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IL DECRETO LEGGE N. 145/2013: LE NOVITA’ IN MATERIA DI LOTTA AL LAVORO IRREGOLARE E DI
SUBENTRO NELLE IMPRESE SOGGETTE A PROCEDURA CONCORSUALE
di Eufranio MASSI

Con il c.d . “decreto destinazione Italia” (decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145) sono state
introdotte alcune disposizioni che riguardano, da vicino, la “materia lavoro” ed in particolare la
lotta al lavoro irregolare, con un occhio anche finalizzato sia all’implementazione degli organici
della vigilanza che alla razionalizzazione dell’attività degli ispettori sotto l’aspetto delle indennità
di missioni e dell’uso del mezzo proprio.
Le novità sono entrate in vigore il 24 dicembre 2013 e tale data è particolarmente importante per
l’applicazione delle nuove sanzioni in materia di lavoro nero, di sospensione dell’attività aziendale
e di violazione in materia di orario di lavoro (durata massima settimanale, riposi giornalieri e
settimanali) previste dall’art. 14. In ogni caso è appena il caso di ricordare come, in ordine a tali
violazioni, sia, sempre, applicabile il principio del “tempus regit actum”, per cui se le stesse sono
state compiute in data antecedente, seppur riscontrate dopo il 24 dicembre 2013, trovano
applicazione le vecchie sanzioni.
Una certa importanza finalizzata a favorire l’occupazione nelle imprese in crisi è rappresentata,
poi, da quanto contenuto nell’art. 11 ove è sancito un diritto di prelazione in favore dei lavoratori,
associatisi in cooperativa, già dipendenti delle stesse.
Ma, detto questo, vado con ordine, soffermandomi, innanzitutto, sulle novità in materia di
vigilanza e di sanzioni.

ARTICOLO 11 - misure per favorire la risoluzione di crisi aziendali e difendere l’occupazione
L’art. 11 del D.L. n. 145/2013 interviene per sancire, in caso di affitto o vendita di azienda, rami
d’azienda o complesso di beni di imprese sottoposte a procedura concorsuale (fallimento,
concordato preventivo, o amministrazione straordinaria ), un diritto di prelazione per l’affitto o
per l’acquisto in favore di società cooperative costituite da personale dipendente dall’impresa
sottoposta alla procedura.
L’atto di aggiudicazione dell’affitto o della vendita in favore della società cooperativa, costituisce
titolo per l’anticipazione dell’indennità di mobilità (art. 7, comma 5, della legge n. 223/1991) in
favore dei lavoratori associatisi in cooperativa, fermi restando i diritti all’indennità nelle forme
usuali in favore dei lavoratori che non si sono associati o non sono passati alle dipendenze della
stessa. Le modalità per la concessione sono disciplinate, in via principale, dal D.M. del Ministro del
Lavoro n. 142 del 17 febbraio 1993 e dalla circolate INPS, n. 174/2002 che ha recepito
l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6679 del 15 maggio 2001 sul
significato del verbo “intraprendere”, contenuto nel D.M. appena citato.
La norma che si è appena commentata fa riferimento soltanto alle imprese che hanno più di
quindici dipendenti, i quali, in caso di chiusura dell’attività, possono fruire del trattamento
economico scaturente dall’indennità di mobilità la cui durata è correlata, fino al 31 dicembre 2016
data di scadenza dell’istituto, fissata dall’art. 3 della legge n. 92/2012, sia all’età che alla
ubicazione geografica. Restano escluse le aziende in crisi che, dimensionate fino a quindici
prestatori, non consentono al proprio personale di “godere” dell’indennità di mobilità, ma
soltanto dell’ASpI.
A mio avviso, sarebbe opportuno, in sede di conversione del D.L. n. 145/2013, prevedere
l’estensione anche in favore dei dipendenti di tali imprese (ingiustamente esclusi da tale
opportunità), in quanto l’anticipazione dell’ASpI (in presenza del requisito dei due anni di anzianità
contributiva di cui 52 settimane nell’ultimo anno) è espressamente prevista dall’art. 2, comma 19,
della legge n. 92/2012, il decreto attuativo (n. 73380) è stato pubblicato sulla G.U. n. 133 del 29
marzo 2013, mentre la circolare esplicativa dell’INPS, la n. 145, è stata emanata il 9 ottobre 2013.

ARTICOLO 14 - Misure di contrasto al lavoro sommerso ed irregolare
La lettera a) del comma 1, aumenta del 30% gli importi della maxisanzione per lavoro nero (il
riferimento è all’art. 3 del D.L. n. 12/2002, convertito della legge n. 73/2002, modificata dall’art. 4
della legge n. 183/2010) e delle somme aggiuntive dovute per la sospensione dell’attività
imprenditoriale (art. 14, comma 4, lettera c), del D.L.vo 81/2008: il tutto, non diffidabile ex art. 13
del D.L.vo n. 124/2004.
Il succitato art. 4 della legge n. 183/2010, intervenuto nel “corpus” dell’art. 3 del D.L. n. 12/2002,
affermava che, ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste dalla normativa in vigore, in
caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del
rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con l’esclusione del datore di lavoro
domestico, trovava applicazione la sanzione amministrativa da 1.500 a 12.000 euro per ciascun
lavoratore irregolare, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo. Tale
importo calava in un arco pecuniario compreso tra i 1.000 e gli 8.000 euro per ciascun lavoratore
irregolare, maggiorato di 30 euro per ogni giornata di lavoro irregolare, allorquando il dipendente,
dopo un primo periodo in nero, fosse risultato occupato regolarmente da un momento successivo
e, comunque, precedente all’accesso ispettivo.
