“Anche per me, come per la maggior parte degli occidentali, l’Indocina era una penisola lontana, chiamata così non so per quale motivo, in ogni modo non mi è mai interessato saperlo. Il Vietnam era il paese dove John Wayne e De Niro facevano gli eroi, ma la Cambogia, quella era solo e sempre un piccolo puntino sul mappamondo”.
Storie Di Kampuchea racconta invece di una Cambogia a noi sconosciuta, più che del Paese ci presenta il suo popolo e le sue guerre, a volte passate sotto silenzio, in particolare ci fa conoscere Chivv Ngauv, un uomo straordinario, “un concentrato di dignità e coraggio, passato attraverso momenti terribili, ma che nonostante questo non prova odio, anzi, con amore e dedizione è riuscito a fare molto per coloro che maggiormente hanno sofferto e soffrono le conseguenze di questo Olocausto: i bambini”.
Softnix Messaging Server (SMS) is mail server based on open source technology.It's easy to management as web interface. Administrator could process system anywhere by network. For the question "Linux mail server is good but complex managing " .Our SMS system will solve that problem
“(...) Una frase ha spezzato l’anima di Giulio Mazzarino, arrogante controller di una multinazionale americana.
Non sono mai riuscito a ricostruire la sequenza degli eventi che mi hanno spinto in questa storia dall’inizio poco edificante. I miei ricordi si fermano al momento in cui siamo stati presentati (da quali amici, non saprei dire) davanti a un cocktail Negroni, in un locale di Brera. Mi sono ritrovato, ubriaco fradicio, nel suo letto.”
Dodici racconti ironici, divertenti, scritti con garbo. Protagoniste quasi assolute le donne, con il loro lavoro e i loro amori, sullo sfondo di una Milano che non si arrende. Imperdibile la prefazione della giornalista e scrittrice Laura de Laurentiis.
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“(...) Una frase ha spezzato l’anima di Giulio Mazzarino, arrogante controller di una multinazionale americana.
Non sono mai riuscito a ricostruire la sequenza degli eventi che mi hanno spinto in questa storia dall’inizio poco edificante. I miei ricordi si fermano al momento in cui siamo stati presentati (da quali amici, non saprei dire) davanti a un cocktail Negroni, in un locale di Brera. Mi sono ritrovato, ubriaco fradicio, nel suo letto.”
Dodici racconti ironici, divertenti, scritti con garbo. Protagoniste quasi assolute le donne, con il loro lavoro e i loro amori, sullo sfondo di una Milano che non si arrende. Imperdibile la prefazione della giornalista e scrittrice Laura de Laurentiis.
Isabella è Senior Executive e Shadow Coach, certificata PCC dal 2001 con più di 2.400 ore di coaching individuali e facilitatore Soft Skills. Emotional Intelligence Coach e trainer dal 2007.
Sociologa appassionata di innovazione tecnologica e scientifica. Studentessa e ricercatrice di nuove tendenze su temi demografici a causa del loro impatto sul cambiamento delle comunicazioni e delle relazioni del genere umano.
Dal 2009 sviluppa un'attività di ricerca parallela sul tema generazionale, di cui ha portato avanti un'attività di studio e analisi basata su workshop e progetti aziendali, completando la prima indagine organizzativa italiana sulle generazioni nei luoghi di lavoro.
Questa attività si è trasformata in un progetto integrato Generation Mover™ che oggi coinvolge Isabella come coach, facilitatore e relatore in iniziative in tutta Italia, sia in azienda che a livello sociale.
Ero diverso: ufficiale ed ebreo (di Silvio Ortona)INSMLI
"Ero diverso: ufficiale ed ebreo", di Silvio Ortona; tratto dal volume "Voci della Resistenza ebraica italiana", a cura di Alessandra Chiappano.
Si ringrazia la casa editrice Le Château per aver consentito la pubblicazione.
Isabella è Senior Executive e Shadow Coach, certificata PCC dal 2001 con più di 2.400 ore di coaching individuali e facilitatore Soft Skills. Emotional Intelligence Coach e trainer dal 2007.
