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Anselmi Tina - Vinci Anna

                                    Storia di una passione politica

                                                   10



Noi ragazze che avevamo partecipato

alla Resistenza, avremmo potuto non renderci

conto di quale conquista fosse il diritto

di voto alle donne?



NOI ragazze che avevamo partecipato alla Resistenza, una volta raggiunta la pace, dopo aver contrib
uito rischiando la vita ad accelerare la fine della guerra, avremmo potuto non renderci conto di quale
conquista fosse il diritto di voto alle donne? Peccato che molte di noi non avessero ancora l’età per
votare.

Posso ben dire che la lotta armata aveva determinato la nostra dolorosa emancipazione e in molte, q
ui in Veneto, e non solo da noi, vi avevano partecipato. Scrive uno storico inglese che senza le donn
e, ed eravamo per lo più ragazze, la Resistenza non sarebbe stata vittoriosa, perché non solo c’erava
mo ma eravamo anche più numerose dei ragazzi.

Fu molto bello, intenso, ritrovarsi insieme, in tempo di pace, a fare le stesse battaglie, condividere gl
i stessi ideali e poi scoprire di avere avuto un passato comune.

Ho saputo che Ilda d’Este era stata partigiana dopo che da qualche tempo le ero vicina nel suo impe
gno per la tutela delle prostitute, e fu in quel periodo che conobbi anche Angelina (Lina) Merlin, e n
e apprezzai il coraggio e l’onestà intellettuale.

Erano entrambe lavoratrici instancabili, appassionate e sempre senza una lira, spendevano molto di
più di quello che avevano dai loro stipendi di parlamentari, per ingegnarsi ad aiutare le ragazze che
si prostituivano e per le quali avevano aperto a Roma un centro di pronto intervento. Spesso Ilda ci
chiedeva aiuto, a me e a Franca Falcucci: «Sentite, io dovrei andare in quel tal posto, mi portate?» E
via si andava di qua, di là, dove bisognava, tutte e tre insieme in Lambretta, io dietro, Ilda in mezzo
e Franca, che ne era la proprietaria e guidava, davanti. E non che fossimo tanto minute. Magre sì, pe
rché il cibo era sempre poco.

Finite le missioni in Lambretta, Ilda ci chiedeva se per caso potevamo offrirle una pizza. E noi: «Ma
come, siete parlamentari e dobbiamo pure pagarvi la cena?» Franca e io non avevamo né arte né part
e, in quei giorni che segnarono gli inizi della nostra vita romana.

Ricordi di un tempo in cui la fatica, le difficoltà, erano affrontate con coraggio, nella consapevolezz
a di stare facendo qualcosa di utile.

Allora ci sembrava possibile che il mondo potesse essere meno ingiusto anche per noi donne. E la re
altà ci aveva già dato ragione. Ci aveva dato ragione, a noi militanti di partiti diversi, fin dalla prima
volta in cui ci eravamo impegnate per portare le donne a votare, per il referendum istituzionale, il 2
giugno del 1946, e contemporaneamente per l’Assemblea Costituente.

Ricordo che andavo in giro per i paesi della Castellana, in tutta la provincia, prima di tutto per convi
ncere le donne a votare e poi davo l’orientamento di voto a favore della Democrazia Cristiana, che e
ra diventato il mio partito. Peccato che io non potessi votare, all’epoca si diventava maggiorenni a v
entun anni, ma ciò non diminuì il mio entusiasmo, il mio impegno. E devo dire che andando a parlar
e con le contadine, al mattino presto, perché si alzavano alle cinque, cinque e mezza, per governare
gli animali nelle stalle, e poi per accudire uomini, vecchi e bambini, io e le mie amiche non trovava
mo difficoltà a convincerle a partecipare. Piuttosto i dubbi erano sul come partecipare: «Che cosa do
bbiamo fare? Come facciamo a non sbagliare? Ne saremo capaci?» Per noi militanti è stato molto gr
atificante vedere che esse comprendevano i nostri discorsi, li condividevano, si rendevano conto che
il voto era il punto di partenza di una nuova partecipazione alla vita sociale e politica del paese: un d
iritto-dovere che ci proiettava, da protagoniste, nel futuro.

E le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando vi
a le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo suf
ficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per
gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se esser
e maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica!

Fortunatamente ci furono politici convinti non solo che il voto alle donne era giusto, ma che era util
e per la democrazia; di più: sarebbe stato una garanzia di democrazia. E mi ricordo – oggi un tale co
mportamento sarebbe inconcepibile – che Palmiro Togliatti, riguardo alla decisione da prendere, dis
se: «Sentite prima quello che ne pensa De Gasperi». E in quella occasione – come poi si vide – i lor
o giudizi, i loro comportamenti concordarono. Al di là della valutazione squisitamente politica, sem
brò giusto a entrambi affidarsi al nostro buon senso e accordarci fiducia. Purtroppo il buon senso fe
mminile, che è uno dei nostri talenti, in troppe altre situazioni non è stato ascoltato.

