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Fabio Gabrielli
L.U.de.S. University
DOLORE ONTOLOGICO (SEPARAZIONE
DALL’UNITÀ ORIGINARIA)




DOLORE ONTICO (RIVERBERO STORICO-
BIOGRAFICO)
- DOLORE: EVENTO NEUTRO

- SOFFERENZA: ARTICOLAZIONE
DI SENSO SUL DOLORE
«Soltanto il grande dolore è l’estremo liberatore dello spirito […] il
grande dolore soltanto, quel lungo, lento dolore che vuole tempo, in
cui, per così dire, veniamo bruciati come legna verde, costringe noi
filosofi a discendere nelle nostre ultime profondità e a sbarazzarci di
ogni fiducia, di ogni bontà d’animo, di ogni palliativo, di ogni
mansuetudine, di ogni via di mezzo, di tutto ciò in cui forse una volta
riponemmo la nostra umanità. Dubito che il dolore “renda
migliori”, eppure so che esso ci scava nel profondo».
Nietzsche, La gaia scienza
“Osservo che il dolore abbruttisce, intontisce, schiaccia. Ogni tentacolo
con cui una volta sentivo, provavo e sfioravo il mondo, è come troncato
e incancrenito al moncone. Passo la giornata come chi ha urtato uno
spigolo con la rotula interna del ginocchio: tutta la giornata come
quell’istante intollerabile. Il dolore è nel petto, che mi sembra sfondato
e ancora avido, pulsante di sangue che fugge e non ritorna, come da
un’enorme ferita. Naturalmente, è tutta una fissazione. Dio mio, ma è
perché sono solo, e domani avrò una rapida felicità, e poi di nuovo i
brividi, la stretta, lo squarcio. Non ho più fisicamente la forza di star
solo. Una volta sola mi è riuscito, ma ora è una ricaduta e, come tutte le
ricadute è mortale” (C. PAVESE, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino
2002).
«Qualcosa di terribile, di nuovo, e di significativo come
null’altro nella sua vita, stava avvenendo dentro di lui. E
lui solo ne era a conoscenza, tutti quelli che lo
circondavano non capivano o non volevano capirlo, e
pensavano che tutto, al mondo, andasse come prima
 L. Tolstoj , La morte di Ivan Il’íc e altri racconti, tr. it.
Mondadori, Milano 1999).
L’indeterminato, l’incontenibile, l’angosciante si impongono come i
trascendentali - con il significato di condizioni che rendono possibile e pensabile
qualche cosa - dello straordinario, che è tale rispetto all’ordinario (il quotidiano)
nella misura in cui:
l’indeterminato è la condizione che rende possibile e pensabile un orizzonte di
significati non determinabili, perimetrabili dal gesto familiare, dal linguaggio
stabile, dal sapere di ciò che accade innanzitutto e per lo più;
l’incontenibile è la condizione che rende possibile e pensabile ciò che non ha un
contenuto immobile, ghermibile con un’operazione di senso compiuta e
rassicurante, in quanto segna il passaggio dalla glaciazione, per usare un efficace
espressione di Resnik (2001), a quella che potremmo chiamare liquefazione,
fluidità dei legami e dei linguaggi quotidiani;
l’angoscia, infine, è la condizione che rende possibile e pensabile la liquefazione,
poiché, ove la forbice dei progetti possibili si apre fino a travalicare l’ordinario
immettendoci nello straordinario, il respiro dell’anima si fa affannoso, la
quotidianità infranta si fa nostalgia, quando non si inabissa nella malinconia, lo
smarrimento in un altrove sconosciuto e vertiginante timbra la nostra carne.
LA CURA
                ALLA SERA

Forse perché della fatal quiete fatal quiete
    tu sei l'immago a me sì cara vieni
   o Sera! E quando ti corteggian liete
      le nubi estive e i zeffiri sereni,

    e quando dal nevoso aere inquiete
    tenebre e lunghe all'universo meni
   sempre scendi invocata, e le secrete
     vie del mio cor soavemente tieni.

  Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

   delle cure onde meco egli si strugge;
  e mentre io guardo la tua pace, dorme
 quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
LA CURA
 IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
 di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
   il fior de' tuoi gentil anni caduto.

 La Madre or sol suo dì tardo traendo
   parla di me col tuo cenere muto,
  ma io deluse a voi le palme tendo
   e sol da lunge i miei tetti saluto.

 Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
  allora al petto della madre mesta.
[…] La morte così recuperata non resta solamente umana, diventa mia;
interiorizzandosi si individualizza; non è più un grande sconosciuto che limita
l'umano, ma è il fenomeno della mia vita personale che fa di questa vita una
vita unica, cioè una vita che non ricomincia, dove non si può mai tornare
indietro. Con ciò divento responsabile della mia morte, come della mia vita. Non
del fenomeno empirico e contingente del trapasso, ma del carattere di finitezza
che fa sì che la mia vita, come la mia morte, sia la mia vita.
Jean-Paul Sartre, L'essere e il nulla, tr. it. Giuseppe del Bo, Il Saggiatore, 1997, p.
593
La nostra vita non è che una lunga attesa: attesa della realizzazione dei nostri
fini, dapprima (essere impegnato in un'impresa significa attenderne la
conclusione) attesa di noi stessi soprattutto (anche se questa impresa è
realizzata, anche se ho saputo farmi amare, ottenere la tal onorificenza, il tal
favore, resta da determinarsi il posto, il senso ed il valore di questa impresa
stessa nella mia vita). Ciò non proviene da un difetto contingente della «natura»
umana, da una nervosità che si impedirebbe di limitarci al presente e che
potrebbe essere corretta dall'esercizio, ma dalla natura stessa del per sé che «è»
nella misura in cui si temporalizza.
Jean-Paul Sartre, op. cit. , p. 598
Come corre, danza e si ritorce senza ragione
la Vita, chiassosa ed impudente,
sotto una luce scialba!
Poi, appena la notte
sale voluttuosa all'orizzonte
e placa tutto, anche la fame,
e cancella tutto, anche l'onta,
il Poeta si dice: «Finalmente!
Il mio spirito e il mio corpo
ardentemente invocano il riposo;
col cuore pieno di funebri sogni
mi stendo supino
e mi avvolgerò nei vostri veli,
rinfrescanti tenebre!»
Charles Baudelaire, «La fine del giorno», in I fiori del male, tr. it. di C. Rendina,
Newton & Compton, 1990.
[…] È vero e proprio dolore quello che si prova quando lo scomparso era carne
della tua carne, sono le doglie del parto della speranza immortale quelle che si
provano quando la morta era la tua amata, è l'esplodere sconvolgente della
serietà quella che si trova quando il defunto era la tua unica guida e la
solitudine ti assale. Ma fosse anche tuo figlio, fosse anche la tua amata e fosse
anche la tua unica guida, è pur sempre uno stato d'animo [...] Serietà è pensare
veramente la morte, pensarla cioè come la tua sorte, e comprendere così ciò che
la morte non può farti comprendere: che tu sei e che la morte parimenti è.
Søren Kierkegaard, Accanto a una tomba, il Melangolo, 1999, p. 41.
LA CURA DI SÈ (epiméleia
   heautoù, cura sui)



                           14
- La cura di sé come libertà;
- La cura di sé come verità:
conversione/trasformazione del soggetto;
- La cura di sé come relazione etica con se stessi e gli
altri;
- La cura di sé come meletê thanatou , esercizio della
morte;
- La cura di sé come antidoto alla colpa metafisica,
ovvero la violazione del principio di solidarietà tra gli
uomini (Jaspers, 1946);
- La cura di sé come arte del vivere (techne toú bíou):
LA TEMPERANZA O «GIUSTA MISURA».


                                                        15
AUTENTICITÁ
CURA




Disease
 illness
sickness
UMANOLOGIA MEDICA:
- Per se unum
- Intimità
- ens indigens, ens sofferens
- limite: medico come guaritore
ferito (Gadamer)
La scienza viene trasmessa mediante l’ insegnamento
, in modo esplicito, nella misura più ampia possibile.
L’umanità del medico, invece, si tramanda grazie alla
sua personalità, impercettibilmente, istante dopo
istante, attraverso il suo modo di agire e di
parlare, attraverso lo spirito che regna in una
clinica, in quell’atmosfera silenziosa e pur tacitamente
presente, che è necessaria all’esercizio della
professione medica
  (K Jaspers, Il medico nell’età della tecnica, R.
Cortina, Milano 1991).
Il pensiero-guida dovrebbe essere questo:
solo il medico che si relaziona ai singoli malati
adempie all’autentica professione medica. Gli
altri praticano un onesto mestiere, ma
non sono medici
 (K Jaspers, Il medico nell’età della
tecnica, cit).
MEDICINA E TECNICA
 In un’età ove la scienza è sempre piú tecnologizzata,
  finalizzata ad un mero ideale strumentale, reperire articolazioni
  di senso è quanto mai necessario.
  Nello specifico:
- Qual è il rapporto tra sofferenza sociale e
  processi economici?
- Quale grado di percezione ha raggiunto la
  dialettica guarigione – salvezza -innalzamento
  patologico dello standard di normalità/salute,
  entro uno scenario medico sempre più’
  impersonale?
- Quanto la vecchiaia è vista come un
  oltraggio incarnato nello stato di “felicità
  perpetua” (l’espressione è di Pascal
  Bruckner)?
MEDICINA E TECNICA
E ANCORA:
- Perché la morte è spettacolarizza o, nella
 sua dimensione quotidiana, in carne ed
 ossa, nell’ hic et nunc, obliata, esorcizzata?
- Perché si nega alla sofferenza il suo
 ineludibile statuto di condizione umana?
MEDICINA E TECNICA
 SPIEGARE E COMPRENDERE: QUALE
  DIFFERENZA?
   1. Tra i corpi di questa natura io trovo il mio corpo nella sua
  peculiarità, nella sua unicità, cioè come l’unico a non essere mero
  corpo fisico (Körper), MA PROPRIO CORPO VIVENTE (Leib)
  (Husserl, Meditazioni cartesiane, 1931).
   2. Il corpo-vissuto non si può SPIEGARE (erklären), MA
  COMPRENDERE (verstehen): Jaspers, Psicopatologia
  generale, Il Pensiero Scientifico, Roma 2000.
    Il COMPRENDERE SIGNIFICA NON RIDURRE IL CORPO A
     OGGETTO DI NATURA, MA COGLIERLO COME APERTURA
     INTENZIONALE, CARICA DI SIGNIFICATI, AL MONDO.
MEDICINA E TECNICA
 IN SINTESI:
 Il corpo – cosa (Körperding) descritto
 scientificamente, come organismo, non MI
 rappresenta, né MI esprime. La malattia che Mi
 investe non riguarda lo stomaco, il cuore, i
 polmoni, bensì tutto il mio vissuto, l’interazione
 del mio corpo-vissuto con il mondo, il mio essere
 PERSONA (PER SE UNUM).
Persona= personalità + personaggio (ruolo
 sociale)
MEDICINA E TECNICA
 DISEASE, ILLNESS, SICKNESS:

 Nella malattia, visti gli attributi della persona,
  occorre, perciò, distinguere la sua classificazione
  o normatività (disease), il suo impatto sul nostro
 vissuto (illness), ovvero come ognuno di noi
 risponde nella sua irripetibile biografia alla
 patologia che lo investe, come la rimodella nei
 suoi vissuti e nei suoi agiti e, infine, le sue
 ricadute o determinazioni sociali (sickness).
MEDICINA E TECNICA
 In questo contesto, chiaramente, l’antropologia medica gioca
  un ruolo fondamentale: cfr. I. Quaranta, a cura di,
  Antropologia medica. I testi fondamentali, R. Cortina, Milano
  2006. Di rilievo sono soprattutto le riflessioni di Allan Young,
  docente di Antropologia alla McGill University di Montreal.
 L’antropologia medica, come disciplina autonoma, nasce
  nell’ambito della società complessa : l’Antropologia culturale,
  infatti, fino agli anni Settanta non aveva tematizzato la
  struttura medica occidentale come costruzione, espressione,
  produzione sociale, culturale, storica.
MEDICINA E TECNICA
 A. Young, partendo dalla distinzione tra desease e
 illness, già approfondita dalla Harvard Medical School
 (per esempio: Kleinmann, Good), concentra la sua
 attenzione sul concetto di sickness: determinazione
 in ambito sociale della problematica medica e della
 patologia che investe il malato.
MEDICINA E TECNICA
 In altri termini, Young vuole evidenziare le forme sociali di
  limitazione e sofferenza del malato, nella misura in cui ritiene
  le pratiche mediche mere pratiche ideologiche , finalizzate a
  celare e, potremmo dire, a santificare (GIUSTIFICAZIONISMO
  MEDICO), rapporti di potere e diseguaglianza sociale
  nell’accesso alla cura.




Occorre, perciò, rivendicare il primato della produttività
 medica sull’efficacia clinica
MEDICINA E TECNICA
 L’ efficacia clinica, nell’analisi di Young, rispetto
  alla feconda dimensione della produttività
  medica, de-socializza la malattia, ovvero tende
  ad ignorare che il malato vive la sua patologia
  nell’ambito delle relazioni sociali, dei diversi livelli
  economici, con le connesse disparità nell’
  accesso alla cura, unitamente alla diseguaglianza
  nell’accesso alla corretta informazione medica e
  scientifica, misurata solo sulla base del reddito e
  del grado di istruzione.
MEDICINA E TECNICA
 Sickness [relazioni sociali della malattia] non è più un
  termine generico che si riferisce alla patologia e/o
  all’esperienza di malattia […]. È’ quindi un processo per
  la socializzazione della patologia (disease) e
  dell’esperienza di malattia (illness) […]. Le pratiche
  mediche sono al tempo stesso pratiche ideologiche
  quando servono a giustificare a) i rapporti sociali
  attraverso cui patologia, guarigione e cura sono
  distribuite nella società, b) le conseguenze sociali della
  patologia (per esempio la predisposizione del paziente a
  contrarre una determinata malattia sul posto di lavoro)
  (A. Young, Antropologie della illness e della sickness, in I.
  Quaranta, a cura di, Antropologia medica, cit., pp. 107-
  147, con ampia bibliografia. Vedi anche: A. Young, Some
  implications of medical beliefs and practices for social
  anthropology, in Am. Anthropology, 78, 1976, pp. 5-24).
FENOMENOLOGIA DELLA PERSONA
In questo contesto, è di utile confronto dialettico il
modello ecceità (personalità, natura
individuale, essenzialità) di Roberta De Monticelli (R. De
Monticelli, La novità di ognuno. Persona e
libertà, Garzanti, Milano 2009), che parte dalla nota
definizione boeziana (Naturae rationabilis individua
substantia: cfr. Liber de persona et duabus naturis contra
Eutychen et Nestorium, III, 6), per approdare ad una
esaltazione della natura individuale, della
personalità, della “novità perenne” che ognuno di noi è
(unicità, profondità, iniziativa, creatività).

