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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Biotecnologie
Indirizzo Molecolare
“Metabolismo energetico e Neoplasia”
Relatore:
Prof. Marco VANONI
Tesi di laurea di:
Albanese Michele
Matricola n. 064237
Anno accademico 2008/2009
2
3
INDICE
I. INTRODUZIONE pg. 4
(1) Metabolismo
(2) Cancro
2.1 Genetica del cancro
2.2 Oncogenesi del cancro
2.3 Ciclo cellulare e meccanismi di controllo
2.4 Telomerasi
(3) Metabolismo e cancro
3.1 Ruolo del fattore HIF1 e delle vie di trasmissione del segnale
3.2 P53 e la regolazione dell’attività mitocondriale
3.3 Trasformazione metabolica e apoptosi
3.4 Introduzione agli articoli
3.5 Proteine disaccoppianti mitocondriali
II. MATERIALI E METODI pg. 16
III. RISULTATI pg. 30
(1) Primo articolo
(2) Secondo articolo
IV. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI pg. 49
(1) Effetto Warburg e “disaccoppiamento intermedio”
(2) Conclusioni
V. BIBLIOGRAFIA pg. 54
4
INTRODUZIONE
Metabolismo
Il metabolismo è un attività molecolare altamente coordinata a cui cooperano molti sistemi
multi enzimatici (vie metaboliche) per adempire a quattro funzioni: (1) ottenere energia
chimica dall’ambiente degradando sostanze nutrienti o catturando luce solare; (2) convertire
le molecole delle sostanze nutrienti nelle molecole più semplici caratteristiche della cellula
stessa; (3) polimerizzare precursori monomerici in macromolecole più complesse essenziali
per la cellula (acidi nucleici, proteine e polisaccaridi); (4) sintetizzare molecole necessarie per
funzioni specializzate della cellula (es. membrane lipidiche) e degradare quelle non più
necessarie o di scarto. Il metabolismo, la somma di tutte le trasformazioni chimiche che
avvengono in una cellula o in un organismo, avviene attraverso una serie di reazioni
catalizzate da enzimi che costituiscono le vie metaboliche. Le successioni di tappe, di cui
sono costituite queste vie, hanno lo scopo di convertire molecole di un precursore in prodotti
utili attraverso una serie d’intermedi metabolici chiamati metaboliti.
Le vie metaboliche possono essere essenzialmente divise in due categorie: cataboliche e
anaboliche. Il catabolismo è la fase degradativa del metabolismo, in cui le molecole organiche
dei nutrienti (carboidrati, grassi e proteine) sono convertite in prodotti finali più semplici (es.
CO2, NH3, H2O). Le vie cataboliche rilasciano energia libera, parte della quale è conservata
mediante la produzione di ATP e di trasportatori di elettroni in forma ridotta (NADH e
FADH2). La rimanente energia non conservata nei legami chimici è persa o dissipata sotto
forma di calore. Nell’anabolismo, chiamato anche biosintesi, i precursori semplici sono uniti
tra loro per costruire molecole complesse più grandi come i lipidi, i polisaccaridi, le proteine e
gli acidi nucleici. Le reazioni anaboliche necessitano di un rifornimento di energia, in genere
sotto forma di potenziale di trasferimento del gruppo fosforico dell’ATP e del potere
riducente conservato nella molecola di NADPH, sintetizzata da alcune vie cataboliche
preferenziali come il ciclo dei pentosi. Al fine di evitare un inutile dispendio di energia le vie
cataboliche e anaboliche che operano in direzione opposta (es. glicolisi e gluconeogenesi)
sono strettamente coordinate in modo antitetico. Il controllo può avvenire attraverso la
regolazione di enzimi chiave esclusivi della direzione anabolica o catabolica, e la
segregazione delle reazioni in compartimenti intracellulari diversi. Vie cataboliche e
anaboliche sono collegate da cicli come quello dell’acido gliossilico o dell’acido citrico che
possono funzionare sia per completare la degradazione di piccole molecole derivati dalle vie
cataboliche, sia per rifornire le vie anaboliche dei necessari precursori. Cicli di questo tipo
sono chiamati anfibolici.
Pur passando attraverso differenti vie la degradazione dei carboidrati, dei lipidi e delle
proteine converge in un comune percorso metabolico. La glicolisi è la via centrale per il
catabolismo del glucosio. L’equazione complessiva delle reazioni di glicolisi è: Glucosio + 2
NAD+
+ 2 ADP + 2 Pi → 2 Piruvato + 2 NADH + 2 H+
+ 2 ATP + 2 H2O. Oltre ad ottenere
una quantità limitata di energia, la glicolisi è una buona fonte d’intermedi per le vie
biosintetiche (es. amminoacidi). Il prodotto finale, due molecole di Piruvato per molecola di
glucosio, mantiene la maggior parte dell’energia di partenza del glucosio che potrà venir
ricavata, in condizioni aerobie, dalle più efficaci reazioni di ossidoriduzione del ciclo
dell’acido citrico e dalla fosforilazione ossidativa.
Una via catabolica alternativa che utilizza il glucosio (fosforilato) è rappresentata dal ciclo
dei pentosi. Questo pathway oltre a costituire un ramo alternativo alle prime reazioni della
glicolisi, rifornisce d’importanti precursori le vie anaboliche degli acidi nucleici e produce
potere riducente sotto forma di NADPH (fondamentale nella biosintesi degli acidi grassi).
5
L’acetil-CoA è il prodotto finale in cui convergono le principali vie cataboliche (β-
ossidazione degli acidi grassi, glicolisi, ossidazione degli amminoacidi). Questo composto è la
principale fonte che alimenta il ciclo dell’acido citrico. Le funzioni principali del ciclo
dell’acido citrico sono rifornire la catena respiratoria di combustibile per sintetizzare ATP
(sotto forma di potere riducente, NADH e FADH2) e costituire una sorta di serbatoio di
compensazione cui affluiscono e da cui attingono quasi tutte le principali vie metaboliche
(biosintetiche e degradative). Essendo il cuore dell’intero metabolismo intermedio, in
condizioni normali l’equilibrio dinamico tra le reazioni che rimuovono intermedi dal ciclo e
quelle che invece lo riforniscono è accuratamente preservato. Se, in situazioni particolari, al
ciclo dell’acido citrico fossero sottratti una quantità notevole d’intermedi per essere utilizzati
come precursori in altre vie, l’equilibrio sarebbe rapidamente ripristinato mediante reazioni
anaplerotiche (es. piruvato carbossilasi). Queste reazioni sono regolate in modo da mantenere
la velocità del ciclo compatibile con le necessità della cellula.
Nella fase finale del metabolismo aerobico i trasportatori di elettroni (NADH e FADH2)
sono a loro volta ossidati liberando protoni ed elettroni. Il trasferimento elettronico lungo la
catena respiratoria mitocondriale termina con l’ossigeno come accettore finale, che si riduce
formando acqua. L’elevata energia rilasciata durante il processo è accoppiata al trasporto di
protoni attraverso la membrana interna mitocondriale (impermeabile alle specie cariche). La
differenza di concentrazione protonica che si viene a creare a cavallo della membrana
(potenziale elettrochimico) è convertita in ATP mediante un processo chiamato fosforilazione
ossidativa, catalizzata dal complesso proteico ATP sintasi. In condizioni aerobie la maggior
parte del fabbisogno energetico della cellula è fornito da queste reazioni. Per ulteriori
approfondimenti sul metabolismo consultare i “Principi di biochimica” di Lehninger, 2006
quarta edizione.
Cancro
Il cancro si avvia a diventare la prima causa di morte in tutto il mondo, superando nella
drammatica classifica le patologie cardiache. I morti di tumore sono fermi oggi a sette milioni
l’anno, cifra che si reputa crescerà dell'1% ogni anno. Il cancro è dovuto a fallimento dei
meccanismi che normalmente controllano la crescita e la proliferazione cellulare. Durante il
normale sviluppo e per tutto la vita adulta, intricati sistemi di controllo regolano il bilancio tra
morte e proliferazione in risposta a segnali che inducono la crescita, segnali che la inibiscono
e segnali stimolano la morte programmata. Normalmente le cellule della maggior parte dei
tessuti adulti non proliferano, incrementando il loro numero, eccetto che durante i processi di
rigenerazione. Il cancro si sviluppa quando i meccanismi che mantengono costante il rapporto
tra crescita e morte cellulare per qualche motivo non funzionano causando un eccesso di
divisione cellulare. La perdita della regolazione cellulare, causa prima della maggior parte se
non di tutti i casi di cancro, è dovuta al danneggiamento genetico. Alterazioni del genoma
sono spesso associate al contatto con agenti chimici cancerogeni, radiazioni ultraviolette,
ormoni, e a volte virus.
Genetica del cancro
Mutazioni in due grandi classi di geni sono state implicate nella genesi del cancro: proto-
oncogeni e geni soppressori dei tumori. I proto-oncogeni normalmente promuovono la
crescita cellulare; mutazioni in siti particolari li trasformano in oncogeni i quali sostengono
continuamente la crescita cellulare. In particolare tra gli oncogeni vi possono essere geni
codificanti fattori di crescita, recettori per fattori di crescita, trasduttori del pathway del
segnale intracellulare (es. proteine del pathway di ras) e fattori di trascrizione nucleari (es. c-
jun, c-fos, c-myc). Sia l’incremento dell’espressione genica che la sintesi di una versione
anomala iperattiva possono trasformare i proto-oncogeni in oncogeni.
6
Le mutazioni che conferiscono al proto-oncogene un’iperattività possono essere suddivise
in cinque categorie. (1) Mutazioni puntiformi (sostituzioni di paia di basi) nella regione
codificante del proto-oncogene o nelle sue regioni di controllo (es. promotore) possono
generare un oncogene. (2) Delezioni di una parte della regione di codificante o delle sequenze
di controllo del proto-oncogene provocano la perdita di regolazione, inducendo un aumento
della quantità o dell’attività della proteina codificata. (3) Una traslocazione cromosomica
fonde due geni insieme creando un prodotto ibrido che codifica per una proteina chimerica
attiva in modo costitutivo. (4) Una traslocazione cromosomica trasporta un gene regolatore
della crescita sotto il controllo di un differente promotore, il quale promuove un’espressione
inappropriata. (5) L’amplificazione di un segmento di DNA (dovuta probabilmente
all’eccessiva replicazione casuale), che comprende anche il proto-oncogene, conduce a una
sovrapproduzione della proteina codificata. La mutazione di una sola copia di un oncogene è
sufficiente a conferire vantaggio proliferativo (effetto dominante).
I geni soppressori di tumori hanno un ruolo di contenimento della crescita, perciò
mutazioni che li inattivano danno via libera divisioni cellulari incontrollate. Al contrario degli
oncogeni una singola mutazione non è sufficiente allo sviluppo del tumore, ed è necessaria
una seconda alterazione a carico dell’altro allele (effetto recessivo).
Una terza, più specializzata, classe di geni, costituita dai geni gatekeeper e caretaker, è
spesso collegata al cancro. I geni caretaker normalmente sono coinvolti nel mantenimento
dell’integrità del genoma (es. BRCA1, MMR). Quando per qualche motivo sono inattivati, le
cellule acquisiscono un maggior rischio di subire mutazioni, le quali possono danneggiare i
sistemi di controllo della crescita conducendo al cancro. I geni gatekeeper sono i regolatori
del ciclo cellulare e della proliferazione (es. proteina del retinoblastoma [Rb] e p53). I geni
gatekeeper e caretaker, come gli oncosoppressori, normalmente devono subire alterazioni non
funzionali a carico di entrambi gli alleli per contribuire all’iniziazione di un tumore (p53 fa
eccezione). Molti dei geni di queste tre classi codificano per proteine che regolano o assistono
il ciclo cellulare o la morte programmata per apoptosi. Numerose cellule tumorali sono state
trovate mancanti di uno o più sistemi funzionali di riparazione del DNA, fornendo una
spiegazione al grande numero di mutazioni che possono accumulare. Sebbene gli enzimi di
riparazione del DNA non possano direttamente inibire la crescita, le cellule che hanno perso
l’abilità di riparare gli errori (sia puntiformi, sia interruzioni al singolo o al doppio filamento
di DNA) accumulano mutazioni in molti geni, inclusi quelli critici per la regolazione del ciclo
cellulare e la proliferazione. Pertanto mutazioni che causano la perdita di funzionalità dei geni
caretaker (es. enzimi riparatori del DNA) impediscono alle cellule di correggere eventuali
mutazioni che inattivano i geni soppressori dei tumori o che attivano oncogeni.
Oncogenesi del cancro
Le mutazioni oncogeniche colpiscono soprattutto linee somatiche e non quelle germinali.
La presenza di alterazioni oncogeniche trasmesse dalla linea germinale può incrementare la
probabilità che si sviluppi prima o poi un cancro. Comunque, perché ciò avvenga, è
necessario che una mutazione somatica si combini con quella ereditaria. Per queste ragioni il
processo che porta alla formazione di tumori, chiamato oncogenesi, è il risultato di un
complesso intergioco tra fattori genetici e ambientali. E’ molto raro che la mutazione in un
singolo gene possa scatenare la genesi del cancro. Più frequentemente è necessaria una serie
di mutazioni in diversi geni per creare un tipo di cellula in grado di proliferare via a via più
rapidamente e di scappare dalle restrizioni della crescita. In questo modo i cloni anomali
acquisiscono un’opportunità di accumulare mutazioni aggiuntive, che possono conferire altri
vantaggi come l’abilità di staccarsi dalla membrana basale e di stimolare la formazione di
nuovi vasi sanguigni, necessari per un adeguato sostentamento.
7
Continuando a crescere e a espandersi nei tessuti circostanti i cloni anomali possono
evolversi in tumori. In alcuni casi le cellule di un tumore primario possono migrare attraverso
la circolazione sanguigna o la linfa verso nuovi siti, dove possono formare tumori secondari.
Questo processo prende il nome di metastasi ed è la causa principale di morte del cancro. La
metastasi è un complesso processo con molti passaggi. L’invasione di nuovi tessuti non è
casuale, e dipende dalla natura sia delle cellule metastatiche sia del tessuto invaso. La
metastasi è facilitata se le cellule tumorali producono da se fattori di crescita e di sostegno
all’angiogenesi (induttori della crescita di nuovi vasi sanguigni). Queste cellule mobili e
invasive sono molto pericolose. Tessuti sotto attacco, come un osso, un vaso sanguigno, il
fegato, sono più vulnerabili se sono in grado di produrre fattori di crescita e, in particolar
modo, di stimolare nuova vascolarizzazione, aiutando, di fatto, gli invasori. Al contrario,
possono essere più resistenti se sintetizzano (1) fattori anti-proliferativi che limitano la
divisione delle cellule tumorali, (2) inibitori degli enzimi proteolitici, i quali bloccano le
proteasi delle cellule tumorali usate per penetrare nei tessuti, e (3) fattori anti-angiogenesi che
impediscono alle cellule tumorali di stimolare la nuova crescita di vasi.
Il tempo gioca un importante ruolo nel cancro. Possono essere necessari molti anni per
accumulare multiple mutazioni che sono richieste per formare un tumore, e per questo motivo
la maggior parte di essi si sviluppa in tarda età. La necessità di accumulare mutazioni multiple
abbassa, inoltre, la frequenza di comparsa di un cancro. Ciò nonostante, un enorme numero di
cellule sono, in sostanza, mutagenizzate e testate per la propria capacità alterata di crescita
durante tutta la vita dell’organismo. Un potente processo di selezione favorisce la formazione
di queste cellule. Più le cellule alterate proliferano velocemente e diventano abbondanti,
subendo ulteriori cambiamenti genetici, più esse costituiranno una seria minaccia per
l’organismo. Per di più, il cancro si sviluppa con alta frequenza solo dopo l’età riproduttiva, e
perciò gioca un ruolo minore nel successo riproduttivo. Per tali ragioni il cancro è considerato
un evento comune, in parte riflettendo l’incremento della speranza di vita umana, e in parte
riflettendo la mancanza di selezione evolutiva contro questa malattia.
Nonostante si generino con alta frequenza, soprattutto negli individui anziani, non tutti i
tumori costituiscono un rischio per il loro ospite. Questi tipi tumore sono chiamati benigni e
sono spesso ben localizzati e di dimensioni ridotte. Le cellule che compongono un tumore
benigno assomigliano moltissimo alle cellule normali, anche dal punto di vista funzionale. Le
molecole di adesione cellulare, che hanno la funzione di tenere unito il tessuto, sono in grado
di mantenere localizzate le cellule tumorali sul tessuto in cui si sono originate. I tumori
benigni possono diventare un serio problema medico solo se le loro dimensioni interferiscono
con le normali funzioni o se quest’ultime secergono un grande eccesso di sostanze
biologicamente attive come gli ormoni. Al contrario, le cellule che fanno parte di un tumore
maligno, crescono e si dividono più rapidamente delle controparti normali, esibendo tassi di
mortalità inferiori. La principale caratteristica che differenzia i tumori maligni da quelli
benigni è l’abilità di invadere i tessuti vicini con possibilità di espandersi anche in siti distanti.
Ciò è in parte dovuto a importanti cambiamenti nell’espressione di proteine della superficie
cellulare, alla capacità di attivare proteasi extracellulari, e a drastiche alterazioni interne del
citoscheletro.
Sembra che anche il microambiente in cui proliferano le prime cellule tumorali sia un
fattore molto importante per lo sviluppo di un tumore. Si è osservato che il cancro colpisce
con frequenza siti danneggiati o che hanno subito un’infezione. Le cellule del sistema
immunitario, dopo esser migrate al sito lesionato, stimolano l’infiammazione, e producono
fattori di crescita per rigenerare i tessuti. Tutte questi eventi possono contribuire a rafforzare
lo sviluppo del tumore.
8
L’ipossia è un'altra condizione che può favorire lo sviluppo di un tumore. Il fattore
trascrizionale indotto da ipossia (HIF1) è attivato da basse concentrazioni di ossigeno che
spesso occorrono nelle parti più interne della massa tumorale in crescita. HIF1 a sua volta
induce la trascrizione di vari geni, tra i quali fattori di crescita endoteliali (VEGF) che
favoriscono i processi di angiogenesi necessari per rifornire adeguatamente il tumore.
Ciclo cellulare e meccanismi di controllo
Il principale bersaglio delle mutazioni oncogeniche è senza dubbio il complesso meccanismo
di regolazione del ciclo cellulare. Proteine regolatrici positive e negative controllano con
precisione l’ingresso e la progressione delle cellule nel ciclo cellulare. Nella maggior parte
degli eucarioti il ciclo cellulare è suddiviso in quattro fasi: la fase di intervallo 1 (gap 1 o G1),
la fase di sintesi (S), la fase di intervallo 2 (gap 2 o G2) e la mitosi (M). Il sistema regolatorio
assicura un appropriato coordinamento della crescita cellulare durante la fase G1 e G2, della
replicazione del DNA durante la fase S e della segregazione cromosomica e citochinesi
durante la mitosi. Inoltre le cellule che hanno subito un danno al DNA normalmente sono
arrestate prima della fase di sintesi (in G1) o della segregazione dei cromosomi (in G2). Altre
proteine regolatrici controllano l’andamento delle fasi di mitosi e segregazione dei
cromosomi. Ad esempio il meccanismo che assiste il corretto assemblaggio del fuso mitotico
previene dall’entrata in anafase finché tutti i cromosomi replicati sono attaccati correttamente
all’apparato mitotico della metafase. L’aneuploidia è un’anomalia caratteristica di quasi tutti i
tumori dovuta alla presenza di un numero aberrante di cromosomi, generalmente causata dalla
mancanza di un controllo efficace in fase M. Tutti questi sistemi complessi, sensibili anche a
difetti nel macchinario di controllo del ciclo stesso, sono chiamati checkpoint. L’arresto
consente la riparazione del danno o, se ciò non è possibile, la distruzione della cellula.
L’intero sistema di controllo del ciclo cellulare evita la possibilità che cellule danneggiate si
dividano in un modo non programmato, diventando cancerogene.
Mutazioni che determinano la perdita della funzione del gene soppressore p53 sono
frequenti in più del 50% dei tumori umani. La forma attiva di p53 è un tetramero costituito da
quattro identiche subunità. Una mutazione missenso in uno dei due alleli di p53 può abrogare
la maggior parte dell’attività di p53 poiché tutti gli oligomeri conterranno virtualmente
almeno una subunità alterata. Le mutazioni oncogeniche di p53 agiscono pertanto come
dominanti negativi. Cellule con p53 non alterato vanno incontro ad arresto in fase G1 quando
esposte a danneggiamento del DNA in seguito a trattamenti con UV. A differenza delle altre
proteine del ciclo, p53 è espresso a livelli molto bassi nelle cellule normali poiché è
estremamente instabile e rapidamente degradato. Situazioni di stress, come esposizione a
ultravioletti o raggi γ, shock termici e basse concentrazioni di ossigeno, possono accrescere i
livelli di p53. Il danneggiamento del DNA è in grado di attivare le proteine ATM o ATR
attraverso dei meccanismi ancora da approfondire. Questi complessi proteici sono delle serin-
chinasi in grado di fosforilare, e quindi stabilizzare, p53 favorendo l’aumento della sua
concentrazione. P53 stabilizzato attiva la trascrizione del gene codificante p21CIP
, il quale a
sua volta lega e inibisce il complesso ciclina-CDK della fase G1 dei mammiferi. Come
risultato, le cellule con DNA danneggiato si arrestano in G1, permettendo la riparazione del
filamento da parte di appositi enzimi o, nel caso ciò non sia possibile, bloccando in modo
permanente la cellula. Oltre a svolgere questo ruolo durante la transizione G1→S, p53 può
indurre la trascrizione di p21CIP
anche in fase G2, inibendo la proteina CDK1 che è un
elemento essenziale del complesso ciclina B-CDK1 richiesto per l’entrata in mitosi. Pertanto
se il DNA si fosse danneggiato dopo la sua replicazione, p53 potrebbe arrestare il ciclo in G2
prevenendo la trasmissione dell’alterazione alle cellule figlie.
L’importante ruolo di p53 non si limita all’induzione dell’arresto del ciclo cellulare.
Questo multifunzionale soppressore dei tumori stimola la produzione di proteine apoptotiche
9
e di enzimi riparatori del DNA. La senescenza e l’apoptosi potrebbero essere, infatti, i più
importanti strumenti attraverso cui p53 previene la crescita tumorale.
Telomerasi
La telomerasi sembra sostenere in modo decisivo l’immortalità delle cellule tumorali, pur non
appartenendo alle principali classi di geni implicate nella genesi del cancro (oncogeni, geni
soppressori dei tumori, gatekeeper e caretaker). Alle estremità dei cromosomi lineari sono
presenti delle brevi sequenze ripetute chiamate telomeri. La telomerasi, una trascrittasi inversa
contenente un RNA come templato, è in grado di mantenere sufficientemente lunghe le
sequenze dei telomeri, ponendo rimedio all’incapacità della DNA polimerasi di replicare
completamente le estremità di una molecola di DNA a doppio filamento. Cellule della linea
germinale e staminali producono telomerasi, mentre la maggior parte delle cellule somatiche
umane possiede solo un basso livello dell’enzima, espresso all’entrata della fase S. Ciò
determina un accorciamento progressivo della lunghezza dei telomeri per ogni ciclo cellulare,
limitando la capacità proliferativa della cellula. La completa perdita dei telomeri può causare
fusione delle due estremità cromosomiche portando a morte cellulare. Pertanto
l’accorciamento eccessivo dei telomeri è riconosciuto dalla cellula come un particolare tipo di
danno al DNA, con seguente stabilizzazione e attivazione della proteina p53 e induzione del
pathway apoptotico. Le cellule tumorali spesso presentano sequenze telomeriche
particolarmente lunghe e alti livelli di telomerasi, conferendo un potenziale replicativo
illimitato e favorendo una generale instabilità genomica. Per ulteriori approfondimenti sul
cancro consultare il “Molecular cell biology” di Lodish Harvey, 2008 sesta edizione.
Metabolismo e Cancro
Ai giorni nostri si ritiene siano sei le alterazioni fondamentali nella fisiologia della cellula che
collettivamente potrebbero dettare la trasformazione maligna: (1) autosufficienza ai segnali di
crescita, (2) insensitività ai segnali inibitori della crescita, (3) potenziale replicativo illimitato,
(4) costante stimolazione dell’angiogenesi, (5) metastasi e invasione dei tessuti, e (6) evasione
dalla morte cellulare programmata [1]. In aggiunta, c’è un crescente gruppo di prove che
affermano che un'altra peculiarità precoce delle cellule tumorali sia l’alta induzione del
metabolismo glicolitico.
Otto Warburg fu senza dubbio uno dei più brillanti scienziati che contribuì a gettare luce
sul metabolismo tumorale. Nel 1926, sfruttando le nuove tecniche di monitoraggio dei gas in
tessuti isolati e misurando contemporaneamente il consumo di ossigeno e la produzione di
lattato in cellule tumorali, Warburg osservò che in presenza di ossigeno le cellule tumorali in
rapida crescita consumavano glucosio a una velocità sorprendentemente alta se confrontate
alle controparti normali. Inoltre la maggior parte del carbonio derivato dal glucosio era secreta
sotto forma di lattato. Warburg affermò che questo fenomeno, chiamato “glicolisi aerobia” (o
“effetto Warburg” dal nome del suo scopritore), fosse provocato da un danneggiamento
mitocondriale e che potesse essere considerato la causa prima della trasformazione delle
cellule tumorali [2]. L’ipotesi di Warburg influenzò profondamente la percezione odierna del
metabolismo del cancro, attirando l’attenzione dell’oncologia clinica sulla glicolisi aerobia.
