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IL PUNTO DI STUDIOPHI N. 3 7 NOVEMBRE 2014
I L C O N T R O P I E D E D I D R A G H I
La conferenza stampa del 6 novembre di Mario Draghi arriva dopo un prolungato
periodo di instabilità sui mercati alimentata, tra l’altro, da pensieri, parole e opere dei
principali banchieri centrali. Settimane nelle quali Kuroda e la Yellen, governatori
rispettivamente della Banca del Giappone e della Federal Reserve, hanno agito; Mario
Draghi, viceversa, ha “subito” un incessante sabotaggio mediatico.
Il primo ha stupito tutti con un ulteriore
gigantesca scommessa di acrobazia monetaria
portando gli acquisti di titoli pubblici e privati
fino a 700 miliardi di dollari annui. Procedendo
a questi ritmi nel 2016 (vedi grafico) la Banca
del Giappone avrà raggiunto una dimensione
pari al 70% del Pil. Inoltre il fondo pensione
statale ridurrà drasticamente la quota di titoli di
stato in portafoglio, che venderà alla Banca del
Giappone, a favore dell’investimento in azioni.
L’obiettivo è quello, finora impossibile da
raggiungere, di riportare l’inflazione al 2% con
una storica operazione di repressione finanziaria basata sulla svalutazione dello yen e
l’imposizione di tassi reali d’interesse negativi per un interminabile periodo di tempo.
L’ovvio passo finale dell’esperimento sembra essere la cancellazione del debito in
pancia alla banca centrale. Finora in Giappone il “quantitative easing” (QE), forse
perché avviato troppo tardi, sembra non aver portato grandi risultati. Ora si raddoppia
la posta.
Janet Yellen, dopo qualche passo falso di troppo, ha finalmente chiuso l’ultima
operazione di “quantitative easing”(QE), certificando l’uscita definitiva del paese
dall’era della politica monetaria non convenzionale. Dal 2009 ad oggi gli attivi della
Federal Reserve sono cresciuti da uno a 4,5 trilioni di dollari, con tre successive
operazioni di QE. D’ora in poi torneranno progressivamente a ridursi con il rimborso dei
titoli che andranno in scadenza. I tassi d’interesse rimarranno comunque a zero per
almeno un altro anno. Negli Stati Uniti, con una politica fiscale estremamente
espansiva fino al 2012, in un contesto economico, istituzionale e demografico molto
diverso da quello del Giappone, , l’utilizzo massiccio di strumenti monetari non
Attivi	
  delle	
  banche	
  centrali	
  in	
  %	
  del	
  
PIL.	
  Fonte	
  Gavyn	
  Davies	
  blog.	
  
 
	
  
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convenzionali ha con alta probabilità accelerato l’uscita dalla crisi e la normalizzazione
del mercato del lavoro.
L’italiano che guida la BCE nel frattempo, a parte un paio di interventi pubblici, ha
mantenuto un basso profilo ma è stato colpito da una grandinata di critiche,
indiscrezioni e forse anche calunnie che ne hanno messo ha rischio la credibilità
personale e dell’istituto che guida. Anche per Draghi la sfida principale riguarda
l’adozione o meno dell’arma finale: l’acquisto di titoli governativi sul mercato. Da una
parte i profeti della nuova frontiera monetaria considerano l’opzione indispensabile a
maggior ragione a causa della politica suicida di autoflagellazione fiscale imposta a
tutti da Strasburgo. Anzi, per loro è già troppo tardi. Dall’altra l’inesauribile lavorio di
delegittimazione dei sacerdoti dell’ortodossia monetaria tedesca punta proprio a evitare
questo esito, considerato letale. Tant’è che sono considerate operazioni illegali gli
acquisti di titoli cartolarizzati già avviati dalle autorità monetarie europee.
In questo clima si arriva alla conferenza stampa che segue il conclave dei banchieri
centrali di novembre.
Prima mossa: aumenta di mille miliardi il bilancio della BCE. Innanzi
tutto, un Draghi insolitamente duro spazza via le voci, riportate dall’agenzia Reuters, di
dissensi interni al comitato direttivo. Ribadisce che i programmi di acquisto di titoli
strutturati e di finanziamento al sistema bancario, già in corso, riporteranno la
dimensione del bilancio di Eurotower al livello del marzo 2012, cioè
vicino ai tre trilioni di Euro, con un aumento di circa il 50% rispetto
alla situazione attuale. Una decisione già annunciata dal Governatore ma
secondo le indiscrezioni mai effettivamente condivisa all’interno del comitato di
governo della banca, che si sarebbe così trovato di fronte al fatto compiuto. Non per la
prima volta, per di più. Da più parti si sussurra che perfino l’ormai mitico “whatever it
takes” del luglio 2012, il vero punto di svolta della crisi dell’euro, sia stato pronunciato
senza un preventivo via libera del parlamentino dei governatori e tanto meno con la
sponda politica della Cancelliera Merkel (come si è sempre ipotizzato). Sia come sia
“SuperMario” sottolinea che l’aspettativa di aumentare il bilancio della
Bce di un triliardo di euro in un periodo massimo di due anni è stata
assunta all’unanimità.
Il successo di Draghi non cancella comunque i dubbi di chi critica la cronica prudenza
della banca: sempre in ritardo (“behind the curve”, usando il gergo tecnico degli
analisti) rispetto all’evoluzione negativa di inflazione e crescita. Quale giustificazione si
può addurre per il drenaggio di liquidità avvenuto negli ultimi 18 mesi nei quali il
bilancio della BCE si è ridotto da tre a due trilioni di euro, mentre quelli della Fed e
delle altre banche centrali continuavano ad ampliarsi? (vedi grafico). Basta la
giustificazione della strenua opposizione della Bundesbank? Probabilmente no.
 