Sociologa appassionata di innovazione tecnologica e scientifica. Studentessa e ricercatrice di nuove tendenze su temi demografici a causa del loro impatto sul cambiamento delle comunicazioni e delle relazioni del genere umano.
Dal 2009 sviluppa un'attività di ricerca parallela sul tema generazionale, di cui ha portato avanti un'attività di studio e analisi basata su workshop e progetti aziendali, completando la prima indagine organizzativa italiana sulle generazioni nei luoghi di lavoro.
Questa attività si è trasformata in un progetto integrato Generation Mover™ che oggi coinvolge Isabella come coach, facilitatore e relatore in iniziative in tutta Italia, sia in azienda che a livello sociale.
Ero diverso: ufficiale ed ebreo (di Silvio Ortona)INSMLI
"Ero diverso: ufficiale ed ebreo", di Silvio Ortona; tratto dal volume "Voci della Resistenza ebraica italiana", a cura di Alessandra Chiappano.
Si ringrazia la casa editrice Le Château per aver consentito la pubblicazione.
“Gli ostacoli sono quelle cose spaventose che vedi quando togli gli occhi dalla meta”. Sai chi l’ha detto? Henry Ford, l’industriale automobilistico americano. E tu cosa c’entri? Beh, non ti è mai successo di iniziare un’impresa e poi perderti lungo il percorso? Quando non vedi una soluzione e inizi ad avere l’energia di una vongola e di colpo ti sparisce l’entusiasmo?
Vedi solo ostacoli, le “cose spaventose” di cui parla Ford. Ti sei perso la meta e non riesci più a fare il percorso perché non sai dove andare e inizi a lamentarti e a scoraggiarti. Ti è successo? È proprio in questi momenti che serve vigilare sulla propria mente che ci porta al guinzaglio perché non siamo più noi i suoi padroni.
È esattamente quello il momento in cui serve una frase coraggiosa e saggia, che accenda la luce della tua anima rimasta al buio. Questa citazione è una delle tante perle di saggezza che GMAC ha inanellato in questo volumetto che fa parte della collana “VolereéPotere”. Una scelta di Aforismi motivanti e potenzianti per vincere ogni giorno le proprie sfide o per rialzarsi dopo una caduta, più forti e più saldi.
Dì la verità, quante volte hai pensato di entrare nell’ufficio del tuo capo per dirgli che lo saluti e cambi vita? Enrico ha avuto il coraggio di farlo, ha iniziato un viaggio che è partito da una agenzia di pubblicità, passando per la campagna piemontese e andando alla scoperta di mete esotiche. Tranquillo, è tornato a casa, ma il suo paesaggio interiore è cambiato. La sua è stata una variazione dell’anima.
Non ho scritto questo libro perché debba piacere a qualcuno, forse non piacerà a nessuno. Non piacerà a Papa Benedetto, perché non gli risparmio osservazioni molto critiche, tanto da poter essere etichettate come eresie. Parlo a Lui perché, attraverso lui, mi ascoltino anche altri. Non piacerà ai miei ex colleghi preti, perché sarebbero costretti a mettersi in discussione, ma sanno di trovarsi davanti una strada senza uscita. Non piacerà a coloro che si ritengono bravi cristiani, perché dovrebbero cominciare a ragionare con la propria testa. Non piacerà ai laici perché penseranno che perdo tempo, dal momento che colui al quale mi rivolgo non lo leggerà. Non piacerà alla gran massa di indifferenti, abituati come sono a fare dei propri interessi l'unico scopo di vita.
Spero però che sia da stimolo a chi si pone domande, a chi è deluso dalle superficiali risposte dei mass-media e da quelle antiquate della Chiesa, a chi non si accontenta di portare all'ammasso il proprio cervello.
Questo mio libro è un piccolissimo battito d’ali, ma è ciò che la Vita ora mi chiede, anche se non so in quale parte dell’Universo questo piccolo “effetto farfalla” porterà il suo contributo.
