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I. I. S. "Bertrando Spaventa" - Città Sant'Angelo
L' Esistenza :
Dal Caos al Nichilismo
Emanuela Alessi
V G
Anno Scolastico 2013/2014
Indice
Introduzione:
1. Friedrich Nietzsche : Il Caos, Nascita della tragedia, Spirito Apollineo e quello Dionisiaco,
l'abbandonarsi al Nichilismo.
2. Luigi Pirandello: il "Figlio del Caos", Il Fu Mattia Pascal, La vita secondo Pirandello.
3. Umberto Galimberti: L'ospite Inquietante, disagio giovanile.
4. James Joyce: Dubliners - Eveline, Psychological and emotional chaos.
« Occorre avere un po’ di caos in sé per partorire una stella danzante. »
Friedrich Nietzsche
Partendo da questa citazione di Friedrich Nietzsche sorge spontaneo chiedersi cosa sia il Caos;
Nell'antica Grecia (materia di cui Nietzsche era molto esperto) il Caos era l'insieme di tutto ciò che ha
generato il cosmo, una sorta di "brodo primordiale" di ogni cosa possibile, ma, non ancora distinta e
ordinata. Se dentro di te hai il tutto, puoi permetterti di generare una stella danzante perchè hai tutto
quello che ti serve, ma se non hai questo caos, questo turbine di idee dentro di te non ce la farà mai.
E' certo che si può facilmente intuire che la sua frase sia stata influenzata dalla sua conoscenza della
storia antica (nella sua opera principale "La Nascita della Tragedia")
Considerando quest'ultima, Nietzsche individua per la prima volta in Socrate il corruttore della
tragedia. La corruzione dello spirito tragico è da Nietzsche considerata come l'originaria decadenza cui
si deve una visione astratta e intellettualizzante della vita e della morale, determinata
dall'"intellettualismo etico" socratico. Altrettanto forte è l'avversione di Nietzsche nei confronti di
Platone, che egli considera autore di una concezione del mondo fondata sull'idealità metafisica e sul
disprezzo nei confronti della realtà tangibile. Da Platone egli ritiene esser nata quella continuità
ideologica che lega Parmenide a Platone e poi Plotino, il cristianesimo (definito "platonismo per il
popolo") fino all'idealismo tedesco dell'Ottocento.
Continuando, egli affermava che lo spirito apollineo (dal nome del dio Apollo) è la parte dell'uomo
ordinata, armonica, equilibrata e quello dionisiaco (dal nome del dio Dioniso)è irrazionale e tende a
presentarsi in modo disordinato ed è per questo che necessita di un metodo di espressione, in quanto
è lo spirito più vero tra i due.
Per il filosofo è necessario riuscire a creare un equilibrio tra loro e, per esprimere concretamente un
esempio di ciò, egli riprese l’immagine del frontone del tempio del Partenone: al suo interno sono
rappresentate scene di lotta, di conseguenza le figure umane sono mosse ed agitate, però sono
racchiuse dal perfetto triangolo del frontone, simbolo dello spirito apollineo.
Al di fuori della metafora della società greca, Nietzsche propone come soluzione al crescente
nichilismo e pessimismo dei suoi tempi l'accettazione senza remore e l'abbandono completo al flusso
della vita. Essa è incomprensibile, è un continuo generare e distruggere, senza che l'uomo possa
comprenderne il senso.
La concezione deterministica dell'universo e consequenzialmente della vita per Nietzsche è fallace: la
vita non è un meccanismo, una rigida sequenza di cause ed effetti che l'uomo può scomporre e
ricomporre, anzi, ogni tentativo dell'uomo di "impadronirsene", ovvero di comprenderla, non può che
fallire, dal momento che la vita non è sottoposta a un ordine razionale superiore. L'espressione che
Nietzsche usa in questo senso è natura rerum, una natura delle cose che l'uomo può forse
comprendere solo in parte, ma di cui certamente non si può appropriare per l'evidente trascendenza
alla mente umana che la caratterizza. Concludendo, l'unico modo per reagire alla dolorosissima presa
di coscienza che la vita non ha senso, né tantomeno uno scopo e una fine, è abbandonarsi in toto a
essa, con un coraggioso "dire di sì".
Affine è la visione che aveva Pirandello nel definirsi il
" Figlio del Caos "
« Io son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra
campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli
abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco "Kaos". »
Questo avvenimento farà dire a Pirandello di essere nato in un posto "cambiato" e quindi di non
appartenere all'ordine del mondo ma al caos incomprensibile:
« Io penso però che sarà cosa certa per gli altri che dovevo nascere là e non altrove e che non potevo
nascer dopo né prima; ma confesso che di tutte queste cose non mi son fatto ancora né certo saprò farmi
mai un'idea. »
I difficili rapporti con il padre divennero definitivi, quando, a quattordici anni, scopre che questi ha una
relazione con una cugina dalla quale era nato un figlio che egli odiò al punto da disprezzarlo
fortemente. Da qui il desiderio di staccarsi dal padre e dalla terra d'origine a cui si sente estraneo e
nello stesso tempo visceralmente attratto tanto da descriverla e rimpiangerla nella sua opera letteraria
trasfigurandola fantasticamente.
