. Spesso l’uso del cellulare è
proprio connesso all’attività lavorativa su strada e sembra inevitabile rassegnarsi
(pensate al comparto emergente delle consegne a domicilio da e-commerce).
Formazione, ordini di servizio, installazione di dispositivi viva voce o nei mezzi o
dotazione di auricolari nei telefoni di servizio sono le strategie che al momento sono
disponibili”.
Se poi l’attività è “strutturalmente imperniata sul lavoro su strada (camionisti, postini,
autisti, guidatori di autobus, di autoambulanze, ecc) il DVR deve analizzare anche le
peculiarità del lavoro e gli altri rischi conseguenti:
- trasporto di sostanze pericolose (infiammabili, materiali a rischio biologico o
cancerogeno, ecc): il dipendente deve conoscere la natura del bene trasportato e
la categoria di rischio a cui è esposto (mediante consultazione della scheda
tecnica); essere dotato dei DPI correlati al tipo di rischio; conoscere scenari e
procedure di emergenza (perdite di carico, incidenti); accedere alla sorveglianza
sanitaria se dovuta”;
- rischio di caduta dall’alto: “il dipendente deve essere dotato dei DPI correlati al
tipo di rischio; essere formato all’uso dei dispositivi anticaduta; essere addestrato
preventivamente all’uso del dispositivo; conoscere scenari e procedure di
emergenza (perdite di carico, incidenti)”;
- stress lavoro correlato: “ci sono lavori su strada che per ritmi o tipologia del
trasportato comportano certamente stress particolari. Valutazioni secondo le vigenti
normative”;
- movimentazione manuale dei carichi: “il dipendente deve essere dotato dei DPI
correlati al tipo di rischio; essere dotato dei supporti meccanici idonei; essere
formato ed addestrato sul rischio; conoscere scenari e procedure di emergenza
(perdite di carico, incidenti); accedere alla sorveglianza sanitaria. Sempre più
spesso le ditte cercano di scindere i ruoli non assegnando più agli autisti compiti di
carico e scarico ma in ogni caso, tra, fretta, emergenza e gentilezza, l’operazione
può avvenire più spesso del previsto”.
Ci sono poi “trasporti peculiari” e nessuno meglio del datore di lavoro può
conoscerne le problematiche…. E “il consulente, il Responsabile del Servizio
Prevenzione e Protezione (RSPP) ed i suoi collaboratori devono soprattutto
conoscere l’azienda, parlare con il datore di lavoro e con i dipendenti prima di
procedere alla redazione dei vari documenti”.
Rimandiamo alla lettura integrale delle slide dell’intervento che fanno riferimento
anche al tema delle emergenze, della manutenzione dei mezzi, della formazione.
Sono poi presentate alcune criticità, sia a livello normativo, sia a livello di prassi
applicativa:
- “i cronotachigrafi sono efficienti, ma sono aggirabili, i controlli sono molto
complessi e specialistici, perciò non così frequenti;
- le ditte estere spesso non adeguano le loro flotte;
- la sorveglianza sanitaria coi test copre solo periodi limitati, spesso i dipendenti sono
avvisati o non vengono rispettati i protocolli per il ritiro delle urine;
- i cosiddetti padroncini non hanno sorveglianza sanitaria;
- il mercato è in mano a consorzi che sono, di fatto, i datori di lavoro ma non
vogliono gli oneri di tale ruolo;
- in certi lavori l’uso del cellulare o del tablet è inevitabile;
- i corsi di guida sicura restano un evento puntiforme, spesso divertente, ma un po’
fine a se stesso;
- la formazione ha sempre risultati discutibili, spesso è solo un business o un
adempimento da fare obtorto collo, senza alcun effettivo interesse”.
In conclusione l’intervento offre anche uno sguardo sulle attività di vigilanza in
materia legate al Piano Regionale della Prevenzione (PRP) della Regione Emilia
Romagna.
Tiziano Menduto
Scarica i documenti da cui è tratto l'articolo:
“ Prevenzione degli infortuni stradali in orario di lavoro”, a cura dell’Ing. Luca Scarpellini (SPSAL AUSL
Romagna – Cesena), intervento ai workshop “Piano regionale della prevenzione - Mini Workshop sui
progetti del Setting Ambienti di Lavoro” (formato PDF, 2.68 MB).
Fonte: puntosicuro.it
Sviluppo economico, 15 milioni per diagnosi energetiche Pmi.
