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ALMAMATER STUDIORUM
UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI
CORSO DI LAUREA IN
CULTURE E TECNICHE DELLA MODA
LA MODA CHE VIVE DUE VOLTE
Abiti vintage fra memoria e business
Studio del caso aziendale A.N.G.E.L.O. Srl
Relazione finale in Organizzazione del sistema moda
PRESENTATA DA RELATORE
GRAZIA FALSONE LUCA FABBRI
SESSIONE III
ANNO ACCADEMICO 2015/2016
2
3
Indice
Introduzione 5
1. Passato, usato, vissuto. 8
Fenomenologia del vintage dai revivals ottocenteschi agli anni Duemila
1.1 In principio c’erano i revivals 10
1.2 L’abito usato fra risparmio e protesta 11
1.3 Gli albori del vintage 12
1.4 “Revivals” postmoderni e vintage marketing 14
1.5 Quando una passione diventa business: il Vintage Palace di Angelo Caroli 16
2. Il negozio di vintage 22
2.1 Il cliente di vintage 27
2.2 Shopping esperienziale 29
2.3 L’importanza della vetrina 37
2.4 Reperimento capi e riassortimento 40
3. L’Archivio di ricerca. Un enorme patrimonio culturale 42
3.1 Ricerca stilistica 46
3.2 Redazionali e fashion editorials 49
3.3 Mostre 53
4. Altre realtà distributive 57
4.1 A.N.G.E.L.O. Vintage Lab 58
4.2 I temporary shops 59
4.3 Le fiere 62
4.3.1 A.N.G.E.L.O e Pitti 65
4.3.2 Milano Vintage Week 66
4.4 Vintage 2.0 68
4.4.1 Sito aziendale ed e-shop 70
4.4.2 Le partnership 75
4.4.3 Nuove piattaforme di vendita: Depop 78
Conclusioni 81
Bibliografia & sitografia 82
4
5
Introduzione
Che la moda sia legata alla riproposizione di forme e stili già sperimentati in passato, oggi più che
mai è una realtà evidente. La progettazione delle collezioni stagionali prevede un attento studio
delle caratteristiche, che attingono alla sfera del colore, del tessuto, del taglio e della forma, scelte
ed interpretate negli abiti in un pastiche di passato e presente, che mira ad essere sempre in linea
con lo stile del marchio. Questa operazione di recupero, tuttavia, non ha certo origini recenti. Lo
sguardo al passato come fonte di ispirazione è sempre stato alla base del fare creativo, con modalità
e intenti diversi a seconda delle situazioni e del periodo storico. Basti pensare al ritorno in auge di
modelli vestimentari provenienti dall’immaginario classico greco-romano adottati nel periodo del
Direttorio francese tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento; riproposti con elementi di
novità da stilisti di inizio Novecento; rivisitati da molti fashion designer contemporanei che ne
inseriscono qualche variante quasi ogni anno nelle collezioni Primavera/Estate.
Ciò che si è evoluto - o involuto? - col passare del tempo, è stato il ritmo di rinnovamento delle
mode, che da fenomeni di costume di una certa portata e durata, sono diventate sempre più
effimere, sempre più fads1
. Se in origine il sistema moda prevedeva l’uscita di due collezioni
all’anno, da qualche decennio molti brand hanno lanciato anche le pre-collezioni e le capsule. Le
prime sono nate per soddisfare il guardaroba dei consumatori abbienti, intenzionati ad andare in
vacanza in zone costiere o verso luoghi esotici durante i mesi invernali, e vengono presentate in
anticipo rispetto alle classiche settimane della moda; le capsule collections, invece, possono essere
sviluppate in qualsiasi momento della stagione e si compongono generalmente di pochi pezzi,
caratterizzati da un concept o un tema ben definito2
. Queste nuove linee sono, in parte, una risposta
all’offensiva dei marchi di abbigliamento low cost, che offrono un continuo ricambio dei prodotti di
moda, stimolandone un consumo frequente. Etichettati come fast fashion3
brands dagli anni
Novanta, tali marchi assorbono le nuove tendenze proposte sulle passerelle delle capitali del fashion
system, e si ispirano a queste per la creazione delle loro linee. Il concetto di base è proporre capi alla
moda a prezzi accessibili, con un riassortimento rapido ed un altrettanto rapido rinnovo delle
proposte nel giro di poche settimane. Il connubio di prezzo ridotto e forte componente moda ha
avuto negli anni un successo enorme, tanto che molte aziende sono diventate dei veri e propri
colossi del fast fashion, con negozi sparsi in tutto il mondo. Da un lato si è assistito ad una
democratizzazione della moda, che non preclude più la possibilità di indossare un capo di tendenza
1
Fad: in italiano si traduce come “moda passeggera” e anche “capriccio”, significati che esplicitano chiaramente il
mutare repentino delle tendenze al giorno d’oggi. [Fonte: Dizionario online Wordreference]
2
S. Ironico, Fashion Management. Mercati, consumatori, tendenze e strategie di marca nel settore moda, Franco
Angeli, Milano 2014, p. 126.
3
E. Casu, Fast Fashion, 2011 [http://www.vogue.it/news/encyclo/moda/f/fast-fashion]
6
a chi non è intenzionato a spendere somme impegnative, o non ne ha la possibilità; dall’altro lato,
però, la diffusione a macchia d’olio di queste catene d’abbigliamento, e il conseguente acquisto di
capi assolutamente identici da parte di un elevato numero di persone, ha portato ad un parziale
livellamento della personalità individuale espressa attraverso gli indumenti.
In questo contesto, ha cominciato a prendere piede un fenomeno che, comparso negli anni Sessanta
come interesse verso l’abbigliamento di seconda mano, dalla fine del secolo scorso è diventato
volontà di recupero del passato di qualità, desiderio di rifuggire l’omologazione forzata del mercato
per imporre un’identità propria: il vintage4
.
Nonostante oggi sia un termine entrato nel lessico corrente, il significato di “vintage” a molti non è
ancora ben chiaro, e persino fra le fila degli addetti del settore moda viene talora utilizzato
impropriamente. C’è chi pensa si usi per identificare semplicemente qualcosa di vecchio, o vecchio
e usato, vecchio perché usato, usato quindi sicuramente usurato, e vintage come sinonimo di rétro.
Io stessa ammetto che prima di cominciare il mio percorso universitario non ero pienamente a
conoscenza delle sfumature di questa parola. Col tempo, oltre ad averne appreso il significato
etimologico e ad avere studiato le vicende storiche che ne hanno influenzato lo sviluppo, mi sono
appassionata e ho cominciato a frequentare qualche fiera dedicata. L’interesse immediato credo sia
stato legato, in parte, al fatto che fin da piccola sono stata abituata da mia mamma ad usufruire di
vari capi di seconda mano, ceduti da mie amiche più grandi, non disdegnandoli solo perché già
indossati da loro, anzi, spesso trovavo capi che mi piacevano molto di più rispetto a quelli scelti da
me in negozio, e mi sentivo estremamente fortunata. Crescendo, questa propensione non si è estinta,
e in questi anni il confronto col vintage si è rivelato per me una grande scoperta.
Ho deciso di intitolare questa tesi “La moda che vive due volte” perché il mio primo approccio
consapevole al vintage è avvenuto in occasione della fiera di Forlì, che porta questo nome, ma
anche perché trovo che esprima con grande profondità l’essenza che lo caratterizza. Alcuni prodotti
di ieri sono stati in grado di suscitare sensazioni ed emozioni così vive nel ricordo comune, tanto da
arrivare immutate fino ai giorni nostri; la loro storia vive due volte: la prima quando il modello è
stato concepito prodotto e immesso sul mercato e la seconda quando il mito ritorna e dialoga con il
presente. “Vintage” non è un’etichetta che qualifica un abito come vecchio in senso assoluto, né
come necessariamente usato, e non si riferisce indistintamente a tutta la produzione passata. Devono
trascorrere almeno vent’anni prima che un capo possa insignirsi di questo appellativo, dopo di ché il
suo valore risiederà nell’essere in grado di testimoniare lo stile di un’epoca, nella qualità dei
materiali con cui è stato prodotto, nella sua capacità di riportare alla mente sensazioni e immagini
4
I. Silvestri, Comprendere e conservare il vintage e la sua riproposta nella moda contemporanea, in Iolanda Silvestri
(a cura di), Vintage. La memoria della moda, Editrice Compositori, Bologna 2010, pp. 11-21.
7
Interviste effettuate:
legate ad un passato da non dimenticare, che si mescola al tempo presente.
Negli anni Duemila il fenomeno del vintage si è intensificato in tutto il mondo, interagendo su più
livelli con la moda contemporanea. Tutta la recente produzione che attraverso l’uso di certi elementi
rimanda a periodi trascorsi, spesso sotto forma di riedizione del modello originale o in chiave di
restyling, non è vintage ma rétro, e nel vintage trova una continua fonte d’ispirazione.
In linea con l’estensione dell’interesse per questo tipo di mercato, è parzialmente mutato anche il
sentimento delle persone nei confronti dei suoi prodotti e, di conseguenza, il costo della merce e le
realtà commerciali legate al vintage.
Il primo capitolo del mio elaborato si propone di offrire una parentesi storica, seppure ridotta, dei
fenomeni che hanno portato alla nascita del vintage, a cominciare dalle prime note reviviscenze nel
campo della moda, quando questo termine non esisteva, ma il fascino del passato legato all’abito
era già un aspetto concreto. Partendo da un excursus sui revival ottocenteschi, ho poi affrontato la
questione della diffusione dell’abbigliamento usato a cavallo degli anni Sessanta, pratica che ha
influenzato profondamente i decenni a seguire, e ha posto le basi per l’espansione di una forma di
recupero della moda che oggi rappresenta, su tutte, una scelta di stile. In chiusura di capitolo si apre
la strada all’argomento vero e proprio della mia tesi, sviluppato nei capitoli successivi, ovvero
l’analisi di un caso aziendale legato al vintage. Ho affrontato lo studio specifico di un’azienda che
ha fondato la sua storia, e vive il suo presente, nella passione per il recupero e la valorizzazione
della memoria, e ha realizzato attorno ad essi un modello di successo. L’azienda in questione è
A.N.G.E.L.O. Srl di Lugo, in provincia di Ravenna, pioniere per il settore dell’abbigliamento
vintage, che oggi ne riveste un ruolo di primissima importanza, presso la quale ho avuto il piacere
di svolgere un periodo di tirocinio curriculare di tre mesi. Sono venuta a conoscenza di questa
azienda proprio in occasione della già citata fiera del vintage di Forlì, e il forte desiderio di
approfondire le mie conoscenze facendo esperienza sul campo mi ha spinta a prediligerla quando è
stato il momento di fare domanda per il tirocinio universitario. Durante la mia permanenza mi sono
appassionata molto a quell’ambiente e al lavoro che vi sta dietro, tanto da decidere di farne
l’argomento della mia relazione finale. Nella stesura ho passato in rassegna i vari reparti che
compongono l’azienda, riportando le interviste ai responsabili
che ho realizzato fra novembre e dicembre 2016 (vedi legenda
“interviste effettuate”). L’intento che ha guidato questo lavoro è
stato esplicare come oggi si declinano le attività legate al vintage
all’interno di un esercizio commerciale che investendo su una
grande passione si è trasformato in business, ma continua ad abbracciare una forte dedizione per la
salvaguardia della memoria della moda, che è storia e, in quanto tale, memoria di tutti noi.
sigla descrizione
TA
RN
RA
RO
Titolare dell’azienda
Responsabile negozio
Responsabile dell’archivio
Responsabile dell’online
8
1. Passato, usato, vissuto.
Fenomenologia del vintage dai revivals ottocenteschi agli anni Duemila
Prima di diventare un fenomeno di portata globale, il recupero materiale del passato non era guidato
dalla consapevolezza di un valore dell’abito che prescindesse da caratteristiche legate alla
stagionalità della moda; pertanto l’importanza culturale degli indumenti d’altri tempi non era tenuta
in seria considerazione, e l’usato veniva prediletto più per convenienza che per attrazione estetica.
A metà degli anni Ottanta l’introduzione del termine “vintage”, diventato noto e di uso corrente
soprattutto durante gli anni Novanta, favorì una progressiva rivalutazione dell’abbigliamento datato,
giudicato ricco di fascino poiché fortemente intriso di tradizione, fatto di tessuti e caratterizzato da
tagli e dettagli di un epoca superata ma da non dimenticare5
. Il termine “vintage”, dal francese
antico vendenge “vendemmia”, che a sua volta deriva dal latino vindemia, è nato nel mondo del
vino per designare l’anno di raccolta dell’uva. “The 1964 vintage” significa “vino dell’annata
1964”6
. Dall’indicare le annate migliori dei prodotti vinicoli, il termine ha trovato poi applicazione
nel campo delle auto, dei mobili e successivamente degli abiti, per esaltarne un valore, non più
legato ad una data precisa, ma ad un periodo storico espresso in termini di qualità e di uno stile
riconoscibile. Gli abiti non recenti sono diventati desiderabili proprio in quanto d’annata e perciò
rappresentativi di una fase trascorsa della moda giudicata qualitativamente elevata7
. Da quel
momento in poi l’interesse per certi capi, che prima sembravano perdere attrattiva in virtù dello
scorrere del tempo, ha cominciato a farsi strada, ed è gradualmente emersa la necessità di
conservarli e dare loro nuova vita.
Tutto il discorso circa la recente riscoperta di un passato di valore, e l’avvento del vintage sulla
scena mondiale, non può prescindere dal riferimento storico a quelle che sono state le prime
reviviscenze nel campo della moda, come il recupero della classicità ad inizio Ottocento, e il
successivo interesse per il mondo medievale, che hanno riportato in auge forme e accostamenti in
uso nel passato, seppure con uno spirito diverso rispetto a quello contemporaneo. Dietro a simili
revivals, che mettevano in circolo stili ma non oggetti del passato, si celavano sapienti costruzioni
politiche e culturali legate a specifici ambienti e ai loro interessi8
.
Il revival del revival classico, e gli altri numerosi e periodici ritorni a forme passate, hanno dato
ulteriore prova del fatto che, nel suo perenne cambiamento, lo sguardo della moda si rivolge
ripetutamente al suo trascorso.
5
M. G. Muzzarelli, Breve storia della moda in Italia, Il Mulino, Bologna 2011, p. 127.
6
L. Gontier – J. Colleuille, Guida al vintage, Morellini, Milano 2007, p. 33.
7
M. G. Muzzarelli, Breve storia della moda in Italia , cit., p. 127.
8
M. G. Muzzarelli, Presentazione in Vintage. La memoria della moda, cit., p. 9.
9
Patrizia Calefato9
parla del rapporto tra il tempo e la moda riprendendo l’espressione coniata da
Walter Benjamin nota come Tigersprung, il “balzo di tigre”: «La moda costituisce un modello
esemplare del balzo di tigre: mentre sembriamo tutti chiamati a vivere in una “modernità” perenne
di cui la moda rappresenta una figura centrale perché ci detta l’ultima novità, la prospettiva del
“balzo di tigre” è invece quella che intende la moda come storia, come incarnazione dello spessore
del passato nel presente. Le attuali forme di riproduzione dei segni di moda sembrano confermare e
rafforzare questa immagine: la moda guarda infatti oggi sempre più al passato come riserva di
immagini e di citazioni che ritornano nel presente assumendo nuovi significati»10
.
Le origini più recenti della passione per il recupero che anima il vintage sono rintracciabili nella
pratica dell’usato, intesa come recupero selettivo di indumenti e oggetti passati che, seppure già
adoperati più o meno a lungo, mantengono un certo fascino agli occhi dei nuovi possessori. Questo
nuovo atteggiamento è stato il punto di arrivo di un processo evolutivo che ha origini antiche. Se
inizialmente l’interesse per l’usato era guidato da ragioni strettamente economiche, che per secoli
ne hanno trainato il commercio, nella seconda metà del Novecento ha assunto nuovi connotati e
significati. Fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta si è assistito ad una prima rivalutazione del
second hand da parte dei giovani, che ne hanno fatto un simbolo della protesta e
dell’emancipazione, in contraddizione con l’impero dell’alta moda. La popolarità degli stili di
strada nati fra i giovani, in risposta ad una moda che non li rappresentava, ben presto influenzò
proprio i grandi marchi, che svilupparono nuove creazioni ispirate dal basso e votate al casual. La
reale consapevolezza del valore culturale degli abiti del passato emerse sul finire degli anni Ottanta,
tradotta in un’attenzione particolare per le qualità materiali ed evocative del capo usato. Nel tempo
il fenomeno del Vintage ha gradualmente preso piede, anche in risposta alla moda di massa
propinata dai canali di vendita tradizionali. La svolta che ne ha determinato la popolarità su scala
mondiale, è la legittimazione a elemento fashion e distintivo, riconosciuta da addetti del settore
della moda, in particolare le stylist. L’assimilazione da parte del grande pubblico comincia grazie a
trampolini mediatici di un certo peso, come l’apparizione di Julia Roberts alla cerimonia degli
Oscar del 25 marzo 2001 in un abito Valentino del 199211
.
Oggi il vintage è una realtà affermata e molto composita che continua ad evolversi. La volontà di
andare controcorrente rispetto alla direzione generale del mercato, che aveva avvicinato i primi
9
Professore associato di sociolinguistica in diverse Facoltà dell’Università di Bari
(http://pcalefato.xoom.it/pcalefato/presentazione.htm)
10
P. Calefato (a cura di), Il vintage dell’immaginario: il tempo, la moda, i nuovi progetti, in “ZoneModa Journal”, n. 2,
2011, pp. 14-21.
11
F. Bolli, La celebrazione del vintage: il fenomeno mediatico, in Daniela Degl’Innocenti (a cura di), Vintage.
L’irresistibile fascino del vissuto, catalogo della mostra (Prato, Museo del Tessuto, 8 dicembre 2012 – 30 maggio
2013), Silvana Editoriale, Milano 2012, pp. 81-87.
10
compratori al prodotto vintage, è gradualmente sfumata in una scelta di tendenza. Il nuovo volto
glamour del vintage, ha favorito lo sviluppo di nuove imprese ed eventi legati a questo mercato, e la
consapevolezza dell’importanza culturale degli abiti è divenuta tale da incentivare la nascita di
numerosi archivi aziendali e di ricerca, serbatoi di un patrimonio materiale da preservare ed
inesauribile fonte di ispirazione per la creazione e la commercializzazione di nuove collezioni.
1.1 In principio c’erano i revivals
Con i revivals ottocenteschi la moda comincia a manifestare la sua natura profondamente ciclica.
Sebbene ad essere valorizzati non erano i capi antichi in sé, ma il loro stile riprodotto in esemplari
nuovi, essi hanno rappresentato le manifestazioni primordiali dell’enorme fascino che il passato ha
esercitato -ed esercita tuttora- sulla produzione umana, evolvendosi poi in vero e proprio riciclo di
capi e accessori originali.
Il primo revival della storia, o quantomeno il primo di cui si hanno ampie fonti, è quello votato alla
riscoperta del mondo classico agli inizi del XIX secolo. L’antico-mania che investì numerosi settori,
si diffuse nel periodo del Direttorio francese, e con Napoleone si espresse in quello che è rimasto
noto nei secoli come stile Impero. Il richiamo al passato era un modo per prendere le distanze dalla
Rivoluzione, volgendosi alla classicità greca e romana alla ricerca di nuovi ideali repubblicani e
patriottici12
.
Verso la metà dell’Ottocento al revival classico si sostituì quello medievale, nutrito dagli influssi
della cultura contemporanea, fortemente romantica, e dalla passione politica che animava i primi
movimenti d’indipendenza. La moda non fu certo immune all’ondata citazionista, seppure in
maniera limitata rispetto ad altri settori (specialmente l’architettura), anche se il gusto espresso
attraverso gli abiti era caratterizzato da elementi databili più al Cinquecento che al periodo
medievale.
Da quel momento i ritorni a mode passate si sono ripetuti periodicamente.
L’amore per la cultura classica greco-romana che animò il primissimo revival, ha trovato nuova vita
nel XX secolo, in quello che viene chiamato revival del revival. Nella Francia del primo Novecento,
Paul Poiret liberò la donna dagli stretti busti della moda Belle époque, creando abiti ispirati alla
moda francese di inizio Ottocento. L’ispirazione chiaramente neoclassica determinò la nascita
dell’appellativo Directoire Revival, riferito agli abiti da lui prodotti13
. L’operazione citazionista di
Poiret nasceva dal desiderio di rinnovare la moda su un piano puramente estetico, e non era
12
M. G. Muzzarelli, Breve storia della moda in Italia, cit., p. 120.
13
V. Maugeri – A. Paffumi, Storia della moda e del costume, Calderini, Milano 2005, p. 218.
11
alimentata da motivi politici e sociali. Anche Madeleine Vionnet qualche anno dopo iniziò a
progettare abiti morbidi la cui ispirazione sembrava collocarsi nel mondo classico, tanto che quando
apparvero si cominciò a parlare di robe à la greque, ma la chiave segreta dei suoi modelli erano la
geometria e il taglio in sbieco14
. In Italia fu Mariano Fortuny a dedicarsi al recupero dell’arte
classica, producendo tessuti e abiti destrutturati ispirati al mondo greco, con elementi di novità
come la plissettatura permanente della seta, brevettata in quegli anni15
.
Il percorso della moda, tutt’altro che lineare, per tutto il Novecento si è articolato in periodici ritorni
e rimandi ad una realtà vestimentaria pregressa, attraverso un uso più o meno consapevole della
storia. Si è assistito alla continua riproposizione di forme e stili già sperimentati in passato, ma
sempre con uno sguardo rivolto alla contemporaneità.
1.2 L’abito usato fra risparmio e protesta
La pratica dell’usato ha origini molto antiche. Nel Medioevo il commercio di abiti dismessi era in
mano alle corporazioni di rigattieri. Oltre a rappresentare la prima forma di “pronto moda”, a questo
mercato accedevano in prevalenza quelle classi sociali che non avevano la disponibilità economica
per acquistare tessuti nuovi o farsi confezionare dal sarto capi d’abbigliamento su misura16
.
Naturalmente non tutto l’usato rappresentava la possibilità di un risparmio, i capi di un certo valore,
infatti, lo mantenevano anche da usati, e ciò incentivava i possessori a rivenderli piuttosto che a
disfarsene.
La nascita dei grandi magazzini francesi nell’Ottocento costituì una soluzione per chi non poteva
avere accesso alle sartorie di lusso e non voleva fornirsi dai rigattieri o frequentare i mercati delle
pulci. L’offerta di abiti nuovi a buon prezzo rese meno necessario il ricorso al mercato dell’usato,
che tuttavia continuò ad esistere e ad essere frequentato da persone con scarsissima capacità di
spesa17
.
Solo durante la seconda metà del Novecento è mutata la concezione dell’abito di seconda mano,
visto per secoli come un tipo di abbigliamento destinato a persone poco abbienti, per assumere
nuovi significati, a partire dal suo utilizzo come strumento con cui veicolare messaggi sociali e
politici.
Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento l’usato assunse un valore completamente nuovo, e
diventò codice della cultura e della protesta giovanile. Il desiderio di apparire diversi dagli adulti, la
14
E. Morini, Storia della Moda. XVIII-XXI secolo, Skira, Milano 2010, p. 268-269.
15
M. G. Muzzarelli, Breve storia della moda in Italia, cit., p. 121.
16
D. Degl’Innocenti, Introduzione in Vintage. L’irresistibile fascino del vissuto, cit., pp. 12-14.
17
M. G. Muzzarelli, Breve storia della moda in Italia, cit., p. 127.
12
scelta di modelli culturali alternativi e di uno stile di vita meno formale di quello tradizionale
provocarono una sorta di rivoluzione nelle abitudini e nei canoni vestimentari18
. I giovani
reclamavano una moda semplice e democratica, rifiutando il modello rigido, lussuoso e ostentativo
proprio dell'haute couture, per promuovere nuovi valori quali l’abbandono delle convenzioni, la
libertà e il dinamismo. Gli abiti tornavano nuovamente in circolazione con una carica provocatoria
nuova, spesso stracciati e sbiaditi consentivano di andare contro le regole di decoro imposte dal
vestire tradizionale, e come nel caso dell' eskimo, degli scarponi e di alcuni capi di origine militare,
erano un modo per esprimere messaggi di protesta sociale19
.
Dopo gli anni Settanta, terminata la fase di maggiore fervore e vivacità dei movimenti di protesta, i
giovani continuarono a ricorrere all'impiego dell’usato e dell’abbigliamento del passato per
esprimere significati legati al cambiamento della società e alla libertà individuale20
.
