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OPERA ARMIDA BARELLI PROVINCIA AUTONOMA
DI TRENTO
CORSO PER OPERATORE SOCIO SANITARIO
SEDE DI LEVICO TERME
LEGISLAZIONE SOCIO-SANITARIA E
ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI SOCIO-
SANITARI – I PARTE
IL WELFARE STATE E LA SUA EVOLUZIONE
(Modulo Generale 5 – Unità Didattica 2)
A cura di: Maria Angela Zadra
Docente: Maria Maddalena Sarpedone
Data di pubblicazione: 28 novembre 2014
Materiale didattico ad uso interno
Opera Armida Barelli
Corso per Operatore Socio sanitario
Sede di Levico Terme
1
IL WELFARE STATE E LA SUA EVOLUZIONE
Con il termine di welfare state – tradotto come “stato assistenziale”, “stato di sicurezza sociale”,
“stato di benessere sociale”, “stato dei servizi sociali” – ci si riferisce ad un sistema politico-
amministrativo che assume come proprio compito specifico quello di soddisfare i bisogni sociali
fondamentali dei cittadini, in quanto riconosciuti come DIRITTI e come tali non soddisfabili dal
rapporto di libero mercato.
Nel sistema sociale così definito il benessere dei cittadini viene assicurato tramite un rapporto
equilibrato tra iniziative di mercato ed intervento dello stato, in modo tale da soddisfare tutte le
richieste sociali (previdenziali, assistenziali, sanitarie, occupazionali, abitative, formative,
culturali) della popolazione, senza distinzione di status o classe sociale di appartenenza.
Poiché il libero mercato è basato su una logica che tende a favorire le categorie sociali più forti
era inevitabile un intervento dello stato che riparasse le disuguaglianze prodotte dal mercato
capitalistico.
L’origine del welfare state in Europa, e quindi anche in Italia, coincide con il nascere dei primi
sistemi di assicurazione sociale (es. assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, contro le
malattie, contro la disoccupazione, la tutela pensionistica per la vecchiaia).
La prima assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, in Italia, è del 1898. Il suo
vero sviluppo, tuttavia, si è avuto nell’immediato dopoguerra, con l’affermarsi del diritto dei
cittadini alla protezione sociale.
Il primo a parlare di “diritto di cittadinanza” fu Marshall (1950) per indicare uno status
attribuito a tutti i membri di una comunità cosicché tutti quelli che lo possiedono sono uguali in
rapporto ai diritti ed ai doveri ad esso inerenti.
Tale principio si è poi esteso in Europa soprattutto per merito delle politiche sociali liberali
emergenti in Gran Bretagna, tese a garantire a tutti una soglia minima di sicurezza, ma anche per
merito delle politiche sociali di matrice socialista dei paesi scandinavi, basate sul principio
dell’uguaglianza.
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2
IL WELFARE IN ITALIA DALLE ORIGINI AL SECONDO DOPOGUERRA
Vediamo qual è stata la legislazione fondamentale in ambito sociale in Italia:
 Nel 1862 una legge annovera tra le opere pie “gli istituti di carità e beneficenza e qualsiasi
ente morale avente in tutto o in parte il fine di soccorrere le classi meno agiate, tanto in
stato di sanità che di malattia, di prestare loro assistenza, educarle, istruirle e avviarle a
qualche professione, arte o mestiere”. Questa legge aveva anche istituito dei controlli pubblici
sulle opere pie e fondato in ogni Comune una “congregazione di carità” con il compito di
amministrare i beni destinati ai poveri da parte di elargizioni private.
 Nel 1890 la cosiddetta “Legge Crispi” trasformò le opere pie in “istituzioni pubbliche di
beneficenza”, ma la funzione dello Stato, di fatto, si limitò ad un esercizio di polizia e di
controllo, che mirava all’emarginazione sociale e fisica degli indigenti, delegando invece alle
iniziative caritative di tipo confessionale una funzione stabile più ampia. Nel 1923 la
denominazione di IPB venne modificata in IPAB, avente funzione di aiutare i poveri nelle
forme previste dalla legge. La legge Crispi mantenne comunque inalterata la natura privatistica
della gestione delle IPB i cui obiettivi erano più l’isolamento della persona in stato di bisogno,
piuttosto che la sua emancipazione.
 Prima dell’avvento del fascismo il quadro della “beneficenza legale” appare questo:
 Prima di tutti intervengono le IPB che provvedono ai ricoveri, in base alle risorse
disponibili;
 In subordine intervengono le “congregazioni di carità” presenti in ogni Comune;
 Altrimenti interviene il Comune in cui la persona ha il “domicilio di soccorso” (ossia quello
nel quale il bisognoso dimora da almeno 5 anni – nel 1954 sono ridotti a 2);
 Se nemmeno il Comune può far fronte alle difficoltà interviene lo Stato direttamente.