La novità del comma 1, lettera a) fa, quindi, si che:
a) l’importo della maxi sanzione, a partire dal 24 dicembre 2013, passi, rispettivamente, a
1.950 ed a 15.600 euro, mentre la somma aggiuntiva di 150 euro a giornata sale a 195,
secondo un orientamento che qualifica la stessa come sanzione aggiuntiva (circ. Ministero
del Lavoro n. 38/2010);
b) l’importo della c.d. “mini maxi sanzione”, sempre a partire dal 24 dicembre 2013, passi,
rispettivamente a 1.300 ed a 10.400 euro, mentre la somma aggiuntiva di 30 euro a
giornata sale a 39, sempre seguendo l’orientamento espresso sotto la lettera a).
Restano valide le posizioni espresse dal Dicastero del Lavoro attraverso la circolare n. 38/2010 ed,
in particolare, quella secondo la quale il trasgressore ha la possibilità di pagare la sanzione in
misura ridotta (il doppio del minimo o, se conveniente, 1/3 del massimo) che, nel caso della maxi
sanzione sarà pari a 3.900 euro, oltre a 65 euro per ogni giornata di impiego irregolare, mentre per
la c.d. “mini maxi” (applicabile nei confronti di un datore di lavoro che ha tenuto in nero un
lavoratore per un certo periodo ma che è risultato regolare all’atto dell’accesso) la sanzione in
misura ridotta sarà pari a 2.600 euro, oltre a 13 euro per ogni giornata di lavoro irregolare.
Ma la lettera a) del comma 1 aumenta del 30% anche le somme aggiuntive dovute in caso di
sospensione dell’attività imprenditoriale, secondo la previsione contenuta nell’art. 14, comma 4,
lettera c) del D.L.vo n. 81/2008. Ciò significa che la somma aggiuntiva (che non è una sanzione) e
che è legata alla riapertura dell’attività (cosa che comporta anche l’avvenuta regolarizzazione
delle situazioni che hanno portato alla chiusura dell’attività come, ad esempio, il numero dei
lavoratori “in nero” in percentuale pari o superiore al 20% degli occupati), sale a 1950 euro,
mentre per quelle correlate alle gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della
sicurezza l’importo aumentato va da 2.500 a 3.250 euro.
Vele la pena di sottolineare come gli importi delle somme aggiuntive correlate alla sospensione,
non essendo né sanzioni amministrative, né ammende, non erano rientrate nell’aggiornamento
quinquennale del D.L.vo n. 81/2008, previsto dall’art. 9, comma 2, del D.L. n. 76/2013, convertito,
con modificazioni, nella legge n. 99/2013, in vigore dal 1° luglio 2013, secondo le precisazioni
espresse dallo stesso Ministero del lavoro con la circolare n. 35 del 29 agosto 2013.
La lettera b) del comma 1, aumenta, invece, di dieci volte gli importi delle sanzioni amministrative
previste dai commi 3 e 4 dell’art. 18 – bis del D.L.vo n. 66/2003, con esclusione di quelle che fanno
riferimento alla violazione dell’art. 10, comma 1, relativo al godimento delle ferie.
Le sanzioni appena richiamate riguardano il mancato rispetto della normativa che concerne la
durata massima del lavoro settimanale (48 ore settimanali intese come media in un arco
temporale di quattro mesi o, con accordo sindacale, di sei mesi, o di dodici mesi per ragioni
obiettive e tecniche inerenti l’organizzazione specificate nel CCNL) ed i riposi giornalieri e
settimanali, mentre la “decuplicazione” degli importi non interessa la violazione dell’art.
10,comma 1, che disciplina la fruizione delle ferie. Qui, la disposizione resta immutata (da 100 a
600 euro che salgono a 400 e 1.500 euro se la violazione riguarda più di cinque lavoratori o si è
verificata in almeno due anni): se la violazione concerne più di dieci dipendenti o si è verificata in
almeno quattro anni, l’importo si eleva, rispettivamente, ad 800 e a 4.500 euro e non è ammesso il
pagamento in misura ridotta).
Gli importi che aumentano dieci volte riguardano:
a) il superamento della durata massima settimanale dell’orario di lavoro al quale si applica, a
partire dal 24 dicembre 2013, la sanzione amministrativa compresa tra 1.000 e 7.500 euro
(prima andava da 100 a 750 euro). Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori
ovvero si è verificata in almeno tre periodi di riferimento (i quattro mesi, i sei o i dodici
mesi, a seconda dei casi), la sanzione va da 4.000 a 15.000 euro (prima era compresa tra
400 e 1.500 euro). Se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori o si è verificata in
almeno cinque periodi di riferimento, la sanzione amministrativa è compresa in un arco
“pecuniario” che va da 10.000 a 50.000 euro senza ammissione al pagamento in misura
ridotta;
b) il mancato rispetto del riposo settimanale (inteso come un periodo di 24 ore consecutive,
di regola in coincidenza della domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero -11
ore -, con le eccezioni previste dalla stessa norma), inteso come media in un periodo non
superiore a 14 giorni, è punito con una sanzione amministrativa di natura economica da
1.000 a 7.500 euro. Anche in questo caso se le violazioni riguardano più di cinque o dieci
dipendenti trovano applicazione le sanzioni maggiorate (rispettivamente, da 4.000 a
15.000 euro e da 10.000 a 50.000 euro);
c) il mancato rispetto del riposo giornaliero (11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore, fatte
salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi
di reperibilità) è punito con una sanzione amministrativa compresa tra 500 e 1.500 euro.
