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Cooptare i turchi perché rendano giustizia agli armeni

   Ad Ankara chi osa ricordare il genocidio del 1915 è processato: se continuasse
                        così, salterebbe l’ingresso nella Ue

                                       di Nicola Procaccini
Turbolente discussioni, analisi storiche e letture geopolitiche hanno accompagnato l’inizio dei
negoziati tra l'Ue e Ankara per l'adesione della Turchia all'Unione Europea. Il risultato finale del
negoziato tuttavia viene dichiarato incerto, sia da parte di quelli che ritengono utile e legittima
l’adesione della Turchia, sia da coloro che invece protestano e rigettano l’istanza di Ankara. Si
tratta di giustificazioni diversamente motivate, spesso rivolte all’interno delle proprie posizioni,
eppure tutti sanno che il procedimento è irreversibile e destinato a raggiungere l’obiettivo seppur in
tempi variabili. Dunque gli stessi avversari dell’ingresso della Turchia ben comprendono l’esito
finale del negoziato, ma scelgono di rappresentare comunque una rigida posizione di contrasto per
lo stesso identico motivo per cui altri, tra cui il nostro Paese in via ufficiale, ne sostengono
l’adesione: condizionare la Turchia al rispetto degli standard europei di modernizzazione e laicismo
della politica. Tra le diverse istanze rivolte al governo del premier Erdogan perché venga sancito
ufficialmente il diritto di cittadinanza del suo Paese nel Consiglio d’Europa ve n’è una che
apparentemente sembra non essere legata alla contingenza politica del momento, ma che in realtà
per molti osservatori è di primaria importanza per un giudizio adeguato sulla richiesta turca: la
questione armena. Tale richiesta è sembrata nella lettura di molti osservatori come un semplice
(anacronistico) riconoscimento di responsabilità sul massacro di un’etnia compiuto quasi cento anni
fa, tanto da lasciare gli stessi sinceramente sorpresi di fronte alle reticenze delle istituzioni turche.
Ciò che molti commentatori (ed alcune nazioni…) stentano a comprendere è che il genocidio
armeno non appartiene al passato ma al presente della Turchia ed al suo futuro. Il 16 dicembre del
2005 Orhan Pamuk, uno dei più celebri scrittori turchi, comparirà in un tribunale di Ankara per
difendersi dall’accusa di “offesa pubblica all’identità turca”, articolo 301 del nuovo (!) codice
penale; la sua colpa? Pamuk ha dichiarato ad un giornale svizzero Tages Anzeiger che in Turchia
sono stati uccisi 30000 curdi ed un milione di armeni. Stessa imputazione anche per la giornalista
Hrant Dink, direttrice del settimanale turco-armeno Agos e per diversi altri intellettuali della
regione. In realtà ben più di un milione furono gli armeni massacrati nel secolo scorso, ma per la
storiografia ottomana e le attuali istituzioni si trattò di “rivolta civile” e le accuse di pulizia etnica
sono definite dal governo turco "un'invenzione per indebolire la nazione". Le radici del popolo
armeno affondano in quelle terre di fondamentale importanza per la comunicazione tra oriente ed
occidente già nel primo millennio a. C. e nonostante un’infinità di guerre con altri popoli gli armeni
hanno sempre mantenuto la propria indipendenza. La loro persecuzione inizia con l’adozione del
Cristianesimo come religione ufficiale già nel 301 d.C. (i primi al mondo). Circondati da
popolazioni islamiche sono stati invasi innumerevoli volte, uccisi, deportati, costretti all’adozione
della “sharia” per tempi lunghissimi; ma il genocidio vero e proprio è storia dell’ultimo secolo. Nel
1909 giunge al potere in Turchia il movimento rivoluzionario nazionalista dei Giovani Turchi e si
giunge ai primi massacri in Cilicia. Dal 1915 l’eliminazione del popolo armeno diviene ancor più
sistematica poiché gli viene addossata la responsabilità per la sconfitta subita dall’esercito turco
