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Caratterizzazione strutturale e conformazionale
delle isoforme citosolica e mitocondriale della
Serina idrossimetiltrasferasi
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Corso di laurea Magistrale in Biologia e Tecnologie Cellulari
Cattedra di Scienze Biochimiche
Candidato
Alessandra Cicalini
n° matricola 1131336
Relatore
Roberto Contestabile
A/A 2013/2014
INDICE
1. INTRODUZIONE………………………………………………………………….. pag. 1
1.1 Vitamina B6: struttura, biosintesi ed assorbimento………………………………… pag. 2
1.2 Il cofattore piridossal-5'-fosfato: la forma biologicamente attiva della vitamina B6. pag. 8
1.3 Meccanismo di reazione degli enzimi PLP-dipendenti ……………………………… pag. 9
1.4 Enzimi PLP-dipendenti nel metabolismo cellulare ………….................................... pag. 11
1.5 La serina idrossimetiltrasferasi: struttura, proprietà spettrali e reazioni …………… pag. 13
1.6 La serina idrossimetiltrasferasi nel metabolismo cellulare…………………………… pag. 19
1.7 La serina idrossimetiltrasferasi ed il cancro………………………………………….. pag. 25
2. SCOPO DEL LAVORO DI TESI…………………………………………………. pag. 29
3. MATERIALI E METODI…………………………………………………..……… pag. 31
3.1 Cellule batteriche e vettori plasmidici………………………………………………... pag. 31
3.2 Protocollo di purificazione delle isoforme SHMT1 e SHMT2 ……………………… pag. 34
3.3 Protocollo di purificazione della forma apo-enzimatica della SHMT umana……….. pag. 38
3.4 Spettrofotometria……………………………………………………………………… pag. 40
3.5 Caratterizzazione cinetica e saggi di attività enzimatica……………………………… pag. 41
3.6 Fluorimetria e saggio fluorimetrico per la determinazione della Kd per il PLP…….. pag. 45
3.7 Cristallografia………………………………………………………………………….. pag. 46
3.8 Elettroforesi e proteolisi limitata……………………………………………………… pag. 46
3.9 Cromatografia di esclusione dimensionale (SEC)……………………………………. pag. 51
3.10 Dicroismo circolare ed esperimenti di denaturazione termica……………………… pag. 52
4. RISULTATI E DISCUSSIONE …………………………………........................ pag. 53
5. CONCLUSIONI………………..…………………………………………………….. pag. 69
RINGRAZIAMENTI …………………………………………………..…...........……. pag. 70
ELENCO ABBREVIAZIONI …………………………………………..…………….. pag. 71
INDICE FIGURE ………………………………………………………………………. pag. 72
BIBLIOGRAFIA ………………………………………………………………………… pag. 74
1
1. INTRODUZIONE
La serina idrossimetiltrasferasi è un enzima piridossale-5’-fosfato-dipendente, ubiquitario e
altamente conservato nell’evoluzione di tutte le specie viventi, sia vegetali che animali. La sua
attività catalitica è particolarmente importante per alcuni processi metabolici della cellula, come il
metabolismo energetico e la sintesi dei mattoni biologici: amminoacidi e nucleotidi.
È pertanto un enzima cruciale nella riprogrammazione metabolica delle cellule cancerose e, come
molti altri enzimi, appartenenti alle vie biosintetiche dei nucleotidi o dei folati, il bersaglio ideale
di agenti chemioterapici.
La ragione della presenza di diverse isoforme cellulari della SHMT e la possibilità che esse
svolgano ruoli diversi sono argomenti oggi ampiamente dibattuti.
Nella prima parte di questa tesi saranno descritte la struttura e le funzioni della vitamina B6 con
particolare attenzione al piridossal-5'-fosfato, il suo ruolo come cofattore enzimatico ed il
meccanismo di reazione degli enzimi PLP-dipendenti. Successivamente l’attenzione verrà portata
sulla serina idrossimetiltrasferasi, per illustrarne la reazione enzimatica, le caratteristiche
strutturali note ed i ruoli nel metabolismo cellulare.
Nella parte centrale della tesi verrà esposto il lavoro sperimentale, condotto in laboratorio allo
scopo di ottenere un’analisi strutturale e conformazionale delle isoforme citosolica e
mitocondriale dell’enzima umano. L’analisi verrà supportata dalla descrizione dei materiali, della
strumentazione tecnica utilizzata e delle metodologie eseguite, al fine di rendere la comprensione
più facile al lettore.
Nella parte conclusiva verranno infine discussi i risultati ottenuti.
2
1.1 Vitamina B6: struttura, biosintesi ed assorbimento
Le vitamine sono un insieme molto eterogeneo di sostanze organiche indispensabili per tutti gli
organismi. L’uomo le assume quotidianamente con la dieta alimentare, non essendo in grado di
sintetizzarle; il termine stesso vitamina, deriva dal tedesco vitamin, ovvero amina della vita.
In base alla loro solubilità vengono divise in due grandi classi: le vitamine idrosolubili e le
vitamine liposolubili.
Appartengono alla classe delle vitamine idrosolubili quelle del gruppo B: B1 (tiamina), B2
(riboflavina), B5 (acido pantotenico), B6 (piridossina), B9 (acido folico), B12 (cobalamina), così
come la vitamina C (acido ascorbico), la vitamina H (biotina) e la vitamina PP (niacina).
Appartengono invece alla classe delle vitamine liposolubili, le vitamine A, D, E e K.
La mancanza (ipovitaminosi o avitaminosi in caso di totale assenza) o l’eccesso (ipervitaminosi) di
vitamine nell’organismo possono causare vari disturbi, patologie o fenomeni di tossicità, poiché
questi composti sono coinvolti nell’omeostasi di molti processi biologici sia a livello cellulare che
organicistico.
Le vitamine idrosolubili, nello specifico, sono coinvolte nella regolazione del metabolismo
cellulare e tessutale attraverso gli enzimi che le richiedono per espletare le loro attività catalitiche;
le vitamine idrosolubili sono, infatti, dei coenzimi.
Struttura della vitamina B6
La vitamina B6 è una vitamina idrosolubile e molto probabilmente la più versatile essendo
coinvolta in una serie di reazioni di fondamentale importanza nella cellula.
Il termine vitamina B6 è stato spesso usato per indicare il composto piridossina. Tuttavia oggi ha
acquisito un carattere più generico riferendosi all'insieme di sei composti o vitameri, presenti in
tutti gli organismi, che condividono la struttura base 2-metil-3-idrossipiridina (sono tutti derivati
piridinici) e differiscono per la natura dei diversi sostituenti sul C4 e C5 .
I vitameri B6 qui di seguito riportati sono: la piridossina (PN), il piridossale (PL), la piridossamina
(PM) ed i loro rispettivi derivati fosforilati sul C5; la piridossina-5'-fosfato (PNP), il piridossale-5'-
fosfato (PLP) e la piridossamina-5'-fosfato (PMP). (Figura 1)
3
FIGURA 1. Struttura dei vitameri B6
Biosintesi della vitamina B6
Gli animali non sono in grado di sintetizzare de novo la vitamina B6. Solamente le piante, gli
Eubatteri, gli Archaea ed alcuni funghi sono in grado di farlo e sono due le vie di sintesi fin ora
conosciute.
La prima via, utilizzata da Escherichia coli e altri membri della divisione γ dei proteobatteri, viene
definita “DXP-dependente” e richiede per la sintesi di PNP sei enzimi, riportati nella figura
sottostante. (Figura 2)
Gli altri microrganismi, inclusi gli Archea, e la maggior parte degli Eubatteri, i funghi e le piante,
invece, utilizzano una seconda via biosintetica definita “DXP-indipendente”. Questa via è
catalizzata solo da due enzimi (Pdx1-Pdx2), che agiscono insieme per convertire il ribosio 5-fosfato
(R5P) e la gliceraldeide 3-fosfato (G3P) direttamente in PLP. Questo complesso enzimatico viene
chiamato PLP sintasi. Anche alcuni batteri patogeni sono in grado di sintetizzare la vitamina
(Neisseria meningitis, Salmonella typhimurium, Vibrio cholerae, Yersina pestis ed altri), quindi
progettare farmaci specifici potrebbe avere interessanti fini applicativi. (Fitzpatrick et al., 2010)
4
FIGURA 2. Vie biosintetiche della vitamina B6. Via De novo DXP-dipendente (presente in alcuni
eubatteri): GapB, d-eritrosio-4-fosfato deidrogenasi; PdxB, eritronato-4-fosfato deidrogenasi; PdxF/SerC,
fosfoserina aminotransferasi; PdxA, 4-idrossitreonina-4-fosfato deidrogenasi; DPXS, 1-deossi-d-xilulosio-5-
fosfato sintasi; PNP sintasi, dal gene PdxJ. Via De novo DXP-indipendente (presente negli altri eubatteri,
funghi ,piante ed Archaea): complesso PLP sintasi: dominio sintasico dal gene Pdx1; dominio glutaminasico
dal gene Pdx2. Salvage pathway (presenti in tutti gli organismi inclusi I mammiferi): PLK, piridossal chinasi
dal gene PdxK e piridossal chinasi 2 dal gene PdxY; PNPOx, piridossina-5’-fosfato ossidasi dal gene PdxH.