Dopo il successo di Svolte è la volta di Altre Svolte per continuare a raccontare le storie di chi ha “svoltato vita” abbandonando la comfort zone, le sue certezze e le sue abitudini buttandosi a capofitto in nuove avventure. Di chi ha “svoltato controcorrente “ scegliendo di non essere mamma e ci scherza con una vena di malinconia, di chi si è trovato sull’orlo del precipizio ma non è precipitato ed è riuscito a raddrizzare il tiro e, infine, di chi ha svoltato nonostante fosse troppo giovane per farlo come i ragazzi del reparto di oncologia di Parma.
“Il punto di vista psicologico ci dice che cambiare è nella natura delle cose e del mondo: da quando si nasce a quando si muore siamo in continua trasformazione. Eppure percettivamente le persone hanno bisogno di pensarsi nella stabilità e nella sicurezza di una continuità: gli affetti, una casa, un lavoro permanente. Ogni volta che uno di questi elementi viene a mancare, soprattutto per cause esterne, provoca sofferenza, disagio e desiderio di ristabilire un ordine precedente. Dalla parte opposta vivere in un contesto troppo sicuro, conosciuto, esperito ci porta alla noia e alla paralisi, alla percezione di vivere una vita vuota: sono i due estremi all’interno dei quali ognuno di noi si trova a vivere. Allora perché cambiare? (…)”
Nelle testimonianze raccolte in Altre Svolte c’è qualche risposta.
''ANNO 1962. CIAK SI GIRA:
palcoscenico di una scuola materna: sono alla mia prima recita.
Siamo dieci bambine che, disposte in cerchio, cantiamo la canzone ''La campagnola bella''. Indossiamo un costume di raso verde con applicate margherite bianche. Eseguiamo dei piccoli passi di danza tipo la Zorba ed alziamo le mani in alto, ci impegniamo molto, la suora ci fa segno e noi teniamo il tempo.
Siamo emozionate e cerchiamo con gli occhi, in platea, un viso conosciuto, i nostri genitori (...).''
Un romanzo dove la vita ed il teatro si fondono in un unico scenario.
''Ho conosciuto mio marito nel 1976, quando eravamo a scuola a Calcutta e credo che l'Italia fosse nel nostro karma. Entrambi abbiamo studiato in una scuola privata (...)''
Dall'India a Milano per amore per poi scoprire una città dal cuore grande, dallo spirito attivo e positivo, dalle tante storie che con pazienza l'autrice ha raccolto e raccontato in Milano 4Ever.
http://www.givemeachance.it/autori/urmila-chakraborty/GMC-urmila-chakraborty-milano-4ever.php
Ricominciare da capo, trovare un nuovo lavoro, realizzare un sogno, dedicare il proprio tempo agli altri; sono questi i fili conduttori delle storie raccontate dagli autori che hanno scritto per Svolte.
http://www.givemeachance.it/autori/mamma-trovalavoro/mamma-trovalavoro-svolte.php
Relazioni vs Transazioni. Governare la rete di vendita con il sistema retribu...GiveMeAChance srl
In un epoca in cui le imprese sono alla ricerca di elementi che li differenzino dalla concorrenza, il comportamento della loro forza vendita sembra essere stereotipato e finalizzato ad un unico obiettivo: ottenere la firma del Cliente. Come spiegare questa discrepanza?
Scartata l'idea che i venditori appartengano ad una classe antropologica omogenea, l'autore individua nelle prassi retributive di piccole e grandi organizzazioni l'origine dell'errore e suggerisce concrete alternative ai modelli quantitativi oggi predominanti per valorizzare i propri commerciali e il loro operato.
Una narrazione agile, intercalata da analisi puntuali, propone le linee guida per progettare sistemi retributivi e di incentivazione per la forza vendite in grado di conciliare crescita del fatturato e profitti, customer satisfaction e quote di mercato, competitività della rete e attenzione al singolo venditore.
http://www.givemeachance.it/autori/giorgio-appiano/GMC-giorgio-appiano-governare-la-rete-di-vendita-con-il-sistema-retributivo.php
''(...) Finalmente di fronte, io e Hasan ci fissiamo. Ha la faccia distesa e l'ormai solito ghigno di sufficienza con il quale mi misura dall'alto dei suoi dieci centimetri e passa di vantaggio. Le solite storie sui colpi bassi, sullo stop quando l'arbitro fischia, ecc, fluttuano dalle parti delle mie orecchie in uno spagnolo abbastanza comprensibile, ma non riesco a farci caso perch´ sono già in pieno trip agonistico, con le gocce di sudore che prendono a scendermi dal viso e al centro della schiena. Alla fine arriva il momento di battersi i guantoni e di tornare un'ultima volta all'angolo.