Mentre alcune di queste idee resistono al trascorrere del tempo, non di rado hanno generato
equivoci riguardo ai meccanismi biochimici che stanno alle basi della trasformazione
tumorale. Infatti, la prima incontestabile prova di causalità tra disfunzioni mitocondriali e
genesi dei tumori è stata scoperta solamente meno di una decade fa. Mutazioni nella succinato
deidrogenasi (SDH) o nella fumarato idrolasi (FH), entrambi enzimi del ciclo di Krebs, sono
state scoperte essere l’evento scatenante del paraganglioma familiare o del leiomoma, e del
cancro alle papille renali, rispettivamente [3] [4]. Pertanto, ad eccezione di poche conosciute
forme di cancro, l’alterazione dell’attività mitocondriale, osservata in molti tumori, potrebbe
10
essere la conseguenza di un complesso cambiamento metabolico piuttosto che l’origine della
trasformazione maligna.
L’assunzione di un fenotipo altamente proliferativo, garantisce alla cellula trasformata di
duplicare velocemente il genoma, sintetizzare proteine e lipidi, e assemblare tutti questi
componenti per formare una nuova cellula figlia. Queste attività richiedono l’assorbimento di
nutrienti extracellulari e la loro ardua e rigorosa conversione in precursori biosintetici
piuttosto del processamento in cataboliti. Le cellule tumorali possono conseguire la
trasformazione metabolica attraverso cambiamenti nell’espressione e nell’attività degli enzimi
che determinano la velocità dei flussi metabolici, inclusi quelli preposti all’assunzione e
all’utilizzo dei nutrienti. Le ricerche degli ultimi anni si sono focalizzate su quest’aspetto
della tumorigenesi, rivelando attività metaboliche in diversi tipi di tumori e provando che
mutazioni oncogeniche sono in grado di promuovere un’autonomia metabolica elevando
l’assorbimento dei nutrienti a livelli che possono perfino eccedere quelli richiesti per la
crescita e la proliferazione cellulare [5]. L’aspetto più immediato e studiato della
trasformazione metabolica è la dipendenza dal glucosio come fonte d’intermedi carboniosi per
i pathway anabolici e per la sintesi dell’ATP (Fig. 1). La maggior parte dei processi anabolici
richiesti per accelerare la velocità di crescita è compiuta dall’elevata glicolisi, assistita dal
rifornimento d’intermedi del ciclo di Krebs (mediate vie anaplerotiche) [5] [6] (Fig. 1)
Figura 1. Pathway catabolici e anabolici nelle cellule normali e tumorali. La colorazione indica: rosso, glicolisi;
bianco, ciclo di Krebs; rosa, biosintesi degli a.a. non essenziali; arancio, ciclo del pentosio fosfato e biosintesi dei
nucleotidi; verde, biosintesi degli ac. Grassi e dei lipidi; blu, ossidazione del piruvato nel mitocondrio; marrone
glutamminolisi; nero, reazione anaplerotica dell’enzima malico. Le frecce indicano: intere, una reazione a singolo
passaggio; a puntini, reazioni a passaggi multipli; a tratteggio, trasporto attraverso una membrana. Abbreviazioni:
HK, esochinasi; AcCoA, acetil Co-enzima A; OAA, ossalacetato; αKG, α-chetoglutarato (Eyal Gottlieb, [7]).
11
Allo scopo di generare ribosio 5-fosfato per la biosintesi dei nucleotidi, le cellule deviano il
glucosio dalla glicolisi al ramo ossidativo e non-ossidativo della via del pentosio fosfato [8].
Le cellule tumorali esprimono alti livelli degli enzimi lipogenici ATP-citrato liasi, acetil-CoA
carbossilasi e acido grasso sintasi a causa dell’elevata necessità di una sintesi de novo di lipidi
[9] [10]. In particolare, il citrato derivato dal ciclo di Krebs è l’unica risorsa di acetil-CoA
citosolico necessario per la biosintesi dei lipidi (Fig. 1). La notevole produzione di proteine
coinvolge la sintesi de novo di amminoacidi non essenziali. Sia il glucosio sia la glutammina,
ampiamente consumati dalle cellule tumorali, costituiscono i precursori precoci degli
amminoacidi non essenziali (Fig. 1). Due intermedi glicolitici, il 3-fosfoglicerato e il piruvato,
sono direttamente necessari per la biosintesi della serina e dell’alanina (la serina può esser
nuovamente metabolizzata in glicina o cisteina). Inoltre, gli intermedi del ciclo di Krebs sono
usati per sintetizzare aspartato, asparagina, glutammato, prolina, arginina e glutammina (Fig.
1). Le vie anaplerotiche riescono ad alimentare le funzioni del ciclo di Krebs, impegnato a
sostenere la biosintesi degli amminoacidi non essenziali e degli acidi grassi. Ciò avviene
attraverso sia la conversione del piruvato in ossalacetato, per opera della piruvato carbossilasi,
sia scomponendo la glutammina in α-chetoglutarato (glutamminolisi) (Fig. 1). Quest’ultimo
processo è predominante nelle cellule tumorali [11] [12] [13] facendo diventare la
glutammina oltre che un amminoacido essenziale anche la fonte principale di metaboliti
anabolici per il ciclo di Krebs. E’ importante sottolineare che la stretta connessione tra il
metabolismo cellulare, la bioenergetica dei mitocondri, e la genesi dei tumori era stata
immaginata più di settant’anni fa da Otto Warburg. Il biochimico si era comunque focalizzato
più sul ramo bioenergetico del fenomeno della trasformazione metabolica. Lui propose che
difetti nella fosforilazione ossidativa mitocondriale causassero l’incremento del flusso
glicolitico essendo l’unica alternativa per la produzione di ATP. Ai giorni nostri l’attenzione
della ricerca sulla trasformazione metabolica si è spostata più ai processi anabolici [14].
Rimane comunque una discrepanza irrisolta tra le osservazioni originali di Warburg e la
trasformazione anabolica per com’è interpretata oggi: il fatto che le cellule tumorali
producano e secretino una grande quantità di lattato, derivata sia dal glucosio come Warburg
sosteneva sia in parte della glutammina come proposto recentemente, costituisce una perdita
di atomi di carbonio che non potrebbero più essere utilizzati per l’anabolismo. Pertanto, se
d’altra parte ci si aspetta che tumori in rapida crescita assimilino e processino il carbonio ad
alti livelli per sostenere l’anabolismo, l’elevata velocità di produzione del lattato rimane
controversa. Il vantaggio adattativo che le cellule tumorali acquisiscono rispetto alle
controparti normali nel sopravvivere in un ambiente acido (dovuto agli effetti del lattato) non
è una spiegazione soddisfacente all’ingente quantità di lattato prodotta dal metabolismo.
Perciò è più che lecito ipotizzare che anche quest’aspetto della trasformazione possa essere
imputabile a cause bioenergetiche non ancora del tutto comprese.
Recentemente, il cresciuto interesse sul metabolismo tumorale ha avuto delle importanti
applicazioni cliniche. La tomografia a emissione di positroni (PET) è una tecnica di medicina
nucleare e diagnostica medica in grado di produrre immagini tridimensionali o mappe dei
processi funzionali all’interno del corpo. Questa metodica è utilizzata estensivamente in
oncologia clinica per seguire i processi espansivi del tumore. Sfruttando la traccia di un
analogo del glucosio, il 18-fluorodeossiglucosio (FDG) la tomografia di emissione di
positroni è in grado di ottenere immagini della maggior parte dei tumori umani primari e delle
metastasi, in quanto presentano un significativo incremento dell’assunzione di glucosio. Lo
sviluppo di questa tecnica costituisce una chiara conferma delle ipotesi di Warburg [15] [16].
Nonostante la tesi del danneggiamento mitocondriale sia molto controversa, un crescente
numero di evidenze sulla trasformazione metabolica suggerisce che le funzioni mitocondriali
possano comunque essere alterate come effetto di diversi fattori, come bassi livelli di
ossigeno, cambiamento dei flussi metabolici, o rimodellamento dell’espressione genica.
12
Ruolo del fattore 1 inducibile da ipossia e delle vie di trasmissione del segnale
Una delle principali caratteristiche delle cellule tumorali è la loro velocità proliferativa. I
tumori diventano facilmente ipossici a causa della rapida crescita poiché il tessuto vascolare
non è capace di rifornire di una quantità adeguata di ossigeno. Solitamente le condizioni
d’ipossia sono letali per le cellule normali. Al contrario, le cellule tumorali possono evadere
con successo la morte indotta da ipossia mediante l’abbassamento dell’espressione o la
mutazione di p53 [17]. Le cellule tumorali sovrastimolano il pathway glicolitico come
conseguenza dell’incapacità dei mitocondri di provvedere a sufficienza alle necessità di ATP
per la sopravvivenza cellulare in condizioni di ipossia. Questo succede attraverso l’induzione
del fattore inducibile dall’ipossia 1 (HIF1) [18]. HIF1 stimola i passaggi chiave della glicolisi,
e inoltre regola i geni che controllano l’angiogenesi, la sopravvivenza cellulare e l’invasione.
Ciò nonostante, bisogna segnalare che, in alcuni tumori, alti livelli del fattore 1 inducibile da
ipossia sono stati osservati anche in condizioni di normale concentrazione di ossigeno. Questo
indica che, oltre all’ipossia, altre molecole (es. ormoni e fattori di crescita) potrebbero causare
la stabilizzazione dell’espressione di HIF1 [19].
La stimolazione della glicolisi può anche essere dovuta all’attivazione della fosfoinositide
3 chinasi (PI3K) e del suo bersaglio a valle, Akt (o proteina chinasi B), i quali sono coinvolti
in un pathway di trasmissione del segnale di sopravvivenza ricevuto da vari recettori di
superficie. L’attivazione di Akt, frequentemente osservata nelle cellule tumorali [20], porta a
un incremento delle dimensioni della cellula, stimola il pathway glicolitico e il metabolismo,
e favorisce la sopravvivenza della cellula [21]. Diversi passaggi della glicolisi sono stati
scoperti essere regolati dalla proteina chinasi B mediante un meccanismo post-trascrizionale.
In assenza di fattori estrinseci, anche la localizzazione dei trasportatori del glucosio sulla
superficie cellulare e il mantenimento delle funzioni della esochinasi erano regolati
negativamente dalla proteina chinasi B.
I mitocondri stessi sono in grado di stimolare la stabilizzazione del fattore 1 indotto da
ipossia. Quando nelle cellule tumorali la respirazione mitocondriale è regolata negativamente,
l’accumulo di substrati del ciclo di Krebs potrebbe servire come segnale di stimolo della
glicolisi [22]. Il succinato è stato dimostrato inibire la prolin idrolasi di HIF1-α nel citosol,
causando la stabilizzazione e l’attivazione del fattore 1α indotto da ipossia. L’inibizione della
succinato deidrogenasi può portare all’accumulo del succinato nei mitocondri. Mutazioni di
quest’enzima sono state coinvolte nella predisposizione di alcuni tumori benigni, quindi la
succinato deidrogenasi dovrebbe essere considerata a tutti gli effetti un soppressore dei tumori
[3]. Un meccanismo di stabilizzazione simile è stato notato anche per il lattato e il piruvato
[24]. Le disfunzioni mitocondriali possono condurre all’attivazione di Akt. Alterazioni nella
respirazione mitocondriale provocano l’innalzamento dei livelli di NADH, il quale di
conseguenza può inattivare PTEN (fosfatasi e omologa della tensina) attraverso un
meccanismo mediato da ossidoriduzione [25]. La fosfatasi omologa della tensina è un
regolatore negativo lipidico delle funzioni di PI3K, in grado di arrestare la trasmissione del
segnale passante attraverso Akt.
Le funzioni del fattore 1 inducibile da ipossia non si limitano alla stimolazione degli
enzimi che favoriscono l’utilizzo del glucosio. Alcune recenti scoperte hanno dimostrato che
HIF1 è in grado di sopprimere le attività mitocondriali delle cellule tumorali. Ciò potrebbe
suggerire un suo ruolo come modulatore delle relazioni tra glicolisi e fosforilazione
ossidativa. Lo spostamento tra glicolisi e fosforilazione ossidativa è controllato dalle connesse
attività di due enzimi, la piruvato deidrogenasi (PHD) e la lattato deidrogenasi (LDH).
L’attività della piruvato deidrogenasi è a sua volta regolato dalla piruvato deidrogenasi
chinasi (PDK). In alcuni tumori la piruvato deidrogenasi chinasi si è scoperta essere indotta
dal fattore 1 inducibile da ipossia, inattivando PDH e di conseguenza sopprimendo il ciclo di
Krebs e la respirazione mitocondriale [26]. La soppressione dell’ossidazione del piruvato
13
potrebbe proteggere le cellule dall’eccessiva produzione di specie reattive dell’ossigeno, con
effetti citotossici [27]. Inoltre, anche l’espressione del gene codificante la lattato deidrogenasi
A si è dimostrata essere stimolata dal fattore 1 inducibile da ipossia [28]. Questo meccanismo
potrebbe ulteriormente diminuire l’utilizzo del piruvato dai mitocondri, sopprimendo la
respirazione mitocondriale.
P53 e la regolazione dell’attività mitocondriale
Recenti osservazioni hanno rivelato che p53, oltre ad avere un ruolo centrale nella regolazione
della risposta cellulare in situazioni di stress, può modulare il bilancio tra pathway glicolitici e
la fosforilazione ossidativa mitocondriale [29]. Il gene codificante la sintasi 2 della citocromo
c ossidasi (SCO2) è l’elemento chiave in questa regolazione. Esso è richiesto, insieme alla
proteina sintasi 1 della citocromo c ossidasi (SCO1), per il corretto assemblaggio della
citocromo c ossidasi. L’analisi dei potenziali bersagli di p53 ha dimostrato che la trascrizione
di SCO2, e non quella di SCO1, è incrementata di oltre nove volte dall’azione di p53. Perciò
mutazioni di p53 possono causare nei tumori un indebolimento della respirazione
mitocondriale come risultato della mancanza di citocromo c ossidasi (COX) e di conseguenza
spostare il metabolismo energetico verso la glicolisi. L’inibizione della glicolisi, dovuta alla
mancanza di glucosio, è un segnale per la fosforilazione e attivazione di p53 [30]. Perciò, in
condizioni di leggero o modesto stress cellulare, come quelle causate dalla deprivazione di
glucosio, l’attivazione di p53 potrebbe incrementare l’espressione di SCO2 e di conseguenza
stimolare la respirazione mitocondriale e la produzione di ATP. TIGAR (TP53 [Tumor
protein 53]-induced glycolisis and apoptosis regulator) è un altro bersaglio, recentemente
scoperto, di p53. L’espressione di questa proteina abbassa i livelli intracellulari di fruttosio-
2,6-bifosfato, provocando l’inibizione della glicolisi [31].
Trasformazione metabolica e apoptosi
La resistenza all’apoptosi acquisita dalle cellule tumorali è una delle conseguenze più
importanti della sovrastimolazione della glicolisi. Tra i due maggiori pathway apoptotici
conosciuti quello intrinseco coinvolge l’incremento della permeabilità della membrana
mitocondriale, cui segue il rilascio del citocromo c e di altri fattori pro-apoptotici segregati
all’interno del mitocondrio. I meccanismi che provocano l’alterazione della permeabilità della
membrana mitocondriale sono diversi e possono coinvolgere sia solo la membrana esterna del
mitocondrio (OMM) sia entrambe le membrane, con seguente rottura osmotica dell’organello.
Una volta nel citosol, il citocromo c interagisce con la sua molecola adattatrice Apaf-1 (fattore
1 attivante le proteasi apoptotiche), reclutando e attivando la pro-caspasi 9. La caspasi 9 a sua
volta taglia e attiva la pro-caspasi 3 e pro-caspasi 7. Queste caspasi effettrici sono responsabili
della degradazione di una grande varietà di proteine cellulari, conducendo alla morte
programmata. Pertanto, la permeabilità della membrana esterna mitocondriale è considerata
cruciale nella fase precoce dei processi apoptotici [32].
Un grande numero di osservazioni supporta l’opinione che la trasformazione glicolitica
renda i tumori meno sensibili alla permeabilizzazione dell’OMM e quindi più resistenti al
pathway apoptotico mitocondriale. L’enzima glicolitico esochinasi sembra essere l’elemento
chiave di questo processo. Molti tumori sono caratterizzati da una sovraespressione
dell’esochinasi-I (tumori al cervello) e dell’esochinasi-II (nella maggior parte degli altri).
Queste proteine sono note avere una grande affinità di legame con il mitocondrio [33]. In
particolare, l’interazione con il canale anionico voltaggio-dipendente (VDAC) favorisce la
fosforilazione del glucosio operata dalle esochinasi. La possibilità di poter usare direttamente
l’ATP proveniente dal mitocondrio promuove ulteriormente l’alta velocità di glicolisi [34].
Inoltre il legame tra esochinasi e canale anionico voltaggio-dipendente contribuisce a
mantenere la proteina mitocondriale in stato aperto, ostacolando i meccanismi di
permeabilizzazione della membrana mitocondriale esterna in cui lo VDAC è coinvolto.
14
L’interazione tra esochinasi e canale anionico voltaggio-dipendente ha anche l’effetto di
impedire il legame di quest’ultimo (cui siti sono occupati dall’esochinasi) con le proteine pro-
apoptotiche. Ciò previene la chiusura dello VDAC e ostacola i meccanismi che posso portare
all’apertura del poro transitorio di permeabilità mitocondriale (MTP pore), con seguente
fuoriuscita di mediatori apoptotici e induzione della morte programmata [35].
Introduzione agli articoli
Recenti scoperte hanno dimostrato che la stimolazione dell’attività mitocondriale e il
ripristino dei meccanismi di generazione dell’ATP caratteristici delle cellule non maligne
potrebbero essere un efficiente strumento nella strategia antitumorale. Ripristinare il
metabolismo mediante la riattivazione della funzionalità mitocondriale significa colpire
contemporaneamente la resistenza all’induzione dei pathway apoptotici. L’alterazione o il
silenziamento dei mitocondri permette alle cellule tumorali di stabilire un efficiente controllo
dello stress ossidativo, conferendo la peculiare resistenza ai meccanismi apoptotici dipendenti
dal mitocondrio. Nella mia tesi ho voluto analizzare due articoli che affrontano la complessa
interazione fra trasformazione metabolica e silenziamento mitocondriale delle cellule
tumorali. In particolare ogni articolo si focalizza su aspetti diversi attraverso cui la cellula
tumorale riesce contemporaneamente a modificare il proprio metabolismo e a reprimere i
pathway apoptotici. Il primo articolo dimostra che il destino del piruvato, a seconda che sia
ridotto nel citosol dalla lattato deidrogenasi o che venga ossidato nel mitocondrio dalla
piruvato deidrogenasi, determina la direzione del metabolismo tumorale. L’attivazione della
piruvato deidrogenasi, mediante l’inibizione della piruvato deidrogenasi chinasi (PDK), può
normalizzare le cellule tumorali, stimolando la fosforilazione ossidativa, e abbassando la
resistenza all’apoptosi. Il secondo articolo affronta il ruolo della proteina disaccoppiante 2 nel
controllo della funzionalità mitocondriale e dello stress ossidativo. In molti tipi di tumori
resistenti a trattamenti con chemioterapici si è osservata un’espressione elevata dei livelli di
proteina disaccoppiante 2. Oltre a controllare la produzione di specie reattive dell’ossigeno,
queste proteine della membrana interna mitocondriale sembrano avere delle implicazioni sulla
stimolazione dell’effetto Warburg.
Proteine disaccoppianti mitocondriali
Nei mitocondri eucariotici ci sono tipicamente tra le 35 e 55 differenti proteine trasportatrici,
le quali facilitano lo scambio specifico di molecole tra citosol e matrice mitocondriale [36].
Le proteine disaccoppianti 1, 2, 3, 4 e 5 (UCP1, UCP2, UCP3, UCP4 e UCP5) sono membri
della famiglia di trasportatori anionici presenti nelle membrana interna mitocondriale. Nella
forma funzionale le proteine disaccoppianti si ritiene siano degli omodimeri. La prima
proteina disaccoppiante conosciuta, UCP1, si è scoperta nel tessuto adiposo bruno. Studi su
mitocondri isolati da tessuto adiposo bruno hanno rivelato un’elevata velocità respiratoria e
un’attività ossidativa disaccoppiata, non controllata dall’ADP. Una rapida respirazione non
associata con la sintesi dell’ATP rappresenta un potente processo termogenico. Questo
meccanismo è portato a termine dalla proteina disaccoppiante mitocondriale 1, la quale,
dissipando la forza motrice protonica, riduce il numero di protoni che può passare attraverso il
complesso dell’ATP-sintasi. Il tessuto adiposo bruno è noto regolare la termogenesi “non da
brivido” nei neonati, nei mammiferi ibernanti e nei roditori che si sono nutriti eccessivamente
[37]. Gli adipociti del grasso bruno assumono una diversa conformazione per portare a
termine questo processo: elevano enormemente la concentrazione della proteina
disaccoppiante 1 fino a raggiungere il 10% delle proteine di membrana e,
contemporaneamente, riducono i livelli l’ATP-sintasi attivando le UCP1 mediante gli acidi
grassi. La conduttanza protonica delle proteine disaccoppianti 1 è sotto stretto controllo: gli
acidi grassi sono in grado di stimolarla efficacemente, mentre i nucleotidi purinici (ATP,
ADP, GTP e GDP) hanno una forte azione inibente. La proteina disaccoppiante 2 ha il 59%
d’identità con la proteina disaccoppiante 1 e la sua massa molecolare è di circa 31-34 kDa
15
(per il monomero). Fin da quando nel 1997 è stata clonata per la prima volta, la proteina
disaccoppiante 2 ha attirato molto l’interesse dei ricercatori. Diversamente dalla proteina
disaccoppiante 1, la UCP2 è espressa in vari tessuti. Il messaggero della proteina
disaccoppiante 2 è stato trovato a livelli elevati nella milza, nel timo, nelle cellule β
pancreatiche, nel cuore, nei polmoni, nel tessuto adiposo bianco e bruno, nello stomaco, nei
testicoli e nei macrofagi. Quantità inferiori sono state scoperte nel tessuto cerebrale, nei reni,
nel fegato, e nei muscoli [38] [39]. Sebbene la proteina disaccoppiante 2 è ben espressa in
molti tessuti a livello di messaggeri, sembra che la quantità di proteina non sia proprio
proporzionata allo mRNA. I livelli proteici di UCP2 sono apparentemente non rilevabili in
alcuni tessuti, dove il messaggero è facilmente visibile. Allo stesso modo, cambiamenti
nell’espressione del messaggero non per forza implicano una variazione della quantità di
proteina espressa [40]. Perciò è importante assicurarsi sempre della presenza della proteina
disaccoppiante 2 attraverso saggi dei livelli proteici. I meccanismi di funzionamento della
UCP2 sono ancora fonte di dibattito. Gli studi svolti finora hanno ipotizzato un collegamento
con processi di termogenesi, trasporto di acidi grassi, mediazione nella secrezione
dell’insulina, e protezione dalle specie reattive dell’ossigeno.
16
MATERIALI E METODI
Colture cellulari
Le linee cellulari utilizzate negli esperimenti del primo articolo sono state:
A549: derivata da espianti di tumore umano al polmone non a piccole cellule. E’ stata
ottenuta dal centro di risorse biologiche ATCC (Manassas, VA). Le cellule sono state
mantenute in terreno di coltura F12K.
M059K: derivata da espianti di glioblastomi umani. E’ stata ottenuta dal centro di risorse
biologiche ATCC (Manassas, VA). Le cellule sono state mantenute in terreno di coltura
DMEM/F12 (Gibco/Invitrogen, Ontario).
MCF-7: derivata da espianti di tumore al seno umano. E’ stata ottenuta dal centro di risorse
biologiche ATCC (Manassas, VA). Le cellule sono state mantenute in terreno di coltura
DMEM (Sigma-Aldrich, Ontario).
SAEC: derivata da espianti di piccole cellule epiteliali delle vie respiratorie umane. E’ stata
ottenuta dalla corporazione Cambrex Bioscience (Guelph, Ontario). Le cellule sono state
mantenute in terreno di coltura industriale.
Fibroblasti: derivata da cellule umane, ottenute dal centro di risorse biologiche ATCC
(Manassas, VA). Le cellule sono state mantenute in terreno di coltura industriale.
PASMC: derivata da cellule della muscolatura liscia dell’arteria polmonare umane, ottenute
dal polmone di un donatore trapiantato. Le cellule sono state mantenute in terreno di coltura
DMEM.