	
  
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Seconda mossa. Se necessario arriva il quantitative easing. La stessa
unanimità bulgara viene espressa rispetto alla volontà di utilizzare altri strumenti
non convenzionali (fuor di metafora si tratta del solito QE) dovesse diventare
necessario affrontare i crescenti rischi derivanti dal perdurare di un’inflazione troppo
bassa. Un livello dei prezzi vicino al 2% annuo è il criterio determinante per valutare
l’efficacia e la credibilità della BCE; il mancato raggiungimento di tale obiettivo va
impedito perché implica un inaccettabile rischio reputazionale per i banchieri centrali
europei. Anche ricorrendo all’acquisto massiccio di titoli di stato, pur considerandone
pregi, difetti e peculiarità derivanti dall’assetto istituzionale europeo. E proprio su
questo punto Draghi risponde con un messaggio chiaro e forte al presidente della
Bundesbank nonché membro del Direttorio della BCE Jens Weidmann e agli altri
membri dell’establishment tedesco che strenuamente si oppongono non solo ad un
futuribile quantitative easing ma anche agli interventi sui titoli strutturati e garantiti
emessi da emittenti privati già in corso di esecuzione. Mettendo, tra l’altro
apertamente in discussione il sacro principio dell’indipendenza della banca
centrale dal potere politico (tedesco in questo caso), tanto caro alla
tradizione teutonica.
Terza mossa: la deriva dell’economia impone tempi sempre più
ravvicinati. Fin qui si potrebbe sostenere che Draghi non ha affermato nulla di
nuovo. Non è così perché, sia pure implicitamente, il Governatore fa capire che
nuove iniziative potrebbero
essere considerate prima del
previsto, forse già a dicembre.
Lo si deduce dall’esplicito riferimento
al fatto che gli organismi competenti
della BCE sono già stati attivati per
studiare e preparare gli ulteriori
strumenti da utilizzare in caso di
bisogno.
Azioni rese necessarie dalla
crescente urgenza che deriva da un peggioramento dello scenario per crescita e
inflazione, di cui ormai ha preso atto anche la Commissione Europea con la
recentissima diffusione delle nuove stime per il 2015. Si tratta di una ennesima
sforbiciata dello 0,6% e dello 0,4% su Pil e inflazione attesi, con il primo che a livello
comunitario crescerebbe solo dell’1,1% e con i prezzi in aumento solo dello 0,8%.
Insomma, malgrado un poco convinto ottimismo di facciata i rischi rimangono
prevalentemente quelli di un peggioramento di scenario. Per Draghi si avvicina il
momento della verità, quello dello scontro finale con gli oppositori interni, che si
nascondono, e quelli esterni, fin troppo visibili.
 