«Tranquillo, Re', non farti mettere soggezione», mi sussurra Fernando massaggiandomi piano le spalle. «Pronto e reattivo, pronto e reattivo. E' la tua occasione, vai!».
Gong!
«Seconds out. It's the first round». (...)''
http://www.givemeachance.it/autori/domenico-paris/GMC-Domenico-Paris-il-ring-e-onesto.php
Introduzione all'ebook "Social network per il non profit" http://www.givemeachance.it/autori/cristina-berta-roberto-marmo/GMC-cristina-berta-roberto-marmo-social-network-per-il-non-profit.php
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Presentazione ebook La divin dieta: quando il poeta s'accorse del girovita
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3. Tutti i diritti riservati
La riproduzione parziale o totale del presente libro è
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La presente pubblicazione contiene le opinioni dell’autore
e ha lo scopo di fornire informazioni che, benché curate
con scrupolosa attenzione, non possono comportare
specifiche responsabilità in capo all’autore e all’editore per
eventuali inesattezze.
GiveMeAChance s.r.l. – Editoria Online
Viale Regina Margherita, 41 – Milano
1° edizione Gennaio 2015
www.givemeachance.it
4. 4
A mio figlio
Con lui è nata la mia nuova vita
Alla Cambogia
Che mi ha insegnato
Che cosa vuol dire donare con il cuore
………………………….
Date ben poco quando date delle vostre ricchezze.
E’ quando date voi stessi che date veramente.
……………………………..
Vi sono quelli che danno con pena e stento,
e quella pena è il loro battesimo.
Vi sono quelli che danno senza pena nel donare,
né cercano gioia, né danno preoccupandosi della virtù.
Kahlil Gibran “Il Profeta”
5. 5
Ringraziamenti
Sono tanti coloro a cui devo dir grazie per questo libro e
sono certa che ognuno di loro in cuor suo lo sa, senza bi-
sogno di nomi ed “epitaffi”. A loro la mia più grande rico-
noscenza.
E grazie a tutti coloro che avranno voglia di leggere ed ar-
rivare alla fine di questo libro. Spero di non avere annoiato
troppo ma, soprattutto, spero di aver dato la voglia di visi-
tare la Cambogia.
Un ringraziamento particolare ad Alessandro Fanucchi per
la fotografia della copertina.
6. Prefazione
Non ho mai pensato di scrivere nulla di sensazionale, là
dove c’è la quotidianità, infatti, c’è la normalità ma spesso
questa normalità è diversa da ciò che noi siamo abituati
ad immaginare, diversa da quella che viviamo ogni giorno
e questo perché lontano da qui la storia ha avuto un corso
diverso, terribile.
Io ho conosciuto un uomo; il modo in cui quell’uomo era
passato attraverso mezzo secolo di storia drammatica del
suo paese conservando il mesto sorriso sul volto e al tem-
po stesso la voglia di fare ogni giorno qualcosa per quanti
erano nati nel momento sbagliato o nel posto sbagliato
aveva per me qualcosa di straordinario. Tutto in lui mi è
sembrato, da subito, semplice ed eccezionale e poiché ho
avuto il privilegio di incontrarlo ho pensato di condividere
con altri questa occasione di conoscenza.
7. 7
Storie di Kampuchea
Durante la mia adolescenza le pagine dei giornali ne han-
no parlato per anni, sino alla nausea: parlo della guerra in
Vietnam. Una grande potenza come gli Stati Uniti tenuta in
scacco da un pugno di uomini scalzi, a volte male armati,
affamati ma sempre spinti da un odio profondo verso gli
invasori e da una voglia di indipendenza che alla fine li ha
resi vincenti.