Sebbene gli ideali che guidarono la valorizzazione di una moda “bassa”, col tempo si andarono
spegnendo, il tutto mise in discussione il primato dell’alta moda, e aprì la strada alla diffusione di
un abbigliamento di gusto giovanile che fu all’origine del prêt-à-porter griffato dei decenni
successivi.
1.3 Gli albori del vintage
«Quando ero giovane si diceva che ci si vestiva ‘all’usato’, negli anni Settanta non si conosceva la
parola ‘vintage’» Maria Luisa Frisa21
A partire dagli anni Settanta, il fascino degli stili promossi dalle subculture giovanili, influenzò
profondamente il sistema della moda dominante. I grandi marchi, attratti dalla popolarità e dalla
forza propulsiva della “moda di strada”, svilupparono linee d’abbigliamento ispirate ai linguaggi
delle “divise della protesta” come jeans, eskimo, parka, capi militari ed etnici22
. È proprio il jeans a
rompere le regole dell'eleganza e ad aprire le porte ad un nuovo genere: il “casual”, espressione di
un abbigliamento informale, comodo e personalizzabile23
. Da qui iniziò la trasformazione del
fenomeno. I magazzini e i mercatini dell’usato diventarono luoghi speciali dove il passato,
comunicato dai capi d’abbigliamento, non era solo una vantaggiosa forma di acquisto ma anche
fonte di fascinazione e creatività24
.
18
E. Morini, Uno stile della moda di oggi: il vintage in Vintage. La memoria della moda, cit., pp. 23-32.
19
M. Brunori, Riconoscere e conservare gli abiti del Novecento, ivi, pp. 39-52.
20
V. Codeluppi, I giovani e l’estetica dell’usato in Vintage. L’irresistibile fascino del vissuto, cit., pp. 41-47.
21
Direttore del Corso di laurea in Design della moda e Arti multimediali all’Università Iuav di Venezia e presidente di
MISA-Associazione Italiana degli Studi di Moda (http://www.iuav.it/Ateneo1/docenti/design-e-a/docenti-st/Maria-Luis/)
22
D. Degl’Innocenti, op. cit., pp. 12-14
23
D. Degl’Innocenti, ivi, p. 111.
24
Ibidem
13
Negli anni Ottanta il trionfo del prêt-à-porter griffato votato al casual fece balzare in secondo piano
la moda dell’usato, ma il nuovo volto che nel tempo era stato dato al second hand non si esaurì,
favorendo l’organizzazione sistematica di veri e propri archivi, oggetto di attenzione da parte del
pubblico di specialisti della moda.
Il gusto dell’usato, acquistò nuova fama grazie all’etichetta di “vintage”, diffusasi globalmente a
metà degli anni Ottanta. Questo nuovo termine, preso in prestito dal mondo dei vini di pregio, fu
adottato per indicare il particolare valore di abiti del passato, che rappresentavano una fase
importante della storia della moda. Il valore del capo non era più dettato dal costo, ma dal potere di
citazione. Vennero implementate le raccolte di genere militare, studiato soprattutto per i capi tecnici
e per la confezione, di abiti etnici interessanti per la struttura, il design tessile e gli effetti di ricamo,
di abiti e accessori dei brand storici della moda per l'immagine la confezione, ed infine di capi
griffati contemporanei per il vintage di domani25
.
Se inizialmente l’interesse per il pezzo d’annata coinvolse prevalentemente esperti del settore e
collezionisti, l’influsso dei media contribuì alla notorietà del vintage presso il grande pubblico. In
molti segnalano come trampolino mediatico per eccellenza il già citato 25 marzo 2001 quando, in
occasione della 73ma edizione degli Oscar, Julia Roberts ricevette la statuetta come miglior attrice
indossando un Valentino realizzato quasi dieci anni prima, nel 1992. Fu un evento molto incisivo
per il futuro successo del fenomeno. Una delle attrici più conosciute e seguite riceveva il premio più
prestigioso sfoggiando il glamour hollywoodiano con un abito che, non creato appositamente per
l’occasione e neppure da poco apparso sulle passerelle dell’alta moda, suggeriva l’idea di una scelta
voluta e consapevole verso un oggetto unico, capace di farsi ricordare nel tempo e quindi degno di
tornare al presente26
. Da quel momento innumerevoli personalità dello star system hanno cominciato
ad appassionarsi al vintage, e a sfoggiare abiti passati prodotti dalle grande maison, le cui immagini,
grazie alla rete, sono state diffuse rapidamente e altrettanto rapidamente assimilate dal grande
pubblico. La valorizzazione del passato di qualità, ha influenzato le stesse maison di moda, che
hanno colto l’importanza di ricostruire i propri archivi, e hanno cominciato a puntare su prodotti che
fossero il frutto di una ricerca sulle proprie origini, l’espressione di un’identità distinguibile e unica.
I capi d’annata sono diventati una fonte di ispirazione primaria per la progettazione delle nuove
linee e collezioni, un patrimonio da custodire e preservare.
Ad acuire il già avviato richiamo verso l’abbigliamento Vintage è stato indubbiamente, soprattutto
negli ultimi anni, il crescente desiderio di rifuggire l’omologazione promossa dalla fast fashion a
partire dagli anni Novanta. I marchi che ne fanno parte, proponendo un abbigliamento di tendenza,
25
D. Degl’Innocenti, ivi, pp. 11-14.
26
F. Bolli, op. cit., pp. 81-87
14
ma low cost, sono il principale punto di riferimento dei giovani per gli acquisti, inevitabilmente
attratti dal connubio di forte componente fashion e prezzo alla loro portata. La massiccia presenza
di punti vendita in tutto il mondo, e l’enorme disponibilità di pezzi in taglie e colori, se da un lato
hanno sancito la democratizzazione della moda, in quanto la possibilità di indossare un capo di
tendenza non è più stata preclusa a chi non era intenzionato a spendere somme impegnative, o non
ne aveva la possibilità, dall’altro hanno portato ad un parziale livellamento della personalità
individuale espressa attraverso gli indumenti. Anche per questo i canali di vendita
dell’abbigliamento usato si sono moltiplicati e specializzati, aumentando la possibilità di reperire
pezzi che, pur continuano a rappresentare un risparmio, sono scelti soprattutto perché massima
espressione di uno stile originale e personale, ma anche di tendenza.
1.4 “Revivals” postmoderni e vintage marketing
Se in altri momenti lo sguardo alla storia della moda era passato attraverso le lenti della nostalgia o
dell'ideologia politica e sociale, negli ultimi decenni questo sguardo al passato che prende il nome
di revival sembra non essere più di moda. L’evocazione di un’epoca attraverso un sistema
complesso di segni sembra cedere il posto a un vagare di segni irrelati dal punto di vista temporale.
Le caratteristiche di questo tipo di sguardo al passato rimandano immediatamente all’incarnazione
più visibile dell’atteggiamento cosiddetto postmoderno, cioè l’uso di elementi sintattici di linguaggi
passati appartenenti a epoche diverse27
. Se fino alla fine del Novecento era imperativo il
cambiamento veloce della moda, da allora in avanti il recupero della memoria e la sua permanenza,
reinterpretata in modo libero e autonomo, diventano una tendenza da seguire. Il riciclaggio creativo
e aggiornato del passato è la nuova regola della moda di oggi28
. Mode e tendenze provenienti da
ogni decennio del secolo scorso, e anche da epoche precedenti vengono continuamente analizzate,
assimilate e riproposte in nuovi prodotti, il cui valore d'uso è superato da qualità simboliche che
danno un valore aggiunto attraverso il ricordo, generatore di emozioni. Il citazionismo non è più
indizio di mancanza di creatività, anzi l'uso di riciclare la storia è diventato un punto di forza e di
identità progettuale imprescindibile per elaborare nuove creazioni, confermando in tutta la sua
evidenza che il passato non è mai superato completamente.
Sebbene il fashion vintage mantenga le sue radici profonde nella pratica del second hand, i valori e
le funzioni che oggi lo identificano sono indubbiamente mutati. Essi indicano un nuovo
atteggiamento nei confronti del mercato dell’usato, che coinvolge sia un pubblico di appassionati
27
N. Bocca, Il passato nella moda d’oggi, in Grazietta Butazzi e Alessandra Mottola Molfino (a cura di), La moda e il
revival, De Agostini, Novara 1992, pp. 47-66
28
I. Silvestri, op. cit., pp. 11-21.
15
cultori sia un nutrito gruppo di tecnici della moda che ricercano nei capi d’annata stimoli creativi
per la progettazione della confezione, del disegno tessile e dello studio dei trattamenti sul capo o
sulla stoffa29
. In quest'ottica il fenomeno del vintage vero e proprio e dello stile rétro da esso
derivato, diventano pura espressione dell’estetica postmoderna, che cerca un rapporto emozionale
con il tempo passato. Una delle tendenze di costume sociale ed economico più oggetto di studio del
terzo millennio è proprio il vintage marketing, che oggi esamina con estremo interesse la spinta
verso questa tensione critica sempre più invasiva tra passato è presente, sfociata in una sorta di
melting pot globale, saturo di forme comunicative eterogenee oscillanti tra innovazione e continui
sguardi al passato30
.
Le aziende hanno cominciato progressivamente ad interessarsi non solo alla storia in generale, ma
soprattutto a quella personale, dando alla luce abiti che citano la propria memoria. Uno dei primi a
imbarcarsi in questa operazione di valorizzazione dell’identità originaria del marchio è stato Karl
Lagerfeld per Chanel. Alla direzione creativa della storica maison dal 1983, Lagerfeld ha attivato
una strategia di marketing semiotico astuta e raffinata aggiornando codici e valori di riferimento nel
rispetto della centralità della griffe, per dare continuità al mito intramontabile di Mademoiselle31
. Un
viaggio culturale a ritroso nell'identità del marchio il cui esempio è stato seguito da moltissimi altri
brands, che a partire dagli anni Novanta, fino a oggi, hanno cominciato a curare archivi e musei di
impresa, per tutelarne il patrimonio storico-culturale.
L’immagine vintage, nell’abbigliamento e negli accessori, è diventata qualcosa che il consumatore
contemporaneo conosce e apprezza, tanto da sollecitare i brand dell’abbigliamento casual a
sviluppare apposite collezioni, talvolta identificate con specifiche etichette, che impiegano
trattamenti di invecchiamento e usura. Il risultato di questi molteplici e articolati passaggi di
costume è la certezza che il fenomeno vintage è ormai stato assunto a codice espressivo della moda
sia da parte dell’industria della moda che da parte dei fruitori.
29
D. Degl’Innocenti, op. cit., pp. 11-14.
30
A. Fiorentini, Vintage ergo sum. Il fascino del passato e la moda oggi in Vintage. L’irresistibile fascino del vissuto,
cit., pp. 49-61.
31
Ibidem
16
1.5 Quando una passione diventa business: il Vintage Palace di Angelo Caroli
Uno dei pionieri dell’abbigliamento vintage è stato indubbiamente Angelo Caroli32
, le cui radici
professionali si sono intrecciate con le origini dell’utilizzo in Italia di questo nuovo termine.
Angelo è il titolare dell’azienda A.N.G.E.L.O. Srl di Lugo, sua città natale in provincia di Ravenna,
specializzata nella vendita e nel noleggio di capi e accessori vintage. Nata dalla sua grande passione
per il recupero e il riciclo, in più di trent’anni di attività è diventata un vero e proprio punto di
riferimento a livello internazionale per il sistema della moda, costruendo un business di successo.
Verso la fine degli anni Settanta, Angelo iniziò a lavorare per una piccola emittente radio locale,
offrendo consigli di stile ai suoi coetanei:
Allora lavoravo per Radio Music International, era una radio libera, rivolta ai giovani, un modo di comunicare qualcosa
che era diverso, un po' quello che oggi sono i blog. Io davo consigli sulla moda, suggerivo negozi particolari da visitare
e incitavo gli ascoltatori ad esplorare anche i guardaroba dei propri genitori. TA
Quasi fin da subito prese l’abitudine di recarsi periodicamente presso negozi e magazzini dell’usato,
soprattutto quelli di Prato, che allora rappresentavano la prima fonte di ricerca per i giovani che
volevano una moda economica e adatta a loro. La sua attenzione era rivolta principalmente a capi e
accessori made in USA che in quegli anni rappresentavano la novità.
Aprì il suo primo punto vendita di soli 30 mq proprio a Lugo nel 1978, poco dopo la nascita di Pitti
Casual33
, una fiera nuova, che identificava il casual come un momento di moda estremamente
importante in quel periodo. Cominciò così a comprare e riproporre a poco prezzo l’ “usato
americano”, riscuotendo un ampio consenso:
C’era sempre la fila fuori dal negozio, avevo addirittura un “butta-dentro” che gestiva l’ingresso delle persone perché
allora c’era una grandissima affluenza. Vendevo jeans, giacche americane, impermeabili, t-shirt, camicie hawaiane e
giubbotti militari, i giovani erano molto interessati. Quello che credo di aver fatto in più rispetto agli altri è che a soli 17
anni ho iniziato a pensare di offrire un usato pulito, non venduto con quel nome solo perché economico, perché logoro,
perché vecchio. Ho cercato di pensare “fashion”, guidato dalla volontà di riproporre un passato in linea con il gusto e lo
stile contemporanei. TA
Alla ricerca di capi per la vendita si affiancò da subito la voglia di conservare e capire la storia dei
pezzi che lo affascinavano e lo incuriosivano. Dapprima, in mezzo alle balle di capi in cui si
imbatteva nei magazzini, si mise a collezionare, oltre ai suoi personali, anche altri capi in denim,
32
http://www.angelo.it/site/angelo-caroli
33
Pitti Casual: Rassegna di abbigliamento casual, jeans e tempo libero tenutasi due volte all’anno (gennaio e
settembre) a Firenze dal 1978 al 1984 (fonte: http://www.cfmi.it/cfmi/hystory.html)
17
militari e da lavoro, capi fuori dall’ordinario o particolarmente preziosi; in seguito anche di firma e
di couturier34
. Nel tempo aumentò la consapevolezza che conservare gli abiti era importante in
quanto permetteva di preservare materialmente la memoria della moda, ed era quindi un’operazione
di grande rilevanza da un punto di vista culturale. Anche se in quegli anni non esisteva ancora la
cultura del vintage, Angelo fu uno di quegli appassionati collezionisti che avevano già intuito il
valore che certi pezzi, soprattutto di firma, avrebbero avuto per la moda futura, e oltre ad
interessarsene per un discorso di vendita, creò un vero e proprio archivio di ricerca con capi
noleggiabili ad uso stilistico.
A metà degli anni Ottanta, l’introduzione del termine “vintage” fu uno step importante per il settore
dell’usato35
:
Ho cominciato ad usare questa parola a metà degli anni Ottanta. L’ho sentita dire per la prima volta da un mio amico
americano, riferita alla rivendita di abbigliamento usato selezionato, e ho deciso di portarla in Italia e utilizzarla, perché
ritenevo che potesse funzionare bene, che potesse portare il second hand ad un nuovo livello, e così è stato. TA
Con questa etichetta, i capi usati venivano insigniti di un valore nuovo e speciale. Il fatto che
fossero già stati indossati da qualcun altro, che talora presentassero difetti dovuti al passare del
tempo, e che non fossero all’ultimo grido, erano aspetti che passavano in secondo piano, perché a
contare e a differenziarli fra di loro erano le singole capacità evocative, lo stile legato ad un periodo
preciso della storia, l’autorialità, la qualità e la particolarità dei materiali, del tipo di lavorazione e
dei dettagli.
La crescente fama che il vintage si stava guadagnando fu un incentivo che lo stimolò a buttarsi in un
progetto ambizioso, e che, negli anni, ha determinato la sua fortuna: il Vintage Palace.
Cercavo lo spazio per un negozio che avesse dimensioni più grandi rispetto al piccolo punto vendita da cui ho iniziato, e
allo stesso tempo un posto dove custodire i capi che andavo collezionando. Quando ho trovato questa struttura ho capito
che poteva essere un luogo con varie sfaccettature, adibito a funzioni diverse. Volevo che oltre alla vendita, e quindi al
negozio, comprendesse anche altre realtà riguardanti il mondo dell’usato e del vintage, che stava emergendo in quegli
anni; per questo, dopo averne fatto la mia nuova sede nel 1988, l’ho chiamato Palace, e vi ho allocato l’archivio e più
tardi anche l’online. Dopo 4 anni passati a ristrutturare e sistemare c’è stata l’inaugurazione nel giugno del 1992. TA
34
A. Caroli, Introduzione in Vintage. L’irresistibile fascino del vissuto, cit., pp. 14-15.
35
Ibidem
18
Il fatto che la scelta della nuova sede sia caduta su una città molto piccola e poco nota, che oggi non
viene certo da collegare al mondo della moda, è stato il risultato di una serie considerazioni che a
distanza di tempo si sono dimostrate corrette. La collocazione geografica del Vintage Palace non ha
minato il successo dell’azienda in termini di vendite e di notorietà:
Ho scelto di restare a Lugo, la mia città, innanzitutto perché ho valutato che sarebbe stato più facile gestire una struttura
del genere in un posto a me familiare. Realizzare un progetto così grande in una città non mia, come poteva essere un
grande capoluogo, avrebbe potuto avere dei costi proibitivi, considerando quanto può essere redditizio un abito usato.
Sicuramente una prima ragione è stata legata ad aspetti economici, ma non è stata quella principale. A guidare la mia
scelta è stato il fatto che la Romagna negli anni Ottanta era un mercato molto migliore rispetto a quello di altre città, per
questo tipo di prodotto. Avevo dei colleghi a Milano che vendevano molto meno di me in quegli anni. La riviera era un
luogo che per il mondo della notte richiamava pubblico da tutta Italia, grazie al grande numero di discoteche e locali,
principalmente a Rimini e Riccione. La riviera era la meta di un pubblico trendy, dj e persone della moda. Ho
conosciuto più persone che lavoravano nel mondo della moda partecipando alle varie feste a Riccione, che andando alle
sfilate di Milano. In quei luoghi adibiti al divertimento era più facile fare amicizia rispetto ai luoghi di lavoro, più
formali. Erano altri anni, il mondo della notte aveva un gran bisogno di cambiare, i dj diventavano sempre più
importanti, nascevano le prime animatrici, i primi pr, persone che avevano sempre bisogno di apparire originali, e
l’abito vintage permetteva loro di creare look stravaganti a prezzi abbordabili. I pr portavano nel mio negozio i biglietti
dei locali per evitare di dover andare in giro a spargerli, e i ragazzi venivano qui perché sapevano che li avrebbero
trovati. Come negozio sono stato scelto molte volte quando c’erano feste a tema nei locali, arrivavo a vestire fino a 150
persone. In oltre anche la vicinanza con Bologna ha giocato a mio favore, in primis perché ero sotto gli occhi di
moltissimi giovani universitari, e poi anche perché per l’usato la Montagnola di Bologna era il mercato che andava di
più in quel momento, insieme al mercato di Resina a Napoli. TA
Negli anni Novanta l'archivio storico comincia ad essere regolarmente visitato dagli stilisti delle
case di moda italiane ed internazionali, e dalle riviste più influenti del settore, che trovano in esso
L’A.N.G.E.L.O. Vintage Palace di Lugo visto da fuori Dettaglio dell’ingresso del Vintage Palace (fonte: http://www.angelo.it/)
(fonte: http://www.angelo.it/)
19
una serbatoio di idee da cui attingere per ispirarsi (par. 3.1 e par. 3.2). Da quel momento al vintage
viene attribuita un’importanza crescente, che non tarda a diffondersi presso il grande pubblico e a
consolidarsi, soprattutto negli ultimi anni:
Oggi non tutti sanno con precisione cosa vuol dire “vintage”, ma molte persone a differenza del passato comprendono
meglio il valore dei capi, che se sono datati non vuol dire che debbano essere necessariamente gettati. Ora ci si rende
conto che spesso i capi vecchi sono di una qualità migliore rispetto a quella che può essere prodotta oggi, e che il
Vintage è diventato una questione di moda. Quando ho iniziato a trattare questo tipo di capi, l’usato veniva considerato
per persone con scarsissima disponibilità economica. Se si aveva la possibilità si preferiva comprare qualcosa di nuovo.
Poi le cose sono cambiate, oggi chi ha molto denaro cerca la qualità e l’esclusività, comprare un prodotto vintage
soddisfa questo bisogno, non importa più che il prodotto sia nuovo, deve essere qualcosa di unico e speciale che altri
non possono avere, e questo è un valore aggiunto che il vintage riesce a dare. TA
Con il passare del tempo l’interesse di Angelo per il vintage si è articolato su diversi livelli. Visto
l’aumentare del valore monetario di certi prodotti di pregio, che cominciavano ad essere fortemente
richiesti, la ricerca di capi da proporre all’interno del Palace si è in parte indirizzata verso un
prodotto di lusso, in linea con il parallelo successo della moda griffata:
Se alla fine degli anni Settanta, quando ero giovane, mi interessava quasi esclusivamente l’usato americano, dagli anni
Ottanta sono andato verso un prodotto di firma, seguendo i movimenti del mercato della moda. Essendo una persona
che ricerca cose nuove e volendo proporre nel mio negozio qualcosa di desiderabile, sono andato verso il lusso. Anche
se i prodotti che circolano non sono nuovi, l’usato e il vintage seguono il mondo della moda, quindi per vendere è
importante mantenere uno sguardo attivo sui movimenti del mercato. Pur senza mai dimenticarmi del casual, ho
sviluppato un’attenzione verso la couture e il lusso, che per me era un approccio totalmente nuovo. TA
Ciò che ha sempre caratterizzato l’azienda e non è mutato nel tempo è l’aver sposato un’etica
ecologica, nella convinzione che dopo anni un capo può continuare a raccontare la sua storia. La
massima espressione dello spirito di recupero che anima il lavoro di Angelo è stata la linea
“Recycled”, composta da vecchi capi d'abbigliamento, modificati ed attualizzati per renderli più
contemporanei. Il senso del progetto è stato dare una seconda vita alla moda del passato,
recuperando la materia prima, altrimenti gettata, e inserendola nuovamente in circolo con una
valenza stilistica innovativa36
:
Fra le balle di capi nei magazzini, quelli vintage realmente interessanti sono un 3-5%, e fra quelli non tutti sono messi
bene; alcuni hanno difetti, hanno subito l’usura, ma dispiace buttarli, perché poi non esisteranno più. L’idea è stata
quella di recuperarli con un gusto estetico. A volte i difetti ti pongono davanti a dei problemi che stimolano la tua parte
36
http://www.angelo.it/site/linee-di-prodotto-angelo
20
Tappetini nei camerini del Vintage Palace realizzati riciclando jeans della Levis (foto mie)
Un cuscino realizzato riciclando un paio di jeans e degli elastici per capelli realizzati riciclando jeans e altri tessuti
(foto mie)
creativa, che ti deve guidare nel trasformarli in dei vantaggi. Possono saltare fuori cose veramente interessanti e
particolari che in forma originale non sarebbero state vendute. Dietro a questo lavoro c’è una base di etica ecologica con
una fase altamente creativa. Ci sono state varie collaborazioni con laboratori e stilisti e si sono sviluppate diverse linee.
La linea più interessante è stata “A.N.G.E.L.O. Gold” quella creata in collaborazione con Stefania Bertoni, docente di
recycle all’ISIA di Faenza. Abbiamo lavorato insieme tanti anni e la linea è stata venduta anche a Milano in uno
showroom internazionale, soprattutto ad americani e giapponesi. TA
Spesso completamente trasformati rispetto alla forma originale, i capi riciclati hanno assunto anche
nuove funzioni, diverse da quelle dell’abito:
Nel recuperare un materiale come può essere il jeans o il militare, che è qualcosa di molto versatile, le possibilità sono
davvero tante. Con le paia di jeans sbragati ho fatto cuscini, tappeti è persino poltrone. Il jeans più è usato e consumato
e più diventa bello, che senso ha gettarlo se è bello? Si può reinventare. TA
21
Il successo dell’azienda A.N.G.E.L.O. si è costruito nel tempo grazie alla forte dedizione per il
recupero coniugato con una grande attenzione al mercato della moda, ma anche grazie alla voglia di
mettersi in gioco e stare al passo coi tempi, sperimentando nuovi progetti e possibilità. A partire
dalla metà degli anni Novanta ha cominciato a prendere parte alle prime fiere del vintage (par. 4.3),
realtà in cui confrontarsi con colleghi del settore e del più ampio sistema moda, e in generale per
farsi conoscere e fidelizzare le persone verso questo tipo di prodotto. Negli stessi anni l’azienda ha
gradualmente abbracciato l’online (par. 4.4) in varie direzioni, e sfruttato le potenzialità
dell’e-commerce, aumentando così la sua visibilità e rivolgendosi più facilmente ad una clientela
globale. Sono nati nuovi punti vendita, soprattutto sul modello dei temporary shops (par. 4.2) dei
grandi marchi, per promuovere il prodotto vintage sia in territorio nazionale che all’estero. Il
continuo ampliamento del contenuto dell’archivio ha reso possibile una specializzazione tale da
permettere, oltre alle numerose consulenze ai marchi del settore della moda e alle collaborazioni
con riviste importanti, anche il periodico all’allestimento di numerose mostre (par. 3.3), con
l’intento diffondere la cultura della moda legata agli abiti del passato.