Sull’impalcatura giuridica creata dalla Legge Crispi si è retta l’assistenza del nostro Paese fino
agli Anni ’70.
 Il periodo fascista, pur mettendo in atto tutta una serie di interventi massivi, non rompe con
la tradizione assistenziale confessionale e con la stipula del Concordato pattuisce una gestione
mediata dell’assistenza con la Chiesa. Cresce in questo periodo la funzione di controllo sociale
svolta dallo Stato, anche attraverso la costituzione di enti autarchici assistenziali e
previdenziali e di organismi locali di assistenza. Con la costituzione di enti nazionali si crea un
sistema di assistenza “specifica”, riservata, cioè, a diverse categorie ed in particolare:
 All’infanzia ed alla gioventù (ONMI e ONB);
 A settori della popolazione sociale ai margini (invalidi, orfani, anziani) per i quali lo
strumento principale di intervento è l’internamento coatto in istituzioni assistenziali.
 Nel 1937 gli ECA (Enti Comunali di Assistenza) sostituiscono le congregazioni di carità ed
hanno lo scopo di soccorrere i poveri del Comune, gli orfani, i minori abbandonati, i ciechi, ma
anche quello di offrire al regime una vera e propria schedatura degli strati meno abbienti
della popolazione attraverso gli “elenchi dei poveri” di ogni Comune.
 Dal 1890 agli albori dello Stato repubblicano il sistema assistenziale era così caratterizzato
da:
 Verticismo
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3
 Burocratismo (prevale la logica di funzionalità dell’ente)
 Categorizzazione dei soggetti assistiti
 Discrezionalità nell’erogazione delle prestazioni
 Custodialismo per la tutela dell’ordine pubblico
In campo sanitario, all’inizio del secolo, anche in relazione ai processi di industrializzazione e
modernizzazione, la domanda ha un andamento crescente, ma lo Stato si muove in una logica di
contenimento della domanda; l’assicurazione obbligatoria contro le malattie avviene solo nel 1939.
Il carattere dell’intervento statale, comunque è puramente RESIDUALE con particolare carattere
di SELETTIVITÀ.
Con l’approvazione della COSTITUZIONE l’intervento dello Stato diventa “garantista”, ossia tende
a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e riconosce il DIRITTO ALL’ASSISTENZA SOCIALE per quanti sono sprovvisti di
mezzi di sussistenza.
Art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese”.
Art. 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun
caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Art. 38: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria”. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento
professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o
integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera”.
Art. 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge
determina i programmi ed i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Nasce così un sistema sociale fondato su principi di uguaglianza e di tutela diretta dello Stato
(MODELLO ISTITUZIONALE).
Fino agli anni ’60, tuttavia, tale modello non riscontra nella realtà un’applicazione concreta; si
pensi che l’istituzione della scuola media obbligatoria per tutti risale al 1962 – la riforma degli
ospedali civili e psichiatrici al 1968 – la pensione sociale a tutti gli ultrasessantacinquenni
sprovvisti di mezzi al 1969.
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Gli anni ’70 hanno invece rappresentato un periodo di grande attività pubblica in campo sociale,
anche sotto la spinta di nuovi movimenti (studenti – operai – donne). Con l’avvio dell’attività
legislativa delle Regioni a statuto ordinario e con il decentramento delle funzioni socio-
assistenziali si è innescato un lento processo di cambiamento sociale, che garantisce una maggior
uguaglianza nell’erogazione delle prestazioni.
La constatazione, tuttavia, che le aspettative dei cittadini relativamente alla sicurezza del
reddito ed al miglioramento del livello di vita non riescono ad essere soddisfatte in modo completo
dallo Stato genera una sorta di insofferenza crescente nei confronti di quest’ultimo, con la
tendenza a rivendicare spazi di iniziativa privata per la difesa del benessere collettivo. Lo stato,
insomma, non sarebbe in grado di raggiungere gli obiettivi di egualitarismo propri del welfare e di
rispondere a canoni di efficienza accettabili.
Non si tratta, tuttavia, solo di un problema di carattere economico. Varie ricerche, infatti,
hanno rilevato il formarsi di NUOVE POVERTA’ legate non tanto a stati di indigenza economica,
ma a “mancato sviluppo” (es. la carenza di servizi per i bambini, gli anziani, per portatori di
handicap, …).