Qualora la violazione riguardi più di cinque lavoratori o si sia verificata in almeno tre
periodi di 24 ore, la sanzione si innalza e va da 3.000 a 10.000 euro. Se il numero dei
lavoratori coinvolti è maggiore di dieci o si è verificata in almeno cinque periodi di 24 ore,
la sanzione sale ulteriormente e va da 9.000 a 15.000 euro e non è ammesso il pagamento
in misura ridotta.
Per completezza di informazione va ricordato come in materia di durata massima dell’orario di
lavoro siano pienamente validi i chiarimenti amministrativi forniti dal Ministero del Lavoro con la
circolare n. 8/2005: oltre ai periodi di ferie e di assenza per malattia (art. 6, comma 1) non vanno
presi in considerazione ai fini del computo della media i periodi di assenza per infortunio e per
gravidanza che si ricollegano allo stato di salute del lavoratore, con l’arco temporale di riferimento
(4, 6 o 12 mesi) che può superare il quadrimestre in quanto per la determinazione vanno sottratti
i periodi di assenza sopra evidenziati (ad esempio, il quadrimestre gennaio – aprile, potrebbe
scorrere, in caso di malattia, al mese di maggio).
Per quel che riguarda, invece, la normativa sui riposi giornalieri e settimanali va ricordato che:
a) il riposo giornaliero è un diritto e riguarda anche il lavoratore che è titolare di più rapporti
di lavoro: ciò postula, anche se l’onere non trova alcuna sanzione, la necessità che lo stesso
comunichi ai datori di lavoro l’ammontare delle ore nelle quali può prestare la propria
attività;
b) il riposo giornaliero va fruito in modo consecutivo, fatte salve le attività frazionate che
possono essere svolte per loro natura, come nelle pulizie, in maniera discontinua:
ovviamente, il CCNL può disciplinare modalità di fruizione diversa. Nella frazionabilità
rientra anche la c.d. “reperibilità”, ove il dipendente, pur stando a casa, è a disposizione
dell’azienda per interventi emergenziali. Va, peraltro ricordato come la Corte Europea di
Giustizia con la sentenza n. 303 del 3 ottobre 2000, abbia sostenuto che il servizio di mera
reperibilità non rientra nell’orario di lavoro se non per il tempo della effettiva prestazione
lavorativa e come il Ministero del Lavoro (interpello n. 31/2007) abbia ricordato che in
caso di interruzione del riposo giornaliero o settimanale per attività da rendere in regime di
reperibilità, il periodo di riposo decorra “dalla cessazione della prestazione lavorativa,
rimanendo escluso il computo delle ore eventualmente già fruite”;
c) sotto l’aspetto sanzionatorio (sia per il riposo giornaliero che per quello settimanale) esiste
la possibilità del c.d. “cumulo giuridico” ex art. 8, comma 1, della legge n. 689/1981. Il
Ministero del Lavoro, con l’interpello n. 76/2009, lo ritiene possibile ma tale facoltà, che
richiede delicate ed ampie potestà discrezionali, è preclusa all’ispettore del lavoro che nella
fase procedimentale della contestazione e della notificazione dell’illecito può quantificare
soltanto la sanzione in misura ridotta. Il potere di riconoscere l’esistenza del “cumulo
giuridico” è rimesso al Dirigente della Direzione territoriale del Lavoro, a condizione che
dagli atti istruttori emergano elementi dai quali si configura l’unicità della condotta illecita,
pur in presenza di una pluralità di violazioni La sanzione prevista è quella della violazione
più grave, aumentata fino al triplo;
d) il riposo settimanale (24 ore consecutive) calcolato su un periodo inteso come media non
superiore ai 14 giorni è stato introdotto nel “corpus” del D.L.vo n. 66/2003 dall’art. 41 della
legge n. 133/2008 ed è del tutto coerente con la Direttiva comunitaria n.88/2003.Va
ricordato che nelle ipotesi di deroga al periodo minimo di 24 ore rientrano sia il cambio di
turno che il cambio di squadra.
Ma dove andranno gli incrementi derivanti dalle nuove sanzioni?
L’esecutivo fornisce la risposta alle lettere c) ed f) del comma 1.
Essi sono destinati ad appositi capitoli del Ministero del Lavoro e dovranno servire per finanziare
misure di natura organizzativa in materia di contrasto al lavoro al lavoro nero ed irregolare, le
attività di prevenzione e di promozione in materia di salute e sicurezza effettuate dalle Direzioni
territoriali del Lavoro (la disposizione esclude, letteralmente, le Direzioni Regionali del lavoro), le
spese di missione del personale ispettivo, l’utilizzazione del mezzo proprio in un’ottica di
economicità complessiva finalizzata alla ottimizzazione del servizio (su questo punto sarà
necessario un decreto “concertato” tra Lavoro ed Economia che dovrebbe vedere la luce entro i 60
giorni successivi alla conversione del D.L. n. 145/2013).
Da quanto appena detto emerge, da un punto di vista legale ed amministrativo (se il tutto, sarà
definitivamente approvato dal Parlamento), una presa d’atto dell’Esecutivo circa il ruolo primario
degli organi di vigilanza periferici del Ministero, nella lotta alle irregolarità in materia di lavoro e la
convinzione che “i sacrifici economici” affrontati ed anticipati dai singoli (si pensi alla messa a
disposizione della propria autovettura, al costo della benzina, al disagio affrontato negli accessi
disagiati e notturni) debbano avere un giusto riconoscimento (ora, i rimborsi delle mere spese di
missione con il costo del carburante pari ad 1/5 avvengono a distanza di mesi).