22
2. Il negozio di Vintage
La notorietà e l’importanza che il vintage è riuscito a raggiungere negli anni, ha portato allo
sviluppo di un mercato di dimensioni considerevoli. Quello che era nato come un atteggiamento
controcorrente rispetto alla direzione del mercato della moda, si è poi normalizzato e diffuso, tanto
che i negozi specializzati in vintage continuano a moltiplicarsi in tutto il mondo.
Il bacino d’utenza in rapida evoluzione ha fatto sì che l’offerta del Vintage Palace sia diventata
sempre più ampia e mirata, per riuscire a soddisfare diversi target:
La selezione della merce nel nostro negozio è molto diversificata, perché dobbiamo essere in grado di rispondere alle
esigenze di una clientela varia. Il tutto si articola su due piani, che si differenziano sia per genere che per fascia di
prezzo. Il piano terra è suddiviso in una stanza donna, una stanza uomo, una jeanseria, una stanza dedicata
all’abbigliamento militare e una chiamata “stanza feste”. La merce è indirizzata ad un pubblico prevalentemente
giovane o giovanile, e anche per questo la fascia di prezzo è più bassa rispetto al piano superiore. Anche al primo piano
si trovano un reparto uomo ed un reparto donna, ma la merce proposta è basata su prodotti di lusso, firmati o cult,
ovvero particolarmente importanti per una determinata epoca, quindi la fascia di prezzo è più alta. Come per gli abiti,
anche per quanto riguarda gli accessori il piano di sopra prevede prodotti di firma, come Chanel, Louis Vuitton,
Hermès, Yves Saint Laurent ecc. Al piano di sopra c’è anche il magazzino principale, quello interno al negozio -perché
ne abbiamo anche di esterni-, che può essere visitato dai clienti. Avendo un incredibile quantitativo di merce, per
problemi di spazio non riusciamo ad esporre tutto contemporaneamente, quindi molte vendite vengono fatte dal
magazzino. RN
Se inizialmente la ricerca di un capo vintage da parte dei consumatori derivava dalla nostalgia e
dalla fascinazione per oggetti appartenenti al passato, ma anche dal desiderio di risparmiare, oggi si
lega molto alla volontà di stare al passo con le mode del momento, considerando i numerosi revival
di stili passati presenti nei capi contemporanei37
(par. 1.4). Il prezzo di capi e accessori ha subito
l’influenza di tale mutamento, e ad oggi è legato sia all’importanza del brand e all’anno di
produzione, caratteristiche fondamentali per definirne il valore, che soprattutto ai movimenti del
mercato, a ciò che è più richiesto dai clienti in un certo periodo.
Per quanto riguarda i pezzi iconici del vintage di lusso, il cambiamento di prospettiva ha inciso in
maniera evidente sul prezzo di mercato, tanto da porli quasi sullo stesso piano dei prodotti nuovi:
Per i pezzi iconici ormai non c'è una grandissima differenza tra il costo di un articolo nuovo e quello di uno vintage,
anzi talvolta nel vintage riscontriamo prezzi più alti, proprio perché si tratta di capi o accessori che al momento non si
trovano più sul mercato. Per quanto riguarda completi e giacche di Chanel, solitamente i completi hanno un prezzo che
37
S. Ironico, op. cit., p. 59.
23
si aggira intorno ai 1.500/2.000€, appartenendo ad una collezione che ora ovviamente non esiste più, hanno valore in
quanto pezzi unici che può comprare solo quel cliente che ha la fortuna di trovare un capo della sua taglia, però sono
anche più difficili da piazzare rispetto a quelli nuovi, un capo prodotto oggi costa circa il doppio.
Anche per quanto riguarda le borse Chanel vale
il discorso dell'unicità del modello del passato,
o del colore che adesso per certi modelli non
producono più. In linea di massima le borse
vintage vanno dai 1.000€ ai 4.000€. La 2.55 in
nero si aggira intorno ai 2.800/2.900€, quelle
colorate solitamente di più.
Per quanto riguarda le borse di Hermès il di-
scorso è ancora più complesso rispetto a quello di Chanel. Oggi per poter avere una Birkin o una Kelly nuove ci sono
dei tempi di attesa lunghissimi -parliamo di anni-, questo ha fatto sì che le borse vintage siano arrivate ad avere più o
meno lo stesso prezzo, perché scegliendo il vintage si può avere la propria borsa subito, senza dover aspettare una lista
d'attesa, alla quale per altro si può partecipare solo se si è già un cliente Hermès, altrimenti una Kelly o una Birkin non
la si può proprio comprare. Il prezzo dipende dal colore, ma soprattutto dai centimetri: in linea di massima più e grande
e più costa, e anche dal fatto che abbia o meno la tracolla, infatti in negozio una tracolla nuova può costare anche 1000€
euro da sola. Le borse possono costare dai 7000€ ai 10000€, come addirittura di più se sono in coccodrillo, struzzo ecc.
Da noi la selezione è molto accurata, scegliamo solamente capi e accessori che siano in perfette condizioni, alcuni an-
che nuovi e mai usati, anche per quanto riguarda le borse Chanel ed Hermès, per cui il prezzo più alto è dato anche da
questo elemento. RN
Tenendo in considerazione i vari cambiamenti ci si rende conto che, sebbene un negozio di vintage
non si nutra delle novità prodotte in serie dai marchi del settore moda, e quindi sia una riserva di
tanti stili diversi, la sua attività non può procedere in maniera totalmente svincolata dai trend di
stagione promossi da tali marchi. Nell’ottica del profitto e della competitività, la merce proposta
deve essere selezionata -per quanto possibile- tenendo conto di quelle che sono le tendenze della
moda contemporanea, poiché l’agire di consumo, anche nel mondo del vintage, non è mai prescisso
da un sistema di riferimento:
Anche il vintage, come la moda, si evolve. Ora in negozio tratto articoli che un tempo non sarebbero piaciuti. La mia
filosofia è cercare di proporre qualcosa che sia interessante oggi, interessante da indossare, che possa piacere ad un
vasto pubblico perché è in linea col gusto contemporaneo, con quanto proposto da altri negozi e brand. Lo stesso
discorso vale anche per i capi da collezione, benché siano nell’interesse di una nicchia di clienti. TA
Che molte proposte siano ragionate, di volta in volta, in base alle tendenze del periodo, lo si può
evincere facendo attenzione soprattutto alla selezione di merce presente all’ingresso del Palace:
Una borsa sul modello della 2.55, nella sezione “iconic” del sito di Chanel
(fonte: http://www.chanel.com/ )
24
Corridoio principale al piano terra del negozio. Sulla destra lo stender con chiodi, giubbotti e gilet di pelle (foto mia)
La zona all’ingresso viene cambiata frequentemente, circa ogni due settimane, con una proposta di merce che secondo
noi è più accattivante per il periodo. Riflettiamo sempre su quelle che sono le tendenze attuali, e in base a ciò di cui
disponiamo, cerchiamo di proporre una selezione di capi in linea con tali tendenze, naturalmente pezzi vintage! RN
Il giorno in cui ho realizzato l’intervista al reparto del negozio (10 novembre 2016), sui primi
stender la facevano da protagonisti i capi in velluto, sia liscio che a coste, perfettamente in linea con
quello che è stato l’elemento di punta delle collezioni autunno-inverno 2016/2017. Seguivano
maglioni in colorblock e capi metallizzati, altre forti componenti di stagione, entrambi riprese in
negozio su scarpe e accessori. Anche uno degli stender principali era stato dedicato ad un capo
must-have: il chiodo di pelle, andato letteralmente a ruba soprattutto fra i numerosi modelli in eco-
pelle (anche se di realmente “eco” in molti casi c’è solo il nome) in vendita nelle catene di
abbigliamento low-cost a partire dalla primavera 2016, in particolare quelli di Zara, declinati in
varie colorazioni. Naturalmente le giacche e i giubbotti proposti da A.N.G.E.L.O. erano tutti diversi,
sia per taglio che per tipo di pelle -vera-, e tutti in taglia singola. L’unicità del capo è il valore
aggiunto che distingue un punto vendita di vintage da qualsiasi altro tipo di negozio. Ciò che è
permasa nel tempo, e continua a spingere i consumatori a scegliere questo tipo di negozio, è proprio
la necessità di sfuggire all’omologazione promossa dai canali di acquisto tradizionali, ricercando
pezzi in grado di distinguersi dagli altri e di comunicare uno stile e un’identità personali:
Il capo vintage è un pezzo unico, non è fatto in serie, quindi non lo si trova in tanti pezzi uguali. Questo aspetto da
qualcosa in più allo stile, lo rende estremamente personale ed esclusivo, perché non replicabile. TA
25
Pantaloni nella jeanseria del negozio Cappotti e camicie nella jeanseria del negozio
(foto mia) (foto mia)
Tra il grande panorama di realtà commerciali dedicate al vintage, ciò che emerge e le differenzia tra
di loro, è l’identità dell’azienda, legata ad un certo tipo di merce. Sebbene negli anni A.N.G.E.L.O.
si sia specializzata nella vendita di prodotti estremamente vari, il jeans e il militare restano di gran
lunga gli elementi che ne hanno caratterizzato maggiormente l’immagine nell’evoluzione della sua
attività (par. 1.5). Non a caso due reparti del negozio vi sono stati interamente dedicati:
La jeanseria non fa distinzioni, abbiamo jeans sia da uomo che da donna, tutti divisi per modello. I capi principali sono
Levis 501, 505, 517 e Lady. Molti clienti vengono apposta da noi per cercare il jeans, infatti è un reparto che funziona
molto bene. Per quanto riguarda il reparto militare, si tratta merce principalmente da uomo ma riusciamo a vendere le
taglie piccole anche al pubblico femminile. Qui abbiamo camice, giubbotti, pantaloni e scarpe militari che vanno dagli
inizi del ‘900 fino agli anni ‘80-’90. RN
Il vendutissimo chiodo di pelle di Zara della collezione P/E 2016 in quattro varianti colore, e la sua riedizione più recente in versioni metallizzate
(fonte: http://www.zara.com/ )
26
Il jeans e l’abbigliamento militare sono molto importanti per me e in generale per il vintage. Quelli militari sono articoli
di ottima qualità, generalmente a prezzi vantaggiosi, particolari, speciali. Io sono sempre andato a cercare cose
particolari: il giubbotto mimetico da neve, quello da modo, quello per l’artico… mi sono specializzato. Non sono capi
studiati da stilisti, ma da ingegneri, è un concetto di progettazione diverso, che forse si avvicina di più a quella di
un’automobile. Sono capi estremamente comodi, tecnici, con soluzioni pratiche, che li rendono versatili e resistenti.
Cerco questi capi speciali e li propongo da un punto di vista moda. Sono elementi che, come il jeans, a cicli tornano
sulle passerelle. Sono capi con particolarità da studiare, infatti li noleggiamo molto spesso in archivio. TA
Oltre alla vendita, anche il noleggio riveste un ruolo importante nell’economia del negozio.
A.N.G.E.L.O. possiede una “stanza feste” contenente capi e accessori molto vari, che vengono
ceduti temporaneamente, previo pagamento, a singoli privati per uso proprio, ma anche per
produzioni teatrali o cinematografiche:
In stanza feste è tutto diviso per epoche. Si va dagli anni ‘20 fino agli anni ‘80. Sono tutti abiti vintage originali, non di
ispirazione. Naturalmente più il decennio è vicino a noi e più grande è il numero di capi che possediamo: quelli anni’20
sono molti meno di quelli anni ‘80. L’assortimento maggiore di capi è datato anni ‘70, soprattutto per quanto riguarda
pantaloni, giacche e camicie. Quelli destinati al noleggio sono i capi più appariscenti, fortemente simbolici, “che danno
spettacolo”, la differenza con quelli acquistabili in negozio è netta, i secondi sono decisamente più portabili, e di
conseguenza vendibili. Abbiamo una piccola zona dedicata ai capi animalier, una con capi entici, e vari abiti da sera e
accessori. Principalmente al noleggio sono interessati i privati che organizzano feste a tema, in locali e discoteche,
oppure feste di compleanno, ma a volte anche matrimoni a tema. RN
Accessori, capi e scarpe nel reparto dedicato all’abbigliamento militare (foto mie)
27
Al di là dell’offerta in termini di merce, il successo di una realtà commerciale si costruisce però
anche sul lavoro d’immagine e sugli elementi in grado di far percepire lo shopping non come una
pratica puramente utilitaristica ma come un’esperienza significativa e fuori dal comune.
2.1 Il cliente di vintage
Oggi chi compra vintage è un pubblico piuttosto diversificato. Una categoria di acquirenti è quella
dei collezionisti, amatori che si specializzano in un periodo storico, in una marca, in un designer o
in una particolare tipologia di oggetti, ma anche quelli che scelgono gli abiti per il loro valore
estetico e storico. Alcuni scelgono il vintage per esprimere la propria individualità attraverso un
modo di vestire personale ed eccentrico, mescolando indumenti non comuni in modo inusuale e
accumulando guardaroba poliedrici. Il grande pubblico dei negozi vintage è però composto da
coloro che comprano per indossare. Tale categoria di consumatori è composta soprattutto da un
pubblico vasto di giovani che cercano il capo o l'oggetto particolare, non necessariamente
importante o prezioso. Quello che attrae è la diversità da ciò che propone la moda che si trova
normalmente nei negozi, ma anche la capacità di conferire una nota personale a una maniera di
vestire sempre più omologata dalla confezione industriale. Questo tipo di consumo ha preso la
forma di una moda nell’accezione di abitudine accettata e condivisa che coinvolge persone di
diversa cultura e condizione sociale, e che si è andata consolidando negli ultimi anni38
. Il
meccanismo di richiamo è esattamente l’inverso di quello che spinge molte persone a recarsi presso
punti vendita con ampia disponibilità di merce in taglie e colori. Tutti gli acquirenti sporadici o
abituali di vintage tendono comunque a comprare contemporaneamente abiti e accessori nuovi
attraversi i canali commerciali tradizionali, ma il capo vintage è visto come l’oggetto in grado di
aggiungere particolarità e valore al proprio look. L’unicità dei pezzi è proprio la componente in cui
risiede il valore aggiunto e che rende i prodotti desiderabili:
Il vintage ha fascino perché è unico, ed essendo unico ha il potere di farci distinguere dagli altri. Quando si trova un
prodotto che piace, lo si percepisce come un tesoro personale, che ci rispecchia, e che altri non potranno avere perché
l’abbiamo scoperto prima noi. TA
38
E. Morini, Uno stile della moda di oggi: il vintage in Vintage. La memoria della moda, cit., pp. 23-32.
28
La clientela di A.N.G.E.L.O. negli anni è diventata estremamente vasta, superando i confini
nazionali e comprendendo diverse categorie di consumatori, molto diversi sia per età che per
approccio al prodotto vintage:
La varietà della clientela è una delle cose belle di questo posto. Ultimamente sono venuti in negozio tanti giovani, fra i
15 e i 20 anni, decisi ad acquistare il jeans e le felpe. C’è un buon numero di clienti che fa attenzione ad un prodotto più
alto, viene specificatamente per acquistare capi firmati, ma anche il cultore di vintage che cerca un prodotto databile ad
un periodo specifico, ad esempio gli anni ‘50, e che quindi spesso è un intenditore. Vengono persone da tutta Italia ma
anche molti clienti stranieri, di paesi europei o extraeuropei. Alcuni sono turisti che alloggiano nelle vicinanze, sanno
dell’esistenza del negozio, quindi decidono di approfittarne per farci visita, altri sono addetti del settore moda che
vengono in azienda prevalentemente per appuntamenti con l’archivio, poi fanno un giro in negozio e acquistano
qualcosa. Ultimamente moltissimi asiatici, per lo più giovani, spesso sono studenti di moda da Rimini.
Solitamente la maggior parte dei clienti non ha idee precise, quasi tutti sono consapevoli che l’unicità dei pezzi non
consente un assortimento di taglie e colori. Si guardano intorno e magari vengono attratti da un capo di cui non
immaginavano l’esistenza. Non capita mai che qualcuno entri in negozio e dica “cerco un cappotto beige”. Quando sono
indirizzati su uno specifico prodotto, solitamente si tratta del jeans, sanno un modello specifico. RN
Come per i negozi tradizionali il periodo di maggior affluenza è quello natalizio, ma in generale il
flusso di clienti pare essere piuttosto costante durante tutto l’anno.
I capi che vanno per la maggiore sono il jeans, il militare e lo sportivo, ma anche le intramontabili
borse firmate Chanel ed Hermès. Un aspetto molto importante per l’azienda riguarda l’interazione
Camicie, valigeria e capispalla nel reparto uomo al piano superiore del negozio. Tutto in pezzi
unici disposti per colore (foto mie)
29
tra il personale addetto alle vendite e i clienti. Il negozio di vintage è una realtà estremamente
composita dal punto di vista dell’offerta, una luogo in cui l’esperienza d’acquisto si propone di
essere molto immersiva e personale, in quest’ottica una pressione eccessiva sul cliente è tutto
fuorché propedeutica. Allo stesso tempo, però, trattandosi di articoli in pezzi unici, non divisi per
taglia, ed estremamente diversi fra loro, la pronta assistenza evita al cliente eventuali disagi:
Nel rapportarci coi clienti cerchiamo di non essere invadenti, e di lasciarli liberi di addentrarsi da soli fra le stanze del
negozio. Non bisogna mai risultare soffocanti, perché si rischia di far perdere ai clienti l’entusiasmo e il piacere che
derivano dalla ricerca. Ma in ogni caso dobbiamo comunque essere sempre presenti, trovarci nei paraggi, soprattutto
perché il nostro non è un negozio “facile”, ci sono così tante cose e tutte diverse, che a volte il cliente può trovarsi in
difficoltà, e necessita di essere indirizzato verso il prodotto che sta cercando, che magari non è riuscito a notare in
mezzo al resto, oppure si trova in un’altra parte del negozio. Naturalmente bisogna anche cercare di capire con che
cliente si ha a che fare, perché non sono tutti uguali. Alcuni preferiscono non essere seguiti, altri invece lo desiderano
proprio e in quel caso è fondamentale mostrarsi attenti e disponibili. RN
2.2 Shopping esperienziale
“E secondo te, qual è il fascino principale del Vintage?” udii chiedere a Dan mentre risistemavo le
scarpe dentro i cubi di vetro illuminati che fiancheggiavano la parete sinistra. “Il fatto che le cose
siano di così buona qualità rispetto ai vestiti di oggi?”
“Questa è una componente importante” risposi. Sistemai una décolleté Gucci di camoscio verde
degli anni sessanta con un’angolazione elegante rispetto all’altra. “Indossare vintage è una protesta
contro la produzione di massa. Ma la cosa che amo di più degli abiti vintage...” Lo guardai. “Non
ridere d’accordo?”
“Certo che no.”
Accarezzai il leggerissimo chiffon di un peignoir degli anni Cinquanta. “Ciò che amo davvero degli
abiti vintage… è il fatto che contengano la storia personale di qualcuno.” Passai l’orlo di marabù sul
dorso della mano.
“Mi ritrovo a farmi domande sulle donne che l’indossavano.”
“Sul serio?”
“Mi ritrovo a farmi domande sulle loro vite. No riesco mai a guardare un capo, come questo
tailleur” andai all’espositore degli abiti da giorno e tirai fuori una giacca attillata con gonna in
tweed blu scuro degli anni Quaranta “senza pensare alla donna che lo possedeva. Quanti anni
aveva? Lavorava? Era sposata? Era felice?” Dan alzò le spalle. “Il tailleur ha un’etichetta britannica
30
dei primi anni Quaranta,” continuai “quindi mi chiedo cosa sia successo a questa donna durante la
guerra. Suo marito è sopravvissuto? Lei è sopravvissuta?”
Andai all’espositore delle scarpe e tirai fuori un paio di pantofole in broccato di seta degli anni
Trenta, ricamate con deliziose rose gialle.
“Guardo queste raffinate calzature, e immagino la donna che le possedeva mentre ci cammina, o
balla, o bacia qualcuno.” Mi avvicinai a un cappellino a tamburello in velluto rosa sul sostegno.
“Guardo un cappellino come questo” sollevai la veletta “e cerco di immaginare il viso al di sotto.
Perché quando compri un capo vintage, non compri solo tessuto e filo… compri un pezzo del
passato di qualcuno”39
.
Quello riportato è una parte del dialogo tra Phoebe, protagonista del romanzo Passione Vintage
scritto da Isabel Wolff, e Dan, il giornalista che si reca presso il suo negozietto di abbigliamento
vintage per intervistarla prima della festa d’inaugurazione. In poche battute sono trasmesse a pieno
le emozioni plurisensoriali provocate da tale ambiente. La stimolazione dei sensi è un driver
importante per la frequentazione degli spazi di consumo40
; e per un luogo del genere si lega al
naturale potere comunicativo dei capi, coniugato con un accurato studio degli elementi utili a
massimizzare una vintage experience. Oggi il punto vendita, infatti, è un medium di grande
importanza, diviene esso stesso messaggio, comunicazione, momento di socialità, luogo
magnetico41
. Come teorizzato da Bernd Schmitt42
, a creare valore non concorre più solo il prodotto
in sé, ma anche l’esperienza che il cliente ha la possibilità di vivere durante l’atto di acquisto, così
le scelte relative all’interior design, alle altre componenti micro-ambientali e alla comunicazione
sul punto vendita, non possono prescindere dal tipo di esperienza che si intende offrire alla
clientela43
.
Il Palace ha abbracciato il vintage non solo sul piano dei prodotti, ma anche dal punto di vista del
marketing, nella creazione e cura dei dettagli di un ambiente dedicato, che risulti in linea con il
settore merceologico.
39
I. Wolff, Passione vintage, Leggereditore, Roma 2011, p. 15.
40
S. Ironico, op. cit., p. 263.
41
G. Fabris, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli, Milano 2003, p. 344.
42
Professore di International Business presso il Dipartimento di Marketing della Columbia Business School, Columbia
University di New York (http://www.meetschmitt.com/about/)
43
S. Ironico, op. cit., p. 262 .
31
Vecchie valigie e complementi d’arredo usati come espositori nel reparto uomo al piano terra del negozio (foto mie)
Un vecchio baule e vecchi complementi d’arredo usati come espositori nel reparto uomo al piano terra del negozio (foto mia)
Mobili, strutture ed attrezzature sono inevitabilmente condizionati dalle caratteristiche dei prodotti:
Dal punto di vista dell’arredamento c’è naturalmente una ricerca che, così come per l’abbigliamento, è rivolta al
passato. Nei vari ambienti sono disposte alcune vecchie valigie che utilizziamo anche per esporre sciarpe, foulards e
cappelli, talora vere e proprie cappelliere segnate dal tempo, di firma e non, di certo poco comuni ormai, e anche altri
elementi particolari fra cui diversi tavoli antichi. RN
32
Vecchi bauli e valigie da sempre nell’immaginario collettivo, anche grazie a libri e pellicole
cinematografiche, richiamano un tempo passato e pieno di ricordi, che viene riscoperto e prende
vita quando il loro contenuto è rivelato; ma si legano anche all’idea del viaggio fisico, quindi al
desiderio di nuove scoperte, un sentimento che, traslato nella ristretta realtà del negozio di vintage,
dovrebbe essere il motore che ne stimola l’esplorazione.
Appese al muro del reparto donna saltano all’occhio due cover fortemente evocative: una di Elle del
gennaio 1962 con Audrey Hepburn, ed una di Vogue dell’aprile 1972 con Sophia Loren.
Nella jeanseria sono appese alcune cornici contenenti fogli un po' ingialliti e scritti a mano, forse
con inchiostro e calamaio, in un
bel corsivo che fa tanto “vecchie
lettere”, con dettagli e curiosità
sui jeans della Levis. Inevitabile
la percezione dello scarto
temporale fra l’oggi e un tempo
in cui la produzione manuale,
dalla comunicazione cartacea al
capo d’abbigliamento vero e
proprio, era molto curata e
valorizzata.
Nell’ottica di una proposta di merce varia, soprattutto per quanto concerne il valore, i connotati
dell’ambiente di vendita cambiano di conseguenza, veicolando messaggi e significati differenti.