Queste condizioni si verificano soprattutto nelle zone ad alta urbanizzazione, dove con il crescere
del benessere economico si sono determinate nuove insoddisfazioni esistenziali che determinano
l’espandersi di fenomeni e comportamenti evasivi – uso di droga ed alcool – o violenti – criminalità
e terrorismo.
E’ proprio di fronte a queste povertà emergenti che lo Stato del benessere entra in crisi.
Per il superamento di questa crisi è necessario:
1. che gli operatori sociali contribuiscano ad individuare i veri bisogni degli utenti, distinguendoli
da quelli indotti dalla logica consumistica, in modo tale da perseguire il benessere collettivo
ed individuale;
2. che venga incentivata la partecipazione dei cittadini come soggetti attivi delle scelte che li
riguardano, attraverso una tutela sociale dei più deboli;
3. dare voce al privato sociale in modo tale che abbia un ruolo primario di promozione e controllo
sugli interventi in campo sociale.
NUOVI SCENARI DI WELFARE
La tendenza attuale è quella di cercare un mix tra liberalismo e socialismo. Le tendenze liberali
della Gran Bretagna, che rappresenta lo stato che primo tra tutti segna questa tendenza, vengono
tuttavia percorse anche dal governo italiano, nonostante non vi siano ancora delle leggi che
prevedano questa scelta.
Vi sono diversi fattori che spingono i sistemi di welfare nazionali a profonde riforme, primi tra
tutti i costi pubblici sempre crescenti: gli schemi tradizionali della protezione sociale non sono più
sostenibili in quanto mettono a repentaglio duramente le economie nazionali.
Nel campo del welfare non si può parlare di vero e proprio mercato, in quanto il ruolo dell’ente
pubblico è sempre stato predominante ed ha sempre rappresentato il perno di tutto il sistema.
Non esistendo, in questo ambito, una vera e propria concorrenza, di solito si parla di “quasi –
mercato”; chi acquista il maggior pacchetto di servizi, infatti, è ancora la pubblica
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amministrazione ed i clienti-consumatori non sono rappresentati dai cittadini, ma dai dirigenti
pubblici (cioè da coloro che appaltano tali servizi).
Un altro aspetto importante è rappresentato dal fatto che secondo molti il nuovo sistema di
welfare, improntato ad una logica di mercato, avrebbe portato, attraverso un efficace controllo
di tipo manageriale, ad un abbassamento notevole dei costi di produzione. In realtà questo non è
avvenuto, in quanto ciò che si è guadagnato in efficienza economica lo si è perso in qualità dei
servizi.
In base a recenti ricerche si è così potuto rilevare che non è realistico sostenere che i costi di
produzione dei servizi nel regime misto siano inferiori a quelli derivanti da una gestione totalmente
pubblica, in quanto questo avviene solamente quando non si considerano i cosiddetti “costi di
transazione”. Questi rappresentano i costi che la pubblica amministrazione deve impiegare per
controllare il sistema misto e si è visto che, salvo qualche fluttuazione, essi sono rimasti
pressoché invariati.
Non deve sorprendere che sia soprattutto nel campo del controllo che gli enti pubblici si
dimostrano sempre più preoccupati ed attenti, in quanto la loro responsabilità è quella di prevenire
ed eventualmente risolvere situazioni di abusi, maltrattamenti o incurie gravi. Tutto ciò espone le
istituzioni pubbliche a rischi ben più gravi delle ordinarie responsabilità assistenziali, sia da un
punto di vista legale, sia nei confronti della pubblica opinione.
Tale controllo fa sì che si vada nella direzione di una maggior burocratizzazione e
contestualmente ad una sempre maggiore standardizzazione delle procedure operative, al fine di
dimostrare formalmente la correttezza del proprio operato.
Ciononostante i cambiamenti che sono avvenuti in questi anni sono tali per cui non è pensabile il
ritorno ad un modello di stato sociale centrato esclusivamente sulla pubblica amministrazione.
Il decentramento e la destatalizzazione hanno portato ad un coinvolgimento sempre maggiore di
quelli che vengono chiamati il terzo ed il quarto settore.
TERZO SETTORE = con questo termine vengono designati il volontariato, la cooperazione, il
privato sociale
QUARTO SETTORE = con questo termine viene invece indicato tutto l’associazionismo familiare e
l’auto-aiuto
La liberalizzazione dei servizi e l’economia mista nell’assistenza rappresentano così una via senza
ritorno.
Un ulteriore passo avanti è rappresentato dal fatto che le azioni per il benessere dei cittadini non
costituiscono più un qualcosa che riguarda solo lo Stato o solo i privati che operano nel sociale, ma
che devono avere una struttura reticolare (network sociali). In questa nuova logica un ruolo
determinante viene assunto dagli UTENTI stessi, che precedentemente erano sempre stati
considerati esclusivamente dei destinatari delle politiche sociali e delle cure-prestazioni decise
altrove.
