Presentazione di Elena Toffolo, all'interno della sessione tematica "Ermafroditismo, DSD, Intersex… proviamo a capirci qualcosa!", facente parte del convegno "Gender is the new black (un poco stranucce)", a Sesto San Giovanni (Mi) del 2 e 3 aprile 2016
3. La voce dei genitori
«Purtroppo nell'ospedale in cui nostra figlia è nata
non avevano mai avuto casi del genere e non
sapevano come comportarsi. Inizialmente decisero di
trattenerla fino a che non si fosse potuto procedere
ad un'assegnazione di sesso e quindi poterla rivelare
all'anagrafe. E questo non ha che acuito le nostre
angosce. Per me, da madre, era terribile non poter
compiere un atto così scontato ma così significativo:
dire al mondo, legalmente, che era nata mia figlia! E
nel frattempo dovevamo fingere con gli amici e con i
parenti che tutto fosse a posto, che si procedeva solo
ad esami genetici.»
(tratti da www.aisia.org)
«Nel frattempo io e mio marito, sconvolti ed
addolorati da questa situazione, non sapevamo
come spiegare ai nostri figli quello che stava
succedendo. Non sapevamo se era nata una sorellina
o un fratellino... come spiegare a due ragazzini cosa
significa ambiguità genitale, come spiegare che non
avevamo potuto dare un nome a quel piccolino
perché in realtà non sapevamo neanche noi chi
fosse... ricordo i primi momenti dopo la nascita sono
stati i più tragici... nessuno sapeva spiegarmi nulla,
c'era sempre una grande affluenza di medici ed
infermieri nella nursery per vedere il "nuovo/a"
nato... »
4. La voce dei genitori
«Qualcosa non andava, ci volevano analisi, esami più
approfonditi prima di poter fare una diagnosi. Sicuramente
sarebbero stati necessari diversi interventi chirurgici. Io
non sapevo niente, ma avrei dovuto prendere delle
decisioni. Che dovevamo fare? Farla operare? Non fare
niente? In ogni caso avrei potuto sbagliare e lei da grande
mi avrebbe rimproverata, accusata. Quella notte in
ospedale ho pensato a tutto il futuro di mia figlia, a quanto
avrebbe sofferto, a quanta responsabilità da quel
momento mi cadeva addosso. […]
(tratti da www.aisia.org)
«Anche questa volta si trattava di un intervento da niente, 2-3
giorni di ricovero. Ma anche questa volta il chirurgo (uno
nuovo) ci ha parlato all’uscita della sala operatoria.
L’intervento era andato bene, ma…il problema era più serio
perché la vagina era profonda solo un paio di centimetri.
Purtroppo occorreva un intervento di chirurgia plastica,
un’operazione impegnativa e i risultati non erano sicuri. Non
sapeva dirci niente di più, ci dovevamo informare noi genitori.
Quando Chiara si è svegliata dall’anestesia, mi ha chiesto:<
Mamma è vero che adesso è tutto a posto e non dovrò fare
altre operazioni?> Io le ho risposto di sì, mi sentivo una
traditrice, una bugiarda… ma stavo così male che non potevo
pensare di darle in quel momento un dolore così. […] So che
molte ragazze accusano i genitori di nascondere la verità, di
raccontare bugie, di eludere le domande. E io l’ho fatto e
sapevo che mia figlia avrebbe potuto rimproverarmi per
questo. Non me la sentivo di dirle:<Guarda c’è questo
problema, vedi tu come puoi risolverlo>. Sì certo era lei che
avrebbe deciso, ma almeno volevo darle delle indicazioni,
delle possibilità fra cui scegliere..»
5. La voce dei genitori
«Quando ripensiamo a quel momento, quello in cui ci hanno
letteralmente “sbattuto in faccia” la diagnosi. […] Dico “sbattuto
in faccia” perché il ricordo di quel giorno per noi ha il dolore di
un pugno, un pugno sul viso e sul cuore: eravamo in ospedale
per il controllo post-operatorio e ci siamo trovati in una stanza
con un gruppo di medici in praticantato, capitanati dal chirurgo
che, dopo aver visitato la bambina e verificato che la ferita
fosse a posto, con molta naturalezza e tranquillità ci
comunicava che era tutto ok, l’unico problema era che nostra
figlia non avrebbe mai avuto il ciclo mestruale, né tantomeno
gravidanze, perché era affetta dalla “Sindrome di Morris”. In
realtà era stata concepita maschio, ma un brutto scherzo della
natura l’aveva trasformata in femmina (esternamente almeno),
ma che in fondo non era un dramma “neanche lui aveva il ciclo
eppure viveva benissimo!!” (testuali parole). Non vi
raccontiamo l’angoscia ed il dolore che abbiamo provato, i
pensieri orrendi che ci passavano nella mente ogni volta che
immaginavamo come sarebbe diventata da grande, nonostante
fosse una così bella bambina.»
«Poi abbiamo trovato un’equipe di medici donna guidate
dalla prof.ssa Severi (ormai in pensione) molto preparate su
questo tema, che ci ha accolto con tutto l’amore e la
disponibilità possibile. Ci hanno ascoltato, hanno risposto
alle nostre domande, gestito la nostra angoscia e spiegato
cosa sarebbe accaduto e come lo avremmo gestito.
Ci hanno mostrato studi statistici, foto e raccontato storie di
altre ragazze, ormai grandi, che avevano la stessa sindrome
e che erano diventate donne normali, sposate o fidanzate,
senza mestruazioni e senza figli naturali, ma donne
pienamente realizzate, alcune con figli adottivi, ed in ogni
caso con una vita, per quanto possibile, serena e normale.»