La merce indirizzata ad una clientela disposta a spendere cifre un po' più consistenti si trova al
piano superiore del Palace. Il fatto che questi articoli si trovino in una posizione più elevata rispetto
a quelli del piano terra, in un certo senso suggerisce già un loro maggior prestigio, prima ancora di
averli visionati. Per accedere al reparto dove si trova vintage di lusso è infatti necessario salire una
scala, che porta ad un piano dove la parte di negozio è molto meno ampia rispetto a quella del piano
inferiore, e dove gli elementi che compongono l’ambiente denotano un’ulteriore ricerca.
Nel reparto donna, tra la pelletteria da esposizione e i tavoli già utilizzati anche di sotto, si notano
un pouf e una poltrona trapuntata dal sapore vintage -o quantomeno rétro- e un separé in raso con
motivi floreali en pendant con il rivestimento delle pareti. Il tutto dà quasi l’idea di essere nella
Un vecchio foglio scritto a mano con informazioni sul modello 501 della Levis,
incorniciato e appeso nella jeanseria del negozio di fianco al capo (foto mia)
33
stanza privata di una raffinata signora d’altri tempi, un luogo affascinante ed esclusivo.
A riprova dell’esclusività di certi pezzi, sono presenti alcuni grandi espositori in vetro chiusi,
contenenti borse e accessori firmati Gucci, Chanel, Hermès, Roberta Di camerino e Louis Vuitton.
Benché periodicamente, come per il resto della merce, venga fatto un ricambio della merce proposta
e dell’allestimento interno agli espositori, anche da lontano saltano sempre all’occhio pezzi
decisamente cult e riconoscibili -almeno ai più- come l’intramontabile 2.55 di Chanel e le iconiche
Kelly e Birkin di Hermés circondate da elementi legati al brand. In questa modalità di
conservazione/esposizione, al di là del valore monetario di certi oggetti, che li rende decisamente
più preziosi di altri, e quindi palesa la necessità di proteggerli da mani poco delicate e da possibili
furti, vi è certamente la consapevolezza che i messaggi che si riescono ad inviare sul punto vendita,
nel senso di mediazione simbolica con il mondo delle merci, di creazione dei valori della marca, di
produzione di atmosfera e di generazione di esperienza hanno un ruolo molto importante nella loro
promozione agli occhi del consumatore44
. Se tali prodotti sono già percepiti come oggetti del
desiderio, l’ambiente in cui si trovano arricchisce l’immaginario fatto di storia, tradizione, unicità
44
G. Fabris, op. cit., p.344
Reparto donna al piano superiore del negozio (foto mia)
34
ed eccellenza collegato ai brand, rendendoli ancora più desiderabili, esclusivi ed elitari45
.
Tutto questo lavoro strategico sul punto vendita, che mira alla creazione di un efficace repertorio
iconografico, è in grado di rinforzare l’immaginario legato ai prodotti46
, e stimola così un maggiore
coinvolgimento emotivo del cliente, che vede il negozio non solo come contenitore, ma anche come
contenuto dell’esperienza.
Altre componenti di cui tenere conto sono le stimolazioni ambientali che investono l’udito e
l’olfatto. Il sottofondo musicale rappresenta uno strumento importante per selezionare e fidelizzare
il tipo di clientela47
, e in un negozio di vintage che vuole comunicare un’identità, non dovrebbe
essere lasciato al caso. La musica, infatti, può influenzare la relazione che si stabilisce fra il cliente
45
S. Ironico, op. cit., p. 44.
46
C. Meo, Vintage marketing. Effetto nostalgia e passato remoto come nuove tecniche commerciali, Gruppo 24 ORE,
Milano 2010, p. 39.
47
S. Ironico, op. cit., p. 264.
Alcune borse e accessori Chanel, Gucci ed Hermès nel reparto donna del piano di sopra del negozio (foto mie)
35
e il punto vendita, sia in positivo che in negativo. L’esplorazione degli spazi accompagnata da
messaggi uditivi, risulta decisamente più stimolante, ma in linea con un’esperienza lenta e
immersiva come quella di un autentico vintage shopping, non dovrebbe risultare in totale
disaccordo con l’ambiente come non dovrebbe essere eccessivamente invadente:
Sulla musica, diversamente da altri negozi che prediligono una particolare tipologia o hanno playlist predefinite, noi
abbiamo piena autonomia. Di solito scelgo io personalmente i brani, alterno proposte nuove, che mi piacciono, a
canzoni più datate. Ora per esempio stiamo sentendo i Kings of Leon, un disco del 2016 appena uscito, magari la
prossima scelta cadrà su Nina Simon. In generale cerco sempre di proporre qualcosa di un po' alternativo, qualcosa in
linea col mood del negozio, che dia input diversi da ciò che è commerciale e di massa, dalla musica delle grandi catene.
Anche il volume non deve mai essere troppo alto, non vogliamo stordire il cliente, ma offrire un sottofondo gradevole
che lo accompagni nel suo tour del negozio. RN
La musica è stata un elemento
importante anche in occasione di
alcuni eventi organizzati in negozio,
specialmente “God is a dj”. Per
quattro domeniche consecutive, dal 13
dicembre 2016 al 3 gennaio 2015, in
orario serale è stata allestita una live
window con un dj in live performance.
Queste iniziative, molto sfruttate dai brand specialmente durante le fashion week, hanno lo scopo di
incuriosire i passanti e rendere l’esperienza di shopping ancora più accattivante e non
convenzionale. La dimensione di vero e proprio evento, oltre alla pubblicizzazione via Facebook e
altri siti, è stata accentuata dalla presenza in shop di un fotografo e dallo spazio dedicato
all’aperitivo, realizzato in collaborazione con il ristorante AKÂMÌ Casa&Bottega, che realizza
catering on tour, con bevande e varie proposte di finger food. Il connubio di musica, cibo e
shopping ha funzionato bene, attirando gente anche da fuori Lugo. Iniziative come queste mostrano
come un modo per rafforzare il legame con i consumatori sia quello di valorizzare il lato sociale
La locandina con date e ospiti degli eventi “God is a dj”
36
La locandina di “Mani nel sacco”
Live windows di A.N.G.E.L.O. con dj in vetrina in occasione di “God is a dj”, a sinistra nell’evento del 13 dicembre e a destra in quello del
3 gennaio (fonte: https://www.facebook.com/ANGELOVintagePalace/)
dell’esperienza di consumo, orchestrando esperienze coinvolgenti che si possono condividere con i
propri accompagnatori e con le altre persone presenti nel negozio48
.
Fra le iniziative volte ad intensificare la relazione tra i clienti
e il punto vendita, “Mani Nel Sacco” si ripete
periodicamente ormai da alcuni anni. Nata inizialmente nel
negozio di Faenza (par. 4.1), è stata poi replicata anche a
Lugo, e ad oggi è diventata nota sia tra i clienti affezionati
che tra i curiosi. Il tutto si basa su un’idea di shopping dalle
componenti fortemente ludiche. In giornate prestabilite,
solitamente in occasione della fiera del vintage di Lugo, di
aperture speciali nei weekend o nel periodo natalizio, una
sezione del negozio viene allestita temporaneamente con
stender ed espositori che ospitano merce selezionata, non
direttamente esposta agli occhi di chi entra in negozio. Ciò
che il cliente è chiamato a fare -naturalmente se vuole- è
scegliere un budget di spesa comprando una shopper di carta
del valore di 15, 25 o 35 euro, che dovrà essere riempita di
merce in un tempo cronometrato di 10 minuti. L’avvio del
gioco (come viene chiamato sul sito di A.N.G.E.L.O.) è
fissato ad orari precisi nel corso della giornata, e i clienti possono parteciparvi in numero limitato
48
ivi., p. 272.
37
per ogni turno. La scelta di capi e accessori, tra quelli proposti, è totalmente libera, gli unici vincoli
sono il tempo a disposizione e l’integrità della shopper, che non deve essere rotta nel tentativo di
riempirla oltre il limite. Ogni partecipante deve essere in grado di muoversi velocemente per
visionare il tutto, e saper scegliere altrettanto in fretta per accaparrarsi prima di altri qualche pezzo
interessante. Questo format ha avuto un discreto successo, soprattutto tra i giovani. Il mettersi
letteralmente in gioco, traslato in un ambiente atipico come un negozio, carica l’esperienza di
shopping di un valore aggiunto poiché investe il cliente di un ruolo decisamente nuovo e attivo che
gratifica non solo da un punto di vista puramente materiale.
2.3 L’importanza della vetrina
La cura della parte interna di un negozio, invoglia le persone a permanere, e soprattutto a ritornare,
ma prima di tutto è la zona esterna che le stimola ad entrare. La vetrina è uno strumento di
promozione che ha un peso notevole. Essa funge da biglietto da visita, ed è quindi in grado di
condizionare in maniera positiva, o negativa, le prime valutazioni dei potenziali clienti. Come per
altri negozi, nel caso di A.N.G.E.L.O. le vetrine sono di barriera, dotate di un fondale che le separa
dalla superficie di vendita49
, nella scelta dei pezzi da esporre, va tenuto conto che da fuori non è
possibile cogliere il resto del contenuto del negozio, pertanto questo limitato range di proposte deve
essere in grado di fornirne un’immagine accattivante e suscitare sensazioni positive in chi vi passa
davanti, deve attirare l’attenzione e generare interesse.
Nelle realtà commerciali tradizionali, solitamente le vetrine danno visibilità ai cosiddetti hero
pieces, i pezzi che comunicano con maggiore efficacia le tendenze stagionali o il mood di una
collezione50
. Ciò che viene proposto in vetrina dovrebbe sempre dimostrarsi disponibile in negozio,
poiché i consumatori spesso vi entrano proprio perché interessati ad uno specifico prodotto esposto.
Per il vintage il discorso è parzialmente diverso. L’unicità dei pezzi fa sì che i prodotti esposti
abbiano un ruolo prevalentemente simbolico piuttosto che di reale promozione, in quanto ciò che si
vede da fuori non è l’esatto speculare all’offerta disponibile all’interno.
49
P. Moroni, Il sistema distributivo. Dalla bottega all'ipermercato, Franco Angeli, Milano 2006, p. 63.
50
S. Ironico, op. cit., p. 249.
38
Vetrine del negozio: a sinistra a tema tartan e animalier (ottobre 2016), a destra con abiti e accessori per la neve (dicembre 2016)
(fonte: https://www.instagram.com/angelovintagepalace/ )
La contemporanea presenza di forme, stili ed epoche estremamente vari dà la possibilità di
sbizzarrirsi nel trasporli in vetrina, creando “storie” molto diverse, anche nel breve periodo:
Cambiamo le vetrine ogni due settimane. Da responsabile mi piace vedere quelle che sono le tendenze al di fuori del
negozio. Tutto ciò che fa tendenza prende ispirazione da elementi del passato, che sono naturalmente presenti in capi
che noi possediamo, per qualsiasi tipo di tendenza si parli. Cerco di mixare quello che è Vintage con le tendenze
contemporanee, rintracciabili sia tra le proposte dell’alta moda che tra quelle delle catene come Zara ed H&M che sono
punti di riferimento per i giovani. Cerco di capire quello che può essere interessante in questo momento e allestisco la
vetrina in base a quello. A volte l’allestimento delle vetrine viene ispirato da eventi ai quali A.N.G.E.L.O. prenderà
parte: ad esempio nel periodo estivo del Summer Jamboree51
, che è un festival anni ‘50 al quale noi partecipiamo, opto
per una vetrina anni ‘50. In altre occasioni guardo i nuovi arrivi e cerco di metterli in evidenza. Al momento ci sono
arrivate moltissime pellicce, quindi ho deciso di dar loro visibilità anche nell’ottica di venderle più facilmente. I
manichini indossano gilet e giacche in pelliccia di periodi diversi, abbinati ad abiti e gonne per sdrammatizzare.
Qualche allestimento fa ho mixato il tartan con l’animalier, perché lo trovo molto interessante. C’è stata una vetrina
votata alla pelle, con capi uomo/donna di vario genere. Naturalmente c’è sempre la stagione di riferimento, come per
tutti i negozi, non esporrei mai dei bikini vintage in novembre. RN
51
http://www.summerjamboree.com/
39
Vetrine per il back to school di settembre 2016 e dettaglio vetrina (fonte: https://www.instagram.com/angelovintagepalace/)
Vetrine a tema Halloween di ottobre 2016, e vetrine natalizie di dicembre 2016 (fonte: https://www.instagram.com/angelovintagepalace/)
Le atmosfere e gli stili trasposti in vetrina sono estremamente variabili, ma sempre frutto di scelte
ragionate, mai lasciate al caso. In linea con le altre realtà commerciali, anche il Palace propone
particolari soluzioni creative in certi periodi dell’anno:
L’allestimento precedente a quello corrente è stato a tema Halloween, con abiti un po' sul tema streghe, tra fantasmi e
ragnatele finte. A settembre abbiamo dedicato la vetrina al ritorno a scuola, era indirizzata a clienti giovani, con
manichini vestiti da collegiali americani. Anche per il periodo natalizio penseremo ad una vetrina dedicata, in linea con
l’atmosfera di festa e il tema dei regali. RN
40
La scelta della merce da esporre è influenzata anche dalle caratteristiche della clientela, che essendo
molto eterogenea, non mira allo stesso tipo di prodotto, sia da un punto di vista stilistico che di
prezzo. Vetrine che si mostrano sempre in disaccordo con le mire di certi consumatori, potrebbero
causarne l’allontanamento:
Tendiamo ad alternare l’allestimento delle vetrine tenendo conto della varietà della nostra clientela. Non vogliamo
comunicare messaggi che vadano bene sempre e solo per un certo tipo di clienti, è importante che tutti si sentano
stimolati ad entrare. Se optiamo per una vetrina indirizzata ad un pubblico giovane, con pezzi che hanno un prezzo più
accessibile e capi street, magari dopo due settimane ne allestiamo una più votata al lusso, indirizzata ad un pubblico
adulto, con un potere d’acquisto maggiore. RN
2.4 Reperimento capi e riassortimento
La questione del reperimento dei capi che vengono venduti in negozio e il periodico riassortimento
della merce funzionano indubbiamente in maniera a sé stante rispetto alle altre realtà commerciali
del settore moda. Alla base di tutto, infatti, non ci sono filiere produttive e tempi d’attesa definiti
come per il resto del mercato. Sorge immediatamente il dubbio se in questo caso si possa parlare di
riassortimento, dato che in un negozio di vintage la maggior parte dei pezzi è in taglia singola, e
anche volendo, difficilmente si sarebbe in grado di reperirne altri uguali.
Capi e accessori sono acquistati dall’azienda da canali diversi, che sono mutati nel corso della sua
attività, sia per collocazione geografica che per categoria, e vengono scelti da buyers incaricate:
Nei primi tempi si comprava nei magazzini che facevano riciclo di abiti, principalmente a Prato. Gli abiti erano
selezionati all’interno di questi magazzini, ed era una cosa che facevo personalmente. Poi abbiamo iniziato ad
acquistare direttamente negli Stati Uniti, le mie prime buyers lavoravano su Los Angeles e su New York acquistando
capi da mercati e magazzini. Dopo gli Stati Uniti abbiamo iniziato col nord Europa, poi siamo arrivati a riguardare e
rivalutare i guardaroba italiani. L’Italia è piena di guardaroba di persone che hanno speso tantissimo per i loro vestiti,
specialmente negli anni ‘70 e ‘80 chi possedeva case molto grandi aveva a disposizione spazio per conservare gli abiti,
soprattutto quelli di qualità. Molte privati sono stati disponibili a vendere i loro capi una volta che questi diventavano
inutilizzati. TA
Circa ogni 1-2 settimane in negozio arriva merce nuova e molto diversa, grazie a questo è possibile
un ricambio veloce e continuo delle proposte. Volendo vendere un prodotto che, pur essendo
vintage, sia in linea col gusto contemporaneo, l’attenzione per le caratteristiche interessa il processo
41
di selezione della merce prima ancora che questa arrivi in negozio:
La ricerca viene fatta a monte da chi per noi seleziona la merce e poi ce la manda, ovvero le buyers e gli addetti al
magazzino. Abbiamo un grande magazzino a Fusignano con abiti che Angelo ha acquistato nel corso degli anni e che
vengono scelti in base all’interesse che possono suscitare nella clientela in un certo periodo. Sono capi radunati in base
a determinate caratteristiche, già cartellinati, selezionati di volta in volta per l’attrattività che possono avere in quel
momento. Ad esempio se è un periodo che il pois è piuttosto cercato, viene aperta la balla di capi con indicazione “a
pois” e vengono scelti i pezzi. Da poco è stata selezionata una balla di felpe della Champion colorate anni ‘80, perché è
stato ritenuto che fosse il momento giusto per proporle. Anche nell’acquisto da privati, da cui provengono gran parte dei
pezzi firmati, si scelgono le cose con criterio, devono soddisfare certe qualità e in generale essere adatte al momento. A
me in negozio arriva sempre un prodotto dietro al quale c’è già stata una ricerca. RN
Il discorso del riassortimento vero e proprio è possibile e concreto per il jeans e il militare, che
provengono in gran parte da fornitori specializzati, ed essendo elementi di punta per l’economia del
negozio sono necessariamente da possedere in quantità.
42
3. L’Archivio di ricerca. Un enorme patrimonio culturale
«Viviamo nella società dell’archivio. Tutti stiamo lavorando sul patrimonio di immagini e cose che
abbiamo accumulato. L’operazione del vintage consiste nel recuperare un passato e rimontarlo nel
presente. E’ sì una nostalgia, ma di tipo attivo, non una nostalgia passiva. Io alla parola nostalgia do
un’interpretazione positiva, essa ci fa guardare il passato ma ci fa usare questo per ridefinire il
presente». Maria Luisa Frisa52
La consapevolezza dell’importanza culturale della moda, si è andata consolidando a partire dalla
metà degli anni ottanta, ma inizialmente il recupero della memoria non si è espresso nella necessità
di creare veri e propri archivi. Solo in tempi recenti si è cominciato a trattare la moda in maniera
sistematica e scientifica, attribuendo grande importanza alla raccolta e la conservazione di
documenti, disegni, modelli e, soprattutto, di capi veri e propri. In questo Angelo Caroli, con il suo
archivio di ricerca, si è dimostrato un pioniere. Nato in anticipo rispetto all’acquisto del Vintage
Palace, è stato probabilmente il primo archivio di vintage a livello mondiale, tanto che egli stesso ha
affermato di non aver mai sentito parlare, almeno per una decina d’anni, di qualcuno che avesse
iniziato un progetto del genere.
Come i capi scelti per la vendita, anche i primi destinati all’archivio provenivano in larga parte dai
magazzini di Prato. Sul finire degli anni settanta reperire dei pezzi importanti fra le balle di capi
usati che si trovavano a Prato era piuttosto frequente53
. Le persone non si rendevano completamente
conto del valore culturale -prima ancora che economico- che certi pezzi avevano e avrebbero avuto,
per la storia della moda, nei decenni a venire; e sbarazzarsi degli abiti vecchi per poi acquistarne di
nuovi, per chi se lo poteva permettere, era una pratica normale o sentita come un’esigenza. Anche
per chi, come Angelo, manifestava interesse per il recupero di capi che avevano già una vita alle
spalle, inizialmente la seduzione era esclusivamente estetica, poiché il valore di quella merce,
allora, era bassissimo: un jeans usato degli anni Trenta valeva come uno usato dell’epoca54
:
«Inizialmente facevo ricerca e acquistavo capi per la rivendita e per uso personale, poi ho intuito,
probabilmente prima di altri, l’importanza di conservare la memoria del nostro passato. […] Non
era chiara la motivazione che mi spingeva a non vendere alcuni oggetti ma a decidere di
conservarli, studiarli, dividerli in categorie e cercarne la storia»55
.
52
Vedi nota 21 cap. 1
53
D. Degl’Innocenti, op. cit., pp. 12-14
54
Ibidem
55
A. Caroli, op. cit., pp. 14-15
43
Dopo l’introduzione del termine “vintage”, sia in Italia che all’estero, si è gradualmente diffusa
l’esigenza di preservare la memoria materiale della moda, e di utilizzare sempre di più il passato
come fonte di ispirazione. Angelo, che nel frattempo si era dotato di uno spazio molto più ampio
dove allocare il crescente numero di abiti, allora possedeva l’unico vero archivio strutturato per il
noleggio a uso stilistico, e ciò ha determinato la sua fortuna.
Il patrimonio di capi posseduti, in più di trentacinque anni di attività, si è esteso notevolmente, e
continua ad evolversi tuttora, perché tra i luoghi del vintage si scoprono sempre dei pezzi “nuovi”
ed inaspettati che vale la pena conservare:
Per decidere quali capi destinare all’archivio sono sempre andato ad intuito, mi baso sulla mia esperienza. Cerco di
capire se un capo è diffuso oppure se è estremamente raro, e quindi importante da conservare. Valuto se può essere
interessante per chi lavora nel settore. Certamente criteri selettivi di cui tengo conto sono la firma, la sartorialità, i
materiali, i dettagli... ma anche il mio gusto gioca un ruolo importante. Ho iniziato con il jeans, gli abiti couture di
Chanel, quelli di Yves Saint Laurent -che mi piace molto-, i giapponesi, i pezzi anni ‘60… se mi rendo conto che una
cosa, in un determinato periodo, può essere più interessante di un’altra, sono più propenso verso la prima, questo perché
alcuni clienti vengono dall’altra parte del mondo per visitare il mio archivio, quindi devo cercare di garantire loro di
trovare sicuramente qualcosa di interessante. TA
Archivio A.N.G.E.L.O. (foto Roberto Manzotti)
44
Attualmente l’archivio A.N.G.E.L.O si
estende su diversi piani del Vintage
Palace e conta circa 180.000 pezzi fra
abiti e accessori: molti sono griffati, delle
più note case di moda italiane e straniere,
alcuni sono articoli della sartoria italiana,
altri sono prodotti industriali e artigianali
di paternità sconosciuta. Tra le varie
stanze è testimoniato più di un secolo di
storia del costume, che va dalla fine
dell’Ottocento -i capi più antichi-, agli
anni ‘90. Una gigantesca biblioteca
materiale della moda che contiene pezzi
estremamente vari per periodo storico,
occasione d’uso, forma, materiale e
colore:
Ci sono diversi criteri di suddivisione. Di solito
sistemiamo i capi per colore e per pattern, più
che per stagione, ciò che per noi conta molto è la
resa estetica, il fatto che la disposizione ci piaccia visivamente. Naturalmente nelle varie stanze sono rispettate le
categorie: di sopra c’è tutto quello che è d’epoca, dal 1910 al 1940, i capi più elaborati, fatti interamente a mano, i
Archivio A.N.G.E.L.O. (foto Roberto Manzotti)
Archivio A.N.G.E.L.O. (foto Roberto Manzotti)
45
cappelli e molto capi firmati, anche di designer contemporanei come Rei Kawakubo e Vivienne Westwood […] c’è la
stanza con la parte di abiti lunghi e corti dagli anni ‘60 agli anni ‘80, c’è la parte dei completi, c’è una parte per i
cappotti, le mantelle e le pellicce, abbiamo una parte tutta sportiva, di activewear, dai capi americani da baseball alle
tute Adidas, capi caratteristici delle pon-pon girls, delle majorette, capi da sci […]. Per le calzature maschili ci
orientiamo in base alla tipologia di scarpa: il derby inglese allacciato, lo stivaletto, il mocassino… per le calzature da
donna, invece, ci muoviamo diversamente. A volte seguiamo il mood, ciò che è più ricercato in quel momento, ad
esempio i designer anni ‘90, e mettiamo in primo piano ciò che abbiamo, poi quando la tendenza cambia, diamo più
evidenza ad altro. Le scarpe sono disposte per colore, per il modello del tacco. Ultimamente andavano i tacchi anni ‘60-
’70, quindi abbiamo esposto diversi modelli di quel periodo. Dobbiamo anche sistemare le cose in base allo spazio, i
pezzi sono moltissimi e non riusciamo ad esporre tutto, alcune cose sono conservate, e vengono tirate fuori a seconda
dell’esigenza. RA
Come per la selezione di pezzi proposti in negozio, di particolare interesse è la rassegna di capi
militari (divisi per paese, epoca e battaglione) e di denim storici, che rappresentano il punto di
partenza della collezione A.N.G.E.L.O. Tra la fine degli anni settanta e l’inizio del decennio
successivo il mercato del vintage ricercava soprattutto capi di provenienza americana, casual, un
settore dell’abbigliamento che in Europa si stava lentamente affermando, e interessava soprattutto il
jeans. Ciò che ha guidato la ricerca di Angelo e lo ha sollecitato nell’acquisto di pezzi storici nelle
aste europee e oltreoceano, sono stati gli aspetti legati al degrado naturale del denim, provocato
dalla luce e dall’usura56
:
Anche se allora non mi erano chiare tutte le differenze storiche, che ho scoperto documentandomi nel tempo, il jeans è
stato un po' il mio primo amore. Sono molto legato ad uno del 1937, primo pezzo americano da collezione per cui ho
speso una cifra notevole. TA
La jeanseria copre un arco cronologico esteso dal 1920 al 1980, ed è talmente consistente da essere
interamente conservata in una struttura esterna, adiacente al Palace.