Abbiamo visto che quando si parla di erogazione di servizi alle persone non si può usare il termine
di “mercato” con la medesima accezione di quando si parla di produzione di merci o di prodotti
ordinari. In realtà il “mercato delle cure” è molto particolare e gli utenti-clienti non sempre
possono veramente scegliere le prestazioni che ritengono migliori.
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6
Il welfare mix apre delle nuove questioni anche da un punto di vista etico e deontologico. Gli
assistenti sociali hanno sempre svolto le loro funzioni facendo riferimento ad un preciso codice
deontologico professionale che, pur con qualche minima variazione da Paese a Paese, costituiva un
insieme unitario e coerente di principi.
Nel welfare mix l’etica appare frammentata in quanto la pluralità di soggetti coinvolti
nell’erogazione di servizi porta necessariamente con sé una serie nutrita di principi diversi, tutti
validi e tutti ugualmente legittimi.
L’esigenza diventa così quella di coinvolgere professionisti che abbiano una mentalità aperta e
flessibile e che siano capaci di formulare dei giudizi autonomi e di operare riflessioni “morali”.
CHE COS’E’ IL WELFARE MIX?
Per capire che cosa sia il welfare mix è necessario partire dalla crisi del modello neo-corporativo
di welfare state e di politica sociale che era stato teorizzato nel secondo dopoguerra e fino agli
anni Ottanta.
In questo modello:
1. il cittadino era visto come soggetto con determinati diritti-doveri solo se ed in quanto
appartenete allo Stato;
2. i diritti di cittadinanza sono definiti sull’asse Stato-individuo, senza mediazioni;
3. le politiche sociali sono espressione degli accordi tra stato e mercato, secondo una logica
di compensazione dei deficit di quest’ultimo.
Negli anni Ottanta questo modello è andato in crisi e si è fatta strada una nuova concezione di
cittadinanza basata invece sui seguenti assunti:
1. la cittadinanza non è più definita come appartenenza allo Stato dell’individuo, ma come
complesso di diritti-doveri dei “soggetti di cittadinanza”, siano essi individui o attori
collettivi;
2. le politiche sociali vengono definite non solo da accordi dello stato con attori di mercato,
ma in accordo anche con attori non di mercato, quali, ad esempio, le associazioni di
privato sociale;
3. le politiche sociali diventano così l’espressione di una redistribuzione delle iniziative tra un
numero di attori maggiore rispetto al modello precedente.
Gli attori che concorrono a produrre il benessere sono:
1. lo stato;
2. il mercato;
3. il terzo settore (privato sociale);
4. le reti informali (associazionismo, famiglie, etc..).
Anche la concezione di benessere viene a cambiare: esso non è più solo benessere materiale
(welfare), ma anche psico-culturale e relazionale (well-being) che deriva dalle sinergie e dalle
relazioni complesso dei quattro tipi di attori.
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7
Questo schema, tratto dal testo di P. Donati – F. Folgheraiter1
, ha una vasta portata storica,
infatti nella prima modernità il binomio Stato-mercato (G-A) si è assunto oneri che in precedenza
erano svolti dagli altri due attori (I-L).
Con la post-modernità le sfere di relazioni sociali I-L si sviluppano in modo imprevisto. Si scopre
così che i sistemi di protezione sociale si erano concentrati sul complesso A-G facendo ricorso a L
ed I solamente per scopi di supplenza allo Stato.
Nella società post-moderna questo non viene più accettato poiché I ed L rivendicano un ruolo che
non può essere un sottoprodotto delle relazioni A-G.
Il benessere, infatti, deve essere rappresentato dal prodotto delle interrelazioni fra A, G, I, L,
cioè tra quattro sfere fondamentali della società ed i relativi quattro tipi di attori.
