3. - DOLORE: EVENTO NEUTRO
- SOFFERENZA: ARTICOLAZIONE
DI SENSO SUL DOLORE
4. «Soltanto il grande dolore è l’estremo liberatore dello spirito […] il
grande dolore soltanto, quel lungo, lento dolore che vuole tempo, in
cui, per così dire, veniamo bruciati come legna verde, costringe noi
filosofi a discendere nelle nostre ultime profondità e a sbarazzarci di
ogni fiducia, di ogni bontà d’animo, di ogni palliativo, di ogni
mansuetudine, di ogni via di mezzo, di tutto ciò in cui forse una volta
riponemmo la nostra umanità. Dubito che il dolore “renda
migliori”, eppure so che esso ci scava nel profondo».
Nietzsche, La gaia scienza
5. “Osservo che il dolore abbruttisce, intontisce, schiaccia. Ogni tentacolo
con cui una volta sentivo, provavo e sfioravo il mondo, è come troncato
e incancrenito al moncone. Passo la giornata come chi ha urtato uno
spigolo con la rotula interna del ginocchio: tutta la giornata come
quell’istante intollerabile. Il dolore è nel petto, che mi sembra sfondato
e ancora avido, pulsante di sangue che fugge e non ritorna, come da
un’enorme ferita. Naturalmente, è tutta una fissazione. Dio mio, ma è
perché sono solo, e domani avrò una rapida felicità, e poi di nuovo i
brividi, la stretta, lo squarcio. Non ho più fisicamente la forza di star
solo. Una volta sola mi è riuscito, ma ora è una ricaduta e, come tutte le
ricadute è mortale” (C. PAVESE, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino
2002).
6. «Qualcosa di terribile, di nuovo, e di significativo come
null’altro nella sua vita, stava avvenendo dentro di lui. E
lui solo ne era a conoscenza, tutti quelli che lo
circondavano non capivano o non volevano capirlo, e
pensavano che tutto, al mondo, andasse come prima
L. Tolstoj , La morte di Ivan Il’íc e altri racconti, tr. it.
Mondadori, Milano 1999).
7. L’indeterminato, l’incontenibile, l’angosciante si impongono come i
trascendentali - con il significato di condizioni che rendono possibile e pensabile
qualche cosa - dello straordinario, che è tale rispetto all’ordinario (il quotidiano)
nella misura in cui:
l’indeterminato è la condizione che rende possibile e pensabile un orizzonte di
significati non determinabili, perimetrabili dal gesto familiare, dal linguaggio
stabile, dal sapere di ciò che accade innanzitutto e per lo più;
l’incontenibile è la condizione che rende possibile e pensabile ciò che non ha un
contenuto immobile, ghermibile con un’operazione di senso compiuta e
rassicurante, in quanto segna il passaggio dalla glaciazione, per usare un efficace
espressione di Resnik (2001), a quella che potremmo chiamare liquefazione,
fluidità dei legami e dei linguaggi quotidiani;
l’angoscia, infine, è la condizione che rende possibile e pensabile la liquefazione,
poiché, ove la forbice dei progetti possibili si apre fino a travalicare l’ordinario
immettendoci nello straordinario, il respiro dell’anima si fa affannoso, la
quotidianità infranta si fa nostalgia, quando non si inabissa nella malinconia, lo
smarrimento in un altrove sconosciuto e vertiginante timbra la nostra carne.
8. LA CURA
ALLA SERA
Forse perché della fatal quiete fatal quiete
tu sei l'immago a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
9. LA CURA
IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI
Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentil anni caduto.
La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.
Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quiete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.
10. […] La morte così recuperata non resta solamente umana, diventa mia;
interiorizzandosi si individualizza; non è più un grande sconosciuto che limita
l'umano, ma è il fenomeno della mia vita personale che fa di questa vita una
vita unica, cioè una vita che non ricomincia, dove non si può mai tornare
indietro. Con ciò divento responsabile della mia morte, come della mia vita. Non
del fenomeno empirico e contingente del trapasso, ma del carattere di finitezza
che fa sì che la mia vita, come la mia morte, sia la mia vita.
Jean-Paul Sartre, L'essere e il nulla, tr. it. Giuseppe del Bo, Il Saggiatore, 1997, p.
593
11. La nostra vita non è che una lunga attesa: attesa della realizzazione dei nostri
fini, dapprima (essere impegnato in un'impresa significa attenderne la
conclusione) attesa di noi stessi soprattutto (anche se questa impresa è
realizzata, anche se ho saputo farmi amare, ottenere la tal onorificenza, il tal
favore, resta da determinarsi il posto, il senso ed il valore di questa impresa
stessa nella mia vita). Ciò non proviene da un difetto contingente della «natura»
umana, da una nervosità che si impedirebbe di limitarci al presente e che
potrebbe essere corretta dall'esercizio, ma dalla natura stessa del per sé che «è»
nella misura in cui si temporalizza.