                                                         31
1. Inizialità: capacità di scegliere e mettere al mondo
qualcosa di nuovo.

                      - L’uomo che spezza le catene
2. Libertà:
                        - L’uomo al bivio

                       - La danzatrice


              LIBERTÁ COME AGIRE FELICE
Libertà come capacità di determinarci ad un’azione




                      VOLONTÀ




                      PERSONA
LA PERSONA:
. Stati=
a)credenze, emozioni, desideri…;
b) «effetti di un impatto causale
della realtà su un organismo».
. Atti= vissuti caratterizzati da
intenzionalità e posizionalità.
- INTENZIONALITÀ: DIREZIONE DELL’ATTO VERSO
L’OGGETTO.

- POSIZIONALITÀ: NOSTRA RISPOSTA ALLA REALTÀ DI CUI
FACCIAMO ESPERIENZA.




EMERGENTISMO PERSONALISTICO SULLA NATURA
BIOLOGICA.
GERARCHIA DEGLI ATTI:
L’UNICITÀ, NOVITÀ, CREATIVITÀ,
PROFONDITÀ, NOVITÀ DELLA
PERSONA VENGONO ATTESTATE
DALLA TEORIA DEGLI ATTI, CON
LA LORO GERARCHIA.
GERARCHIA DEGLI ATTI:
. Posizioni di primo livello. Non coscienti e
non libere (emozioni, percezioni);
. Posizioni di secondo livello: posizioni libere,
ma non necessariamente sempre veramente
libere.
. Atti liberi in senso proprio: ATTI
AUTOCOSTITUTIVI, DETERMINANTI NELLA
FORMAZIONE DELL’IDENTITÀ PERSONALE
ATTRAVERSO IL TEMPO.
- RAGIONE D’AZIONE

- DECISIONE

- PROMESSA

 - FEDELTÀ
ATTRIBUTI DELLA PERSONA
 La persona è identità, nel senso che nel susseguirsi delle esperienze, essa
  persiste con la sua irriducibilità, con le sue inconfondibili strutture
  caratteriali.
 - La persona è inseità, cioè, pur essendo in relazione con gli altri, è esse in
  se: non è attributo o modo d’essere degli altri. L’inseità nella sua
  conversione metafisica rinvia alla sostanzialità, alla persistenza originaria nel
  fluire delle determinazioni contingenti.
 - La persona è perseità, esse per se, in quanto in essa si finalizza ciò che è
  strumento, mezzo, a livello cosmico e socio-politico, e, quindi, non ha il fine
  in se stesso.
 - La persona è finalità, dignità strutturale: «Persona significa che io non
  posso essere usato da nessun altro, ma che io sono il mio fine. […] Persona
  significa che io non posso essere abitato da nessun altro, ma io sono
  garante per me; non posso essere sostituito da nessun altro, ma sono
  unico» (Guardini, 1964).
 - La persona è finitezza, strutturale contingenza.
ATTRIBUTI DELLA PERSONA
 La persona è prospettiva, sguardo in avanti,
  progettualità che nomina il mondo mediante un’opera di
  interiorizzazione e di trasferimento intramondano,
  trascendendo il mero dato nel segno della vocazione
  ascetica.
 La vocazione ascetica è altissimo esercizio dell’anima che,
  ergendosi contro la realtà in segno di protesta, rivendica
  la propria autonomia, la propria capacità di
  autodeterminarsi, di farsi punto di resistenza contro i
  limiti imposti dal “qui e ora” (lo schelleriano uomo asceta
  della vita).
ATTRIBUTI DELLA PERSONA
 La persona è comunione: il progetto di vita che
  siamo chiamati a realizzare sulla base della
  nostra vocazione esige che si sappiano
  riconoscere dignità, limite, reciprocità che lo
  innervano: ogni progetto di vita ha una sua
 dignità ontologica e assiologica che va esibita e
 difesa, nel contempo, però, ha anche un limite,
 un fondo ineludibile di contingenza che va
 riconosciuto, infine una dimensione comunitaria
 che privilegia o stare con rispetto allo stare fra ,
 NEL SEGNO DELLA RECIPROCITÀ E DEL DONO.
RECIPROCITÀ                            ALTERITÀ
 «Il comportamento dell’altro e anche le sue stesse parole
  non sono l’altro. Il suo cordoglio e la sua collera non
  hanno mai esattamente lo stesso senso per lui e per me.
  Per lui sono situazioni vissute, per me situazioni
  appresentate» (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della
  percezione, Il Saggiatore, Milano 1980).