Questo è il nucleo di tutta la produzione teatrale pirandelliana: il tema dell'identità impossibile, quella
del "figlio cambiato" che dubita di se stesso, che non sa, né può, distinguere tra ciò che è reale e ciò
che non lo è, e anzi, come non esista una realtà definitiva, neppure per se stessi, ma come ognuno di
noi appaia, e alla fine sia, quello che gli altri vedono in lui. La vita come caos, dove l'unica realtà è ciò
che appare.
Questa tematica è stata rappresentata al meglio nell'opera teatrale chiamata "Sei personaggi in cerca
d'Autore" dove Pirandello comunica, con uno splendido esito, una riflessione che lacera l’individuo
umano e lo immette in un mondo finto, ipocrita, che probabilmente mai può attingere alla verità.
Pirandello avverte da un lato disordine, casualità e caos, dall’altro percepisce disgregazione e
frammentazione. Questi elementi, però, non si fermano alla realtà esterna: anche l’individuo, al suo
interno, manca di unità e di compattezza, si sfalda e si disgrega in frammenti incoerenti. Tuttavia,
secondo lo scrittore, ciascuno di noi tende a fissarsi e irrigidirsi in una forma che vorrebbe presentarsi
come unitaria, organica e compatta. Inoltre, tutti coloro che ci osservano, ci attribuiscono una forma
diversa da quella in cui noi stessi ci riconosciamo; per di più, anche la società, con le sue regole e
istituzioni, ci impone una "maschera". Di conseguenza, ognuno tende a deformare la realtà secondo la
personale visione del mondo, e l’immagine di ciascuno cambia con il mutare della prospettiva. Solo
l’ipocrisia delle istituzioni, delle ideologie e delle regole che l’uomo stesso si è dato tiene uniti questi
frammenti in una apparenza, dietro la quale tuttavia scorre inarrestabile la vita.
Questa tematica è stata sicuramente appurata nella sua opera famosissima " Il Fu Mattia Pascal " il
quale, narra di un uomo che, creduto morto, vorrebbe dimenticare la sua vita passata e ricominciare
una vita nuova lontano dal suo paese; però, essendo creduto da tutti morto non era considerato un
cittadino e quindi non riesce a vivere, perché non può neanche sposarsi con la donna che ama.
Quando, alla fine, ritorna al paese e vorrebbe dire a tutti che è vivo, trova sua moglie sposata e lui
continua ad essere il Fu Mattia Pascal, perché tutta la società lo rifiuta. A questo punto anche lui va a
mettere un fiore sulla sua tomba. In questo romanzo Pirandello vuole farci capire che se un individuo
vuole vivere non può sperare in una vita diversa e deve accettare quella che vive.
Purtroppo però non è possibile (per Pirandello) sfuggire a questo destino: la famiglia, la società, le
abitudini, le aspettative che gli altri hanno su di noi (le forme), ci imprigionano, e se tentiamo di
cambiarle, perdiamo il nostro posto nella società e diventiamo “morti viventi”, come accade a Mattia
Pascal.
Il personaggio pirandelliano è quindi sbattuto tra la ricerca di nuove forme e la sensazione che in
nessuna di esse troverà il suo Io; da una parte tende a cristallizzarsi uscendo dal flusso della vita,
dall’altra sente l’angoscia del non-essere; egli diventa così il simbolo non solo dell’inquietudine
dell’uomo teso alla ricerca dell’essere, nella fuga dall’apparire, ma anche il simbolo della solitudine e
della difficoltà del rapporto con gli altri. L’uomo pirandelliano vive l’ansia del ritrovare se stesso nel
nulla. Paradossalmente, egli ritrova il suo essere nel momento in cui perde la sua identità di uomo.
Continuando, c’è una pagina in particolare che racchiude la concezione che lo scrittore siciliano ha
della vita: quella in cui il sentimento della vita è paragonato ad un lanternino che proietta la sua luce
attorno a noi delimitando un cerchio al di fuori del quale è l’ombra paurosa del mistero. E Pirandello si
chiede:
“ E se la morte non esistesse e fosse soltanto il soffio che spegne in noi questo lanternino penoso,
pauroso, perché limitato da questo cerchio d’ombra fittizia, oltre il breve àmbito dello scarso lume, che
noi, povere lucciole sperdute, ci proiettiamo attorno, e in cui la nostra vita rimane come imprigionata,
come esclusa per alcun tempo dalla vita universale nella quale ci sembra che dovremo un giorno
rientrare, mentre già ci siamo e sempre ci rimarremo, ma senza più questo sentimento d’esilio che ci
angoscia? ”
Di fronte a questo interrogativo, il nostro vivere assume un significato diverso e anche la morte
diventa l’elemento che ci affranca dalla schiavitù rendendoci finalmente liberi e consentendo l’inizio
della Vita. L’uomo può finalmente capire quanto sia importante ritrovare la propria essenza e quanto
sia invece vacuo e ridicolo soffermarsi sulle apparenze e sulle finzioni.