contro l’armata russa. I battaglioni armeni vengono disarmati e soppressi, stessa sorte per i civili:
l’illuminata ed operosa comunità di Costantinopoli viene sterminata in pochi giorni, seguiranno
Trebisonda e le altre province. In tutte le città vengono affissi bandi in cui si annuncia la
deportazione degli abitanti armeni, si formano grandi colonne di uomini, donne e bambini destinati
alla città di Aleppo, ma in pochissimi la raggiungono. Al termine delle operazioni guidate dal
tristemente celebre Ministro dell’Interno Talaat neppure un armeno restò in vita nella maggior parte
delle province. In un secondo momento Talaat provvedette alla eliminazione degli armeni sparsi sul
resto del territorio; si salveranno solo quelli vicini alle ambasciate europee di Costantinopoli che
aprirono loro le porte, quelli di Smirne salvati da un generale tedesco, i palestinesi e gli armeni del
Libano. Questa la testimonianza del Console italiano Giovanni Gorrini: “Dal 24 giugno non ho più
dormito ne mangiato. Ero preso da crisi di nervi e da nausea al tormento di dover assistere
all'esecuzione di massa di quegli innocenti ed inermi persone. Le crudeli cacce all'uomo, le
centinaia di cadaveri sulle strade, le donne ed i bambini caricati a bordo delle navi e poi fatti
annegare, le deportazioni nel deserto: questi sono i ricordi che mi tormentano l'anima e quasi
fanno perdere la ragione." Anche Papa Benedetto XV intervenne con vigore ma non servì a nulla
poichè i turchi avevano proclamato ufficialmente la “Jihad”, la guerra santa. In pochi anni vennero
massacrati circa un milione e mezzo di armeni, mentre più di centomila bambini vennero prelevati
da famiglie turche e rieducati smarrendo la propria fede e la propria identità. Esiste oggi una
Repubblica Armena, nata successivamente alla caduta dell’Unione Sovietica, ma il 90 % del
territorio nazionale all’inizio del secolo scorso appartiene ora alla Turchia; in molte regioni abitate
dagli armeni per millenni non ne esiste più un solo rappresentante. Il 24 e 25 settembre scorsi si è
tenuta ad Istanbul una conferenza dal titolo: “Gli armeni ottomani in un Impero in declino”: per la
prima volta, anche se in maniera non proprio diretta, si è parlato pubblicamente del genocidio
armeno. La conferenza avrebbe dovuto tenersi in maggio ma fu vietata da un tribunale
amministrativo, solo l’intervento del Ministro della Giustizia (invocato dal Consiglio d’Europa) ha
sbloccato la situazione. Dunque proprio grazie alle pressioni continentali almeno sulla questione
armena il governo turco mostra un certa nuova volontà, ma si tratta di un impegno sufficiente? Ad
oggi la Turchia mantiene ancora chiusa la frontiera con l’Armenia e non esiste alcuna forma di
tutela o diritto per la minoranza armena ancora residente in territorio turco. Nonostante ciò, Il
patriarca Mesrob II, leader spirituale della comunità armena, ha scritto pochi giorni fa un’accorata
lettera d’aiuto e di intercessione a Gerhard Schroeder e ad Angela Merkel per chiedere loro di
affrettare il processo per l'entrata della Turchia nell’Unione Europea. La lettera è stata indirizzata
per conoscenza anche ai 732 parlamentari europei e ai ministri delle nazioni europee. Quindi anche
la comunità armena si è iscritta ufficialmente al partito di coloro i quali sostengono che la Turchia
entrando in Europa subirebbe un’accellerazione verso quegli standard di democrazia e moderazione
di cui si è più volte parlato. Il rischio per altri è che l’Unione Europa finisca sempre più per
assomigliare ad un’altra organizzazione internazionale, nota per la sua inconsistenza politica,
inefficenza pacificatrice e per contenere al suo interno le peggiori tirannie del mondo:
l’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Pubblicato in terza pagina sull’Indipendente del 6 ottobre 2005