Dopo vent’anni nessun vinto e tutti vincitori o solo, forse, il
popolo vietnamita che con orgoglio e fatica ha rimesso in-
sieme i cocci del proprio paese per andare avanti.
Finita la guerra i giornali pian piano si dimenticano del
Vietnam, ma vengono immediatamente sostituiti
dall’industria Hollywoodiana. “Berretti verdi”, “Platoon”,
“Good morning Vietnam”, “Dalla terra al cielo”, “Il Caccia-
tore” sono solo alcuni dei titoli, i più famosi, che ci riporta-
no dentro quella storia.
8. 8
La donna china fra il riso e il cappello a cono, l’immagine
della parte buona da salvare e liberare; il capo scoperto,
una smorfia tra crudeltà e sogghigno, alla Bruce Lee, il
Vietcong cattivo, comunista, da combattere, sconfiggere e
uccidere.
Oggi quella guerra è parte del secolo scorso, decine di al-
tre purtroppo sono seguite, ma di quella di cui voglio parla-
re, anche questa del ventesimo secolo, si è parlato sem-
pre pochissimo, sempre velocemente e forse anche in
modo menzognero o superficiale.
Ignorare e dimenticare è stato il modo più semplice.per
nascondere la vergogna che credo i più provino.
I cosiddetti democratici avevano già dovuto chinare il capo
e accettare che le truppe di Hanoi, del Nord Vietnam, i
comunisti, dopo Da Nang arrivassero ad occupare Saigon.
Il comunismo aveva vinto. In Indocina, quindi, l’ago della
bilancia pendeva ormai inesorabilmente a sinistra. Un altro
paese in mano ai comunisti non faceva più tanta differen-
za, ancora meno se non era considerato di importanza
strategica. Per i comunisti, invece, ignorare cosa avveniva
in Cambogia era fondamentale per non dover prendere at-
9. 9
to delle atrocità perpetrate in nome di una nuova società in
cui tutti dovrebbero essere uguali.
I libri di storia hanno dedicato e dedicano interi capitoli
all’Olocausto; Pol Pot, che in quattro anni ha sterminato
circa 2 milioni di Cambogiani, è sempre liquidato in poche
righe.
Nel 1975 la popolazione cambogiana era di circa 7 milioni
di abitanti, ciò vuol dire che lui e i suoi seguaci ne hanno
ucciso circa il 25%. Un pò troppi per essere descritti velo-
cemente in poche righe.
A nessuno giovava parlare di tutto questo, solo accenni
per dovere di cronaca, ma nessuna partecipazione per un
popolo che soffriva e moriva in silenzio. Il paese, dal 1830
protettorato francese, era povero e arretrato, quindi politi-
camente meno importante. Il sovrano Sianouk, per anni,
aveva fatto l’acrobata politico con francesi, tailandesi,
vietnamiti e, infine, si era rivolto ai cinesi senza che la sua
figura assumesse mai un ruolo preciso a capo di un go-
verno forte a cui il popolo potesse rivolgersi e appellarsi
per denunciare ciò che stava accadendo.
Anche per me, come per la maggior parte degli occidenta-
li, l’Indocina era una penisola lontana, chiamata così non
10. 10
so per quale motivo, in ogni modo non mi è mai interessa-
to saperlo. Il Vietnam era il paese dove John Wayne e De
Niro facevano gli eroi, ma la Cambogia, quella era solo e
sempre un piccolo puntino sul mappamondo.
Niente, quindi, mi induceva a pensare, e nemmeno ad
immaginare, che quel paese mi sarebbe entrato nel cuore
e che un sorriso mesto su un volto marrone mi avrebbe
colpito al punto da voler approfondire e conoscere vera-
mente quell’uomo, il paese e la sua storia.
Chivv Ngauv, un concentrato di dignità e coraggio, è pas-
sato attraverso momenti terribili, ma nonostante questo
non prova odio, anzi, con amore e dedizione è riuscito a
fare molto per coloro che maggiormente hanno sofferto e
soffrono le conseguenze di questo Olocausto: i bambini.
