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Indice

Lingue di fuoco
Noci e nocciole
Gli istrici
Un’insalata di fiori
Le lucciole
Il nido di gazza

2
Lingue di fuoco
“Sembrano lingue di fuoco” pensò Celeste guardando
le foglie del piccolo caco che si infiammavano al sole
autunnale del tardo mattino.
L’aria calda prolungava l’estate ma la caligine che appannava le colline denunciava chiaramente la stagione.
Col suo vecchio cesto di vimini la bimba si avviò verso
la pianta.
Voleva cogliere qualche caco prima che i passeri, ghiotti, se li beccassero tutti; non che a Celeste dispiacesse
ma nel raccogliere i frutti autunnali le sembrava di essere un animaletto del bosco e quella finzione le piaceva.
Luna, il pastore maremmano che era la sua ombra, la
sentì e la seguì scodinzolando. I tondi frutti aranciati,
attaccati saldamente ai piccioli, spiccavano in mezzo al

3
fogliame rossiccio. I primi rami, che si protendevano a
ombrello, le permisero di arrivare ai frutti più bassi.

4
Erano lisci, tiepidi al tatto e ancora sodi. Non si facevano staccare facilmente ma Celeste era determinata a
non rientrare col cesto vuoto.
Ogni volta che riusciva a staccarne uno lo posava con
cura nel cesto e Luna annusava curiosa, ma non sembrava interessata a mangiarselo.
Il piccolo “crac” che il frutto faceva staccandosi, era seguito da un tenue odore amarognolo che emanava dal
picciolo.
“Anche le piante hanno il loro aroma”, pensò la bimba
“non solo i fiori! Non ci avevo mai fatto caso prima!”
Le pareva, ora, di conoscere meglio la pianta e per suggellare questa scoperta pensò di ricambiare: abbracciò il
tronco e stette così per un po’ perché la pianta potesse
sentire il suo di odore e la riconoscesse tra le altre bambine. E stando così abbracciata le sembrò, per un attimo, di essere parte della pianta, di essere una cosa sola
con essa.
Si riscosse quando Luna, gelosa, richiese la sua atten5
zione dandole piccole spinte col muso. Allora raccolse
il cesto e, contenta come non era mai stata prima, rientrò in casa.

6
Noci e nocciole
“E’ ora di iniziare a fare provviste” pensò Celeste, quella mattina d’inizio autunno, quando vide le prime nocciole e le prime noci sparse lungo il ciglio dello stradone.
Prese il cesto di vimini e si avviò al cancello che divideva il giardino dalla strada.
Luna, che sonnecchiava sdraiata sul prato, la vide e,
lemme lemme, la seguì.
“Ti piace ogni tanto uscire eh birba?” le disse la bambina. Il cane, in risposta, si mise a scodinzolare.
Iniziarono con le nocciole: alcune erano bene in vista,
altre bisognava cercarle sotto lo strato d’erba, di foglie
ingiallite e di rametti.

7
Ma era un lavoro gradevole; anche Luna aiutava, raspando. Quando scopriva le nocciole si fermava e Celeste le raccoglieva e le metteva nel cesto.

8
A volte trovavano gusci rotti senza più nocciola.
“Guarda, qualcuno ha fatto un buon pranzo!” diceva
Celeste a Luna. “Saranno stati gli scoiattoli o i topolini?” Celeste sapeva che c’erano gli scoiattoli; sua madre, una sera, ne aveva visto uno salire in fretta lungo
una scarpata e poi scomparire. Le piaceva pensare che
non solo i topini ma anche gli scoiattoli mangiassero le
sue noci e le sarebbe piaciuto vederne uno.
Alcune nocciole, poi, erano ancora attaccate ai rami col
cappellino arricciato e il guscio pareva il viso di una
piccola bambola. “Sono buffe”, pensava la bimba, “ma
anche gustose.” Sapeva che il babbo ne era ghiotto e voleva fargli una sorpresa.
Finita la raccolta delle nocciole iniziò quella delle noci.
Stavolta era più facile, ce n’erano tante sparse attorno.
Alcune avevano ancora il mallo verde che tingeva le dita le quali, a forza di raspare, sapevano di marcio e di
terra. Riempito il cesto Celeste si sentì soddisfatta.

9
Quel giorno aveva fatto un buon lavoro ed era contenta
di essere stata, per un po’, come un abitante del bosco
che faceva provviste per l’inverno.