A tutti i terreni di coltura erano in seguito aggiunto 10% di Fetal bovine serum (FBS) e 5%
del mix di antibiotici penicillina/streptomicina/fungizone (PSF). Il Dicloroacetato (0.05, 0.5, 5
mM, Sigma, St Louis), il t-butiril-H2O2, o il VIVIT (4 µM), un inibitore competitivo peptidico
del fattore di trascrizione nucleare dei linfociti T attivati (NFAT) (sequenza a.a.
“MAGPHPVIVITGPHEE”) sono stati preparati come una soluzione acquosa per essere poi
aggiunti al medium con le cellule a confluenza. Le colture sono state incubate fino a 48 ore
prima della raccolta.
Nel secondo articolo sono state utilizzate:
HCT166, HT29, DLD1, CaCo2: derivate da espianti di tumore umano al colon. Le linee
cellulari state ordinate dall’American Type Culture Collection, e mantenute in seguito in
terreno di coltura McCoy’s modificato (HCT166 e HT29), RPMI 1640 (DLD1), Eagle’s
MEM (CaCo2).
Le colture cellulari p53-/-
HCT116 e la rispettiva linea wild-type isogenetica, usate solo in
alcuni esperimenti, sono state una generosa donazione del Dott. Bert Vogelstein (Johns
Hopkins University, Baltimore, MD).
A tutti i media di coltura erano aggiunti siero bovino fetale 10% (FBS) (20% nel caso delle
CaCo2), L-glutammina 2 mM, e penicillina-streptomicina 1%. Le linee sono state mantenute
in un incubatore umidificato a 37°C, CO2 5%.
17
Microscopia Confocale e Immunoistochimica
Questa tecnica è stata utilizzata soprattutto nel primo articolo. Le immagini sono state
ottenute con il Microscopio Confocale Zeiss LSM 510 utilizzando una tecnica a colorazione
multipla [41] [42]. L’immunodecorazione è stata eseguita su cellule paraffinate, usando la
tecnica di riesposizione a microonde dell’antigene mascherato dalla fissazione, ed i seguenti
kit ed anticorpi primari: Apoalert Annexin V kit (Clontech, Palo Alto, CA), anticorpo anti-
citocromo c (diluizione 1:100), anticorpo anti-fattore di induzione dell’apoptosi (AIF; 1:100),
anticorpo anti-NFAT-1 (1:100), anticorpo anti-canale del potassio voltaggio-dipendente
(Kv1.5; 1:100), anticorpo anti-Survivin (1:100) e il mitotracker red (500 nM). Apoalert
Annexin V kit si basa sul principio che le cellule nei precoci stadi di apoptosi traslocano il
fosfolipide fosfatidilserina dal lato interno a quello esterno della membrana plasmatica.
L’Annexina, sfruttando questi cambiamenti, è in grado di legarsi alla membrana ed emettere
una fluorescenza rilevabile dagli strumenti. Gli anticorpi secondari erano coniugati a TRITC
(1:200, red) e FITC (1:40, green). Il kit d’individuazione dell’apoptosi ApopTag (TUNEL,
Serologicals, Norcross, GA) e l’anticorpo contro l’antigene nucleare delle cellule in
proliferazione, PCNA, sono stati usati seguendo le istruzioni del produttore. Il saggio con la
tecnica TUNEL consente di marcare DNA frammentato, risultato del processo di apoptosi, e
di rilevarne la presenza con tecniche immunocitochimiche. La colorazione nucleare è
avvenuta utilizzando il 4’,6’-diamidino-2fenilindolo diidroclorito (DAPI, 300 nM) per 10 min
a 20° C [41] [42]. La quantificazione delle immagini (percentuale di nuclei positivi al TUNEL
o PCNA) è stata fatta sui campioni presi alla cieca utilizzando il programma Image-Pro Plus.
Il potenziale di membrana mitocondriale (ΔΨm) è stato seguito in modelli animali usando
tetrametil-rodamina metil-estere (TMRM) (10 nM, x30 min, 37°C) e il colorante nucleare
Hoechst (0.5µmol/L, x10 min) [41] [42]. Il TMRM è un composto usato come sonda
fluorescente cationica, permeabile alle membrane, che permette di rilevare il potenziale di
membrana secondo il suo diverso accumulo tra due compartimenti cellulari diversi (es.
citosol e matrice mitocondriale). L’Hoechst appartiene alla famiglia dei coloranti fluorescenti
che permettono l’individuazione del DNA, intercalandosi al solco minore del filamento a
doppia elica. La produzione mitocondriale di Superossido è stata misurata usando la sonda
Mitosox™ 5 µM, un derivato del bromuro di etidio permeabile alle cellule in grado di legarsi
in modo selettivo al mitocondrio, dove potrà venir in seguito ossidato dal Superossido
generando una fluorescenza rossa (eccitazione/emissione 510/580 nm).
Nel secondo articolo gli esperimenti di Immunoistochimica sono stati limitati. I tumori degli
xenotrapianti sono stati rimossi e fissati per tutta la notte a 4°C su paraformaldeide al 4%
sciolta in tampone fosfato salino. In seguito i campioni sono stati disidratati, immobilizzati su
paraffina, e tagliati in frammenti di 4 µm di spessore. Le diapositive dei tessuti sono state
colorate con l’anticorpo monoclonale di capra C-20 anti-proteina disaccoppiante 2 umana
(1:100), e trattate con gli anticorpi secondari equini biotinilati anti-Immunoglobuline di capra
(1:500). La visualizzazione è avvenuta sfruttando la perossidasi.
Rilevamento del potenziale di membrana mitocondriale
Mentre nel primo articolo il rilevamento del potenziale di membrana mitocondriale è stato
possibile sfruttando la Microscopia Confocale e il tetrametil-rodamina metil-estere (TMRM),
nel secondo articolo si è utilizzato lo spettrofotometro misurando la fluorescenza emessa dalla
sonda lipofilica 5,5’,6,6’-tetrachloro-1,1’,3,3’-tetraethylbenzimidazolcarbocyanine iodide
(JC-1). Le cellule sono state cresciute in piastre da 96 pozzetti, lavate con tampone fosfato
salino e incubate con JC-1 (6 µM) per 30 min a 37°C. Successivamente si proceduto con un
ulteriore lavaggio usando un tampone salino di Tris. La fluorescenza emessa da JC-1 è stata
18
misurata immediatamente allo spettrofotometro SpectraMax M5. Il rapporto tra emissione
fluorescente nel rosso (530 nm) e nel verde (590 nm) è stato calcolato in ogni singolo
pozzetto. Per controllare le condizioni sperimentali, sono stati usati il disaccoppiante chimico
mitocondriale FCCP (5 µM), e oligomicina (10 µM), un inibitore dell’ATP Sintasi, per
dissipare e incrementare, rispettivamente, il ΔΨm. Ogni condizione è stata riprodotta in
almeno in sei pozzetti per esperimento. Il JC-1 è un composto usato come sonda fluorescente
cationica, permeabile alle membrane, che permette di rilevare il potenziale di membrana a
seconda del suo accumulo e della lunghezza d’onda della fluorescenza emessa. In particolare
nei mitocondri depolarizzati JC-1 emette nello spettro del verde, mentre nei mitocondri
iperpolarizzati il colorante dimerizza ed emette nello spettro del rosso. Il rapporto tra queste
due emissione consente di stimare il potenziale di membrana mitocondriale.
Plasmidi e transfezioni cellulari
Per gli esperimenti di sovraespressione della proteina disaccoppiante 2 (secondo articolo), lo
RNA totale ottenuto dalla milza umana è stato retrotrascritto e il cDNA completo della UCP-2
umana è stato amplificato tramite PCR usando primer specifici [anteriore, 5’-TACAGGTACC
ATGGTTGGGTTC-3’; posteriore, 5’-CTAAGCTTTCAGAAGGGAGCCTCT-3’,
contenenti i siti di restrizione per Kpn I e HindIII, rispettivamente (sottolineati)]. Il cDNA
così doppiamente digerito è stato inserito all’interno del vettore d’espressione per cellule di
mammifero pcDNA 3.1/Zeo(-) usando il kit per ligazioni rapide di DNA (Roche). La
conferma della perfetta ligazione del completo DNA complementare della proteina
disaccoppiante 2 umana è avvenuta tramite sequenziamento. Lo stesso plasmide è stato usato
per generare una curva standard per il saggio con real-time polimerase chain reaction. Il
completo DNA complementare della TATA-box binding protein (TBP) umano è stato clonato
con una tecnica simile (primer anteriore, 5’-AGAACAACAGCCTGCCACCT-3’; primer
posteriore, 5’-TTACGTCGTCTTCCTGAATCC-3’) e in seguito inserito all’interno del
vettore pCR 2.1. Questo vettore consente un semplice e rapido screening delle colonie
ricombinanti grazie al sistema lacZ/X-gal che ne determina la colorazione bianca o blu a
seconda che l’inserto si sia correttamente inserito (interrompendo l’ORF di LacZ). Le cellule
HCT116 (5 x 106
per reazione) sono state transfettate con 2 µg di plasmide usando il sistema
della nucleofezione (Amaxa Biosystem) e seguendo le istruzioni del produttore. La
nucleofezione è una metodica che si basa sull’utilizzo di un particolare tipo di elettroporatore,
che permette di trasportare il DNA esogeno direttamente nel nucleo, consentendo di ottenere
una buona efficienza di transfezione anche in cellule dove normalmente s'incontrano difficoltà
con i metodi classici. Le linee cellulari HCT116 sovraesprimenti la proteina disaccoppiante 2
umana in modo stabile sono state ottenute aggiungendo zeocina (10 µg/ml) al medium di
coltura per alcuni passaggi. Le colonie che riuscivano a svilupparsi da un'unica cellula sono
state analizzate con Western blotting per verificare l’espressione di UCP-2.
Agenti chimici e irradiazioni con UV
Nel secondo articolo stati utilizzati diversi composti chimici come la camptotecina (CPT), la
doxorubicina cloroidrato, l’etoposido, l’idrazone fenilico del cianuro di carbonile di p-
trifluoromethossile (FCCP), l’oligomicina, la N-acetil-L-cisteina, l’inibitore del proteasoma
MG132 (Z-Leu-Leu-Leu-Ala). Le soluzioni stock di camptotecina (2.5 mM), doxorubicina (2
mg/ml), etoposido (50 nM) sono state preparate rispettivamente in dimetilsolfossido (DMSO),
H2O2 e metanolo. FCCP (40 mM) è stato sciolto in etanolo e mantenuto a -20°C fino
all’utilizzo. Il farmaco chemioterapico Irinotecan (CPT-11) è stato sciolto in tampone
fisiologico salino (20 mg/ml). Le cellule sono state sottoposte a irradiamento con raggi
ultravioletti usando il FB-UVXL-1000 cross-linker. Prima del trattamento le cellule sono state
lavate tre volte con tampone fosfato salino (PBS), aspirando via tutto il medium rimasto. Le
piastre, collocate in ghiaccio, sono state irradiate per 15 min a raggi UV d'intensità 40 J/m2
.
19
Terminato il processo, le cellule erano incubate per tutta la notte a 37°C. La stima della morte
cellulare è stata possibile analizzando i campioni al FACS.
Studi Metabolici
Le cellule A549 sono state fatte crescere a confluenza in fiasche T-175 e le velocità di
ossidazione del glucosio (GO), di glicolisi (Gl), e di ossidazione degli acidi grassi (FAO) sono
state misurate in presenza o assenza di DCA (0.5 mM, per 48 ore) [43]. Per misurare le
velocità di ossidazione del glucosio, le cellule sono state incubate nel tampone Krebs’-
Henseleit con l’aggiunta di palmitato 1.2 mM e di [U-14
C]-glucosio 5 mM e stimate tramite la
produzione di 14
CO2 (liberata dalla piruvato deidrogenasi e dal ciclo di Krebs). Poiché le
colture erano mantenute in un sistema chiuso, è stato possibile raccogliere sia la 14
CO2
gassosa che quella presente nel tampone. La 14
CO2 liberata in fase gassosa è stata intrappolata
in una soluzione di idrossido di hyamine 1M presente in uno sfiatatoio. Campioni di tampone
e di idrossido di hyamine sono stati ottenuti a intervalli di 10 minuti durante tutto il periodo di
rilevamento. Ogni campione di tampone prelevato era immediatamente iniettato sotto un
volume di 1 ml di olio minerale per prevenire la liberazione della 14
CO2 contenuta.
L’estrazione della 14
CO2 è stata possibile iniettando un volume di 1 ml di tampone in una
fialetta sigillata contenente 1 ml di H2SO4 9 N. Sospesa sul pozzetto in fondo della fialetta era
presente inoltre 400 µl di idrossido di hyamine 1M. La fialetta era scossa con delicatezza su
una piastra oscillante per 1 ora. Il contenuto presente sul pozzetto centrale è stato prelevato e
contato al Liquid scintillation counter utilizzando la procedura standard. Per la Glicolisi, il
tampone di Krebs’-Henseleit conteneva inoltre Palmitato 1.2 mM e [5-³H]-Glucosio 5 mM e
la stima è stata fatta tramite l’³H2O (liberata dall’enzima glicolitico enolasi). La corretta
misurazione è stata possibile solo dopo aver separato l’[³H]-Glucosio dall’³H2O utilizzando
una colonna contenente la resina da scambio anionico Dowex 1-X4 sospesa con tetraborato di
potassio 0.2 M (volume finale della resina = 0.5 x 0.5 cm). La resina nella colonna è stata poi
lavata ampiamente con H2O prima dell’utilizzo. Un volume di 0.2 ml di tampone è stato
successivamente aggiunto alla colonna ed eluito in fialette specifiche per l’analisi
scintillometrica, portando il tutto ad un volume di 1 ml con H2O. La quantità di ³H2O presente
nel campione è stata rilevata al contatore per scintillazione liquida stabilendo la finestra dello
strumento tra 0-300 nm. Per l’ossidazione degli acidi grassi, il tampone conteneva [9,10-³H]-
palmitato 1.2 mM e [5-³H]-Glucosio 5 mM, stimando l’³H2O presente. Come per rilevazione
della velocità metabolica di Glicolisi, è stato necessario prima dell’analisi scintillometrica
separare l’³H2O dall’[³H]-palmitato trattando 0.5 ml di tampone con 1.88 ml di una miscela di
cloroformio:metanolo (1:2, v/v), a cui è stato successivamente aggiunto 0.625 ml di
cloroformio e 0.625 ml di una soluzione di KCl:HCl 2M. La fase acquosa che si veniva a
creare è stata raccolta tramite una pipetta Pasteur e ritrattata di nuovo con una miscela di
cloroformio, metanolo, e KCl:HCl in rapporto molare di 1:1:0.9. Due campioni di 0.5 ml della
fase acquosa sono stati prelevati per poter essere analizzati al contatore per scintillazione
liquida, determinando la quantità totale di ³H2O presente tenuto in considerazione il fattore di
diluizione. Le velocità del metabolismo energetico sono state scoperte essere lineari verso i
360 minuti, perciò sono state determinate nel corso di un periodo di 180 minuti.
Scintillazione Liquida
La scintillazione è una tecnica di misurazione delle particelle radioattive. Gli isotopi
radioattivi interagiscono con la materia in due modi, provocando ionizzazione o eccitazione.
Quest’ultima comporta l’emissione di fotoni da parte dei composti eccitati, i cosiddetti
scintillatori. Il fenomeno è detto scintillazione e, quando la luce emessa è rilevata da un
fotomoltiplicatore, questo processo costituisce la base del conteggio a scintillazione. Nel
fotomoltiplicatore l’impulso elettrico che deriva dalla conversione della radiazione luminosa
in energia elettrica è direttamente proporzionale all’intensità dell’evento radioattivo originale.
20
Ciò conferisce il vantaggio di poter analizzare contemporaneamente perfino la presenza di
due, o più, diversi isotopi nello stesso campione purché essi abbiano spettri di energia
sufficientemente diversi. La scintillazione consente di ottenere informazioni sia qualitative sia
quantitative. Secondo la natura del materiale degli scintillatori, esistono due tipologie di
contatori a scintillazione: quelli a scintillazione solida e quelli a scintillazione liquida. Nella
scintillazione liquida il campione è miscelato con una soluzione che contiene uno o più
scintillatori. Questi contatori sono utilizzati per misurare i β emettitori deboli quali 3
H, 14
C,
35
S, frequentemente utilizzati in biologia. Quando si scioglie nel solvente un composto in
grado di accettare energia dalle sorgenti radioattive (tramite il solvente stesso) e di emettere
fluorescenza a una lunghezza d’onda elevata, l’energia potrà essere rilevata con efficienza.
Tra questi composti, o scintillatori primari, vi è il 2,5-difenilosazolo (PPO). La scintillazione
liquida permette una buona efficienza di conteggio (dal 50% al 90% secondo l’energia del β
emettitore) e, essendo i moderni contatori automatizzati, consente un’analisi accurata dei dati
ottenuti anche da parecchie centinaia di campioni.
Isolamento e frazionamento dei mitocondri
Le cellule sono state lisate con delicatezza nella centrifuga Thomas potter, regolato a bassa
velocità di rotazione. Gli scarti (contenenti cellule intatte e nuclei) sono stati rimossi
centrifugando l’omogenato a 750 g per 10 min. Il supernatante ha subito una seconda
centrifugazione portando la velocità a 10000 g per 20 min e il pellet costituito da mitocondri è
stato risospeso in 1 ml di tampone Tris/EDTA/Saccarosio (TES). Al fine di ottenere una
purificazione più accurata, i due passaggi di centrifugazione sono stati ripetuti un'altra volta.
Prima di proseguire con un ulteriore frazionamento ed analisi di immunoblot, i campioni di
mitocondri isolati sono stati omogeneizzati in un tampone di distruzione cellulare (PARIS kit,
Ambion) e immediatamente congelati. Il frazionamento vero e proprio è stato realizzato
sottoponendo i campioni a trattamento digitonico/alcalino. Una quantità di 100 µl di
mitocondri purificati è stata disciolta in una soluzione di 500 µl di digitonina (1.2 mg/ml), un
composto che è in grado di precipitare il colesterolo destabilizzando le membrane cellulari.
Dopo un periodo d'incubazione di 25 min in ghiaccio, la sospensione è stata centrifugata a
10000 g per 10 min generando mitoplasti, costituiti dalla membrana interna mitocondriale e
dalla matrice. Il supernatante conteneva la membrana esterna e la frazione dello spazio
intermembrana. Nel trattamento alcalino i pellet mitocondriali sono stati lavati e risospesi in
un preparato fresco di carbonato di sodio (0.1 M, pH 11.5). In seguito i campioni sono stati
incubati per 30 min a 0°C. La frazione contenente le membrane è stata recuperata attraverso
centrifugazione a 100000 g per 30 min a 4°C. Il supernatante raccolto rappresentava la
frazione solubile mitocondriale, mentre i mitoplasmi e le membrane mitocondriali sono stati
recuperati risospendendo il pellet nel tampone di distruzione cellulare.
Rilevamento del K+
intracellulare
Le cellule sono state caricate con un tampone (espressi in mM: NaCl 141, KCl 4.7, CaCl2 1.8,
MgCl2 1.2, HEPES 10 e glucosio 10 a pH 7.4 con NaOH 5 M) contenente la forma
acetossimetil esterica del PBFI (PBFI-3AM; 5 µM) per 40 min a 37°C. La forma esterica, di
carica neutra, consente al colorante PBFI di entrare più facilmente nella cellula. Una volta
all’interno il composto sarà trasformato in forma acida, tornando carico e rimanendo
intrappolato nella cellula. Le cellule caricate con PBFI vengono in seguito irrorate con
abbondante tampone per 30 min a temperatura ambiente, ciò permette di lavare via il
colorante extracellulare e consente alle esterasi intracellulari di tagliare il PBFI-3AM
citosolico in PBFI. Il composto cambierà le proprie proprietà legandosi allo ione K+
emettendo una maggiore fluorescenza. Questa intensità sarà perciò proporzionale alla
concentrazione del potassio. La misurazione è avvenuta sfruttando il metodo raziometrico con
lo spettrofotometro a fluorescenza PTI Delta Scan. Il PBFI è può essere eccitato a due
21
lunghezze d’onda (340 e 380 nm), emettendo in entrambi i casi, un segnale a λ 500 nm
(emissione nel verde). Aumentando il legame con il K+
crescerà l’intensità di fluorescenza
emessa se l’eccitamento è avvenuto a 340 nm, mentre per l’eccitamento a 380 nm la luce
emessa diminuirà in proporzione all’incremento del K+
intracellulare. Il calcolo del rapporto
tra I340/I380 fornisce una buona approssimazione del [K+
]i reale.
Rilevamento del Ca²+
intracellulare
La concentrazione intracellulare di Ca2+
([Ca2+
]i) è stata studiata in modelli animali sulle
cellule cancerose A549 usando FLUO-3AM, un indicatore fluorescente sensibile alla
concentrazione di calcio. Le cellule sono state caricate con FLUO-3AM (5 µM) per 45 min
(37°C) in medium privo di siero e lavate per 30 min col tampone fosfato salino (PBS; 37°C)
per permettere il taglio degli acetossimetil esteri. In associazione con il FLUO-3AM, le
cellule sono state trattate con il colorante nucleare Hoechst (1.0 µM) per 10 min. La
fluorescenza è stata misurata, usando lo spettrofotometro a fluorescenza, a 505-535 nm con
eccitazione a 488 nm.
Rilevamento del consumo di ossigeno in cellule integre
Le cellule sono state starvate e risospese in medium contente NaCl 125 mM, KCl 5.2 mM,
Na2PO4 1mM, CaCl2 0.5 mM, destrosio 10 mM, e HEPES 10 mM. Gruppi di 5 x 106
cellule
sono stati posti nella camera dell’apparato per polarografia Digital Model 10, equipaggiato
con elettrodi di tipo Clark per l’ossigeno. Il sensore di Clark è un dispositivo che permette la
misurazione dell’ossigeno disciolto in un campione acquoso. Quando si stabilisce una
differenza di potenziale di circa -800 mV tra i due elettrodi, l’ossigeno molecolare, che ha
diffuso attraverso la membrana presente sul fondo del sensore, a contatto con il catodo in
platino subisce una riduzione a ioni idrossido. Sull’anodo in Ag/AgCl avviene la rispettiva
ossidazione. Il risultato di questa reazione di ossidoriduzione è rilevabile da una variazione di
corrente che sarà misurata, e direttamente proporzionale alla pressione parziale di ossigeno
che ha diffuso attraverso la membrana giungendo al catodo. Seguendo le indicazioni del
produttore, il consumo di ossigeno è stato misurato dai 15 min fino ad esaurimento completo
di quello contenuto nel medium. Il contenuto iniziale di ossigeno è stato stimato essere
0.20625 mM, in base alla temperatura, altitudine e osmolarità del medium cellulare. I
potenziali rilevati tramite gli elettrodi erano registrati su computer usando il sistema
d'interfaccia Pico Log Recorder. Le velocità di consumo dell’ossigeno erano calcolate in ogni
esecuzione. L’esperimento era ripetuto almeno tre volte per ciascuna condizione.
Rilevamento dell’ H2O2 e delle specie reattive dell’ossigeno
Nel primo articolo si è cercata di stimare la concentrazione di perossido di idrogeno (H2O2)
seguendo queste istruzioni. Le cellule cancerose sono state fatte crescere su piastre a pozzetti
multipli LabTek fino a confluenza. I monostrati sono stati preincubati con DCA (0.5 mM) in
presenza o assenza di rotenone 5 µM, un inibitore del complesso I della catena di trasporto
elettronica, per 1 ora. La produzione di H2O2 è stata misurata con il saggio AmplexRed
(Molecular Probes, Eugene, Oregon) [41]. Il saggio AmplexRed è basato sull’individuazione
del H2O2 tramite il 10-acetil-3,7-diidrossifenoazina (reagente AmplexRed), il quale in
presenza di perossidasi di rafano, reagisce con l’ H2O2 con un rapporto stechiometrico di 1:1
producendo la resofurin-1, un composto intensamente fluorescente. La fluorescenza è stata
rilevata allo spettrofotometro a 590 nm con eccitazione a 530 nm, mentre i livelli di H2O2
sono stati determinati tenendo in considerazione il disturbo dovuto alla fluorescenza di fondo,
nonché all’auto fluorescenza di alcuni reagenti.
22
La fluorescenza relativa (RF) è stata calcolata nel seguente modo (FU = unità di
fluorescenza):
Fluorescenza del campione (S) = FU60min campione – FU0min campione
Fluorescenza del controllo (C) = FU60min controllo – FU0min controllo
RF = S – C/µM
Nel secondo articolo la generazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) è stata valutata
usando un metodo fluorimetrico basato sull’ossidazione di un differente substrato non
fluorescente. Il 2’,7’-dicloro fluoresceina (DCFH), in seguito ad ossidazione, è in grado di
essere trasformato nel prodotto fluorescente 2’,7’-diclorofluoresceina (DCF) (Invitrogen). La
forma esterificata del DCFH, 2’,7’-diclorofluoresceina diacetato (DCFH-DA), essendo neutra
è in grado di attraversare le membrane cellulari e, una volta deacilata da enzimi endogeni del
citosol, viene ossidata nel suo prodotto fluorescente. Le cellule sono state lavate con tampone
fosfato salino (PBS), starvate usando tripsina 0.25%, centrifugate a 500 g per 5 min e
risospese in PBS. In seguito si procedeva incubando le cellule con DCFH-DA (10 µM) per 10
min a temperatura ambiente. Siccome il fluoroforo è instabile in soluzione, uno stock fresco
(10 nM) è stato preparato per ogni esperimento. Dopo la colorazione, le cellule sono state
trattate con vari agenti e prontamente analizzate al citofluorimetro a flusso FACSort. Un
minimo di 50000 eventi è stato raccolto per ogni condizione studiata ed ogni esperimento è
stato riprodotto almeno tre volte.