Negli anni l’archivio A.N.G.E.L.O è diventato un punto di riferimento per brand italiani ed
internazionali, desiderosi di fare ricerca, ma anche per altri addetti del settore moda, dello
spettacolo e della cultura, tanto che oggi la sua attività si articola in molteplici direzioni.
56
D. Degl’Innocenti, Vintage per...passione: l’archivio A.N.G..E.L.O., in Filippo Guarini e Daniela Degl’Innocenti (a
cura di), Jeans! Le origini, il mito americano, il made Italy, Maschietto, Firenze 2005, pp. 85-86.
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  • 1. ALMAMATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DI BOLOGNA SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI CORSO DI LAUREA IN CULTURE E TECNICHE DELLA MODA LA MODA CHE VIVE DUE VOLTE Abiti vintage fra memoria e business Studio del caso aziendale A.N.G.E.L.O. Srl Relazione finale in Organizzazione del sistema moda PRESENTATA DA RELATORE GRAZIA FALSONE LUCA FABBRI SESSIONE III ANNO ACCADEMICO 2015/2016
  • 2. 2
  • 3. 3 Indice Introduzione 5 1. Passato, usato, vissuto. 8 Fenomenologia del vintage dai revivals ottocenteschi agli anni Duemila 1.1 In principio c’erano i revivals 10 1.2 L’abito usato fra risparmio e protesta 11 1.3 Gli albori del vintage 12 1.4 “Revivals” postmoderni e vintage marketing 14 1.5 Quando una passione diventa business: il Vintage Palace di Angelo Caroli 16 2. Il negozio di vintage 22 2.1 Il cliente di vintage 27 2.2 Shopping esperienziale 29 2.3 L’importanza della vetrina 37 2.4 Reperimento capi e riassortimento 40 3. L’Archivio di ricerca. Un enorme patrimonio culturale 42 3.1 Ricerca stilistica 46 3.2 Redazionali e fashion editorials 49 3.3 Mostre 53 4. Altre realtà distributive 57 4.1 A.N.G.E.L.O. Vintage Lab 58 4.2 I temporary shops 59 4.3 Le fiere 62 4.3.1 A.N.G.E.L.O e Pitti 65 4.3.2 Milano Vintage Week 66 4.4 Vintage 2.0 68 4.4.1 Sito aziendale ed e-shop 70 4.4.2 Le partnership 75 4.4.3 Nuove piattaforme di vendita: Depop 78 Conclusioni 81 Bibliografia & sitografia 82
  • 4. 4
  • 5. 5 Introduzione Che la moda sia legata alla riproposizione di forme e stili già sperimentati in passato, oggi più che mai è una realtà evidente. La progettazione delle collezioni stagionali prevede un attento studio delle caratteristiche, che attingono alla sfera del colore, del tessuto, del taglio e della forma, scelte ed interpretate negli abiti in un pastiche di passato e presente, che mira ad essere sempre in linea con lo stile del marchio. Questa operazione di recupero, tuttavia, non ha certo origini recenti. Lo sguardo al passato come fonte di ispirazione è sempre stato alla base del fare creativo, con modalità e intenti diversi a seconda delle situazioni e del periodo storico. Basti pensare al ritorno in auge di modelli vestimentari provenienti dall’immaginario classico greco-romano adottati nel periodo del Direttorio francese tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento; riproposti con elementi di novità da stilisti di inizio Novecento; rivisitati da molti fashion designer contemporanei che ne inseriscono qualche variante quasi ogni anno nelle collezioni Primavera/Estate. Ciò che si è evoluto - o involuto? - col passare del tempo, è stato il ritmo di rinnovamento delle mode, che da fenomeni di costume di una certa portata e durata, sono diventate sempre più effimere, sempre più fads1 . Se in origine il sistema moda prevedeva l’uscita di due collezioni all’anno, da qualche decennio molti brand hanno lanciato anche le pre-collezioni e le capsule. Le prime sono nate per soddisfare il guardaroba dei consumatori abbienti, intenzionati ad andare in vacanza in zone costiere o verso luoghi esotici durante i mesi invernali, e vengono presentate in anticipo rispetto alle classiche settimane della moda; le capsule collections, invece, possono essere sviluppate in qualsiasi momento della stagione e si compongono generalmente di pochi pezzi, caratterizzati da un concept o un tema ben definito2 . Queste nuove linee sono, in parte, una risposta all’offensiva dei marchi di abbigliamento low cost, che offrono un continuo ricambio dei prodotti di moda, stimolandone un consumo frequente. Etichettati come fast fashion3 brands dagli anni Novanta, tali marchi assorbono le nuove tendenze proposte sulle passerelle delle capitali del fashion system, e si ispirano a queste per la creazione delle loro linee. Il concetto di base è proporre capi alla moda a prezzi accessibili, con un riassortimento rapido ed un altrettanto rapido rinnovo delle proposte nel giro di poche settimane. Il connubio di prezzo ridotto e forte componente moda ha avuto negli anni un successo enorme, tanto che molte aziende sono diventate dei veri e propri colossi del fast fashion, con negozi sparsi in tutto il mondo. Da un lato si è assistito ad una democratizzazione della moda, che non preclude più la possibilità di indossare un capo di tendenza 1 Fad: in italiano si traduce come “moda passeggera” e anche “capriccio”, significati che esplicitano chiaramente il mutare repentino delle tendenze al giorno d’oggi. [Fonte: Dizionario online Wordreference] 2 S. Ironico, Fashion Management. Mercati, consumatori, tendenze e strategie di marca nel settore moda, Franco Angeli, Milano 2014, p. 126. 3 E. Casu, Fast Fashion, 2011 [http://www.vogue.it/news/encyclo/moda/f/fast-fashion]
  • 6. 6 a chi non è intenzionato a spendere somme impegnative, o non ne ha la possibilità; dall’altro lato, però, la diffusione a macchia d’olio di queste catene d’abbigliamento, e il conseguente acquisto di capi assolutamente identici da parte di un elevato numero di persone, ha portato ad un parziale livellamento della personalità individuale espressa attraverso gli indumenti. In questo contesto, ha cominciato a prendere piede un fenomeno che, comparso negli anni Sessanta come interesse verso l’abbigliamento di seconda mano, dalla fine del secolo scorso è diventato volontà di recupero del passato di qualità, desiderio di rifuggire l’omologazione forzata del mercato per imporre un’identità propria: il vintage4 . Nonostante oggi sia un termine entrato nel lessico corrente, il significato di “vintage” a molti non è ancora ben chiaro, e persino fra le fila degli addetti del settore moda viene talora utilizzato impropriamente. C’è chi pensa si usi per identificare semplicemente qualcosa di vecchio, o vecchio e usato, vecchio perché usato, usato quindi sicuramente usurato, e vintage come sinonimo di rétro. Io stessa ammetto che prima di cominciare il mio percorso universitario non ero pienamente a conoscenza delle sfumature di questa parola. Col tempo, oltre ad averne appreso il significato etimologico e ad avere studiato le vicende storiche che ne hanno influenzato lo sviluppo, mi sono appassionata e ho cominciato a frequentare qualche fiera dedicata. L’interesse immediato credo sia stato legato, in parte, al fatto che fin da piccola sono stata abituata da mia mamma ad usufruire di vari capi di seconda mano, ceduti da mie amiche più grandi, non disdegnandoli solo perché già indossati da loro, anzi, spesso trovavo capi che mi piacevano molto di più rispetto a quelli scelti da me in negozio, e mi sentivo estremamente fortunata. Crescendo, questa propensione non si è estinta, e in questi anni il confronto col vintage si è rivelato per me una grande scoperta. Ho deciso di intitolare questa tesi “La moda che vive due volte” perché il mio primo approccio consapevole al vintage è avvenuto in occasione della fiera di Forlì, che porta questo nome, ma anche perché trovo che esprima con grande profondità l’essenza che lo caratterizza. Alcuni prodotti di ieri sono stati in grado di suscitare sensazioni ed emozioni così vive nel ricordo comune, tanto da arrivare immutate fino ai giorni nostri; la loro storia vive due volte: la prima quando il modello è stato concepito prodotto e immesso sul mercato e la seconda quando il mito ritorna e dialoga con il presente. “Vintage” non è un’etichetta che qualifica un abito come vecchio in senso assoluto, né come necessariamente usato, e non si riferisce indistintamente a tutta la produzione passata. Devono trascorrere almeno vent’anni prima che un capo possa insignirsi di questo appellativo, dopo di ché il suo valore risiederà nell’essere in grado di testimoniare lo stile di un’epoca, nella qualità dei materiali con cui è stato prodotto, nella sua capacità di riportare alla mente sensazioni e immagini 4 I. Silvestri, Comprendere e conservare il vintage e la sua riproposta nella moda contemporanea, in Iolanda Silvestri (a cura di), Vintage. La memoria della moda, Editrice Compositori, Bologna 2010, pp. 11-21.
  • 7. 7 Interviste effettuate: legate ad un passato da non dimenticare, che si mescola al tempo presente. Negli anni Duemila il fenomeno del vintage si è intensificato in tutto il mondo, interagendo su più livelli con la moda contemporanea. Tutta la recente produzione che attraverso l’uso di certi elementi rimanda a periodi trascorsi, spesso sotto forma di riedizione del modello originale o in chiave di restyling, non è vintage ma rétro, e nel vintage trova una continua fonte d’ispirazione. In linea con l’estensione dell’interesse per questo tipo di mercato, è parzialmente mutato anche il sentimento delle persone nei confronti dei suoi prodotti e, di conseguenza, il costo della merce e le realtà commerciali legate al vintage. Il primo capitolo del mio elaborato si propone di offrire una parentesi storica, seppure ridotta, dei fenomeni che hanno portato alla nascita del vintage, a cominciare dalle prime note reviviscenze nel campo della moda, quando questo termine non esisteva, ma il fascino del passato legato all’abito era già un aspetto concreto. Partendo da un excursus sui revival ottocenteschi, ho poi affrontato la questione della diffusione dell’abbigliamento usato a cavallo degli anni Sessanta, pratica che ha influenzato profondamente i decenni a seguire, e ha posto le basi per l’espansione di una forma di recupero della moda che oggi rappresenta, su tutte, una scelta di stile. In chiusura di capitolo si apre la strada all’argomento vero e proprio della mia tesi, sviluppato nei capitoli successivi, ovvero l’analisi di un caso aziendale legato al vintage. Ho affrontato lo studio specifico di un’azienda che ha fondato la sua storia, e vive il suo presente, nella passione per il recupero e la valorizzazione della memoria, e ha realizzato attorno ad essi un modello di successo. L’azienda in questione è A.N.G.E.L.O. Srl di Lugo, in provincia di Ravenna, pioniere per il settore dell’abbigliamento vintage, che oggi ne riveste un ruolo di primissima importanza, presso la quale ho avuto il piacere di svolgere un periodo di tirocinio curriculare di tre mesi. Sono venuta a conoscenza di questa azienda proprio in occasione della già citata fiera del vintage di Forlì, e il forte desiderio di approfondire le mie conoscenze facendo esperienza sul campo mi ha spinta a prediligerla quando è stato il momento di fare domanda per il tirocinio universitario. Durante la mia permanenza mi sono appassionata molto a quell’ambiente e al lavoro che vi sta dietro, tanto da decidere di farne l’argomento della mia relazione finale. Nella stesura ho passato in rassegna i vari reparti che compongono l’azienda, riportando le interviste ai responsabili che ho realizzato fra novembre e dicembre 2016 (vedi legenda “interviste effettuate”). L’intento che ha guidato questo lavoro è stato esplicare come oggi si declinano le attività legate al vintage all’interno di un esercizio commerciale che investendo su una grande passione si è trasformato in business, ma continua ad abbracciare una forte dedizione per la salvaguardia della memoria della moda, che è storia e, in quanto tale, memoria di tutti noi. sigla descrizione TA RN RA RO Titolare dell’azienda Responsabile negozio Responsabile dell’archivio Responsabile dell’online
  • 8. 8 1. Passato, usato, vissuto. Fenomenologia del vintage dai revivals ottocenteschi agli anni Duemila Prima di diventare un fenomeno di portata globale, il recupero materiale del passato non era guidato dalla consapevolezza di un valore dell’abito che prescindesse da caratteristiche legate alla stagionalità della moda; pertanto l’importanza culturale degli indumenti d’altri tempi non era tenuta in seria considerazione, e l’usato veniva prediletto più per convenienza che per attrazione estetica. A metà degli anni Ottanta l’introduzione del termine “vintage”, diventato noto e di uso corrente soprattutto durante gli anni Novanta, favorì una progressiva rivalutazione dell’abbigliamento datato, giudicato ricco di fascino poiché fortemente intriso di tradizione, fatto di tessuti e caratterizzato da tagli e dettagli di un epoca superata ma da non dimenticare5 . Il termine “vintage”, dal francese antico vendenge “vendemmia”, che a sua volta deriva dal latino vindemia, è nato nel mondo del vino per designare l’anno di raccolta dell’uva. “The 1964 vintage” significa “vino dell’annata 1964”6 . Dall’indicare le annate migliori dei prodotti vinicoli, il termine ha trovato poi applicazione nel campo delle auto, dei mobili e successivamente degli abiti, per esaltarne un valore, non più legato ad una data precisa, ma ad un periodo storico espresso in termini di qualità e di uno stile riconoscibile. Gli abiti non recenti sono diventati desiderabili proprio in quanto d’annata e perciò rappresentativi di una fase trascorsa della moda giudicata qualitativamente elevata7 . Da quel momento in poi l’interesse per certi capi, che prima sembravano perdere attrattiva in virtù dello scorrere del tempo, ha cominciato a farsi strada, ed è gradualmente emersa la necessità di conservarli e dare loro nuova vita. Tutto il discorso circa la recente riscoperta di un passato di valore, e l’avvento del vintage sulla scena mondiale, non può prescindere dal riferimento storico a quelle che sono state le prime reviviscenze nel campo della moda, come il recupero della classicità ad inizio Ottocento, e il successivo interesse per il mondo medievale, che hanno riportato in auge forme e accostamenti in uso nel passato, seppure con uno spirito diverso rispetto a quello contemporaneo. Dietro a simili revivals, che mettevano in circolo stili ma non oggetti del passato, si celavano sapienti costruzioni politiche e culturali legate a specifici ambienti e ai loro interessi8 . Il revival del revival classico, e gli altri numerosi e periodici ritorni a forme passate, hanno dato ulteriore prova del fatto che, nel suo perenne cambiamento, lo sguardo della moda si rivolge ripetutamente al suo trascorso. 5 M. G. Muzzarelli, Breve storia della moda in Italia, Il Mulino, Bologna 2011, p. 127. 6 L. Gontier – J. Colleuille, Guida al vintage, Morellini, Milano 2007, p. 33. 7 M. G. Muzzarelli, Breve storia della moda in Italia , cit., p. 127. 8 M. G. Muzzarelli, Presentazione in Vintage. La memoria della moda, cit., p. 9.
  • 9. 9 Patrizia Calefato9 parla del rapporto tra il tempo e la moda riprendendo l’espressione coniata da Walter Benjamin nota come Tigersprung, il “balzo di tigre”: «La moda costituisce un modello esemplare del balzo di tigre: mentre sembriamo tutti chiamati a vivere in una “modernità” perenne di cui la moda rappresenta una figura centrale perché ci detta l’ultima novità, la prospettiva del “balzo di tigre” è invece quella che intende la moda come storia, come incarnazione dello spessore del passato nel presente. Le attuali forme di riproduzione dei segni di moda sembrano confermare e rafforzare questa immagine: la moda guarda infatti oggi sempre più al passato come riserva di immagini e di citazioni che ritornano nel presente assumendo nuovi significati»10 . Le origini più recenti della passione per il recupero che anima il vintage sono rintracciabili nella pratica dell’usato, intesa come recupero selettivo di indumenti e oggetti passati che, seppure già adoperati più o meno a lungo, mantengono un certo fascino agli occhi dei nuovi possessori. Questo nuovo atteggiamento è stato il punto di arrivo di un processo evolutivo che ha origini antiche. Se inizialmente l’interesse per l’usato era guidato da ragioni strettamente economiche, che per secoli ne hanno trainato il commercio, nella seconda metà del Novecento ha assunto nuovi connotati e significati. Fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta si è assistito ad una prima rivalutazione del second hand da parte dei giovani, che ne hanno fatto un simbolo della protesta e dell’emancipazione, in contraddizione con l’impero dell’alta moda. La popolarità degli stili di strada nati fra i giovani, in risposta ad una moda che non li rappresentava, ben presto influenzò proprio i grandi marchi, che svilupparono nuove creazioni ispirate dal basso e votate al casual. La reale consapevolezza del valore culturale degli abiti del passato emerse sul finire degli anni Ottanta, tradotta in un’attenzione particolare per le qualità materiali ed evocative del capo usato. Nel tempo il fenomeno del Vintage ha gradualmente preso piede, anche in risposta alla moda di massa propinata dai canali di vendita tradizionali. La svolta che ne ha determinato la popolarità su scala mondiale, è la legittimazione a elemento fashion e distintivo, riconosciuta da addetti del settore della moda, in particolare le stylist. L’assimilazione da parte del grande pubblico comincia grazie a trampolini mediatici di un certo peso, come l’apparizione di Julia Roberts alla cerimonia degli Oscar del 25 marzo 2001 in un abito Valentino del 199211 . Oggi il vintage è una realtà affermata e molto composita che continua ad evolversi. La volontà di andare controcorrente rispetto alla direzione generale del mercato, che aveva avvicinato i primi 9 Professore associato di sociolinguistica in diverse Facoltà dell’Università di Bari (http://pcalefato.xoom.it/pcalefato/presentazione.htm) 10 P. Calefato (a cura di), Il vintage dell’immaginario: il tempo, la moda, i nuovi progetti, in “ZoneModa Journal”, n. 2, 2011, pp. 14-21. 11 F. Bolli, La celebrazione del vintage: il fenomeno mediatico, in Daniela Degl’Innocenti (a cura di), Vintage. L’irresistibile fascino del vissuto, catalogo della mostra (Prato, Museo del Tessuto, 8 dicembre 2012 – 30 maggio 2013), Silvana Editoriale, Milano 2012, pp. 81-87.
  • 10. 10 compratori al prodotto vintage, è gradualmente sfumata in una scelta di tendenza. Il nuovo volto glamour del vintage, ha favorito lo sviluppo di nuove imprese ed eventi legati a questo mercato, e la consapevolezza dell’importanza culturale degli abiti è divenuta tale da incentivare la nascita di numerosi archivi aziendali e di ricerca, serbatoi di un patrimonio materiale da preservare ed inesauribile fonte di ispirazione per la creazione e la commercializzazione di nuove collezioni. 1.1 In principio c’erano i revivals Con i revivals ottocenteschi la moda comincia a manifestare la sua natura profondamente ciclica. Sebbene ad essere valorizzati non erano i capi antichi in sé, ma il loro stile riprodotto in esemplari nuovi, essi hanno rappresentato le manifestazioni primordiali dell’enorme fascino che il passato ha esercitato -ed esercita tuttora- sulla produzione umana, evolvendosi poi in vero e proprio riciclo di capi e accessori originali. Il primo revival della storia, o quantomeno il primo di cui si hanno ampie fonti, è quello votato alla riscoperta del mondo classico agli inizi del XIX secolo. L’antico-mania che investì numerosi settori, si diffuse nel periodo del Direttorio francese, e con Napoleone si espresse in quello che è rimasto noto nei secoli come stile Impero. Il richiamo al passato era un modo per prendere le distanze dalla Rivoluzione, volgendosi alla classicità greca e romana alla ricerca di nuovi ideali repubblicani e patriottici12 . Verso la metà dell’Ottocento al revival classico si sostituì quello medievale, nutrito dagli influssi della cultura contemporanea, fortemente romantica, e dalla passione politica che animava i primi movimenti d’indipendenza. La moda non fu certo immune all’ondata citazionista, seppure in maniera limitata rispetto ad altri settori (specialmente l’architettura), anche se il gusto espresso attraverso gli abiti era caratterizzato da elementi databili più al Cinquecento che al periodo medievale. Da quel momento i ritorni a mode passate si sono ripetuti periodicamente. L’amore per la cultura classica greco-romana che animò il primissimo revival, ha trovato nuova vita nel XX secolo, in quello che viene chiamato revival del revival. Nella Francia del primo Novecento, Paul Poiret liberò la donna dagli stretti busti della moda Belle époque, creando abiti ispirati alla moda francese di inizio Ottocento. L’ispirazione chiaramente neoclassica determinò la nascita dell’appellativo Directoire Revival, riferito agli abiti da lui prodotti13 . L’operazione citazionista di Poiret nasceva dal desiderio di rinnovare la moda su un piano puramente estetico, e non era 12 M. G. Muzzarelli, Breve storia della moda in Italia, cit., p. 120. 13 V. Maugeri – A. Paffumi, Storia della moda e del costume, Calderini, Milano 2005, p. 218.
  • 11. 11 alimentata da motivi politici e sociali. Anche Madeleine Vionnet qualche anno dopo iniziò a progettare abiti morbidi la cui ispirazione sembrava collocarsi nel mondo classico, tanto che quando apparvero si cominciò a parlare di robe à la greque, ma la chiave segreta dei suoi modelli erano la geometria e il taglio in sbieco14 . In Italia fu Mariano Fortuny a dedicarsi al recupero dell’arte classica, producendo tessuti e abiti destrutturati ispirati al mondo greco, con elementi di novità come la plissettatura permanente della seta, brevettata in quegli anni15 . Il percorso della moda, tutt’altro che lineare, per tutto il Novecento si è articolato in periodici ritorni e rimandi ad una realtà vestimentaria pregressa, attraverso un uso più o meno consapevole della storia. Si è assistito alla continua riproposizione di forme e stili già sperimentati in passato, ma sempre con uno sguardo rivolto alla contemporaneità. 1.2 L’abito usato fra risparmio e protesta La pratica dell’usato ha origini molto antiche. Nel Medioevo il commercio di abiti dismessi era in mano alle corporazioni di rigattieri. Oltre a rappresentare la prima forma di “pronto moda”, a questo mercato accedevano in prevalenza quelle classi sociali che non avevano la disponibilità economica per acquistare tessuti nuovi o farsi confezionare dal sarto capi d’abbigliamento su misura16 . Naturalmente non tutto l’usato rappresentava la possibilità di un risparmio, i capi di un certo valore, infatti, lo mantenevano anche da usati, e ciò incentivava i possessori a rivenderli piuttosto che a disfarsene. La nascita dei grandi magazzini francesi nell’Ottocento costituì una soluzione per chi non poteva avere accesso alle sartorie di lusso e non voleva fornirsi dai rigattieri o frequentare i mercati delle pulci. L’offerta di abiti nuovi a buon prezzo rese meno necessario il ricorso al mercato dell’usato, che tuttavia continuò ad esistere e ad essere frequentato da persone con scarsissima capacità di spesa17 . Solo durante la seconda metà del Novecento è mutata la concezione dell’abito di seconda mano, visto per secoli come un tipo di abbigliamento destinato a persone poco abbienti, per assumere nuovi significati, a partire dal suo utilizzo come strumento con cui veicolare messaggi sociali e politici. Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento l’usato assunse un valore completamente nuovo, e diventò codice della cultura e della protesta giovanile. Il desiderio di apparire diversi dagli adulti, la 14 E. Morini, Storia della Moda. XVIII-XXI secolo, Skira, Milano 2010, p. 268-269. 15 M. G. Muzzarelli, Breve storia della moda in Italia, cit., p. 121. 16 D. Degl’Innocenti, Introduzione in Vintage. L’irresistibile fascino del vissuto, cit., pp. 12-14. 17 M. G. Muzzarelli, Breve storia della moda in Italia, cit., p. 127.