10
Gli istrici
Era una tiepida serata primaverile. Celeste era in giardino e osservava Luna che uggiolava e scodinzolava
accanto al cancello. “Vuole uscire,” pensò la bimba
“eppure ha già fatto la sua passeggiata.” Quel comportamento era insolito. Celeste decise di darle retta: le mise il guinzaglio e uscirono mentre il cielo iniziava ad
imbrunire prendendo pian piano il colore della sera.
Lo stradone era silenzioso: gli uccelli, chiassosi e petulanti di giorno, si erano rannicchiati tra le siepi e riposavano. Si sentivano soltanto i passi felpati della bambina e del cane che procedevano lentamente. Luna, infatti, si fermava di frequente ad annusare lungo la riva
del fosso da un lato e lungo il bordo del campo
dall’altro. “Chissà cosa sente!”

11
12
pensava la bimba “Chissà gli odori che sensazioni le
portano!”
Lei intanto si guardava attorno: le siepi di rovo e di rosa canina, che di giorno conosceva così bene, ora le
sembravano misteriose e aveva la sensazione che qualcuno le abitasse. La campagna, in quel momento della
giornata, era una presenza viva e Celeste si sentiva
immersa in una magia. Le piaceva credere che le siepi e
i fossi, di notte, fossero le case di altri abitanti della natura: delle fate, dei folletti, degli gnomi, come a volte
leggeva nei racconti, la sera, prima di addormentarsi.
Ad un tratto, arrivati al punto in cui la strada curvava
un po’ e si avvallava lievemente, Luna si fermò e rimase immobile fiutando, col muso leggermente proteso.
Celeste le si fermò accanto. Ed ecco spuntare, dal campo di ulivi, due istrici. Procedevano cauti, uno dietro
l’altro, il corpo robusto e la grande cresta di aculei distesa sulla schiena come una corona.

13
Celeste rimase paralizzata dalla sorpresa: un oh di meraviglia le salì in gola ma non le uscì alcun suono.
L’istrice davanti procedeva solenne lungo lo stradone
verso di loro e la bimba poté osservarlo: aveva un musetto sporgente con occhi tondi e scuri; sulla testa e sul
collo partivano ciuffi ruvidi di peli chiari e aculei appuntiti che sembravano una criniera. Poi l’animale
svoltò verso il fosso superò la riva e scomparve seguito
dal compagno.
Lo stradone era di nuovo vuoto. “E’ successo davvero o
l’ho sognato?” pensò Celeste. Ma Luna, che ora si era
riscossa e pestava e raspava impaziente nel luogo in cui
i due animali si erano eclissati, le fece capire che
l’incontro era stato reale. “Su vieni, non vorrai spaventarli, adesso! Lì sotto avranno la tana e forse anche i
piccoli! Ecco perché questa sera eri così eccitata, sapevi
che sarebbe successo qualcosa di magico e volevi che io
lo vedessi.”

14
Allora la bimba si accovacciò e abbracciò stretto stretto
il cane.

15
Un’insalata di fiori
Quel giorno Celeste non stava più in sé dall’eccitazione:
nel pomeriggio sarebbe arrivata la zia.
La bimba non la vedeva da un po’ e non le sembrava
vero poterla riabbracciare. Le voleva molto bene perché
la zia era piena di inventiva e i momenti passati con lei
si trasformavano sempre in autentiche scoperte. Inoltre,
tutte le volte che arrivava, le portava un mazzolino di
fiori e questo la faceva sentire speciale. Quel giorno la
bimba preparò un mazzetto di margherite per la zia.
Celeste si mise ad aspettarla fin dal primo pomeriggio,
impaziente; ma, come al solito, la zia tardò e quando finalmente Luna annunciò il suo arrivo abbaiando, era
ormai pomeriggio avanzato.

16
17
“Come sta la mia nipotina?” chiese appena scesa dalla
macchina. “Vedo che è un po’ imbronciata” continuò.
“Lo so, non dire niente, ho tardato, ma per farmi perdonare mi fermerò qualche giorno e faremo molte cose
insieme.” E, mentre si scusava, le porse un mazzo di
fiori comprato apposta per lei. Anche Celeste l’abbracciò e le porse il mazzetto di margherite.
“Sono arrivata giusto in tempo per preparare la cena”
continuò la zia che era una cuoca provetta, “e tu sarai la
mia aiutante. Stasera prepareremo solo cibi campagnoli, sentirai che gusti!”
Dopo che la zia si fu riposata un po’ disse a Celeste:
“Ora andremo a vedere cosa ci regala l’orto, poi ci dirigeremo lungo la strada, ho già visto qualche erbetta interessante.” Presi cesto e coltellini zia e nipote si avviarono.
Era una bella giornata di primavera e l’orto era ancora
inondato di luce.