Quando a Natale del 1979 le truppe vietnamite iniziano
l’invasione e la Kampuchea Democratica in due settimane
finisce, Pol Pot si dà alla macchia nella Cambogia occi-
dentale e i suoi uomini si ritirano nella foresta, verso il con-
fine tailandese. Ma non si danno per vinti e per anni conti-
nuano la loro guerriglia contro il governo della Repubblica
11. 11
Popolare e contro i vietnamiti. Le loro incursioni nei villaggi
portano sempre e solo distruzione e morte. I Governi occi-
dentali, che non hanno mai preso posizione prima, alla fi-
ne accettano anche i Khmer Rossi al tavolo delle trattati-
ve; non è Pol Pot, ma Ieng Sary che siede al tavolo per
trattare un nuovo assetto politico e la pace per lo stesso
paese, nel quale, per quattro anni, aveva torturato e mas-
sacrato migliaia di innocenti in nome della democrazia so-
ciale.
La Cambogia di oggi sta ancora pagando le conseguenze
di quegli anni.
Il periodo dei khmer rossi è finito, ma loro non sono spariti
completamente.
Nel 2011 è stato istituito il Tribunale speciale per i Khmer
Rossi che era un tribunale misto, istituito a seguito di un
accordo tra il Regno di Cambogia e le Nazioni Unite per
processare i responsabili del genocidio perpetrato in terri-
torio cambogiano durante il regime di Pol Pot e dei Khmer
Rossi. Da allora al 7 agosto 2014, data della sentenza, dei
quattro imputati ne erano rimasti solo due: Khieu Sam-
phan, 83 anni e capo di stato di quel regime, e Nuon
Chea, 88 anni e allora capo ideologo del partito, che de-
12. 12
vono ancora affrontare un altro processo per genocidio. Il
ministro degli Esteri del regime dei Khmer Rossi, Ieng Sa-
ry, infatti è morto nel luglio 2013, mentre sua moglie Ieng
Thirith, al tempo ministro degli Affari Sociali, è stata ritenu-
ta incapace di sostenere un processo nel 2012, quando le
è stata diagnosticata la demenza.
E’ stato indubbiamente un processo voluto più dalla co-
munità internazionale che dai cambogiani.
La vita nel paese è migliorata, ma la povertà è sempre a
livelli altissimi, si muore ancora di fame e andare a scuola
non è ancora un diritto di tutti.
Oggi il paese ha ancora una percentuale molto elevata di
morti per aids e gli orfani, a causa di questa piaga, sono
sempre numerosi. Gli aiuti della comunità internazionale e
delle Organizzazioni Non Governative sono molti, anche
troppi se si considerano le modalità in cui vengono propo-
sti. Innumerevoli ONG sono, infatti, di casa a Phnom
Penh; i cooperanti che le rappresentano vivono lì stabil-
mente; i progetti portati avanti sono tanti ed operativi in
ogni settore, ma, come spesso accade in questi casi,
l’obiettivo sembra essere più quello di garantire un lavoro
13. 13
per i numerosi espatriati, che un aiuto costruttivo e duratu-
ro per il paese.
I canali, attraverso cui arriva il denaro, sono continuamen-
te alimentati, ma in pochi casi le ONG locali sono la con-
troparte coinvolta e operativa; è molto più frequente che
alla fine del progetto l’ONG straniera si ritiri e pian piano il
lavoro fino ad allora svolto prosegua male o, addirittura, in
un periodo medio-breve si sgretoli e venga dimenticato. In
questo modo la problematica non risolta potrà diventare
oggetto di un nuovo progetto, di nuovi finanziamenti e di
nuovo lavoro per gli espatriati cooperanti da sistemare.
Purtroppo, questo continua ad essere un problema comu-
ne a tutte le realtà dei paesi poveri dove l’aiuto economico
internazionale è consistente, ma genera meccanismi legati
a grandi interessi e speculazioni: lo si percepisce imme-
diatamente, e io stessa arrivata per la prima volta in Cam-
bogia, nonostante la poca esperienza di allora, me ne ac-
corsi subito.