                      EMPATIA
EMPATIA
 Mit-fühlen : sentire-con, compassione


 Eins- fühlen : immedesimezza, uni-patia


 Einfühlung : EMPATIA
EMPATIA




 Evoluzione     Fisiologia            Cognizione e Morale




ACCUDIMENTO   PERCEPTION-ACTION MODEL      CONSAPEVOLEZZA
ALTRUISMO      (Preston, de Waal, 2002)    COGNITIVO-AFFETTIVA
              NEURONI SPECCHIO
La vita non è che un’ombra che cammina; un
povero commediante che si pavoneggia e si
agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi
non se ne parla più; una favola raccontata da un
idiota, piena di rumore e di furore, che non
significa nulla (W. Shakespeare, Macbeth, Atto V,
Scena V).

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  • 2. DOLORE ONTOLOGICO (SEPARAZIONE DALL’UNITÀ ORIGINARIA) DOLORE ONTICO (RIVERBERO STORICO- BIOGRAFICO)
  • 3. - DOLORE: EVENTO NEUTRO - SOFFERENZA: ARTICOLAZIONE DI SENSO SUL DOLORE
  • 4. «Soltanto il grande dolore è l’estremo liberatore dello spirito […] il grande dolore soltanto, quel lungo, lento dolore che vuole tempo, in cui, per così dire, veniamo bruciati come legna verde, costringe noi filosofi a discendere nelle nostre ultime profondità e a sbarazzarci di ogni fiducia, di ogni bontà d’animo, di ogni palliativo, di ogni mansuetudine, di ogni via di mezzo, di tutto ciò in cui forse una volta riponemmo la nostra umanità. Dubito che il dolore “renda migliori”, eppure so che esso ci scava nel profondo». Nietzsche, La gaia scienza
  • 5. “Osservo che il dolore abbruttisce, intontisce, schiaccia. Ogni tentacolo con cui una volta sentivo, provavo e sfioravo il mondo, è come troncato e incancrenito al moncone. Passo la giornata come chi ha urtato uno spigolo con la rotula interna del ginocchio: tutta la giornata come quell’istante intollerabile. Il dolore è nel petto, che mi sembra sfondato e ancora avido, pulsante di sangue che fugge e non ritorna, come da un’enorme ferita. Naturalmente, è tutta una fissazione. Dio mio, ma è perché sono solo, e domani avrò una rapida felicità, e poi di nuovo i brividi, la stretta, lo squarcio. Non ho più fisicamente la forza di star solo. Una volta sola mi è riuscito, ma ora è una ricaduta e, come tutte le ricadute è mortale” (C. PAVESE, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino 2002).
  • 6. «Qualcosa di terribile, di nuovo, e di significativo come null’altro nella sua vita, stava avvenendo dentro di lui. E lui solo ne era a conoscenza, tutti quelli che lo circondavano non capivano o non volevano capirlo, e pensavano che tutto, al mondo, andasse come prima L. Tolstoj , La morte di Ivan Il’íc e altri racconti, tr. it. Mondadori, Milano 1999).
  • 7. L’indeterminato, l’incontenibile, l’angosciante si impongono come i trascendentali - con il significato di condizioni che rendono possibile e pensabile qualche cosa - dello straordinario, che è tale rispetto all’ordinario (il quotidiano) nella misura in cui: l’indeterminato è la condizione che rende possibile e pensabile un orizzonte di significati non determinabili, perimetrabili dal gesto familiare, dal linguaggio stabile, dal sapere di ciò che accade innanzitutto e per lo più; l’incontenibile è la condizione che rende possibile e pensabile ciò che non ha un contenuto immobile, ghermibile con un’operazione di senso compiuta e rassicurante, in quanto segna il passaggio dalla glaciazione, per usare un efficace espressione di Resnik (2001), a quella che potremmo chiamare liquefazione, fluidità dei legami e dei linguaggi quotidiani; l’angoscia, infine, è la condizione che rende possibile e pensabile la liquefazione, poiché, ove la forbice dei progetti possibili si apre fino a travalicare l’ordinario immettendoci nello straordinario, il respiro dell’anima si fa affannoso, la quotidianità infranta si fa nostalgia, quando non si inabissa nella malinconia, lo smarrimento in un altrove sconosciuto e vertiginante timbra la nostra carne.
  • 8. LA CURA ALLA SERA Forse perché della fatal quiete fatal quiete tu sei l'immago a me sì cara vieni o Sera! E quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni, e quando dal nevoso aere inquiete tenebre e lunghe all'universo meni sempre scendi invocata, e le secrete vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme che vanno al nulla eterno; e intanto fugge questo reo tempo, e van con lui le torme delle cure onde meco egli si strugge; e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