18
Trovarono lattuga, porcellana, ruchetta e cicoria selvatica. La zia, mentre raccoglievano, insegnò a Celeste
come riconoscerle.
Si portarono poi lungo la strada. Avvinte ai rami di rovo e biancospino c’erano tanti viticci di vitalba.
“Vedi questa pianta rampicante?” disse la zia alla bimba “I germogli che si trovano in cima ad ogni rametto
sono ottimi per fare la frittata, ne raccoglieremo un
po’”. E così Celeste si mise ad aiutare la zia, cogliendo
quelli che stavano più in basso.
“Venendo ho visto i fiori di borragine,” aggiunse la zia
“quelli, insieme alle margherite, li useremo per guarnire l’insalata.”
“I fiori nell’insalata?” chiese sbigottita la bimba” “Sì,”
la rassicurò la zia, “vedrai che colori e che sapori! Fidati.” E Celeste si fidò, sapeva che la zia in cucina era imbattibile.
“Per ultimo raccoglieremo le cime di senape;” disse la
zia “questa pianta la conosci perché fa tutti quei fiori
19
gialli che in estate adornano i bordi delle strade di
campagna. Le useremo per un sugo veloce.” E così Celeste imparò a riconoscere anche la senape.
Finita la raccolta il cesto traboccava di erbe e di odori.
Arrivate in giardino Celeste ebbe l’incarico di raccogliere delle margherite.
In cucina separarono le erbe, le lavarono poi la zia prese le cime di senape e le fece saltare in padella; lo stesso
fece con le cime di vitalba e mise sul fuoco l’acqua per
la pasta. Intanto Celeste sbatteva le uova per preparare
la frittata. Mentre la pasta cuoceva, le due pensarono
all’insalata. Era davvero tanta: un miscuglio di erbe, di
odori, di sapori. “Le mie insalate, però, hanno sempre
un tocco speciale” disse la zia.

20
21
“Ora tu la guarnirai con il giallo e il bianco delle margherite e l’azzurro delle stelline di borragine.”
Alla fine, dopo quel tocco di colori, l’insalata aveva
davvero una aspetto particolare, invitante e fresco.
Quando anche la pasta fu pronta, la zia la condì con le
cime di senape.
Celeste chiamò la famiglia a tavola e fu molto orgogliosa di aver collaborato a quella cena improvvisata, fatta
solo coi prodotti che offriva la terra.
La zia non l’aveva delusa.

22
Le lucciole
Era arrivato giugno.
Le giornate si erano allungate e verso le colline, al tramonto, il cielo assumeva sfumature violacee che lentamente sbiadivano per far posto all’imbrunire.
Quella sera la mamma disse a Celeste: “Dopo cena,
quando sarà calato il buio, faremo una passeggiata verso i campi, ci aspetta una sorpresa.”
Quando la mamma parlava di sorprese, era inutile
chiedere, perciò Celeste, per ingannare l’attesa, andò in
giardino a tormentare Luna.
Infine il momento arrivò: il babbo e la mamma uscirono
e tutti e quattro si incamminarono verso lo stradone.
Lungo il primo tratto, le fronde alte delle siepi formavano un tunnel fitto che non lasciava filtrare neanche
un po’ di chiarore.

23
24
Procedevano in silenzio per captare i rumori e i richiami della notte.
Luna li precedeva, camminando pigra.
Subito dopo il tunnel, su un lato, la siepe si apriva su
una distesa di grano.
L’oro delle spighe, che di giorno trasformava il campo
in un mare dorato, spariva inghiottito dal buio. Quella
sera Celeste, però, vide una miriade di piccoli lumi, simili a minuscole stelle, che si accendevano e spegnevano illuminando lo spazio intorno. Conosceva le lucciole, ogni tanto qualcuna riluceva nel prato di casa, ma
mai ne aveva viste così tante da rischiarare la notte.
“E’ magnifico!” disse la bambina “Il cielo si è capovolto
e ha mandato giù le sue stelline.”
Intanto Luna, eccitata, cercava di acchiapparne qualcuna facendo piccoli balzi.
“Quando ero piccola” si mise a raccontare la mamma
“noi bambine andavamo per le strade di campagna per
cercare di catturarle.
25
Recitavamo una filastrocca che doveva aiutarci ad acchiapparle, come per magia.
Diceva così:
Lucciola lucciola vien da me,
ti darò il pan del re,
il pan del re e della regina,
lucciola lucciola cappuccina.
Naturalmente loro non si facevano catturare ma a noi
piaceva tanto inseguirle.”
Allora Celeste e la mamma provarono insieme a chiamare le lucciole ma anche quella sera non ne vollero
sapere di farsi prendere.
Poi, su uno stelo d’erba, lungo il bordo del campo, il
babbo indicò a Celeste un lumino: era una lucciola che
si era posata. Celeste la osservò da vicino: aveva le ali
aperte e lasciava vedere l’addome molle che si accendeva e si spegneva.