Elettrofisiologia
Le cellule sono state studiate usando la tecnica del whole-cell patch-clamping. Questa tecnica
permette di bloccare il voltaggio di un pezzo isolato della membrana cellulare o dell’intera
cellula. In questo modo si possono osservare correnti ioniche che fluiscono attraverso i canali
dell’intera superficie di membrana o la variazione di corrente di corrente che passa attraverso
un singolo canale ionico, con una strumentazione tale da registrare correnti piccolissime
nell’ordine dei picoAmpère (pA 10-12
A). Nella configurazione whole-cell la micro pipetta di
vetro con l’elettrodo è portata a contatto con la membrana, realizzando una saldatura
estremamente forte. Applicando una forte suzione verso l’interno della pipetta si ha la rottura
della membrana nel capillare mantenendo intatta la parte restante della cellula. Questa
configurazione provoca un minor danno rispetto alla penetrazione di un normale
microelettrodo e fornisce una via di accesso al citoplasma a bassa resistenza. In tal modo è
ridotto il rumore di fondo e inoltre, attraverso la pipetta, si possono eventualmente introdurre
sostanze all’interno della cellula. Gli elettrodi (resistenza 1-5 MΩ) sono stati riempiti con una
soluzione che conteneva (espressi in mM) KCl 140, MgCl2 1.0, HEPES 10, il chelante del
calcio EGTA 5 e glucosio 10 a pH 7.2, in modo da perturbare il meno possibile la
composizione ionica intracellulare. La camera contenente le cellule è stata irrorata (2 ml/min)
con una soluzione contenente (espressi in mM) NaCl 145, KCl 5.4, MgCl2 1.0, CaCl2 1.5,
HEPES 10 e glucosio 10 a pH 7.4 (soluzione extracellulare). Il pH sia della 4-amminopiridina
(4-AP, 5 mM), un inibitore del canale Kv, che del DCA (0,5 mM) sono stati corretti a 7.4. Per
studiarne gli effetti sulla corrente di K+
sono stati aggiunti, in esperimenti separati, 10.000
unità di Catalasi via pipetta (intracellulare), Rotenone 5 µM (un inibitore del complesso I
della catena di trasporto elettronica) e TTFA 1µM (un inibitore del complesso II dell’ETC)
nella soluzione della camera. Le cellule sono state mantenute a un potenziale di partenza di -
70 mV e le correnti sono state generate per 200 ms secondo una serie d’impulsi da -70 a +70
mV con incrementi di 20 mV per impulso. Le correnti di membrana sono state filtrate a 1 kHz
e la frequenza di campionamento usata era di 2 o 4 kHz. I dati sono stati analizzati usando i
programmi pCLAMP 9 e Clampfit 9. La conduttanza è stata misurata usando la funzione
automatica dell’amplificatore Axopatch. La corrente rilevata è stata divisa per la conduttanza
della cellula, ottenendo una misura della densità di corrente.
23
Immunoblotting
Nel primo articolo si è proceduti nel seguente modo. Le cellule in coltura, tumorali e non,
prima di essere sottoposte a immunoblotting sono state accuratamente raccolte e preparate. I
campioni da analizzare erano ottenuti unendo gli estratti proteici di 4 piastre T-25 o 4 topi per
gruppo (25 µg di proteine totali di campione unificato per lane). Le lastre sono state
digitalizzate e quantificate usando il programma 1D Image Analysis. Il rapporto tra la densità
ottica delle bande al colorante Ponceau-S è stato usato per correggere piccole disparità di
caricamento [41] [42]. Gli anticorpi usati sono stati: anti-canale del potassio voltaggio-
dipendente (Kv1.5; 1:500), anti-surivivin (1:1000), anti-caspasi 3 (1:500), anti-caspasi 9
(1:1000), anti-kinasi 2 della piruvato deidrogenasi umana (PDK2; 1:200).
Nel secondo articolo i saggi d’immunoblotting hanno seguito le seguenti istruzioni. I lisati
cellulari sono stati preparati con il tampone di distruzione cellulare cui erano aggiunti inibitori
delle proteasi. Al fine di rilevare le fosfoproteine è stato usato il seguente tampone di lisi: Tris
50 mM (pH 7.4), NaCl 100 mM, NP40 1% (detergente anionico), glicerolo 10%, EDTA 1mM
(agente chelante), β-fosfoglicerolo 10 mM, Na3VO4 2 mM, fluoridio di sodio 1 mM, cui si
aggiungevano inibitori delle proteasi. La concentrazione proteica è stata determinata con il kit
BCA Protein Assay Reagent (Pierce). Gli estratti proteici erano frazionati con elettroforesi su
gel di poliacrilammide alla presenza di sodio dodecil solfato (SDS-PAGE) (concentrazione
acrilammide dal 12%, fino al 15%) e trasferiti su una membrana a nitrocellulosa. Gli
immunoblot sono stati eseguiti con i seguenti anticorpi primari: anti-proteina disaccoppiante
2, anti-p53, anti-caspasi-3 (intera), anti-caspase-3 (tagliata), anti-citocromo c, anti-citocromo
c ossidasi (COX), anti-Bcl-XL, e anti-p53 up-regolated modulator of apoptosis-α (PUMA).
Gli anticorpi secondari usati erano coniugati alla perossidasi di rafano. Ciò ha consentito di
rilevare gli immunoblot attraverso l’aumento dell’emissione chemioluminescente. La
conferma dell’uniformità di caricamento è avvenuta confrontando il segnale ottenuto dagli
anticorpi primari anti-β-actina (nei lisati cellulari completi) o dagli anticorpi primari anti-
citocromo c ossidasi IV (nei preparati mitocondriali).
Crescita cellulare e citometria a flusso
La citometria a flusso è una tecnica che permette la misurazione e caratterizzazione di cellule
sospese in un mezzo fluido. Tramite questa metodica è possibile rilevare proprietà multiple di
singole cellule a una velocità molto rapida, permettendo una dettagliata analisi qualitativa e
quantitativa. La citometria a flusso (CFM) è particolarmente utile in numerosi campi di
ricerca come nello studio del ciclo cellulare, nell’analisi immunofenotipica, nello studio del
sistema immunitario e nella degenerazione neoplastica. Tra i vantaggi di questa metodica ci
sono il numero elevato di cellule rapidamente esaminate (eventi), la possibilità di analisi
multiparametrica, e la facilità di processare i campioni senza perdere la vitalità cellulare. Non
si rivela, invece, particolarmente utile nell’esaminare cellule molto rare all’interno di una
popolazione (alta probabilità di confusione con il rumore di fondo) e nel localizzare eventuali
segnali provenienti dallo stesso marcatore localizzato in compartimenti cellulari diversi. La
possibilità di esaminare le caratteristiche specifiche di una singola cellula è dovuta alle
proprietà della camera di flusso dello strumento che è in grado di separare cellula per cellula
di una sospensione. Tramite un sistema a flusso laminare, nella camera si vengono a creare
una corrente interna e un’esterna. L’effetto che si ottiene permette di confinare le singole
cellule della sospensione al centro del flusso. A questo punto ogni cellula è attraversata da un
fascio di luce che eccita fluorocromi determinando l’emissione di un segnale fluorescente.
Inoltre la radiazione luminosa è in grado di fornire altre informazioni sulle caratteristiche
fisiche e morfologiche della cellula (determinate in conformità a fenomeni di rifrazione,
riflessione e diffrazione). La luce dispersa in avanti (forward scatter), ad esempio, è legata alle
dimensioni della cellula, mentre la luce riflessa a 90° (side scatter) è da attribuire a parametri
24
della morfologia cellulare come la granulosità del citoplasma. Tutti questi segnali sono
convogliati, attraverso un sistema di filtri e specchi, verso un rilevatore. L’intensità
dell’emissione rilevata è trasformata in un segnale elettrico, il quale a sua volta è commutato
da analogico a digitale e inviato all’analizzatore che elabora il dato e lo visualizza tramite un
grafico. Secondo i parametri d'interesse si posso creare citogrammi bidimensionali (che
evidenziano e discriminano solo le proprietà fisiche delle cellule), istogrammi
monodimensionali (rapporto tra intensità di un segnale a fluorescenza e il numero di cellule) e
altre rappresentazioni bidimensionali (Dot-plot) che mettano in correlazione caratteristiche
diverse. Infine le cellule, dopo essere state eccitate dal laser, sono costrette a passare
attraverso un sistema di piastre a deflessione (processo chiamato “sorting”) che ha lo scopo
di raccogliere e separare le cellule analizzate in sottopopolazioni secondo le caratteristiche
evidenziate. Il numero di cellule vitali è stato determinato usando il kit Cell Counting-8
(Dojindo). L’analisi del ciclo cellulare è stata eseguita su campioni di 2 x 106
cellule, raccolte
e risospese in 1 ml di tampone fosfato salino (PBS). In seguito la sospensione è stata
immobilizzata con un'equivalente quantità di etanolo 100% per tutta la notte. Il giorno dopo le
cellule sono state lavate con tampone fosfato salino mantenuto in ghiaccio e successivamente
centrifugate a 200 g per 10 min. Il pellet è stato risospeso in 1 ml di soluzione colorante fresca
[detergente non ionico Triton X-100 0.1% (v/v) in PBS, RNase A (0.2 mg/ml) senza DNase, e
propidio di iodio 20 µg/ml]. Il propidio di iodio, intercalandosi al DNA, permetterà di stimare
il numero di cellule che si trovano nelle differenti fasi del ciclo cellulare. L’intensità del
segnale sarà proporzionale al contenuto di DNA in via di replicazione. La sospensione
cellulare è stata incubata per 15 min a 37°C e immediatamente trasferita nel Citofluorimetro a
flusso. I dati sono stati acquisiti usando il programma CellQuest, mentre l’analisi delle
informazioni ottenute è stata eseguita con il programma ModFit LT.
Stima dell’Annexina con Citometria a flusso
Nel secondo articolo la stima dell’Annexina per valutare l’apoptosi è avvenuta seguendo una
metodica diversa rispetto a quella utilizzata nel primo articolo (Microscopia Confocale). Allo
scopo di stimare l’apoptosi attraverso la comparsa dell’Annexina V sulla superficie cellulare,
le cellule sono state lavate con tampone fosfato salino, starvate usando tripsina 0.25%, e
centrifugando a 500 g per 5 min. Dopo un altro step di lavaggio, le cellule sono state risospese
in tampone di legame per l’Annexina e colorate con il kit Vybrant Apoptosis Assay #3
(Invitrogen) seguendo le istruzioni del produttore. La colorazione è avvenuta aggiungendo 5
µl di Annexin V, coniugato con il fluoroforo fluoresceina isotiocianato (FITC; componente
A), e 1 µl propidio di iodio 100 µg/ml (componente B). Le cellule sono state incubate in una
camera oscura per 30 min a temperatura ambiente, e immediatamente dopo sono state
analizzate al citofluorimetro a flusso FACSort. Il legame dell’annexina e l’internalizzazione
del propidio di iodio sono stati quantificati usando rispettivamente i canali FL1 e FL3 dello
strumento. Un minimo di 10000 eventi è stato raccolto per ogni condizione studiata, mentre
ogni esperimento è stato riprodotto almeno tre volte.
RT-PCR Real-Time Quantitativa
La RT-PCR Real-Time permette di misurare in tempo reale l’amplificazione durante la fase
esponenziale della PCR, ovvero quando l’efficienza di amplificazione è influenzata
minimamente dalle variabili di reazioni (quantità dei primers, reannealing dei filamenti,
attività della Taq polimerasi). Ciò permette di ottenere risultati più accurati rispetto alla PCR
tradizionale. Usando inoltre uno strumento quantitativo che permetta di rilevare l’incremento
di fluorescenza di marcatori, il cui accumulo segue la stessa cinetica della reazione di PCR, è
possibile stimare il numero di copie dell’mRNA presenti originariamente nel campione
saggiato.
25
Nel primo articolo si è proceduti nel seguente modo. I campioni di RNA totali sono stati
ottenuti dalle cellule tumorali A549 di 30 pazienti, a diversi stadi di malignità, usando il kit
RNeasy Mini (Quiagen, Mississauga, Canada) e quantificando il tutto con lo spettrofotometro
ad UV. La real-time RT-PCR quantitativa è stata usata per misurare gli mRNA umani del
canale del potassio voltaggio-dipendente (Kv1.5), del canale del potassio inward rectifier (Kir
2.1), della kinasi 2 della piruvato deidrogenasi (PDK2), di survivin e dell’ rRNA 18s (gene
espresso costitutivamente usato come riferimento). Per eseguire la RT-PCR quantitativa si è
utilizzato il kit TaqMan One-Step RT-PCR Master mix reagent (Applied Biosystem, Foster
City, CA). La sonda TaqMan, in grado di ibridarsi in modo specifico all’interno del
frammento amplificato, permette di seguire l’incremento della fluorescenza durante i cicli di
PCR, e fornisce uno strumento per la sua quantificazione. I campioni (50 ng RNA in 50 µl)
sono stati aggiunti a piastre a micropozzetti insieme ai relativi primers (500 nM) alle sonde
TaqMan e ai reagenti RT-PCR. Il saggio è stato eseguito usando il rilevatore di sequenze ABI
PRISM 7700 [41] [42]. Si è lasciato agire la trascrittasi inversa per 30 min a 48°C.
L’attivazione dell’AmpliTaq Gold è stata possibile spostando la temperatura a 95°C per 10
min. In seguito, sono stati eseguiti 40 cicli di PCR. Ogni ciclo consisteva in 15 secondi di
denaturazione (95°C) e 1 minuto di annealing ed estensione (60°C). Per ogni campione si
ottiene una curva di amplificazione che rappresenta il crescere della fluorescenza in relazione
al numero di cicli di PCR. Impostando una linea di soglia della fluorescenza (in modo da
intersecare tutte le curve dei campioni nella fase esponenziale) è possibile ricavare il Ct di una
curva di amplificazione. Questo valore rappresenterà il ciclo della reazione di PCR in cui il
segnale di fluorescenza del campione è diventato maggiore rispetto a quello della soglia
impostata. Il Ct sarà inversamente proporzionale alla quantità di mRNA presente in origine
nel campione. Per ottenere una quantificazione relativa dei mRNA si è dovuto normalizzare il
target con un controllo endogeno espresso costitutivamente, come l’ rRNA 18s. Ad esempio il
ΔCt del canale del potassio voltaggio-dipendente (Kv1.5) è stato calcolato per ciascun
campione usando l’Equazione 1.
Equazione (1) ΔCt Kv1.5 = Ct Kv1.5 – Ct18s
Il ΔCt più grande, indicante il campione con il minor mRNA totale, è stato assunto come
calibratore. Comparando ciascun ΔCt così ottenuto con il ΔCt del calibratore si ottiene il
ΔΔCt.
Equazione (2) ΔΔCt = calibratore – ΔCt Kv1.5
Nel caso che il campione da calcolare sia il calibratore (il campione con l’espressione più
bassa), l’Equazione 2 porta ad un valore di 0 (sottrazione del valore da se stesso). Esprimendo
il ΔΔCt come un esponente di 2, il numero di copie nel calibratore diventa 20
= 1,
permettendo una facile espressione dei restanti mRNA totali dei Kv in relazione a questo
valore. Il valore così ottenuto (2ΔΔCt
) permette di poter determinare la concentrazione relativa
del target.
Nel secondo articolo si è seguito un differente protocollo. Seguendo le istruzioni del
produttore, si è utilizzato il kit PARIS (Ambion) è stato usato per isolare gli RNA totali
cellulari e le proteine dal campione. Gli RNA totali sono stati retro trascritti usando il kit First
Strand cDNA Synthesis (Roche), e i cDNA (5 ng) sono stati amplificati con primer specifici
tramite il iCycler iQ Multi-Color Real-time PCR Detection System. Diluizioni seriali dei
plasmidi recanti la proteina disaccoppiante 2 umana e la proteina legante il TATA-box umana
sono state usate per creare delle curve standard. Sono stati eseguiti 45 cicli di polimerase
chain reaction, con denaturazione a 95°C per 15 sec, annealing a 60°C per 30 sec ed
estensione a 72°C per 30 sec, usando il primer intron-spanning (0.4 µM/l) (proteina
disaccoppiante 2, anteriore 5’-CTCCTGAAAGCCAACCTCAT-3’ e posteriore 5’-
CCCAAAGGCAGAAGTGAAGT-3’; proteina legante il TATA-box, anteriore 5’-
CACGAACCACGGCACTGATT-3’ e posteriore 5’-TTTTCTTGCTGCCAGTCTG GAC-
3’). Ogni campione è stato sottoposto alla procedura almeno tre volte, normalizzato usando il
26
contenuto di RNA messaggeri di TBP come riferimento endogeno, e i dati sono stati espressi
in unità arbitrarie come abbondanza relativa dei messaggeri della proteina disaccoppiante 2
rispetto a quelli della proteina legante il TATA-box
Transfezione del gene Kv 1.5
Le cellule A549 sono state infettate con il vettore virale tratto dall’Adenovirus di serotipo 5
deprivato della possibilità di replicarsi e codificante i geni per la GFP e il gene del canale del
potassio voltaggio-dipendente (Kv1.5) umano clonato (sotto controllo dei promotori del
Citomegalovirus [CMV]). Dall’incubazione delle cellule A549 con il virus ricombinante si è
ottenuto l’80% di infezioni, selezionabili sfruttando la loro fluorescenza verde. Il virus
ricombinante è stato preparato usando AdEasy-1, un vettore contente il DNA adenovirale
(sierotipo 5) con i geni essenziali per la replicazione E1 ed E3 deleti. Il frammento di cDNA
codificante l’ORF del gene Kv 1.5 è stata ligata al vettore di trasferimento pAdTrack-CMV.
Questo costrutto conteneva il gene per la resistenza alla Kanamicina e due promotori del
CMV (uno collocato a monte della green fluorescent protein [GFP] e l’altro a monte del gene
del canale del potassio voltaggio-dipendente [Kv1.5] clonato). Usando l’enzima di restrizione
per il sito Pme I, che si trova tra due regioni di omologia con il plasmide pAd Easy-1, si
linearizza pAdTrack-CMV Kv1.5. I due vettori sono stati in seguito co-trasformati in cellule
di E. Coli BJ5183 (piastrate su LB) e selezionati per la resistenza alla Kanamicina, forzando
la ricombinazione tra i due plasmidi. Le successive colonie sono state isolate e i plasmidi sono
stati purificati usando le colonne di purificazione plasmidica (Quiagen). I plasmidi contenenti
il gene del canale del potassio voltaggio-dipendente (Kv1.5) all’interno del DNA adenovirale
sono stati selezionati, amplificati, purificati, linearizzati e transfettati in cellule HEK 293
(linea originata da rene di embrione umano) usando il reagente LipofectAMINE. La linea
cellulare HEK 293 è in grado di complementare i geni E1 ed E3 deleti dell’Adenovirus.
Cinque giorni dopo la transfezione, che può essere seguita anche attraverso l’espressione della
GFP, le piastre che mostravano completa lisi sono state raccolte e analizzate per rilevare la
presenza del DNA del canale del potassio voltaggio-dipendente (Kv1.5) usando la PCR.
Ottenuta la conferma positiva, sono stati eseguiti cicli multipli di replicazione dell’Ad5Kv1.5
in cellule HEK 293. Il risultante virus, portante la green fluorescent protein e il cDNA di Kv
1.5, è stato isolato, precipitato e concentrato sfruttando il gradiente discontinuo di CsCl. In
questo modo si è ottenuto un Adenovirus finale ad altissimo titolo (1.5 x 109
pfu/ml) [44].
Saggi di tumorigenicità su modelli animali
Nel primo articolo la verifica delle osservazioni ottenute su modelli cellulari è avvenuta nel
seguente modo. Una sospensione cellulare di A549 in tampone di fosfato salino (3 x 106
cellule per iniezione) è stata impiantata per via sottocutanea in ratti atimici. I ratti sono stati
divisi in differenti gruppi: controllo, prevenzione e revertente. Inoltre si è stabilito due
protocolli diversi. Nel protocollo a, 21 ratti sono stati seguiti per 5 settimane: il gruppo
prevenzione (n =8) è stata trattato per tutte le 5 settimane, il gruppo revertente (n = 8) per 3
settimane (dalla terza alla quinta) mentre il gruppo di controllo (non trattato) era costituito da
5 elementi. Nel protocollo b, i ratti (n = 6 per gruppo) sono stati seguiti per 12 settimane: il
gruppo prevenzione è stato trattato per tutto il periodo e il gruppo revertente dalla decima
settimana alla dodicesima. In entrambi i protocolli, DCA (0.075 g/l) è stato aggiunto tramite
l’acqua potabile. Misurando il totale dell’acqua consumata, è stato possibile calcolare e
modificare la concentrazione di DCA richiesta per ottenere una dose giornaliera simile a
quella usata clinicamente (50-100 mg/kg) [41]. I ratti sono stati osservati settimanalmente per
rilevare la comparsa di tumori al sito d’iniezione. La massa tumorale è stata misurata,
rilevandone peso e diametro massimo attraverso il compasso, ogni settimana sacrificando
qualche cavia in tutti e tre i gruppi. In alcuni ratti la risonanza magnetica ha permesso di
visualizzare il tumore in tempo reale e di calcolarne il volume.
27
Nel secondo articolo gli xenotrapianti di cellule tumorali sono stati ottenuti secondo il
seguente protocollo. Una sospensione di cellule HCT116 (3 x 106
per iniezione), esprimenti
stabilmente la proteina disaccoppiante 2 umana (clone ZU7) e il vettore vuoto di controllo
(clone ZE12) è stato impiantato per via sottocutanea nel fianco di topi nudi atimici. La
crescita della massa tumorale è stata rilevata misurando il diametro massimo con un compasso
digitale e calcolandone il volume attraverso la formula dell’ellipsoide rotazionale (rotational
ellipsoid): V = π/6 x A x B2
(dove V rappresenta il volume, A è l’asse più lungo del tumore, e
B è l’asse perpendicolare più corto). Su animali la chemioterapia con irinotecan cloridrato
(CPT-11, Pfizer) è stata iniziata dopo due settimane, quando gli xenotrapianti avevano
raggiunto almeno un volume di 100 mm3
. CPT-11 è stato somministrato per via
intraperitoneale a un dosaggio di 25 mg/kg ogni tre giorni per due settimane. Tutti gli
esperimenti sugli animali sono stati svolti rispettando le linee guida istituzionali del Lifespan
Animal Welfare Commitee del Rhode Island Hospital.