ROMA – Pubblicato dal Ministero dello Sviluppo Economico e dal Ministero
dell’Ambiente un bando per Regioni e Province autonome per l’attivazione di
programmi a sostegno delle Pmi e delle diagnosi energetiche. Sistemi di gestione
energia ISO 50001 e audit.
15 milioni di euro. Scadenza invio domande 30 novembre 2017. (Articolo di Corrado
De Paolis)
Info: bando Pmi diagnosi energetiche (http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/198-
notizie-stampa/2037333-diagnosi-energetiche-15-milioni-per-le-pmi)
Fonte: quotidianosicurezza.it
Chi deve designare un responsabile della protezione dei dati.
L’inerzia che tutte le maggiori aziende, pubbliche o private, mostrano nei confronti
della designazione di un responsabile della protezione dei dati mi induce a tornare
su questo critico argomento.
L’incredibile inerzia che molte aziende pubbliche e private mostrano, nei confronti
della individuazione e designazione di un responsabile della protezione dei dati, mi
ha fatto sorgere il dubbio che forse gli esperti del settore non abbiano sensibilizzato
a sufficienza i titolari del trattamento su quest’obbligo di legge.
Questa è la ragione per la quale desidero dedicare alcune note, con il prezioso
supporto dell’articolo 29 Working party, ad illustrare i casi in cui è obbligatorio
designare un responsabile della protezione dei dati.
Queste note sono suddivise in più parti, per prendere in considerazione le varie
lettere del comma 1 dell’articolo 37, che di seguito riporto.
Articolo 37 Designazione del responsabile della protezione dei dati
1. Il titolare del trattamento e il responsabile del trattamento designano
sistematicamente un responsabile della protezione dei dati ogniqualvolta:
a) il trattamento è effettuato da un'autorità pubblica o da un organismo pubblico,
eccettuate le autorità giurisdizionali quando esercitano le loro funzioni giurisdizionali;
b) le attività principali del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento
consistono in trattamenti che, per loro natura, ambito di applicazione e/o finalità,
richiedono il monitoraggio regolare e sistematico degli interessati su larga scala;
oppure
c) le attività principali del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento
consistono nel trattamento, su larga scala, di categorie particolari di dati personali
di cui all'articolo 9 o di dati relativi a condanne penali e a reati di cui all'articolo 10.
Comincio a prendere in considerazione la lettera a).
Il prezioso parere dell’articolo 29 Working party ha ben chiarito che tra l’autorità ed
organismi pubblici vanno anche comprese le autorità e gli organismi che svolgono
un servizio di pubblico interesse.
Ciò significa che non solo tutte le autorità pubbliche, come Comuni, istituzioni
museali pubbliche, province, regioni, aziende sanitarie locali e non, sono obbligate
a designare un responsabile della protezione dei dati, ma anche tutte le aziende,
seppur private, che svolgono un servizio di pubblico interesse.
Tra queste posso elencare senza alcun dubbio le società per la gestione delle
autostrade, le società di trasporto pubblico, sia su rotaia, sia su gomma, gli enti
erogatori e distributori di energia elettrica e servizi telefonici, i servizi radiotelevisivi, i
gestori di rete di distribuzione di acqua, le aziende che raccolgono ed trattano rifiuti
urbani, gli ordini professionali, i gestori di case popolari, nonché numerosissime altre
attività, tra le quali indubbiamente vanno anche inseriti gli istituti di vigilanza privata,
che addirittura l’articolo 29 Working party ha esplicitamente menzionato.
Come si vede, l’ambito di applicazione è assai allargato e ricordo ancora una volta
che il responsabile della protezione dei dati deve essere pienamente operativo ed
aver svolto già le sue preziose attività di supporto al titolare al responsabile del
trattamento, prima della data ultima del 24 maggio 2018.
Un ulteriore raccomandazione riguarda il fatto che, una volta che sia stato
designato un responsabile della protezione dei dati, è bene che esso si occupi di
tutte le attività di trattamento sviluppate dal titolare, anche se esse potrebbero non
rientrare, a rigore, nelle attività critiche. Ad esempio, non mi sembra logico che un
responsabile della protezione dei dati si debba occupare solo degli applicativi che
trattano le bollette da emettere ai clienti e non anche degli applicativi che trattano
i dati personali dei dipendenti.