26
“Adesso ho capito da dove viene la luce” disse la bambina; poi il babbo scosse lo stelo e la lucciola riprese il
volo.
E, mentre le lucciole facevano compagnia al grano, la
famiglia stette ancora un po’ a guardare poi lentamente
si avviò verso casa.
Quando fu nella sua cameretta, mentre i genitori le auguravano la buonanotte, Celeste disse. “E’ stata davvero una bella sorpresa. Adesso so cosa fare quando di
notte mi sveglio ed è buio: penserò alle lucciole così
non avrò paura.”
E con le lucciole che le danzavano davanti agli occhi si
addormentò.

27
Il nido di gazza
Ogni tanto Celeste le vedeva alzarsi in volo dagli alberi
alti della siepe, compiere brevi giri con un battito lento
di ali, e poi posarsi sui campi a volo radente.
A volte, dal fosso più in basso, le giungevano i loro richiami striduli.
Per Celeste le gazze erano ormai una presenza consueta
attorno alla casa e osservarle la riempiva di piacere.
Un giorno il babbo le mostrò dove avevano i nidi.
Su due alte acacie, tra il fogliame, si intravedeva un
groviglio di rami a forma quasi di palla.
“E’ lassù che crescono i piccoli” le disse il babbo.
“Chissà come si sentiranno così in alto!” osservò Celeste “E’ come se dormissero in una culla sospesa dentro
una nuvola verde!”

28
29
“Hai proprio ragione,” le rispose il babbo “ deve essere
una bella sensazione.”
Verso la fine dell’estate, tirò un vento forte che scuoteva gli alberi e i sibili, tra le fronde, sembravano cupi latrati.
Il mattino seguente il babbo uscì presto con Luna per
controllare la strada: poteva essersi spezzato un grosso
ramo che ostruiva il passaggio, oppure il fogliame caduto poteva aver chiuso i fossi.
Celeste li vide tornare: Luna davanti che scodinzolava,
il babbo dietro con la carriola e gli attrezzi. Sulla carriola, però, c’era qualcosa di strano.
“Guarda cosa ti ho portato!” le disse il babbo “
E’ uno dei nidi di gazza che ti ho mostrato qualche
tempo fa, ricordi? Deve essere caduto a causa del vento
di stanotte.”
Celeste, eccitata, lo prese: era grande e dovette reggerlo
tra le braccia.
“Sembra una piccola barca!” disse la bimba.
30
31
In un angolo del giardino si sedette e lo osservò.
Era un groviglio di rametti intrecciati in cerchi sempre
più ampi e sembrava proprio una culla capiente.
“Se lo rovescio può sembrare anche un buffo cappello”
pensò la bimba.
Dentro, un po’ di muschio e qualche filo d’erba formavano un cuscino assai morbido che attutiva il duro del
legno.
Il nido emanava un odore secco di terra e di fieno.
“Chissà quanti piccoli ha visto nascere questo nido!”
pensò la bimba “Lo porterò in camera e lo userò per tenere la mia raccolta di sassi.”
Così la stanza di Celeste si riempì di un’altra delle sue
cose preziose.
Ogni sera, prima di coricarsi, la bimba dava uno sguardo al nido poi, a letto, immaginava di essere un piccolo
di gazza che dormiva in una culla sospesa dentro una
nuvola verde, e si addormentava.