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Storia di una passione politica

  • 1. Anselmi Tina - Vinci Anna Storia di una passione politica 10 Noi ragazze che avevamo partecipato alla Resistenza, avremmo potuto non renderci conto di quale conquista fosse il diritto di voto alle donne? NOI ragazze che avevamo partecipato alla Resistenza, una volta raggiunta la pace, dopo aver contrib uito rischiando la vita ad accelerare la fine della guerra, avremmo potuto non renderci conto di quale conquista fosse il diritto di voto alle donne? Peccato che molte di noi non avessero ancora l’età per votare. Posso ben dire che la lotta armata aveva determinato la nostra dolorosa emancipazione e in molte, q ui in Veneto, e non solo da noi, vi avevano partecipato. Scrive uno storico inglese che senza le donn e, ed eravamo per lo più ragazze, la Resistenza non sarebbe stata vittoriosa, perché non solo c’erava mo ma eravamo anche più numerose dei ragazzi. Fu molto bello, intenso, ritrovarsi insieme, in tempo di pace, a fare le stesse battaglie, condividere gl i stessi ideali e poi scoprire di avere avuto un passato comune. Ho saputo che Ilda d’Este era stata partigiana dopo che da qualche tempo le ero vicina nel suo impe gno per la tutela delle prostitute, e fu in quel periodo che conobbi anche Angelina (Lina) Merlin, e n e apprezzai il coraggio e l’onestà intellettuale. Erano entrambe lavoratrici instancabili, appassionate e sempre senza una lira, spendevano molto di più di quello che avevano dai loro stipendi di parlamentari, per ingegnarsi ad aiutare le ragazze che si prostituivano e per le quali avevano aperto a Roma un centro di pronto intervento. Spesso Ilda ci chiedeva aiuto, a me e a Franca Falcucci: «Sentite, io dovrei andare in quel tal posto, mi portate?» E via si andava di qua, di là, dove bisognava, tutte e tre insieme in Lambretta, io dietro, Ilda in mezzo e Franca, che ne era la proprietaria e guidava, davanti. E non che fossimo tanto minute. Magre sì, pe rché il cibo era sempre poco. Finite le missioni in Lambretta, Ilda ci chiedeva se per caso potevamo offrirle una pizza. E noi: «Ma come, siete parlamentari e dobbiamo pure pagarvi la cena?» Franca e io non avevamo né arte né part e, in quei giorni che segnarono gli inizi della nostra vita romana. Ricordi di un tempo in cui la fatica, le difficoltà, erano affrontate con coraggio, nella consapevolezz a di stare facendo qualcosa di utile. Allora ci sembrava possibile che il mondo potesse essere meno ingiusto anche per noi donne. E la re altà ci aveva già dato ragione. Ci aveva dato ragione, a noi militanti di partiti diversi, fin dalla prima
  • 2. volta in cui ci eravamo impegnate per portare le donne a votare, per il referendum istituzionale, il 2 giugno del 1946, e contemporaneamente per l’Assemblea Costituente. Ricordo che andavo in giro per i paesi della Castellana, in tutta la provincia, prima di tutto per convi ncere le donne a votare e poi davo l’orientamento di voto a favore della Democrazia Cristiana, che e ra diventato il mio partito. Peccato che io non potessi votare, all’epoca si diventava maggiorenni a v entun anni, ma ciò non diminuì il mio entusiasmo, il mio impegno. E devo dire che andando a parlar e con le contadine, al mattino presto, perché si alzavano alle cinque, cinque e mezza, per governare gli animali nelle stalle, e poi per accudire uomini, vecchi e bambini, io e le mie amiche non trovava mo difficoltà a convincerle a partecipare. Piuttosto i dubbi erano sul come partecipare: «Che cosa do bbiamo fare? Come facciamo a non sbagliare? Ne saremo capaci?» Per noi militanti è stato molto gr atificante vedere che esse comprendevano i nostri discorsi, li condividevano, si rendevano conto che il voto era il punto di partenza di una nuova partecipazione alla vita sociale e politica del paese: un d iritto-dovere che ci proiettava, da protagoniste, nel futuro. E le italiane, fin dalle prime elezioni, parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando vi a le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo suf ficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini. E tuttora vedo con dispiacere che per noi gli esami non sono ancora finiti. Come se esser e maschio fosse un lasciapassare per la consapevolezza democratica! Fortunatamente ci furono politici convinti non solo che il voto alle donne era giusto, ma che era util e per la democrazia; di più: sarebbe stato una garanzia di democrazia. E mi ricordo – oggi un tale co mportamento sarebbe inconcepibile – che Palmiro Togliatti, riguardo alla decisione da prendere, dis se: «Sentite prima quello che ne pensa De Gasperi». E in quella occasione – come poi si vide – i lor o giudizi, i loro comportamenti concordarono. Al di là della valutazione squisitamente politica, sem brò giusto a entrambi affidarsi al nostro buon senso e accordarci fiducia. Purtroppo il buon senso fe mminile, che è uno dei nostri talenti, in troppe altre situazioni non è stato ascoltato.