Assorbimento della vitamina B6
I vitameri B6 vengono acquisiti dagli animali dalla dieta mediante assorbimento intestinale:
 Dal cibo di origine animale l'uomo assimila la vitamina in parte sotto forma di PMP ma
principalmente sotto forma di PLP, che si trova associato agli enzimi PLP-dipendenti. In
5
particolar modo ricava il PLP dalla degradazione della glicogeno fosforilasi presente in
abbondante quantità nel muscolo e quindi nella carne. (McCormick D. B. 1989)
 Dal cibo di origine vegetale la vitamina B6 viene assunta principalmente sotto forma di PN
e PN-5'-β-glucoside (Figura 3) anche se in quest'ultima forma sembra essere assimilata
con più difficoltà poiché richiede l'intervento di glucosidasi intestinali. (Mackey et al
2003)
FIGURA 3. Piridossina-5'-β glucoside
Non tutte le vitamine vengono assunte nella loro forma biologicamente utilizzabile ma piuttosto
come precursori che vanno sotto il nome di provitamine. Una volta assunti, tali composti vengono
trasformati da specifici enzimi nella loro forma attiva, al fine di renderli utilizzabili.
Nel caso specifico della vitamina B6 gli animali possiedono gli enzimi in grado di interconvertire
tra loro le forme defosforilate e fosforilate della vitamina (PL chinasi e varie fosfatasi) ed
un'ossidasi in grado di convertire poi le forme fosforilate in PLP (PNP ossidasi; PNPOx).
(Mccormick D. B., Chen H. 1999; Jang, Y. M. 2003)
Tutti questi enzimi prendono il nome di “enzimi della via di recupero” del PLP. (Figura 4)
FIGURA 4. Enzimi della via di recupero o “salvage pathway” del PLP
6
L’enzima piridossal chinasi converte i vitameri nei loro rispettivi esteri fosforilati utilizzando
l’ATP come donatore del gruppo fosfato. La piridossina 5-fosfato ossidasi, invece, ossida il gruppo
alcolico o amminico sul C4’ dei rispettivi substrati (PNP e PMP) in gruppo aldeidico utilizzando
una molecola di FMN come cofattore e O2 come accettore di elettroni.
L’attività degli enzimi della via di recupero del PLP è indispensabile, poiché essi permettono
l'assorbimento di tutti i vitameri da parte delle cellule dell’intestino ed il loro trasporto ai tessuti.
Ne regolano inoltre il livello intracellulare evitandone la tossicità ed infine li convertono nella
forma biologicamente attiva della vitamina, che viene ceduta direttamente agli apoenzimi: il PLP.
Infatti a livello intestinale le forme fosforilate (PLP, PMP, PNP), che non riuscirebbero a passare la
membrana delle cellule ed essere così assorbite, vengono defosforilate a PN, PL e PM da ecto-
enzimi tessuto specifici rilasciati nel lume dell'intestino (fosfatasi intestinali; IP). Le forme
defosforilate vengono così assorbite dall'intestino tenue mediante un sistema mediato da carrier e
riversate nel circolo sanguigno. (Said H. M. 2004). A questo punto il sistema portale epatico
trasporta i vitameri, attraverso la vena portale epatica, fino al fegato dove la PL chinasi lì rifosforila
a PLP, PNP, PMP e la PNPOx converte poi PNP e PMP in PLP. Circa il 60% della vitamina che
viene riversato nel circolo sistemico e raggiunge i tessuti è sotto forma di PLP legato alla Lys190
all'albumina. La restante percentuale circola sotto forma di PL, PM, e PN. (Surtees R. A. et al.
2006) Una volta raggiunti i tessuti i vitameri defosforilati passano dai letti capillari al liquido
interstiziale grazie alle fosfatasi alcaline tessuto-non-specifiche (TNAP) associate alla membrana
delle cellule endoteliali dei vasi di tutti i tessuti. (Clayton P.T. 2006) All'interno delle cellule le
forme defosforilate vengono nuovamente fosforilate dalla PL chinasi e la PNPOx converte ancora i
vitameri PNP e PMP nella forma biologicamente attiva della vitamina: il PLP. Quest'ultimo viene
così ceduto agli apoenzimi PLP-dipendenti. Tutto il ciclo di assorbimento è qui di seguito riassunto
in figura 5.
7
FIGURA 5. Ciclo di assorbimento e trasporto della vitamina B6
Gli enzimi della via di recupero del PLP sono espressi in tutte le cellule, ma la quantità dei trascritti
(mRNA) e il funzionamento di questi enzimi sono altamente regolate in maniera tessuto-specifica.
Il loro mancato funzionamento porta all'alterazione dei livelli intra- ed extracellulari di PLP, che
può essere molto dannosa per l'organismo, soprattutto a livello cellulare; la loro deficienza
funzionale può causare una diminuzione di disponibilità del cofattore piridossale 5’ fosfato per gli
enzimi PLP-dipendenti ed l'alterazione di tutti i metabolismi ad essi associati.
8
1.2 Il cofattore piridossal-5'-fosfato: la forma biologicamente
attiva della vitamina B6
FIGURA 6. Il piridossale 5’-fosfato (PLP)
Il piridossale 5’-fosfato (PLP) (Figura 6) è composto da un anello piridinico con 4 sostituenti: un
gruppo aldeidico sul C4, un metile sul C2, un estere fosfato sul C5 e un ossidrile sul C3. Il gruppo
aldeidico è il centro reattivo della molecola, le sue proprietà sono finemente modulate dalla
presenza del gruppo ossidrile e dall’azoto dell’anello piridinico.
Il PLP è considerato la forma biologicamente attiva della vitamina B6 poiché, oltre a svolgere
svariate funzioni in molteplici processi cellulari, assume il ruolo predominante di cofattore
enzimatico. Attua infatti oltre 140 differenti reazioni enzimatiche, le quali rappresentano circa il
4% di tutte le attività catalitiche conosciute e sono eseguite da enzimi appartenenti a cinque delle
sei classi enzimatiche fin ora catalogate. Questa grande versatilità catalitica deriva in primo luogo
dalla sua peculiare struttura elettronica, in cui i 5 atomi di carbonio dell'anello, l'azoto, il carbonio e
l'ossigeno del gruppo aldeidico formano un sistema risonante, responsabile anche del colore giallo
del composto. Inoltre il gruppo aldeidico in posizione C4 possiede un’elevata reattività e può
reagire con:
o Ammino gruppi, tramite reazioni di condensazione per formare una base di Schiff.
o Idrazine, tramite reazioni di condensazione.
o Idrossilammine sostituite, tramite reazioni di condensazione.
o Composti sulfidrilici
Il PLP è in grado di catalizzare anche in assenza di enzimi, in soluzione, numerose reazioni.
Tuttavia la velocità delle reazioni catalizzate è inferiore rispetto a quando si trova legato come
cofattore agli enzimi. (Snell E.E. 1985)
Questo viene spiegato dal fatto che, nella tasca enzimatica, le proprietà catalitiche del cofattore
vengono modulate dalle catene polipeptidiche che lo circondano, le quali da una parte aumentano
la velocità di reazione e dall'altra gli conferiscono un più ampio spettro di possibilità catalitiche.
-
9
1.3 Meccanismo di reazione degli enzimi PLP-dipendenti
Il PLP possiede due proprietà chimiche fondamentali: attraverso il suo gruppo aldeidico forma
immine con il gruppo amminico primario dei substrati ed è inoltre in grado, fungendo da “trappola
elettronica”, di attrarre elettroni dal substrato e di stabilizzare gli intermedi carbanionici che si
formano dalla scissione eterolitica dei legami.
