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Una proposta “Per una convivenza possibile”
Costruire un laboratorio pubblico per la convivenza urbana
Napoli, Intra Moenia, 12 gennaio 2015 ore 17,00
Le recenti tensioni tra rom e italiani scoppiate in alcuni quartieri di Napoli non possono essere
interpretate con la sola categoria del razzismo, che certo c'entra, ma non ci sembra esserne la
matrice principale. Ci pare, invece, che dietro alla rabbia vi sia soprattutto la sensazione
dell'abbandono e dell'ingiustizia che certe aree urbane vivono guardando alle scelte e alle assenze
della politica. Sono segnali di un rischio più ampio che riguarda l'insieme della cittadinanza, che va
riconosciuto e ascoltato pena il diffondersi di conflitti ampi e il rafforzamento delle separazioni
violente tra chi si sente incluso e chi viene allontanato ed escluso.
Se si guarda con attenzione alla città appare evidente come la marginalità urbana, e più in generale
il quadro della povertà, non solo riguardi aree sempre più diffuse di popolazione ma sia sempre più
caratterizzato da aree grigie e da “soggettività di passaggio”, dove alle forme tradizionali del
disagio e dei comportamenti a rischio vanno aggiungendosi figure e fenomeni nuovi.
Gli effetti della crisi (per altro una crisi diseguale, che non riguarda tutti, che allarga la forbice tra
ricchi e poveri e che a questi ultimi, lascia anche l'amaro in bocca di chi si sente tradito) sommati al
sistematico e inaccettabile ridimensionamento degli investimenti pubblici sul welfare, hanno
determinato, soprattutto nelle aree geografiche e sociali più fragili, due effetti negativi che si
sommano tra di loro. Da una parte le situazioni di povertà e marginalità si sono incancrenite,
comunicando, a chi le vive, la sensazione di essere “definitive” (quando si perde la speranza nel
futuro si diventa cattivi).
D'altra parte fasce sempre più vaste di persone, pur non vivendo particolari difficoltà, non riescono
ad arginare e reggere le spinte verso il basso (solo per fare alcuni esempi: gli anziani soli poveri che
con la loro pensione non riescono più a mantenere se stessi e la famiglia; i padri separati, anche con
reddito, che non reggono alle spese e finiscono in strada; i maschi adulti, a bassa scolarità, ultra-
quarantenni espulsi da un mercato del lavoro che non prevedeva, spesso perché sommerso, alcuna
forma di tutela o di ammortizzazione sociale; le famiglie monoreddito numerose in cui nemmeno il
“familismo coatto” basta più a sopravvivere; i tanti migranti che hanno visto fallire il loro progetto
migratorio e che vivono la strada, o comunque situazioni di auto-ghettizzazione nella precarietà; le
giovani donne, a volte madri giovanissime, prive di titolo di studio e prive di reti familiari di
sostegno; i lavoratori e le lavoratrici dai redditi medio bassi, colpiti da improvvise emergenze
economiche o traumi familiari) che in assenza di diffuse protezioni sociali e in un sistema di
welfare debole e privo di misure di sostegno al reddito, finiscono all’improvviso in emergenze che
non sanno affrontare.
E' nel sommarsi di tali criticità e assenze che si alimentano e vanno interpretate anche le recenti
tensioni e conflitti sociali che hanno interessato alcune aree della città. I “cittadini”, temendo che il
proprio pur precario benessere possa essere messo a rischio dagli “ultimi” e dalla loro povertà,
reagiscono nel modo più immediato con l'allontanamento. Nell'incontro non mediato tra primi e
ultimi, in un contesto di crisi e vulnerabilità come quello che stiamo vivendo, si determina una
deriva civile e culturale che porta la comunità che si sente inclusa ad assere spinta e orientata ad
assumere atteggiamenti di rancore e non di cura e accoglienza nei confronti degli ultimi o dei
differenti. Schiacciati da tale pressione anche gli stessi ammortizzatori naturali che Napoli ha nella
sua tradizione di accoglienza e di capacità di auto-aiuto fra marginalità, iniziano a dare segnali
preoccupanti di rottura e incapacità di tenuta. E nello scricchiolio di tali frammentazioni inizia ad
emergere con chiarezza quali potrebbero essere i "nemici opportuni" su cui versare rabbia,
frustrazione e senso di abbandono. La giusta esigenza di avere una città vivibile e civile si scontra
con quelle attività poste in essere da chi esercita il proprio diritto alla sopravvivenza.