Alcune riflessioni, passibili di smentite (cosa che sarebbe, per certi versi, alquanto gradita) si
rendono necessarie.
La prima è che tali fondi, incrementati con le maggiorazioni delle sanzioni, andranno a regime non
prima di un biennio, sol che si pensi alla destinazione degli importi su nuovi capitoli da creare, con
più decreti, del Ministro dell’Economia, dopo lo storno dal bilancio dello Stato, al decreto
concertato Lavoro ed Economia da emanare entro sessanta giorni (termine ordinatorio) dalla
emanazione della legge di conversione, ai tempi prevedibilmente lunghi per le verifiche degli
organi di controllo, al tempo per le irrogazioni ed i pagamenti delle sanzioni (si pensi anche al
contenzioso amministrativo ed a quello giudiziale) in ordine alle violazioni per le quali si applica la
maggiorazione.
La seconda considerazione, strettamente correlata alla prima, è che se nel medio- lungo termine i
problemi delle missioni e dell’uso del mezzo proprio nell’ispezione, potranno trovare una qualche
soluzione positiva, nel breve periodo è difficile che ciò accada, a meno che non si intacchino altri
“cespiti” di spese secondarie dell’Amministrazione del Lavoro.
La terza riflessione riguarda il metodo adottato dall’esecutivo: si aumentano, in un momento, per
certi versi critico per i datori di lavoro, in maniera considerevole gli importi di talune sanzioni
(quelle del D.L.vo n. 81/2008 sono state adeguate a luglio 2013 del 9,6% ma le somme aggiuntive,
previste dall’art. 14, comma 4, dello stesso Decreto sono oggi aumentate del 30%), quasi
affermando, senza ricorrere a tagli di spese, che le spese di funzionamento dell’attività di vigilanza
debbono essere pagate, in nvia prevalente, dai soli soggetti ispezionati trovati in “fallo”.
Piuttosto, per tornare all’argomento dell’accantonamento delle somme aggiuntive sull’apposito
capitolo che verrà istituito per il Ministero del Lavoro, occorre fare una piccola riflessione sulle
somme dovute in caso di sospensione dell’attività imprenditoriale per gravi e reiterate violazioni in
materia di salute e sicurezza sul lavoro (il vecchio importo di 2.500 euro, aumentato del 30%, è
salito a 3.250 euro). Nulla “quaestio” se la somma aggiuntiva viene irrogata dal personale ispettivo
delle Direzioni territoriali del Lavoro in quelle ipotesi nelle quali (ad esempio, nel settore edile) la
competenza è “condivisa” con il personale di vigilanza delle ASL, ma se, come avviene nella
maggior parte dei casi, essa sarà irrogata da questi ultimi, quale sarà l’importo? La risposta, stando
al tenore letterale della norma, è che la somma aggiuntiva richiesta dalle ASL resta fissata a 2.500
attesochè essa è prevista dal successivo comma 5, lettera b, (non toccato dalla riforma): con
l’occasione si ricorda come l’art. 14, comma 8, del D.L.vo n. 81/2008 affermi che l’importo delle
somme aggiuntive di cui al comma 5, lettera b) debba esser indirizzato su un apposito capitolo
regionale per finanziare l’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro. Tale errore appare evidente
e, in sede di conversione, dovrebbe essere corretto, essendo impossibile che per uno stesso fatto
l’importo debba esser diverso, a seconda del soggetto che ha rilevato la violazione (ispettore del
lavoro o ispettore dell’ASL).
La lettera d) del comma 1, si pone l’obiettivo di migliorare e razionalizzare l’impiego del corpo
ispettivo dipendente dagli Enti previdenziali e delle articolazioni periferiche del Ministero del
Lavoro. Quindi, ferme restando le competenze della Commissione centrale di coordinamento
dell’attività di vigilanza, presieduta dal Ministro del Lavoro, disciplinate dall’art. 3 del D.L.vo n.
124/2004, è fatto obbligo alle strutture centrali e territoriali degli Enti previdenziali, di far
approvare la programmazione delle visite ispettive, dalle rispettive strutture centrali (Direzione
Generale per l’Attività Ispettiva) e territoriali (Direzioni territoriali del Lavoro e, se del caso,
Direzioni Regionali del Lavoro) del Ministero del Lavoro.
La norma che non comprende i piani operativi di altri organi (in primis, la Guardia di Finanza, ma
anche l’Agenzia delle Entrate, oltre ad una serie di altri soggetti, in teoria, competenti) che, per
effetto della legge n. 183/2010 possono esercitare l’attività di vigilanza in materia di lavoro,
potrebbe creare, in alcune realtà, alcuni problemi operativi di coordinamento per una certa
“resistenza” da parte di qualche struttura di istituti previdenziali.
La lettera e) del comma 1 autorizza il Ministero del Lavoro ad implementare la propria pianta
organica con l’immissione in ruolo di 250 ispettori del lavoro (di cui cinquanta tecnici) da destinare
nelle regioni del centro-nord, particolarmente “bisognose” di personale (si pensi, ad esempio, alla
Lombardia ed alle esigenze eccezionali scaturenti da EXPO 2015). L’immissione in ruolo,
ovviamente dopo una procedura concorsuale, avverrà in modo progressivo nel rispetto dei limiti
finanziari previsti al comma 2 che prevedono, per la spesa, una riduzione del Fondo sociale per
l’occupazione ex art. 18, comma 1, della legge n. 2/2009 di 5 milioni di euro per il 2014, di 7 milioni
di euro per il 2015 e di 10,2 milioni a decorrere dal 2016.