Il rapporto tra la popolazione vietnamita e quella cambo-
giana è stato sempre difficile. I primi, infatti, hanno sempre
ritenuto i “cugini” cambogiani stupidi.
14. 14
Questi ultimi, per quattro anni, hanno subito ogni sorta di
sopruso, tortura, violenza ed angheria, non da parte di un
nemico esterno, bensì da loro giovani fratelli indottrinati
che, con volto inespressivo, ma cordiale, sono entrati in
Phnom Penh il 17 aprile 1975 per dare inizio, formalmen-
te, ad un periodo di transizione verso la democrazia. In un
solo giorno tutto ciò si è trasformato in una evacuazione
forzata della città al solo scopo di arrivare all’eliminazione
di una intera classe sociale il cui annientamento doveva
portare, all’inizio di una nuova era.
Erano, dunque queste le poche cose che sapevo sulla
Cambogia, prima di metterci piede per la prima volta. Ave-
vo letto libri che parlavano di Pol Pot, libri che raccontava-
no cose orribili, la ripetizione dell’Olocausto trenta anni
dopo, ma in un’altra latitudine dove la foresta e le risaie
avevano sostituito i lager nazisti. Ma, erano pur sempre
solo libri.
Anche della diversità fra cambogiani e vietnamiti avevo
appreso nozioni solo attraverso le letture. La diversità tra
questi due popoli deriva da molto lontano: i vietnamiti
hanno raccolto e assimilato le infiltrazioni cinesi, mentre la
Cambogia ha vissuto il periodo della “Indianizzazione” du-
15. 15
rante la quale elementi della cultura indiana furono assor-
biti o scelti in un processo che è durato un migliaio di anni.
Nessuno sa con precisione quando sia iniziato o come sia
avvennuto nei diversi periodi, tuttavia questo graduale
passaggio ha fatto della Cambogia un paese più simile,
per cultura e tradizioni, all’India che non alla vicina Cina.
Nel diciannovesimo secolo molti contadini cambogiani ve-
stivano ancora abiti riconducibili ai costumi indiani e si
comportavano più come indiani, che non come vietnamiti
o cinesi. Ancora oggi, ad esempio, i cambogiani mangiano
con il cucchiaio e con le dita, non con i bastoncini, e por-
tano i pesi sul capo, non con i bilancieri, tipico invece delle
donne vietnamite; indossano turbanti piuttosto che cappelli
di paglia e le donne preferiscono le gonne ai pantaloni.
Anche i loro strumenti musicali ed i gioielli sono in stile in-
diano.
La loro storia li ha portati ad essere molto pazienti e a sa-
per attendere, a memoria di un tempo in cui non era pos-
sibile fare previsioni future sulla possibilità di uscita
dall’inferno in cui erano piombati.
Quando ho conosciuto Chhiv tutto questo mondo è diven-
tato più facile da comprendere. Ho cominciato a guardare
16. 16
quell’uomo e a chiedermi “chissà come ha fatto”, abbas-
savo gli occhi per paura che la mia domanda fosse stam-
pata sul mio viso, li rialzavo e ancora mi chiedevo “chissà
cosa pensava in quei giorni…” e poi ancora “si sarà mai
chiesto perché? Come ha fatto a venirne fuori?”
Poi un giorno Chhiv mi portò a visitare il “Centro di Tortu-
ra” Tuol Sleng a Phnom Penh. Lì circa 16.000 fra uomini,
donne e bambini furono torturati e uccisi. Tutti nemici di
Angkar.
Di tutto questo abbiamo cominciato a parlare nel tempo,
ma sempre in generale, come se fosse accaduto ad altri e
in un altro luogo.
Stavo imparando anch’io a mettere in pratica la pazienza
orientale e per questo motivo non gli ho mai chiesto nulla,
fino a che non mi è sembrato il momento giusto per farlo,
dopo diversi anni in cui, periodicamente, ci siamo incontra-
ti, e abbiamo iniziato a lavorare insieme. Ma, soprattutto,
abbiamo imparato a stimarci e lui ha capito che la mia non
era curiosità morbosa, ma solo un modo per conoscere
meglio il suo paese, lui e tutti i cambogiani che, nel frat-
tempo, ho imparato ad apprezzare e ad amare.