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Nicola Procaccini : La Turchia ed il genocidio armeno

  • 1. Cooptare i turchi perché rendano giustizia agli armeni Ad Ankara chi osa ricordare il genocidio del 1915 è processato: se continuasse così, salterebbe l’ingresso nella Ue di Nicola Procaccini Turbolente discussioni, analisi storiche e letture geopolitiche hanno accompagnato l’inizio dei negoziati tra l'Ue e Ankara per l'adesione della Turchia all'Unione Europea. Il risultato finale del negoziato tuttavia viene dichiarato incerto, sia da parte di quelli che ritengono utile e legittima l’adesione della Turchia, sia da coloro che invece protestano e rigettano l’istanza di Ankara. Si tratta di giustificazioni diversamente motivate, spesso rivolte all’interno delle proprie posizioni, eppure tutti sanno che il procedimento è irreversibile e destinato a raggiungere l’obiettivo seppur in tempi variabili. Dunque gli stessi avversari dell’ingresso della Turchia ben comprendono l’esito finale del negoziato, ma scelgono di rappresentare comunque una rigida posizione di contrasto per lo stesso identico motivo per cui altri, tra cui il nostro Paese in via ufficiale, ne sostengono l’adesione: condizionare la Turchia al rispetto degli standard europei di modernizzazione e laicismo della politica. Tra le diverse istanze rivolte al governo del premier Erdogan perché venga sancito ufficialmente il diritto di cittadinanza del suo Paese nel Consiglio d’Europa ve n’è una che apparentemente sembra non essere legata alla contingenza politica del momento, ma che in realtà per molti osservatori è di primaria importanza per un giudizio adeguato sulla richiesta turca: la questione armena. Tale richiesta è sembrata nella lettura di molti osservatori come un semplice (anacronistico) riconoscimento di responsabilità sul massacro di un’etnia compiuto quasi cento anni fa, tanto da lasciare gli stessi sinceramente sorpresi di fronte alle reticenze delle istituzioni turche. Ciò che molti commentatori (ed alcune nazioni…) stentano a comprendere è che il genocidio armeno non appartiene al passato ma al presente della Turchia ed al suo futuro. Il 16 dicembre del 2005 Orhan Pamuk, uno dei più celebri scrittori turchi, comparirà in un tribunale di Ankara per difendersi dall’accusa di “offesa pubblica all’identità turca”, articolo 301 del nuovo (!) codice penale; la sua colpa? Pamuk ha dichiarato ad un giornale svizzero Tages Anzeiger che in Turchia sono stati uccisi 30000 curdi ed un milione di armeni. Stessa imputazione anche per la giornalista Hrant Dink, direttrice del settimanale turco-armeno Agos e per diversi altri intellettuali della regione. In realtà ben più di un milione furono gli armeni massacrati nel secolo scorso, ma per la storiografia ottomana e le attuali istituzioni si trattò di “rivolta civile” e le accuse di pulizia etnica sono definite dal governo turco "un'invenzione per indebolire la nazione". Le radici del popolo armeno affondano in quelle terre di fondamentale importanza per la comunicazione tra oriente ed occidente già nel primo millennio a. C. e nonostante un’infinità di guerre con altri popoli gli armeni hanno sempre mantenuto la propria indipendenza. La loro persecuzione inizia con l’adozione del Cristianesimo come religione ufficiale già nel 301 d.C. (i primi al mondo). Circondati da popolazioni islamiche sono stati invasi innumerevoli volte, uccisi, deportati, costretti all’adozione della “sharia” per tempi lunghissimi; ma il genocidio vero e proprio è storia dell’ultimo secolo. Nel 1909 giunge al potere in Turchia il movimento rivoluzionario nazionalista dei Giovani Turchi e si giunge ai primi massacri in Cilicia. Dal 1915 l’eliminazione del popolo armeno diviene ancor più sistematica poiché gli viene addossata la responsabilità per la sconfitta subita