  • 9. LA CURA IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de' tuoi gentil anni caduto. La Madre or sol suo dì tardo traendo parla di me col tuo cenere muto, ma io deluse a voi le palme tendo e sol da lunge i miei tetti saluto. Sento gli avversi numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch'io nel tuo porto quiete. Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, almen le ossa rendete allora al petto della madre mesta.
  • 10. […] La morte così recuperata non resta solamente umana, diventa mia; interiorizzandosi si individualizza; non è più un grande sconosciuto che limita l'umano, ma è il fenomeno della mia vita personale che fa di questa vita una vita unica, cioè una vita che non ricomincia, dove non si può mai tornare indietro. Con ciò divento responsabile della mia morte, come della mia vita. Non del fenomeno empirico e contingente del trapasso, ma del carattere di finitezza che fa sì che la mia vita, come la mia morte, sia la mia vita. Jean-Paul Sartre, L'essere e il nulla, tr. it. Giuseppe del Bo, Il Saggiatore, 1997, p. 593
  • 11. La nostra vita non è che una lunga attesa: attesa della realizzazione dei nostri fini, dapprima (essere impegnato in un'impresa significa attenderne la conclusione) attesa di noi stessi soprattutto (anche se questa impresa è realizzata, anche se ho saputo farmi amare, ottenere la tal onorificenza, il tal favore, resta da determinarsi il posto, il senso ed il valore di questa impresa stessa nella mia vita). Ciò non proviene da un difetto contingente della «natura» umana, da una nervosità che si impedirebbe di limitarci al presente e che potrebbe essere corretta dall'esercizio, ma dalla natura stessa del per sé che «è» nella misura in cui si temporalizza. Jean-Paul Sartre, op. cit. , p. 598
  • 12. Come corre, danza e si ritorce senza ragione la Vita, chiassosa ed impudente, sotto una luce scialba! Poi, appena la notte sale voluttuosa all'orizzonte e placa tutto, anche la fame, e cancella tutto, anche l'onta, il Poeta si dice: «Finalmente! Il mio spirito e il mio corpo ardentemente invocano il riposo; col cuore pieno di funebri sogni mi stendo supino e mi avvolgerò nei vostri veli, rinfrescanti tenebre!» Charles Baudelaire, «La fine del giorno», in I fiori del male, tr. it. di C. Rendina, Newton & Compton, 1990.
  • 13. […] È vero e proprio dolore quello che si prova quando lo scomparso era carne della tua carne, sono le doglie del parto della speranza immortale quelle che si provano quando la morta era la tua amata, è l'esplodere sconvolgente della serietà quella che si trova quando il defunto era la tua unica guida e la solitudine ti assale. Ma fosse anche tuo figlio, fosse anche la tua amata e fosse anche la tua unica guida, è pur sempre uno stato d'animo [...] Serietà è pensare veramente la morte, pensarla cioè come la tua sorte, e comprendere così ciò che la morte non può farti comprendere: che tu sei e che la morte parimenti è. Søren Kierkegaard, Accanto a una tomba, il Melangolo, 1999, p. 41.
  • 14. LA CURA DI SÈ (epiméleia heautoù, cura sui) 14
  • 15. - La cura di sé come libertà; - La cura di sé come verità: conversione/trasformazione del soggetto; - La cura di sé come relazione etica con se stessi e gli altri; - La cura di sé come meletê thanatou , esercizio della morte; - La cura di sé come antidoto alla colpa metafisica, ovvero la violazione del principio di solidarietà tra gli uomini (Jaspers, 1946); - La cura di sé come arte del vivere (techne toú bíou): LA TEMPERANZA O «GIUSTA MISURA». 15
  • 18. UMANOLOGIA MEDICA: - Per se unum - Intimità - ens indigens, ens sofferens - limite: medico come guaritore ferito (Gadamer)
  • 19. La scienza viene trasmessa mediante l’ insegnamento , in modo esplicito, nella misura più ampia possibile. L’umanità del medico, invece, si tramanda grazie alla sua personalità, impercettibilmente, istante dopo istante, attraverso il suo modo di agire e di parlare, attraverso lo spirito che regna in una clinica, in quell’atmosfera silenziosa e pur tacitamente presente, che è necessaria all’esercizio della professione medica (K Jaspers, Il medico nell’età della tecnica, R. Cortina, Milano 1991).
  • 20. Il pensiero-guida dovrebbe essere questo: solo il medico che si relaziona ai singoli malati adempie all’autentica professione medica. Gli altri praticano un onesto mestiere, ma non sono medici (K Jaspers, Il medico nell’età della tecnica, cit).
  • 21. MEDICINA E TECNICA  In un’età ove la scienza è sempre piú tecnologizzata, finalizzata ad un mero ideale strumentale, reperire articolazioni di senso è quanto mai necessario. Nello specifico: - Qual è il rapporto tra sofferenza sociale e processi economici? - Quale grado di percezione ha raggiunto la dialettica guarigione – salvezza -innalzamento patologico dello standard di normalità/salute, entro uno scenario medico sempre più’ impersonale? - Quanto la vecchiaia è vista come un oltraggio incarnato nello stato di “felicità perpetua” (l’espressione è di Pascal Bruckner)?