Bologna, 27 dicembre 2013
Eufranio MASSI

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  • 1. IL DECRETO LEGGE N. 145/2013: LE NOVITA’ IN MATERIA DI LOTTA AL LAVORO IRREGOLARE E DI SUBENTRO NELLE IMPRESE SOGGETTE A PROCEDURA CONCORSUALE di Eufranio MASSI Con il c.d . “decreto destinazione Italia” (decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145) sono state introdotte alcune disposizioni che riguardano, da vicino, la “materia lavoro” ed in particolare la lotta al lavoro irregolare, con un occhio anche finalizzato sia all’implementazione degli organici della vigilanza che alla razionalizzazione dell’attività degli ispettori sotto l’aspetto delle indennità di missioni e dell’uso del mezzo proprio. Le novità sono entrate in vigore il 24 dicembre 2013 e tale data è particolarmente importante per l’applicazione delle nuove sanzioni in materia di lavoro nero, di sospensione dell’attività aziendale e di violazione in materia di orario di lavoro (durata massima settimanale, riposi giornalieri e settimanali) previste dall’art. 14. In ogni caso è appena il caso di ricordare come, in ordine a tali violazioni, sia, sempre, applicabile il principio del “tempus regit actum”, per cui se le stesse sono state compiute in data antecedente, seppur riscontrate dopo il 24 dicembre 2013, trovano applicazione le vecchie sanzioni. Una certa importanza finalizzata a favorire l’occupazione nelle imprese in crisi è rappresentata, poi, da quanto contenuto nell’art. 11 ove è sancito un diritto di prelazione in favore dei lavoratori, associatisi in cooperativa, già dipendenti delle stesse. Ma, detto questo, vado con ordine, soffermandomi, innanzitutto, sulle novità in materia di vigilanza e di sanzioni. ARTICOLO 11 - misure per favorire la risoluzione di crisi aziendali e difendere l’occupazione L’art. 11 del D.L. n. 145/2013 interviene per sancire, in caso di affitto o vendita di azienda, rami d’azienda o complesso di beni di imprese sottoposte a procedura concorsuale (fallimento, concordato preventivo, o amministrazione straordinaria ), un diritto di prelazione per l’affitto o per l’acquisto in favore di società cooperative costituite da personale dipendente dall’impresa sottoposta alla procedura. L’atto di aggiudicazione dell’affitto o della vendita in favore della società cooperativa, costituisce titolo per l’anticipazione dell’indennità di mobilità (art. 7, comma 5, della legge n. 223/1991) in favore dei lavoratori associatisi in cooperativa, fermi restando i diritti all’indennità nelle forme usuali in favore dei lavoratori che non si sono associati o non sono passati alle dipendenze della stessa. Le modalità per la concessione sono disciplinate, in via principale, dal D.M. del Ministro del Lavoro n. 142 del 17 febbraio 1993 e dalla circolate INPS, n. 174/2002 che ha recepito l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6679 del 15 maggio 2001 sul significato del verbo “intraprendere”, contenuto nel D.M. appena citato. La norma che si è appena commentata fa riferimento soltanto alle imprese che hanno più di quindici dipendenti, i quali, in caso di chiusura dell’attività, possono fruire del trattamento economico scaturente dall’indennità di mobilità la cui durata è correlata, fino al 31 dicembre 2016 data di scadenza dell’istituto, fissata dall’art. 3 della legge n. 92/2012, sia all’età che alla ubicazione geografica. Restano escluse le aziende in crisi che, dimensionate fino a quindici
  • 2. prestatori, non consentono al proprio personale di “godere” dell’indennità di mobilità, ma soltanto dell’ASpI. A mio avviso, sarebbe opportuno, in sede di conversione del D.L. n. 145/2013, prevedere l’estensione anche in favore dei dipendenti di tali imprese (ingiustamente esclusi da tale opportunità), in quanto l’anticipazione dell’ASpI (in presenza del requisito dei due anni di anzianità contributiva di cui 52 settimane nell’ultimo anno) è espressamente prevista dall’art. 2, comma 19, della legge n. 92/2012, il decreto attuativo (n. 73380) è stato pubblicato sulla G.U. n. 133 del 29 marzo 2013, mentre la circolare esplicativa dell’INPS, la n. 145, è stata emanata il 9 ottobre 2013. ARTICOLO 14 - Misure di contrasto al lavoro sommerso ed irregolare La lettera a) del comma 1, aumenta del 30% gli importi della maxisanzione per lavoro nero (il riferimento è all’art. 3 del D.L. n. 12/2002, convertito della legge n. 73/2002, modificata dall’art. 4 della legge n. 183/2010) e delle somme aggiuntive dovute per la sospensione dell’attività imprenditoriale (art. 14, comma 4, lettera c), del D.L.vo 81/2008: il tutto, non diffidabile ex art. 13 del D.L.vo n. 124/2004. Il succitato art. 4 della legge n. 183/2010, intervenuto nel “corpus” dell’art. 3 del D.L. n. 12/2002, affermava che, ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste dalla normativa in vigore, in caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con l’esclusione del datore di lavoro domestico, trovava applicazione la sanzione amministrativa da 1.500 a 12.000 euro per ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo. Tale importo calava in un arco pecuniario compreso tra i 1.000 e gli 8.000 euro per ciascun lavoratore irregolare, maggiorato di 30 euro per ogni giornata di lavoro irregolare, allorquando il dipendente, dopo un primo periodo in nero, fosse