1
P. Donati, F. Folgheraiter, Gli operatori sociali nel welfaremix, Erickson, Trento, 1999.
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8
BIBLIOGRAFIA
P. Donati, F. Folgheraiter, Gli operatori sociali nel welfare mix, Erickson, Trento, 1999
R. Maggian, Dispensa integrativa al testo “I servizi socio-assistenziali”, 2000, ed. NIS-Carocci,
Roma
R. Masini – L. Sanicola, Avviamento al servizio sociale, Nis, Roma, 1990
M. T. Zini – S. Miodini, Il gruppo, Carocci editore, Roma, 1999

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  • 1. OPERA ARMIDA BARELLI PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO CORSO PER OPERATORE SOCIO SANITARIO SEDE DI LEVICO TERME LEGISLAZIONE SOCIO-SANITARIA E ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI SOCIO- SANITARI – I PARTE IL WELFARE STATE E LA SUA EVOLUZIONE (Modulo Generale 5 – Unità Didattica 2) A cura di: Maria Angela Zadra Docente: Maria Maddalena Sarpedone Data di pubblicazione: 28 novembre 2014 Materiale didattico ad uso interno
  • 2. Opera Armida Barelli Corso per Operatore Socio sanitario Sede di Levico Terme 1 IL WELFARE STATE E LA SUA EVOLUZIONE Con il termine di welfare state – tradotto come “stato assistenziale”, “stato di sicurezza sociale”, “stato di benessere sociale”, “stato dei servizi sociali” – ci si riferisce ad un sistema politico- amministrativo che assume come proprio compito specifico quello di soddisfare i bisogni sociali fondamentali dei cittadini, in quanto riconosciuti come DIRITTI e come tali non soddisfabili dal rapporto di libero mercato. Nel sistema sociale così definito il benessere dei cittadini viene assicurato tramite un rapporto equilibrato tra iniziative di mercato ed intervento dello stato, in modo tale da soddisfare tutte le richieste sociali (previdenziali, assistenziali, sanitarie, occupazionali, abitative, formative, culturali) della popolazione, senza distinzione di status o classe sociale di appartenenza. Poiché il libero mercato è basato su una logica che tende a favorire le categorie sociali più forti era inevitabile un intervento dello stato che riparasse le disuguaglianze prodotte dal mercato capitalistico. L’origine del welfare state in Europa, e quindi anche in Italia, coincide con il nascere dei primi sistemi di assicurazione sociale (es. assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, contro le malattie, contro la disoccupazione, la tutela pensionistica per la vecchiaia). La prima assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, in Italia, è del 1898. Il suo vero sviluppo, tuttavia, si è avuto nell’immediato dopoguerra, con l’affermarsi del diritto dei cittadini alla protezione sociale. Il primo a parlare di “diritto di cittadinanza” fu Marshall (1950) per indicare uno status attribuito a tutti i membri di una comunità cosicché tutti quelli che lo possiedono sono uguali in rapporto ai diritti ed ai doveri ad esso inerenti. Tale principio si è poi esteso in Europa soprattutto per merito delle politiche sociali liberali emergenti in Gran Bretagna, tese a garantire a tutti una soglia minima di sicurezza, ma anche per merito delle politiche sociali di matrice socialista dei paesi scandinavi, basate sul principio dell’uguaglianza.
  • 3. Opera Armida Barelli Corso per Operatore Socio sanitario Sede di Levico Terme 2 IL WELFARE IN ITALIA DALLE ORIGINI AL SECONDO DOPOGUERRA Vediamo qual è stata la legislazione fondamentale in ambito sociale in Italia:  Nel 1862 una legge annovera tra le opere pie “gli istituti di carità e beneficenza e qualsiasi ente morale avente in tutto o in parte il fine di soccorrere le classi meno agiate, tanto in stato di sanità che di malattia, di prestare loro assistenza, educarle, istruirle e avviarle a qualche professione, arte o mestiere”. Questa legge aveva anche istituito dei controlli pubblici sulle opere pie e fondato in ogni Comune una “congregazione di carità” con il compito di amministrare i beni destinati ai poveri da parte di elargizioni private.  Nel 1890 la cosiddetta “Legge Crispi” trasformò le opere pie in “istituzioni pubbliche di beneficenza”, ma la funzione dello Stato, di fatto, si limitò ad un esercizio di polizia e di controllo, che mirava all’emarginazione sociale e fisica degli indigenti, delegando invece alle iniziative caritative di tipo confessionale una funzione stabile più ampia. Nel 1923 la denominazione di IPB venne modificata in IPAB, avente funzione di aiutare i poveri nelle forme previste dalla legge. La legge Crispi mantenne comunque inalterata la natura privatistica della gestione delle IPB i cui obiettivi erano più l’isolamento della persona in stato di bisogno, piuttosto che la sua emancipazione.  