Di fronte ad una situazione così complessa e articolata, a fortissimo rischio di sfociare in situazioni
di conflitto, ci sembra che non basti più la sola lamentela verso la politica inadempiente. Ci pare
invece urgente che ogni cittadino si assuma la responsabilità di superare l'indifferenza e la
tentazione a considerare il conflitto, come la povertà, come cose altre e distanti da se, in qualche
modo dinamiche inevitabili da mettere in conto e da cui tenersi lontani. Pensiamo che, malgrado le
enormi difficoltà che non vogliamo nascondere, bisogna battere la strada di una “convivenza
possibile”. Gli “inclusi” o i “primi” non possono più pensare che il loro benessere possa essere
garantito dall'allontanamento e dall'esclusione di masse sempre più ampie di persone, così come gli
“esclusi” o gli “ultimi” e chi cerca di stare accanto a loro non possono pensare di tutelare i loro
diritti contrapponendoli a quelli dei “primi”.
Vanno aperti spazi di incontro e mediazione, in grado di attivare risorse e dove ogni attore si senta
riconosciuto nei propri bisogni e nelle proprie aspettative; dove la gratuità dell'aiuto si affianchi alla
richiesta di responsabilizzazione e investimenti di tutti i soggetti i gioco. Si tratta di ricostruire una
comunità in cui ciascuno abbia il proprio spazio e veda tutelati i propri diritti, una comunità nella
quale il rispetto delle regole, senza nessuna esasperazione, diventi terreno favorevole alla coesione
sociale ed alla convivenza civile, una comunità che sarà tanto più forte, quanto più sarà capace di
includere piuttosto che escludere.
Su questo vogliamo impegnarci direttamente per attivare un luogo di riflessione e proposta su tali
temi. Pensiamo a un “laboratorio pubblico per la convivenza urbana” capace di attivare un
confronto largo, non episodico, con tutti gli attori istituzionali e non, formali e informali, che in città
sono attenti e lavorano su tali temi. Uno spazio capace di interessare e coinvolgere, in una
discussione sulla città e sulle sue relazioni, imprenditori, associazioni di categoria, soggetti
informali, sindacati, le forze di pubblica sicurezza, il mondo dell’università, e del lavoro sociale, le
tante forme di protagonismo e auto-organizzazione della cittadinanza.
Un “laboratorio”, che fuori da contrapposizioni ideologiche, proponga idee e suggerisca luoghi
dove l’incontro tra differenze e aspettative si sviluppi non come problema ma come opportunità di
sviluppo per la città
Sentiamo l’urgenza che la città torni ad interrogarsi su se stessa e sul proprio futuro a partire dal
rimettere al centro le sue parti più complicate, a volte, la meno belle da vedere, ma sicuramente
quelle più sofferenti e in conflitto e che per questo non possono essere lasciate sole.