  • 22. MEDICINA E TECNICA E ANCORA: - Perché la morte è spettacolarizza o, nella sua dimensione quotidiana, in carne ed ossa, nell’ hic et nunc, obliata, esorcizzata? - Perché si nega alla sofferenza il suo ineludibile statuto di condizione umana?
  • 23. MEDICINA E TECNICA  SPIEGARE E COMPRENDERE: QUALE DIFFERENZA? 1. Tra i corpi di questa natura io trovo il mio corpo nella sua peculiarità, nella sua unicità, cioè come l’unico a non essere mero corpo fisico (Körper), MA PROPRIO CORPO VIVENTE (Leib) (Husserl, Meditazioni cartesiane, 1931). 2. Il corpo-vissuto non si può SPIEGARE (erklären), MA COMPRENDERE (verstehen): Jaspers, Psicopatologia generale, Il Pensiero Scientifico, Roma 2000.  Il COMPRENDERE SIGNIFICA NON RIDURRE IL CORPO A OGGETTO DI NATURA, MA COGLIERLO COME APERTURA INTENZIONALE, CARICA DI SIGNIFICATI, AL MONDO.
  • 24. MEDICINA E TECNICA  IN SINTESI: Il corpo – cosa (Körperding) descritto scientificamente, come organismo, non MI rappresenta, né MI esprime. La malattia che Mi investe non riguarda lo stomaco, il cuore, i polmoni, bensì tutto il mio vissuto, l’interazione del mio corpo-vissuto con il mondo, il mio essere PERSONA (PER SE UNUM). Persona= personalità + personaggio (ruolo sociale)
  • 25. MEDICINA E TECNICA  DISEASE, ILLNESS, SICKNESS:  Nella malattia, visti gli attributi della persona, occorre, perciò, distinguere la sua classificazione o normatività (disease), il suo impatto sul nostro vissuto (illness), ovvero come ognuno di noi risponde nella sua irripetibile biografia alla patologia che lo investe, come la rimodella nei suoi vissuti e nei suoi agiti e, infine, le sue ricadute o determinazioni sociali (sickness).
  • 26. MEDICINA E TECNICA  In questo contesto, chiaramente, l’antropologia medica gioca un ruolo fondamentale: cfr. I. Quaranta, a cura di, Antropologia medica. I testi fondamentali, R. Cortina, Milano 2006. Di rilievo sono soprattutto le riflessioni di Allan Young, docente di Antropologia alla McGill University di Montreal.  L’antropologia medica, come disciplina autonoma, nasce nell’ambito della società complessa : l’Antropologia culturale, infatti, fino agli anni Settanta non aveva tematizzato la struttura medica occidentale come costruzione, espressione, produzione sociale, culturale, storica.
  • 27. MEDICINA E TECNICA  A. Young, partendo dalla distinzione tra desease e illness, già approfondita dalla Harvard Medical School (per esempio: Kleinmann, Good), concentra la sua attenzione sul concetto di sickness: determinazione in ambito sociale della problematica medica e della patologia che investe il malato.
  • 28. MEDICINA E TECNICA  In altri termini, Young vuole evidenziare le forme sociali di limitazione e sofferenza del malato, nella misura in cui ritiene le pratiche mediche mere pratiche ideologiche , finalizzate a celare e, potremmo dire, a santificare (GIUSTIFICAZIONISMO MEDICO), rapporti di potere e diseguaglianza sociale nell’accesso alla cura. Occorre, perciò, rivendicare il primato della produttività medica sull’efficacia clinica
  • 29. MEDICINA E TECNICA  L’ efficacia clinica, nell’analisi di Young, rispetto alla feconda dimensione della produttività medica, de-socializza la malattia, ovvero tende ad ignorare che il malato vive la sua patologia nell’ambito delle relazioni sociali, dei diversi livelli economici, con le connesse disparità nell’ accesso alla cura, unitamente alla diseguaglianza nell’accesso alla corretta informazione medica e scientifica, misurata solo sulla base del reddito e del grado di istruzione.
  • 30. MEDICINA E TECNICA  Sickness [relazioni sociali della malattia] non è più un termine generico che si riferisce alla patologia e/o all’esperienza di malattia […]. È’ quindi un processo per la socializzazione della patologia (disease) e dell’esperienza di malattia (illness) […]. Le pratiche mediche sono al tempo stesso pratiche ideologiche quando servono a giustificare a) i rapporti sociali attraverso cui patologia, guarigione e cura sono distribuite nella società, b) le conseguenze sociali della patologia (per esempio la predisposizione del paziente a contrarre una determinata malattia sul posto di lavoro) (A. Young, Antropologie della illness e della sickness, in I. Quaranta, a cura di, Antropologia medica, cit., pp. 107- 147, con ampia bibliografia. Vedi anche: A. Young, Some implications of medical beliefs and practices for social anthropology, in Am. Anthropology, 78, 1976, pp. 5-24).