In virtù di queste peculiari proprietà chimiche, i passaggi iniziali del meccanismo d'azione del PLP,
in tutte le reazioni enzimatiche PLP-dipendenti, sono essenzialmente gli stessi.(Figura 7)
Il cofattore è sempre covalentemente legato, in forma di aldimmina, al gruppo ε-amminico di un
residuo di lisina, nella tasca dell'enzima PLP-dipendente, formando la cosiddetta "aldimmina
interna". Il gruppo -NH2 del substrato effettua poi un attacco nucleofilo al C4' del PLP, con
formazione di una diammina geminale intermedia. In questa struttura intermedia entrambi i gruppi
-NH2, dell'enzima e del substrato, sono legati al C4', il quale assume una geometria tetraedrica.
Successivamente il legame con il residuo di lisina viene scisso, generando, per condensazione del
PLP con il substrato, quella che viene chiamata un' "aldimmina esterna" (Base di Schiff). Sia
nell'aldimmina interna che in quella esterna, invece, il C4' ha una geometria planare. (Metzler et al.
1954)
FIGURA 7. Meccanismo di reazione del PLP; formazione della base di Schiff
A questo punto i legami del Cα del substrato vengono indeboliti dall'effetto di attrazione
elettronica, esercitato dall'anello aromatico del PLP e dall'azoto piridinico protonato, portando alla
rottura eterolitica di uno di questi.
10
Le successive fasi della reazione variano a seconda del tipo di substrato e di quale dei legami del
Cα del substrato viene scisso.
Il legame che viene rotto dipende anche dalla conformazione e dalla natura dei residui
amminoacidici della tasca enzimatica, poiché sono questi a modulare l'attività catalitica del
cofattore stabilizzando un legame piuttosto che un altro.
Tuttavia la rottura può essere di tre tipi: l’eliminazione di CO2, la deprotonazione, l’eliminazione
della catena laterale. Comunque la perdita di uno dei sostituenti del Cα del substrato, per taglio
eterolitico, porta sempre alla formazione di un carbanione (chiamato anche carbanione α), con una
coppia di elettroni libera, altamente instabile. Il PLP si comporta come una “trappola elettronica”,
grazie all'estesa coniugazione degli elettroni π dell'anello piridinico, delocalizzando per risonanza
la carica negativa ed il carbanione viene immediatamente stabilizzato formando un intermedio
chinonoide. (Nelson D.L. and COX M.M 2010) (Figura 8)
FIGURA 8. Struttura di risonanza del carbanione con formazione di un intermedio chinonoide.
A questo punto seguono, a seconda dell'enzima coinvolto nella catalisi, molteplici vie, che si
ramificano in una serie di passaggi e portano a prodotti finali differenti. È infatti il microambiente
che circonda il cofattore a favorire una determinata reazione rispetto alle molte altre possibili. A
seconda del legame rotto precedentemente possono presentarsi diverse reazioni:
1) reazioni che procedono dopo l’eliminazione di CO2 dal Cα: α-decarbossilazione, α-
decarbossilazione seguita da transaminazione;
2) reazioni che procedono dopo la deprotonazione del Cα: racemizzazione, transaminazione, β-
decarbossilazione, β-eliminazione, β-sintesi, γ-eliminazione, γ-sintesi;
3) reazioni che procedono dopo l’eliminazione della catena laterale: α-sintesi, scissione aldolica.
11
1.4 Enzimi PLP- dipendenti nel metabolismo cellulare
Una grande varietà di enzimi nella cellula utilizza come cofattore enzimatico il piridossale 5’
fosfato che si vede quindi coinvolto in numerosi ed importanti processi cellulari quali:
 sintesi, interconversione e degradazione degli amminoacidi ;
 sintesi e degradazione di ammine biogene;
 sintesi dei composti tetrapirrolici, come per esempio l’eme;
 rifornimento delle unità monocarboniose;
 metabolismo degli amminozuccheri;
 sintesi di DNA, RNA e cofattori nucleotidici;
 produzione di neurotrasmettitori.
La maggioranza degli enzimi PLP-dipendenti svolge la sua attività catalitica prendendo parte al
metabolismo di amminoacidi (sintesi, interconversione e degradazione degli aminoacidi) e ammine,
attraverso reazioni chimiche che vanno da semplici isomerizzazioni a elaborate reazioni di sintesi.
A questa classe di enzimi appartengono infatti transaminasi, deaminasi, racemasi, deidratasi, liasi,
numerose sintasi e decarbossilasi. (Figura 9)
D’altra parte alcuni di questi enzimi non sono solo coinvolti nel metabolismo degli amminoacidi
ma intervengono anche nel metabolismo dei carboidrati. Ad esempio le glicano fosforillasi
utilizzano il PLP come gruppo prostetico anche se con un meccanismo di reazione diverso.
(Metzler et al., 1977) Inoltre gli enzimi PLP-dipendenti prendono parte alla modulazione
dell’espressione genica mediata dagli ormoni steroidei (Allgood et al., 1993) ed assumono un ruolo
chiave nel metabolismo di sintesi e degradazione dei neurotrasmettitori (Kang et al. 2002;
McCarty, 2000).Livelli inadeguati di PLP, infatti, sono responsabili di disfunzioni neurologiche, in
particolar modo dell’epilessia (Di Salvo et al., 2012).
La notevole diversità degli enzimi PLP-dipendenti emerge chiaramente dalla modulazione e
dall’esaltazione delle proprietà chimiche intrinseche del coenzima da parte della componente
proteica circostante. L’evoluzione ha modellato la struttura proteica in modo che ogni enzima possa
fornire un ambiente unico di legame con il proprio substrato e possa attuare le proprie reazioni
specifiche. Grazie ai recenti sviluppi tecnologici nel campo della bioinformatica, della
cristallografia delle proteine ed al supporto di banche dati sempre più aggiornate, la ricerca nel
campo degli enzimi PLP-dipendenti è cresciuta notevolmente. Essa oggi si rivolge principalmente
12
allo studio della funzione, della struttura di questi importanti catalizzatori biologici ed alle relazioni
tra l’attività catalitica ed il percorso evolutivo.
FIGURA 9. Schema del metabolismo cellulare fornito dal PATHWAY database online KEGG, Kyoto
Encyclopedia of Genes and Genome ( www.genome.ad/Kegg/pathway/map).
Ogni punto corrisponde ad un metabolita ed ogni linea ad un enzima. Le linee evidenziate in rosso
corrispondono agli enzimi PLP-dipendenti.
13
1.5 La serina idrossimetiltrasferasi: struttura, proprietà spettrali e
reazioni catalizzate
La serina idrossimetiltransferasi (SHMT) è un enzima piridossal 5’-fosfato dipendente, ubiquitario
e altamente conservato in batteri, piante, funghi e mammiferi. L’enzima venne purificato e
caratterizzato per la prima volta nel 1963 dal fegato di coniglio (Schirch e Mason, 1963). Oggi,
grazie allo sviluppo di nuovi strumenti informatici, è possibile confrontare, nelle banche dati
biologiche, i dati relativi alla sequenza genica, alla struttura cristallografica ed alla
caratterizzazione cinetica delle sue isoforme, che nel corso degli anni sono state purificate da
diversi organismi, compreso l’uomo. Questa ricchezza di informazioni, facilmente accessibili,
rappresenta oggi un potente strumento per la ricerca ed ha permesso di rendere evidente quanto
l’attività catalitica della serina idrossimetiltrasferasi sia importante nel metabolismo cellulare.
Struttura e folding della SHMT
La disponibilità di numerose strutture cristallografiche dell’enzima, risolte da fonti sia eucariotiche
che procariotiche, ha contribuito a chiarire una serie di osservazioni precedentemente acquisite con
classici studi biochimici.
La SHMT procariotica è un omodimero mentre nei mammiferi, compreso l’uomo, assolve le sue
funzioni catalitiche come omotetramero ed appartiene al gruppo di ripiegamento I (o famiglia
dell’aspartato aminotrasferasi), che include molti degli enzimi PLP-dipendenti meglio
caratterizzati. Come per gli altri membri di questo gruppo, la subunità enzimatica del tetramero che
viene tradotta si ripiega in due domini. Il dominio grande N-terminale è costituito da sette foglietti
β e numerose -eliche, mentre il piccolo dominio C-terminale è costituito da tre foglietti β,
ricoperti da -eliche su di un lato. Ogni subunità del tetramero quindi possiede un sito attivo, nel
quale alloggia una molecola del cofattore PLP, ma ciascuna tasca è delimitata anche da residui
amminoacidici forniti dalla subunità adiacente. Per questo motivo ogni sito attivo si localizza
all’interfaccia di due monomeri che vanno a costituire un dimero obbligato, cataliticamente attivo.