Come direbbe Pirandello, la vita altro non è che un palcoscenico, con i suoi attori, le sue recite, le sue
maschere.
"...Perché i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esis
tenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si
aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti
, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui " 
Galimberti ha deciso di parlare, dopo aver studiato a lungo il tema, di giovani: giovani come
problema? Certamente sì, dato che c’è un malessere, un disagio, una frustrazione che è percepibile
anche da chi non è né psicologo né sociologo, ma solo attento a ciò che lo circonda.
Questo star male può facilmente diventare nichilismo e questo “ospite inquietante”, penetrando nelle
coscienze, finisce con l’annullare ogni spinta positiva, ogni tensione verso l’affermazione di sé, ma
genera inizialmente confusione quindi pensieri distruttivi.
Come dice Galimberti “Dio è davvero morto e i suoi eredi (scienza, utopia e rivoluzione) hanno
mancato la promessa”. Sono cioè sempre più diffuse violenze, malattie, intolleranze, l’egoismo è
radicato e la guerra trionfa in tanti paesi del mondo.
E’ Inevitabile, quindi, che il futuro non sia più guardato “come promessa” ma “come minaccia” e che la
delusione dell’impotenza delle tecnologie e della modernità di cambiare la realtà generi frustrazione e
tristezza tali da arrivare a scatenare forme incomprensibili per l'adulto di violenza e di solitudine.
Ma chi deve sovrintendere perché la disperazione e il nichilismo non siano le uniche risposte? La
scuola, prima di tutto. Quasi mai il docente, oltre ad accertare la preparazione dello studente, ne
osserva anche il grado di autostima, e “dalla scuola vengono espulse tutte quelle dimensioni che
sfuggono alla calcolabilità” cioè la creatività, l’originalità, la fantasia, i dolori, i desideri, tutta la sfera
emotiva insomma. Emotività che i giovani oggi hanno più incontrollata rispetto alla generazione che li
ha preceduti, che produce difficoltà ad elaborare i conflitti e che Galimberti considera un pericoloso
“analfabetismo emotivo”.
Certa “aridità” nei giovani nasce dal loro giudicare i sentimenti come debolezza (mentre sono una
forza fondamentale nell'equilibrio di un individuo), dominati come sono dal mito dell’apparire come
unica forma dell’esserci. Idea che conduce a trasmissioni televisive come i reality che, mettendo a
nudo l’anima, compiono un processo di omologazione degli individui davvero pericoloso: vera
pornografia, dice l’autore, perché mettere a nudo l’anima è più pornografico che spogliare il corpo.
Uno dei problemi affrontati nel libro è quello del dilagare delle droghe, assunte in età sempre più
giovanile. Dopo aver parlato del desiderio, si sottolinea come il confine tra droghe e farmaci oggi sia
sempre più labile e in ogni caso l'assunzione di entrambi corrisponde non tanto alla ricerca del
piacere, quanto dell’anestetico (al di là di quello che chi assume droghe può dire) che permette di
vivere una vita che non si ha voglia di vivere perché sentita come insignificante: “a questo tende il
piacere della droga, ossia al piacere dell’anestesia, a null’altro”.
Per quanto riguarda le droghe eccitanti: “sembra che i consumatori di ecstasy siano alla ricerca di una
riduzione delle barriere che nella nostra cultura rendono così difficile la comunicazione: artificiale in
pubblico e noiosa e ripetitiva nel privato”. La sempre più diffusa assunzione di cocaina nasce invece
dall’ansia parossistica di prestazione, di spirito di iniziativa e dal senso di scacco e di fallimento che
spesso deriva dal sentirsi inadeguati ai paradigmi di efficienza di questa società. “Quel che resta da
capire è la forma assunta dalla nostra vita che il drogato rifiuta”.
Ecco poi i casi estremi, coloro che, non sapendo gestire le emozioni e verbalizzarle, ricorrono
all’omicidio o al suicidio (seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali, per i giovani al di sotto dei
25 anni) oppure a gesti senza movente, come il lancio dei sassi dai cavalcavia, gesti che vengono
prima della logica e della relazione causa-effetto e, per poter dialogare con chi li commette, è
necessario che venga prima di tutto capita da questi giovani la differenza tra la vita e la morte.