Prima dell’avvento del fascismo il quadro della “beneficenza legale” appare questo:  Prima di tutti intervengono le IPB che provvedono ai ricoveri, in base alle risorse disponibili;  In subordine intervengono le “congregazioni di carità” presenti in ogni Comune;  Altrimenti interviene il Comune in cui la persona ha il “domicilio di soccorso” (ossia quello nel quale il bisognoso dimora da almeno 5 anni – nel 1954 sono ridotti a 2);  Se nemmeno il Comune può far fronte alle difficoltà interviene lo Stato direttamente. Sull’impalcatura giuridica creata dalla Legge Crispi si è retta l’assistenza del nostro Paese fino agli Anni ’70.  Il periodo fascista, pur mettendo in atto tutta una serie di interventi massivi, non rompe con la tradizione assistenziale confessionale e con la stipula del Concordato pattuisce una gestione mediata dell’assistenza con la Chiesa. Cresce in questo periodo la funzione di controllo sociale svolta dallo Stato, anche attraverso la costituzione di enti autarchici assistenziali e previdenziali e di organismi locali di assistenza. Con la costituzione di enti nazionali si crea un sistema di assistenza “specifica”, riservata, cioè, a diverse categorie ed in particolare:  All’infanzia ed alla gioventù (ONMI e ONB);  A settori della popolazione sociale ai margini (invalidi, orfani, anziani) per i quali lo strumento principale di intervento è l’internamento coatto in istituzioni assistenziali.  Nel 1937 gli ECA (Enti Comunali di Assistenza) sostituiscono le congregazioni di carità ed hanno lo scopo di soccorrere i poveri del Comune, gli orfani, i minori abbandonati, i ciechi, ma anche quello di offrire al regime una vera e propria schedatura degli strati meno abbienti della popolazione attraverso gli “elenchi dei poveri” di ogni Comune.  Dal 1890 agli albori dello Stato repubblicano il sistema assistenziale era così caratterizzato da:  Verticismo
  • 4. Opera Armida Barelli Corso per Operatore Socio sanitario Sede di Levico Terme 3  Burocratismo (prevale la logica di funzionalità dell’ente)  Categorizzazione dei soggetti assistiti  Discrezionalità nell’erogazione delle prestazioni  Custodialismo per la tutela dell’ordine pubblico In campo sanitario, all’inizio del secolo, anche in relazione ai processi di industrializzazione e modernizzazione, la domanda ha un andamento crescente, ma lo Stato si muove in una logica di contenimento della domanda; l’assicurazione obbligatoria contro le malattie avviene solo nel 1939. Il carattere dell’intervento statale, comunque è puramente RESIDUALE con particolare carattere di SELETTIVITÀ. Con l’approvazione della COSTITUZIONE l’intervento dello Stato diventa “garantista”, ossia tende a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e riconosce il DIRITTO ALL’ASSISTENZA SOCIALE per quanti sono sprovvisti di mezzi di sussistenza. Art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Art. 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Art. 38: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera”. Art. 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi ed i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Nasce così un sistema sociale fondato su principi di uguaglianza e di tutela diretta dello Stato (MODELLO ISTITUZIONALE). Fino agli anni ’60, tuttavia, tale modello non riscontra nella realtà un’applicazione concreta; si pensi che l’istituzione della scuola media obbligatoria per tutti risale al 1962 – la riforma degli ospedali civili e psichiatrici al 1968 – la pensione sociale a tutti gli ultrasessantacinquenni sprovvisti di mezzi al 1969.
  • 5. Opera Armida Barelli Corso per Operatore Socio sanitario Sede di Levico Terme 4 Gli anni ’70 hanno invece rappresentato un periodo di grande attività pubblica in campo sociale, anche sotto la spinta di nuovi movimenti (studenti – operai – donne). Con l’avvio dell’attività legislativa delle Regioni a statuto ordinario e con il decentramento delle funzioni socio- assistenziali si è innescato un lento processo di cambiamento sociale, che garantisce una maggior uguaglianza nell’erogazione delle prestazioni. La constatazione, tuttavia, che le aspettative dei cittadini relativamente alla sicurezza del reddito ed al miglioramento del livello di vita non riescono ad essere soddisfatte in modo completo dallo Stato genera una sorta di insofferenza crescente nei confronti di quest’ultimo, con la tendenza a rivendicare spazi di iniziativa privata per la difesa del benessere collettivo. Lo stato, insomma, non sarebbe in grado di raggiungere gli obiettivi di egualitarismo propri del welfare e di rispondere a canoni di efficienza accettabili. Non si tratta, tuttavia, solo di un problema di carattere economico. Varie ricerche, infatti, hanno rilevato il formarsi di NUOVE POVERTA’ legate non tanto a stati di indigenza economica, ma a “mancato sviluppo” (es. la carenza di servizi per i bambini, gli anziani, per portatori di handicap, …). Queste condizioni si verificano soprattutto nelle zone ad alta urbanizzazione, dove con il crescere del benessere economico si sono determinate nuove insoddisfazioni esistenziali che determinano l’espandersi di fenomeni e comportamenti evasivi – uso di droga ed alcool – o violenti – criminalità e terrorismo. E’ proprio di