Questi omodimeri negli eucarioti si associano poi a formare l’omotetramero. Nel sito attivo il
cofattore PLP è strettamente legato, tramite base di schiff, ad un residuo di lisina. (figura 10)
14
FIGURA 10. Struttura SHMT citosolica umana (hcSHMT). A sinistra visione dell’omotetramero:
subunità A in ciano, B in marrone, C in verde e D in viola. Le subunità A-D e C-B formano i dimeri, che
sono correlati da un duplice asse orizzontale. È visibile anche il cofattore PLP. A destra ingrandimento del
monomero C; dominio grande N-terminale in verde e la sua estremità in viola; dominio C-terminale in rosso;
al centro è rappresentato il cofattore PLP (Renwick et al. 1998)
Nei mammiferi la SHMT è presente in due isoforme; un’isoforma citosolica (cSHMT), anche
indicata come SHMT1, e un’isoforma mitocondriale (mSHMT), indicata come SHMT2..Ciascuna
delle isorforme, citosolica e mitocondriale, è codificata da un singolo gene, localizzato
rispettivamente nella regione cromosomica 17p11.2 e 12q13 (Shipra et al., 2003). Nell’uomo le
sequenze aminoacidiche delle due isoforme condividono un alto grado di omologia (63%). I singoli
isoenzimi sono altamente omologhi agli analoghi citosolico di coniglio (92% identità di sequenza)
e mitocondriale di coniglio (97% identità di sequenza). Inoltre un alto grado di omologia è stato
riscontrato anche tra l’isoforma citosolica di coniglio e l’isoforma di E. coli (43% identità)
(Martini et al., 1987).
L’enzima citosolico è composto da 483 aminoacidi e ha un peso molecolare di 53.020 Da, mentre
la forma mitocondriale è formata da 474 residui aminoacidici è presenta un peso molecolare di
52.400 Da. Negli eucarioti quindi il dimero obbligato possiede un peso molecolare di ~110 kDa,
mentre la struttura tetramerica di ~ 250 kDa.
Il meccanismo di ripiegamento della SHMT di E.coli è stato studiato e compreso in dettaglio. Esso
può essere diviso in due fasi e termina con il legame del PLP. Nella prima fase, i domini grande e
piccolo assumono rapidamente una conformazione molto simile a quella nativa. Nella seconda fase,
più lenta, l’enzima acquisisce la capacità di legare il cofattore. L’evento chiave necessario per il
passaggio tra la prima e la seconda fase rimane ancora poco chiaro. (Florio et al., 2010)
15
Meccanismo di reazione
Conversione THF-dipendente della serina in glicina
La SHMT catalizza la reazione reversibile di taglio retroaldolico della L-serina in glicina, con
trasferimento dell’unità monocarboniosa, derivante dal gruppo idrossimetilico della serina, al
tetraidrofolato (H4PteGlu, o THF) e formazione di metilentetraidrofolato (5,10-CH2-H4PteGlu).
Questa reazione rappresenta la risorsa primaria di unità monocarboniose richieste per la sintesi di
timidilato, purine e metionina (Schirch et al., 2005). (Figura 11)
L-serina + THF Glicina + 5,10-CH2-THF + H2O
FIGURA 11. Reazione principale della SHMT: conversione THF-dipendente della serina in glicina.
Il primo passaggio, nella conversione THF-dipendente della serina in glicina, è l’attacco nucleofilo
portato dal N5
del H4PteGlu al C3 della serina legata come aldimina esterna al PLP. Il legame C3-
C2 viene rotto e si genera l’intermedio chinonoide e la N5
-carbinolamina. Successivamente un
residuo di glutammato (Glu75 nella SHMT citosolica di coniglio) agisce da catalizzatore acido
nella deidratazione della la N5
-carbinolamina per formare un N5
-immino catione, nuovamente
protonato poi dal N10
con formazione del 5,10-CH2-H4PteGlu. Il ruolo del H4PteGlu nella reazione
con la SHMT non è solo quello di accettare il gruppo idrossimetilico della serina, ma anche quello
di spostare l’equilibrio verso la formazione dell’intermedio chinonoide. (Schirch et al., 2005)
16
FIGURA 12. Meccanismo proposto per la conversione folato-dipendente della serina in glicina. I gruppi
basici sono indicati con B: e quelli acidi con BH (Schirch et al., 2005).
Proprietà spettrali della serina idrossimetiltrasferasi
Come abbiamo già accennato in precedenza, all’interno del sito attivo il PLP è legato
covalentemente attraverso una base di Schiff al gruppo ε-aminico di un residuo di lisina
dell’enzima, formando la cosiddetta “aldimmina interna”. Questo composto assume una
colorazione gialla e conferisce all’enzima proprietà spettrali uniche, per questa ragione il cofattore
viene usato come sonda spettrofotometrica per seguire le fasi della catalisi.
In assenza dell’aminoacido substrato, l’enzima esibisce un massimo di assorbimento tra 420 nm e
430 nm, dovuto al PLP legato all’enzima. L’aggiunta di livelli saturanti di glicina, in assenza di
THF, produce uno spettro di assorbimento in cui è possibile distinguere tre diverse bande: una a
343 nm, una a 425 nm ed una terza a 495 nm, le cui intensità relative sono influenzate dal pH
(Schirch & Diller, 1971).
La presenza di bande simili in altri enzimi PLP-dipendenti, già dimostrate con lo studio di sistemi
modello in precedenti lavori di ricerca (Davis & Metzler, 1972), ha permesso un’agevole
interpretazione dei dati ottenuti per la SHMT.
La specie chimica che assorbe a 425 nm corrisponde al complesso formato tra aminoacido e PLP,
noto come “aldimmina esterna”. La banda d’assorbimento a 495 nm dipende dalla formazione di
un intermedio chinonoide, prodotto dalla deprotonazione del carbonio α della glicina, mentre
l’assorbimento a 343 nm è dato dalla formazione di una struttura chiamata “diamina geminale”.
Studi di cinetica rapida hanno poi mostrato questi intermedi comparire nell’ordine: 343 nm  425
nm  495 (Schirch, 1975; Cheng & Haslam, 1972) (Figura 13).
17
FIGURA 13. Intermedi di reazione che si formano in seguito all’aggiunta di glicina alla SHMT. Se è
presente un’aldeide, l’intermedio IV può reagire con essa, formando un idrossiaminoacido (intermedio V)
che viene rilasciato passando attraverso l’intermedio VI. Sotto ogni intermedio viene riportata la lunghezza
d’onda corrispondente al massimo di assorbimento (Schirch, 1982)
Taglio retroaldolico dei β-idrossiamminoacidi
La SHMT oltre alla reazione di trasferimento del C-β dalla serina al H4PteGlu, è in grado di
catalizzare, in vitro ed in assenza di H4PteGlu, la scissione aldolica di numerosi L-β-
idrossiaminoacidi (Figura 14), con preferenza per la treonina e la β-fenilserina. Nessuna di queste
reazioni richiede H4PteGlu come co-substrato. La stereospecificità dell’enzima rispetto al Cβ è
rilassata; il taglio si verifica con entrambi i diastereomeri treo e eritro, ma l’isomero eritro è
favorito rispetto al treo (L-allo-treonina rispetto alla L-treonina). Il sito attivo, grazie ad una cavità
idrofobica, è infatti in grado di ospitare grandi sostituenti al Cβ in entrambe le forme sia treo che
eritro.
FIGURA 14. Meccanismo proposto per la reazione di taglio retroaldolico dei β-idrossiamminoacidi. I
gruppi basici sono indicati con B: e quelli acidi con BH (Schirch et al., 2005).