Se poi qualche titolare del trattamento, che rientra nelle categorie sopra illustrate,
ritiene che la peculiare attività che egli svolge non rientri tra le indicazioni del
regolamento, offro un tanto caldo, quanto disinteressato consiglio:
ove il titolare del trattamento ritenga di non rientrare fra le categorie previste
dall’articolo 27 del regolamento generale europeo sulla protezione dei dati, è bene
che sviluppi un documento molto articolato, e supportato da valide considerazioni
di natura tecnica e legale, ove saranno ben illustrate tutte le ragioni che lo hanno
portato ad assumere la decisione di non aver bisogno di un responsabile della
protezione dei dati.
Raccomando di compilare con molta attenzione questo documento, perché un
domani esso potrebbe essere richiesto in esame da parte dell’autorità garante
nazionale, che vorrà sapere come mai il titolare del trattamento non aveva ancora
designato un responsabile della protezione dei dati.
Se il documento non sarà sufficientemente convincente, scatteranno sanzioni non
certo leggere!
Adalberto Biasiotti
Fonte: puntosicuro.it

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  • 1. News 46/SSL/2017 Lunedì, 13 novembre 2017 Dalla valutazione dei rischi al piano di emergenza aziendale. Un intervento si sofferma su alcune possibili criticità dei piani di emergenza aziendali e sulla confusione degli obblighi normativi. La valutazione dei rischi, il piano di emergenza, il piano antincendio e le zone d’ombra. Trieste, 10 Nov – Se l’esistenza dei “piani di emergenza” nei luoghi di lavoro è nota per la visibilità di vari elementi legati alla gestione operativa del piano (estintori, segnaletica, mappe di orientamento in caso di emergenza, …), tuttavia sono spesso “meno note tutte le misure che vanno attuate in prima persona, i ruoli attesi, le indicazioni normative e quelle procedurali aziendali, in quanto spesso ritenute appannaggio solo di tecnici ‘esperti’”. E questa “scarsa conoscenza e fiducia rispetto alle finalità e ai contenuti del Piano di Emergenza”, dipende dall’atteggiamento nei confronti dei “due termini che definiscono questo documento, cioè: ‘Piano’, quindi la necessità di pianificare, ed ‘emergenza’, vale a dire qualcosa che non attiene la normalità, in cui invece il rischio dovrebbe essere nullo o ben controllato”. A ricordare alcune possibili criticità dei piani di emergenza, fornendo anche alcune indicazioni sulla nascita di questi piani, è un intervento raccolto nel volume “La gestione dell’emergenza: coordinamento tra addetti aziendali e soccorritori esterni” curato da Giorgio Sclip (RSPP, membro del Focal Point per l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro – Università degli Studi di Trieste), edito da EUT Edizioni Università di Trieste. Un volume che raccoglie i contributi della giornata di studio “Sicurezza accessibile. La gestione dell’emergenza: coordinamento tra addetti aziendali e soccorritori esterni. Cosa bisogna fare per rendere efficace il soccorso in caso di emergenza”, che si è tenuta il 22 ottobre 2014 a Trieste. In “La gestione delle emergenze: relazione fra piani aziendali e rischi ambientali”, a cura di Maddalena Coccagna (architetto, ricercatore, Laboratorio TekneHub, Tecnopolo dell’Università di Ferrara, Dipartimento di Architettura), si forniscono alcune utili informazioni sui piani di emergenza a partire da una ricerca, condotta da un gruppo di lavoro interdisciplinare e con riferimento al terremoto avvenuto in Emilia, che “ha voluto analizzare il ruolo e le modalità di attuazione del Piano di
  • 2. Emergenza aziendale nel caso di un evento calamitoso alla scala ambientale”, anche per valutare l’impatto e le possibilità di miglioramento nella pianificazione e nella gestione dell’emergenza. L’intervento si sofferma ad esempio sul passaggio, nelle aziende, dalla valutazione dei rischi al piano di emergenza. La relatrice ricorda, a questo proposito, che l’oggetto di una Valutazione dei Rischi (VdR) è descritto al Titolo I Sezione II del D.Lgs 81/2008 e richiede quindi la “conoscenza preventiva di: - luoghi di lavoro (spazi, altezze, illuminazione, ecc); - rischi specifici derivanti dai lavori svolti (rumore, vibrazioni, sostanze pericolose, ecc); - scenari di rischio più ampi cui può essere soggetta l’attività (anche se spesso vengono limitati all’incendio); - mansioni lavorative degli addetti e grado di esposizione ai rischi (tempi, modi, numero di persone, ecc); - capacità degli addetti (fisiche, mentali, distribuzione nell’attività, formazione, ecc)”. E una volta individuate le fonti di rischio e il loro impatto sull’organizzazione dell’attività, “il Datore di Lavoro deve assicurarne l’eliminazione o la riduzione, attraverso misure di prevenzione e di protezione adeguate: - misure passive (sistemi di allarme, dispositivi di protezione collettiva, ecc); - misure attive (estinzione del fuoco, DPI, ecc); - misure procedurali (chi fa cosa, squadre di intervento, ecc)”. Tutte queste analisi – continua l’intervento – “dovrebbero portare alla predisposizione di un Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), così da organizzare in sicurezza le attività che vengono svolte normalmente, e di un Piano di Emergenza, utile quando un certo pericolo si manifesta e deve quindi essere affrontato dai lavoratori (fuoco, fuga di sostanze pericolose, sisma, ecc)”, ma purtroppo esiste una certa “confusione” fra quelli che sono gli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico) e le indicazioni del D.M. 10 marzo 1998 “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro”. D.Lgs. 81/2008 Articolo 18 - Obblighi del datore di lavoro e del dirigente
  • 3. 1. Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono: (…) h) adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa; i) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione; (…) m) astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato; (…) Infatti se l’assenza del Piano è “elencata tra le violazioni gravi previste all’Allegato I del D.Lgs 81/08, tuttavia la sua redazione viene generalmente ricondotta al punto 8.1 dell’allegato VIII del D.M. 10/03/1998, che però si occupa solo del rischio di incendio”. D.M. 10 marzo 1998 - Allegato PIANIFICAZIONE DELLE PROCEDURE DA ATTUARE IN CASO DI INCENDIO 8.1 - GENERALITÀ In tutti i luoghi di lavoro dove ricorra l’obbligo di cui all’art. 5 del presente decreto, deve essere predisposto e tenuto aggiornato un Piano di Emergenza, che deve con tenere nei dettagli: a) le azioni che i lavoratori devono mettere in atto in caso di incendio; b) le procedure per l’evacuazione del luogo di lavoro che devono essere attuate dai lavoratori e dalle altre persone presenti; c) le disposizioni per chiedere l’intervento dei VVF e per fornire le necessarie informazioni al loro arrivo; d) specifiche misure per assistere le persone disabili. Il piano di emergenza deve identificare un adeguato numero di persone incaricate di sovrintendere e controllare l’attuazione delle procedure previste. Il risultato di questa confusione è, dunque, una divergenza di obiettivi “fra il Testo
  • 4. Unico, che raccomanda al Datore di Lavoro di tutelare il lavoratore da ‘tutti’ i rischi cui può essere esposto, e la pianificazione dell’emergenza, che rischia di limitarsi solo alla possibilità di incendio o di esplosione”. Tuttavia il Piano di Emergenza aziendale “contiene e comprende il Piano antincendio, ma non sono la stessa cosa; l’adozione di procedure di intervento che non tengano conto di ciò, crea essenzialmente due fenomeni: 1) le indicazioni antincendio (che sono le più note) vengono adattate a tutti i rischi ambientali; da qui, ad esempio, l’assenza di azioni di protezione personale durante il sisma, a favore invece di un esodo immediato ed indifferenziato; 2) vengono ricavati tanti scenari e procedure quanti sono le possibili tipologie di rischio, sintetizzando diversi manuali e indicazioni, con fonti più o meno attendibili. Vista la loro complessità, raramente queste azioni sono effettivamente note ai lavoratori o vengono sperimentate nelle prove annuali di emergenza (spesso confuse con le prove di esodo antincendio...)”. La relazione indica poi che non sempre il Piano di Emergenza aziendale è quindi univoco. Nei luoghi di lavoro “sono generalmente presenti, alternativamente: a) un unico Piano di Emergenza “antincendio”, soprattutto nelle aziende soggette al controllo dei Vigili del Fuoco (come le scuole); b) due Piani distinti: uno destinato alla pratica antincendio e uno da allegare agli incartamenti previsti in azienda dal Testo Unico (e quasi sempre i due documenti non sono congruenti, quindi non è chiaro quale sia da adottare sul posto); c) un unico Piano di Emergenza, che contiene anche le disposizioni antincendio e ogni altro rischio, con procedure tutte diverse e fin troppo dettagliate, di consistenza quasi enciclopedica”. Inoltre – continua la relazione - dalla lettura congiunta del Testo Unico e del Decreto ministeriale del 1998 si evidenziano poi anche altre zone d’ombra, “ad esempio: - come vanno individuati e valutati i rischi dovuti al contesto in cui si trova l’attività? - Chi e come decide in azienda la ‘gravità’ di un’emergenza, sia essa in atto o solo annunciata (ad esempio l’arrivo di una forte perturbazione o di un tornado)? - Che azioni vanno intraprese di conseguenza? - Come si valuta la fine di una situazione di pericolo, soprattutto se questo coinvolge aspetti non totalmente sotto il controllo dell’attività? - Come tenere conto nelle proprie procedure della presenza di utenti non formati”?