“ Impossibilitati a dominare il tempo inscrivendolo in una rappresentazione di senso, i giovani d’oggi,
dopo aver rinunciato alla meta, sanno guardare in faccia l’indecifrabilità del destino, rifiutando quei
cascami irradiati da un destino risolto in benevola provvidenza ”
L’etica del viandante è l’unica che possiamo prospettare e che possa corrispondere a questa nuova
lettura del mondo e della vita. Attesa e speranza, i messaggi utili da lanciare alle giovani generazioni,
coscienti che la loro età non “è un transito” e che esiste un valore della giovinezza, un segreto che solo
la pigrizia mentale dell’adulto non sa cogliere.
“ There is no more miserable human being than one in whom nothing is habitual but indecision. ” James Joyce
One of the most fascinating elements of “Eveline” in Dubliners, by James Joyce is the way the whole of
a life is summarized through small images and the act of witness—both on the part of the reader as
well as the character as this character offers a summary of important life events that culminate into
one moment. While certainly the story of “Eveline” in “The Dubliners” by James Joyce culminates in
her final decision not to leave that which is familiar, one could easily argue that this is not the
emphasis of the story. The main point of this story in “Dubliners” by James Joyce rather seems to
illustrate, through a short series of images and sensory details, the life of a common Dubliner.
The first several paragraphs that introduce the character of Eveline are filled with vague, short, but
somehow highly descriptive sensory details. The first paragraph, our first venture in Eveline’s world
begins, “She sat at the window watching the evening invade the avenue. Her head was leaned against
the window curtains and in her nostrils was the dusty odor of cretonne. She was tired.” In this first
paragraph, most of the reader’s senses are immediately engaged. First of all, we are watching Eveline
as she is watching the coming of evening and can see her head, almost the exact position of it, as it
rests against the curtains. The idea of watching characters watch items of other people in their
environment is a recurrent theme throughout Dubliners, and this is one of the many examples in
which both the character and the reader are having a sort of simultaneous sensory experience. As we
are watching Eveline as her head is resting and she watches evening, it becomes immediately clear
that the process of “watching” here is more complex than it seems.
Anxious, timid, scared, perhaps even terrified, all these describe Eveline. She is a frightened, indecisive
young woman poised between her past and her future.
Eveline loves her father but she's fearful of him. She tries to hold into good memories of her father,
thinking “sometimes he could be very nice” but has seen what her father has done to her siblings
when he would “hunt them in out of the field with his blackthorn stick”. As of late she has begun to
feel “herself in danger of her father’s violence”.
Eveline wants a new life but she's afraid to let go of her past. She dreams of a place where “people
would treat her with respect” and when contemplating her future, hopes “to explore a new life with
Frank”. When, in a moment of terror she realizes that “she must escape ” it seems to steal her
determination to make a new home for herself elsewhere. On the other hand, she is comfortable with
the “familiar objects from which she had never dreamed of being divided”. She rationalizes that: “In
her home anyway she had shelter and food; she had those whom she had known all her life about
her”. As she reflects on her past she discovers “now that she was about to leave it she did not find it a
wholly undesirable life”.
Eveline thinks she loves Frank but she's apprehensive about her future with him. She likes Frank;
she thinks he “was very kind, manly, open-hearted”. She wants to believe in Frank; to believe that “he
would give her life, perhaps love, too”. However, she is riddled with self-doubt. She questions the
validity of her decision to leave. Although “she consented to go away, to leave her home” She
hesitates at the thought of living “in a distant unknown country”
Although fear is not Eveline’s constant companion, it is a common one. A companion that
contributes greatly to her lack of self-confidence. A companion that gives her fate over to a wavering
will. Eveline’s indecision leads to a paralysis that dooms her to the fate she sought to avoid. Besides,
“we know what happens to people who stay in the middle of the road. They get run over”.
Questo percorso esistenziale che ho affrontato vuol mettere a nudo la più totale e precisa concezione che si può
avere della vita stessa. L'interpretazione che le diamo può, inevitabilmente, comportarne l'andamento e di
conseguenza le attribuiamo lo stampo "decisivo" in base alla nostra indole. Nonostante sia una mia visione
personalissima dell'esistenza, spero che questo percorso possa, in qualche modo, far rendere conto a ogni
individuo che, anche se, come afferma Pirandello, il mondo è totale finzione (facendo riferimento al Teatro) e
dunque, siamo costretti a vivere una vita da "fantocci", è bene riscoprire la propria individualità cosicché si
possa uscire da questo "schema" conformista che caratterizza la massa, e osservare lo spettacolo che ci riserva
il mondo con i suoi attori migliori.