Per iniziare a discutere invitiamo tutti a partecipare alla prima riunione del
“Laboratorio per una convivenza possibile”
12 gennaio 2015 ore 17,00
Napoli, Intra Moenia, Piazza Bellini
Napoli, dicembre 2014/gennaio 2015
Primi firmatari:
Luigi Cagnazzo, Gennaro Carrillo, Dino Falconio, Alfredo Guardiano, Emilio Lupo, Andrea
Morniroli, Aldo Policastro, Jamal Quaddorah, Paolo Valerio, Attilio Wanderlingh
Adesioni:
Alberto Postigliola, Angelo Abignente , Annalaura Alfano, Ass. VIVOANAPOLI, Elena Coccia,
Eleonora Puntillo, Emilia Leonetti, Enrica Morlicchio, Eugenio Mazzarella, Gerardo Toraldo,
Mimma Miele, Giovanni Laino, Giovanni Mantovano, Giulio Cataldi, Luigi Maria Sicca, Marco
Maldonato, Marinella Pomarici, Ottavia Vozza, Pino Ferraro, Salvatore Parisi, Vincenzo Siniscalchi,
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Per una convivenza possibile

  • 1. Una proposta “Per una convivenza possibile” Costruire un laboratorio pubblico per la convivenza urbana Napoli, Intra Moenia, 12 gennaio 2015 ore 17,00 Le recenti tensioni tra rom e italiani scoppiate in alcuni quartieri di Napoli non possono essere interpretate con la sola categoria del razzismo, che certo c'entra, ma non ci sembra esserne la matrice principale. Ci pare, invece, che dietro alla rabbia vi sia soprattutto la sensazione dell'abbandono e dell'ingiustizia che certe aree urbane vivono guardando alle scelte e alle assenze della politica. Sono segnali di un rischio più ampio che riguarda l'insieme della cittadinanza, che va riconosciuto e ascoltato pena il diffondersi di conflitti ampi e il rafforzamento delle separazioni violente tra chi si sente incluso e chi viene allontanato ed escluso. Se si guarda con attenzione alla città appare evidente come la marginalità urbana, e più in generale il quadro della povertà, non solo riguardi aree sempre più diffuse di popolazione ma sia sempre più caratterizzato da aree grigie e da “soggettività di passaggio”, dove alle forme tradizionali del disagio e dei comportamenti a rischio vanno aggiungendosi figure e fenomeni nuovi. Gli effetti della crisi (per altro una crisi diseguale, che non riguarda tutti, che allarga la forbice tra ricchi e poveri e che a questi ultimi, lascia anche l'amaro in bocca di chi si sente tradito) sommati al sistematico e inaccettabile ridimensionamento degli investimenti pubblici sul welfare, hanno determinato, soprattutto nelle aree geografiche e sociali più fragili, due effetti negativi che si sommano tra di loro. Da una parte le situazioni di povertà e marginalità si sono incancrenite, comunicando, a chi le vive, la sensazione di essere “definitive” (quando si perde la speranza nel futuro si diventa cattivi). D'altra parte fasce sempre più vaste di persone, pur non vivendo particolari difficoltà, non riescono ad arginare e reggere le spinte verso il basso (solo per fare alcuni esempi: gli anziani soli poveri che con la loro pensione non riescono più a mantenere se stessi e la famiglia; i padri separati, anche con reddito, che non reggono alle spese e finiscono in strada; i maschi adulti, a bassa scolarità, ultra- quarantenni espulsi da un mercato del lavoro che non prevedeva, spesso perché sommerso, alcuna forma di tutela o di ammortizzazione sociale; le famiglie monoreddito numerose in cui nemmeno il “familismo coatto” basta più a sopravvivere; i tanti migranti che hanno visto fallire il loro progetto migratorio e che vivono la strada, o comunque situazioni di auto-ghettizzazione nella precarietà; le giovani donne, a volte madri giovanissime, prive di titolo di studio e prive di reti familiari di sostegno; i lavoratori e le lavoratrici dai redditi medio bassi, colpiti da improvvise emergenze economiche o traumi familiari) che in assenza di diffuse protezioni sociali e in un sistema di welfare debole e privo di misure di sostegno al reddito, finiscono all’improvviso in emergenze che