32
Altri libri pubblicati da Catia Belacchi
e disponibili presso l’Eremo dal silenzio, San Costanzo
La meditazione nel percorso educativo
Edizioni Psiconline
Dove risiede il mio essere
Edizione privata, Eremo dal silenzio
Lisa e nonna Mena
Edizioni Estroverso
Biò e Favorì
di prossima pubblicazione

33

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Le scoperte di Celeste, di Catia Belacchi

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  • 2. Indice Lingue di fuoco Noci e nocciole Gli istrici Un’insalata di fiori Le lucciole Il nido di gazza 2
  • 3. Lingue di fuoco “Sembrano lingue di fuoco” pensò Celeste guardando le foglie del piccolo caco che si infiammavano al sole autunnale del tardo mattino. L’aria calda prolungava l’estate ma la caligine che appannava le colline denunciava chiaramente la stagione. Col suo vecchio cesto di vimini la bimba si avviò verso la pianta. Voleva cogliere qualche caco prima che i passeri, ghiotti, se li beccassero tutti; non che a Celeste dispiacesse ma nel raccogliere i frutti autunnali le sembrava di essere un animaletto del bosco e quella finzione le piaceva. Luna, il pastore maremmano che era la sua ombra, la sentì e la seguì scodinzolando. I tondi frutti aranciati, attaccati saldamente ai piccioli, spiccavano in mezzo al 3
  • 4. fogliame rossiccio. I primi rami, che si protendevano a ombrello, le permisero di arrivare ai frutti più bassi. 4
  • 5. Erano lisci, tiepidi al tatto e ancora sodi. Non si facevano staccare facilmente ma Celeste era determinata a non rientrare col cesto vuoto. Ogni volta che riusciva a staccarne uno lo posava con cura nel cesto e Luna annusava curiosa, ma non sembrava interessata a mangiarselo. Il piccolo “crac” che il frutto faceva staccandosi, era seguito da un tenue odore amarognolo che emanava dal picciolo. “Anche le piante hanno il loro aroma”, pensò la bimba “non solo i fiori! Non ci avevo mai fatto caso prima!” Le pareva, ora, di conoscere meglio la pianta e per suggellare questa scoperta pensò di ricambiare: abbracciò il tronco e stette così per un po’ perché la pianta potesse sentire il suo di odore e la riconoscesse tra le altre bambine. E stando così abbracciata le sembrò, per un attimo, di essere parte della pianta, di essere una cosa sola con essa. Si riscosse quando Luna, gelosa, richiese la sua atten5
  • 6. zione dandole piccole spinte col muso. Allora raccolse il cesto e, contenta come non era mai stata prima, rientrò in casa. 6
  • 7. Noci e nocciole “E’ ora di iniziare a fare provviste” pensò Celeste, quella mattina d’inizio autunno, quando vide le prime nocciole e le prime noci sparse lungo il ciglio dello stradone. Prese il cesto di vimini e si avviò al cancello che divideva il giardino dalla strada. Luna, che sonnecchiava sdraiata sul prato, la vide e, lemme lemme, la seguì. “Ti piace ogni tanto uscire eh birba?” le disse la bambina. Il cane, in risposta, si mise a scodinzolare. Iniziarono con le nocciole: alcune erano bene in vista, altre bisognava cercarle sotto lo strato d’erba, di foglie ingiallite e di rametti. 7
  • 8. Ma era un lavoro gradevole; anche Luna aiutava, raspando. Quando scopriva le nocciole si fermava e Celeste le raccoglieva e le metteva nel cesto. 8
  • 9. A volte trovavano gusci rotti senza più nocciola. “Guarda, qualcuno ha fatto un buon pranzo!” diceva Celeste a Luna. “Saranno stati gli scoiattoli o i topolini?” Celeste sapeva che c’erano gli scoiattoli; sua madre, una sera, ne aveva visto uno salire in fretta lungo una scarpata e poi scomparire. Le piaceva pensare che non solo i topini ma anche gli scoiattoli mangiassero le sue noci e le sarebbe piaciuto vederne uno. Alcune nocciole, poi, erano ancora attaccate ai rami col cappellino arricciato e il guscio pareva il viso di una piccola bambola. “Sono buffe”, pensava la bimba, “ma anche gustose.” Sapeva che il babbo ne era ghiotto e voleva fargli una sorpresa. Finita la raccolta delle nocciole iniziò quella delle noci. Stavolta era più facile, ce n’erano tante sparse attorno. Alcune avevano ancora il mallo verde che tingeva le dita le quali, a forza di raspare, sapevano di marcio e di terra. Riempito il cesto Celeste si sentì soddisfatta. 9