Bibliografia
 Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, tr. S. Giametta, nota di G. Colli (n. 48) 1977
 Umberto Galimberti, L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 2007
 James Joyce, Gente di Dublino (Dubliners, 1914), raccolta di 15 racconti
 Andrea Camilleri, Biografia del figlio cambiato, Prima ed., collana Superpocket, Rizzoli, 2003
Sitografia
 An Analysis of Eveline in the "Dubliners" by James Joyce http://www.articlemyriad.com/analysis-
eveline-dubliners/
 Andrea Camilleri, Biografia del figlio cambiato
http://it.wikipedia.org/wiki/Biografia_del_figlio_cambiato

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L' Esistenza: Dal Caos al Nichilismo

  • 1. I. I. S. "Bertrando Spaventa" - Città Sant'Angelo L' Esistenza : Dal Caos al Nichilismo Emanuela Alessi V G Anno Scolastico 2013/2014
  • 2. Indice Introduzione: 1. Friedrich Nietzsche : Il Caos, Nascita della tragedia, Spirito Apollineo e quello Dionisiaco, l'abbandonarsi al Nichilismo. 2. Luigi Pirandello: il "Figlio del Caos", Il Fu Mattia Pascal, La vita secondo Pirandello. 3. Umberto Galimberti: L'ospite Inquietante, disagio giovanile. 4. James Joyce: Dubliners - Eveline, Psychological and emotional chaos. « Occorre avere un po’ di caos in sé per partorire una stella danzante. » Friedrich Nietzsche
  • 3. Partendo da questa citazione di Friedrich Nietzsche sorge spontaneo chiedersi cosa sia il Caos; Nell'antica Grecia (materia di cui Nietzsche era molto esperto) il Caos era l'insieme di tutto ciò che ha generato il cosmo, una sorta di "brodo primordiale" di ogni cosa possibile, ma, non ancora distinta e ordinata. Se dentro di te hai il tutto, puoi permetterti di generare una stella danzante perchè hai tutto quello che ti serve, ma se non hai questo caos, questo turbine di idee dentro di te non ce la farà mai. E' certo che si può facilmente intuire che la sua frase sia stata influenzata dalla sua conoscenza della storia antica (nella sua opera principale "La Nascita della Tragedia") Considerando quest'ultima, Nietzsche individua per la prima volta in Socrate il corruttore della tragedia. La corruzione dello spirito tragico è da Nietzsche considerata come l'originaria decadenza cui si deve una visione astratta e intellettualizzante della vita e della morale, determinata dall'"intellettualismo etico" socratico. Altrettanto forte è l'avversione di Nietzsche nei confronti di Platone, che egli considera autore di una concezione del mondo fondata sull'idealità metafisica e sul disprezzo nei confronti della realtà tangibile. Da Platone egli ritiene esser nata quella continuità ideologica che lega Parmenide a Platone e poi Plotino, il cristianesimo (definito "platonismo per il popolo") fino all'idealismo tedesco dell'Ottocento. Continuando, egli affermava che lo spirito apollineo (dal nome del dio Apollo) è la parte dell'uomo ordinata, armonica, equilibrata e quello dionisiaco (dal nome del dio Dioniso)è irrazionale e tende a presentarsi in modo disordinato ed è per questo che necessita di un metodo di espressione, in quanto è lo spirito più vero tra i due. Per il filosofo è necessario riuscire a creare un equilibrio tra loro e, per esprimere concretamente un esempio di ciò, egli riprese l’immagine del frontone del tempio del Partenone: al suo interno sono rappresentate scene di lotta, di conseguenza le figure umane sono mosse ed agitate, però sono racchiuse dal perfetto triangolo del frontone, simbolo dello spirito apollineo.
  • 4. Al di fuori della metafora della società greca, Nietzsche propone come soluzione al crescente nichilismo e pessimismo dei suoi tempi l'accettazione senza remore e l'abbandono completo al flusso della vita. Essa è incomprensibile, è un continuo generare e distruggere, senza che l'uomo possa comprenderne il senso. La concezione deterministica dell'universo e consequenzialmente della vita per Nietzsche è fallace: la vita non è un meccanismo, una rigida sequenza di cause ed effetti che l'uomo può scomporre e ricomporre, anzi, ogni tentativo dell'uomo di "impadronirsene", ovvero di comprenderla, non può che fallire, dal momento che la vita non è sottoposta a un ordine razionale superiore. L'espressione che Nietzsche usa in questo senso è natura rerum, una natura delle cose che l'uomo può forse comprendere solo in parte, ma di cui certamente non si può appropriare per l'evidente trascendenza alla mente umana che la caratterizza. Concludendo, l'unico modo per reagire alla dolorosissima presa di coscienza che la vita non ha senso, né tantomeno uno scopo e una fine, è abbandonarsi in toto a essa, con un coraggioso "dire di sì". Affine è la visione che aveva Pirandello nel definirsi il " Figlio del Caos " « Io son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco "Kaos". » Questo avvenimento farà dire a Pirandello di essere nato in un posto "cambiato" e quindi di non