Studi d’interferenza a RNA
L’interferenza a RNA è una tecnica che si basa su un meccanismo selettivo di silenziamento
genetico post-trascrizionale altamente conservato durante l’evoluzione e presente in tutti
organismi. All’interno della cellula gli RNA a doppio filamento sono riconosciuti da un
particolare enzima chiamato DICER, appartenente alla famiglia delle RNAsi III, che è in
grado di tagliare gli RNA a doppio filamento in frammenti più piccoli di 21-23 nucleotidi
chiamati piccoli RNA (siRNA). I siRNA sono riconosciuti da un secondo complesso proteico,
chiamato complesso silenziatore dell’interferenza a RNA (RISC) , il quale stimola l’apertura
del doppio filamento del piccolo RNA e ne carica su di se uno dei due. Il complesso così
attivato è in grado di cercare e legare gli mRNA complementari alla sequenza del piccolo
RNA a singolo filamento incorporato, inducendone taglio e degradazione, o reprimendo la
traduzione a seconda che l’appaiamento sia, rispettivamente, perfetto (annealing nella regione
dell’ORF) o imperfetto (annealing nella regione del 3’ UTR del messaggero). Nei mammiferi
questa tecnica ha dovuto subire degli accorgimenti perché la transfezione con lunghi
frammenti di RNA a doppio filamento poteva indurre una forte risposta da interferone
(sistema difensivo cellulare contro le infezioni virali) determinando una generale inibizione
della traduzione nelle cellule. Perciò si preferisce utilizzare direttamente i siRNA, i quali sono
perfettamente funzionali e non inducono risposta da interferone. Possono esserci diverse fonti
di RNA a doppio filamento in grado di entrare nel macchinario dell’interferenza a RNA, come
ad esempio gli RNA virali e i microRNA (codificati all’interno del genoma stesso). Questi
ultimi, a causa delle loro sequenze ripetute, assumono spesso delle strutture secondarie a
forcina (shRNA) che possono essere riconosciute da DICER e divenire piccoli frammenti di
RNA. Per la loro caratteristica di potersi appaiare anche a molti RNA messaggeri non
perfettamente omologhi, questi piccoli RNA a singolo filamento endogeni svolgono ruoli
estremamente importanti per la cellula, a tal punto che sembrano in grado di poter regolare
oltre il 30% dei geni dell’intero genoma umano. Le tecniche che sfruttano l’interferenza a
RNA si sono rivelate molto efficaci negli studi di knockout sulla funzione di un particolare
gene. Sono, infatti, necessarie in proporzione basse quantità di RNA a doppio filamento o di
piccoli RNA a singolo filamento per ottenere un alto silenziamento genico, e ciò è da
imputare a un meccanismo di amplificazione tipico del processo d’interferenza. I siRNA
ibridandosi ai messaggeri complementari sono in grado di fungere da primer per un RNA
polimerasi-RNA dipendente (RdRP), la quale sintetizzerà un RNA a doppio filamento e
diventerà a sua volta substrato di DICER, creando ulteriori piccoli RNA. Negli esperimenti
d’interferenza la progettazione dell’oligo a RNA a doppio filamento deve necessariamente
tenere in considerazione effetti collaterali o non desiderati. L’eventuale funzionamento
aspecifico dell’oligo potrebbe determinare una falsificazione dei risultati dovuta a inibizione
di altri RNA messaggeri con parziale omologia, o a un’attività dell’oligo sulla struttura della
cromatina. E’ opportuno perciò compiere esperimenti preventivi e utilizzare la quantità
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  • 1. UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Biotecnologie Indirizzo Molecolare “Metabolismo energetico e Neoplasia” Relatore: Prof. Marco VANONI Tesi di laurea di: Albanese Michele Matricola n. 064237 Anno accademico 2008/2009
  • 2. 2
  • 3. 3 INDICE I. INTRODUZIONE pg. 4 (1) Metabolismo (2) Cancro 2.1 Genetica del cancro 2.2 Oncogenesi del cancro 2.3 Ciclo cellulare e meccanismi di controllo 2.4 Telomerasi (3) Metabolismo e cancro 3.1 Ruolo del fattore HIF1 e delle vie di trasmissione del segnale 3.2 P53 e la regolazione dell’attività mitocondriale 3.3 Trasformazione metabolica e apoptosi 3.4 Introduzione agli articoli 3.5 Proteine disaccoppianti mitocondriali II. MATERIALI E METODI pg. 16 III. RISULTATI pg. 30 (1) Primo articolo (2) Secondo articolo IV. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI pg. 49 (1) Effetto Warburg e “disaccoppiamento intermedio” (2) Conclusioni V. BIBLIOGRAFIA pg. 54
  • 4. 4 INTRODUZIONE Metabolismo Il metabolismo è un attività molecolare altamente coordinata a cui cooperano molti sistemi multi enzimatici (vie metaboliche) per adempire a quattro funzioni: (1) ottenere energia chimica dall’ambiente degradando sostanze nutrienti o catturando luce solare; (2) convertire le molecole delle sostanze nutrienti nelle molecole più semplici caratteristiche della cellula stessa; (3) polimerizzare precursori monomerici in macromolecole più complesse essenziali per la cellula (acidi nucleici, proteine e polisaccaridi); (4) sintetizzare molecole necessarie per funzioni specializzate della cellula (es. membrane lipidiche) e degradare quelle non più necessarie o di scarto. Il metabolismo, la somma di tutte le trasformazioni chimiche che avvengono in una cellula o in un organismo, avviene attraverso una serie di reazioni catalizzate da enzimi che costituiscono le vie metaboliche. Le successioni di tappe, di cui sono costituite queste vie, hanno lo scopo di convertire molecole di un precursore in prodotti utili attraverso una serie d’intermedi metabolici chiamati metaboliti. Le vie metaboliche possono essere essenzialmente divise in due categorie: cataboliche e anaboliche. Il catabolismo è la fase degradativa del metabolismo, in cui le molecole organiche dei nutrienti (carboidrati, grassi e proteine) sono convertite in prodotti finali più semplici (es. CO2, NH3, H2O). Le vie cataboliche rilasciano energia libera, parte della quale è conservata mediante la produzione di ATP e di trasportatori di elettroni in forma ridotta (NADH e FADH2). La rimanente energia non conservata nei legami chimici è persa o dissipata sotto forma di calore. Nell’anabolismo, chiamato anche biosintesi, i precursori semplici sono uniti tra loro per costruire molecole complesse più grandi come i lipidi, i polisaccaridi, le proteine e gli acidi nucleici. Le reazioni anaboliche necessitano di un rifornimento di energia, in genere sotto forma di potenziale di trasferimento del gruppo fosforico dell’ATP e del potere riducente conservato nella molecola di NADPH, sintetizzata da alcune vie cataboliche preferenziali come il ciclo dei pentosi. Al fine di evitare un inutile dispendio di energia le vie cataboliche e anaboliche che operano in direzione opposta (es. glicolisi e gluconeogenesi) sono strettamente coordinate in modo antitetico. Il controllo può avvenire attraverso la regolazione di enzimi chiave esclusivi della direzione anabolica o catabolica, e la segregazione delle reazioni in compartimenti intracellulari diversi. Vie cataboliche e anaboliche sono collegate da cicli come quello dell’acido gliossilico o dell’acido citrico che possono funzionare sia per completare la degradazione di piccole molecole derivati dalle vie cataboliche, sia per rifornire le vie anaboliche dei necessari precursori. Cicli di questo tipo sono chiamati anfibolici. Pur passando attraverso differenti vie la degradazione dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine converge in un comune percorso metabolico. La glicolisi è la via centrale per il catabolismo del glucosio. L’equazione complessiva delle reazioni di glicolisi è: Glucosio + 2 NAD+ + 2 ADP + 2 Pi → 2 Piruvato + 2 NADH + 2 H+ + 2 ATP + 2 H2O. Oltre ad ottenere una quantità limitata di energia, la glicolisi è una buona fonte d’intermedi per le vie biosintetiche (es. amminoacidi). Il prodotto finale, due molecole di Piruvato per molecola di glucosio, mantiene la maggior parte dell’energia di partenza del glucosio che potrà venir ricavata, in condizioni aerobie, dalle più efficaci reazioni di ossidoriduzione del ciclo dell’acido citrico e dalla fosforilazione ossidativa. Una via catabolica alternativa che utilizza il glucosio (fosforilato) è rappresentata dal ciclo dei pentosi. Questo pathway oltre a costituire un ramo alternativo alle prime reazioni della glicolisi, rifornisce d’importanti precursori le vie anaboliche degli acidi nucleici e produce potere riducente sotto forma di NADPH (fondamentale nella biosintesi degli acidi grassi).
  • 5. 5 L’acetil-CoA è il prodotto finale in cui convergono le principali vie cataboliche (β- ossidazione degli acidi grassi, glicolisi, ossidazione degli amminoacidi). Questo composto è la principale fonte che alimenta il ciclo dell’acido citrico. Le funzioni principali del ciclo dell’acido citrico sono rifornire la catena respiratoria di combustibile per sintetizzare ATP (sotto forma di potere riducente, NADH e FADH2) e costituire una sorta di serbatoio di compensazione cui affluiscono e da cui attingono quasi tutte le principali vie metaboliche (biosintetiche e degradative). Essendo il cuore dell’intero metabolismo intermedio, in condizioni normali l’equilibrio dinamico tra le reazioni che rimuovono intermedi dal ciclo e quelle che invece lo riforniscono è accuratamente preservato. Se, in situazioni particolari, al ciclo dell’acido citrico fossero sottratti una quantità notevole d’intermedi per essere utilizzati come precursori in altre vie, l’equilibrio sarebbe rapidamente ripristinato mediante reazioni anaplerotiche (es. piruvato carbossilasi). Queste reazioni sono regolate in modo da mantenere la velocità del ciclo compatibile con le necessità della cellula. Nella fase finale del metabolismo aerobico i trasportatori di elettroni (NADH e FADH2) sono a loro volta ossidati liberando protoni ed elettroni. Il trasferimento elettronico lungo la catena respiratoria mitocondriale termina con l’ossigeno come accettore finale, che si riduce formando acqua. L’elevata energia rilasciata durante il processo è accoppiata al trasporto di protoni attraverso la membrana interna mitocondriale (impermeabile alle specie cariche). La differenza di concentrazione protonica che si viene a creare a cavallo della membrana (potenziale elettrochimico) è convertita in ATP mediante un processo chiamato fosforilazione ossidativa, catalizzata dal complesso proteico ATP sintasi. In condizioni aerobie la maggior parte del fabbisogno energetico della cellula è fornito da queste reazioni. Per ulteriori approfondimenti sul metabolismo consultare i “Principi di biochimica” di Lehninger, 2006 quarta edizione. Cancro Il cancro si avvia a diventare la prima causa di morte in tutto il mondo, superando nella drammatica classifica le patologie cardiache. I morti di tumore sono fermi oggi a sette milioni l’anno, cifra che si reputa crescerà dell'1% ogni anno. Il cancro è dovuto a fallimento dei meccanismi che normalmente controllano la crescita e la proliferazione cellulare. Durante il normale sviluppo e per tutto la vita adulta, intricati sistemi di controllo regolano il bilancio tra morte e proliferazione in risposta a segnali che inducono la crescita, segnali che la inibiscono e segnali stimolano la morte programmata. Normalmente le cellule della maggior parte dei tessuti adulti non proliferano, incrementando il loro numero, eccetto che durante i processi di rigenerazione. Il cancro si sviluppa quando i meccanismi che mantengono costante il rapporto tra crescita e morte cellulare per qualche motivo non funzionano causando un eccesso di divisione cellulare. La perdita della regolazione cellulare, causa prima della maggior parte se non di tutti i casi di cancro, è dovuta al danneggiamento genetico. Alterazioni del genoma sono spesso associate al contatto con agenti chimici cancerogeni, radiazioni ultraviolette, ormoni, e a volte virus. Genetica del cancro Mutazioni in due grandi classi di geni sono state implicate nella genesi del cancro: proto- oncogeni e geni soppressori dei tumori. I proto-oncogeni normalmente promuovono la crescita cellulare; mutazioni in siti particolari li trasformano in oncogeni i quali sostengono continuamente la crescita cellulare. In particolare tra gli oncogeni vi possono essere geni codificanti fattori di crescita, recettori per fattori di crescita, trasduttori del pathway del segnale intracellulare (es. proteine del pathway di ras) e fattori di trascrizione nucleari (es. c- jun, c-fos, c-myc). Sia l’incremento dell’espressione genica che la sintesi di una versione anomala iperattiva possono trasformare i proto-oncogeni in oncogeni.
  • 6. 6 Le mutazioni che conferiscono al proto-oncogene un’iperattività possono essere suddivise in cinque categorie. (1) Mutazioni puntiformi (sostituzioni di paia di basi) nella regione codificante del proto-oncogene o nelle sue regioni di controllo (es. promotore) possono generare un oncogene. (2) Delezioni di una parte della regione di codificante o delle sequenze di controllo del proto-oncogene provocano la perdita di regolazione, inducendo un aumento della quantità o dell’attività della proteina codificata. (3) Una traslocazione cromosomica fonde due geni insieme creando un prodotto ibrido che codifica per una proteina chimerica attiva in modo costitutivo. (4) Una traslocazione cromosomica trasporta un gene regolatore della crescita sotto il controllo di un differente promotore, il quale promuove un’espressione inappropriata. (5) L’amplificazione di un segmento di DNA (dovuta probabilmente all’eccessiva replicazione casuale), che comprende anche il proto-oncogene, conduce a una sovrapproduzione della proteina codificata. La mutazione di una sola copia di un oncogene è sufficiente a conferire vantaggio proliferativo (effetto dominante). I geni soppressori di tumori hanno un ruolo di contenimento della crescita, perciò mutazioni che li inattivano danno via libera divisioni cellulari incontrollate. Al contrario degli oncogeni una singola mutazione non è sufficiente allo sviluppo del tumore, ed è necessaria una seconda alterazione a carico dell’altro allele (effetto recessivo). Una terza, più specializzata, classe di geni, costituita dai geni gatekeeper e caretaker, è spesso collegata al cancro. I geni caretaker normalmente sono coinvolti nel mantenimento dell’integrità del genoma (es. BRCA1, MMR). Quando per qualche motivo sono inattivati, le cellule acquisiscono un maggior rischio di subire mutazioni, le quali possono danneggiare i sistemi di controllo della crescita conducendo al cancro. I geni gatekeeper sono i regolatori del ciclo cellulare e della proliferazione (es. proteina del retinoblastoma [Rb] e p53). I geni gatekeeper e caretaker, come gli oncosoppressori, normalmente devono subire alterazioni non funzionali a carico di entrambi gli alleli per contribuire all’iniziazione di un tumore (p53 fa eccezione). Molti dei geni di queste tre classi codificano per proteine che regolano o assistono il ciclo cellulare o la morte programmata per apoptosi. Numerose cellule tumorali sono state trovate mancanti di uno o più sistemi funzionali di riparazione del DNA, fornendo una spiegazione al grande numero di mutazioni che possono accumulare. Sebbene gli enzimi di riparazione del DNA non possano direttamente inibire la crescita, le cellule che hanno perso l’abilità di riparare gli errori (sia puntiformi, sia interruzioni al singolo o al doppio filamento di DNA) accumulano mutazioni in molti geni, inclusi quelli critici per la regolazione del ciclo cellulare e la proliferazione. Pertanto mutazioni che causano la perdita di funzionalità dei geni caretaker (es. enzimi riparatori del DNA) impediscono alle cellule di correggere eventuali mutazioni che inattivano i geni soppressori dei tumori o che attivano oncogeni. Oncogenesi del cancro Le mutazioni oncogeniche colpiscono soprattutto linee somatiche e non quelle germinali. La presenza di alterazioni oncogeniche trasmesse dalla linea germinale può incrementare la probabilità che si sviluppi prima o poi un cancro. Comunque, perché ciò avvenga, è necessario che una mutazione somatica si combini con quella ereditaria. Per queste ragioni il processo che porta alla formazione di tumori, chiamato oncogenesi, è il risultato di un complesso intergioco tra fattori genetici e ambientali. E’ molto raro che la mutazione in un singolo gene possa scatenare la genesi del cancro. Più frequentemente è necessaria una serie di mutazioni in diversi geni per creare un tipo di cellula in grado di proliferare via a via più rapidamente e di scappare dalle restrizioni della crescita. In questo modo i cloni anomali acquisiscono un’opportunità di accumulare mutazioni aggiuntive, che possono conferire altri vantaggi come l’abilità di staccarsi dalla membrana basale e di stimolare la formazione di nuovi vasi sanguigni, necessari per un adeguato sostentamento.
  • 7. 7 Continuando a crescere e a espandersi nei tessuti circostanti i cloni anomali possono evolversi in tumori. In alcuni casi le cellule di un tumore primario possono migrare attraverso la circolazione sanguigna o la linfa verso nuovi siti, dove possono formare tumori secondari. Questo processo prende il nome di metastasi ed è la causa principale di morte del cancro. La metastasi è un complesso processo con molti passaggi. L’invasione di nuovi tessuti non è casuale, e dipende dalla natura sia delle cellule metastatiche sia del tessuto invaso. La metastasi è facilitata se le cellule tumorali producono da se fattori di crescita e di sostegno all’angiogenesi (induttori della crescita di nuovi vasi sanguigni). Queste cellule mobili e invasive sono molto pericolose. Tessuti sotto attacco, come un osso, un vaso sanguigno, il fegato, sono più vulnerabili se sono in grado di produrre fattori di crescita e, in particolar modo, di stimolare nuova vascolarizzazione, aiutando, di fatto, gli invasori. Al contrario, possono essere più resistenti se sintetizzano (1) fattori anti-proliferativi che limitano la divisione delle cellule tumorali, (2) inibitori degli enzimi proteolitici, i quali bloccano le proteasi delle cellule tumorali usate per penetrare nei tessuti, e (3) fattori anti-angiogenesi che impediscono alle cellule tumorali di stimolare la nuova crescita di vasi. Il tempo gioca un importante ruolo nel cancro. Possono essere necessari molti anni per accumulare multiple mutazioni che sono richieste per formare un tumore, e per questo motivo la maggior parte di essi si sviluppa in tarda età. La necessità di accumulare mutazioni multiple abbassa, inoltre, la frequenza di comparsa di un cancro. Ciò nonostante, un enorme numero di cellule sono, in sostanza, mutagenizzate e testate per la propria capacità alterata di crescita durante tutta la vita dell’organismo. Un potente processo di selezione favorisce la formazione di queste cellule. Più le cellule alterate proliferano velocemente e diventano abbondanti, subendo ulteriori cambiamenti genetici, più esse costituiranno una seria minaccia per l’organismo. Per di più, il cancro si sviluppa con alta frequenza solo dopo l’età riproduttiva, e perciò gioca un ruolo minore nel successo riproduttivo. Per tali ragioni il cancro è considerato un evento comune, in parte riflettendo l’incremento della speranza di vita umana, e in parte riflettendo la mancanza di selezione evolutiva contro questa malattia. Nonostante si generino con alta frequenza, soprattutto negli individui anziani, non tutti i tumori costituiscono un rischio per il loro ospite. Questi tipi tumore sono chiamati benigni e sono spesso ben localizzati e di dimensioni ridotte. Le cellule che compongono un tumore benigno assomigliano moltissimo alle cellule normali, anche dal punto di vista funzionale. Le molecole di adesione cellulare, che hanno la funzione di tenere unito il tessuto, sono in grado di mantenere localizzate le cellule tumorali sul tessuto in cui si sono originate. I tumori benigni possono diventare un serio problema medico solo se le loro dimensioni interferiscono con le normali funzioni o se quest’ultime secergono un grande eccesso di sostanze biologicamente attive come gli ormoni. Al contrario, le cellule che fanno parte di un tumore maligno, crescono e si dividono più rapidamente delle controparti normali, esibendo tassi di mortalità inferiori. La principale caratteristica che differenzia i tumori maligni da quelli benigni è l’abilità di invadere i tessuti vicini con possibilità di espandersi anche in siti distanti. Ciò è in parte dovuto a importanti cambiamenti nell’espressione di proteine della superficie cellulare, alla capacità di attivare proteasi extracellulari, e a drastiche alterazioni interne del citoscheletro. Sembra che anche il microambiente in cui proliferano le prime cellule tumorali sia un fattore molto importante per lo sviluppo di un tumore. Si è osservato che il cancro colpisce con frequenza siti danneggiati o che hanno subito un’infezione. Le cellule del sistema immunitario, dopo esser migrate al sito lesionato, stimolano l’infiammazione, e producono fattori di crescita per rigenerare i tessuti. Tutte questi eventi possono contribuire a rafforzare lo sviluppo del tumore.
  • 8. 8 L’ipossia è un'altra condizione che può favorire lo sviluppo di un tumore. Il fattore trascrizionale indotto da ipossia (HIF1) è attivato da basse concentrazioni di ossigeno che spesso occorrono nelle parti più interne della massa tumorale in crescita. HIF1 a sua volta induce la trascrizione di vari geni, tra i quali fattori di crescita endoteliali (VEGF) che favoriscono i processi di angiogenesi necessari per rifornire adeguatamente il tumore. Ciclo cellulare e meccanismi di controllo Il principale bersaglio delle mutazioni oncogeniche è senza dubbio il complesso meccanismo di regolazione del ciclo cellulare. Proteine regolatrici positive e negative controllano con precisione l’ingresso e la progressione delle cellule nel ciclo cellulare. Nella maggior parte degli eucarioti il ciclo cellulare è suddiviso in quattro fasi: la fase di intervallo 1 (gap 1 o G1), la fase di sintesi (S), la fase di intervallo 2 (gap 2 o G2) e la mitosi (M). Il sistema regolatorio assicura un appropriato coordinamento della crescita cellulare durante la fase G1 e G2, della replicazione del DNA durante la fase S e della segregazione cromosomica e citochinesi durante la mitosi. Inoltre le cellule che hanno subito un danno al DNA normalmente sono arrestate prima della fase di sintesi (in G1) o della segregazione dei cromosomi (in G2). Altre proteine regolatrici controllano l’andamento delle fasi di mitosi e segregazione dei cromosomi. Ad esempio il meccanismo che assiste il corretto assemblaggio del fuso mitotico previene dall’entrata in anafase finché tutti i cromosomi replicati sono attaccati correttamente all’apparato mitotico della metafase. L’aneuploidia è un’anomalia caratteristica di quasi tutti i tumori dovuta alla presenza di un numero aberrante di cromosomi, generalmente causata dalla mancanza di un controllo efficace in fase M. Tutti questi sistemi complessi, sensibili anche a difetti nel macchinario di controllo del ciclo stesso, sono chiamati checkpoint. L’arresto consente la riparazione del danno o, se ciò non è possibile, la distruzione della cellula. L’intero sistema di controllo del ciclo cellulare evita la possibilità che cellule danneggiate si dividano in un modo non programmato, diventando cancerogene. Mutazioni che determinano la perdita della funzione del gene soppressore p53 sono frequenti in più del 50% dei tumori umani. La forma attiva di p53 è un tetramero costituito da quattro identiche subunità. Una mutazione missenso in uno dei due alleli di p53 può abrogare la maggior parte dell’attività di p53 poiché tutti gli oligomeri conterranno virtualmente almeno una subunità alterata. Le mutazioni oncogeniche di p53 agiscono pertanto come dominanti negativi. Cellule con p53 non alterato vanno incontro ad arresto in fase G1 quando esposte a danneggiamento del DNA in seguito a trattamenti con UV. A differenza delle altre proteine del ciclo, p53 è espresso a livelli molto bassi nelle cellule normali poiché è estremamente instabile e rapidamente degradato. Situazioni di stress, come esposizione a ultravioletti o raggi γ, shock termici e basse concentrazioni di ossigeno, possono accrescere i livelli di p53. Il danneggiamento del DNA è in grado di attivare le proteine ATM o ATR attraverso dei meccanismi ancora da approfondire. Questi complessi proteici sono delle serin- chinasi in grado di fosforilare, e quindi stabilizzare, p53 favorendo l’aumento della sua concentrazione. P53 stabilizzato attiva la trascrizione del gene codificante p21CIP , il quale a sua volta lega e inibisce il complesso ciclina-CDK della fase G1 dei mammiferi. Come risultato, le cellule con DNA danneggiato si arrestano in G1, permettendo la riparazione del filamento da parte di appositi enzimi o, nel caso ciò non sia possibile, bloccando in modo permanente la cellula. Oltre a svolgere questo ruolo durante la transizione G1→S, p53 può indurre la trascrizione di p21CIP anche in fase G2, inibendo la proteina CDK1 che è un elemento essenziale del complesso ciclina B-CDK1 richiesto per l’entrata in mitosi. Pertanto se il DNA si fosse danneggiato dopo la sua replicazione, p53 potrebbe arrestare il ciclo in G2 prevenendo la trasmissione dell’alterazione alle cellule figlie. L’importante ruolo di p53 non si limita all’induzione dell’arresto del ciclo cellulare. Questo multifunzionale soppressore dei tumori stimola la produzione di proteine apoptotiche
  • 9. 9 e di enzimi riparatori del DNA. La senescenza e l’apoptosi potrebbero essere, infatti, i più importanti strumenti attraverso cui p53 previene la crescita tumorale. Telomerasi La telomerasi sembra sostenere in modo decisivo l’immortalità delle cellule tumorali, pur non appartenendo alle principali classi di geni implicate nella genesi del cancro (oncogeni, geni soppressori dei tumori, gatekeeper e caretaker). Alle estremità dei cromosomi lineari sono presenti delle brevi sequenze ripetute chiamate telomeri. La telomerasi, una trascrittasi inversa contenente un RNA come templato, è in grado di mantenere sufficientemente lunghe le sequenze dei telomeri, ponendo rimedio all’incapacità della DNA polimerasi di replicare completamente le estremità di una molecola di DNA a doppio filamento. Cellule della linea germinale e staminali producono telomerasi, mentre la maggior parte delle cellule somatiche umane possiede solo un basso livello dell’enzima, espresso all’entrata della fase S. Ciò determina un accorciamento progressivo della lunghezza dei telomeri per ogni ciclo cellulare, limitando la capacità proliferativa della cellula. La completa perdita dei telomeri può causare fusione delle due estremità cromosomiche portando a morte cellulare. Pertanto l’accorciamento eccessivo dei telomeri è riconosciuto dalla cellula come un particolare tipo di danno al DNA, con seguente stabilizzazione e attivazione della proteina p53 e induzione del pathway apoptotico. Le cellule tumorali spesso presentano sequenze telomeriche particolarmente lunghe e alti livelli di telomerasi, conferendo un potenziale replicativo illimitato e favorendo una generale instabilità genomica. Per ulteriori approfondimenti sul cancro consultare il “Molecular cell biology” di Lodish Harvey, 2008 sesta edizione. Metabolismo e Cancro Ai giorni nostri si ritiene siano sei le alterazioni fondamentali nella fisiologia della cellula che collettivamente potrebbero dettare la trasformazione maligna: (1) autosufficienza ai segnali di crescita, (2) insensitività ai segnali inibitori della crescita, (3) potenziale replicativo illimitato, (4) costante stimolazione dell’angiogenesi, (5) metastasi e invasione dei tessuti, e (6) evasione dalla morte cellulare programmata [1]. In aggiunta, c’è un crescente gruppo di prove che affermano che un'altra peculiarità precoce delle cellule tumorali sia l’alta induzione del metabolismo glicolitico. Otto Warburg fu senza dubbio uno dei più brillanti scienziati che contribuì a gettare luce sul metabolismo tumorale. Nel 1926, sfruttando le nuove tecniche di monitoraggio dei gas in tessuti isolati e misurando contemporaneamente il consumo di ossigeno e la produzione di lattato in cellule tumorali, Warburg osservò che in presenza di ossigeno le cellule tumorali in rapida crescita consumavano glucosio a una velocità sorprendentemente alta se confrontate alle controparti normali. Inoltre la maggior parte del carbonio derivato dal glucosio era secreta sotto forma di lattato. Warburg affermò che questo fenomeno, chiamato “glicolisi aerobia” (o “effetto Warburg” dal nome del suo scopritore), fosse provocato da un danneggiamento mitocondriale e che potesse essere considerato la causa prima della trasformazione delle cellule tumorali [2]. L’ipotesi di Warburg influenzò profondamente la percezione odierna del metabolismo del cancro, attirando l’attenzione dell’oncologia clinica sulla glicolisi aerobia. Mentre alcune di queste idee resistono al trascorrere del tempo, non di rado hanno generato equivoci riguardo ai meccanismi biochimici che stanno alle basi della trasformazione tumorale. Infatti, la prima incontestabile prova di causalità tra disfunzioni mitocondriali e genesi dei tumori è stata scoperta solamente meno di una decade fa. Mutazioni nella succinato deidrogenasi (SDH) o nella fumarato idrolasi (FH), entrambi enzimi del ciclo di Krebs, sono state scoperte essere l’evento scatenante del paraganglioma familiare o del leiomoma, e del cancro alle papille renali, rispettivamente [3] [4]. Pertanto, ad eccezione di poche conosciute forme di cancro, l’alterazione dell’attività mitocondriale, osservata in molti tumori, potrebbe
  • 10. 10 essere la conseguenza di un complesso cambiamento metabolico piuttosto che l’origine della trasformazione maligna. L’assunzione di un fenotipo altamente proliferativo, garantisce alla cellula trasformata di duplicare velocemente il genoma, sintetizzare proteine e lipidi, e assemblare tutti questi componenti per formare una nuova cellula figlia. Queste attività richiedono l’assorbimento di nutrienti extracellulari e la loro ardua e rigorosa conversione in precursori biosintetici piuttosto del processamento in cataboliti. Le cellule tumorali possono conseguire la trasformazione metabolica attraverso cambiamenti nell’espressione e nell’attività degli enzimi che determinano la velocità dei flussi metabolici, inclusi quelli preposti all’assunzione e all’utilizzo dei nutrienti. Le ricerche degli ultimi anni si sono focalizzate su quest’aspetto della tumorigenesi, rivelando attività metaboliche in diversi tipi di tumori e provando che mutazioni oncogeniche sono in grado di promuovere un’autonomia metabolica elevando l’assorbimento dei nutrienti a livelli che possono perfino eccedere quelli richiesti per la crescita e la proliferazione cellulare [5]. L’aspetto più immediato e studiato della trasformazione metabolica è la dipendenza dal glucosio come fonte d’intermedi carboniosi per i pathway anabolici e per la sintesi dell’ATP (Fig. 1). La maggior parte dei processi anabolici richiesti per accelerare la velocità di crescita è compiuta dall’elevata glicolisi, assistita dal rifornimento d’intermedi del ciclo di Krebs (mediate vie anaplerotiche) [5] [6] (Fig. 1) Figura 1. Pathway catabolici e anabolici nelle cellule normali e tumorali. La colorazione indica: rosso, glicolisi; bianco, ciclo di Krebs; rosa, biosintesi degli a.a. non essenziali; arancio, ciclo del pentosio fosfato e biosintesi dei nucleotidi; verde, biosintesi degli ac. Grassi e dei lipidi; blu, ossidazione del piruvato nel mitocondrio; marrone glutamminolisi; nero, reazione anaplerotica dell’enzima malico. Le frecce indicano: intere, una reazione a singolo passaggio; a puntini, reazioni a passaggi multipli; a tratteggio, trasporto attraverso una membrana. Abbreviazioni: HK, esochinasi; AcCoA, acetil Co-enzima A; OAA, ossalacetato; αKG, α-chetoglutarato (Eyal Gottlieb, [7]).