  • 12. 12 scelta di modelli culturali alternativi e di uno stile di vita meno formale di quello tradizionale provocarono una sorta di rivoluzione nelle abitudini e nei canoni vestimentari18 . I giovani reclamavano una moda semplice e democratica, rifiutando il modello rigido, lussuoso e ostentativo proprio dell'haute couture, per promuovere nuovi valori quali l’abbandono delle convenzioni, la libertà e il dinamismo. Gli abiti tornavano nuovamente in circolazione con una carica provocatoria nuova, spesso stracciati e sbiaditi consentivano di andare contro le regole di decoro imposte dal vestire tradizionale, e come nel caso dell' eskimo, degli scarponi e di alcuni capi di origine militare, erano un modo per esprimere messaggi di protesta sociale19 . Dopo gli anni Settanta, terminata la fase di maggiore fervore e vivacità dei movimenti di protesta, i giovani continuarono a ricorrere all'impiego dell’usato e dell’abbigliamento del passato per esprimere significati legati al cambiamento della società e alla libertà individuale20 . Sebbene gli ideali che guidarono la valorizzazione di una moda “bassa”, col tempo si andarono spegnendo, il tutto mise in discussione il primato dell’alta moda, e aprì la strada alla diffusione di un abbigliamento di gusto giovanile che fu all’origine del prêt-à-porter griffato dei decenni successivi. 1.3 Gli albori del vintage «Quando ero giovane si diceva che ci si vestiva ‘all’usato’, negli anni Settanta non si conosceva la parola ‘vintage’» Maria Luisa Frisa21 A partire dagli anni Settanta, il fascino degli stili promossi dalle subculture giovanili, influenzò profondamente il sistema della moda dominante. I grandi marchi, attratti dalla popolarità e dalla forza propulsiva della “moda di strada”, svilupparono linee d’abbigliamento ispirate ai linguaggi delle “divise della protesta” come jeans, eskimo, parka, capi militari ed etnici22 . È proprio il jeans a rompere le regole dell'eleganza e ad aprire le porte ad un nuovo genere: il “casual”, espressione di un abbigliamento informale, comodo e personalizzabile23 . Da qui iniziò la trasformazione del fenomeno. I magazzini e i mercatini dell’usato diventarono luoghi speciali dove il passato, comunicato dai capi d’abbigliamento, non era solo una vantaggiosa forma di acquisto ma anche fonte di fascinazione e creatività24 . 18 E. Morini, Uno stile della moda di oggi: il vintage in Vintage. La memoria della moda, cit., pp. 23-32. 19 M. Brunori, Riconoscere e conservare gli abiti del Novecento, ivi, pp. 39-52. 20 V. Codeluppi, I giovani e l’estetica dell’usato in Vintage. L’irresistibile fascino del vissuto, cit., pp. 41-47. 21 Direttore del Corso di laurea in Design della moda e Arti multimediali all’Università Iuav di Venezia e presidente di MISA-Associazione Italiana degli Studi di Moda (http://www.iuav.it/Ateneo1/docenti/design-e-a/docenti-st/Maria-Luis/) 22 D. Degl’Innocenti, op. cit., pp. 12-14 23 D. Degl’Innocenti, ivi, p. 111. 24 Ibidem
  • 13. 13 Negli anni Ottanta il trionfo del prêt-à-porter griffato votato al casual fece balzare in secondo piano la moda dell’usato, ma il nuovo volto che nel tempo era stato dato al second hand non si esaurì, favorendo l’organizzazione sistematica di veri e propri archivi, oggetto di attenzione da parte del pubblico di specialisti della moda. Il gusto dell’usato, acquistò nuova fama grazie all’etichetta di “vintage”, diffusasi globalmente a metà degli anni Ottanta. Questo nuovo termine, preso in prestito dal mondo dei vini di pregio, fu adottato per indicare il particolare valore di abiti del passato, che rappresentavano una fase importante della storia della moda. Il valore del capo non era più dettato dal costo, ma dal potere di citazione. Vennero implementate le raccolte di genere militare, studiato soprattutto per i capi tecnici e per la confezione, di abiti etnici interessanti per la struttura, il design tessile e gli effetti di ricamo, di abiti e accessori dei brand storici della moda per l'immagine la confezione, ed infine di capi griffati contemporanei per il vintage di domani25 . Se inizialmente l’interesse per il pezzo d’annata coinvolse prevalentemente esperti del settore e collezionisti, l’influsso dei media contribuì alla notorietà del vintage presso il grande pubblico. In molti segnalano come trampolino mediatico per eccellenza il già citato 25 marzo 2001 quando, in occasione della 73ma edizione degli Oscar, Julia Roberts ricevette la statuetta come miglior attrice indossando un Valentino realizzato quasi dieci anni prima, nel 1992. Fu un evento molto incisivo per il futuro successo del fenomeno. Una delle attrici più conosciute e seguite riceveva il premio più prestigioso sfoggiando il glamour hollywoodiano con un abito che, non creato appositamente per l’occasione e neppure da poco apparso sulle passerelle dell’alta moda, suggeriva l’idea di una scelta voluta e consapevole verso un oggetto unico, capace di farsi ricordare nel tempo e quindi degno di tornare al presente26 . Da quel momento innumerevoli personalità dello star system hanno cominciato ad appassionarsi al vintage, e a sfoggiare abiti passati prodotti dalle grande maison, le cui immagini, grazie alla rete, sono state diffuse rapidamente e altrettanto rapidamente assimilate dal grande pubblico. La valorizzazione del passato di qualità, ha influenzato le stesse maison di moda, che hanno colto l’importanza di ricostruire i propri archivi, e hanno cominciato a puntare su prodotti che fossero il frutto di una ricerca sulle proprie origini, l’espressione di un’identità distinguibile e unica. I capi d’annata sono diventati una fonte di ispirazione primaria per la progettazione delle nuove linee e collezioni, un patrimonio da custodire e preservare. Ad acuire il già avviato richiamo verso l’abbigliamento Vintage è stato indubbiamente, soprattutto negli ultimi anni, il crescente desiderio di rifuggire l’omologazione promossa dalla fast fashion a partire dagli anni Novanta. I marchi che ne fanno parte, proponendo un abbigliamento di tendenza, 25 D. Degl’Innocenti, ivi, pp. 11-14. 26 F. Bolli, op. cit., pp. 81-87
  • 14. 14 ma low cost, sono il principale punto di riferimento dei giovani per gli acquisti, inevitabilmente attratti dal connubio di forte componente fashion e prezzo alla loro portata. La massiccia presenza di punti vendita in tutto il mondo, e l’enorme disponibilità di pezzi in taglie e colori, se da un lato hanno sancito la democratizzazione della moda, in quanto la possibilità di indossare un capo di tendenza non è più stata preclusa a chi non era intenzionato a spendere somme impegnative, o non ne aveva la possibilità, dall’altro hanno portato ad un parziale livellamento della personalità individuale espressa attraverso gli indumenti. Anche per questo i canali di vendita dell’abbigliamento usato si sono moltiplicati e specializzati, aumentando la possibilità di reperire pezzi che, pur continuano a rappresentare un risparmio, sono scelti soprattutto perché massima espressione di uno stile originale e personale, ma anche di tendenza. 1.4 “Revivals” postmoderni e vintage marketing Se in altri momenti lo sguardo alla storia della moda era passato attraverso le lenti della nostalgia o dell'ideologia politica e sociale, negli ultimi decenni questo sguardo al passato che prende il nome di revival sembra non essere più di moda. L’evocazione di un’epoca attraverso un sistema complesso di segni sembra cedere il posto a un vagare di segni irrelati dal punto di vista temporale. Le caratteristiche di questo tipo di sguardo al passato rimandano immediatamente all’incarnazione più visibile dell’atteggiamento cosiddetto postmoderno, cioè l’uso di elementi sintattici di linguaggi passati appartenenti a epoche diverse27 . Se fino alla fine del Novecento era imperativo il cambiamento veloce della moda, da allora in avanti il recupero della memoria e la sua permanenza, reinterpretata in modo libero e autonomo, diventano una tendenza da seguire. Il riciclaggio creativo e aggiornato del passato è la nuova regola della moda di oggi28 . Mode e tendenze provenienti da ogni decennio del secolo scorso, e anche da epoche precedenti vengono continuamente analizzate, assimilate e riproposte in nuovi prodotti, il cui valore d'uso è superato da qualità simboliche che danno un valore aggiunto attraverso il ricordo, generatore di emozioni. Il citazionismo non è più indizio di mancanza di creatività, anzi l'uso di riciclare la storia è diventato un punto di forza e di identità progettuale imprescindibile per elaborare nuove creazioni, confermando in tutta la sua evidenza che il passato non è mai superato completamente. Sebbene il fashion vintage mantenga le sue radici profonde nella pratica del second hand, i valori e le funzioni che oggi lo identificano sono indubbiamente mutati. Essi indicano un nuovo atteggiamento nei confronti del mercato dell’usato, che coinvolge sia un pubblico di appassionati 27 N. Bocca, Il passato nella moda d’oggi, in Grazietta Butazzi e Alessandra Mottola Molfino (a cura di), La moda e il revival, De Agostini, Novara 1992, pp. 47-66 28 I. Silvestri, op. cit., pp. 11-21.
  • 15. 15 cultori sia un nutrito gruppo di tecnici della moda che ricercano nei capi d’annata stimoli creativi per la progettazione della confezione, del disegno tessile e dello studio dei trattamenti sul capo o sulla stoffa29 . In quest'ottica il fenomeno del vintage vero e proprio e dello stile rétro da esso derivato, diventano pura espressione dell’estetica postmoderna, che cerca un rapporto emozionale con il tempo passato. Una delle tendenze di costume sociale ed economico più oggetto di studio del terzo millennio è proprio il vintage marketing, che oggi esamina con estremo interesse la spinta verso questa tensione critica sempre più invasiva tra passato è presente, sfociata in una sorta di melting pot globale, saturo di forme comunicative eterogenee oscillanti tra innovazione e continui sguardi al passato30 . Le aziende hanno cominciato progressivamente ad interessarsi non solo alla storia in generale, ma soprattutto a quella personale, dando alla luce abiti che citano la propria memoria. Uno dei primi a imbarcarsi in questa operazione di valorizzazione dell’identità originaria del marchio è stato Karl Lagerfeld per Chanel. Alla direzione creativa della storica maison dal 1983, Lagerfeld ha attivato una strategia di marketing semiotico astuta e raffinata aggiornando codici e valori di riferimento nel rispetto della centralità della griffe, per dare continuità al mito intramontabile di Mademoiselle31 . Un viaggio culturale a ritroso nell'identità del marchio il cui esempio è stato seguito da moltissimi altri brands, che a partire dagli anni Novanta, fino a oggi, hanno cominciato a curare archivi e musei di impresa, per tutelarne il patrimonio storico-culturale. L’immagine vintage, nell’abbigliamento e negli accessori, è diventata qualcosa che il consumatore contemporaneo conosce e apprezza, tanto da sollecitare i brand dell’abbigliamento casual a sviluppare apposite collezioni, talvolta identificate con specifiche etichette, che impiegano trattamenti di invecchiamento e usura. Il risultato di questi molteplici e articolati passaggi di costume è la certezza che il fenomeno vintage è ormai stato assunto a codice espressivo della moda sia da parte dell’industria della moda che da parte dei fruitori. 29 D. Degl’Innocenti, op. cit., pp. 11-14. 30 A. Fiorentini, Vintage ergo sum. Il fascino del passato e la moda oggi in Vintage. L’irresistibile fascino del vissuto, cit., pp. 49-61. 31 Ibidem
  • 16. 16 1.5 Quando una passione diventa business: il Vintage Palace di Angelo Caroli Uno dei pionieri dell’abbigliamento vintage è stato indubbiamente Angelo Caroli32 , le cui radici professionali si sono intrecciate con le origini dell’utilizzo in Italia di questo nuovo termine. Angelo è il titolare dell’azienda A.N.G.E.L.O. Srl di Lugo, sua città natale in provincia di Ravenna, specializzata nella vendita e nel noleggio di capi e accessori vintage. Nata dalla sua grande passione per il recupero e il riciclo, in più di trent’anni di attività è diventata un vero e proprio punto di riferimento a livello internazionale per il sistema della moda, costruendo un business di successo. Verso la fine degli anni Settanta, Angelo iniziò a lavorare per una piccola emittente radio locale, offrendo consigli di stile ai suoi coetanei: Allora lavoravo per Radio Music International, era una radio libera, rivolta ai giovani, un modo di comunicare qualcosa che era diverso, un po' quello che oggi sono i blog. Io davo consigli sulla moda, suggerivo negozi particolari da visitare e incitavo gli ascoltatori ad esplorare anche i guardaroba dei propri genitori. TA Quasi fin da subito prese l’abitudine di recarsi periodicamente presso negozi e magazzini dell’usato, soprattutto quelli di Prato, che allora rappresentavano la prima fonte di ricerca per i giovani che volevano una moda economica e adatta a loro. La sua attenzione era rivolta principalmente a capi e accessori made in USA che in quegli anni rappresentavano la novità. Aprì il suo primo punto vendita di soli 30 mq proprio a Lugo nel 1978, poco dopo la nascita di Pitti Casual33 , una fiera nuova, che identificava il casual come un momento di moda estremamente importante in quel periodo. Cominciò così a comprare e riproporre a poco prezzo l’ “usato americano”, riscuotendo un ampio consenso: C’era sempre la fila fuori dal negozio, avevo addirittura un “butta-dentro” che gestiva l’ingresso delle persone perché allora c’era una grandissima affluenza. Vendevo jeans, giacche americane, impermeabili, t-shirt, camicie hawaiane e giubbotti militari, i giovani erano molto interessati. Quello che credo di aver fatto in più rispetto agli altri è che a soli 17 anni ho iniziato a pensare di offrire un usato pulito, non venduto con quel nome solo perché economico, perché logoro, perché vecchio. Ho cercato di pensare “fashion”, guidato dalla volontà di riproporre un passato in linea con il gusto e lo stile contemporanei. TA Alla ricerca di capi per la vendita si affiancò da subito la voglia di conservare e capire la storia dei pezzi che lo affascinavano e lo incuriosivano. Dapprima, in mezzo alle balle di capi in cui si imbatteva nei magazzini, si mise a collezionare, oltre ai suoi personali, anche altri capi in denim, 32 http://www.angelo.it/site/angelo-caroli 33 Pitti Casual: Rassegna di abbigliamento casual, jeans e tempo libero tenutasi due volte all’anno (gennaio e settembre) a Firenze dal 1978 al 1984 (fonte: http://www.cfmi.it/cfmi/hystory.html)
  • 17. 17 militari e da lavoro, capi fuori dall’ordinario o particolarmente preziosi; in seguito anche di firma e di couturier34 . Nel tempo aumentò la consapevolezza che conservare gli abiti era importante in quanto permetteva di preservare materialmente la memoria della moda, ed era quindi un’operazione di grande rilevanza da un punto di vista culturale. Anche se in quegli anni non esisteva ancora la cultura del vintage, Angelo fu uno di quegli appassionati collezionisti che avevano già intuito il valore che certi pezzi, soprattutto di firma, avrebbero avuto per la moda futura, e oltre ad interessarsene per un discorso di vendita, creò un vero e proprio archivio di ricerca con capi noleggiabili ad uso stilistico. A metà degli anni Ottanta, l’introduzione del termine “vintage” fu uno step importante per il settore dell’usato35 : Ho cominciato ad usare questa parola a metà degli anni Ottanta. L’ho sentita dire per la prima volta da un mio amico americano, riferita alla rivendita di abbigliamento usato selezionato, e ho deciso di portarla in Italia e utilizzarla, perché ritenevo che potesse funzionare bene, che potesse portare il second hand ad un nuovo livello, e così è stato. TA Con questa etichetta, i capi usati venivano insigniti di un valore nuovo e speciale. Il fatto che fossero già stati indossati da qualcun altro, che talora presentassero difetti dovuti al passare del tempo, e che non fossero all’ultimo grido, erano aspetti che passavano in secondo piano, perché a contare e a differenziarli fra di loro erano le singole capacità evocative, lo stile legato ad un periodo preciso della storia, l’autorialità, la qualità e la particolarità dei materiali, del tipo di lavorazione e dei dettagli. La crescente fama che il vintage si stava guadagnando fu un incentivo che lo stimolò a buttarsi in un progetto ambizioso, e che, negli anni, ha determinato la sua fortuna: il Vintage Palace. Cercavo lo spazio per un negozio che avesse dimensioni più grandi rispetto al piccolo punto vendita da cui ho iniziato, e allo stesso tempo un posto dove custodire i capi che andavo collezionando. Quando ho trovato questa struttura ho capito che poteva essere un luogo con varie sfaccettature, adibito a funzioni diverse. Volevo che oltre alla vendita, e quindi al negozio, comprendesse anche altre realtà riguardanti il mondo dell’usato e del vintage, che stava emergendo in quegli anni; per questo, dopo averne fatto la mia nuova sede nel 1988, l’ho chiamato Palace, e vi ho allocato l’archivio e più tardi anche l’online. Dopo 4 anni passati a ristrutturare e sistemare c’è stata l’inaugurazione nel giugno del 1992. TA 34 A. Caroli, Introduzione in Vintage. L’irresistibile fascino del vissuto, cit., pp. 14-15. 35 Ibidem
  • 18. 18 Il fatto che la scelta della nuova sede sia caduta su una città molto piccola e poco nota, che oggi non viene certo da collegare al mondo della moda, è stato il risultato di una serie considerazioni che a distanza di tempo si sono dimostrate corrette. La collocazione geografica del Vintage Palace non ha minato il successo dell’azienda in termini di vendite e di notorietà: Ho scelto di restare a Lugo, la mia città, innanzitutto perché ho valutato che sarebbe stato più facile gestire una struttura del genere in un posto a me familiare. Realizzare un progetto così grande in una città non mia, come poteva essere un grande capoluogo, avrebbe potuto avere dei costi proibitivi, considerando quanto può essere redditizio un abito usato. Sicuramente una prima ragione è stata legata ad aspetti economici, ma non è stata quella principale. A guidare la mia scelta è stato il fatto che la Romagna negli anni Ottanta era un mercato molto migliore rispetto a quello di altre città, per questo tipo di prodotto. Avevo dei colleghi a Milano che vendevano molto meno di me in quegli anni. La riviera era un luogo che per il mondo della notte richiamava pubblico da tutta Italia, grazie al grande numero di discoteche e locali, principalmente a Rimini e Riccione. La riviera era la meta di un pubblico trendy, dj e persone della moda. Ho conosciuto più persone che lavoravano nel mondo della moda partecipando alle varie feste a Riccione, che andando alle sfilate di Milano. In quei luoghi adibiti al divertimento era più facile fare amicizia rispetto ai luoghi di lavoro, più formali. Erano altri anni, il mondo della notte aveva un gran bisogno di cambiare, i dj diventavano sempre più importanti, nascevano le prime animatrici, i primi pr, persone che avevano sempre bisogno di apparire originali, e l’abito vintage permetteva loro di creare look stravaganti a prezzi abbordabili. I pr portavano nel mio negozio i biglietti dei locali per evitare di dover andare in giro a spargerli, e i ragazzi venivano qui perché sapevano che li avrebbero trovati. Come negozio sono stato scelto molte volte quando c’erano feste a tema nei locali, arrivavo a vestire fino a 150 persone. In oltre anche la vicinanza con Bologna ha giocato a mio favore, in primis perché ero sotto gli occhi di moltissimi giovani universitari, e poi anche perché per l’usato la Montagnola di Bologna era il mercato che andava di più in quel momento, insieme al mercato di Resina a Napoli. TA Negli anni Novanta l'archivio storico comincia ad essere regolarmente visitato dagli stilisti delle case di moda italiane ed internazionali, e dalle riviste più influenti del settore, che trovano in esso L’A.N.G.E.L.O. Vintage Palace di Lugo visto da fuori Dettaglio dell’ingresso del Vintage Palace (fonte: http://www.angelo.it/) (fonte: http://www.angelo.it/)
  • 19. 19 una serbatoio di idee da cui attingere per ispirarsi (par. 3.1 e par. 3.2). Da quel momento al vintage viene attribuita un’importanza crescente, che non tarda a diffondersi presso il grande pubblico e a consolidarsi, soprattutto negli ultimi anni: Oggi non tutti sanno con precisione cosa vuol dire “vintage”, ma molte persone a differenza del passato comprendono meglio il valore dei capi, che se sono datati non vuol dire che debbano essere necessariamente gettati. Ora ci si rende conto che spesso i capi vecchi sono di una qualità migliore rispetto a quella che può essere prodotta oggi, e che il Vintage è diventato una questione di moda. Quando ho iniziato a trattare questo tipo di capi, l’usato veniva considerato per persone con scarsissima disponibilità economica. Se si aveva la possibilità si preferiva comprare qualcosa di nuovo. Poi le cose sono cambiate, oggi chi ha molto denaro cerca la qualità e l’esclusività, comprare un prodotto vintage soddisfa questo bisogno, non importa più che il prodotto sia nuovo, deve essere qualcosa di unico e speciale che altri non possono avere, e questo è un valore aggiunto che il vintage riesce a dare. TA Con il passare del tempo l’interesse di Angelo per il vintage si è articolato su diversi livelli. Visto l’aumentare del valore monetario di certi prodotti di pregio, che cominciavano ad essere fortemente richiesti, la ricerca di capi da proporre all’interno del Palace si è in parte indirizzata verso un prodotto di lusso, in linea con il parallelo successo della moda griffata: Se alla fine degli anni Settanta, quando ero giovane, mi interessava quasi esclusivamente l’usato americano, dagli anni Ottanta sono andato verso un prodotto di firma, seguendo i movimenti del mercato della moda. Essendo una persona che ricerca cose nuove e volendo proporre nel mio negozio qualcosa di desiderabile, sono andato verso il lusso. Anche se i prodotti che circolano non sono nuovi, l’usato e il vintage seguono il mondo della moda, quindi per vendere è importante mantenere uno sguardo attivo sui movimenti del mercato. Pur senza mai dimenticarmi del casual, ho sviluppato un’attenzione verso la couture e il lusso, che per me era un approccio totalmente nuovo. TA Ciò che ha sempre caratterizzato l’azienda e non è mutato nel tempo è l’aver sposato un’etica ecologica, nella convinzione che dopo anni un capo può continuare a raccontare la sua storia. La massima espressione dello spirito di recupero che anima il lavoro di Angelo è stata la linea “Recycled”, composta da vecchi capi d'abbigliamento, modificati ed attualizzati per renderli più contemporanei. Il senso del progetto è stato dare una seconda vita alla moda del passato, recuperando la materia prima, altrimenti gettata, e inserendola nuovamente in circolo con una valenza stilistica innovativa36 : Fra le balle di capi nei magazzini, quelli vintage realmente interessanti sono un 3-5%, e fra quelli non tutti sono messi bene; alcuni hanno difetti, hanno subito l’usura, ma dispiace buttarli, perché poi non esisteranno più. L’idea è stata quella di recuperarli con un gusto estetico. A volte i difetti ti pongono davanti a dei problemi che stimolano la tua parte 36 http://www.angelo.it/site/linee-di-prodotto-angelo
  • 20. 20 Tappetini nei camerini del Vintage Palace realizzati riciclando jeans della Levis (foto mie) Un cuscino realizzato riciclando un paio di jeans e degli elastici per capelli realizzati riciclando jeans e altri tessuti (foto mie) creativa, che ti deve guidare nel trasformarli in dei vantaggi. Possono saltare fuori cose veramente interessanti e particolari che in forma originale non sarebbero state vendute. Dietro a questo lavoro c’è una base di etica ecologica con una fase altamente creativa. Ci sono state varie collaborazioni con laboratori e stilisti e si sono sviluppate diverse linee. La linea più interessante è stata “A.N.G.E.L.O. Gold” quella creata in collaborazione con Stefania Bertoni, docente di recycle all’ISIA di Faenza. Abbiamo lavorato insieme tanti anni e la linea è stata venduta anche a Milano in uno showroom internazionale, soprattutto ad americani e giapponesi. TA Spesso completamente trasformati rispetto alla forma originale, i capi riciclati hanno assunto anche nuove funzioni, diverse da quelle dell’abito: Nel recuperare un materiale come può essere il jeans o il militare, che è qualcosa di molto versatile, le possibilità sono davvero tante. Con le paia di jeans sbragati ho fatto cuscini, tappeti è persino poltrone. Il jeans più è usato e consumato e più diventa bello, che senso ha gettarlo se è bello? Si può reinventare. TA
  • 21. 21 Il successo dell’azienda A.N.G.E.L.O. si è costruito nel tempo grazie alla forte dedizione per il recupero coniugato con una grande attenzione al mercato della moda, ma anche grazie alla voglia di mettersi in gioco e stare al passo coi tempi, sperimentando nuovi progetti e possibilità. A partire dalla metà degli anni Novanta ha cominciato a prendere parte alle prime fiere del vintage (par. 4.3), realtà in cui confrontarsi con colleghi del settore e del più ampio sistema moda, e in generale per farsi conoscere e fidelizzare le persone verso questo tipo di prodotto. Negli stessi anni l’azienda ha gradualmente abbracciato l’online (par. 4.4) in varie direzioni, e sfruttato le potenzialità dell’e-commerce, aumentando così la sua visibilità e rivolgendosi più facilmente ad una clientela globale. Sono nati nuovi punti vendita, soprattutto sul modello dei temporary shops (par. 4.2) dei grandi marchi, per promuovere il prodotto vintage sia in territorio nazionale che all’estero. Il continuo ampliamento del contenuto dell’archivio ha reso possibile una specializzazione tale da permettere, oltre alle numerose consulenze ai marchi del settore della moda e alle collaborazioni con riviste importanti, anche il periodico all’allestimento di numerose mostre (par. 3.3), con l’intento diffondere la cultura della moda legata agli abiti del passato.