  • 10. Quel giorno aveva fatto un buon lavoro ed era contenta di essere stata, per un po’, come un abitante del bosco che faceva provviste per l’inverno. 10
  • 11. Gli istrici Era una tiepida serata primaverile. Celeste era in giardino e osservava Luna che uggiolava e scodinzolava accanto al cancello. “Vuole uscire,” pensò la bimba “eppure ha già fatto la sua passeggiata.” Quel comportamento era insolito. Celeste decise di darle retta: le mise il guinzaglio e uscirono mentre il cielo iniziava ad imbrunire prendendo pian piano il colore della sera. Lo stradone era silenzioso: gli uccelli, chiassosi e petulanti di giorno, si erano rannicchiati tra le siepi e riposavano. Si sentivano soltanto i passi felpati della bambina e del cane che procedevano lentamente. Luna, infatti, si fermava di frequente ad annusare lungo la riva del fosso da un lato e lungo il bordo del campo dall’altro. “Chissà cosa sente!” 11
  • 12. 12
  • 13. pensava la bimba “Chissà gli odori che sensazioni le portano!” Lei intanto si guardava attorno: le siepi di rovo e di rosa canina, che di giorno conosceva così bene, ora le sembravano misteriose e aveva la sensazione che qualcuno le abitasse. La campagna, in quel momento della giornata, era una presenza viva e Celeste si sentiva immersa in una magia. Le piaceva credere che le siepi e i fossi, di notte, fossero le case di altri abitanti della natura: delle fate, dei folletti, degli gnomi, come a volte leggeva nei racconti, la sera, prima di addormentarsi. Ad un tratto, arrivati al punto in cui la strada curvava un po’ e si avvallava lievemente, Luna si fermò e rimase immobile fiutando, col muso leggermente proteso. Celeste le si fermò accanto. Ed ecco spuntare, dal campo di ulivi, due istrici. Procedevano cauti, uno dietro l’altro, il corpo robusto e la grande cresta di aculei distesa sulla schiena come una corona. 13
  • 14. Celeste rimase paralizzata dalla sorpresa: un oh di meraviglia le salì in gola ma non le uscì alcun suono. L’istrice davanti procedeva solenne lungo lo stradone verso di loro e la bimba poté osservarlo: aveva un musetto sporgente con occhi tondi e scuri; sulla testa e sul collo partivano ciuffi ruvidi di peli chiari e aculei appuntiti che sembravano una criniera. Poi l’animale svoltò verso il fosso superò la riva e scomparve seguito dal compagno. Lo stradone era di nuovo vuoto. “E’ successo davvero o l’ho sognato?” pensò Celeste. Ma Luna, che ora si era riscossa e pestava e raspava impaziente nel luogo in cui i due animali si erano eclissati, le fece capire che l’incontro era stato reale. “Su vieni, non vorrai spaventarli, adesso! Lì sotto avranno la tana e forse anche i piccoli! Ecco perché questa sera eri così eccitata, sapevi che sarebbe successo qualcosa di magico e volevi che io lo vedessi.” 14
  • 15. Allora la bimba si accovacciò e abbracciò stretto stretto il cane. 15
  • 16. Un’insalata di fiori Quel giorno Celeste non stava più in sé dall’eccitazione: nel pomeriggio sarebbe arrivata la zia. La bimba non la vedeva da un po’ e non le sembrava vero poterla riabbracciare. Le voleva molto bene perché la zia era piena di inventiva e i momenti passati con lei si trasformavano sempre in autentiche scoperte. Inoltre, tutte le volte che arrivava, le portava un mazzolino di fiori e questo la faceva sentire speciale. Quel giorno la bimba preparò un mazzetto di margherite per la zia. Celeste si mise ad aspettarla fin dal primo pomeriggio, impaziente; ma, come al solito, la zia tardò e quando finalmente Luna annunciò il suo arrivo abbaiando, era ormai pomeriggio avanzato. 16
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  • 18. “Come sta la mia nipotina?” chiese appena scesa dalla macchina. “Vedo che è un po’ imbronciata” continuò. “Lo so, non dire niente, ho tardato, ma per farmi perdonare mi fermerò qualche giorno e faremo molte cose insieme.” E, mentre si scusava, le porse un mazzo di fiori comprato apposta per lei. Anche Celeste l’abbracciò e le porse il mazzetto di margherite. “Sono arrivata giusto in tempo per preparare la cena” continuò la zia che era una cuoca provetta, “e tu sarai la mia aiutante. Stasera prepareremo solo cibi campagnoli, sentirai che gusti!” Dopo che la zia si fu riposata un po’ disse a Celeste: “Ora andremo a vedere cosa ci regala l’orto, poi ci dirigeremo lungo la strada, ho già visto qualche erbetta interessante.” Presi cesto e coltellini zia e nipote si avviarono. Era una bella giornata di primavera e l’orto era ancora inondato di luce. 18