  • 5. Si indica poi che nel caso di gravi calamità ambientali - come alluvioni, frane, terremoti, … - la gestione di un’emergenza “non può limitarsi a descrivere come mettere al sicuro ciò che non lo è, ma dovrebbe essere finalizzata anche ad evitare alle persone di subire ulteriori disagi dall’interruzione del proprio lavoro, di un servizio o di un sostegno sociale”. Aspetti particolarmente rilevanti nel caso di attività che non possono essere facilmente interrotte e messe in sicurezza, come “per i luoghi dove sono presenti sostanze pericolose (prodotte, trasportate, ecc) oppure dove le vie d’esodo non sono ordinarie (spazi confinati, gallerie, navi, grandi manifestazioni all’aperto, ecc) o degli ambiti dove sono radunati un pubblico o molti utenti (scuole, teatri, ospedali, centri commerciali, ecc)”. Ricordiamo, in conclusione, che l’intervento, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma poi su vari altri aspetti: le emergenze ambientali, l’attivazione degli allarmi, i piani di esodo e l’educazione alla gestione dell’emergenza. E segnaliamo, infine, che in materia di prevenzione incendi: - il 18 novembre 2015 è entrato in vigore anche il Decreto del Ministero dell'Interno 3 agosto 2015 relativo all’approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139; - il 25 agosto 2017 è entrato in vigore il Decreto del 7 agosto 2017 “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi per le attività scolastiche, ai sensi dell'art. 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139”. RTM Scarica il documento da cui è tratto l'articolo: “ La gestione delle emergenze: relazione fra piani aziendali e rischi ambientali”, a cura di Maddalena Coccagna (architetto, ricercatore, Laboratorio TekneHub, Tecnopolo dell’Università di Ferrara, Dipartimento di Architettura), intervento tratto dal volume “La gestione dell’emergenza: coordinamento tra addetti aziendali e soccorritori esterni”, edito da EUT Edizioni Università di Trieste e correlato alla giornata di studio “Sicurezza accessibile. La gestione dell’emergenza: coordinamento tra addetti aziendali e soccorritori esterni. Cosa bisogna fare per rendere efficace il soccorso in caso di emergenza” (formato PDF, 8.4 MB). Fonte: puntosicuro.it Lavoro online, piattaforme, rischi salute e sicurezza, Eu-Osha. BILBAO – Lavoro online. Pubblicata da Eu-OSha una relazione (in inglese) sulla
  • 6. sicurezza e la salute nel lavoro online e da piattaforme digitali. Nel lavoro occasionale, a domicilio, crowd work, in ogni tipo di regime professionale che potrebbe instaurarsi quando domanda e offerta di si confrontano quasi totalmente online. La tutela dei lavoratori nell’economia delle piattaforme digitali: una panoramica degli sviluppi normativi e politici nell’UE). Nuove sfide per le politiche occupazionali europee e rischi emergenti su lavoro. Info: salute e sicurezza lavoro economia piattaforme online Fonte: quotidianosicurezza.it Come valutare e prevenire gli infortuni stradali in orario di lavoro. Nel mondo del lavoro la strada è diventata il sito di lavoro più pericoloso e non solo per il settore trasporti. Un intervento si sofferma sulla prevenzione e la valutazione degli infortuni stradali in orario di lavoro. Modena, 9 Nov – Sono da diversi anni che come giornale ricordiamo, attraverso la pubblicazione di articoli e interviste dedicate, i fattori di rischio correlati ai tanti infortuni professionali che avvengono su strada. Nel mondo del lavoro ormai la strada “è diventata il sito di lavoro più pericoloso e non solo per il settore trasporti”. Inoltre la strada “è un sito complesso… non solo di lavoro”, ad esempio per la possibile presenza di cittadini, studenti, turisti, pensionati, … Ed è “un sito di lavoro che il Datore di Lavoro non può gestire”. A sottolineare questi aspetti e a fornire utili indicazioni per la prevenzione degli infortuni professionali su strada è un intervento nei workshop dal titolo “Piano regionale della prevenzione - Mini Workshop sui progetti del Setting Ambienti di Lavoro”. Workshop, organizzati dalla Regione Emilia Romagna, che si sono tenuti durante la manifestazione “ Ambiente Lavoro Convention” (Modena, 13/14 settembre 2017). Nell’intervento “Prevenzione degli infortuni stradali in orario di lavoro”, a cura dell’Ing. Luca Scarpellini (SPSAL AUSL Romagna – Cesena), si indica che “approcciando il tema ‘sicurezza stradale’ occorre, da subito, essere consci che ci sono anche reali problemi di competenze, linguaggi dissimili, interferenze istituzionali”, … E se l’utente della strada conosce “principalmente il Codice della