  • 11. 11 Allo scopo di generare ribosio 5-fosfato per la biosintesi dei nucleotidi, le cellule deviano il glucosio dalla glicolisi al ramo ossidativo e non-ossidativo della via del pentosio fosfato [8]. Le cellule tumorali esprimono alti livelli degli enzimi lipogenici ATP-citrato liasi, acetil-CoA carbossilasi e acido grasso sintasi a causa dell’elevata necessità di una sintesi de novo di lipidi [9] [10]. In particolare, il citrato derivato dal ciclo di Krebs è l’unica risorsa di acetil-CoA citosolico necessario per la biosintesi dei lipidi (Fig. 1). La notevole produzione di proteine coinvolge la sintesi de novo di amminoacidi non essenziali. Sia il glucosio sia la glutammina, ampiamente consumati dalle cellule tumorali, costituiscono i precursori precoci degli amminoacidi non essenziali (Fig. 1). Due intermedi glicolitici, il 3-fosfoglicerato e il piruvato, sono direttamente necessari per la biosintesi della serina e dell’alanina (la serina può esser nuovamente metabolizzata in glicina o cisteina). Inoltre, gli intermedi del ciclo di Krebs sono usati per sintetizzare aspartato, asparagina, glutammato, prolina, arginina e glutammina (Fig. 1). Le vie anaplerotiche riescono ad alimentare le funzioni del ciclo di Krebs, impegnato a sostenere la biosintesi degli amminoacidi non essenziali e degli acidi grassi. Ciò avviene attraverso sia la conversione del piruvato in ossalacetato, per opera della piruvato carbossilasi, sia scomponendo la glutammina in α-chetoglutarato (glutamminolisi) (Fig. 1). Quest’ultimo processo è predominante nelle cellule tumorali [11] [12] [13] facendo diventare la glutammina oltre che un amminoacido essenziale anche la fonte principale di metaboliti anabolici per il ciclo di Krebs. E’ importante sottolineare che la stretta connessione tra il metabolismo cellulare, la bioenergetica dei mitocondri, e la genesi dei tumori era stata immaginata più di settant’anni fa da Otto Warburg. Il biochimico si era comunque focalizzato più sul ramo bioenergetico del fenomeno della trasformazione metabolica. Lui propose che difetti nella fosforilazione ossidativa mitocondriale causassero l’incremento del flusso glicolitico essendo l’unica alternativa per la produzione di ATP. Ai giorni nostri l’attenzione della ricerca sulla trasformazione metabolica si è spostata più ai processi anabolici [14]. Rimane comunque una discrepanza irrisolta tra le osservazioni originali di Warburg e la trasformazione anabolica per com’è interpretata oggi: il fatto che le cellule tumorali producano e secretino una grande quantità di lattato, derivata sia dal glucosio come Warburg sosteneva sia in parte della glutammina come proposto recentemente, costituisce una perdita di atomi di carbonio che non potrebbero più essere utilizzati per l’anabolismo. Pertanto, se d’altra parte ci si aspetta che tumori in rapida crescita assimilino e processino il carbonio ad alti livelli per sostenere l’anabolismo, l’elevata velocità di produzione del lattato rimane controversa. Il vantaggio adattativo che le cellule tumorali acquisiscono rispetto alle controparti normali nel sopravvivere in un ambiente acido (dovuto agli effetti del lattato) non è una spiegazione soddisfacente all’ingente quantità di lattato prodotta dal metabolismo. Perciò è più che lecito ipotizzare che anche quest’aspetto della trasformazione possa essere imputabile a cause bioenergetiche non ancora del tutto comprese. Recentemente, il cresciuto interesse sul metabolismo tumorale ha avuto delle importanti applicazioni cliniche. La tomografia a emissione di positroni (PET) è una tecnica di medicina nucleare e diagnostica medica in grado di produrre immagini tridimensionali o mappe dei processi funzionali all’interno del corpo. Questa metodica è utilizzata estensivamente in oncologia clinica per seguire i processi espansivi del tumore. Sfruttando la traccia di un analogo del glucosio, il 18-fluorodeossiglucosio (FDG) la tomografia di emissione di positroni è in grado di ottenere immagini della maggior parte dei tumori umani primari e delle metastasi, in quanto presentano un significativo incremento dell’assunzione di glucosio. Lo sviluppo di questa tecnica costituisce una chiara conferma delle ipotesi di Warburg [15] [16]. Nonostante la tesi del danneggiamento mitocondriale sia molto controversa, un crescente numero di evidenze sulla trasformazione metabolica suggerisce che le funzioni mitocondriali possano comunque essere alterate come effetto di diversi fattori, come bassi livelli di ossigeno, cambiamento dei flussi metabolici, o rimodellamento dell’espressione genica.
  • 12. 12 Ruolo del fattore 1 inducibile da ipossia e delle vie di trasmissione del segnale Una delle principali caratteristiche delle cellule tumorali è la loro velocità proliferativa. I tumori diventano facilmente ipossici a causa della rapida crescita poiché il tessuto vascolare non è capace di rifornire di una quantità adeguata di ossigeno. Solitamente le condizioni d’ipossia sono letali per le cellule normali. Al contrario, le cellule tumorali possono evadere con successo la morte indotta da ipossia mediante l’abbassamento dell’espressione o la mutazione di p53 [17]. Le cellule tumorali sovrastimolano il pathway glicolitico come conseguenza dell’incapacità dei mitocondri di provvedere a sufficienza alle necessità di ATP per la sopravvivenza cellulare in condizioni di ipossia. Questo succede attraverso l’induzione del fattore inducibile dall’ipossia 1 (HIF1) [18]. HIF1 stimola i passaggi chiave della glicolisi, e inoltre regola i geni che controllano l’angiogenesi, la sopravvivenza cellulare e l’invasione. Ciò nonostante, bisogna segnalare che, in alcuni tumori, alti livelli del fattore 1 inducibile da ipossia sono stati osservati anche in condizioni di normale concentrazione di ossigeno. Questo indica che, oltre all’ipossia, altre molecole (es. ormoni e fattori di crescita) potrebbero causare la stabilizzazione dell’espressione di HIF1 [19]. La stimolazione della glicolisi può anche essere dovuta all’attivazione della fosfoinositide 3 chinasi (PI3K) e del suo bersaglio a valle, Akt (o proteina chinasi B), i quali sono coinvolti in un pathway di trasmissione del segnale di sopravvivenza ricevuto da vari recettori di superficie. L’attivazione di Akt, frequentemente osservata nelle cellule tumorali [20], porta a un incremento delle dimensioni della cellula, stimola il pathway glicolitico e il metabolismo, e favorisce la sopravvivenza della cellula [21]. Diversi passaggi della glicolisi sono stati scoperti essere regolati dalla proteina chinasi B mediante un meccanismo post-trascrizionale. In assenza di fattori estrinseci, anche la localizzazione dei trasportatori del glucosio sulla superficie cellulare e il mantenimento delle funzioni della esochinasi erano regolati negativamente dalla proteina chinasi B. I mitocondri stessi sono in grado di stimolare la stabilizzazione del fattore 1 indotto da ipossia. Quando nelle cellule tumorali la respirazione mitocondriale è regolata negativamente, l’accumulo di substrati del ciclo di Krebs potrebbe servire come segnale di stimolo della glicolisi [22]. Il succinato è stato dimostrato inibire la prolin idrolasi di HIF1-α nel citosol, causando la stabilizzazione e l’attivazione del fattore 1α indotto da ipossia. L’inibizione della succinato deidrogenasi può portare all’accumulo del succinato nei mitocondri. Mutazioni di quest’enzima sono state coinvolte nella predisposizione di alcuni tumori benigni, quindi la succinato deidrogenasi dovrebbe essere considerata a tutti gli effetti un soppressore dei tumori [3]. Un meccanismo di stabilizzazione simile è stato notato anche per il lattato e il piruvato [24]. Le disfunzioni mitocondriali possono condurre all’attivazione di Akt. Alterazioni nella respirazione mitocondriale provocano l’innalzamento dei livelli di NADH, il quale di conseguenza può inattivare PTEN (fosfatasi e omologa della tensina) attraverso un meccanismo mediato da ossidoriduzione [25]. La fosfatasi omologa della tensina è un regolatore negativo lipidico delle funzioni di PI3K, in grado di arrestare la trasmissione del segnale passante attraverso Akt. Le funzioni del fattore 1 inducibile da ipossia non si limitano alla stimolazione degli enzimi che favoriscono l’utilizzo del glucosio. Alcune recenti scoperte hanno dimostrato che HIF1 è in grado di sopprimere le attività mitocondriali delle cellule tumorali. Ciò potrebbe suggerire un suo ruolo come modulatore delle relazioni tra glicolisi e fosforilazione ossidativa. Lo spostamento tra glicolisi e fosforilazione ossidativa è controllato dalle connesse attività di due enzimi, la piruvato deidrogenasi (PHD) e la lattato deidrogenasi (LDH). L’attività della piruvato deidrogenasi è a sua volta regolato dalla piruvato deidrogenasi chinasi (PDK). In alcuni tumori la piruvato deidrogenasi chinasi si è scoperta essere indotta dal fattore 1 inducibile da ipossia, inattivando PDH e di conseguenza sopprimendo il ciclo di Krebs e la respirazione mitocondriale [26]. La soppressione dell’ossidazione del piruvato
  • 13. 13 potrebbe proteggere le cellule dall’eccessiva produzione di specie reattive dell’ossigeno, con effetti citotossici [27]. Inoltre, anche l’espressione del gene codificante la lattato deidrogenasi A si è dimostrata essere stimolata dal fattore 1 inducibile da ipossia [28]. Questo meccanismo potrebbe ulteriormente diminuire l’utilizzo del piruvato dai mitocondri, sopprimendo la respirazione mitocondriale. P53 e la regolazione dell’attività mitocondriale Recenti osservazioni hanno rivelato che p53, oltre ad avere un ruolo centrale nella regolazione della risposta cellulare in situazioni di stress, può modulare il bilancio tra pathway glicolitici e la fosforilazione ossidativa mitocondriale [29]. Il gene codificante la sintasi 2 della citocromo c ossidasi (SCO2) è l’elemento chiave in questa regolazione. Esso è richiesto, insieme alla proteina sintasi 1 della citocromo c ossidasi (SCO1), per il corretto assemblaggio della citocromo c ossidasi. L’analisi dei potenziali bersagli di p53 ha dimostrato che la trascrizione di SCO2, e non quella di SCO1, è incrementata di oltre nove volte dall’azione di p53. Perciò mutazioni di p53 possono causare nei tumori un indebolimento della respirazione mitocondriale come risultato della mancanza di citocromo c ossidasi (COX) e di conseguenza spostare il metabolismo energetico verso la glicolisi. L’inibizione della glicolisi, dovuta alla mancanza di glucosio, è un segnale per la fosforilazione e attivazione di p53 [30]. Perciò, in condizioni di leggero o modesto stress cellulare, come quelle causate dalla deprivazione di glucosio, l’attivazione di p53 potrebbe incrementare l’espressione di SCO2 e di conseguenza stimolare la respirazione mitocondriale e la produzione di ATP. TIGAR (TP53 [Tumor protein 53]-induced glycolisis and apoptosis regulator) è un altro bersaglio, recentemente scoperto, di p53. L’espressione di questa proteina abbassa i livelli intracellulari di fruttosio- 2,6-bifosfato, provocando l’inibizione della glicolisi [31]. Trasformazione metabolica e apoptosi La resistenza all’apoptosi acquisita dalle cellule tumorali è una delle conseguenze più importanti della sovrastimolazione della glicolisi. Tra i due maggiori pathway apoptotici conosciuti quello intrinseco coinvolge l’incremento della permeabilità della membrana mitocondriale, cui segue il rilascio del citocromo c e di altri fattori pro-apoptotici segregati all’interno del mitocondrio. I meccanismi che provocano l’alterazione della permeabilità della membrana mitocondriale sono diversi e possono coinvolgere sia solo la membrana esterna del mitocondrio (OMM) sia entrambe le membrane, con seguente rottura osmotica dell’organello. Una volta nel citosol, il citocromo c interagisce con la sua molecola adattatrice Apaf-1 (fattore 1 attivante le proteasi apoptotiche), reclutando e attivando la pro-caspasi 9. La caspasi 9 a sua volta taglia e attiva la pro-caspasi 3 e pro-caspasi 7. Queste caspasi effettrici sono responsabili della degradazione di una grande varietà di proteine cellulari, conducendo alla morte programmata. Pertanto, la permeabilità della membrana esterna mitocondriale è considerata cruciale nella fase precoce dei processi apoptotici [32]. Un grande numero di osservazioni supporta l’opinione che la trasformazione glicolitica renda i tumori meno sensibili alla permeabilizzazione dell’OMM e quindi più resistenti al pathway apoptotico mitocondriale. L’enzima glicolitico esochinasi sembra essere l’elemento chiave di questo processo. Molti tumori sono caratterizzati da una sovraespressione dell’esochinasi-I (tumori al cervello) e dell’esochinasi-II (nella maggior parte degli altri). Queste proteine sono note avere una grande affinità di legame con il mitocondrio [33]. In particolare, l’interazione con il canale anionico voltaggio-dipendente (VDAC) favorisce la fosforilazione del glucosio operata dalle esochinasi. La possibilità di poter usare direttamente l’ATP proveniente dal mitocondrio promuove ulteriormente l’alta velocità di glicolisi [34]. Inoltre il legame tra esochinasi e canale anionico voltaggio-dipendente contribuisce a mantenere la proteina mitocondriale in stato aperto, ostacolando i meccanismi di permeabilizzazione della membrana mitocondriale esterna in cui lo VDAC è coinvolto.
  • 14. 14 L’interazione tra esochinasi e canale anionico voltaggio-dipendente ha anche l’effetto di impedire il legame di quest’ultimo (cui siti sono occupati dall’esochinasi) con le proteine pro- apoptotiche. Ciò previene la chiusura dello VDAC e ostacola i meccanismi che posso portare all’apertura del poro transitorio di permeabilità mitocondriale (MTP pore), con seguente fuoriuscita di mediatori apoptotici e induzione della morte programmata [35]. Introduzione agli articoli Recenti scoperte hanno dimostrato che la stimolazione dell’attività mitocondriale e il ripristino dei meccanismi di generazione dell’ATP caratteristici delle cellule non maligne potrebbero essere un efficiente strumento nella strategia antitumorale. Ripristinare il metabolismo mediante la riattivazione della funzionalità mitocondriale significa colpire contemporaneamente la resistenza all’induzione dei pathway apoptotici. L’alterazione o il silenziamento dei mitocondri permette alle cellule tumorali di stabilire un efficiente controllo dello stress ossidativo, conferendo la peculiare resistenza ai meccanismi apoptotici dipendenti dal mitocondrio. Nella mia tesi ho voluto analizzare due articoli che affrontano la complessa interazione fra trasformazione metabolica e silenziamento mitocondriale delle cellule tumorali. In particolare ogni articolo si focalizza su aspetti diversi attraverso cui la cellula tumorale riesce contemporaneamente a modificare il proprio metabolismo e a reprimere i pathway apoptotici. Il primo articolo dimostra che il destino del piruvato, a seconda che sia ridotto nel citosol dalla lattato deidrogenasi o che venga ossidato nel mitocondrio dalla piruvato deidrogenasi, determina la direzione del metabolismo tumorale. L’attivazione della piruvato deidrogenasi, mediante l’inibizione della piruvato deidrogenasi chinasi (PDK), può normalizzare le cellule tumorali, stimolando la fosforilazione ossidativa, e abbassando la resistenza all’apoptosi. Il secondo articolo affronta il ruolo della proteina disaccoppiante 2 nel controllo della funzionalità mitocondriale e dello stress ossidativo. In molti tipi di tumori resistenti a trattamenti con chemioterapici si è osservata un’espressione elevata dei livelli di proteina disaccoppiante 2. Oltre a controllare la produzione di specie reattive dell’ossigeno, queste proteine della membrana interna mitocondriale sembrano avere delle implicazioni sulla stimolazione dell’effetto Warburg. Proteine disaccoppianti mitocondriali Nei mitocondri eucariotici ci sono tipicamente tra le 35 e 55 differenti proteine trasportatrici, le quali facilitano lo scambio specifico di molecole tra citosol e matrice mitocondriale [36]. Le proteine disaccoppianti 1, 2, 3, 4 e 5 (UCP1, UCP2, UCP3, UCP4 e UCP5) sono membri della famiglia di trasportatori anionici presenti nelle membrana interna mitocondriale. Nella forma funzionale le proteine disaccoppianti si ritiene siano degli omodimeri. La prima proteina disaccoppiante conosciuta, UCP1, si è scoperta nel tessuto adiposo bruno. Studi su mitocondri isolati da tessuto adiposo bruno hanno rivelato un’elevata velocità respiratoria e un’attività ossidativa disaccoppiata, non controllata dall’ADP. Una rapida respirazione non associata con la sintesi dell’ATP rappresenta un potente processo termogenico. Questo meccanismo è portato a termine dalla proteina disaccoppiante mitocondriale 1, la quale, dissipando la forza motrice protonica, riduce il numero di protoni che può passare attraverso il complesso dell’ATP-sintasi. Il tessuto adiposo bruno è noto regolare la termogenesi “non da brivido” nei neonati, nei mammiferi ibernanti e nei roditori che si sono nutriti eccessivamente [37]. Gli adipociti del grasso bruno assumono una diversa conformazione per portare a termine questo processo: elevano enormemente la concentrazione della proteina disaccoppiante 1 fino a raggiungere il 10% delle proteine di membrana e, contemporaneamente, riducono i livelli l’ATP-sintasi attivando le UCP1 mediante gli acidi grassi. La conduttanza protonica delle proteine disaccoppianti 1 è sotto stretto controllo: gli acidi grassi sono in grado di stimolarla efficacemente, mentre i nucleotidi purinici (ATP, ADP, GTP e GDP) hanno una forte azione inibente. La proteina disaccoppiante 2 ha il 59% d’identità con la proteina disaccoppiante 1 e la sua massa molecolare è di circa 31-34 kDa
  • 15. 15 (per il monomero). Fin da quando nel 1997 è stata clonata per la prima volta, la proteina disaccoppiante 2 ha attirato molto l’interesse dei ricercatori. Diversamente dalla proteina disaccoppiante 1, la UCP2 è espressa in vari tessuti. Il messaggero della proteina disaccoppiante 2 è stato trovato a livelli elevati nella milza, nel timo, nelle cellule β pancreatiche, nel cuore, nei polmoni, nel tessuto adiposo bianco e bruno, nello stomaco, nei testicoli e nei macrofagi. Quantità inferiori sono state scoperte nel tessuto cerebrale, nei reni, nel fegato, e nei muscoli [38] [39]. Sebbene la proteina disaccoppiante 2 è ben espressa in molti tessuti a livello di messaggeri, sembra che la quantità di proteina non sia proprio proporzionata allo mRNA. I livelli proteici di UCP2 sono apparentemente non rilevabili in alcuni tessuti, dove il messaggero è facilmente visibile. Allo stesso modo, cambiamenti nell’espressione del messaggero non per forza implicano una variazione della quantità di proteina espressa [40]. Perciò è importante assicurarsi sempre della presenza della proteina disaccoppiante 2 attraverso saggi dei livelli proteici. I meccanismi di funzionamento della UCP2 sono ancora fonte di dibattito. Gli studi svolti finora hanno ipotizzato un collegamento con processi di termogenesi, trasporto di acidi grassi, mediazione nella secrezione dell’insulina, e protezione dalle specie reattive dell’ossigeno.
  • 16. 16 MATERIALI E METODI Colture cellulari Le linee cellulari utilizzate negli esperimenti del primo articolo sono state: A549: derivata da espianti di tumore umano al polmone non a piccole cellule. E’ stata ottenuta dal centro di risorse biologiche ATCC (Manassas, VA). Le cellule sono state mantenute in terreno di coltura F12K. M059K: derivata da espianti di glioblastomi umani. E’ stata ottenuta dal centro di risorse biologiche ATCC (Manassas, VA). Le cellule sono state mantenute in terreno di coltura DMEM/F12 (Gibco/Invitrogen, Ontario). MCF-7: derivata da espianti di tumore al seno umano. E’ stata ottenuta dal centro di risorse biologiche ATCC (Manassas, VA). Le cellule sono state mantenute in terreno di coltura DMEM (Sigma-Aldrich, Ontario). SAEC: derivata da espianti di piccole cellule epiteliali delle vie respiratorie umane. E’ stata ottenuta dalla corporazione Cambrex Bioscience (Guelph, Ontario). Le cellule sono state mantenute in terreno di coltura industriale. Fibroblasti: derivata da cellule umane, ottenute dal centro di risorse biologiche ATCC (Manassas, VA). Le cellule sono state mantenute in terreno di coltura industriale. PASMC: derivata da cellule della muscolatura liscia dell’arteria polmonare umane, ottenute dal polmone di un donatore trapiantato. Le cellule sono state mantenute in terreno di coltura DMEM. A tutti i terreni di coltura erano in seguito aggiunto 10% di Fetal bovine serum (FBS) e 5% del mix di antibiotici penicillina/streptomicina/fungizone (PSF). Il Dicloroacetato (0.05, 0.5, 5 mM, Sigma, St Louis), il t-butiril-H2O2, o il VIVIT (4 µM), un inibitore competitivo peptidico del fattore di trascrizione nucleare dei linfociti T attivati (NFAT) (sequenza a.a. “MAGPHPVIVITGPHEE”) sono stati preparati come una soluzione acquosa per essere poi aggiunti al medium con le cellule a confluenza. Le colture sono state incubate fino a 48 ore prima della raccolta. Nel secondo articolo sono state utilizzate: HCT166, HT29, DLD1, CaCo2: derivate da espianti di tumore umano al colon. Le linee cellulari state ordinate dall’American Type Culture Collection, e mantenute in seguito in terreno di coltura McCoy’s modificato (HCT166 e HT29), RPMI 1640 (DLD1), Eagle’s MEM (CaCo2). Le colture cellulari p53-/- HCT116 e la rispettiva linea wild-type isogenetica, usate solo in alcuni esperimenti, sono state una generosa donazione del Dott. Bert Vogelstein (Johns Hopkins University, Baltimore, MD). A tutti i media di coltura erano aggiunti siero bovino fetale 10% (FBS) (20% nel caso delle CaCo2), L-glutammina 2 mM, e penicillina-streptomicina 1%. Le linee sono state mantenute in un incubatore umidificato a 37°C, CO2 5%.