  • 19. Trovarono lattuga, porcellana, ruchetta e cicoria selvatica. La zia, mentre raccoglievano, insegnò a Celeste come riconoscerle. Si portarono poi lungo la strada. Avvinte ai rami di rovo e biancospino c’erano tanti viticci di vitalba. “Vedi questa pianta rampicante?” disse la zia alla bimba “I germogli che si trovano in cima ad ogni rametto sono ottimi per fare la frittata, ne raccoglieremo un po’”. E così Celeste si mise ad aiutare la zia, cogliendo quelli che stavano più in basso. “Venendo ho visto i fiori di borragine,” aggiunse la zia “quelli, insieme alle margherite, li useremo per guarnire l’insalata.” “I fiori nell’insalata?” chiese sbigottita la bimba” “Sì,” la rassicurò la zia, “vedrai che colori e che sapori! Fidati.” E Celeste si fidò, sapeva che la zia in cucina era imbattibile. “Per ultimo raccoglieremo le cime di senape;” disse la zia “questa pianta la conosci perché fa tutti quei fiori 19
  • 20. gialli che in estate adornano i bordi delle strade di campagna. Le useremo per un sugo veloce.” E così Celeste imparò a riconoscere anche la senape. Finita la raccolta il cesto traboccava di erbe e di odori. Arrivate in giardino Celeste ebbe l’incarico di raccogliere delle margherite. In cucina separarono le erbe, le lavarono poi la zia prese le cime di senape e le fece saltare in padella; lo stesso fece con le cime di vitalba e mise sul fuoco l’acqua per la pasta. Intanto Celeste sbatteva le uova per preparare la frittata. Mentre la pasta cuoceva, le due pensarono all’insalata. Era davvero tanta: un miscuglio di erbe, di odori, di sapori. “Le mie insalate, però, hanno sempre un tocco speciale” disse la zia. 20
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  • 22. “Ora tu la guarnirai con il giallo e il bianco delle margherite e l’azzurro delle stelline di borragine.” Alla fine, dopo quel tocco di colori, l’insalata aveva davvero una aspetto particolare, invitante e fresco. Quando anche la pasta fu pronta, la zia la condì con le cime di senape. Celeste chiamò la famiglia a tavola e fu molto orgogliosa di aver collaborato a quella cena improvvisata, fatta solo coi prodotti che offriva la terra. La zia non l’aveva delusa. 22
  • 23. Le lucciole Era arrivato giugno. Le giornate si erano allungate e verso le colline, al tramonto, il cielo assumeva sfumature violacee che lentamente sbiadivano per far posto all’imbrunire. Quella sera la mamma disse a Celeste: “Dopo cena, quando sarà calato il buio, faremo una passeggiata verso i campi, ci aspetta una sorpresa.” Quando la mamma parlava di sorprese, era inutile chiedere, perciò Celeste, per ingannare l’attesa, andò in giardino a tormentare Luna. Infine il momento arrivò: il babbo e la mamma uscirono e tutti e quattro si incamminarono verso lo stradone. Lungo il primo tratto, le fronde alte delle siepi formavano un tunnel fitto che non lasciava filtrare neanche un po’ di chiarore. 23
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  • 25. Procedevano in silenzio per captare i rumori e i richiami della notte. Luna li precedeva, camminando pigra. Subito dopo il tunnel, su un lato, la siepe si apriva su una distesa di grano. L’oro delle spighe, che di giorno trasformava il campo in un mare dorato, spariva inghiottito dal buio. Quella sera Celeste, però, vide una miriade di piccoli lumi, simili a minuscole stelle, che si accendevano e spegnevano illuminando lo spazio intorno. Conosceva le lucciole, ogni tanto qualcuna riluceva nel prato di casa, ma mai ne aveva viste così tante da rischiarare la notte. “E’ magnifico!” disse la bambina “Il cielo si è capovolto e ha mandato giù le sue stelline.” Intanto Luna, eccitata, cercava di acchiapparne qualcuna facendo piccoli balzi. “Quando ero piccola” si mise a raccontare la mamma “noi bambine andavamo per le strade di campagna per cercare di catturarle. 25