  • 2. non sanno affrontare. E' nel sommarsi di tali criticità e assenze che si alimentano e vanno interpretate anche le recenti tensioni e conflitti sociali che hanno interessato alcune aree della città. I “cittadini”, temendo che il proprio pur precario benessere possa essere messo a rischio dagli “ultimi” e dalla loro povertà, reagiscono nel modo più immediato con l'allontanamento. Nell'incontro non mediato tra primi e ultimi, in un contesto di crisi e vulnerabilità come quello che stiamo vivendo, si determina una deriva civile e culturale che porta la comunità che si sente inclusa ad assere spinta e orientata ad assumere atteggiamenti di rancore e non di cura e accoglienza nei confronti degli ultimi o dei differenti. Schiacciati da tale pressione anche gli stessi ammortizzatori naturali che Napoli ha nella sua tradizione di accoglienza e di capacità di auto-aiuto fra marginalità, iniziano a dare segnali preoccupanti di rottura e incapacità di tenuta. E nello scricchiolio di tali frammentazioni inizia ad emergere con chiarezza quali potrebbero essere i "nemici opportuni" su cui versare rabbia, frustrazione e senso di abbandono. La giusta esigenza di avere una città vivibile e civile si scontra con quelle attività poste in essere da chi esercita il proprio diritto alla sopravvivenza. Di fronte ad una situazione così complessa e articolata, a fortissimo rischio di sfociare in situazioni di conflitto, ci sembra che non basti più la sola lamentela verso la politica inadempiente. Ci pare invece urgente che ogni cittadino si assuma la responsabilità di superare l'indifferenza e la tentazione a considerare il conflitto, come la povertà, come cose altre e distanti da se, in qualche modo dinamiche inevitabili da mettere in conto e da cui tenersi lontani. Pensiamo che, malgrado le enormi difficoltà che non vogliamo nascondere, bisogna battere la strada di una “convivenza possibile”. Gli “inclusi” o i “primi” non possono più pensare che il loro benessere possa essere garantito dall'allontanamento e dall'esclusione di masse sempre più ampie di persone, così come gli “esclusi” o gli “ultimi” e chi cerca di stare accanto a loro non possono pensare di tutelare i loro diritti contrapponendoli a quelli dei “primi”. Vanno aperti spazi di incontro e mediazione, in grado di attivare risorse e dove ogni attore si senta riconosciuto nei propri bisogni e nelle proprie aspettative; dove la gratuità dell'aiuto si affianchi alla richiesta di responsabilizzazione e investimenti di tutti i soggetti i gioco. Si tratta di ricostruire una comunità in cui ciascuno abbia il proprio spazio e veda tutelati i propri diritti, una comunità nella quale il rispetto delle regole, senza nessuna esasperazione, diventi terreno favorevole alla coesione sociale ed alla convivenza civile, una comunità che sarà tanto più forte, quanto più sarà capace di includere piuttosto che escludere. Su questo vogliamo impegnarci direttamente per attivare un luogo di riflessione e proposta su tali temi. Pensiamo a un “laboratorio pubblico per la convivenza urbana” capace di attivare un confronto largo, non episodico, con tutti gli attori istituzionali e non, formali e informali, che in città sono attenti e lavorano su tali temi. Uno spazio capace di interessare e coinvolgere, in una
  • 3. discussione sulla città e sulle sue relazioni, imprenditori, associazioni di categoria, soggetti informali, sindacati, le forze di pubblica sicurezza, il mondo dell’università, e del lavoro sociale, le tante forme di protagonismo e auto-organizzazione della cittadinanza. Un “laboratorio”, che fuori da contrapposizioni ideologiche, proponga idee e suggerisca luoghi dove l’incontro tra differenze e aspettative si sviluppi non come problema ma come opportunità di sviluppo per la città Sentiamo l’urgenza che la città torni ad interrogarsi su se stessa e sul proprio futuro a partire dal rimettere al centro le sue parti più complicate, a volte, la meno belle da vedere, ma sicuramente quelle più sofferenti e in conflitto e che per questo non possono essere lasciate sole. Per iniziare a discutere invitiamo tutti a partecipare alla prima riunione del “Laboratorio per una convivenza possibile” 12 gennaio 2015 ore 17,00 Napoli, Intra Moenia, Piazza Bellini Napoli, dicembre 2014/gennaio 2015 Primi firmatari: Luigi Cagnazzo, Gennaro Carrillo, Dino Falconio, Alfredo Guardiano, Emilio Lupo, Andrea Morniroli, Aldo Policastro, Jamal Quaddorah, Paolo Valerio, Attilio Wanderlingh Adesioni: Alberto Postigliola, Angelo Abignente , Annalaura Alfano, Ass. VIVOANAPOLI, Elena Coccia, Eleonora Puntillo, Emilia Leonetti, Enrica Morlicchio, Eugenio Mazzarella, Gerardo Toraldo, Mimma Miele, Giovanni Laino, Giovanni Mantovano, Giulio Cataldi, Luigi Maria Sicca, Marco Maldonato, Marinella Pomarici, Ottavia Vozza, Pino Ferraro, Salvatore Parisi, Vincenzo Siniscalchi, Vittoria Musella, Mario Rusciano, Vitaliano Menniti, Furio Cascetta, Giuseppina Rocco, Osvaldo Cammarota, Alessandro Senatore, Marco Salvatore, Giovanni de Simone, Isaia Sales, Diego Guida, Sara de Simone, Nica De Maio, Rossana Valenti, Barbara Calaselice, Gennaro Marasca