Jean-Paul Sartre, op. cit. , p. 598
12. Come corre, danza e si ritorce senza ragione
la Vita, chiassosa ed impudente,
sotto una luce scialba!
Poi, appena la notte
sale voluttuosa all'orizzonte
e placa tutto, anche la fame,
e cancella tutto, anche l'onta,
il Poeta si dice: «Finalmente!
Il mio spirito e il mio corpo
ardentemente invocano il riposo;
col cuore pieno di funebri sogni
mi stendo supino
e mi avvolgerò nei vostri veli,
rinfrescanti tenebre!»
Charles Baudelaire, «La fine del giorno», in I fiori del male, tr. it. di C. Rendina,
Newton & Compton, 1990.
13. […] È vero e proprio dolore quello che si prova quando lo scomparso era carne
della tua carne, sono le doglie del parto della speranza immortale quelle che si
provano quando la morta era la tua amata, è l'esplodere sconvolgente della
serietà quella che si trova quando il defunto era la tua unica guida e la
solitudine ti assale. Ma fosse anche tuo figlio, fosse anche la tua amata e fosse
anche la tua unica guida, è pur sempre uno stato d'animo [...] Serietà è pensare
veramente la morte, pensarla cioè come la tua sorte, e comprendere così ciò che
la morte non può farti comprendere: che tu sei e che la morte parimenti è.
Søren Kierkegaard, Accanto a una tomba, il Melangolo, 1999, p. 41.
14. LA CURA DI SÈ (epiméleia
heautoù, cura sui)
14
15. - La cura di sé come libertà;
- La cura di sé come verità:
conversione/trasformazione del soggetto;
- La cura di sé come relazione etica con se stessi e gli
altri;
- La cura di sé come meletê thanatou , esercizio della
morte;
- La cura di sé come antidoto alla colpa metafisica,
ovvero la violazione del principio di solidarietà tra gli
uomini (Jaspers, 1946);
- La cura di sé come arte del vivere (techne toú bíou):
LA TEMPERANZA O «GIUSTA MISURA».
15
18. UMANOLOGIA MEDICA:
- Per se unum
- Intimità
- ens indigens, ens sofferens
- limite: medico come guaritore
ferito (Gadamer)
19. La scienza viene trasmessa mediante l’ insegnamento
, in modo esplicito, nella misura più ampia possibile.
L’umanità del medico, invece, si tramanda grazie alla
sua personalità, impercettibilmente, istante dopo
istante, attraverso il suo modo di agire e di
parlare, attraverso lo spirito che regna in una
clinica, in quell’atmosfera silenziosa e pur tacitamente
presente, che è necessaria all’esercizio della
professione medica
(K Jaspers, Il medico nell’età della tecnica, R.
Cortina, Milano 1991).
20. Il pensiero-guida dovrebbe essere questo:
solo il medico che si relaziona ai singoli malati
adempie all’autentica professione medica. Gli
altri praticano un onesto mestiere, ma
non sono medici
(K Jaspers, Il medico nell’età della
tecnica, cit).
21. MEDICINA E TECNICA
In un’età ove la scienza è sempre piú tecnologizzata,
finalizzata ad un mero ideale strumentale, reperire articolazioni
di senso è quanto mai necessario.
Nello specifico:
- Qual è il rapporto tra sofferenza sociale e
processi economici?
- Quale grado di percezione ha raggiunto la
dialettica guarigione – salvezza -innalzamento
patologico dello standard di normalità/salute,
entro uno scenario medico sempre più’
impersonale?
- Quanto la vecchiaia è vista come un
oltraggio incarnato nello stato di “felicità
perpetua” (l’espressione è di Pascal
Bruckner)?
22. MEDICINA E TECNICA
E ANCORA:
- Perché la morte è spettacolarizza o, nella
sua dimensione quotidiana, in carne ed
ossa, nell’ hic et nunc, obliata, esorcizzata?
- Perché si nega alla sofferenza il suo
ineludibile statuto di condizione umana?
23. MEDICINA E TECNICA
SPIEGARE E COMPRENDERE: QUALE
DIFFERENZA?
1. Tra i corpi di questa natura io trovo il mio corpo nella sua
peculiarità, nella sua unicità, cioè come l’unico a non essere mero
corpo fisico (Körper), MA PROPRIO CORPO VIVENTE (Leib)
(Husserl, Meditazioni cartesiane, 1931).
2. Il corpo-vissuto non si può SPIEGARE (erklären), MA
COMPRENDERE (verstehen): Jaspers, Psicopatologia
generale, Il Pensiero Scientifico, Roma 2000.