fronte a queste povertà emergenti che lo Stato del benessere entra in crisi. Per il superamento di questa crisi è necessario: 1. che gli operatori sociali contribuiscano ad individuare i veri bisogni degli utenti, distinguendoli da quelli indotti dalla logica consumistica, in modo tale da perseguire il benessere collettivo ed individuale; 2. che venga incentivata la partecipazione dei cittadini come soggetti attivi delle scelte che li riguardano, attraverso una tutela sociale dei più deboli; 3. dare voce al privato sociale in modo tale che abbia un ruolo primario di promozione e controllo sugli interventi in campo sociale. NUOVI SCENARI DI WELFARE La tendenza attuale è quella di cercare un mix tra liberalismo e socialismo. Le tendenze liberali della Gran Bretagna, che rappresenta lo stato che primo tra tutti segna questa tendenza, vengono tuttavia percorse anche dal governo italiano, nonostante non vi siano ancora delle leggi che prevedano questa scelta. Vi sono diversi fattori che spingono i sistemi di welfare nazionali a profonde riforme, primi tra tutti i costi pubblici sempre crescenti: gli schemi tradizionali della protezione sociale non sono più sostenibili in quanto mettono a repentaglio duramente le economie nazionali. Nel campo del welfare non si può parlare di vero e proprio mercato, in quanto il ruolo dell’ente pubblico è sempre stato predominante ed ha sempre rappresentato il perno di tutto il sistema. Non esistendo, in questo ambito, una vera e propria concorrenza, di solito si parla di “quasi – mercato”; chi acquista il maggior pacchetto di servizi, infatti, è ancora la pubblica
  • 6. Opera Armida Barelli Corso per Operatore Socio sanitario Sede di Levico Terme 5 amministrazione ed i clienti-consumatori non sono rappresentati dai cittadini, ma dai dirigenti pubblici (cioè da coloro che appaltano tali servizi). Un altro aspetto importante è rappresentato dal fatto che secondo molti il nuovo sistema di welfare, improntato ad una logica di mercato, avrebbe portato, attraverso un efficace controllo di tipo manageriale, ad un abbassamento notevole dei costi di produzione. In realtà questo non è avvenuto, in quanto ciò che si è guadagnato in efficienza economica lo si è perso in qualità dei servizi. In base a recenti ricerche si è così potuto rilevare che non è realistico sostenere che i costi di produzione dei servizi nel regime misto siano inferiori a quelli derivanti da una gestione totalmente pubblica, in quanto questo avviene solamente quando non si considerano i cosiddetti “costi di transazione”. Questi rappresentano i costi che la pubblica amministrazione deve impiegare per controllare il sistema misto e si è visto che, salvo qualche fluttuazione, essi sono rimasti pressoché invariati. Non deve sorprendere che sia soprattutto nel campo del controllo che gli enti pubblici si dimostrano sempre più preoccupati ed attenti, in quanto la loro responsabilità è quella di prevenire ed eventualmente risolvere situazioni di abusi, maltrattamenti o incurie gravi. Tutto ciò espone le istituzioni pubbliche a rischi ben più gravi delle ordinarie responsabilità assistenziali, sia da un punto di vista legale, sia nei confronti della pubblica opinione. Tale controllo fa sì che si vada nella direzione di una maggior burocratizzazione e contestualmente ad una sempre maggiore standardizzazione delle procedure operative, al fine di dimostrare formalmente la correttezza del proprio operato. Ciononostante i cambiamenti che sono avvenuti in questi anni sono tali per cui non è pensabile il ritorno ad un modello di stato sociale centrato esclusivamente sulla pubblica amministrazione. Il decentramento e la destatalizzazione hanno portato ad un coinvolgimento sempre maggiore di quelli che vengono chiamati il terzo ed il quarto settore. TERZO SETTORE = con questo termine vengono designati il volontariato, la cooperazione, il privato sociale QUARTO SETTORE = con questo termine viene invece indicato tutto l’associazionismo familiare e l’auto-aiuto La liberalizzazione dei servizi e l’economia mista nell’assistenza rappresentano così una via senza ritorno. Un ulteriore passo avanti è rappresentato dal fatto che le azioni per il benessere dei cittadini non costituiscono più un qualcosa che riguarda solo lo Stato o solo i privati che operano nel sociale, ma che devono avere una struttura reticolare (network sociali). In questa nuova logica un ruolo determinante viene assunto dagli UTENTI stessi, che precedentemente erano sempre stati considerati esclusivamente dei destinatari delle politiche sociali e delle cure-prestazioni decise altrove. Abbiamo visto che quando si parla di erogazione di servizi alle persone non si può usare il termine di “mercato” con la medesima accezione di quando si parla di produzione di merci o di prodotti ordinari. In realtà il “mercato delle cure” è molto particolare e gli utenti-clienti non sempre possono veramente scegliere le prestazioni che ritengono migliori.