  • 31. FENOMENOLOGIA DELLA PERSONA In questo contesto, è di utile confronto dialettico il modello ecceità (personalità, natura individuale, essenzialità) di Roberta De Monticelli (R. De Monticelli, La novità di ognuno. Persona e libertà, Garzanti, Milano 2009), che parte dalla nota definizione boeziana (Naturae rationabilis individua substantia: cfr. Liber de persona et duabus naturis contra Eutychen et Nestorium, III, 6), per approdare ad una esaltazione della natura individuale, della personalità, della “novità perenne” che ognuno di noi è (unicità, profondità, iniziativa, creatività). 31
  • 32. 1. Inizialità: capacità di scegliere e mettere al mondo qualcosa di nuovo. - L’uomo che spezza le catene 2. Libertà: - L’uomo al bivio - La danzatrice LIBERTÁ COME AGIRE FELICE
  • 33. Libertà come capacità di determinarci ad un’azione VOLONTÀ PERSONA
  • 34. LA PERSONA: . Stati= a)credenze, emozioni, desideri…; b) «effetti di un impatto causale della realtà su un organismo». . Atti= vissuti caratterizzati da intenzionalità e posizionalità.
  • 35. - INTENZIONALITÀ: DIREZIONE DELL’ATTO VERSO L’OGGETTO. - POSIZIONALITÀ: NOSTRA RISPOSTA ALLA REALTÀ DI CUI FACCIAMO ESPERIENZA. EMERGENTISMO PERSONALISTICO SULLA NATURA BIOLOGICA.
  • 36. GERARCHIA DEGLI ATTI: L’UNICITÀ, NOVITÀ, CREATIVITÀ, PROFONDITÀ, NOVITÀ DELLA PERSONA VENGONO ATTESTATE DALLA TEORIA DEGLI ATTI, CON LA LORO GERARCHIA.
  • 37. GERARCHIA DEGLI ATTI: . Posizioni di primo livello. Non coscienti e non libere (emozioni, percezioni); . Posizioni di secondo livello: posizioni libere, ma non necessariamente sempre veramente libere. . Atti liberi in senso proprio: ATTI AUTOCOSTITUTIVI, DETERMINANTI NELLA FORMAZIONE DELL’IDENTITÀ PERSONALE ATTRAVERSO IL TEMPO.
  • 38. - RAGIONE D’AZIONE - DECISIONE - PROMESSA - FEDELTÀ
  • 39. ATTRIBUTI DELLA PERSONA  La persona è identità, nel senso che nel susseguirsi delle esperienze, essa persiste con la sua irriducibilità, con le sue inconfondibili strutture caratteriali.  - La persona è inseità, cioè, pur essendo in relazione con gli altri, è esse in se: non è attributo o modo d’essere degli altri. L’inseità nella sua conversione metafisica rinvia alla sostanzialità, alla persistenza originaria nel fluire delle determinazioni contingenti.  - La persona è perseità, esse per se, in quanto in essa si finalizza ciò che è strumento, mezzo, a livello cosmico e socio-politico, e, quindi, non ha il fine in se stesso.  - La persona è finalità, dignità strutturale: «Persona significa che io non posso essere usato da nessun altro, ma che io sono il mio fine. […] Persona significa che io non posso essere abitato da nessun altro, ma io sono garante per me; non posso essere sostituito da nessun altro, ma sono unico» (Guardini, 1964).  - La persona è finitezza, strutturale contingenza.
  • 40. ATTRIBUTI DELLA PERSONA  La persona è prospettiva, sguardo in avanti, progettualità che nomina il mondo mediante un’opera di interiorizzazione e di trasferimento intramondano, trascendendo il mero dato nel segno della vocazione ascetica.  La vocazione ascetica è altissimo esercizio dell’anima che, ergendosi contro la realtà in segno di protesta, rivendica la propria autonomia, la propria capacità di autodeterminarsi, di farsi punto di resistenza contro i limiti imposti dal “qui e ora” (lo schelleriano uomo asceta della vita).
  • 41. ATTRIBUTI DELLA PERSONA  La persona è comunione: il progetto di vita che siamo chiamati a realizzare sulla base della nostra vocazione esige che si sappiano riconoscere dignità, limite, reciprocità che lo innervano: ogni progetto di vita ha una sua dignità ontologica e assiologica che va esibita e difesa, nel contempo, però, ha anche un limite, un fondo ineludibile di contingenza che va riconosciuto, infine una dimensione comunitaria che privilegia o stare con rispetto allo stare fra , NEL SEGNO DELLA RECIPROCITÀ E DEL DONO.
  • 42. RECIPROCITÀ ALTERITÀ  «Il comportamento dell’altro e anche le sue stesse parole non sono l’altro. Il suo cordoglio e la sua collera non hanno mai esattamente lo stesso senso per lui e per me. Per lui sono situazioni vissute, per me situazioni appresentate» (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Il Saggiatore, Milano 1980). EMPATIA
  • 43. EMPATIA  Mit-fühlen : sentire-con, compassione  Eins- fühlen : immedesimezza, uni-patia  Einfühlung : EMPATIA
  • 44. EMPATIA Evoluzione Fisiologia Cognizione e Morale ACCUDIMENTO PERCEPTION-ACTION MODEL CONSAPEVOLEZZA ALTRUISMO (Preston, de Waal, 2002) COGNITIVO-AFFETTIVA NEURONI SPECCHIO
  • 45. La vita non è che un’ombra che cammina; un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla (W. Shakespeare, Macbeth, Atto V, Scena V).