  • 22. 22 2. Il negozio di Vintage La notorietà e l’importanza che il vintage è riuscito a raggiungere negli anni, ha portato allo sviluppo di un mercato di dimensioni considerevoli. Quello che era nato come un atteggiamento controcorrente rispetto alla direzione del mercato della moda, si è poi normalizzato e diffuso, tanto che i negozi specializzati in vintage continuano a moltiplicarsi in tutto il mondo. Il bacino d’utenza in rapida evoluzione ha fatto sì che l’offerta del Vintage Palace sia diventata sempre più ampia e mirata, per riuscire a soddisfare diversi target: La selezione della merce nel nostro negozio è molto diversificata, perché dobbiamo essere in grado di rispondere alle esigenze di una clientela varia. Il tutto si articola su due piani, che si differenziano sia per genere che per fascia di prezzo. Il piano terra è suddiviso in una stanza donna, una stanza uomo, una jeanseria, una stanza dedicata all’abbigliamento militare e una chiamata “stanza feste”. La merce è indirizzata ad un pubblico prevalentemente giovane o giovanile, e anche per questo la fascia di prezzo è più bassa rispetto al piano superiore. Anche al primo piano si trovano un reparto uomo ed un reparto donna, ma la merce proposta è basata su prodotti di lusso, firmati o cult, ovvero particolarmente importanti per una determinata epoca, quindi la fascia di prezzo è più alta. Come per gli abiti, anche per quanto riguarda gli accessori il piano di sopra prevede prodotti di firma, come Chanel, Louis Vuitton, Hermès, Yves Saint Laurent ecc. Al piano di sopra c’è anche il magazzino principale, quello interno al negozio -perché ne abbiamo anche di esterni-, che può essere visitato dai clienti. Avendo un incredibile quantitativo di merce, per problemi di spazio non riusciamo ad esporre tutto contemporaneamente, quindi molte vendite vengono fatte dal magazzino. RN Se inizialmente la ricerca di un capo vintage da parte dei consumatori derivava dalla nostalgia e dalla fascinazione per oggetti appartenenti al passato, ma anche dal desiderio di risparmiare, oggi si lega molto alla volontà di stare al passo con le mode del momento, considerando i numerosi revival di stili passati presenti nei capi contemporanei37 (par. 1.4). Il prezzo di capi e accessori ha subito l’influenza di tale mutamento, e ad oggi è legato sia all’importanza del brand e all’anno di produzione, caratteristiche fondamentali per definirne il valore, che soprattutto ai movimenti del mercato, a ciò che è più richiesto dai clienti in un certo periodo. Per quanto riguarda i pezzi iconici del vintage di lusso, il cambiamento di prospettiva ha inciso in maniera evidente sul prezzo di mercato, tanto da porli quasi sullo stesso piano dei prodotti nuovi: Per i pezzi iconici ormai non c'è una grandissima differenza tra il costo di un articolo nuovo e quello di uno vintage, anzi talvolta nel vintage riscontriamo prezzi più alti, proprio perché si tratta di capi o accessori che al momento non si trovano più sul mercato. Per quanto riguarda completi e giacche di Chanel, solitamente i completi hanno un prezzo che 37 S. Ironico, op. cit., p. 59.
  • 23. 23 si aggira intorno ai 1.500/2.000€, appartenendo ad una collezione che ora ovviamente non esiste più, hanno valore in quanto pezzi unici che può comprare solo quel cliente che ha la fortuna di trovare un capo della sua taglia, però sono anche più difficili da piazzare rispetto a quelli nuovi, un capo prodotto oggi costa circa il doppio. Anche per quanto riguarda le borse Chanel vale il discorso dell'unicità del modello del passato, o del colore che adesso per certi modelli non producono più. In linea di massima le borse vintage vanno dai 1.000€ ai 4.000€. La 2.55 in nero si aggira intorno ai 2.800/2.900€, quelle colorate solitamente di più. Per quanto riguarda le borse di Hermès il di- scorso è ancora più complesso rispetto a quello di Chanel. Oggi per poter avere una Birkin o una Kelly nuove ci sono dei tempi di attesa lunghissimi -parliamo di anni-, questo ha fatto sì che le borse vintage siano arrivate ad avere più o meno lo stesso prezzo, perché scegliendo il vintage si può avere la propria borsa subito, senza dover aspettare una lista d'attesa, alla quale per altro si può partecipare solo se si è già un cliente Hermès, altrimenti una Kelly o una Birkin non la si può proprio comprare. Il prezzo dipende dal colore, ma soprattutto dai centimetri: in linea di massima più e grande e più costa, e anche dal fatto che abbia o meno la tracolla, infatti in negozio una tracolla nuova può costare anche 1000€ euro da sola. Le borse possono costare dai 7000€ ai 10000€, come addirittura di più se sono in coccodrillo, struzzo ecc. Da noi la selezione è molto accurata, scegliamo solamente capi e accessori che siano in perfette condizioni, alcuni an- che nuovi e mai usati, anche per quanto riguarda le borse Chanel ed Hermès, per cui il prezzo più alto è dato anche da questo elemento. RN Tenendo in considerazione i vari cambiamenti ci si rende conto che, sebbene un negozio di vintage non si nutra delle novità prodotte in serie dai marchi del settore moda, e quindi sia una riserva di tanti stili diversi, la sua attività non può procedere in maniera totalmente svincolata dai trend di stagione promossi da tali marchi. Nell’ottica del profitto e della competitività, la merce proposta deve essere selezionata -per quanto possibile- tenendo conto di quelle che sono le tendenze della moda contemporanea, poiché l’agire di consumo, anche nel mondo del vintage, non è mai prescisso da un sistema di riferimento: Anche il vintage, come la moda, si evolve. Ora in negozio tratto articoli che un tempo non sarebbero piaciuti. La mia filosofia è cercare di proporre qualcosa che sia interessante oggi, interessante da indossare, che possa piacere ad un vasto pubblico perché è in linea col gusto contemporaneo, con quanto proposto da altri negozi e brand. Lo stesso discorso vale anche per i capi da collezione, benché siano nell’interesse di una nicchia di clienti. TA Che molte proposte siano ragionate, di volta in volta, in base alle tendenze del periodo, lo si può evincere facendo attenzione soprattutto alla selezione di merce presente all’ingresso del Palace: Una borsa sul modello della 2.55, nella sezione “iconic” del sito di Chanel (fonte: http://www.chanel.com/ )
  • 24. 24 Corridoio principale al piano terra del negozio. Sulla destra lo stender con chiodi, giubbotti e gilet di pelle (foto mia) La zona all’ingresso viene cambiata frequentemente, circa ogni due settimane, con una proposta di merce che secondo noi è più accattivante per il periodo. Riflettiamo sempre su quelle che sono le tendenze attuali, e in base a ciò di cui disponiamo, cerchiamo di proporre una selezione di capi in linea con tali tendenze, naturalmente pezzi vintage! RN Il giorno in cui ho realizzato l’intervista al reparto del negozio (10 novembre 2016), sui primi stender la facevano da protagonisti i capi in velluto, sia liscio che a coste, perfettamente in linea con quello che è stato l’elemento di punta delle collezioni autunno-inverno 2016/2017. Seguivano maglioni in colorblock e capi metallizzati, altre forti componenti di stagione, entrambi riprese in negozio su scarpe e accessori. Anche uno degli stender principali era stato dedicato ad un capo must-have: il chiodo di pelle, andato letteralmente a ruba soprattutto fra i numerosi modelli in eco- pelle (anche se di realmente “eco” in molti casi c’è solo il nome) in vendita nelle catene di abbigliamento low-cost a partire dalla primavera 2016, in particolare quelli di Zara, declinati in varie colorazioni. Naturalmente le giacche e i giubbotti proposti da A.N.G.E.L.O. erano tutti diversi, sia per taglio che per tipo di pelle -vera-, e tutti in taglia singola. L’unicità del capo è il valore aggiunto che distingue un punto vendita di vintage da qualsiasi altro tipo di negozio. Ciò che è permasa nel tempo, e continua a spingere i consumatori a scegliere questo tipo di negozio, è proprio la necessità di sfuggire all’omologazione promossa dai canali di acquisto tradizionali, ricercando pezzi in grado di distinguersi dagli altri e di comunicare uno stile e un’identità personali: Il capo vintage è un pezzo unico, non è fatto in serie, quindi non lo si trova in tanti pezzi uguali. Questo aspetto da qualcosa in più allo stile, lo rende estremamente personale ed esclusivo, perché non replicabile. TA
  • 25. 25 Pantaloni nella jeanseria del negozio Cappotti e camicie nella jeanseria del negozio (foto mia) (foto mia) Tra il grande panorama di realtà commerciali dedicate al vintage, ciò che emerge e le differenzia tra di loro, è l’identità dell’azienda, legata ad un certo tipo di merce. Sebbene negli anni A.N.G.E.L.O. si sia specializzata nella vendita di prodotti estremamente vari, il jeans e il militare restano di gran lunga gli elementi che ne hanno caratterizzato maggiormente l’immagine nell’evoluzione della sua attività (par. 1.5). Non a caso due reparti del negozio vi sono stati interamente dedicati: La jeanseria non fa distinzioni, abbiamo jeans sia da uomo che da donna, tutti divisi per modello. I capi principali sono Levis 501, 505, 517 e Lady. Molti clienti vengono apposta da noi per cercare il jeans, infatti è un reparto che funziona molto bene. Per quanto riguarda il reparto militare, si tratta merce principalmente da uomo ma riusciamo a vendere le taglie piccole anche al pubblico femminile. Qui abbiamo camice, giubbotti, pantaloni e scarpe militari che vanno dagli inizi del ‘900 fino agli anni ‘80-’90. RN Il vendutissimo chiodo di pelle di Zara della collezione P/E 2016 in quattro varianti colore, e la sua riedizione più recente in versioni metallizzate (fonte: http://www.zara.com/ )
  • 26. 26 Il jeans e l’abbigliamento militare sono molto importanti per me e in generale per il vintage. Quelli militari sono articoli di ottima qualità, generalmente a prezzi vantaggiosi, particolari, speciali. Io sono sempre andato a cercare cose particolari: il giubbotto mimetico da neve, quello da modo, quello per l’artico… mi sono specializzato. Non sono capi studiati da stilisti, ma da ingegneri, è un concetto di progettazione diverso, che forse si avvicina di più a quella di un’automobile. Sono capi estremamente comodi, tecnici, con soluzioni pratiche, che li rendono versatili e resistenti. Cerco questi capi speciali e li propongo da un punto di vista moda. Sono elementi che, come il jeans, a cicli tornano sulle passerelle. Sono capi con particolarità da studiare, infatti li noleggiamo molto spesso in archivio. TA Oltre alla vendita, anche il noleggio riveste un ruolo importante nell’economia del negozio. A.N.G.E.L.O. possiede una “stanza feste” contenente capi e accessori molto vari, che vengono ceduti temporaneamente, previo pagamento, a singoli privati per uso proprio, ma anche per produzioni teatrali o cinematografiche: In stanza feste è tutto diviso per epoche. Si va dagli anni ‘20 fino agli anni ‘80. Sono tutti abiti vintage originali, non di ispirazione. Naturalmente più il decennio è vicino a noi e più grande è il numero di capi che possediamo: quelli anni’20 sono molti meno di quelli anni ‘80. L’assortimento maggiore di capi è datato anni ‘70, soprattutto per quanto riguarda pantaloni, giacche e camicie. Quelli destinati al noleggio sono i capi più appariscenti, fortemente simbolici, “che danno spettacolo”, la differenza con quelli acquistabili in negozio è netta, i secondi sono decisamente più portabili, e di conseguenza vendibili. Abbiamo una piccola zona dedicata ai capi animalier, una con capi entici, e vari abiti da sera e accessori. Principalmente al noleggio sono interessati i privati che organizzano feste a tema, in locali e discoteche, oppure feste di compleanno, ma a volte anche matrimoni a tema. RN Accessori, capi e scarpe nel reparto dedicato all’abbigliamento militare (foto mie)
  • 27. 27 Al di là dell’offerta in termini di merce, il successo di una realtà commerciale si costruisce però anche sul lavoro d’immagine e sugli elementi in grado di far percepire lo shopping non come una pratica puramente utilitaristica ma come un’esperienza significativa e fuori dal comune. 2.1 Il cliente di vintage Oggi chi compra vintage è un pubblico piuttosto diversificato. Una categoria di acquirenti è quella dei collezionisti, amatori che si specializzano in un periodo storico, in una marca, in un designer o in una particolare tipologia di oggetti, ma anche quelli che scelgono gli abiti per il loro valore estetico e storico. Alcuni scelgono il vintage per esprimere la propria individualità attraverso un modo di vestire personale ed eccentrico, mescolando indumenti non comuni in modo inusuale e accumulando guardaroba poliedrici. Il grande pubblico dei negozi vintage è però composto da coloro che comprano per indossare. Tale categoria di consumatori è composta soprattutto da un pubblico vasto di giovani che cercano il capo o l'oggetto particolare, non necessariamente importante o prezioso. Quello che attrae è la diversità da ciò che propone la moda che si trova normalmente nei negozi, ma anche la capacità di conferire una nota personale a una maniera di vestire sempre più omologata dalla confezione industriale. Questo tipo di consumo ha preso la forma di una moda nell’accezione di abitudine accettata e condivisa che coinvolge persone di diversa cultura e condizione sociale, e che si è andata consolidando negli ultimi anni38 . Il meccanismo di richiamo è esattamente l’inverso di quello che spinge molte persone a recarsi presso punti vendita con ampia disponibilità di merce in taglie e colori. Tutti gli acquirenti sporadici o abituali di vintage tendono comunque a comprare contemporaneamente abiti e accessori nuovi attraversi i canali commerciali tradizionali, ma il capo vintage è visto come l’oggetto in grado di aggiungere particolarità e valore al proprio look. L’unicità dei pezzi è proprio la componente in cui risiede il valore aggiunto e che rende i prodotti desiderabili: Il vintage ha fascino perché è unico, ed essendo unico ha il potere di farci distinguere dagli altri. Quando si trova un prodotto che piace, lo si percepisce come un tesoro personale, che ci rispecchia, e che altri non potranno avere perché l’abbiamo scoperto prima noi. TA 38 E. Morini, Uno stile della moda di oggi: il vintage in Vintage. La memoria della moda, cit., pp. 23-32.
  • 28. 28 La clientela di A.N.G.E.L.O. negli anni è diventata estremamente vasta, superando i confini nazionali e comprendendo diverse categorie di consumatori, molto diversi sia per età che per approccio al prodotto vintage: La varietà della clientela è una delle cose belle di questo posto. Ultimamente sono venuti in negozio tanti giovani, fra i 15 e i 20 anni, decisi ad acquistare il jeans e le felpe. C’è un buon numero di clienti che fa attenzione ad un prodotto più alto, viene specificatamente per acquistare capi firmati, ma anche il cultore di vintage che cerca un prodotto databile ad un periodo specifico, ad esempio gli anni ‘50, e che quindi spesso è un intenditore. Vengono persone da tutta Italia ma anche molti clienti stranieri, di paesi europei o extraeuropei. Alcuni sono turisti che alloggiano nelle vicinanze, sanno dell’esistenza del negozio, quindi decidono di approfittarne per farci visita, altri sono addetti del settore moda che vengono in azienda prevalentemente per appuntamenti con l’archivio, poi fanno un giro in negozio e acquistano qualcosa. Ultimamente moltissimi asiatici, per lo più giovani, spesso sono studenti di moda da Rimini. Solitamente la maggior parte dei clienti non ha idee precise, quasi tutti sono consapevoli che l’unicità dei pezzi non consente un assortimento di taglie e colori. Si guardano intorno e magari vengono attratti da un capo di cui non immaginavano l’esistenza. Non capita mai che qualcuno entri in negozio e dica “cerco un cappotto beige”. Quando sono indirizzati su uno specifico prodotto, solitamente si tratta del jeans, sanno un modello specifico. RN Come per i negozi tradizionali il periodo di maggior affluenza è quello natalizio, ma in generale il flusso di clienti pare essere piuttosto costante durante tutto l’anno. I capi che vanno per la maggiore sono il jeans, il militare e lo sportivo, ma anche le intramontabili borse firmate Chanel ed Hermès. Un aspetto molto importante per l’azienda riguarda l’interazione Camicie, valigeria e capispalla nel reparto uomo al piano superiore del negozio. Tutto in pezzi unici disposti per colore (foto mie)
  • 29. 29 tra il personale addetto alle vendite e i clienti. Il negozio di vintage è una realtà estremamente composita dal punto di vista dell’offerta, una luogo in cui l’esperienza d’acquisto si propone di essere molto immersiva e personale, in quest’ottica una pressione eccessiva sul cliente è tutto fuorché propedeutica. Allo stesso tempo, però, trattandosi di articoli in pezzi unici, non divisi per taglia, ed estremamente diversi fra loro, la pronta assistenza evita al cliente eventuali disagi: Nel rapportarci coi clienti cerchiamo di non essere invadenti, e di lasciarli liberi di addentrarsi da soli fra le stanze del negozio. Non bisogna mai risultare soffocanti, perché si rischia di far perdere ai clienti l’entusiasmo e il piacere che derivano dalla ricerca. Ma in ogni caso dobbiamo comunque essere sempre presenti, trovarci nei paraggi, soprattutto perché il nostro non è un negozio “facile”, ci sono così tante cose e tutte diverse, che a volte il cliente può trovarsi in difficoltà, e necessita di essere indirizzato verso il prodotto che sta cercando, che magari non è riuscito a notare in mezzo al resto, oppure si trova in un’altra parte del negozio. Naturalmente bisogna anche cercare di capire con che cliente si ha a che fare, perché non sono tutti uguali. Alcuni preferiscono non essere seguiti, altri invece lo desiderano proprio e in quel caso è fondamentale mostrarsi attenti e disponibili. RN 2.2 Shopping esperienziale “E secondo te, qual è il fascino principale del Vintage?” udii chiedere a Dan mentre risistemavo le scarpe dentro i cubi di vetro illuminati che fiancheggiavano la parete sinistra. “Il fatto che le cose siano di così buona qualità rispetto ai vestiti di oggi?” “Questa è una componente importante” risposi. Sistemai una décolleté Gucci di camoscio verde degli anni sessanta con un’angolazione elegante rispetto all’altra. “Indossare vintage è una protesta contro la produzione di massa. Ma la cosa che amo di più degli abiti vintage...” Lo guardai. “Non ridere d’accordo?” “Certo che no.” Accarezzai il leggerissimo chiffon di un peignoir degli anni Cinquanta. “Ciò che amo davvero degli abiti vintage… è il fatto che contengano la storia personale di qualcuno.” Passai l’orlo di marabù sul dorso della mano. “Mi ritrovo a farmi domande sulle donne che l’indossavano.” “Sul serio?” “Mi ritrovo a farmi domande sulle loro vite. No riesco mai a guardare un capo, come questo tailleur” andai all’espositore degli abiti da giorno e tirai fuori una giacca attillata con gonna in tweed blu scuro degli anni Quaranta “senza pensare alla donna che lo possedeva. Quanti anni aveva? Lavorava? Era sposata? Era felice?” Dan alzò le spalle. “Il tailleur ha un’etichetta britannica
  • 30. 30 dei primi anni Quaranta,” continuai “quindi mi chiedo cosa sia successo a questa donna durante la guerra. Suo marito è sopravvissuto? Lei è sopravvissuta?” Andai all’espositore delle scarpe e tirai fuori un paio di pantofole in broccato di seta degli anni Trenta, ricamate con deliziose rose gialle. “Guardo queste raffinate calzature, e immagino la donna che le possedeva mentre ci cammina, o balla, o bacia qualcuno.” Mi avvicinai a un cappellino a tamburello in velluto rosa sul sostegno. “Guardo un cappellino come questo” sollevai la veletta “e cerco di immaginare il viso al di sotto. Perché quando compri un capo vintage, non compri solo tessuto e filo… compri un pezzo del passato di qualcuno”39 . Quello riportato è una parte del dialogo tra Phoebe, protagonista del romanzo Passione Vintage scritto da Isabel Wolff, e Dan, il giornalista che si reca presso il suo negozietto di abbigliamento vintage per intervistarla prima della festa d’inaugurazione. In poche battute sono trasmesse a pieno le emozioni plurisensoriali provocate da tale ambiente. La stimolazione dei sensi è un driver importante per la frequentazione degli spazi di consumo40 ; e per un luogo del genere si lega al naturale potere comunicativo dei capi, coniugato con un accurato studio degli elementi utili a massimizzare una vintage experience. Oggi il punto vendita, infatti, è un medium di grande importanza, diviene esso stesso messaggio, comunicazione, momento di socialità, luogo magnetico41 . Come teorizzato da Bernd Schmitt42 , a creare valore non concorre più solo il prodotto in sé, ma anche l’esperienza che il cliente ha la possibilità di vivere durante l’atto di acquisto, così le scelte relative all’interior design, alle altre componenti micro-ambientali e alla comunicazione sul punto vendita, non possono prescindere dal tipo di esperienza che si intende offrire alla clientela43 . Il Palace ha abbracciato il vintage non solo sul piano dei prodotti, ma anche dal punto di vista del marketing, nella creazione e cura dei dettagli di un ambiente dedicato, che risulti in linea con il settore merceologico. 39 I. Wolff, Passione vintage, Leggereditore, Roma 2011, p. 15. 40 S. Ironico, op. cit., p. 263. 41 G. Fabris, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli, Milano 2003, p. 344. 42 Professore di International Business presso il Dipartimento di Marketing della Columbia Business School, Columbia University di New York (http://www.meetschmitt.com/about/) 43 S. Ironico, op. cit., p. 262 .