Conversione del 5,10-CH+
-H4PteGlu in 5,10-CHO-H4PteGlu
18
Un’altra reazione che la SHMT è in grado di catalizzare è la conversione del 5,10-CH2-H4PteGlu in
5-CHO-H4PteGlu (formil-tetraidrofolato), reazione questa che sembra venga utilizzata dalle cellule
dormienti come forma di conservazione di folati allo stato ridotto e di gruppi monocarboniosi
(Stover et al., 1990 e 1992). Sebbene questa reazione sia più lenta rispetto l’interconversione della
serina e glicina, numerosi lavori sperimentali hanno dimostrato che il 5-CHO-H4PteGlu presente
nella cellula deriva interamente dall’attività della SHMT (Stover et al. 1990, Anguera et al. 2003,
Holmes et al. 2002) Uno passaggio critico nella reazione è la rottura acido-catalizzata del legame
tra l’atomo di carbonio e l’N10
(struttura I nella figura 15). Il meccanismo probabilmente segue la
stessa chimica acido-base necessaria nella conversione serina-glicina con H4PteGlu per formare
CH2-H4PteGlu.
FIGURA 15. Meccanismo proposto per la conversione del 5,10-CH+-
H4PteGlu a 5-CHO-H4PteGlu. I
gruppi basici sono indicati con B: e quelli acidi con BH (Schirch et al., 2005).
La serina idrossimetiltrasferasi infine è in grado di catalizzare anche una serie di reazioni
alternative; reazioni di decarbossilazione, transaminazione e racemizzazione di analoghi di
substrato (Schirch et al, 1998) La scelta della reazione catalizzata dalla SHMT è determinata
principalmente dalla struttura del substrato amminoacidico. Con i substrati fisiologici, serina o
glicina, la SHMT non catalizza nessuna delle reazioni secondarie. Secondo il modello attualmente
accettato, la specificità di reazione dell’enzima dipende dalla conformazione aperta o chiusa del
sito attivo. I substrati fisiologici determinano la conformazione chiusa, mentre quelli alternativi
reagiscono quando l’enzima si trova in una conformazione aperta, consentendo reazioni alternative
(decarbossilazione, transaminazione e racemizzazione) (Schirch et al., 1991)
Questa capacità di catalizzare, con i propri substrati o con analoghi di substrato, reazioni alternative
rispetto alla propria reazione fisiologica, è stata definita “promiscuità catalitica”. La promiscuità
catalitica degli enzimi a PLP può aver favorito, per evoluzione divergente, la comparsa dell’odierna
gamma di enzimi dipendenti dal piridossal-5’-fosfato.
19
1.6 La serina idrossimetiltrasferasi nel metabolismo cellulare
La reazione principale catalizzata dalla serina idrossimetiltrasferasi si pone al centro di alcuni tra i
più importanti processi metabolici della cellula. Questo enzima infatti ha un ruolo centrale nel
metabolismo degli amminoacidi L-serina, glicina e dei folati. I prodotti della sua reazione sono poi
precursori di composti implicati nel metabolismo energetico della cellula e nella sintesi dei mattoni
biologici, quali amminoacidi e nucleotidi. Il 5,10-metilen-THF rappresenta la risorsa primaria di
unità monocarboniose richieste per la sintesi delle purine adenina e guanina, per la conversione
dell’uridilato in timidilato e per la metilazione dell’omocisteina in metionina. (Schirch et al., 2005)
D’altra parte anche la glicina risulta fondamentale per la biosintesi delle purine ed inoltre viene
utilizzata dalla cellula per la formazione delle porfirine e dei deossiribonucleotidi.
Qui di seguito sono riportati ed analizzati i metabolismi che vengono influenzati maggiormente
dall’attività della SHMT.
Metabolismo di glicina, serina e treonina:
La via principale di sintesi della serina e della glicina è la stessa in tutti gli organismi. Questa via
parte dal 3-fosfoglicerato prodotto dalla glicolisi per formare la serina e la SHMT ne catalizza la
conversione in glicina. La glicina poi negli animali subisce una scissione ossidativa ad opera
dell’enzima di scissione della glicina o glicina sintasi, che la degrada a CO2, NH4
+
e cede un
gruppo metilenico al THF formando 5,10-CH2-H4PteGlu. Questo enzima fa parte di un complesso
proteico ancorato alla membrana interna del mitocondrio, chiamato glycine cleavage system
(GCS). (Nelson D. and Cox M., 2008)
È interessante notare che, oltre all’SHMT, anche altri enzimi appartenenti al metabolismo della
glicina e della serina, come la serina deidratasi o l’enzima di scissione della glicina, utilizzano sia il
PLP che il THF per la catalisi delle proprie reazioni. Entrambi i cofattori hanno quindi un ruolo
predominante e correlato nel catabolismo di questi amminoacidi.
Metabolismo delle unità monocarboniose e dei folati
L’acido tetraidrofolico o THF, substrato della SHMT, è la forma attiva e ridotta del folato o acido
folico: composto che per i mammiferi è una vitamina (la vitamina B9) e viene assunta dalla dieta. È
costituito da una pterina, sostituita in posizione 6 da un metile (6-metilpterina), legata ad un p-
aminobenzoato ed ad un glutammato. (Figura 16)
20
L’acido folico viene ridotto in due tappe a THF dall’enzima diidrofolato reduttasi che, con l'utilizzo
di NADPH come donatore di elettroni, riduce la 6-metilpterina.
FIGURA 16. Struttura del tetraidrofolato.
Il THF è un cofattore enzimatico in grado di legare e trasportare un gruppo monocarbonioso, in uno
dei tre stadi di ossidazione, sull’atomo di azoto N5
, sull’ N10
o legato a entrambi.
Questa unità monocarboniosa deriva principalmente dall’atomo di carbonio rimosso durante la
conversione della serina in glicina a opera dell’ SHMT, che trasforma quindi il THF in N5
, N10
-
metilen-tetraidrofolato. Da questo prodotto di reazione diversi enzimi possono generare ben sei
forme del tetraidrofolato, che sono interconvertibili tra di loro e in grado di trasportare e cedere
unità monocarboniose a diversi stadi di ossidazione: 5-CH3-H4PteGlu, 5,10-CH-H4PteGlu, 5-CHO-
H4PteGlu, 10-CHO-H4PteGlu ed 5-CHNH-H4PteGlu. (Figura 17)
La stessa SHMT concorre alla regolazione ed al mantenimento dell’omeostasi del pool di queste
unità monocarboniose intracellulari, attraverso la reazione secondaria, irreversibile, di conversione
del 5,10-CH2-H4PteGlu in formiltetraidrofolato (5-CHO-H4PteGlu) (Stover et al. 1990, 1992;
Holmes et al., 2002; Krushwitz et al., 1994).
Questi composti sono chiamati complessivamente folati e sono i cofattori di molte reazioni
cellulari, soprattutto quelle appartenenti alle vie metaboliche degli amminoacidi e dei nucleotidi. I
farmaci o composti chimici che legame competono con i folati per legarsi agli enzimi sono
chiamati antifolati. (Nelson D. and Cox M., 2008)
21
FIGURA 17. Interconversione delle unità monocarboniose sui folati.
Sintesi della metionina e dell’S-adenosilmetionina
Un’altra importante reazione in cui partecipa l’unità monocarboniosa derivante dall’attività
catalitica della SHMT è proprio la conversione dell’omocisteina a metionina.
Infatti il 5-CH3-H4PteGlu è il substrato della metionina sintasi che, con il supporto del coenzima
B12, trasferisce il gruppo metilico dal folato all’omocisteina, generando metionina e tetraidrofolato.
La metionina è poi convertita in S-adenosilmetionina grazie all’attività della metionina adenosil
trasferasi.
Questa reazione fa parte di un ciclo metabolico importante per la sintesi della S-adenosilmetionina,
che è un donatore universale di gruppi metili e quindi importante per la metilazione del
DNA.(Nelson D. and Cox M., 2008) (Figura 18)
22
FIGURA 18. Sintesi della metionina e della S-adenosilmetionina
Sintesi de novo delle purine ed il ciclo del timidilato
Le vie di biosintesi degli amminoacidi e quelle dei nucleotidi sono strettamente interconnesse:
alcuni amminoacidi o parti di essi vengono incorporati nelle strutture puriniche o pirimidiniche e
molte vie hanno in comune sia gli intermedi metabolici che le reazioni di trasferimento dell’azoto e
delle unità monocarboniose. I prodotti della reazione dell’SHMT, glicina e N5
-N10
-metilen-THF,
sono protagonisti nella sintesi delle purine e del timidilato.
La glicina, per incorporazione diretta nell’anello o attraverso incorporazione di unità
monocarboniose derivate dal glycine cleavage system, prende parte alla sintesi de novo delle basi
puriniche adenina e guanina.