(tratti da www.aisia.org)
6. La voce delle persone intersex/dsd
«Fino al mio trentacinquesimo anno di età, né medici né genitori mi hanno detto la verità. Da
adolescente mi dissero che l’utero e le ovaie non erano sviluppati ed era meglio asportarli per
evitare il rischio di un tumore. Ero consapevole che i medici e i genitori erano estremamente
preoccupati. Quando avevo quattordici anni all’ospedale, i miei genitali furono mostrati a
tantissimi studenti. Mi è difficile trovare le parole per descrivere quanto fu traumatica questa
esperienza e quanto mi ci è voluto per superarla. La fotografia medica mi dava la sensazione di
essere esposta al circo. Non dovrebbe essere permessa senza il permesso dei pazienti. […] Nel
’95 ho assistito per la prima volta ad un incontro del gruppo di supporto in Inghilterra e dal ’98
faccio parte del gruppo tedesco di donne con cromosomi XY. Ambedue i gruppi sostengono sia
genitori che pazienti e cercano il dialogo con i medici per trovare le cure migliori per persone
con diagnosi di intersessualità. Quando si partecipa per la prima volta ad un incontro del genere
è come poter tornare a casa propria dopo essere stato costretto a vivere in terra straniera.»
(Jane)
(tratto da www.aisia.org)
7. La voce delle persone intersex/dsd
«L’ho saputo a 23 anni quando, stufa dello stesso indifferente silenzio alle mie incessanti domande,
mi sono recata da una ginecologa. Dopo una serie di esami mi ha convocata e ha cominciato ad
intavolare un discorso sulla natura e la cultura…. L’ho interrotta dicendole: “sono ‘in realtà’ un
uomo?” Mi sono enormemente meravigliata della mia domanda ma per nulla della risposta: “il tuo
corredo cromosomico è maschile”. Già lo sapevo, l’avevo sempre saputo. Quello che ignoravo era il
senso di quell’espressione virgolettata “in realtà”. […] Che cosa ha significato per la mia vita in questi
ultimi dieci anni l’espressione “in realtà”? Ho cominciato a pensare che se ancora non mi ero
innamorata di un uomo era perché “in realtà” non potevo vista la mia “natura”, che la mia infelicità e
tutti i miei problemi dipendevano da quelle due piccolissime lettere, x e y, che stavano da qualche
parte dentro di me, anzi nella parte più importante e tuttavia introvabile della mia “identità” e che mi
facevano dubitare persino del mio nome: Arianna. Niente più specchi, niente più fotografie e niente
più amici. Ho continuato per anni a cercare un nome per definirmi e un luogo in cui poter dire di
essere a casa, in un mondo in cui l’umanità di ogni individuo passa in prima battuta per la famosa
domanda: è maschio o femmina? Da qualsiasi parte mi ponevo sentivo che c’erano dei resti che
mettevano in dubbio quella umanità facendomi sentire, come purtroppo ancor oggi si legge, uno
scherzo della natura.»
(Arianna, 38 anni)
(tratto da www.aisia.org)
9. Trauma
Qualsiasi evento che una persona recepisce come estremamente stressante.
◦ Minaccia all’integrità fisica, propria o di altri, o all’identità psicologica.
◦ L’impatto è soggettivo: varia in base alle caratteristiche di personalità, dell’ambiente circostante, della
struttura emotiva e cognitiva.
Influisce su
◦ Senso di valore dell’individuo
◦ Autostima
◦ Senso di efficacia personale
10. Trattamento patient – centered
1. Fornire assistenza medica e chirurgica nei casi un cui una complicanza rappresenti una minaccia reale per
il benessere fisico del paziente.
2. Comprendere che ciò che è normale per un individuo, può non esserlo per un altro; I medici non
dovrebbero forzare il paziente a sottostare a una norma sociale che possa causargli un disagio, per quanto
riguarda, ad esempio, la dimensione del pene o i comportamenti riconosciuti come tipici di un dato sesso.
3. Minimizzare il rischio che il paziente e la sua famiglia possano provare vergogna, sentirsi stigmatizzati o
eccessivamente ossessionati dall’aspetto dei genitali; evitare di ricorrere a una terminologia stigmatizzante
(come “pseudoermafroditismo”)e alla fotografia per uso medico; promuovere l’apertura (l’opposto della
vergogna) e il rapporto con gli altri; evitare continue visite mediche ed esami ripetitivi dei genitali,
specialmente quelli volti a misurarne le dimensioni.
11. Trattamento patient – centered
4. Ritardare la chirurgia elettiva e la terapia ormonale sostituiva finché il paziente non avrà raggiunto un’età
tale che gli consenta di poter partecipare attivamente, insieme ai genitori, dell’aspetto e delle funzioni del
suo corpo; nei casi in cui la chirurgia e la terapia ormonale vengano prese in considerazione, i medici devono
chiedersi se esse siano strettamente necessarie per il benessere del bambino o se siano mirate piuttosto ad
attenuare il disagio dei genitori; gli psicologi possono fornire la loro assistenza per valutare tali aspetti
5. Rispettare i genitori, affrontando le loro preoccupazioni e le loro paure con delicatezza, onestà e in modo
diretto; se i genitori necessitano di un supporto psicologico, è opportuno aiutarli per ottenerlo.
6. Affrontare in modo diretto i disagi psicosociali del bambino, avvalendosi del sostegno degli psicologi e dei
gruppi di supporto.
7. Dire sempre la verità al bambino e alla sua famiglia; rispondere alle domande in modo pronto e onesto,
mostrandosi aperti verso l’anamnesi del paziente e su eventuali dubbi di carattere medico.
(tratto da AISIA, Linee guida cliniche per il Trattamento dei DSD in età infantile)