  • 31. 31 Vecchie valigie e complementi d’arredo usati come espositori nel reparto uomo al piano terra del negozio (foto mie) Un vecchio baule e vecchi complementi d’arredo usati come espositori nel reparto uomo al piano terra del negozio (foto mia) Mobili, strutture ed attrezzature sono inevitabilmente condizionati dalle caratteristiche dei prodotti: Dal punto di vista dell’arredamento c’è naturalmente una ricerca che, così come per l’abbigliamento, è rivolta al passato. Nei vari ambienti sono disposte alcune vecchie valigie che utilizziamo anche per esporre sciarpe, foulards e cappelli, talora vere e proprie cappelliere segnate dal tempo, di firma e non, di certo poco comuni ormai, e anche altri elementi particolari fra cui diversi tavoli antichi. RN
  • 32. 32 Vecchi bauli e valigie da sempre nell’immaginario collettivo, anche grazie a libri e pellicole cinematografiche, richiamano un tempo passato e pieno di ricordi, che viene riscoperto e prende vita quando il loro contenuto è rivelato; ma si legano anche all’idea del viaggio fisico, quindi al desiderio di nuove scoperte, un sentimento che, traslato nella ristretta realtà del negozio di vintage, dovrebbe essere il motore che ne stimola l’esplorazione. Appese al muro del reparto donna saltano all’occhio due cover fortemente evocative: una di Elle del gennaio 1962 con Audrey Hepburn, ed una di Vogue dell’aprile 1972 con Sophia Loren. Nella jeanseria sono appese alcune cornici contenenti fogli un po' ingialliti e scritti a mano, forse con inchiostro e calamaio, in un bel corsivo che fa tanto “vecchie lettere”, con dettagli e curiosità sui jeans della Levis. Inevitabile la percezione dello scarto temporale fra l’oggi e un tempo in cui la produzione manuale, dalla comunicazione cartacea al capo d’abbigliamento vero e proprio, era molto curata e valorizzata. Nell’ottica di una proposta di merce varia, soprattutto per quanto concerne il valore, i connotati dell’ambiente di vendita cambiano di conseguenza, veicolando messaggi e significati differenti. La merce indirizzata ad una clientela disposta a spendere cifre un po' più consistenti si trova al piano superiore del Palace. Il fatto che questi articoli si trovino in una posizione più elevata rispetto a quelli del piano terra, in un certo senso suggerisce già un loro maggior prestigio, prima ancora di averli visionati. Per accedere al reparto dove si trova vintage di lusso è infatti necessario salire una scala, che porta ad un piano dove la parte di negozio è molto meno ampia rispetto a quella del piano inferiore, e dove gli elementi che compongono l’ambiente denotano un’ulteriore ricerca. Nel reparto donna, tra la pelletteria da esposizione e i tavoli già utilizzati anche di sotto, si notano un pouf e una poltrona trapuntata dal sapore vintage -o quantomeno rétro- e un separé in raso con motivi floreali en pendant con il rivestimento delle pareti. Il tutto dà quasi l’idea di essere nella Un vecchio foglio scritto a mano con informazioni sul modello 501 della Levis, incorniciato e appeso nella jeanseria del negozio di fianco al capo (foto mia)
  • 33. 33 stanza privata di una raffinata signora d’altri tempi, un luogo affascinante ed esclusivo. A riprova dell’esclusività di certi pezzi, sono presenti alcuni grandi espositori in vetro chiusi, contenenti borse e accessori firmati Gucci, Chanel, Hermès, Roberta Di camerino e Louis Vuitton. Benché periodicamente, come per il resto della merce, venga fatto un ricambio della merce proposta e dell’allestimento interno agli espositori, anche da lontano saltano sempre all’occhio pezzi decisamente cult e riconoscibili -almeno ai più- come l’intramontabile 2.55 di Chanel e le iconiche Kelly e Birkin di Hermés circondate da elementi legati al brand. In questa modalità di conservazione/esposizione, al di là del valore monetario di certi oggetti, che li rende decisamente più preziosi di altri, e quindi palesa la necessità di proteggerli da mani poco delicate e da possibili furti, vi è certamente la consapevolezza che i messaggi che si riescono ad inviare sul punto vendita, nel senso di mediazione simbolica con il mondo delle merci, di creazione dei valori della marca, di produzione di atmosfera e di generazione di esperienza hanno un ruolo molto importante nella loro promozione agli occhi del consumatore44 . Se tali prodotti sono già percepiti come oggetti del desiderio, l’ambiente in cui si trovano arricchisce l’immaginario fatto di storia, tradizione, unicità 44 G. Fabris, op. cit., p.344 Reparto donna al piano superiore del negozio (foto mia)
  • 34. 34 ed eccellenza collegato ai brand, rendendoli ancora più desiderabili, esclusivi ed elitari45 . Tutto questo lavoro strategico sul punto vendita, che mira alla creazione di un efficace repertorio iconografico, è in grado di rinforzare l’immaginario legato ai prodotti46 , e stimola così un maggiore coinvolgimento emotivo del cliente, che vede il negozio non solo come contenitore, ma anche come contenuto dell’esperienza. Altre componenti di cui tenere conto sono le stimolazioni ambientali che investono l’udito e l’olfatto. Il sottofondo musicale rappresenta uno strumento importante per selezionare e fidelizzare il tipo di clientela47 , e in un negozio di vintage che vuole comunicare un’identità, non dovrebbe essere lasciato al caso. La musica, infatti, può influenzare la relazione che si stabilisce fra il cliente 45 S. Ironico, op. cit., p. 44. 46 C. Meo, Vintage marketing. Effetto nostalgia e passato remoto come nuove tecniche commerciali, Gruppo 24 ORE, Milano 2010, p. 39. 47 S. Ironico, op. cit., p. 264. Alcune borse e accessori Chanel, Gucci ed Hermès nel reparto donna del piano di sopra del negozio (foto mie)
  • 35. 35 e il punto vendita, sia in positivo che in negativo. L’esplorazione degli spazi accompagnata da messaggi uditivi, risulta decisamente più stimolante, ma in linea con un’esperienza lenta e immersiva come quella di un autentico vintage shopping, non dovrebbe risultare in totale disaccordo con l’ambiente come non dovrebbe essere eccessivamente invadente: Sulla musica, diversamente da altri negozi che prediligono una particolare tipologia o hanno playlist predefinite, noi abbiamo piena autonomia. Di solito scelgo io personalmente i brani, alterno proposte nuove, che mi piacciono, a canzoni più datate. Ora per esempio stiamo sentendo i Kings of Leon, un disco del 2016 appena uscito, magari la prossima scelta cadrà su Nina Simon. In generale cerco sempre di proporre qualcosa di un po' alternativo, qualcosa in linea col mood del negozio, che dia input diversi da ciò che è commerciale e di massa, dalla musica delle grandi catene. Anche il volume non deve mai essere troppo alto, non vogliamo stordire il cliente, ma offrire un sottofondo gradevole che lo accompagni nel suo tour del negozio. RN La musica è stata un elemento importante anche in occasione di alcuni eventi organizzati in negozio, specialmente “God is a dj”. Per quattro domeniche consecutive, dal 13 dicembre 2016 al 3 gennaio 2015, in orario serale è stata allestita una live window con un dj in live performance. Queste iniziative, molto sfruttate dai brand specialmente durante le fashion week, hanno lo scopo di incuriosire i passanti e rendere l’esperienza di shopping ancora più accattivante e non convenzionale. La dimensione di vero e proprio evento, oltre alla pubblicizzazione via Facebook e altri siti, è stata accentuata dalla presenza in shop di un fotografo e dallo spazio dedicato all’aperitivo, realizzato in collaborazione con il ristorante AKÂMÌ Casa&Bottega, che realizza catering on tour, con bevande e varie proposte di finger food. Il connubio di musica, cibo e shopping ha funzionato bene, attirando gente anche da fuori Lugo. Iniziative come queste mostrano come un modo per rafforzare il legame con i consumatori sia quello di valorizzare il lato sociale La locandina con date e ospiti degli eventi “God is a dj”
  • 36. 36 La locandina di “Mani nel sacco” Live windows di A.N.G.E.L.O. con dj in vetrina in occasione di “God is a dj”, a sinistra nell’evento del 13 dicembre e a destra in quello del 3 gennaio (fonte: https://www.facebook.com/ANGELOVintagePalace/) dell’esperienza di consumo, orchestrando esperienze coinvolgenti che si possono condividere con i propri accompagnatori e con le altre persone presenti nel negozio48 . Fra le iniziative volte ad intensificare la relazione tra i clienti e il punto vendita, “Mani Nel Sacco” si ripete periodicamente ormai da alcuni anni. Nata inizialmente nel negozio di Faenza (par. 4.1), è stata poi replicata anche a Lugo, e ad oggi è diventata nota sia tra i clienti affezionati che tra i curiosi. Il tutto si basa su un’idea di shopping dalle componenti fortemente ludiche. In giornate prestabilite, solitamente in occasione della fiera del vintage di Lugo, di aperture speciali nei weekend o nel periodo natalizio, una sezione del negozio viene allestita temporaneamente con stender ed espositori che ospitano merce selezionata, non direttamente esposta agli occhi di chi entra in negozio. Ciò che il cliente è chiamato a fare -naturalmente se vuole- è scegliere un budget di spesa comprando una shopper di carta del valore di 15, 25 o 35 euro, che dovrà essere riempita di merce in un tempo cronometrato di 10 minuti. L’avvio del gioco (come viene chiamato sul sito di A.N.G.E.L.O.) è fissato ad orari precisi nel corso della giornata, e i clienti possono parteciparvi in numero limitato 48 ivi., p. 272.
  • 37. 37 per ogni turno. La scelta di capi e accessori, tra quelli proposti, è totalmente libera, gli unici vincoli sono il tempo a disposizione e l’integrità della shopper, che non deve essere rotta nel tentativo di riempirla oltre il limite. Ogni partecipante deve essere in grado di muoversi velocemente per visionare il tutto, e saper scegliere altrettanto in fretta per accaparrarsi prima di altri qualche pezzo interessante. Questo format ha avuto un discreto successo, soprattutto tra i giovani. Il mettersi letteralmente in gioco, traslato in un ambiente atipico come un negozio, carica l’esperienza di shopping di un valore aggiunto poiché investe il cliente di un ruolo decisamente nuovo e attivo che gratifica non solo da un punto di vista puramente materiale. 2.3 L’importanza della vetrina La cura della parte interna di un negozio, invoglia le persone a permanere, e soprattutto a ritornare, ma prima di tutto è la zona esterna che le stimola ad entrare. La vetrina è uno strumento di promozione che ha un peso notevole. Essa funge da biglietto da visita, ed è quindi in grado di condizionare in maniera positiva, o negativa, le prime valutazioni dei potenziali clienti. Come per altri negozi, nel caso di A.N.G.E.L.O. le vetrine sono di barriera, dotate di un fondale che le separa dalla superficie di vendita49 , nella scelta dei pezzi da esporre, va tenuto conto che da fuori non è possibile cogliere il resto del contenuto del negozio, pertanto questo limitato range di proposte deve essere in grado di fornirne un’immagine accattivante e suscitare sensazioni positive in chi vi passa davanti, deve attirare l’attenzione e generare interesse. Nelle realtà commerciali tradizionali, solitamente le vetrine danno visibilità ai cosiddetti hero pieces, i pezzi che comunicano con maggiore efficacia le tendenze stagionali o il mood di una collezione50 . Ciò che viene proposto in vetrina dovrebbe sempre dimostrarsi disponibile in negozio, poiché i consumatori spesso vi entrano proprio perché interessati ad uno specifico prodotto esposto. Per il vintage il discorso è parzialmente diverso. L’unicità dei pezzi fa sì che i prodotti esposti abbiano un ruolo prevalentemente simbolico piuttosto che di reale promozione, in quanto ciò che si vede da fuori non è l’esatto speculare all’offerta disponibile all’interno. 49 P. Moroni, Il sistema distributivo. Dalla bottega all'ipermercato, Franco Angeli, Milano 2006, p. 63. 50 S. Ironico, op. cit., p. 249.
  • 38. 38 Vetrine del negozio: a sinistra a tema tartan e animalier (ottobre 2016), a destra con abiti e accessori per la neve (dicembre 2016) (fonte: https://www.instagram.com/angelovintagepalace/ ) La contemporanea presenza di forme, stili ed epoche estremamente vari dà la possibilità di sbizzarrirsi nel trasporli in vetrina, creando “storie” molto diverse, anche nel breve periodo: Cambiamo le vetrine ogni due settimane. Da responsabile mi piace vedere quelle che sono le tendenze al di fuori del negozio. Tutto ciò che fa tendenza prende ispirazione da elementi del passato, che sono naturalmente presenti in capi che noi possediamo, per qualsiasi tipo di tendenza si parli. Cerco di mixare quello che è Vintage con le tendenze contemporanee, rintracciabili sia tra le proposte dell’alta moda che tra quelle delle catene come Zara ed H&M che sono punti di riferimento per i giovani. Cerco di capire quello che può essere interessante in questo momento e allestisco la vetrina in base a quello. A volte l’allestimento delle vetrine viene ispirato da eventi ai quali A.N.G.E.L.O. prenderà parte: ad esempio nel periodo estivo del Summer Jamboree51 , che è un festival anni ‘50 al quale noi partecipiamo, opto per una vetrina anni ‘50. In altre occasioni guardo i nuovi arrivi e cerco di metterli in evidenza. Al momento ci sono arrivate moltissime pellicce, quindi ho deciso di dar loro visibilità anche nell’ottica di venderle più facilmente. I manichini indossano gilet e giacche in pelliccia di periodi diversi, abbinati ad abiti e gonne per sdrammatizzare. Qualche allestimento fa ho mixato il tartan con l’animalier, perché lo trovo molto interessante. C’è stata una vetrina votata alla pelle, con capi uomo/donna di vario genere. Naturalmente c’è sempre la stagione di riferimento, come per tutti i negozi, non esporrei mai dei bikini vintage in novembre. RN 51 http://www.summerjamboree.com/
  • 39. 39 Vetrine per il back to school di settembre 2016 e dettaglio vetrina (fonte: https://www.instagram.com/angelovintagepalace/) Vetrine a tema Halloween di ottobre 2016, e vetrine natalizie di dicembre 2016 (fonte: https://www.instagram.com/angelovintagepalace/) Le atmosfere e gli stili trasposti in vetrina sono estremamente variabili, ma sempre frutto di scelte ragionate, mai lasciate al caso. In linea con le altre realtà commerciali, anche il Palace propone particolari soluzioni creative in certi periodi dell’anno: L’allestimento precedente a quello corrente è stato a tema Halloween, con abiti un po' sul tema streghe, tra fantasmi e ragnatele finte. A settembre abbiamo dedicato la vetrina al ritorno a scuola, era indirizzata a clienti giovani, con manichini vestiti da collegiali americani. Anche per il periodo natalizio penseremo ad una vetrina dedicata, in linea con l’atmosfera di festa e il tema dei regali. RN
  • 40. 40 La scelta della merce da esporre è influenzata anche dalle caratteristiche della clientela, che essendo molto eterogenea, non mira allo stesso tipo di prodotto, sia da un punto di vista stilistico che di prezzo. Vetrine che si mostrano sempre in disaccordo con le mire di certi consumatori, potrebbero causarne l’allontanamento: Tendiamo ad alternare l’allestimento delle vetrine tenendo conto della varietà della nostra clientela. Non vogliamo comunicare messaggi che vadano bene sempre e solo per un certo tipo di clienti, è importante che tutti si sentano stimolati ad entrare. Se optiamo per una vetrina indirizzata ad un pubblico giovane, con pezzi che hanno un prezzo più accessibile e capi street, magari dopo due settimane ne allestiamo una più votata al lusso, indirizzata ad un pubblico adulto, con un potere d’acquisto maggiore. RN 2.4 Reperimento capi e riassortimento La questione del reperimento dei capi che vengono venduti in negozio e il periodico riassortimento della merce funzionano indubbiamente in maniera a sé stante rispetto alle altre realtà commerciali del settore moda. Alla base di tutto, infatti, non ci sono filiere produttive e tempi d’attesa definiti come per il resto del mercato. Sorge immediatamente il dubbio se in questo caso si possa parlare di riassortimento, dato che in un negozio di vintage la maggior parte dei pezzi è in taglia singola, e anche volendo, difficilmente si sarebbe in grado di reperirne altri uguali. Capi e accessori sono acquistati dall’azienda da canali diversi, che sono mutati nel corso della sua attività, sia per collocazione geografica che per categoria, e vengono scelti da buyers incaricate: Nei primi tempi si comprava nei magazzini che facevano riciclo di abiti, principalmente a Prato. Gli abiti erano selezionati all’interno di questi magazzini, ed era una cosa che facevo personalmente. Poi abbiamo iniziato ad acquistare direttamente negli Stati Uniti, le mie prime buyers lavoravano su Los Angeles e su New York acquistando capi da mercati e magazzini. Dopo gli Stati Uniti abbiamo iniziato col nord Europa, poi siamo arrivati a riguardare e rivalutare i guardaroba italiani. L’Italia è piena di guardaroba di persone che hanno speso tantissimo per i loro vestiti, specialmente negli anni ‘70 e ‘80 chi possedeva case molto grandi aveva a disposizione spazio per conservare gli abiti, soprattutto quelli di qualità. Molte privati sono stati disponibili a vendere i loro capi una volta che questi diventavano inutilizzati. TA Circa ogni 1-2 settimane in negozio arriva merce nuova e molto diversa, grazie a questo è possibile un ricambio veloce e continuo delle proposte. Volendo vendere un prodotto che, pur essendo vintage, sia in linea col gusto contemporaneo, l’attenzione per le caratteristiche interessa il processo
  • 41. 41 di selezione della merce prima ancora che questa arrivi in negozio: La ricerca viene fatta a monte da chi per noi seleziona la merce e poi ce la manda, ovvero le buyers e gli addetti al magazzino. Abbiamo un grande magazzino a Fusignano con abiti che Angelo ha acquistato nel corso degli anni e che vengono scelti in base all’interesse che possono suscitare nella clientela in un certo periodo. Sono capi radunati in base a determinate caratteristiche, già cartellinati, selezionati di volta in volta per l’attrattività che possono avere in quel momento. Ad esempio se è un periodo che il pois è piuttosto cercato, viene aperta la balla di capi con indicazione “a pois” e vengono scelti i pezzi. Da poco è stata selezionata una balla di felpe della Champion colorate anni ‘80, perché è stato ritenuto che fosse il momento giusto per proporle. Anche nell’acquisto da privati, da cui provengono gran parte dei pezzi firmati, si scelgono le cose con criterio, devono soddisfare certe qualità e in generale essere adatte al momento. A me in negozio arriva sempre un prodotto dietro al quale c’è già stata una ricerca. RN Il discorso del riassortimento vero e proprio è possibile e concreto per il jeans e il militare, che provengono in gran parte da fornitori specializzati, ed essendo elementi di punta per l’economia del negozio sono necessariamente da possedere in quantità.
  • 42. 42 3. L’Archivio di ricerca. Un enorme patrimonio culturale «Viviamo nella società dell’archivio. Tutti stiamo lavorando sul patrimonio di immagini e cose che abbiamo accumulato. L’operazione del vintage consiste nel recuperare un passato e rimontarlo nel presente. E’ sì una nostalgia, ma di tipo attivo, non una nostalgia passiva. Io alla parola nostalgia do un’interpretazione positiva, essa ci fa guardare il passato ma ci fa usare questo per ridefinire il presente». Maria Luisa Frisa52 La consapevolezza dell’importanza culturale della moda, si è andata consolidando a partire dalla metà degli anni ottanta, ma inizialmente il recupero della memoria non si è espresso nella necessità di creare veri e propri archivi. Solo in tempi recenti si è cominciato a trattare la moda in maniera sistematica e scientifica, attribuendo grande importanza alla raccolta e la conservazione di documenti, disegni, modelli e, soprattutto, di capi veri e propri. In questo Angelo Caroli, con il suo archivio di ricerca, si è dimostrato un pioniere. Nato in anticipo rispetto all’acquisto del Vintage Palace, è stato probabilmente il primo archivio di vintage a livello mondiale, tanto che egli stesso ha affermato di non aver mai sentito parlare, almeno per una decina d’anni, di qualcuno che avesse iniziato un progetto del genere. Come i capi scelti per la vendita, anche i primi destinati all’archivio provenivano in larga parte dai magazzini di Prato. Sul finire degli anni settanta reperire dei pezzi importanti fra le balle di capi usati che si trovavano a Prato era piuttosto frequente53 . Le persone non si rendevano completamente conto del valore culturale -prima ancora che economico- che certi pezzi avevano e avrebbero avuto, per la storia della moda, nei decenni a venire; e sbarazzarsi degli abiti vecchi per poi acquistarne di nuovi, per chi se lo poteva permettere, era una pratica normale o sentita come un’esigenza. Anche per chi, come Angelo, manifestava interesse per il recupero di capi che avevano già una vita alle spalle, inizialmente la seduzione era esclusivamente estetica, poiché il valore di quella merce, allora, era bassissimo: un jeans usato degli anni Trenta valeva come uno usato dell’epoca54 : «Inizialmente facevo ricerca e acquistavo capi per la rivendita e per uso personale, poi ho intuito, probabilmente prima di altri, l’importanza di conservare la memoria del nostro passato. […] Non era chiara la motivazione che mi spingeva a non vendere alcuni oggetti ma a decidere di conservarli, studiarli, dividerli in categorie e cercarne la storia»55 . 52 Vedi nota 21 cap. 1 53 D. Degl’Innocenti, op. cit., pp. 12-14 54 Ibidem 55 A. Caroli, op. cit., pp. 14-15
  • 43. 43 Dopo l’introduzione del termine “vintage”, sia in Italia che all’estero, si è gradualmente diffusa l’esigenza di preservare la memoria materiale della moda, e di utilizzare sempre di più il passato come fonte di ispirazione. Angelo, che nel frattempo si era dotato di uno spazio molto più ampio dove allocare il crescente numero di abiti, allora possedeva l’unico vero archivio strutturato per il noleggio a uso stilistico, e ciò ha determinato la sua fortuna. Il patrimonio di capi posseduti, in più di trentacinque anni di attività, si è esteso notevolmente, e continua ad evolversi tuttora, perché tra i luoghi del vintage si scoprono sempre dei pezzi “nuovi” ed inaspettati che vale la pena conservare: Per decidere quali capi destinare all’archivio sono sempre andato ad intuito, mi baso sulla mia esperienza. Cerco di capire se un capo è diffuso oppure se è estremamente raro, e quindi importante da conservare. Valuto se può essere interessante per chi lavora nel settore. Certamente criteri selettivi di cui tengo conto sono la firma, la sartorialità, i materiali, i dettagli... ma anche il mio gusto gioca un ruolo importante. Ho iniziato con il jeans, gli abiti couture di Chanel, quelli di Yves Saint Laurent -che mi piace molto-, i giapponesi, i pezzi anni ‘60… se mi rendo conto che una cosa, in un determinato periodo, può essere più interessante di un’altra, sono più propenso verso la prima, questo perché alcuni clienti vengono dall’altra parte del mondo per visitare il mio archivio, quindi devo cercare di garantire loro di trovare sicuramente qualcosa di interessante. TA Archivio A.N.G.E.L.O. (foto Roberto Manzotti)
  • 44. 44 Attualmente l’archivio A.N.G.E.L.O si estende su diversi piani del Vintage Palace e conta circa 180.000 pezzi fra abiti e accessori: molti sono griffati, delle più note case di moda italiane e straniere, alcuni sono articoli della sartoria italiana, altri sono prodotti industriali e artigianali di paternità sconosciuta. Tra le varie stanze è testimoniato più di un secolo di storia del costume, che va dalla fine dell’Ottocento -i capi più antichi-, agli anni ‘90. Una gigantesca biblioteca materiale della moda che contiene pezzi estremamente vari per periodo storico, occasione d’uso, forma, materiale e colore: Ci sono diversi criteri di suddivisione. Di solito sistemiamo i capi per colore e per pattern, più che per stagione, ciò che per noi conta molto è la resa estetica, il fatto che la disposizione ci piaccia visivamente. Naturalmente nelle varie stanze sono rispettate le categorie: di sopra c’è tutto quello che è d’epoca, dal 1910 al 1940, i capi più elaborati, fatti interamente a mano, i Archivio A.N.G.E.L.O. (foto Roberto Manzotti) Archivio A.N.G.E.L.O. (foto Roberto Manzotti)
  • 45. 45 cappelli e molto capi firmati, anche di designer contemporanei come Rei Kawakubo e Vivienne Westwood […] c’è la stanza con la parte di abiti lunghi e corti dagli anni ‘60 agli anni ‘80, c’è la parte dei completi, c’è una parte per i cappotti, le mantelle e le pellicce, abbiamo una parte tutta sportiva, di activewear, dai capi americani da baseball alle tute Adidas, capi caratteristici delle pon-pon girls, delle majorette, capi da sci […]. Per le calzature maschili ci orientiamo in base alla tipologia di scarpa: il derby inglese allacciato, lo stivaletto, il mocassino… per le calzature da donna, invece, ci muoviamo diversamente. A volte seguiamo il mood, ciò che è più ricercato in quel momento, ad esempio i designer anni ‘90, e mettiamo in primo piano ciò che abbiamo, poi quando la tendenza cambia, diamo più evidenza ad altro. Le scarpe sono disposte per colore, per il modello del tacco. Ultimamente andavano i tacchi anni ‘60- ’70, quindi abbiamo esposto diversi modelli di quel periodo. Dobbiamo anche sistemare le cose in base allo spazio, i pezzi sono moltissimi e non riusciamo ad esporre tutto, alcune cose sono conservate, e vengono tirate fuori a seconda dell’esigenza. RA Come per la selezione di pezzi proposti in negozio, di particolare interesse è la rassegna di capi militari (divisi per paese, epoca e battaglione) e di denim storici, che rappresentano il punto di partenza della collezione A.N.G.E.L.O. Tra la fine degli anni settanta e l’inizio del decennio successivo il mercato del vintage ricercava soprattutto capi di provenienza americana, casual, un settore dell’abbigliamento che in Europa si stava lentamente affermando, e interessava soprattutto il jeans. Ciò che ha guidato la ricerca di Angelo e lo ha sollecitato nell’acquisto di pezzi storici nelle aste europee e oltreoceano, sono stati gli aspetti legati al degrado naturale del denim, provocato dalla luce e dall’usura56 : Anche se allora non mi erano chiare tutte le differenze storiche, che ho scoperto documentandomi nel tempo, il jeans è stato un po' il mio primo amore. Sono molto legato ad uno del 1937, primo pezzo americano da collezione per cui ho speso una cifra notevole. TA La jeanseria copre un arco cronologico esteso dal 1920 al 1980, ed è talmente consistente da essere interamente conservata in una struttura esterna, adiacente al Palace. Negli anni l’archivio A.N.G.E.L.O è diventato un punto di riferimento per brand italiani ed internazionali, desiderosi di fare ricerca, ma anche per altri addetti del settore moda, dello spettacolo e della cultura, tanto che oggi la sua attività si articola in molteplici direzioni. 56 D. Degl’Innocenti, Vintage per...passione: l’archivio A.N.G..E.L.O., in Filippo Guarini e Daniela Degl’Innocenti (a cura di), Jeans! Le origini, il mito americano, il made Italy, Maschietto, Firenze 2005, pp. 85-86.