Infatti questo amminoacido diventa parte strutturale dell’anello purinico mentre l’ N10
- formil-THF
fornisce due atomi di carbonio in due tappe ben distinte. (Figura19)
23
FIGURA 19. Incorporazione della glicina nell’anello purinico
Inoltre la glicina è importante, indirettamente, anche nella formazione dei deossiribonucleotidi,
prendendo parte alla sintesi del composto glutatione (GSH) insieme al glutammato ed alla cisteina.
(Nelson D. and Cox M., 2008)
La via biosintetica de novo delle pirimidine citosina ed uracile, d’altra parte, non richiede
l’intervento di amminoacidi quali serina o glicina o dei folati. Tuttavia la sintesi de novo dei
derivati timinici e del timidilato avviene dal dUMP, ad opera dell’enzima timidilato sintasi. Questo
enzima riduce l’dUMP a dUTP utilizzando N5
-N10
metilentetraidrofolato, che a sua volta si ossida a
diidrofolato.
Quindi la SHMT, insieme alla diidrofolato reduttasi ed alla timidilato sintasi costituisce quello che
viene definito il ciclo del timidilato, pathway metabolico che controlla l’apporto di timina e di
derivati timinici per la cellula. (Figura 20)
24
FIGURA 20. Ciclo del timidilato
Biosintesi delle porfirine
Negli ultimi anni è risultata sempre più evidente l’importanza della produzione di glicina nel
mitocondrio. Nella matrice mitocondriale infatti essa viene condensata con il succinil-coA dalla δ-
amminolevulinato sintasi a formare 5-amminolevulinato. Questo composto è il precursore
universale delle diverse forme di eme contenute nelle emoproteine, nei citocromi e nei complessi
che attuano il processo di fosforilazione ossidativa.
In conclusione si può affermare che l’SHMT gioca un ruolo fondamentale in molti importanti
processi cellulari compresa la respirazione cellulare. Importante è però notare che le due isoforme,
citosolica e mitocondriale, di questo enzima possono contribuire in maniera diversa a questi
metabolismi cellulari. La cSHMT assume un ruolo più importante come fonte delle unità
monocarboniose usate nella biosintesi delle purine e del timidilato, mentre la principale funzione
della mSHMT sembra essere legata alla sintesi della glicina. (di Salvo et al. 2013)
Dato che il tetraidrofolato e i suoi derivati non possono attraversare la membrana mitocondriale, la
comunicazione tra il metabolismo delle unità monocarboniose mitocondriale e citosolico è mediato
dal flusso di serina, glicina e formiato tra questi due compartimenti.
25
1.7 La serina idrossimetiltrasferasi nel cancro
In contrasto con le cellule normalmente differenziate, le cellule cancerose sono caratterizzate da un
alto tasso proliferativo. La loro crescita incontrollata è il risultato dell’acquisizione di alcune
caratteristiche fondamentali, che più comunemente vengono definite “hallmarks of cancer”.
L’accumulo progressivo di mutazioni rende queste cellule capaci di evadere la senescenza,
l'apoptosi e di poter avanzare nel ciclo cellulare anche in assenza dei fattori di crescita.
Una delle caratteristiche più importanti che le cellule della massa tumorale acquisiscono, è la
capacità di riorganizzare il proprio metabolismo, allo scopo di ottenere una più veloce ed efficiente
produzione di energia metabolica e di biomassa. Già nel 1926 Otto Warburg aveva dimostrato che
nelle cellule cancerose e nei tessuti ad alto tasso proliferativo, vi è un aumento del metabolismo
glicolitico e del ciclo dei pentosi fosfati. L’incremento del flusso di queste vie si accompagna poi
alla produzione di grandi quantità di lattato, anche in presenza di alta tensione di O2 e di una
regolare respirazione mitocondriale. (Warburg O et al. 1927; Koppenol WH et al. 2011 ) A
questo fenomeno venne assegnato poi il nome di effetto Warburg. L’effetto Warburg può essere
indotto ed incrementato dallo stato di ipossia che si crea nella massa tumorale. Esso è causato
principalmente dall’attivazione di oncogeni che direttamente, o indirettamente attraverso il
controllo trascrizionale, interferiscono con l’attività degli enzimi delle vie metaboliche principali.
In parte questo fenomeno è dovuto alla mutazione degli enzimi che le caratterizzano.
In molti tumori si è osservato che il flusso della via glicolitica viene incrementato dalla
sovraespressione del trasportatore per l’up-take del glucosio (GLUT1) e dall’aumento
dell’espressione degli enzimi a monte della via come: l’esochinasi 2 (HK2) e la fosfofruttochinasi
(PFK). D’altra parte le cellule aumentano l’espressione di una specifica isoforma della piruvato
chinasi (PK); la piruvato chinasi del muscolo M2 (PKM2). L’inefficienza catalitica di questo
enzima rallenta il flusso della via, portando all’accumulo degli intermedi della glicolisi. (Heesun
Cheong et al. 2012) Si osserva anche l’aumento dell’espressione e dell’attività della lattato
deidrogenasi (LDH) e della piruvato deidrogenasi chinasi (PDK1). Quest’ultimo enzima è
responsabile della fosforilazione ed inibizione di una delle subunità della piruvato deidrogenasi.
Impedisce quindi che il piruvato venga convertito in acetil-CoA e trasportato nel mitocondrio,
facendo in modo che rimanga nel citoplasma, divenendo il substrato della lattato
deidrogenasi.(Miran Jang et al 2013 ; Heesun Cheong et al. 2012) (Figura 21)
26
FIGURA 21. Effetto Warburg ed enzimi della glicolisi de-regolati nelle cellule tumorali.
La resa di ATP che si ottiene dalla fermentazione lattica è però nettamente inferiore a quella che si
ottiene con la respirazione, motivo per il quale le cellule tumorali richiedono un sostanzioso up-
take di glucosio e glutammina. Hanno inoltre un tasso glicolitico di circa 200 volte maggiore
rispetto alle cellule normali. La scelta di utilizzare un metabolismo che ha una così bassa efficienza
di produzione di ATP è dovuta alla possibilità, per queste cellule, di sfruttare l’incremento della
produzione degli intermedi della via glicolitica, per incanalarli verso le vie di sintesi della
biomassa. Ad esempio il 3-fosfoglicerato, che si accumula nel citoplasma, è il precursore della via
biosintetica della L-serina e della glicina e la 3-fosfoglicerato deidrogenasi (3PDG) è proprio uno
degli enzimi di questa via che vengono sovraespressi in un significativo numero di tumori umani
(Locasale et al., 2011; Possemato et al, 2011).
La SHMT, nelle cellule altamente proliferanti, ha il ruolo fondamentale di convertire la serina
proveniente dal glucosio in glicina, rifornendo così di unità monocarboniosa le vie biosintetiche
delle purine, del timidi lato, della metionina e delle porfirine. In una varietà di tumori solidi e nelle
cellule della leucemia umana è stata riscontrata l’iperattività della SHMT, associata all’incremento
della richiesta di sintesi di DNA di queste cellule. (Thorndike J et al., 1979; Snell K. et al., 1988)
27
Più recentemente è stato anche dimostrato che entrambe le isoforme della SHMT sono target
trascrizionali dall’oncogene c-Myc e che alcune varianti geniche dell’isoforma citosolica sono
associate con l’incremento del rischio di cancro ai polmoni. (Nikiforov MA et al., 2002; Wang L
et al., 2007) Anche la sovraespressione della SHMT2 in cellule NIH-3T3 sembra essere in grado di
indurre tumori in vivo. (Zhang WC et al., 2012) Marcature con isotopi radioattivi hanno rivelato
che, in cellule tumorali in rapida proliferazione, la gran parte della glicina consumata è in effetti
incorporata nei nucleotidi purinici. Ciò avviene in misura molto minore in cellule lentamente
proliferanti. L’aumento del consumo di glicina correlato a un alto tasso di proliferazione è stato
osservato in oltre 60 linee cellulari trasformate ed è ancora più pronunciato in specifici tumori,
come quello ovarico, del colon e cellule di melanoma, quindi il consumo di glicina sembra essere
una caratteristica specifica di cellule trasformate in rapida proliferazione. (Mohit et al., 2012)
La sintesi intracellulare di glicina è compartimentalizzata tra citoplasma e mitocondrio e regolata
proprio dalle due isoforme della serina idrossimetiltransferasi. Inoltre, come abbiamo visto nel
paragrafo precedente, la reazione catalizzata dalla SHMT fornisce anche supporto al metabolismo
delle unità monocarboniose, al ciclo del timidilato per la produzione di timidilato ed alla sintesi di
porfirine per il metabolismo energetico. (Figura 22)
FIGURA 22. Schema riassuntivo dei metabolismi interessati dall’attività della SHMT nelle cellule
tumorali.