  • 7. Strada ed il relativo regolamento attuativo”, “non è abituato – spesso neanche il lavoratore - a considerare il D.L.vo 81 come pertinente”. Infatti si segnala che nell’indice del D.Lgs. 81/2008 il problema degli incidenti stradali non è esplicitamente contemplato: “qui non si parla di sicurezza stradale, al massimo di cantieri stradali”! Ma è evidente che la strada merita l’attenzione degli operatori della sicurezza sul lavoro. E alla prevenzione degli incidenti stradali si fa riferimento nei macro obiettivi relativi all’Intesa sul Piano nazionale della prevenzione 2014-2018 approvato il 13 novembre 2014 dalla Conferenza Stato-Regioni. Tuttavia, guardando “bene” il Testo Unico (D.Lgs. 81/2008), in realtà buona parte del decreto può essere considerato “pertinente” con i temi della sicurezza stradale. Ad esempio con riferimento a: - Titolo I: Organizzazione generale; - Titolo III: Uso di attrezzature e dpi; - Titolo V: Segnaletica; - Titolo VI: Movimentazione manuale dei carichi; - Titoli VIII - IX – X: A seconda delle merci trasportate. Riguardo al Titolo I il relatore indica che “uno degli adempimenti obbligatori, secondo alcuni il principale, in capo al Datore di Lavoro è la valutazione del rischio da formalizzare mediante redazione di apposito documento di valutazione dei rischi (DVR)”. E altro punto di rilievo è la “creazione dell’organizzazione della sicurezza con i ruoli previsti dalla norma tra cui il Medico Competente. Non ultimo il tema della formazione informazione ed addestramento; per diverse mansioni l’unica arma a disposizione della prevenzione”. E se il Decreto Legislativo n. 81/2008 prevede tutta una serie di adempimenti e responsabilità in capo ad ogni azienda, a partire dalla valutazione di tutti i rischi presenti, “per una corretta valutazione” dei rischi stradali bisogna partire dalle basi. Cosa causa un incidente stradale? Sicuramente, come emerge da molti studi, la principale causa è antropica, riguarda cioè l’uomo, il conducente. Questi sono i principali fattori antropici all’origine della maggior parte degli incidenti/infortuni: - stanchezza alla guida: “per tutta una serie di categorie di trasporto (camion con peso maggiore di 3,5 tonnellate ma con diverse eccezioni; trasporto persone)
  • 8. sussiste l’obbligo di montare cronotachigrafi allo scopo di limitare i tempi di guida. Per tutti gli altri c’è solo il buonsenso, la prudenza e la formazione a corretti stili di vita e di lavoro. Possono essere fornite ai lavoratori istruzioni operative”; - uso di alcol e sostanze psicotrope: “per tutti i dipendenti che guidano e sono ricompresi nelle categorie di legge è prevista la sorveglianza sanitaria con effettuazione di alcol test e di test sull’uso di sostanze psicotrope. Per tutti gli altri c’è di nuovo solo il buonsenso, la prudenza e la formazione a corretti stili di vita e di lavoro. Possono essere forniti ai lavoratori dispositivi per la misurazione del tasso alcolemico, sono in fase di sperimentazione dispositivi che consentono l’accensione dei veicoli solo dopo un esito positivo del controllo sull’alcool”. L’intervento si sofferma in particolare sulla Legge 30 marzo 2001, n. 125, la “Legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati”; - dispositivi elettronici alla guida: “è il problema emergente e sempre più dilagante, la versione del nuovo millennio della vecchia distrazione. Spesso l’uso del cellulare è proprio connesso all’attività lavorativa su strada e sembra inevitabile rassegnarsi (pensate al comparto emergente delle consegne a domicilio da e-commerce). Formazione, ordini di servizio, installazione di dispositivi viva voce o nei mezzi o dotazione di auricolari nei telefoni di servizio sono le strategie che al momento sono disponibili”. Se poi l’attività è “strutturalmente imperniata sul lavoro su strada (camionisti, postini, autisti, guidatori di autobus, di autoambulanze, ecc) il DVR deve analizzare anche le peculiarità del lavoro e gli altri rischi conseguenti: - trasporto di sostanze pericolose (infiammabili, materiali a rischio biologico o cancerogeno, ecc): il dipendente deve conoscere la natura del bene trasportato e la categoria di rischio a cui è esposto (mediante consultazione