  • 26. Recitavamo una filastrocca che doveva aiutarci ad acchiapparle, come per magia. Diceva così: Lucciola lucciola vien da me, ti darò il pan del re, il pan del re e della regina, lucciola lucciola cappuccina. Naturalmente loro non si facevano catturare ma a noi piaceva tanto inseguirle.” Allora Celeste e la mamma provarono insieme a chiamare le lucciole ma anche quella sera non ne vollero sapere di farsi prendere. Poi, su uno stelo d’erba, lungo il bordo del campo, il babbo indicò a Celeste un lumino: era una lucciola che si era posata. Celeste la osservò da vicino: aveva le ali aperte e lasciava vedere l’addome molle che si accendeva e si spegneva. 26
  • 27. “Adesso ho capito da dove viene la luce” disse la bambina; poi il babbo scosse lo stelo e la lucciola riprese il volo. E, mentre le lucciole facevano compagnia al grano, la famiglia stette ancora un po’ a guardare poi lentamente si avviò verso casa. Quando fu nella sua cameretta, mentre i genitori le auguravano la buonanotte, Celeste disse. “E’ stata davvero una bella sorpresa. Adesso so cosa fare quando di notte mi sveglio ed è buio: penserò alle lucciole così non avrò paura.” E con le lucciole che le danzavano davanti agli occhi si addormentò. 27
  • 28. Il nido di gazza Ogni tanto Celeste le vedeva alzarsi in volo dagli alberi alti della siepe, compiere brevi giri con un battito lento di ali, e poi posarsi sui campi a volo radente. A volte, dal fosso più in basso, le giungevano i loro richiami striduli. Per Celeste le gazze erano ormai una presenza consueta attorno alla casa e osservarle la riempiva di piacere. Un giorno il babbo le mostrò dove avevano i nidi. Su due alte acacie, tra il fogliame, si intravedeva un groviglio di rami a forma quasi di palla. “E’ lassù che crescono i piccoli” le disse il babbo. “Chissà come si sentiranno così in alto!” osservò Celeste “E’ come se dormissero in una culla sospesa dentro una nuvola verde!” 28
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  • 30. “Hai proprio ragione,” le rispose il babbo “ deve essere una bella sensazione.” Verso la fine dell’estate, tirò un vento forte che scuoteva gli alberi e i sibili, tra le fronde, sembravano cupi latrati. Il mattino seguente il babbo uscì presto con Luna per controllare la strada: poteva essersi spezzato un grosso ramo che ostruiva il passaggio, oppure il fogliame caduto poteva aver chiuso i fossi. Celeste li vide tornare: Luna davanti che scodinzolava, il babbo dietro con la carriola e gli attrezzi. Sulla carriola, però, c’era qualcosa di strano. “Guarda cosa ti ho portato!” le disse il babbo “ E’ uno dei nidi di gazza che ti ho mostrato qualche tempo fa, ricordi? Deve essere caduto a causa del vento di stanotte.” Celeste, eccitata, lo prese: era grande e dovette reggerlo tra le braccia. “Sembra una piccola barca!” disse la bimba. 30
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  • 32. In un angolo del giardino si sedette e lo osservò. Era un groviglio di rametti intrecciati in cerchi sempre più ampi e sembrava proprio una culla capiente. “Se lo rovescio può sembrare anche un buffo cappello” pensò la bimba. Dentro, un po’ di muschio e qualche filo d’erba formavano un cuscino assai morbido che attutiva il duro del legno. Il nido emanava un odore secco di terra e di fieno. “Chissà quanti piccoli ha visto nascere questo nido!” pensò la bimba “Lo porterò in camera e lo userò per tenere la mia raccolta di sassi.” Così la stanza di Celeste si riempì di un’altra delle sue cose preziose. Ogni sera, prima di coricarsi, la bimba dava uno sguardo al nido poi, a letto, immaginava di essere un piccolo di gazza che dormiva in una culla sospesa dentro una nuvola verde, e si addormentava. 32
  • 33. Altri libri pubblicati da Catia Belacchi e disponibili presso l’Eremo dal silenzio, San Costanzo La meditazione nel percorso educativo Edizioni Psiconline Dove risiede il mio essere Edizione privata, Eremo dal silenzio Lisa e nonna Mena Edizioni Estroverso Biò e Favorì di prossima pubblicazione 33