17. 17
Ogni giorno lo accompagnavo nei suoi spostamenti. In
realtà lui accompagnava me, mi faceva conoscere il suo
paese, la sua miseria e la dignità di quel popolo. Alla fine
di ogni giornata si faceva il programma per il giorno suc-
cessivo ma, al mattino, subito dopo la partenza
dall’albergo, c’era una deviazione o una fermata non pre-
vista. La ragione era sempre e solo una: un bambino a ri-
schio abbandono, un orfano o prossimo tale che gli era
stato segnalato la sera prima, al suo rientro a casa, dopo
avermi lasciata in hotel.
E’ stato così che ho conosciuto Kien.
Aveva 9 anni e da tre mesi aveva perso il padre malato di
aids. La mamma era morta tre anni prima per lo stesso
male. Lui, in seguito, era vissuto con il padre e la sua nuo-
va compagna, che a sua volta aveva già altri 2 figli.
Alla morte del padre, la donna aveva continuato ad occu-
parsene fino al giorno in cui anche a lei venne diagnosti-
cata la stessa malattia ad uno stadio molto avanzato. Da-
vanti alla prospettiva di una morte vicina, la donna aveva
chiesto di venire immediatamente sollevata dalla respon-
sabilità di Kien per poter continuare ad occuparsi dei suoi
due figli fino alla fine.
18. 18
Kien era, quindi, rimasto solo: 9 anni, una vita segnata da
lutti importanti, miseria materiale e morale nel passato,
l’incognita più totale per il futuro.
Quella mattina, la deviazione era per lui.
“Dobbiamo andare a vedere un bambino…”
“Che bambino?”
“Uno che stanno per abbandonare, un orfano”
“Se è orfano chi lo sta per abbandonare? e se qualcuno lo
sta per abbandonare allora perché sarebbe orfano?” Mi
chiedevo tutte queste cose, ma non ero sicura fosse giu-
sto fare queste domande ad alta voce, non volevo sem-
brare troppo curiosa nelle mie richieste quindi continuavo.
“Chi è che lo abbandona e perché?”
“La convivente del padre. Lui è morto da pochi mesi, era
malato di aids, anche lei adesso è malata. Sta per morire.”
Questo è Chhiv, ogni cosa espressa con essenzialità di
parole, spesso difficili a capirsi per l’interlocutore, perché
lui segue sempre un suo pensiero che è già molto avanti,
oltre al presente. Lui va subito alla ricerca di una soluzione
per il futuro, alla ricerca di una soluzione, tra le varie pos-
sibilità, a cui può attingere. Lui risponde sempre alle do-
mande anche se sono ovvie, scontate. Scontate per lui,
19. 19
ma per te che sei lì per la prima volta o comunque nuova
per quella realtà, scontate non lo sono per nulla, anzi tu
hai l’impressione di dire con troppa naturalezza e ovvietà
cose di una gravità enorme.
Abbandonato. Una parola che racchiude un mondo, la
realtà quotidiana di un paese che fatica ad andare avanti,
a trovare la sua normalità. Tutte cose che ho imparato e
capito con il tempo, ma che allora non sapevo ancora.
Durante il percorso dall’hotel al villaggio di Russey Sanh,
dove viveva Kien, Chhiv, con la sua voce bassa e mono-
corde, mi racconta la storia di Kien e conclude “adesso
dobbiamo trovargli una sistemazione; per un pò la donna
potrà ancora badare ai suoi 2 figli, ma poi anche loro sa-
ranno soli…forse hanno una nonna…”.
Arriviamo a destinazione: un villaggio di baracche in legno
e stuoie, alcune costruite su palafitte altre no. Alcune sono
integre, altre sembrano essere state mitragliate tanti sono
i buchi. Qualche buco è ora uno squarcio attraverso cui si
può, tranquillamente, violare la privacy di quelle misere
cose: una stuoia, pochi stracci ammassati qua e là. Si trat-
ta di vestiti, coperte o altri piccoli oggetti.
21. GiveMeAChance
Editoria Online
Storie di Kampuchea
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