  • 17. 17 Microscopia Confocale e Immunoistochimica Questa tecnica è stata utilizzata soprattutto nel primo articolo. Le immagini sono state ottenute con il Microscopio Confocale Zeiss LSM 510 utilizzando una tecnica a colorazione multipla [41] [42]. L’immunodecorazione è stata eseguita su cellule paraffinate, usando la tecnica di riesposizione a microonde dell’antigene mascherato dalla fissazione, ed i seguenti kit ed anticorpi primari: Apoalert Annexin V kit (Clontech, Palo Alto, CA), anticorpo anti- citocromo c (diluizione 1:100), anticorpo anti-fattore di induzione dell’apoptosi (AIF; 1:100), anticorpo anti-NFAT-1 (1:100), anticorpo anti-canale del potassio voltaggio-dipendente (Kv1.5; 1:100), anticorpo anti-Survivin (1:100) e il mitotracker red (500 nM). Apoalert Annexin V kit si basa sul principio che le cellule nei precoci stadi di apoptosi traslocano il fosfolipide fosfatidilserina dal lato interno a quello esterno della membrana plasmatica. L’Annexina, sfruttando questi cambiamenti, è in grado di legarsi alla membrana ed emettere una fluorescenza rilevabile dagli strumenti. Gli anticorpi secondari erano coniugati a TRITC (1:200, red) e FITC (1:40, green). Il kit d’individuazione dell’apoptosi ApopTag (TUNEL, Serologicals, Norcross, GA) e l’anticorpo contro l’antigene nucleare delle cellule in proliferazione, PCNA, sono stati usati seguendo le istruzioni del produttore. Il saggio con la tecnica TUNEL consente di marcare DNA frammentato, risultato del processo di apoptosi, e di rilevarne la presenza con tecniche immunocitochimiche. La colorazione nucleare è avvenuta utilizzando il 4’,6’-diamidino-2fenilindolo diidroclorito (DAPI, 300 nM) per 10 min a 20° C [41] [42]. La quantificazione delle immagini (percentuale di nuclei positivi al TUNEL o PCNA) è stata fatta sui campioni presi alla cieca utilizzando il programma Image-Pro Plus. Il potenziale di membrana mitocondriale (ΔΨm) è stato seguito in modelli animali usando tetrametil-rodamina metil-estere (TMRM) (10 nM, x30 min, 37°C) e il colorante nucleare Hoechst (0.5µmol/L, x10 min) [41] [42]. Il TMRM è un composto usato come sonda fluorescente cationica, permeabile alle membrane, che permette di rilevare il potenziale di membrana secondo il suo diverso accumulo tra due compartimenti cellulari diversi (es. citosol e matrice mitocondriale). L’Hoechst appartiene alla famiglia dei coloranti fluorescenti che permettono l’individuazione del DNA, intercalandosi al solco minore del filamento a doppia elica. La produzione mitocondriale di Superossido è stata misurata usando la sonda Mitosox™ 5 µM, un derivato del bromuro di etidio permeabile alle cellule in grado di legarsi in modo selettivo al mitocondrio, dove potrà venir in seguito ossidato dal Superossido generando una fluorescenza rossa (eccitazione/emissione 510/580 nm). Nel secondo articolo gli esperimenti di Immunoistochimica sono stati limitati. I tumori degli xenotrapianti sono stati rimossi e fissati per tutta la notte a 4°C su paraformaldeide al 4% sciolta in tampone fosfato salino. In seguito i campioni sono stati disidratati, immobilizzati su paraffina, e tagliati in frammenti di 4 µm di spessore. Le diapositive dei tessuti sono state colorate con l’anticorpo monoclonale di capra C-20 anti-proteina disaccoppiante 2 umana (1:100), e trattate con gli anticorpi secondari equini biotinilati anti-Immunoglobuline di capra (1:500). La visualizzazione è avvenuta sfruttando la perossidasi. Rilevamento del potenziale di membrana mitocondriale Mentre nel primo articolo il rilevamento del potenziale di membrana mitocondriale è stato possibile sfruttando la Microscopia Confocale e il tetrametil-rodamina metil-estere (TMRM), nel secondo articolo si è utilizzato lo spettrofotometro misurando la fluorescenza emessa dalla sonda lipofilica 5,5’,6,6’-tetrachloro-1,1’,3,3’-tetraethylbenzimidazolcarbocyanine iodide (JC-1). Le cellule sono state cresciute in piastre da 96 pozzetti, lavate con tampone fosfato salino e incubate con JC-1 (6 µM) per 30 min a 37°C. Successivamente si proceduto con un ulteriore lavaggio usando un tampone salino di Tris. La fluorescenza emessa da JC-1 è stata
  • 18. 18 misurata immediatamente allo spettrofotometro SpectraMax M5. Il rapporto tra emissione fluorescente nel rosso (530 nm) e nel verde (590 nm) è stato calcolato in ogni singolo pozzetto. Per controllare le condizioni sperimentali, sono stati usati il disaccoppiante chimico mitocondriale FCCP (5 µM), e oligomicina (10 µM), un inibitore dell’ATP Sintasi, per dissipare e incrementare, rispettivamente, il ΔΨm. Ogni condizione è stata riprodotta in almeno in sei pozzetti per esperimento. Il JC-1 è un composto usato come sonda fluorescente cationica, permeabile alle membrane, che permette di rilevare il potenziale di membrana a seconda del suo accumulo e della lunghezza d’onda della fluorescenza emessa. In particolare nei mitocondri depolarizzati JC-1 emette nello spettro del verde, mentre nei mitocondri iperpolarizzati il colorante dimerizza ed emette nello spettro del rosso. Il rapporto tra queste due emissione consente di stimare il potenziale di membrana mitocondriale. Plasmidi e transfezioni cellulari Per gli esperimenti di sovraespressione della proteina disaccoppiante 2 (secondo articolo), lo RNA totale ottenuto dalla milza umana è stato retrotrascritto e il cDNA completo della UCP-2 umana è stato amplificato tramite PCR usando primer specifici [anteriore, 5’-TACAGGTACC ATGGTTGGGTTC-3’; posteriore, 5’-CTAAGCTTTCAGAAGGGAGCCTCT-3’, contenenti i siti di restrizione per Kpn I e HindIII, rispettivamente (sottolineati)]. Il cDNA così doppiamente digerito è stato inserito all’interno del vettore d’espressione per cellule di mammifero pcDNA 3.1/Zeo(-) usando il kit per ligazioni rapide di DNA (Roche). La conferma della perfetta ligazione del completo DNA complementare della proteina disaccoppiante 2 umana è avvenuta tramite sequenziamento. Lo stesso plasmide è stato usato per generare una curva standard per il saggio con real-time polimerase chain reaction. Il completo DNA complementare della TATA-box binding protein (TBP) umano è stato clonato con una tecnica simile (primer anteriore, 5’-AGAACAACAGCCTGCCACCT-3’; primer posteriore, 5’-TTACGTCGTCTTCCTGAATCC-3’) e in seguito inserito all’interno del vettore pCR 2.1. Questo vettore consente un semplice e rapido screening delle colonie ricombinanti grazie al sistema lacZ/X-gal che ne determina la colorazione bianca o blu a seconda che l’inserto si sia correttamente inserito (interrompendo l’ORF di LacZ). Le cellule HCT116 (5 x 106 per reazione) sono state transfettate con 2 µg di plasmide usando il sistema della nucleofezione (Amaxa Biosystem) e seguendo le istruzioni del produttore. La nucleofezione è una metodica che si basa sull’utilizzo di un particolare tipo di elettroporatore, che permette di trasportare il DNA esogeno direttamente nel nucleo, consentendo di ottenere una buona efficienza di transfezione anche in cellule dove normalmente s'incontrano difficoltà con i metodi classici. Le linee cellulari HCT116 sovraesprimenti la proteina disaccoppiante 2 umana in modo stabile sono state ottenute aggiungendo zeocina (10 µg/ml) al medium di coltura per alcuni passaggi. Le colonie che riuscivano a svilupparsi da un'unica cellula sono state analizzate con Western blotting per verificare l’espressione di UCP-2. Agenti chimici e irradiazioni con UV Nel secondo articolo stati utilizzati diversi composti chimici come la camptotecina (CPT), la doxorubicina cloroidrato, l’etoposido, l’idrazone fenilico del cianuro di carbonile di p- trifluoromethossile (FCCP), l’oligomicina, la N-acetil-L-cisteina, l’inibitore del proteasoma MG132 (Z-Leu-Leu-Leu-Ala). Le soluzioni stock di camptotecina (2.5 mM), doxorubicina (2 mg/ml), etoposido (50 nM) sono state preparate rispettivamente in dimetilsolfossido (DMSO), H2O2 e metanolo. FCCP (40 mM) è stato sciolto in etanolo e mantenuto a -20°C fino all’utilizzo. Il farmaco chemioterapico Irinotecan (CPT-11) è stato sciolto in tampone fisiologico salino (20 mg/ml). Le cellule sono state sottoposte a irradiamento con raggi ultravioletti usando il FB-UVXL-1000 cross-linker. Prima del trattamento le cellule sono state lavate tre volte con tampone fosfato salino (PBS), aspirando via tutto il medium rimasto. Le piastre, collocate in ghiaccio, sono state irradiate per 15 min a raggi UV d'intensità 40 J/m2 .
  • 19. 19 Terminato il processo, le cellule erano incubate per tutta la notte a 37°C. La stima della morte cellulare è stata possibile analizzando i campioni al FACS. Studi Metabolici Le cellule A549 sono state fatte crescere a confluenza in fiasche T-175 e le velocità di ossidazione del glucosio (GO), di glicolisi (Gl), e di ossidazione degli acidi grassi (FAO) sono state misurate in presenza o assenza di DCA (0.5 mM, per 48 ore) [43]. Per misurare le velocità di ossidazione del glucosio, le cellule sono state incubate nel tampone Krebs’- Henseleit con l’aggiunta di palmitato 1.2 mM e di [U-14 C]-glucosio 5 mM e stimate tramite la produzione di 14 CO2 (liberata dalla piruvato deidrogenasi e dal ciclo di Krebs). Poiché le colture erano mantenute in un sistema chiuso, è stato possibile raccogliere sia la 14 CO2 gassosa che quella presente nel tampone. La 14 CO2 liberata in fase gassosa è stata intrappolata in una soluzione di idrossido di hyamine 1M presente in uno sfiatatoio. Campioni di tampone e di idrossido di hyamine sono stati ottenuti a intervalli di 10 minuti durante tutto il periodo di rilevamento. Ogni campione di tampone prelevato era immediatamente iniettato sotto un volume di 1 ml di olio minerale per prevenire la liberazione della 14 CO2 contenuta. L’estrazione della 14 CO2 è stata possibile iniettando un volume di 1 ml di tampone in una fialetta sigillata contenente 1 ml di H2SO4 9 N. Sospesa sul pozzetto in fondo della fialetta era presente inoltre 400 µl di idrossido di hyamine 1M. La fialetta era scossa con delicatezza su una piastra oscillante per 1 ora. Il contenuto presente sul pozzetto centrale è stato prelevato e contato al Liquid scintillation counter utilizzando la procedura standard. Per la Glicolisi, il tampone di Krebs’-Henseleit conteneva inoltre Palmitato 1.2 mM e [5-³H]-Glucosio 5 mM e la stima è stata fatta tramite l’³H2O (liberata dall’enzima glicolitico enolasi). La corretta misurazione è stata possibile solo dopo aver separato l’[³H]-Glucosio dall’³H2O utilizzando una colonna contenente la resina da scambio anionico Dowex 1-X4 sospesa con tetraborato di potassio 0.2 M (volume finale della resina = 0.5 x 0.5 cm). La resina nella colonna è stata poi lavata ampiamente con H2O prima dell’utilizzo. Un volume di 0.2 ml di tampone è stato successivamente aggiunto alla colonna ed eluito in fialette specifiche per l’analisi scintillometrica, portando il tutto ad un volume di 1 ml con H2O. La quantità di ³H2O presente nel campione è stata rilevata al contatore per scintillazione liquida stabilendo la finestra dello strumento tra 0-300 nm. Per l’ossidazione degli acidi grassi, il tampone conteneva [9,10-³H]- palmitato 1.2 mM e [5-³H]-Glucosio 5 mM, stimando l’³H2O presente. Come per rilevazione della velocità metabolica di Glicolisi, è stato necessario prima dell’analisi scintillometrica separare l’³H2O dall’[³H]-palmitato trattando 0.5 ml di tampone con 1.88 ml di una miscela di cloroformio:metanolo (1:2, v/v), a cui è stato successivamente aggiunto 0.625 ml di cloroformio e 0.625 ml di una soluzione di KCl:HCl 2M. La fase acquosa che si veniva a creare è stata raccolta tramite una pipetta Pasteur e ritrattata di nuovo con una miscela di cloroformio, metanolo, e KCl:HCl in rapporto molare di 1:1:0.9. Due campioni di 0.5 ml della fase acquosa sono stati prelevati per poter essere analizzati al contatore per scintillazione liquida, determinando la quantità totale di ³H2O presente tenuto in considerazione il fattore di diluizione. Le velocità del metabolismo energetico sono state scoperte essere lineari verso i 360 minuti, perciò sono state determinate nel corso di un periodo di 180 minuti. Scintillazione Liquida La scintillazione è una tecnica di misurazione delle particelle radioattive. Gli isotopi radioattivi interagiscono con la materia in due modi, provocando ionizzazione o eccitazione. Quest’ultima comporta l’emissione di fotoni da parte dei composti eccitati, i cosiddetti scintillatori. Il fenomeno è detto scintillazione e, quando la luce emessa è rilevata da un fotomoltiplicatore, questo processo costituisce la base del conteggio a scintillazione. Nel fotomoltiplicatore l’impulso elettrico che deriva dalla conversione della radiazione luminosa in energia elettrica è direttamente proporzionale all’intensità dell’evento radioattivo originale.
  • 20. 20 Ciò conferisce il vantaggio di poter analizzare contemporaneamente perfino la presenza di due, o più, diversi isotopi nello stesso campione purché essi abbiano spettri di energia sufficientemente diversi. La scintillazione consente di ottenere informazioni sia qualitative sia quantitative. Secondo la natura del materiale degli scintillatori, esistono due tipologie di contatori a scintillazione: quelli a scintillazione solida e quelli a scintillazione liquida. Nella scintillazione liquida il campione è miscelato con una soluzione che contiene uno o più scintillatori. Questi contatori sono utilizzati per misurare i β emettitori deboli quali 3 H, 14 C, 35 S, frequentemente utilizzati in biologia. Quando si scioglie nel solvente un composto in grado di accettare energia dalle sorgenti radioattive (tramite il solvente stesso) e di emettere fluorescenza a una lunghezza d’onda elevata, l’energia potrà essere rilevata con efficienza. Tra questi composti, o scintillatori primari, vi è il 2,5-difenilosazolo (PPO). La scintillazione liquida permette una buona efficienza di conteggio (dal 50% al 90% secondo l’energia del β emettitore) e, essendo i moderni contatori automatizzati, consente un’analisi accurata dei dati ottenuti anche da parecchie centinaia di campioni. Isolamento e frazionamento dei mitocondri Le cellule sono state lisate con delicatezza nella centrifuga Thomas potter, regolato a bassa velocità di rotazione. Gli scarti (contenenti cellule intatte e nuclei) sono stati rimossi centrifugando l’omogenato a 750 g per 10 min. Il supernatante ha subito una seconda centrifugazione portando la velocità a 10000 g per 20 min e il pellet costituito da mitocondri è stato risospeso in 1 ml di tampone Tris/EDTA/Saccarosio (TES). Al fine di ottenere una purificazione più accurata, i due passaggi di centrifugazione sono stati ripetuti un'altra volta. Prima di proseguire con un ulteriore frazionamento ed analisi di immunoblot, i campioni di mitocondri isolati sono stati omogeneizzati in un tampone di distruzione cellulare (PARIS kit, Ambion) e immediatamente congelati. Il frazionamento vero e proprio è stato realizzato sottoponendo i campioni a trattamento digitonico/alcalino. Una quantità di 100 µl di mitocondri purificati è stata disciolta in una soluzione di 500 µl di digitonina (1.2 mg/ml), un composto che è in grado di precipitare il colesterolo destabilizzando le membrane cellulari. Dopo un periodo d'incubazione di 25 min in ghiaccio, la sospensione è stata centrifugata a 10000 g per 10 min generando mitoplasti, costituiti dalla membrana interna mitocondriale e dalla matrice. Il supernatante conteneva la membrana esterna e la frazione dello spazio intermembrana. Nel trattamento alcalino i pellet mitocondriali sono stati lavati e risospesi in un preparato fresco di carbonato di sodio (0.1 M, pH 11.5). In seguito i campioni sono stati incubati per 30 min a 0°C. La frazione contenente le membrane è stata recuperata attraverso centrifugazione a 100000 g per 30 min a 4°C. Il supernatante raccolto rappresentava la frazione solubile mitocondriale, mentre i mitoplasmi e le membrane mitocondriali sono stati recuperati risospendendo il pellet nel tampone di distruzione cellulare. Rilevamento del K+ intracellulare Le cellule sono state caricate con un tampone (espressi in mM: NaCl 141, KCl 4.7, CaCl2 1.8, MgCl2 1.2, HEPES 10 e glucosio 10 a pH 7.4 con NaOH 5 M) contenente la forma acetossimetil esterica del PBFI (PBFI-3AM; 5 µM) per 40 min a 37°C. La forma esterica, di carica neutra, consente al colorante PBFI di entrare più facilmente nella cellula. Una volta all’interno il composto sarà trasformato in forma acida, tornando carico e rimanendo intrappolato nella cellula. Le cellule caricate con PBFI vengono in seguito irrorate con abbondante tampone per 30 min a temperatura ambiente, ciò permette di lavare via il colorante extracellulare e consente alle esterasi intracellulari di tagliare il PBFI-3AM citosolico in PBFI. Il composto cambierà le proprie proprietà legandosi allo ione K+ emettendo una maggiore fluorescenza. Questa intensità sarà perciò proporzionale alla concentrazione del potassio. La misurazione è avvenuta sfruttando il metodo raziometrico con lo spettrofotometro a fluorescenza PTI Delta Scan. Il PBFI è può essere eccitato a due
  • 21. 21 lunghezze d’onda (340 e 380 nm), emettendo in entrambi i casi, un segnale a λ 500 nm (emissione nel verde). Aumentando il legame con il K+ crescerà l’intensità di fluorescenza emessa se l’eccitamento è avvenuto a 340 nm, mentre per l’eccitamento a 380 nm la luce emessa diminuirà in proporzione all’incremento del K+ intracellulare. Il calcolo del rapporto tra I340/I380 fornisce una buona approssimazione del [K+ ]i reale. Rilevamento del Ca²+ intracellulare La concentrazione intracellulare di Ca2+ ([Ca2+ ]i) è stata studiata in modelli animali sulle cellule cancerose A549 usando FLUO-3AM, un indicatore fluorescente sensibile alla concentrazione di calcio. Le cellule sono state caricate con FLUO-3AM (5 µM) per 45 min (37°C) in medium privo di siero e lavate per 30 min col tampone fosfato salino (PBS; 37°C) per permettere il taglio degli acetossimetil esteri. In associazione con il FLUO-3AM, le cellule sono state trattate con il colorante nucleare Hoechst (1.0 µM) per 10 min. La fluorescenza è stata misurata, usando lo spettrofotometro a fluorescenza, a 505-535 nm con eccitazione a 488 nm. Rilevamento del consumo di ossigeno in cellule integre Le cellule sono state starvate e risospese in medium contente NaCl 125 mM, KCl 5.2 mM, Na2PO4 1mM, CaCl2 0.5 mM, destrosio 10 mM, e HEPES 10 mM. Gruppi di 5 x 106 cellule sono stati posti nella camera dell’apparato per polarografia Digital Model 10, equipaggiato con elettrodi di tipo Clark per l’ossigeno. Il sensore di Clark è un dispositivo che permette la misurazione dell’ossigeno disciolto in un campione acquoso. Quando si stabilisce una differenza di potenziale di circa -800 mV tra i due elettrodi, l’ossigeno molecolare, che ha diffuso attraverso la membrana presente sul fondo del sensore, a contatto con il catodo in platino subisce una riduzione a ioni idrossido. Sull’anodo in Ag/AgCl avviene la rispettiva ossidazione. Il risultato di questa reazione di ossidoriduzione è rilevabile da una variazione di corrente che sarà misurata, e direttamente proporzionale alla pressione parziale di ossigeno che ha diffuso attraverso la membrana giungendo al catodo. Seguendo le indicazioni del produttore, il consumo di ossigeno è stato misurato dai 15 min fino ad esaurimento completo di quello contenuto nel medium. Il contenuto iniziale di ossigeno è stato stimato essere 0.20625 mM, in base alla temperatura, altitudine e osmolarità del medium cellulare. I potenziali rilevati tramite gli elettrodi erano registrati su computer usando il sistema d'interfaccia Pico Log Recorder. Le velocità di consumo dell’ossigeno erano calcolate in ogni esecuzione. L’esperimento era ripetuto almeno tre volte per ciascuna condizione. Rilevamento dell’ H2O2 e delle specie reattive dell’ossigeno Nel primo articolo si è cercata di stimare la concentrazione di perossido di idrogeno (H2O2) seguendo queste istruzioni. Le cellule cancerose sono state fatte crescere su piastre a pozzetti multipli LabTek fino a confluenza. I monostrati sono stati preincubati con DCA (0.5 mM) in presenza o assenza di rotenone 5 µM, un inibitore del complesso I della catena di trasporto elettronica, per 1 ora. La produzione di H2O2 è stata misurata con il saggio AmplexRed (Molecular Probes, Eugene, Oregon) [41]. Il saggio AmplexRed è basato sull’individuazione del H2O2 tramite il 10-acetil-3,7-diidrossifenoazina (reagente AmplexRed), il quale in presenza di perossidasi di rafano, reagisce con l’ H2O2 con un rapporto stechiometrico di 1:1 producendo la resofurin-1, un composto intensamente fluorescente. La fluorescenza è stata rilevata allo spettrofotometro a 590 nm con eccitazione a 530 nm, mentre i livelli di H2O2 sono stati determinati tenendo in considerazione il disturbo dovuto alla fluorescenza di fondo, nonché all’auto fluorescenza di alcuni reagenti.