risultato occupato regolarmente da un momento successivo e, comunque, precedente all’accesso ispettivo. La novità del comma 1, lettera a) fa, quindi, si che: a) l’importo della maxi sanzione, a partire dal 24 dicembre 2013, passi, rispettivamente, a 1.950 ed a 15.600 euro, mentre la somma aggiuntiva di 150 euro a giornata sale a 195, secondo un orientamento che qualifica la stessa come sanzione aggiuntiva (circ. Ministero del Lavoro n. 38/2010); b) l’importo della c.d. “mini maxi sanzione”, sempre a partire dal 24 dicembre 2013, passi, rispettivamente a 1.300 ed a 10.400 euro, mentre la somma aggiuntiva di 30 euro a giornata sale a 39, sempre seguendo l’orientamento espresso sotto la lettera a). Restano valide le posizioni espresse dal Dicastero del Lavoro attraverso la circolare n. 38/2010 ed, in particolare, quella secondo la quale il trasgressore ha la possibilità di pagare la sanzione in misura ridotta (il doppio del minimo o, se conveniente, 1/3 del massimo) che, nel caso della maxi sanzione sarà pari a 3.900 euro, oltre a 65 euro per ogni giornata di impiego irregolare, mentre per la c.d. “mini maxi” (applicabile nei confronti di un datore di lavoro che ha tenuto in nero un lavoratore per un certo periodo ma che è risultato regolare all’atto dell’accesso) la sanzione in misura ridotta sarà pari a 2.600 euro, oltre a 13 euro per ogni giornata di lavoro irregolare. Ma la lettera a) del comma 1 aumenta del 30% anche le somme aggiuntive dovute in caso di sospensione dell’attività imprenditoriale, secondo la previsione contenuta nell’art. 14, comma 4, lettera c) del D.L.vo n. 81/2008. Ciò significa che la somma aggiuntiva (che non è una sanzione) e che è legata alla riapertura dell’attività (cosa che comporta anche l’avvenuta regolarizzazione
  • 3. delle situazioni che hanno portato alla chiusura dell’attività come, ad esempio, il numero dei lavoratori “in nero” in percentuale pari o superiore al 20% degli occupati), sale a 1950 euro, mentre per quelle correlate alle gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza l’importo aumentato va da 2.500 a 3.250 euro. Vele la pena di sottolineare come gli importi delle somme aggiuntive correlate alla sospensione, non essendo né sanzioni amministrative, né ammende, non erano rientrate nell’aggiornamento quinquennale del D.L.vo n. 81/2008, previsto dall’art. 9, comma 2, del D.L. n. 76/2013, convertito, con modificazioni, nella legge n. 99/2013, in vigore dal 1° luglio 2013, secondo le precisazioni espresse dallo stesso Ministero del lavoro con la circolare n. 35 del 29 agosto 2013. La lettera b) del comma 1, aumenta, invece, di dieci volte gli importi delle sanzioni amministrative previste dai commi 3 e 4 dell’art. 18 – bis del D.L.vo n. 66/2003, con esclusione di quelle che fanno riferimento alla violazione dell’art. 10, comma 1, relativo al godimento delle ferie. Le sanzioni appena richiamate riguardano il mancato rispetto della normativa che concerne la durata massima del lavoro settimanale (48 ore settimanali intese come media in un arco temporale di quattro mesi o, con accordo sindacale, di sei mesi, o di dodici mesi per ragioni obiettive e tecniche inerenti l’organizzazione specificate nel CCNL) ed i riposi giornalieri e settimanali, mentre la “decuplicazione” degli importi non interessa la violazione dell’art. 10,comma 1, che disciplina la fruizione delle ferie. Qui, la disposizione resta immutata (da 100 a 600 euro che salgono a 400 e 1.500 euro se la violazione riguarda più di cinque lavoratori o si è verificata in almeno due anni): se la violazione concerne più di dieci dipendenti o si è verificata in almeno quattro anni, l’importo si eleva, rispettivamente, ad 800 e a 4.500 euro e non è ammesso il pagamento in misura ridotta). Gli importi che aumentano dieci volte riguardano: a) il superamento della durata massima settimanale dell’orario di lavoro al quale si applica, a partire dal 24 dicembre 2013, la sanzione amministrativa compresa tra 1.000 e 7.500 euro (prima andava da 100 a 750 euro). Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata in almeno tre periodi di riferimento (i quattro mesi, i sei o i dodici mesi, a seconda dei casi), la sanzione va da 4.000 a 15.000 euro (prima era compresa tra 400 e 1.500 euro). Se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori o si è verificata in almeno cinque periodi di riferimento, la sanzione amministrativa è compresa in un arco “pecuniario” che va da 10.000 a 50.000 euro senza ammissione al pagamento in misura ridotta; b) il mancato rispetto del riposo settimanale (inteso come un periodo di 24 ore consecutive, di regola in coincidenza della domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero -11 ore -, con le eccezioni previste dalla stessa norma), inteso come media in un periodo non superiore a 14 giorni, è punito con una sanzione amministrativa di natura economica da 1.000 a 7.500 euro. Anche in questo caso se le violazioni riguardano più di cinque o dieci dipendenti trovano applicazione le sanzioni maggiorate (rispettivamente, da 4.000 a 15.000 euro e da 10.000 a 50.000 euro); c) il mancato rispetto del riposo giornaliero (11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore, fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità) è punito con una sanzione amministrativa compresa tra 500 e 1.500 euro. Qualora la violazione riguardi più di cinque lavoratori o si sia verificata in almeno tre periodi di 24 ore, la sanzione si innalza e va da 3.000 a 10.000 euro. Se il numero dei lavoratori coinvolti è maggiore di dieci o si è verificata in almeno cinque periodi di 24 ore,