Il COMPRENDERE SIGNIFICA NON RIDURRE IL CORPO A
OGGETTO DI NATURA, MA COGLIERLO COME APERTURA
INTENZIONALE, CARICA DI SIGNIFICATI, AL MONDO.
24. MEDICINA E TECNICA
IN SINTESI:
Il corpo – cosa (Körperding) descritto
scientificamente, come organismo, non MI
rappresenta, né MI esprime. La malattia che Mi
investe non riguarda lo stomaco, il cuore, i
polmoni, bensì tutto il mio vissuto, l’interazione
del mio corpo-vissuto con il mondo, il mio essere
PERSONA (PER SE UNUM).
Persona= personalità + personaggio (ruolo
sociale)
25. MEDICINA E TECNICA
DISEASE, ILLNESS, SICKNESS:
Nella malattia, visti gli attributi della persona,
occorre, perciò, distinguere la sua classificazione
o normatività (disease), il suo impatto sul nostro
vissuto (illness), ovvero come ognuno di noi
risponde nella sua irripetibile biografia alla
patologia che lo investe, come la rimodella nei
suoi vissuti e nei suoi agiti e, infine, le sue
ricadute o determinazioni sociali (sickness).
26. MEDICINA E TECNICA
In questo contesto, chiaramente, l’antropologia medica gioca
un ruolo fondamentale: cfr. I. Quaranta, a cura di,
Antropologia medica. I testi fondamentali, R. Cortina, Milano
2006. Di rilievo sono soprattutto le riflessioni di Allan Young,
docente di Antropologia alla McGill University di Montreal.
L’antropologia medica, come disciplina autonoma, nasce
nell’ambito della società complessa : l’Antropologia culturale,
infatti, fino agli anni Settanta non aveva tematizzato la
struttura medica occidentale come costruzione, espressione,
produzione sociale, culturale, storica.
27. MEDICINA E TECNICA
A. Young, partendo dalla distinzione tra desease e
illness, già approfondita dalla Harvard Medical School
(per esempio: Kleinmann, Good), concentra la sua
attenzione sul concetto di sickness: determinazione
in ambito sociale della problematica medica e della
patologia che investe il malato.
28. MEDICINA E TECNICA
In altri termini, Young vuole evidenziare le forme sociali di
limitazione e sofferenza del malato, nella misura in cui ritiene
le pratiche mediche mere pratiche ideologiche , finalizzate a
celare e, potremmo dire, a santificare (GIUSTIFICAZIONISMO
MEDICO), rapporti di potere e diseguaglianza sociale
nell’accesso alla cura.
Occorre, perciò, rivendicare il primato della produttività
medica sull’efficacia clinica
29. MEDICINA E TECNICA
L’ efficacia clinica, nell’analisi di Young, rispetto
alla feconda dimensione della produttività
medica, de-socializza la malattia, ovvero tende
ad ignorare che il malato vive la sua patologia
nell’ambito delle relazioni sociali, dei diversi livelli
economici, con le connesse disparità nell’
accesso alla cura, unitamente alla diseguaglianza
nell’accesso alla corretta informazione medica e
scientifica, misurata solo sulla base del reddito e
del grado di istruzione.
30. MEDICINA E TECNICA
Sickness [relazioni sociali della malattia] non è più un
termine generico che si riferisce alla patologia e/o
all’esperienza di malattia […]. È’ quindi un processo per
la socializzazione della patologia (disease) e
dell’esperienza di malattia (illness) […]. Le pratiche
mediche sono al tempo stesso pratiche ideologiche
quando servono a giustificare a) i rapporti sociali
attraverso cui patologia, guarigione e cura sono
distribuite nella società, b) le conseguenze sociali della
patologia (per esempio la predisposizione del paziente a
contrarre una determinata malattia sul posto di lavoro)
(A. Young, Antropologie della illness e della sickness, in I.
Quaranta, a cura di, Antropologia medica, cit., pp. 107-
147, con ampia bibliografia. Vedi anche: A. Young, Some
implications of medical beliefs and practices for social
anthropology, in Am. Anthropology, 78, 1976, pp. 5-24).
31. FENOMENOLOGIA DELLA PERSONA
In questo contesto, è di utile confronto dialettico il
modello ecceità (personalità, natura
individuale, essenzialità) di Roberta De Monticelli (R. De
Monticelli, La novità di ognuno. Persona e
libertà, Garzanti, Milano 2009), che parte dalla nota
definizione boeziana (Naturae rationabilis individua
substantia: cfr. Liber de persona et duabus naturis contra
Eutychen et Nestorium, III, 6), per approdare ad una
esaltazione della natura individuale, della
personalità, della “novità perenne” che ognuno di noi è
(unicità, profondità, iniziativa, creatività).
31
32. 1. Inizialità: capacità di scegliere e mettere al mondo
qualcosa di nuovo.