  • 5. appartenere all'ordine del mondo ma al caos incomprensibile: « Io penso però che sarà cosa certa per gli altri che dovevo nascere là e non altrove e che non potevo nascer dopo né prima; ma confesso che di tutte queste cose non mi son fatto ancora né certo saprò farmi mai un'idea. » I difficili rapporti con il padre divennero definitivi, quando, a quattordici anni, scopre che questi ha una relazione con una cugina dalla quale era nato un figlio che egli odiò al punto da disprezzarlo fortemente. Da qui il desiderio di staccarsi dal padre e dalla terra d'origine a cui si sente estraneo e nello stesso tempo visceralmente attratto tanto da descriverla e rimpiangerla nella sua opera letteraria trasfigurandola fantasticamente. Questo è il nucleo di tutta la produzione teatrale pirandelliana: il tema dell'identità impossibile, quella del "figlio cambiato" che dubita di se stesso, che non sa, né può, distinguere tra ciò che è reale e ciò che non lo è, e anzi, come non esista una realtà definitiva, neppure per se stessi, ma come ognuno di noi appaia, e alla fine sia, quello che gli altri vedono in lui. La vita come caos, dove l'unica realtà è ciò che appare. Questa tematica è stata rappresentata al meglio nell'opera teatrale chiamata "Sei personaggi in cerca d'Autore" dove Pirandello comunica, con uno splendido esito, una riflessione che lacera l’individuo umano e lo immette in un mondo finto, ipocrita, che probabilmente mai può attingere alla verità. Pirandello avverte da un lato disordine, casualità e caos, dall’altro percepisce disgregazione e frammentazione. Questi elementi, però, non si fermano alla realtà esterna: anche l’individuo, al suo interno, manca di unità e di compattezza, si sfalda e si disgrega in frammenti incoerenti. Tuttavia, secondo lo scrittore, ciascuno di noi tende a fissarsi e irrigidirsi in una forma che vorrebbe presentarsi come unitaria, organica e compatta. Inoltre, tutti coloro che ci osservano, ci attribuiscono una forma diversa da quella in cui noi stessi ci riconosciamo; per di più, anche la società, con le sue regole e istituzioni, ci impone una "maschera". Di conseguenza, ognuno tende a deformare la realtà secondo la personale visione del mondo, e l’immagine di ciascuno cambia con il mutare della prospettiva. Solo l’ipocrisia delle istituzioni, delle ideologie e delle regole che l’uomo stesso si è dato tiene uniti questi frammenti in una apparenza, dietro la quale tuttavia scorre inarrestabile la vita. Questa tematica è stata sicuramente appurata nella sua opera famosissima " Il Fu Mattia Pascal " il quale, narra di un uomo che, creduto morto, vorrebbe dimenticare la sua vita passata e ricominciare una vita nuova lontano dal suo paese; però, essendo creduto da tutti morto non era considerato un cittadino e quindi non riesce a vivere, perché non può neanche sposarsi con la donna che ama. Quando, alla fine, ritorna al paese e vorrebbe dire a tutti che è vivo, trova sua moglie sposata e lui continua ad essere il Fu Mattia Pascal, perché tutta la società lo rifiuta. A questo punto anche lui va a mettere un fiore sulla sua tomba. In questo romanzo Pirandello vuole farci capire che se un individuo vuole vivere non può sperare in una vita diversa e deve accettare quella che vive. Purtroppo però non è possibile (per Pirandello) sfuggire a questo destino: la famiglia, la società, le abitudini, le aspettative che gli altri hanno su di noi (le forme), ci imprigionano, e se tentiamo di
  • 6. cambiarle, perdiamo il nostro posto nella società e diventiamo “morti viventi”, come accade a Mattia Pascal. Il personaggio pirandelliano è quindi sbattuto tra la ricerca di nuove forme e la sensazione che in nessuna di esse troverà il suo Io; da una parte tende a cristallizzarsi uscendo dal flusso della vita, dall’altra sente l’angoscia del non-essere; egli diventa così il simbolo non solo dell’inquietudine dell’uomo teso alla ricerca dell’essere, nella fuga dall’apparire, ma anche il simbolo della solitudine e della difficoltà del rapporto con gli altri. L’uomo pirandelliano vive l’ansia del ritrovare se stesso nel nulla. Paradossalmente, egli ritrova il suo essere nel momento in cui perde la sua identità di uomo. Continuando, c’è una pagina in particolare che racchiude la concezione che lo scrittore siciliano ha della vita: quella in cui il sentimento della vita è paragonato ad un lanternino che proietta la sua luce attorno a noi delimitando un cerchio al di fuori del quale è l’ombra paurosa del mistero. E Pirandello si chiede: “ E se la morte non esistesse e fosse soltanto il soffio che spegne in noi questo lanternino penoso, pauroso, perché limitato da questo cerchio d’ombra fittizia, oltre il breve àmbito dello scarso lume, che noi, povere lucciole sperdute, ci proiettiamo attorno, e in cui la nostra vita rimane come imprigionata, come esclusa per alcun tempo dalla vita universale nella quale ci sembra che dovremo un giorno rientrare, mentre già ci siamo e sempre ci rimarremo, ma senza più questo sentimento d’esilio che ci angoscia? ” Di fronte a questo interrogativo, il nostro vivere assume un significato diverso e anche la morte diventa l’elemento che ci affranca dalla schiavitù rendendoci finalmente liberi e consentendo l’inizio della Vita. L’uomo può finalmente capire quanto sia importante ritrovare la propria essenza e quanto sia invece vacuo e ridicolo soffermarsi sulle apparenze e sulle finzioni. Come direbbe Pirandello, la vita altro non è che un palcoscenico, con i suoi attori, le sue recite, le sue maschere.