  • 4. la sanzione sale ulteriormente e va da 9.000 a 15.000 euro e non è ammesso il pagamento in misura ridotta. Per completezza di informazione va ricordato come in materia di durata massima dell’orario di lavoro siano pienamente validi i chiarimenti amministrativi forniti dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 8/2005: oltre ai periodi di ferie e di assenza per malattia (art. 6, comma 1) non vanno presi in considerazione ai fini del computo della media i periodi di assenza per infortunio e per gravidanza che si ricollegano allo stato di salute del lavoratore, con l’arco temporale di riferimento (4, 6 o 12 mesi) che può superare il quadrimestre in quanto per la determinazione vanno sottratti i periodi di assenza sopra evidenziati (ad esempio, il quadrimestre gennaio – aprile, potrebbe scorrere, in caso di malattia, al mese di maggio). Per quel che riguarda, invece, la normativa sui riposi giornalieri e settimanali va ricordato che: a) il riposo giornaliero è un diritto e riguarda anche il lavoratore che è titolare di più rapporti di lavoro: ciò postula, anche se l’onere non trova alcuna sanzione, la necessità che lo stesso comunichi ai datori di lavoro l’ammontare delle ore nelle quali può prestare la propria attività; b) il riposo giornaliero va fruito in modo consecutivo, fatte salve le attività frazionate che possono essere svolte per loro natura, come nelle pulizie, in maniera discontinua: ovviamente, il CCNL può disciplinare modalità di fruizione diversa. Nella frazionabilità rientra anche la c.d. “reperibilità”, ove il dipendente, pur stando a casa, è a disposizione dell’azienda per interventi emergenziali. Va, peraltro ricordato come la Corte Europea di Giustizia con la sentenza n. 303 del 3 ottobre 2000, abbia sostenuto che il servizio di mera reperibilità non rientra nell’orario di lavoro se non per il tempo della effettiva prestazione lavorativa e come il Ministero del Lavoro (interpello n. 31/2007) abbia ricordato che in caso di interruzione del riposo giornaliero o settimanale per attività da rendere in regime di reperibilità, il periodo di riposo decorra “dalla cessazione della prestazione lavorativa, rimanendo escluso il computo delle ore eventualmente già fruite”; c) sotto l’aspetto sanzionatorio (sia per il riposo giornaliero che per quello settimanale) esiste la possibilità del c.d. “cumulo giuridico” ex art. 8, comma 1, della legge n. 689/1981. Il Ministero del Lavoro, con l’interpello n. 76/2009, lo ritiene possibile ma tale facoltà, che richiede delicate ed ampie potestà discrezionali, è preclusa all’ispettore del lavoro che nella fase procedimentale della contestazione e della notificazione dell’illecito può quantificare soltanto la sanzione in misura ridotta. Il potere di riconoscere l’esistenza del “cumulo giuridico” è rimesso al Dirigente della Direzione territoriale del Lavoro, a condizione che dagli atti istruttori emergano elementi dai quali si configura l’unicità della condotta illecita, pur in presenza di una pluralità di violazioni La sanzione prevista è quella della violazione più grave, aumentata fino al triplo; d) il riposo settimanale (24 ore consecutive) calcolato su un periodo inteso come media non superiore ai 14 giorni è stato introdotto nel “corpus” del D.L.vo n. 66/2003 dall’art. 41 della legge n. 133/2008 ed è del tutto coerente con la Direttiva comunitaria n.88/2003.Va ricordato che nelle ipotesi di deroga al periodo minimo di 24 ore rientrano sia il cambio di turno che il cambio di squadra. Ma dove andranno gli incrementi derivanti dalle nuove sanzioni? L’esecutivo fornisce la risposta alle lettere c) ed f) del comma 1. Essi sono destinati ad appositi capitoli del Ministero del Lavoro e dovranno servire per finanziare misure di natura organizzativa in materia di contrasto al lavoro al lavoro nero ed irregolare, le attività di prevenzione e di promozione in materia di salute e sicurezza effettuate dalle Direzioni
  • 5. territoriali del Lavoro (la disposizione esclude, letteralmente, le Direzioni Regionali del lavoro), le spese di missione del personale ispettivo, l’utilizzazione del mezzo proprio in un’ottica di economicità complessiva finalizzata alla ottimizzazione del servizio (su questo punto sarà necessario un decreto “concertato” tra Lavoro ed Economia che dovrebbe vedere la luce entro i 60 giorni successivi alla conversione del D.L. n. 145/2013). Da quanto appena detto emerge, da un punto di vista legale ed amministrativo (se il tutto, sarà definitivamente approvato dal Parlamento), una presa d’atto dell’Esecutivo circa il ruolo primario degli organi di vigilanza periferici del Ministero, nella lotta alle irregolarità in materia di lavoro e la convinzione che “i sacrifici economici” affrontati ed anticipati dai singoli (si pensi alla messa a disposizione della propria autovettura, al costo della benzina, al disagio affrontato negli accessi disagiati e notturni) debbano avere un giusto riconoscimento (ora, i rimborsi delle mere spese di missione con il costo del