28
I più diffusi antimetaboliti utilizzati come agenti anticancro agiscono proprio a livello di queste vie
metaboliche. Farmaci che causano l’inibizione della timidilato sintasi (TS) e della diidrofolato
reduttasi (DHFR) sono i più antichi agenti chemioterapici in medicina oncologica ed ancora i più
largamente utilizzati; metotrexato e 5-fluorouracile.(Matthew G. et al., 2011)
Se si vuole sviluppare un farmaco che stimola o inibisce una via metabolica, il bersaglio più logico
è l’enzima che ha il maggior impatto sul flusso della via. La posizione critica occupata dalla
SHMT, nel punto di convergenza delle due vie metaboliche chiave per l’intervento chemioterapico
(metabolismo di serina e glicina e biosintesi dei nucleotidi) e la disponibilità di una grande quantità
d’informazioni strutturali, fanno di questo enzima un attraente bersaglio per terapie antitumorali.
Scegliere la SHMT come possibile bersaglio di agenti chemioterapici avrebbe il duplice vantaggio
di diminuire il flusso della serina dai precursori glicolitici, smorzando così l’effetto Warburg e di
inibire la sintesi del DNA, agendo simultaneamente sia sulla sintesi delle pirimidine che delle
purine. (Figura 23)
FIGURA 23. Chemioterapici attualmente in uso e metabolismo dei folati (5-fluorouracile e
metotrexato)
29
2. SCOPO DEL LAVORO DI TESI
Nel 2012 uno studio di Jain et al. ha contribuito a far luce sul ruolo della glicina e delle isoforme
della SHMT nella proliferazione delle cellule tumorali. I ricercatori hanno esaminato l’espressione
genica di 1452 enzimi metabolici in 60 linee cellulari tumorali umane e misurato i profili del
consumo e del rilascio di un gran numero di metaboliti. Dall’analisi metabolomica è risultato che la
glicina, a differenza di altri metaboliti, mostra un profilo di consumo e rilascio diverso in cellule
altamente proliferanti e scarsamente proliferanti. La domanda di glicina nelle cellule cancerose
eccede la capacità di sintesi endogena. Inoltre esperimenti condotti con la glicina marcata (C3
-Gly)
hanno dimostrato che quella consumata nelle cellule altamente proliferanti viene incorporata
principalmente nei nucleotidi purinici, mentre questa incorporazione avviene poco nelle cellule non
tumorali. In correlazione a questo dato l’analisi dei profili di espressione genica ha rilevato che le
cellule altamente proliferanti sovraesprimono gli enzimi della biosintesi della glicina e soprattutto
quelli del pathway mitocondriale di sintesi del metabolita, come il gene SHMT2.
Ulteriori esperimenti hanno poi dimostrato che il gene codificante l’isoforma mitocondriale della
serina idrossimetiltrasferasi è spesso sovraespresso, anche quando l’espressione del gene SHMT1,
che codifica per l’isoforma citosolica dell’enzima, risulta normale. Il silenziamento del gene
SHMT2 in queste cellule porta all’arresto della veloce proliferazione, salvo che non venga fornita
glicina esogena. Al contrario, il suo silenziamento in cellule non tumorali non ne rallenta la
divisione. (Jain M et al., 2012)
Questi importanti risultati, insieme a molti altri ottenuti negli ultimi anni, supportano l’odierna
ipotesi che la biosintesi di glicina a livello mitocondriale sia fondamentale per sostenere la
proliferazione delle cellule tumorali. Così come risulta sempre più evidente che sia l’isoforma
mitocondriale della SHMT, più della citosolica, a dare il maggior contributo a tale processo.
La ragione della presenza di due isoenzimi della SHMT negli eucarioti e la possibilità che questi
abbiano funzioni diverse nel metabolismo cellulare, è un argomento ancora da esplorare. La diversa
localizzazione delle due isoforme nella cellula è sicuramente indice di una differente funzione e
ciascuna potrebbe offrire un contributo diverso al metabolismo.
La SHMT1 sembra giocare un ruolo cruciale nella biosintesi timidilato, come parte di un
complesso multienzimatico ancorato alla lamina nucleare, la cui attività è fondamentale per
mantenere l'integrità del DNA. La SHMT2 è coinvolta invece nella biosintesi del timidilato nei
mitocondri. Tuttavia la funzione principale dell’isoforma mitocondriale potrebbe essere quella di
generare unità monocarboniose dalla serina, che vengono poi esportate come formiato nel citosol e
danno supporto al metabolismo del carbonio. O ancora potrebbe avere un ruolo cruciale nella
30
produzione di glicina all'interno dei mitocondri, necessaria per la biosintesi dell'eme e quindi per il
metabolismo energetico della cellula. (Martino L. di Salvo et al. 2013)
Tuttavia oggi ancora non si hanno molte informazioni sulle differenze sostanziali tra le due
isoforme ne si conoscono in dettaglio le proprietà catalitiche o la regolazione di ciascun isoenzima.
Non ultima è la questione riguardante il ruolo della struttura tetramerica, che si riscontra nelle
isoforme eucariotiche ma non nei procarioti, dove la SHMT è cataliticamente attiva come dimero.
Il lavoro di tesi è stato svolto nell’ambito di un progetto più vasto, che vede come obiettivo ultimo
l’identificazione di nuovi possibili agenti chemioterapici diretti contro la SHMT umana. Lo scopo
del lavoro di tesi qui riportato è stato quindi quello di eseguire una caratterizzazione strutturale e
conformazionale delle isoforme citosolica e mitocondriale della SHMT umana con il fine ultimo di
evidenziare le differenze tra i due isoenzimi.
31
3. MATERIALI E METODI
3.1 Cellule batteriche e vettori plasmidici
Le isoforme SHMT1 e SHMT2 umane sono state espresse come ricombinanti in cellule competenti
per shock termico E. coli BL21(DE3). Genotipo: E. coli B F– dcm ompT hsdS(rB– mB–) gal
λ(DE3). Efficienza i trasformazione superiore a 8*107
cfu/µg di DNA.
Questo ceppo batterico è stato ingegnerizzato per ottenere alti livelli di espressione della proteina
ricombinante ed avere una facile induzione nei sistemi basati sull'impiego della RNA polimerasi
del fago T7. Non presentano alcuna resistenza agli antibiotici se non quella portata dal plasmide
con cui vengono trasformate. La sigla (DE3) indica che l’ospite è un lisogeno del profago λ (DE3),
in altre parole nel loro genoma è stata integrata una sequenza (indicata con DE3) che contiene il
gene della RNA polimerasi T7 sotto controllo del promotore lacUV. L’espressione della polimerasi
è pertanto repressa costitutivamente dal prodotto del gene lac I che è presente sia nelle cellule
BL21 stesse che nel vettore di espressione con cui vengono trasformate, ma può essere indotta
aggiungendo l’isopropil- -D-tiogalattosie (IPTG) al mezzo di coltura. Inoltre il ceppo manca di
due proteasi (lon e ompT) e questo riduce la possibilità di degradazione delle proteine espresse
come ricombinanti.
Le cellule E. coli BL21 (DE3) sono state trasformate con il vettore di espressione pET22b(+) nel
quale è stato clonato il gene della SHMT umana e presenta i geni per la resistenza all’ampicillina. Il
vettore pET22 è un derivato di pBR322, dispone di una sequenza segnale N-terminale pelB per una
potenziale localizzazione periplasmatica e di una sequenza His-Tag al C-terminale. L’espressione
dei geni clonati in questo vettore è posta sotto il controllo di un promotore trascrizionale forte
(promotore T7) e un terminatore (T7) posti, rispettivamente, all’inizio e alla fine ella regione in cui
è stato clonato il gene di interesse. A monte del sito di poli-clonaggio sono localizzati i segnali
canonici necessari per l’espressione del trascritto. (Figura 24 )
32
FIGURA 24. Il vettore pET-22b(+). I siti unici di restrizioni sono mostrati sulla mappa circolare. La
sequenza è numerata secondo la convezione di pBR322, quindi la regione di espressione T7 è inversa rispetto
la mappa circolare
33
In questo vettore di espressione, il promotore della T7 RNA polimerasi, a monte del gene bersaglio,
è seguito dall’operatore lac e in questo modo, in assenza di IPTG, il repressore lac agisce tanto sul
promotore lacUV5 della T7 RNA polimerasi quanto sul promotore T7 del gene di interesse.