della scheda tecnica); essere dotato dei DPI correlati al tipo di rischio; conoscere scenari e procedure di emergenza (perdite di carico, incidenti); accedere alla sorveglianza sanitaria se dovuta”; - rischio di caduta dall’alto: “il dipendente deve essere dotato dei DPI correlati al tipo di rischio; essere formato all’uso dei dispositivi anticaduta; essere addestrato preventivamente all’uso del dispositivo; conoscere scenari e procedure di emergenza (perdite di carico, incidenti)”; - stress lavoro correlato: “ci sono lavori su strada che per ritmi o tipologia del trasportato comportano certamente stress particolari. Valutazioni secondo le vigenti normative”; - movimentazione manuale dei carichi: “il dipendente deve essere dotato dei DPI
  • 9. correlati al tipo di rischio; essere dotato dei supporti meccanici idonei; essere formato ed addestrato sul rischio; conoscere scenari e procedure di emergenza (perdite di carico, incidenti); accedere alla sorveglianza sanitaria. Sempre più spesso le ditte cercano di scindere i ruoli non assegnando più agli autisti compiti di carico e scarico ma in ogni caso, tra, fretta, emergenza e gentilezza, l’operazione può avvenire più spesso del previsto”. Ci sono poi “trasporti peculiari” e nessuno meglio del datore di lavoro può conoscerne le problematiche…. E “il consulente, il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP) ed i suoi collaboratori devono soprattutto conoscere l’azienda, parlare con il datore di lavoro e con i dipendenti prima di procedere alla redazione dei vari documenti”. Rimandiamo alla lettura integrale delle slide dell’intervento che fanno riferimento anche al tema delle emergenze, della manutenzione dei mezzi, della formazione. Sono poi presentate alcune criticità, sia a livello normativo, sia a livello di prassi applicativa: - “i cronotachigrafi sono efficienti, ma sono aggirabili, i controlli sono molto complessi e specialistici, perciò non così frequenti; - le ditte estere spesso non adeguano le loro flotte; - la sorveglianza sanitaria coi test copre solo periodi limitati, spesso i dipendenti sono avvisati o non vengono rispettati i protocolli per il ritiro delle urine; - i cosiddetti padroncini non hanno sorveglianza sanitaria; - il mercato è in mano a consorzi che sono, di fatto, i datori di lavoro ma non vogliono gli oneri di tale ruolo; - in certi lavori l’uso del cellulare o del tablet è inevitabile; - i corsi di guida sicura restano un evento puntiforme, spesso divertente, ma un po’ fine a se stesso; - la formazione ha sempre risultati discutibili, spesso è solo un business o un adempimento da fare obtorto collo, senza alcun effettivo interesse”. In conclusione l’intervento offre anche uno sguardo sulle attività di vigilanza in materia legate al Piano Regionale della Prevenzione (PRP) della Regione Emilia Romagna. Tiziano Menduto
  • 10. Scarica i documenti da cui è tratto l'articolo: “ Prevenzione degli infortuni stradali in orario di lavoro”, a cura dell’Ing. Luca Scarpellini (SPSAL AUSL Romagna – Cesena), intervento ai workshop “Piano regionale della prevenzione - Mini Workshop sui progetti del Setting Ambienti di Lavoro” (formato PDF, 2.68 MB). Fonte: puntosicuro.it Sviluppo economico, 15 milioni per diagnosi energetiche Pmi. ROMA – Pubblicato dal Ministero dello Sviluppo Economico e dal Ministero dell’Ambiente un bando per Regioni e Province autonome per l’attivazione di programmi a sostegno delle Pmi e delle diagnosi energetiche. Sistemi di gestione energia ISO 50001 e audit. 15 milioni di euro. Scadenza invio domande 30 novembre 2017. (Articolo di Corrado De Paolis) Info: bando Pmi diagnosi energetiche (http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/198- notizie-stampa/2037333-diagnosi-energetiche-15-milioni-per-le-pmi) Fonte: quotidianosicurezza.it Chi deve designare un responsabile della protezione dei dati. L’inerzia che tutte le maggiori aziende, pubbliche o private, mostrano nei confronti della designazione di un responsabile della protezione dei dati mi induce a tornare su questo critico argomento. L’incredibile inerzia che molte aziende pubbliche e private mostrano, nei confronti della individuazione e designazione di un responsabile della protezione dei dati, mi ha fatto sorgere il dubbio che forse gli esperti del settore non abbiano sensibilizzato a sufficienza i titolari del trattamento su quest’obbligo di legge. Questa è la ragione per la quale desidero dedicare alcune note, con il prezioso supporto dell’articolo 29 Working party, ad illustrare i casi in cui è obbligatorio designare un responsabile della protezione dei dati. Queste note sono suddivise in più parti, per prendere in considerazione le varie lettere del comma 1 dell’articolo 37, che di seguito riporto. Articolo 37 Designazione del responsabile della protezione dei dati 1. Il titolare del trattamento e il responsabile del trattamento designano sistematicamente un responsabile della protezione dei dati ogniqualvolta:
  • 11. a) il trattamento è effettuato da un'autorità pubblica o da un organismo pubblico, eccettuate le autorità giurisdizionali quando esercitano le loro funzioni giurisdizionali; b) le attività principali del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento consistono in trattamenti che, per loro natura, ambito di applicazione e/o finalità, richiedono il monitoraggio regolare e sistematico degli interessati su larga scala; oppure c) le attività principali del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento consistono nel trattamento, su larga scala, di categorie particolari di dati personali di cui all'articolo 9 o di dati relativi a condanne penali e a reati di cui all'articolo 10. Comincio a prendere in considerazione la lettera a). Il prezioso parere dell’articolo 29 Working party ha ben chiarito che tra l’autorità ed organismi pubblici vanno anche comprese le autorità e gli organismi che svolgono un servizio di pubblico interesse. Ciò significa che non solo tutte le autorità pubbliche, come Comuni, istituzioni museali pubbliche, province, regioni, aziende sanitarie locali e non, sono obbligate a designare un responsabile della protezione dei dati, ma anche tutte le aziende, seppur private, che svolgono un servizio di pubblico interesse. Tra queste posso elencare senza alcun dubbio le società per la gestione delle autostrade, le società di trasporto pubblico, sia su rotaia, sia su gomma, gli enti erogatori e distributori di energia elettrica e servizi telefonici, i servizi radiotelevisivi, i gestori di rete di distribuzione di acqua, le aziende che raccolgono ed trattano rifiuti urbani, gli ordini professionali, i gestori di case popolari, nonché numerosissime altre attività, tra le quali indubbiamente vanno anche inseriti gli istituti di vigilanza privata, che addirittura l’articolo 29 Working party ha esplicitamente menzionato. Come si vede, l’ambito di applicazione è assai allargato e ricordo ancora una volta che il responsabile della protezione dei dati deve essere pienamente operativo ed aver svolto già le sue preziose attività di supporto al titolare al responsabile del trattamento, prima della data ultima del 24 maggio 2018. Un ulteriore raccomandazione riguarda il fatto che, una volta che sia stato designato un responsabile della protezione dei dati, è bene che esso si occupi di tutte le attività di trattamento sviluppate dal titolare, anche se esse potrebbero non rientrare, a rigore, nelle attività critiche. Ad esempio, non mi sembra logico che un responsabile della protezione dei dati si debba occupare solo degli applicativi che trattano le bollette da emettere ai clienti e non anche degli applicativi che trattano i dati personali dei dipendenti.
  • 12. Se poi qualche titolare del trattamento, che rientra nelle categorie sopra illustrate, ritiene che la peculiare attività che egli svolge non rientri tra le indicazioni del regolamento, offro un tanto caldo, quanto disinteressato consiglio: ove il titolare del trattamento ritenga di non rientrare fra le categorie previste dall’articolo 27 del regolamento generale europeo sulla protezione dei dati, è bene che sviluppi un documento molto articolato, e supportato da valide considerazioni di natura tecnica e legale, ove saranno ben illustrate tutte le ragioni che lo hanno portato ad assumere la decisione di non aver bisogno di un responsabile della protezione dei dati. Raccomando di compilare con molta attenzione questo documento, perché un domani esso potrebbe essere richiesto in esame da parte dell’autorità garante nazionale, che vorrà sapere come mai il titolare del trattamento non aveva ancora designato un responsabile della protezione dei dati. Se il documento non sarà sufficientemente convincente, scatteranno sanzioni non certo leggere! Adalberto Biasiotti Fonte: puntosicuro.it