- L’uomo che spezza le catene
2. Libertà:
- L’uomo al bivio
- La danzatrice
LIBERTÁ COME AGIRE FELICE
34. LA PERSONA:
. Stati=
a)credenze, emozioni, desideri…;
b) «effetti di un impatto causale
della realtà su un organismo».
. Atti= vissuti caratterizzati da
intenzionalità e posizionalità.
35. - INTENZIONALITÀ: DIREZIONE DELL’ATTO VERSO
L’OGGETTO.
- POSIZIONALITÀ: NOSTRA RISPOSTA ALLA REALTÀ DI CUI
FACCIAMO ESPERIENZA.
EMERGENTISMO PERSONALISTICO SULLA NATURA
BIOLOGICA.
36. GERARCHIA DEGLI ATTI:
L’UNICITÀ, NOVITÀ, CREATIVITÀ,
PROFONDITÀ, NOVITÀ DELLA
PERSONA VENGONO ATTESTATE
DALLA TEORIA DEGLI ATTI, CON
LA LORO GERARCHIA.
37. GERARCHIA DEGLI ATTI:
. Posizioni di primo livello. Non coscienti e
non libere (emozioni, percezioni);
. Posizioni di secondo livello: posizioni libere,
ma non necessariamente sempre veramente
libere.
. Atti liberi in senso proprio: ATTI
AUTOCOSTITUTIVI, DETERMINANTI NELLA
FORMAZIONE DELL’IDENTITÀ PERSONALE
ATTRAVERSO IL TEMPO.
39. ATTRIBUTI DELLA PERSONA
La persona è identità, nel senso che nel susseguirsi delle esperienze, essa
persiste con la sua irriducibilità, con le sue inconfondibili strutture
caratteriali.
- La persona è inseità, cioè, pur essendo in relazione con gli altri, è esse in
se: non è attributo o modo d’essere degli altri. L’inseità nella sua
conversione metafisica rinvia alla sostanzialità, alla persistenza originaria nel
fluire delle determinazioni contingenti.
- La persona è perseità, esse per se, in quanto in essa si finalizza ciò che è
strumento, mezzo, a livello cosmico e socio-politico, e, quindi, non ha il fine
in se stesso.
- La persona è finalità, dignità strutturale: «Persona significa che io non
posso essere usato da nessun altro, ma che io sono il mio fine. […] Persona
significa che io non posso essere abitato da nessun altro, ma io sono
garante per me; non posso essere sostituito da nessun altro, ma sono
unico» (Guardini, 1964).
- La persona è finitezza, strutturale contingenza.
40. ATTRIBUTI DELLA PERSONA
La persona è prospettiva, sguardo in avanti,
progettualità che nomina il mondo mediante un’opera di
interiorizzazione e di trasferimento intramondano,
trascendendo il mero dato nel segno della vocazione
ascetica.
La vocazione ascetica è altissimo esercizio dell’anima che,
ergendosi contro la realtà in segno di protesta, rivendica
la propria autonomia, la propria capacità di
autodeterminarsi, di farsi punto di resistenza contro i
limiti imposti dal “qui e ora” (lo schelleriano uomo asceta
della vita).
41. ATTRIBUTI DELLA PERSONA
La persona è comunione: il progetto di vita che
siamo chiamati a realizzare sulla base della
nostra vocazione esige che si sappiano
riconoscere dignità, limite, reciprocità che lo
innervano: ogni progetto di vita ha una sua
dignità ontologica e assiologica che va esibita e
difesa, nel contempo, però, ha anche un limite,
un fondo ineludibile di contingenza che va
riconosciuto, infine una dimensione comunitaria
che privilegia o stare con rispetto allo stare fra ,
NEL SEGNO DELLA RECIPROCITÀ E DEL DONO.
42. RECIPROCITÀ ALTERITÀ
«Il comportamento dell’altro e anche le sue stesse parole
non sono l’altro. Il suo cordoglio e la sua collera non
hanno mai esattamente lo stesso senso per lui e per me.
Per lui sono situazioni vissute, per me situazioni
appresentate» (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della
percezione, Il Saggiatore, Milano 1980).
EMPATIA
44. EMPATIA
Evoluzione Fisiologia Cognizione e Morale
ACCUDIMENTO PERCEPTION-ACTION MODEL CONSAPEVOLEZZA
ALTRUISMO (Preston, de Waal, 2002) COGNITIVO-AFFETTIVA
NEURONI SPECCHIO
45. La vita non è che un’ombra che cammina; un
povero commediante che si pavoneggia e si
agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi
non se ne parla più; una favola raccontata da un
idiota, piena di rumore e di furore, che non
significa nulla (W. Shakespeare, Macbeth, Atto V,
Scena V).