  • 7. "...Perché i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esis tenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti , fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui "  Galimberti ha deciso di parlare, dopo aver studiato a lungo il tema, di giovani: giovani come problema? Certamente sì, dato che c’è un malessere, un disagio, una frustrazione che è percepibile anche da chi non è né psicologo né sociologo, ma solo attento a ciò che lo circonda. Questo star male può facilmente diventare nichilismo e questo “ospite inquietante”, penetrando nelle coscienze, finisce con l’annullare ogni spinta positiva, ogni tensione verso l’affermazione di sé, ma genera inizialmente confusione quindi pensieri distruttivi. Come dice Galimberti “Dio è davvero morto e i suoi eredi (scienza, utopia e rivoluzione) hanno mancato la promessa”. Sono cioè sempre più diffuse violenze, malattie, intolleranze, l’egoismo è radicato e la guerra trionfa in tanti paesi del mondo. E’ Inevitabile, quindi, che il futuro non sia più guardato “come promessa” ma “come minaccia” e che la delusione dell’impotenza delle tecnologie e della modernità di cambiare la realtà generi frustrazione e tristezza tali da arrivare a scatenare forme incomprensibili per l'adulto di violenza e di solitudine.
  • 8. Ma chi deve sovrintendere perché la disperazione e il nichilismo non siano le uniche risposte? La scuola, prima di tutto. Quasi mai il docente, oltre ad accertare la preparazione dello studente, ne osserva anche il grado di autostima, e “dalla scuola vengono espulse tutte quelle dimensioni che sfuggono alla calcolabilità” cioè la creatività, l’originalità, la fantasia, i dolori, i desideri, tutta la sfera emotiva insomma. Emotività che i giovani oggi hanno più incontrollata rispetto alla generazione che li ha preceduti, che produce difficoltà ad elaborare i conflitti e che Galimberti considera un pericoloso “analfabetismo emotivo”. Certa “aridità” nei giovani nasce dal loro giudicare i sentimenti come debolezza (mentre sono una forza fondamentale nell'equilibrio di un individuo), dominati come sono dal mito dell’apparire come unica forma dell’esserci. Idea che conduce a trasmissioni televisive come i reality che, mettendo a nudo l’anima, compiono un processo di omologazione degli individui davvero pericoloso: vera pornografia, dice l’autore, perché mettere a nudo l’anima è più pornografico che spogliare il corpo. Uno dei problemi affrontati nel libro è quello del dilagare delle droghe, assunte in età sempre più giovanile. Dopo aver parlato del desiderio, si sottolinea come il confine tra droghe e farmaci oggi sia sempre più labile e in ogni caso l'assunzione di entrambi corrisponde non tanto alla ricerca del piacere, quanto dell’anestetico (al di là di quello che chi assume droghe può dire) che permette di vivere una vita che non si ha voglia di vivere perché sentita come insignificante: “a questo tende il piacere della droga, ossia al piacere dell’anestesia, a null’altro”. Per quanto riguarda le droghe eccitanti: “sembra che i consumatori di ecstasy siano alla ricerca di una riduzione delle barriere che nella nostra cultura rendono così difficile la comunicazione: artificiale in pubblico e noiosa e ripetitiva nel privato”. La sempre più diffusa assunzione di cocaina nasce invece dall’ansia parossistica di prestazione, di spirito di iniziativa e dal senso di scacco e di fallimento che spesso deriva dal sentirsi inadeguati ai paradigmi di efficienza di questa società. “Quel che resta da capire è la forma assunta dalla nostra vita che il drogato rifiuta”. Ecco poi i casi estremi, coloro che, non sapendo gestire le emozioni e verbalizzarle, ricorrono all’omicidio o al suicidio (seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali, per i giovani al di sotto dei 25 anni) oppure a gesti senza movente, come il lancio dei sassi dai cavalcavia, gesti che vengono prima della logica e della relazione causa-effetto e, per poter dialogare con chi li commette, è necessario che venga prima di tutto capita da questi giovani la differenza tra la vita e la morte. “ Impossibilitati a dominare il tempo inscrivendolo in una rappresentazione di senso, i giovani d’oggi, dopo aver rinunciato alla meta, sanno guardare in faccia l’indecifrabilità del destino, rifiutando quei cascami irradiati da un destino risolto in benevola provvidenza ” L’etica del viandante è l’unica che possiamo prospettare e che possa corrispondere a questa nuova lettura del mondo e della vita. Attesa e speranza, i messaggi utili da lanciare alle giovani generazioni, coscienti che la loro età non “è un transito” e che esiste un valore della giovinezza, un segreto che solo la pigrizia mentale dell’adulto non sa cogliere.