	
  
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  • 1.     © 2014 StudioPhi SA, V. alla Torre 2, 6850 Mendrisio www.studiophi.ch IL PUNTO DI STUDIOPHI N. 3 7 NOVEMBRE 2014 I L C O N T R O P I E D E D I D R A G H I La conferenza stampa del 6 novembre di Mario Draghi arriva dopo un prolungato periodo di instabilità sui mercati alimentata, tra l’altro, da pensieri, parole e opere dei principali banchieri centrali. Settimane nelle quali Kuroda e la Yellen, governatori rispettivamente della Banca del Giappone e della Federal Reserve, hanno agito; Mario Draghi, viceversa, ha “subito” un incessante sabotaggio mediatico. Il primo ha stupito tutti con un ulteriore gigantesca scommessa di acrobazia monetaria portando gli acquisti di titoli pubblici e privati fino a 700 miliardi di dollari annui. Procedendo a questi ritmi nel 2016 (vedi grafico) la Banca del Giappone avrà raggiunto una dimensione pari al 70% del Pil. Inoltre il fondo pensione statale ridurrà drasticamente la quota di titoli di stato in portafoglio, che venderà alla Banca del Giappone, a favore dell’investimento in azioni. L’obiettivo è quello, finora impossibile da raggiungere, di riportare l’inflazione al 2% con una storica operazione di repressione finanziaria basata sulla svalutazione dello yen e l’imposizione di tassi reali d’interesse negativi per un interminabile periodo di tempo. L’ovvio passo finale dell’esperimento sembra essere la cancellazione del debito in pancia alla banca centrale. Finora in Giappone il “quantitative easing” (QE), forse perché avviato troppo tardi, sembra non aver portato grandi risultati. Ora si raddoppia la posta. Janet Yellen, dopo qualche passo falso di troppo, ha finalmente chiuso l’ultima operazione di “quantitative easing”(QE), certificando l’uscita definitiva del paese dall’era della politica monetaria non convenzionale. Dal 2009 ad oggi gli attivi della Federal Reserve sono cresciuti da uno a 4,5 trilioni di dollari, con tre successive operazioni di QE. D’ora in poi torneranno progressivamente a ridursi con il rimborso dei titoli che andranno in scadenza. I tassi d’interesse rimarranno comunque a zero per almeno un altro anno. Negli Stati Uniti, con una politica fiscale estremamente espansiva fino al 2012, in un contesto economico, istituzionale e demografico molto diverso da quello del Giappone, , l’utilizzo massiccio di strumenti monetari non Attivi  delle  banche  centrali  in  %  del   PIL.  Fonte  Gavyn  Davies  blog.  
  • 2.     © 2014 StudioPhi SA, V. alla Torre 2, 6850 Mendrisio www.studiophi.ch convenzionali ha con alta probabilità accelerato l’uscita dalla crisi e la normalizzazione del mercato del lavoro. L’italiano che guida la BCE nel frattempo, a parte un paio di interventi pubblici, ha mantenuto un basso profilo ma è stato colpito da una grandinata di critiche, indiscrezioni e forse anche calunnie che ne hanno messo ha rischio la credibilità personale e dell’istituto che guida. Anche per Draghi la sfida principale riguarda l’adozione o meno dell’arma finale: l’acquisto di titoli governativi sul mercato. Da una parte i profeti della nuova frontiera monetaria considerano l’opzione indispensabile a maggior ragione a causa della politica suicida di autoflagellazione fiscale imposta a tutti da Strasburgo. Anzi, per loro è già troppo tardi. Dall’altra l’inesauribile lavorio di delegittimazione dei sacerdoti dell’ortodossia monetaria tedesca punta proprio a evitare questo esito, considerato letale. Tant’è che sono considerate operazioni illegali gli acquisti di titoli cartolarizzati già avviati dalle autorità monetarie europee. In questo clima si arriva alla conferenza stampa che segue il conclave dei banchieri centrali di novembre. Prima mossa: aumenta di mille miliardi il bilancio della BCE. Innanzi tutto, un Draghi insolitamente duro spazza via le voci, riportate dall’agenzia Reuters, di dissensi interni al comitato direttivo. Ribadisce che i programmi di acquisto di titoli strutturati e di finanziamento al sistema bancario, già in corso, riporteranno la dimensione del bilancio di Eurotower al livello del marzo 2012, cioè vicino ai tre trilioni di Euro, con un aumento di circa il 50% rispetto alla situazione attuale. Una decisione già annunciata dal Governatore ma secondo le indiscrezioni mai effettivamente condivisa all’interno del comitato di governo della banca, che si sarebbe così trovato di fronte al fatto compiuto. Non per la prima volta, per di più. Da più parti si sussurra che perfino l’ormai mitico “whatever it takes” del luglio 2012, il vero punto di svolta della crisi dell’euro, sia stato pronunciato senza un preventivo via libera del parlamentino dei governatori e tanto meno con la