  • 22. 22 La fluorescenza relativa (RF) è stata calcolata nel seguente modo (FU = unità di fluorescenza): Fluorescenza del campione (S) = FU60min campione – FU0min campione Fluorescenza del controllo (C) = FU60min controllo – FU0min controllo RF = S – C/µM Nel secondo articolo la generazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) è stata valutata usando un metodo fluorimetrico basato sull’ossidazione di un differente substrato non fluorescente. Il 2’,7’-dicloro fluoresceina (DCFH), in seguito ad ossidazione, è in grado di essere trasformato nel prodotto fluorescente 2’,7’-diclorofluoresceina (DCF) (Invitrogen). La forma esterificata del DCFH, 2’,7’-diclorofluoresceina diacetato (DCFH-DA), essendo neutra è in grado di attraversare le membrane cellulari e, una volta deacilata da enzimi endogeni del citosol, viene ossidata nel suo prodotto fluorescente. Le cellule sono state lavate con tampone fosfato salino (PBS), starvate usando tripsina 0.25%, centrifugate a 500 g per 5 min e risospese in PBS. In seguito si procedeva incubando le cellule con DCFH-DA (10 µM) per 10 min a temperatura ambiente. Siccome il fluoroforo è instabile in soluzione, uno stock fresco (10 nM) è stato preparato per ogni esperimento. Dopo la colorazione, le cellule sono state trattate con vari agenti e prontamente analizzate al citofluorimetro a flusso FACSort. Un minimo di 50000 eventi è stato raccolto per ogni condizione studiata ed ogni esperimento è stato riprodotto almeno tre volte. Elettrofisiologia Le cellule sono state studiate usando la tecnica del whole-cell patch-clamping. Questa tecnica permette di bloccare il voltaggio di un pezzo isolato della membrana cellulare o dell’intera cellula. In questo modo si possono osservare correnti ioniche che fluiscono attraverso i canali dell’intera superficie di membrana o la variazione di corrente di corrente che passa attraverso un singolo canale ionico, con una strumentazione tale da registrare correnti piccolissime nell’ordine dei picoAmpère (pA 10-12 A). Nella configurazione whole-cell la micro pipetta di vetro con l’elettrodo è portata a contatto con la membrana, realizzando una saldatura estremamente forte. Applicando una forte suzione verso l’interno della pipetta si ha la rottura della membrana nel capillare mantenendo intatta la parte restante della cellula. Questa configurazione provoca un minor danno rispetto alla penetrazione di un normale microelettrodo e fornisce una via di accesso al citoplasma a bassa resistenza. In tal modo è ridotto il rumore di fondo e inoltre, attraverso la pipetta, si possono eventualmente introdurre sostanze all’interno della cellula. Gli elettrodi (resistenza 1-5 MΩ) sono stati riempiti con una soluzione che conteneva (espressi in mM) KCl 140, MgCl2 1.0, HEPES 10, il chelante del calcio EGTA 5 e glucosio 10 a pH 7.2, in modo da perturbare il meno possibile la composizione ionica intracellulare. La camera contenente le cellule è stata irrorata (2 ml/min) con una soluzione contenente (espressi in mM) NaCl 145, KCl 5.4, MgCl2 1.0, CaCl2 1.5, HEPES 10 e glucosio 10 a pH 7.4 (soluzione extracellulare). Il pH sia della 4-amminopiridina (4-AP, 5 mM), un inibitore del canale Kv, che del DCA (0,5 mM) sono stati corretti a 7.4. Per studiarne gli effetti sulla corrente di K+ sono stati aggiunti, in esperimenti separati, 10.000 unità di Catalasi via pipetta (intracellulare), Rotenone 5 µM (un inibitore del complesso I della catena di trasporto elettronica) e TTFA 1µM (un inibitore del complesso II dell’ETC) nella soluzione della camera. Le cellule sono state mantenute a un potenziale di partenza di - 70 mV e le correnti sono state generate per 200 ms secondo una serie d’impulsi da -70 a +70 mV con incrementi di 20 mV per impulso. Le correnti di membrana sono state filtrate a 1 kHz e la frequenza di campionamento usata era di 2 o 4 kHz. I dati sono stati analizzati usando i programmi pCLAMP 9 e Clampfit 9. La conduttanza è stata misurata usando la funzione automatica dell’amplificatore Axopatch. La corrente rilevata è stata divisa per la conduttanza della cellula, ottenendo una misura della densità di corrente.
  • 23. 23 Immunoblotting Nel primo articolo si è proceduti nel seguente modo. Le cellule in coltura, tumorali e non, prima di essere sottoposte a immunoblotting sono state accuratamente raccolte e preparate. I campioni da analizzare erano ottenuti unendo gli estratti proteici di 4 piastre T-25 o 4 topi per gruppo (25 µg di proteine totali di campione unificato per lane). Le lastre sono state digitalizzate e quantificate usando il programma 1D Image Analysis. Il rapporto tra la densità ottica delle bande al colorante Ponceau-S è stato usato per correggere piccole disparità di caricamento [41] [42]. Gli anticorpi usati sono stati: anti-canale del potassio voltaggio- dipendente (Kv1.5; 1:500), anti-surivivin (1:1000), anti-caspasi 3 (1:500), anti-caspasi 9 (1:1000), anti-kinasi 2 della piruvato deidrogenasi umana (PDK2; 1:200). Nel secondo articolo i saggi d’immunoblotting hanno seguito le seguenti istruzioni. I lisati cellulari sono stati preparati con il tampone di distruzione cellulare cui erano aggiunti inibitori delle proteasi. Al fine di rilevare le fosfoproteine è stato usato il seguente tampone di lisi: Tris 50 mM (pH 7.4), NaCl 100 mM, NP40 1% (detergente anionico), glicerolo 10%, EDTA 1mM (agente chelante), β-fosfoglicerolo 10 mM, Na3VO4 2 mM, fluoridio di sodio 1 mM, cui si aggiungevano inibitori delle proteasi. La concentrazione proteica è stata determinata con il kit BCA Protein Assay Reagent (Pierce). Gli estratti proteici erano frazionati con elettroforesi su gel di poliacrilammide alla presenza di sodio dodecil solfato (SDS-PAGE) (concentrazione acrilammide dal 12%, fino al 15%) e trasferiti su una membrana a nitrocellulosa. Gli immunoblot sono stati eseguiti con i seguenti anticorpi primari: anti-proteina disaccoppiante 2, anti-p53, anti-caspasi-3 (intera), anti-caspase-3 (tagliata), anti-citocromo c, anti-citocromo c ossidasi (COX), anti-Bcl-XL, e anti-p53 up-regolated modulator of apoptosis-α (PUMA). Gli anticorpi secondari usati erano coniugati alla perossidasi di rafano. Ciò ha consentito di rilevare gli immunoblot attraverso l’aumento dell’emissione chemioluminescente. La conferma dell’uniformità di caricamento è avvenuta confrontando il segnale ottenuto dagli anticorpi primari anti-β-actina (nei lisati cellulari completi) o dagli anticorpi primari anti- citocromo c ossidasi IV (nei preparati mitocondriali). Crescita cellulare e citometria a flusso La citometria a flusso è una tecnica che permette la misurazione e caratterizzazione di cellule sospese in un mezzo fluido. Tramite questa metodica è possibile rilevare proprietà multiple di singole cellule a una velocità molto rapida, permettendo una dettagliata analisi qualitativa e quantitativa. La citometria a flusso (CFM) è particolarmente utile in numerosi campi di ricerca come nello studio del ciclo cellulare, nell’analisi immunofenotipica, nello studio del sistema immunitario e nella degenerazione neoplastica. Tra i vantaggi di questa metodica ci sono il numero elevato di cellule rapidamente esaminate (eventi), la possibilità di analisi multiparametrica, e la facilità di processare i campioni senza perdere la vitalità cellulare. Non si rivela, invece, particolarmente utile nell’esaminare cellule molto rare all’interno di una popolazione (alta probabilità di confusione con il rumore di fondo) e nel localizzare eventuali segnali provenienti dallo stesso marcatore localizzato in compartimenti cellulari diversi. La possibilità di esaminare le caratteristiche specifiche di una singola cellula è dovuta alle proprietà della camera di flusso dello strumento che è in grado di separare cellula per cellula di una sospensione. Tramite un sistema a flusso laminare, nella camera si vengono a creare una corrente interna e un’esterna. L’effetto che si ottiene permette di confinare le singole cellule della sospensione al centro del flusso. A questo punto ogni cellula è attraversata da un fascio di luce che eccita fluorocromi determinando l’emissione di un segnale fluorescente. Inoltre la radiazione luminosa è in grado di fornire altre informazioni sulle caratteristiche fisiche e morfologiche della cellula (determinate in conformità a fenomeni di rifrazione, riflessione e diffrazione). La luce dispersa in avanti (forward scatter), ad esempio, è legata alle dimensioni della cellula, mentre la luce riflessa a 90° (side scatter) è da attribuire a parametri
  • 24. 24 della morfologia cellulare come la granulosità del citoplasma. Tutti questi segnali sono convogliati, attraverso un sistema di filtri e specchi, verso un rilevatore. L’intensità dell’emissione rilevata è trasformata in un segnale elettrico, il quale a sua volta è commutato da analogico a digitale e inviato all’analizzatore che elabora il dato e lo visualizza tramite un grafico. Secondo i parametri d'interesse si posso creare citogrammi bidimensionali (che evidenziano e discriminano solo le proprietà fisiche delle cellule), istogrammi monodimensionali (rapporto tra intensità di un segnale a fluorescenza e il numero di cellule) e altre rappresentazioni bidimensionali (Dot-plot) che mettano in correlazione caratteristiche diverse. Infine le cellule, dopo essere state eccitate dal laser, sono costrette a passare attraverso un sistema di piastre a deflessione (processo chiamato “sorting”) che ha lo scopo di raccogliere e separare le cellule analizzate in sottopopolazioni secondo le caratteristiche evidenziate. Il numero di cellule vitali è stato determinato usando il kit Cell Counting-8 (Dojindo). L’analisi del ciclo cellulare è stata eseguita su campioni di 2 x 106 cellule, raccolte e risospese in 1 ml di tampone fosfato salino (PBS). In seguito la sospensione è stata immobilizzata con un'equivalente quantità di etanolo 100% per tutta la notte. Il giorno dopo le cellule sono state lavate con tampone fosfato salino mantenuto in ghiaccio e successivamente centrifugate a 200 g per 10 min. Il pellet è stato risospeso in 1 ml di soluzione colorante fresca [detergente non ionico Triton X-100 0.1% (v/v) in PBS, RNase A (0.2 mg/ml) senza DNase, e propidio di iodio 20 µg/ml]. Il propidio di iodio, intercalandosi al DNA, permetterà di stimare il numero di cellule che si trovano nelle differenti fasi del ciclo cellulare. L’intensità del segnale sarà proporzionale al contenuto di DNA in via di replicazione. La sospensione cellulare è stata incubata per 15 min a 37°C e immediatamente trasferita nel Citofluorimetro a flusso. I dati sono stati acquisiti usando il programma CellQuest, mentre l’analisi delle informazioni ottenute è stata eseguita con il programma ModFit LT. Stima dell’Annexina con Citometria a flusso Nel secondo articolo la stima dell’Annexina per valutare l’apoptosi è avvenuta seguendo una metodica diversa rispetto a quella utilizzata nel primo articolo (Microscopia Confocale). Allo scopo di stimare l’apoptosi attraverso la comparsa dell’Annexina V sulla superficie cellulare, le cellule sono state lavate con tampone fosfato salino, starvate usando tripsina 0.25%, e centrifugando a 500 g per 5 min. Dopo un altro step di lavaggio, le cellule sono state risospese in tampone di legame per l’Annexina e colorate con il kit Vybrant Apoptosis Assay #3 (Invitrogen) seguendo le istruzioni del produttore. La colorazione è avvenuta aggiungendo 5 µl di Annexin V, coniugato con il fluoroforo fluoresceina isotiocianato (FITC; componente A), e 1 µl propidio di iodio 100 µg/ml (componente B). Le cellule sono state incubate in una camera oscura per 30 min a temperatura ambiente, e immediatamente dopo sono state analizzate al citofluorimetro a flusso FACSort. Il legame dell’annexina e l’internalizzazione del propidio di iodio sono stati quantificati usando rispettivamente i canali FL1 e FL3 dello strumento. Un minimo di 10000 eventi è stato raccolto per ogni condizione studiata, mentre ogni esperimento è stato riprodotto almeno tre volte. RT-PCR Real-Time Quantitativa La RT-PCR Real-Time permette di misurare in tempo reale l’amplificazione durante la fase esponenziale della PCR, ovvero quando l’efficienza di amplificazione è influenzata minimamente dalle variabili di reazioni (quantità dei primers, reannealing dei filamenti, attività della Taq polimerasi). Ciò permette di ottenere risultati più accurati rispetto alla PCR tradizionale. Usando inoltre uno strumento quantitativo che permetta di rilevare l’incremento di fluorescenza di marcatori, il cui accumulo segue la stessa cinetica della reazione di PCR, è possibile stimare il numero di copie dell’mRNA presenti originariamente nel campione saggiato.
  • 25. 25 Nel primo articolo si è proceduti nel seguente modo. I campioni di RNA totali sono stati ottenuti dalle cellule tumorali A549 di 30 pazienti, a diversi stadi di malignità, usando il kit RNeasy Mini (Quiagen, Mississauga, Canada) e quantificando il tutto con lo spettrofotometro ad UV. La real-time RT-PCR quantitativa è stata usata per misurare gli mRNA umani del canale del potassio voltaggio-dipendente (Kv1.5), del canale del potassio inward rectifier (Kir 2.1), della kinasi 2 della piruvato deidrogenasi (PDK2), di survivin e dell’ rRNA 18s (gene espresso costitutivamente usato come riferimento). Per eseguire la RT-PCR quantitativa si è utilizzato il kit TaqMan One-Step RT-PCR Master mix reagent (Applied Biosystem, Foster City, CA). La sonda TaqMan, in grado di ibridarsi in modo specifico all’interno del frammento amplificato, permette di seguire l’incremento della fluorescenza durante i cicli di PCR, e fornisce uno strumento per la sua quantificazione. I campioni (50 ng RNA in 50 µl) sono stati aggiunti a piastre a micropozzetti insieme ai relativi primers (500 nM) alle sonde TaqMan e ai reagenti RT-PCR. Il saggio è stato eseguito usando il rilevatore di sequenze ABI PRISM 7700 [41] [42]. Si è lasciato agire la trascrittasi inversa per 30 min a 48°C. L’attivazione dell’AmpliTaq Gold è stata possibile spostando la temperatura a 95°C per 10 min. In seguito, sono stati eseguiti 40 cicli di PCR. Ogni ciclo consisteva in 15 secondi di denaturazione (95°C) e 1 minuto di annealing ed estensione (60°C). Per ogni campione si ottiene una curva di amplificazione che rappresenta il crescere della fluorescenza in relazione al numero di cicli di PCR. Impostando una linea di soglia della fluorescenza (in modo da intersecare tutte le curve dei campioni nella fase esponenziale) è possibile ricavare il Ct di una curva di amplificazione. Questo valore rappresenterà il ciclo della reazione di PCR in cui il segnale di fluorescenza del campione è diventato maggiore rispetto a quello della soglia impostata. Il Ct sarà inversamente proporzionale alla quantità di mRNA presente in origine nel campione. Per ottenere una quantificazione relativa dei mRNA si è dovuto normalizzare il target con un controllo endogeno espresso costitutivamente, come l’ rRNA 18s. Ad esempio il ΔCt del canale del potassio voltaggio-dipendente (Kv1.5) è stato calcolato per ciascun campione usando l’Equazione 1. Equazione (1) ΔCt Kv1.5 = Ct Kv1.5 – Ct18s Il ΔCt più grande, indicante il campione con il minor mRNA totale, è stato assunto come calibratore. Comparando ciascun ΔCt così ottenuto con il ΔCt del calibratore si ottiene il ΔΔCt. Equazione (2) ΔΔCt = calibratore – ΔCt Kv1.5 Nel caso che il campione da calcolare sia il calibratore (il campione con l’espressione più bassa), l’Equazione 2 porta ad un valore di 0 (sottrazione del valore da se stesso). Esprimendo il ΔΔCt come un esponente di 2, il numero di copie nel calibratore diventa 20 = 1, permettendo una facile espressione dei restanti mRNA totali dei Kv in relazione a questo valore. Il valore così ottenuto (2ΔΔCt ) permette di poter determinare la concentrazione relativa del target. Nel secondo articolo si è seguito un differente protocollo. Seguendo le istruzioni del produttore, si è utilizzato il kit PARIS (Ambion) è stato usato per isolare gli RNA totali cellulari e le proteine dal campione. Gli RNA totali sono stati retro trascritti usando il kit First Strand cDNA Synthesis (Roche), e i cDNA (5 ng) sono stati amplificati con primer specifici tramite il iCycler iQ Multi-Color Real-time PCR Detection System. Diluizioni seriali dei plasmidi recanti la proteina disaccoppiante 2 umana e la proteina legante il TATA-box umana sono state usate per creare delle curve standard. Sono stati eseguiti 45 cicli di polimerase chain reaction, con denaturazione a 95°C per 15 sec, annealing a 60°C per 30 sec ed estensione a 72°C per 30 sec, usando il primer intron-spanning (0.4 µM/l) (proteina disaccoppiante 2, anteriore 5’-CTCCTGAAAGCCAACCTCAT-3’ e posteriore 5’- CCCAAAGGCAGAAGTGAAGT-3’; proteina legante il TATA-box, anteriore 5’- CACGAACCACGGCACTGATT-3’ e posteriore 5’-TTTTCTTGCTGCCAGTCTG GAC- 3’). Ogni campione è stato sottoposto alla procedura almeno tre volte, normalizzato usando il
  • 26. 26 contenuto di RNA messaggeri di TBP come riferimento endogeno, e i dati sono stati espressi in unità arbitrarie come abbondanza relativa dei messaggeri della proteina disaccoppiante 2 rispetto a quelli della proteina legante il TATA-box Transfezione del gene Kv 1.5 Le cellule A549 sono state infettate con il vettore virale tratto dall’Adenovirus di serotipo 5 deprivato della possibilità di replicarsi e codificante i geni per la GFP e il gene del canale del potassio voltaggio-dipendente (Kv1.5) umano clonato (sotto controllo dei promotori del Citomegalovirus [CMV]). Dall’incubazione delle cellule A549 con il virus ricombinante si è ottenuto l’80% di infezioni, selezionabili sfruttando la loro fluorescenza verde. Il virus ricombinante è stato preparato usando AdEasy-1, un vettore contente il DNA adenovirale (sierotipo 5) con i geni essenziali per la replicazione E1 ed E3 deleti. Il frammento di cDNA codificante l’ORF del gene Kv 1.5 è stata ligata al vettore di trasferimento pAdTrack-CMV. Questo costrutto conteneva il gene per la resistenza alla Kanamicina e due promotori del CMV (uno collocato a monte della green fluorescent protein [GFP] e l’altro a monte del gene del canale del potassio voltaggio-dipendente [Kv1.5] clonato). Usando l’enzima di restrizione per il sito Pme I, che si trova tra due regioni di omologia con il plasmide pAd Easy-1, si linearizza pAdTrack-CMV Kv1.5. I due vettori sono stati in seguito co-trasformati in cellule di E. Coli BJ5183 (piastrate su LB) e selezionati per la resistenza alla Kanamicina, forzando la ricombinazione tra i due plasmidi. Le successive colonie sono state isolate e i plasmidi sono stati purificati usando le colonne di purificazione plasmidica (Quiagen). I plasmidi contenenti il gene del canale del potassio voltaggio-dipendente (Kv1.5) all’interno del DNA adenovirale sono stati selezionati, amplificati, purificati, linearizzati e transfettati in cellule HEK 293 (linea originata da rene di embrione umano) usando il reagente LipofectAMINE. La linea cellulare HEK 293 è in grado di complementare i geni E1 ed E3 deleti dell’Adenovirus. Cinque giorni dopo la transfezione, che può essere seguita anche attraverso l’espressione della GFP, le piastre che mostravano completa lisi sono state raccolte e analizzate per rilevare la presenza del DNA del canale del potassio voltaggio-dipendente (Kv1.5) usando la PCR. Ottenuta la conferma positiva, sono stati eseguiti cicli multipli di replicazione dell’Ad5Kv1.5 in cellule HEK 293. Il risultante virus, portante la green fluorescent protein e il cDNA di Kv 1.5, è stato isolato, precipitato e concentrato sfruttando il gradiente discontinuo di CsCl. In questo modo si è ottenuto un Adenovirus finale ad altissimo titolo (1.5 x 109 pfu/ml) [44]. Saggi di tumorigenicità su modelli animali Nel primo articolo la verifica delle osservazioni ottenute su modelli cellulari è avvenuta nel seguente modo. Una sospensione cellulare di A549 in tampone di fosfato salino (3 x 106 cellule per iniezione) è stata impiantata per via sottocutanea in ratti atimici. I ratti sono stati divisi in differenti gruppi: controllo, prevenzione e revertente. Inoltre si è stabilito due protocolli diversi. Nel protocollo a, 21 ratti sono stati seguiti per 5 settimane: il gruppo prevenzione (n =8) è stata trattato per tutte le 5 settimane, il gruppo revertente (n = 8) per 3 settimane (dalla terza alla quinta) mentre il gruppo di controllo (non trattato) era costituito da 5 elementi. Nel protocollo b, i ratti (n = 6 per gruppo) sono stati seguiti per 12 settimane: il gruppo prevenzione è stato trattato per tutto il periodo e il gruppo revertente dalla decima settimana alla dodicesima. In entrambi i protocolli, DCA (0.075 g/l) è stato aggiunto tramite l’acqua potabile. Misurando il totale dell’acqua consumata, è stato possibile calcolare e modificare la concentrazione di DCA richiesta per ottenere una dose giornaliera simile a quella usata clinicamente (50-100 mg/kg) [41]. I ratti sono stati osservati settimanalmente per rilevare la comparsa di tumori al sito d’iniezione. La massa tumorale è stata misurata, rilevandone peso e diametro massimo attraverso il compasso, ogni settimana sacrificando qualche cavia in tutti e tre i gruppi. In alcuni ratti la risonanza magnetica ha permesso di visualizzare il tumore in tempo reale e di calcolarne il volume.
  • 27. 27 Nel secondo articolo gli xenotrapianti di cellule tumorali sono stati ottenuti secondo il seguente protocollo. Una sospensione di cellule HCT116 (3 x 106 per iniezione), esprimenti stabilmente la proteina disaccoppiante 2 umana (clone ZU7) e il vettore vuoto di controllo (clone ZE12) è stato impiantato per via sottocutanea nel fianco di topi nudi atimici. La crescita della massa tumorale è stata rilevata misurando il diametro massimo con un compasso digitale e calcolandone il volume attraverso la formula dell’ellipsoide rotazionale (rotational ellipsoid): V = π/6 x A x B2 (dove V rappresenta il volume, A è l’asse più lungo del tumore, e B è l’asse perpendicolare più corto). Su animali la chemioterapia con irinotecan cloridrato (CPT-11, Pfizer) è stata iniziata dopo due settimane, quando gli xenotrapianti avevano raggiunto almeno un volume di 100 mm3 . CPT-11 è stato somministrato per via intraperitoneale a un dosaggio di 25 mg/kg ogni tre giorni per due settimane. Tutti gli esperimenti sugli animali sono stati svolti rispettando le linee guida istituzionali del Lifespan Animal Welfare Commitee del Rhode Island Hospital. Studi d’interferenza a RNA L’interferenza a RNA è una tecnica che si basa su un meccanismo selettivo di silenziamento genetico post-trascrizionale altamente conservato durante l’evoluzione e presente in tutti organismi. All’interno della cellula gli RNA a doppio filamento sono riconosciuti da un particolare enzima chiamato DICER, appartenente alla famiglia delle RNAsi III, che è in grado di tagliare gli RNA a doppio filamento in frammenti più piccoli di 21-23 nucleotidi chiamati piccoli RNA (siRNA). I siRNA sono riconosciuti da un secondo complesso proteico, chiamato complesso silenziatore dell’interferenza a RNA (RISC) , il quale stimola l’apertura del doppio filamento del piccolo RNA e ne carica su di se uno dei due. Il complesso così attivato è in grado di cercare e legare gli mRNA complementari alla sequenza del piccolo RNA a singolo filamento incorporato, inducendone taglio e degradazione, o reprimendo la traduzione a seconda che l’appaiamento sia, rispettivamente, perfetto (annealing nella regione dell’ORF) o imperfetto (annealing nella regione del 3’ UTR del messaggero). Nei mammiferi questa tecnica ha dovuto subire degli accorgimenti perché la transfezione con lunghi frammenti di RNA a doppio filamento poteva indurre una forte risposta da interferone (sistema difensivo cellulare contro le infezioni virali) determinando una generale inibizione della traduzione nelle cellule. Perciò si preferisce utilizzare direttamente i siRNA, i quali sono perfettamente funzionali e non inducono risposta da interferone. Possono esserci diverse fonti di RNA a doppio filamento in grado di entrare nel macchinario dell’interferenza a RNA, come ad esempio gli RNA virali e i microRNA (codificati all’interno del genoma stesso). Questi ultimi, a causa delle loro sequenze ripetute, assumono spesso delle strutture secondarie a forcina (shRNA) che possono essere riconosciute da DICER e divenire piccoli frammenti di RNA. Per la loro caratteristica di potersi appaiare anche a molti RNA messaggeri non perfettamente omologhi, questi piccoli RNA a singolo filamento endogeni svolgono ruoli estremamente importanti per la cellula, a tal punto che sembrano in grado di poter regolare oltre il 30% dei geni dell’intero genoma umano. Le tecniche che sfruttano l’interferenza a RNA si sono rivelate molto efficaci negli studi di knockout sulla funzione di un particolare gene. Sono, infatti, necessarie in proporzione basse quantità di RNA a doppio filamento o di piccoli RNA a singolo filamento per ottenere un alto silenziamento genico, e ciò è da imputare a un meccanismo di amplificazione tipico del processo d’interferenza. I siRNA ibridandosi ai messaggeri complementari sono in grado di fungere da primer per un RNA polimerasi-RNA dipendente (RdRP), la quale sintetizzerà un RNA a doppio filamento e diventerà a sua volta substrato di DICER, creando ulteriori piccoli RNA. Negli esperimenti d’interferenza la progettazione dell’oligo a RNA a doppio filamento deve necessariamente tenere in considerazione effetti collaterali o non desiderati. L’eventuale funzionamento aspecifico dell’oligo potrebbe determinare una falsificazione dei risultati dovuta a inibizione di altri RNA messaggeri con parziale omologia, o a un’attività dell’oligo sulla struttura della cromatina. E’ opportuno perciò compiere esperimenti preventivi e utilizzare la quantità