  • 7. Opera Armida Barelli Corso per Operatore Socio sanitario Sede di Levico Terme 6 Il welfare mix apre delle nuove questioni anche da un punto di vista etico e deontologico. Gli assistenti sociali hanno sempre svolto le loro funzioni facendo riferimento ad un preciso codice deontologico professionale che, pur con qualche minima variazione da Paese a Paese, costituiva un insieme unitario e coerente di principi. Nel welfare mix l’etica appare frammentata in quanto la pluralità di soggetti coinvolti nell’erogazione di servizi porta necessariamente con sé una serie nutrita di principi diversi, tutti validi e tutti ugualmente legittimi. L’esigenza diventa così quella di coinvolgere professionisti che abbiano una mentalità aperta e flessibile e che siano capaci di formulare dei giudizi autonomi e di operare riflessioni “morali”. CHE COS’E’ IL WELFARE MIX? Per capire che cosa sia il welfare mix è necessario partire dalla crisi del modello neo-corporativo di welfare state e di politica sociale che era stato teorizzato nel secondo dopoguerra e fino agli anni Ottanta. In questo modello: 1. il cittadino era visto come soggetto con determinati diritti-doveri solo se ed in quanto appartenete allo Stato; 2. i diritti di cittadinanza sono definiti sull’asse Stato-individuo, senza mediazioni; 3. le politiche sociali sono espressione degli accordi tra stato e mercato, secondo una logica di compensazione dei deficit di quest’ultimo. Negli anni Ottanta questo modello è andato in crisi e si è fatta strada una nuova concezione di cittadinanza basata invece sui seguenti assunti: 1. la cittadinanza non è più definita come appartenenza allo Stato dell’individuo, ma come complesso di diritti-doveri dei “soggetti di cittadinanza”, siano essi individui o attori collettivi; 2. le politiche sociali vengono definite non solo da accordi dello stato con attori di mercato, ma in accordo anche con attori non di mercato, quali, ad esempio, le associazioni di privato sociale; 3. le politiche sociali diventano così l’espressione di una redistribuzione delle iniziative tra un numero di attori maggiore rispetto al modello precedente. Gli attori che concorrono a produrre il benessere sono: 1. lo stato; 2. il mercato; 3. il terzo settore (privato sociale); 4. le reti informali (associazionismo, famiglie, etc..). Anche la concezione di benessere viene a cambiare: esso non è più solo benessere materiale (welfare), ma anche psico-culturale e relazionale (well-being) che deriva dalle sinergie e dalle relazioni complesso dei quattro tipi di attori.
  • 8. Opera Armida Barelli Corso per Operatore Socio sanitario Sede di Levico Terme 7 Questo schema, tratto dal testo di P. Donati – F. Folgheraiter1 , ha una vasta portata storica, infatti nella prima modernità il binomio Stato-mercato (G-A) si è assunto oneri che in precedenza erano svolti dagli altri due attori (I-L). Con la post-modernità le sfere di relazioni sociali I-L si sviluppano in modo imprevisto. Si scopre così che i sistemi di protezione sociale si erano concentrati sul complesso A-G facendo ricorso a L ed I solamente per scopi di supplenza allo Stato. Nella società post-moderna questo non viene più accettato poiché I ed L rivendicano un ruolo che non può essere un sottoprodotto delle relazioni A-G. Il benessere, infatti, deve essere rappresentato dal prodotto delle interrelazioni fra A, G, I, L, cioè tra quattro sfere fondamentali della società ed i relativi quattro tipi di attori. 1 P. Donati, F. Folgheraiter, Gli operatori sociali nel welfaremix, Erickson, Trento, 1999.
  • 9. Opera Armida Barelli Corso per Operatore Socio sanitario Sede di Levico Terme 8 BIBLIOGRAFIA P. Donati, F. Folgheraiter, Gli operatori sociali nel welfare mix, Erickson, Trento, 1999 R. Maggian, Dispensa integrativa al testo “I servizi socio-assistenziali”, 2000, ed. NIS-Carocci, Roma R. Masini – L. Sanicola, Avviamento al servizio sociale, Nis, Roma, 1990 M. T. Zini – S. Miodini, Il gruppo, Carocci editore, Roma, 1999