  • 9. “ There is no more miserable human being than one in whom nothing is habitual but indecision. ” James Joyce One of the most fascinating elements of “Eveline” in Dubliners, by James Joyce is the way the whole of a life is summarized through small images and the act of witness—both on the part of the reader as well as the character as this character offers a summary of important life events that culminate into one moment. While certainly the story of “Eveline” in “The Dubliners” by James Joyce culminates in her final decision not to leave that which is familiar, one could easily argue that this is not the emphasis of the story. The main point of this story in “Dubliners” by James Joyce rather seems to illustrate, through a short series of images and sensory details, the life of a common Dubliner. The first several paragraphs that introduce the character of Eveline are filled with vague, short, but somehow highly descriptive sensory details. The first paragraph, our first venture in Eveline’s world begins, “She sat at the window watching the evening invade the avenue. Her head was leaned against the window curtains and in her nostrils was the dusty odor of cretonne. She was tired.” In this first paragraph, most of the reader’s senses are immediately engaged. First of all, we are watching Eveline as she is watching the coming of evening and can see her head, almost the exact position of it, as it
  • 10. rests against the curtains. The idea of watching characters watch items of other people in their environment is a recurrent theme throughout Dubliners, and this is one of the many examples in which both the character and the reader are having a sort of simultaneous sensory experience. As we are watching Eveline as her head is resting and she watches evening, it becomes immediately clear that the process of “watching” here is more complex than it seems. Anxious, timid, scared, perhaps even terrified, all these describe Eveline. She is a frightened, indecisive young woman poised between her past and her future. Eveline loves her father but she's fearful of him. She tries to hold into good memories of her father, thinking “sometimes he could be very nice” but has seen what her father has done to her siblings when he would “hunt them in out of the field with his blackthorn stick”. As of late she has begun to feel “herself in danger of her father’s violence”. Eveline wants a new life but she's afraid to let go of her past. She dreams of a place where “people would treat her with respect” and when contemplating her future, hopes “to explore a new life with Frank”. When, in a moment of terror she realizes that “she must escape ” it seems to steal her determination to make a new home for herself elsewhere. On the other hand, she is comfortable with the “familiar objects from which she had never dreamed of being divided”. She rationalizes that: “In her home anyway she had shelter and food; she had those whom she had known all her life about her”. As she reflects on her past she discovers “now that she was about to leave it she did not find it a wholly undesirable life”. Eveline thinks she loves Frank but she's apprehensive about her future with him. She likes Frank; she thinks he “was very kind, manly, open-hearted”. She wants to believe in Frank; to believe that “he would give her life, perhaps love, too”. However, she is riddled with self-doubt. She questions the validity of her decision to leave. Although “she consented to go away, to leave her home” She hesitates at the thought of living “in a distant unknown country” Although fear is not Eveline’s constant companion, it is a common one. A companion that contributes greatly to her lack of self-confidence. A companion that gives her fate over to a wavering will. Eveline’s indecision leads to a paralysis that dooms her to the fate she sought to avoid. Besides, “we know what happens to people who stay in the middle of the road. They get run over”.
  • 11. Questo percorso esistenziale che ho affrontato vuol mettere a nudo la più totale e precisa concezione che si può avere della vita stessa. L'interpretazione che le diamo può, inevitabilmente, comportarne l'andamento e di conseguenza le attribuiamo lo stampo "decisivo" in base alla nostra indole. Nonostante sia una mia visione personalissima dell'esistenza, spero che questo percorso possa, in qualche modo, far rendere conto a ogni individuo che, anche se, come afferma Pirandello, il mondo è totale finzione (facendo riferimento al Teatro) e dunque, siamo costretti a vivere una vita da "fantocci", è bene riscoprire la propria individualità cosicché si possa uscire da questo "schema" conformista che caratterizza la massa, e osservare lo spettacolo che ci riserva il mondo con i suoi attori migliori. Bibliografia  Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, tr. S. Giametta, nota di G. Colli (n. 48) 1977
  • 12.  Umberto Galimberti, L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 2007  James Joyce, Gente di Dublino (Dubliners, 1914), raccolta di 15 racconti  Andrea Camilleri, Biografia del figlio cambiato, Prima ed., collana Superpocket, Rizzoli, 2003 Sitografia  An Analysis of Eveline in the "Dubliners" by James Joyce http://www.articlemyriad.com/analysis- eveline-dubliners/  Andrea Camilleri, Biografia del figlio cambiato http://it.wikipedia.org/wiki/Biografia_del_figlio_cambiato