carburante pari ad 1/5 avvengono a distanza di mesi). Alcune riflessioni, passibili di smentite (cosa che sarebbe, per certi versi, alquanto gradita) si rendono necessarie. La prima è che tali fondi, incrementati con le maggiorazioni delle sanzioni, andranno a regime non prima di un biennio, sol che si pensi alla destinazione degli importi su nuovi capitoli da creare, con più decreti, del Ministro dell’Economia, dopo lo storno dal bilancio dello Stato, al decreto concertato Lavoro ed Economia da emanare entro sessanta giorni (termine ordinatorio) dalla emanazione della legge di conversione, ai tempi prevedibilmente lunghi per le verifiche degli organi di controllo, al tempo per le irrogazioni ed i pagamenti delle sanzioni (si pensi anche al contenzioso amministrativo ed a quello giudiziale) in ordine alle violazioni per le quali si applica la maggiorazione. La seconda considerazione, strettamente correlata alla prima, è che se nel medio- lungo termine i problemi delle missioni e dell’uso del mezzo proprio nell’ispezione, potranno trovare una qualche soluzione positiva, nel breve periodo è difficile che ciò accada, a meno che non si intacchino altri “cespiti” di spese secondarie dell’Amministrazione del Lavoro. La terza riflessione riguarda il metodo adottato dall’esecutivo: si aumentano, in un momento, per certi versi critico per i datori di lavoro, in maniera considerevole gli importi di talune sanzioni (quelle del D.L.vo n. 81/2008 sono state adeguate a luglio 2013 del 9,6% ma le somme aggiuntive, previste dall’art. 14, comma 4, dello stesso Decreto sono oggi aumentate del 30%), quasi affermando, senza ricorrere a tagli di spese, che le spese di funzionamento dell’attività di vigilanza debbono essere pagate, in nvia prevalente, dai soli soggetti ispezionati trovati in “fallo”. Piuttosto, per tornare all’argomento dell’accantonamento delle somme aggiuntive sull’apposito capitolo che verrà istituito per il Ministero del Lavoro, occorre fare una piccola riflessione sulle somme dovute in caso di sospensione dell’attività imprenditoriale per gravi e reiterate violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro (il vecchio importo di 2.500 euro, aumentato del 30%, è salito a 3.250 euro). Nulla “quaestio” se la somma aggiuntiva viene irrogata dal personale ispettivo delle Direzioni territoriali del Lavoro in quelle ipotesi nelle quali (ad esempio, nel settore edile) la competenza è “condivisa” con il personale di vigilanza delle ASL, ma se, come avviene nella maggior parte dei casi, essa sarà irrogata da questi ultimi, quale sarà l’importo? La risposta, stando al tenore letterale della norma, è che la somma aggiuntiva richiesta dalle ASL resta fissata a 2.500 attesochè essa è prevista dal successivo comma 5, lettera b, (non toccato dalla riforma): con l’occasione si ricorda come l’art. 14, comma 8, del D.L.vo n. 81/2008 affermi che l’importo delle somme aggiuntive di cui al comma 5, lettera b) debba esser indirizzato su un apposito capitolo regionale per finanziare l’attività di prevenzione nei luoghi di lavoro. Tale errore appare evidente e, in sede di conversione, dovrebbe essere corretto, essendo impossibile che per uno stesso fatto
  • 6. l’importo debba esser diverso, a seconda del soggetto che ha rilevato la violazione (ispettore del lavoro o ispettore dell’ASL). La lettera d) del comma 1, si pone l’obiettivo di migliorare e razionalizzare l’impiego del corpo ispettivo dipendente dagli Enti previdenziali e delle articolazioni periferiche del Ministero del Lavoro. Quindi, ferme restando le competenze della Commissione centrale di coordinamento dell’attività di vigilanza, presieduta dal Ministro del Lavoro, disciplinate dall’art. 3 del D.L.vo n. 124/2004, è fatto obbligo alle strutture centrali e territoriali degli Enti previdenziali, di far approvare la programmazione delle visite ispettive, dalle rispettive strutture centrali (Direzione Generale per l’Attività Ispettiva) e territoriali (Direzioni territoriali del Lavoro e, se del caso, Direzioni Regionali del Lavoro) del Ministero del Lavoro. La norma che non comprende i piani operativi di altri organi (in primis, la Guardia di Finanza, ma anche l’Agenzia delle Entrate, oltre ad una serie di altri soggetti, in teoria, competenti) che, per effetto della legge n. 183/2010 possono esercitare l’attività di vigilanza in materia di lavoro, potrebbe creare, in alcune realtà, alcuni problemi operativi di coordinamento per una certa “resistenza” da parte di qualche struttura di istituti previdenziali. La lettera e) del comma 1 autorizza il Ministero del Lavoro ad implementare la propria pianta organica con l’immissione in ruolo di 250 ispettori del lavoro (di cui cinquanta tecnici) da destinare nelle regioni del centro-nord, particolarmente “bisognose” di personale (si pensi, ad esempio, alla Lombardia ed alle esigenze eccezionali scaturenti da EXPO 2015). L’immissione in ruolo, ovviamente dopo una procedura concorsuale, avverrà in modo progressivo nel rispetto dei limiti finanziari previsti al comma 2 che prevedono, per la spesa, una riduzione del Fondo sociale per l’occupazione ex art. 18, comma 1, della legge n. 2/2009 di 5 milioni di euro per il 2014, di 7 milioni di euro per il 2015 e di 10,2 milioni a decorrere dal 2016. Bologna, 27 dicembre 2013 Eufranio MASSI