sponda politica della Cancelliera Merkel (come si è sempre ipotizzato). Sia come sia “SuperMario” sottolinea che l’aspettativa di aumentare il bilancio della Bce di un triliardo di euro in un periodo massimo di due anni è stata assunta all’unanimità. Il successo di Draghi non cancella comunque i dubbi di chi critica la cronica prudenza della banca: sempre in ritardo (“behind the curve”, usando il gergo tecnico degli analisti) rispetto all’evoluzione negativa di inflazione e crescita. Quale giustificazione si può addurre per il drenaggio di liquidità avvenuto negli ultimi 18 mesi nei quali il bilancio della BCE si è ridotto da tre a due trilioni di euro, mentre quelli della Fed e delle altre banche centrali continuavano ad ampliarsi? (vedi grafico). Basta la giustificazione della strenua opposizione della Bundesbank? Probabilmente no.
  • 3.     © 2014 StudioPhi SA, V. alla Torre 2, 6850 Mendrisio www.studiophi.ch Seconda mossa. Se necessario arriva il quantitative easing. La stessa unanimità bulgara viene espressa rispetto alla volontà di utilizzare altri strumenti non convenzionali (fuor di metafora si tratta del solito QE) dovesse diventare necessario affrontare i crescenti rischi derivanti dal perdurare di un’inflazione troppo bassa. Un livello dei prezzi vicino al 2% annuo è il criterio determinante per valutare l’efficacia e la credibilità della BCE; il mancato raggiungimento di tale obiettivo va impedito perché implica un inaccettabile rischio reputazionale per i banchieri centrali europei. Anche ricorrendo all’acquisto massiccio di titoli di stato, pur considerandone pregi, difetti e peculiarità derivanti dall’assetto istituzionale europeo. E proprio su questo punto Draghi risponde con un messaggio chiaro e forte al presidente della Bundesbank nonché membro del Direttorio della BCE Jens Weidmann e agli altri membri dell’establishment tedesco che strenuamente si oppongono non solo ad un futuribile quantitative easing ma anche agli interventi sui titoli strutturati e garantiti emessi da emittenti privati già in corso di esecuzione. Mettendo, tra l’altro apertamente in discussione il sacro principio dell’indipendenza della banca centrale dal potere politico (tedesco in questo caso), tanto caro alla tradizione teutonica. Terza mossa: la deriva dell’economia impone tempi sempre più ravvicinati. Fin qui si potrebbe sostenere che Draghi non ha affermato nulla di nuovo. Non è così perché, sia pure implicitamente, il Governatore fa capire che nuove iniziative potrebbero essere considerate prima del previsto, forse già a dicembre. Lo si deduce dall’esplicito riferimento al fatto che gli organismi competenti della BCE sono già stati attivati per studiare e preparare gli ulteriori strumenti da utilizzare in caso di bisogno. Azioni rese necessarie dalla crescente urgenza che deriva da un peggioramento dello scenario per crescita e inflazione, di cui ormai ha preso atto anche la Commissione Europea con la recentissima diffusione delle nuove stime per il 2015. Si tratta di una ennesima sforbiciata dello 0,6% e dello 0,4% su Pil e inflazione attesi, con il primo che a livello comunitario crescerebbe solo dell’1,1% e con i prezzi in aumento solo dello 0,8%. Insomma, malgrado un poco convinto ottimismo di facciata i rischi rimangono prevalentemente quelli di un peggioramento di scenario. Per Draghi si avvicina il momento della verità, quello dello scontro finale con gli oppositori interni, che si nascondono, e quelli esterni, fin troppo visibili.
  • 4.     © 2014 StudioPhi SA, V. alla Torre 2, 6850 Mendrisio www.studiophi.ch La presente pubblicazione è distribuita da StudioPhi SA. Pur ponendo la massima cura nella sua predisposizione e considerandone affidabili i contenuti, StudioPhi SA non si assume alcuna responsabilità in merito all’esattezza, completezza e attualità dei dati e delle informazioni nella stessa contenuti. Di conseguenza StudioPhi SA declina ogni responsabilità per errori e omissioni. La presente pubblicazione viene a Voi fornita per meri fini di informazione e illustrazione, non costituendo, in ogni caso, offerta al pubblico di prodotti finanziari ovvero promozione di servizi e/o attività di investimento nei confronti di persone residenti in Italia o in altre giurisdizioni. StudioPhi SA non potrà essere ritenuta responsabile, in tutto o in parte, per i danni derivanti dall’uso, in qualsiasi forma e per qualsiasi finalità, dei dati e delle informazioni contenute nella presente pubblicazione. È espressamente vietato riprodurre o distribuire il presente documento senza un preventivo consenso scritto. Per ulteriori informazioni potete scrivere a: informazione@studiophi.ch o telefonare al: +41 (0) 91 6400090