dall’esercito turco contro l’armata russa. I battaglioni armeni vengono disarmati e soppressi, stessa sorte per i civili: l’illuminata ed operosa comunità di Costantinopoli viene sterminata in pochi giorni, seguiranno Trebisonda e le altre province. In tutte le città vengono affissi bandi in cui si annuncia la deportazione degli abitanti armeni, si formano grandi colonne di uomini, donne e bambini destinati alla città di Aleppo, ma in pochissimi la raggiungono. Al termine delle operazioni guidate dal tristemente celebre Ministro dell’Interno Talaat neppure un armeno restò in vita nella maggior parte
  • 2. delle province. In un secondo momento Talaat provvedette alla eliminazione degli armeni sparsi sul resto del territorio; si salveranno solo quelli vicini alle ambasciate europee di Costantinopoli che aprirono loro le porte, quelli di Smirne salvati da un generale tedesco, i palestinesi e gli armeni del Libano. Questa la testimonianza del Console italiano Giovanni Gorrini: “Dal 24 giugno non ho più dormito ne mangiato. Ero preso da crisi di nervi e da nausea al tormento di dover assistere all'esecuzione di massa di quegli innocenti ed inermi persone. Le crudeli cacce all'uomo, le centinaia di cadaveri sulle strade, le donne ed i bambini caricati a bordo delle navi e poi fatti annegare, le deportazioni nel deserto: questi sono i ricordi che mi tormentano l'anima e quasi fanno perdere la ragione." Anche Papa Benedetto XV intervenne con vigore ma non servì a nulla poichè i turchi avevano proclamato ufficialmente la “Jihad”, la guerra santa. In pochi anni vennero massacrati circa un milione e mezzo di armeni, mentre più di centomila bambini vennero prelevati da famiglie turche e rieducati smarrendo la propria fede e la propria identità. Esiste oggi una Repubblica Armena, nata successivamente alla caduta dell’Unione Sovietica, ma il 90 % del territorio nazionale all’inizio del secolo scorso appartiene ora alla Turchia; in molte regioni abitate dagli armeni per millenni non ne esiste più un solo rappresentante. Il 24 e 25 settembre scorsi si è tenuta ad Istanbul una conferenza dal titolo: “Gli armeni ottomani in un Impero in declino”: per la prima volta, anche se in maniera non proprio diretta, si è parlato pubblicamente del genocidio armeno. La conferenza avrebbe dovuto tenersi in maggio ma fu vietata da un tribunale amministrativo, solo l’intervento del Ministro della Giustizia (invocato dal Consiglio d’Europa) ha sbloccato la situazione. Dunque proprio grazie alle pressioni continentali almeno sulla questione armena il governo turco mostra un certa nuova volontà, ma si tratta di un impegno sufficiente? Ad oggi la Turchia mantiene ancora chiusa la frontiera con l’Armenia e non esiste alcuna forma di tutela o diritto per la minoranza armena ancora residente in territorio turco. Nonostante ciò, Il patriarca Mesrob II, leader spirituale della comunità armena, ha scritto pochi giorni fa un’accorata lettera d’aiuto e di intercessione a Gerhard Schroeder e ad Angela Merkel per chiedere loro di affrettare il processo per l'entrata della Turchia nell’Unione Europea. La lettera è stata indirizzata per conoscenza anche ai 732 parlamentari europei e ai ministri delle nazioni europee. Quindi anche la comunità armena si è iscritta ufficialmente al partito di coloro i quali sostengono che la Turchia entrando in Europa subirebbe un’accellerazione verso quegli standard di democrazia e moderazione di cui si è più volte parlato. Il rischio per altri è che l’Unione Europa finisca sempre più per assomigliare ad un’altra organizzazione internazionale, nota per la sua inconsistenza politica, inefficenza pacificatrice e per contenere al suo interno le peggiori tirannie del mondo: l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Pubblicato in terza pagina sull’Indipendente del 6 ottobre 2005