Con l’aggiunta di IPTG al mezzo di coltura si ha l’espressione della T7 RNA polimerasi che
permette la trascrizione del gene clonato nel plasmide. (Figura 25)
FIGURA 25. Elementi di controllo del sistema pET.
34
3.2 Protocollo di purificazione delle isoforme SHMT1 e SHMT2
La purificazione di una proteina costituisce il primo passaggio nello studio delle sue proprietà e
consiste nell’isolare selettivamente la molecola proteica di interesse da un estratto cellulare o
comunque da una miscela eterogenea contenente altre proteine, o anche acidi nucleici,
polisaccaridi, lipidi e molecole più piccole. La purificazione sfrutta le differenze di proprietà
chimico-fisiche tra la molecola che si cerca di purificare e le altre presenti nella miscela; ad
esempio la dimensione e la forma o il contenuto in aminoacidi acidi o basici. La quantità di
proteina che occorre recuperare influenza la scelta del metodo di purificazione ed anche il tipo di
studio che si vuole eseguire detta i limiti di purezza che è necessario raggiungere: per lo studio
della struttura di una proteina si richiede un grado di purezza di molto maggiore di quello richiesto
per gli studi cinetici.
Il protocollo di purificazione eseguito è stato lo stesso per entrambe le isoforme della SHMT
umana fatta eccezione per la composizione della soluzione tampone nella quale sono state
conservate. L’isoforma mitocondriale ha richiesto un contributo maggiore di sali e glicerolo per
essere stabile.
Pre-inoculo
Le cellule BL21(DE3)-pET22b(+)-hSHMT da stock in glicerolo a -80°C sono state inoculate in 50
ml LB di composizione:
 Triptone 10 g/l
 Estratto di lievito: 5 g/l
 NaCl: 5 g/l
Aggiunti 50 μl di ampicillina (100 mg/ml) e lasciate crescere a 37 °C o/n.
Inoculo e crescita della coltura batterica pura in beuta
Sono stati inoculati 40 ml della coltura ottenuta precedentemente in 4 l di LB di stessa
composizione divisi in 8 beute da 500 ml ciascuna ed aggiunti 500 μl di ampicillina (100 mg/ml)
per ciascuna beuta, la crescita è stata effettuata a 37°C in agitazione per circa 4 ore.
35
Induzione
Quando l’OD600 della coltura ha raggiunto un valore compreso tra 0,6-0,8 sono stati aggiunti 500 µl
dell’induttore IPTG (0,2 M) per ciascuna beuta e lasciata la coltura a crescere in agitazione a 37 °C
o/n.
Centrifugazione e sonicazione
La coltura è stata centrifugata per 20 minuti a 6000 rpm in ultracentrifuga alla temperatura di 4°C
per precipitare le cellule e concentrarle. Il pellet cellulare è stato risospeso in tampone KPi 20 mM,
pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l. Alla soluzione è stato aggiunto PLP ed il
cocktail di inibitori delle proteasi. La soluzione cellulare è stata sonicata in ghiaccio per 3 minuti,
pulse 10 on e 10 off, AMPL 70%. Il lisato è stato infine centrifugato per separare l’estratto proteico
dal pellet di membrane ed organelli cellulari.
Precipitazione frazionata
Per separare la SHMT dalla maggior parte delle altre proteine di E. coli è stata utilizzata la tecnica
della precipitazione frazionata. Tale tecnica permette la separazione delle macromolecole sul
principio che le proteine sono meno solubili ad alte concentrazioni di sale. La concentrazione salina
che permette la precipitazione della specie voluta varia da proteina a proteina, poiché esse hanno
composizioni amminoacidiche differenti. Quando la concentrazione salina aumenta, alcune
molecole di acqua sono attratte dagli ioni del sale, diminuisce quindi il numero di molecole d’acqua
che interagisce con la proteina e di conseguenza diminuisce la sua solubilità. Le interazioni
proteina-proteina diventano più forti di quelle soluto-solvente, le molecole proteiche formano
interazioni idrofobiche tra loro e la proteina precipita (salting out). E’ possibile separare proteine
che precipitano a diverse concentrazioni saline.
Per il frazionamento è stato utilizzato il solfato d’ammonio ( (NH3)2SO4 ), la concentrazione di
solfato d’ammonio viene espressa come percentuale di saturazione.
Per l’isolamento di entrambe le isoforme della hSHMT è stato effettuato un primo frazionamento
con (NH3)2SO4 al 25% ed è stato centrifugato il tutto a 12000 rpm per 30 min a 4°C. La nostra
proteina non precipita e possiamo quindi rimuovere la prima frazione di proteine precipitata che
non ci interessa. Dopo aver aggiunto un pizzico di PLP per stabilizzare l’enzima, è stata effettuata
una seconda precipitazione con (NH3)2SO4 al 60%, percentuale alla quale precipita l’SHMT, con
36
successiva centrifugazione. Questa volta è stato recuperato il pellet proteico e risospeso in tampone
KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l.
Dialisi
Per eliminare il sale dalla soluzione dopo il frazionamento con (NH3)2SO4 è stata effettuata una
dialisi. La dialisi è una tecnica che permette di separare le molecole in soluzione attraverso una
membrana semipermeabile. La soluzione viene inserita in un sacchetto da dialisi, in genere una
membrana di nitrocellulosa, con pori di grandezza specifica in base alla proteina che stiamo
purificando. Il sacchetto viene messo nel cosiddetto tampone di dialisi. Molecole abbastanza
piccole da riuscire a passare tra i pori della membrana (acqua, sali) tendono a muoversi dentro o
fuori del sacchetto, secondo il loro gradiente di concentrazione. Molecole più grandi (DNA,
proteine, polisaccaridi), aventi dimensioni significativamente superiori alle dimensioni dei pori, si
mantengono all’interno del sacchetto di dialisi.
La soluzione è stata dializzata in 1,5 L di tampone KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-
mercaptoetanolo 350 µl/l a 4 °C per tutta la notte.
Il giorno seguente è stato cambiato il tampone di dialisi: 1 L di KPi 20 mM, pH 6.8, EDTA 400
µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l a temperatura ambiente. Il cambio dialisi è importante per
abbassare il pH del campione e permettere alla nostra proteina di acquisire una carica netta positiva
che le permetterà di legarsi alla colonna cromatografica nella fase successiva della purificazione.
Dopo la dialisi, generalmente si centrifuga il campione per 20 min a 12000 rpm a 4°C, per
eliminare eventuale precipitato proteico.
Cromatografia su colonna a scambio ionico CM-Sephadex
Per proseguire nella purificazione della SHMT è stata eseguita una cromatografia a scambio ionico
su colonna.
La cromatografia a scambio ionico, che viene di solito eseguita su colonna, sfrutta le interazioni
elettrostatiche tra molecole con carica opposta presenti nella fase mobile e nella fase stazionaria. E’
possibile distinguere una cromatografia a scambio anionico, in cui la fase stazionaria ha carica
positiva e lo ione scambiabile è l’anione, e una cromatografia a scambio cationico, in cui la fase
stazionaria ha carica negativa e lo ione scambiabile è un catione.
Le proteine si legano a scambiatori anionici/cationici a seconda della loro carica netta. La forze del
legame dipende dalle caratteristiche strutturali delle proteine, dal pH e dalla forza ionica. Ne
consegue che è possibile modulare il legame della proteina alla fase stazionaria variando pH e forza
ionica.
37
La CM-Sephadex da noi utilizzata è stata acquistata dalla Sigma-Aldrich, è costituita da gruppi
funzionali acidi, carbossimetilici, legati al Sephadex, una matrice di destrano (polimero del
glucosio) avente cross-link con epicloridrina. Lo ione che viene scambiato è il Na+.
FIGURA 26. Struttura della resina CM-Sephadex in cui è visibile il gruppo carbossimetilico e a destra il
principio di funzionamento: le proteine cariche positivamente (sfere blu) vengono legate dalla matrice carica
negativamente, le proteine cariche negativamente (sfere rosa) passano attraverso la colonna.
Attiva ad un range tra 6 e 10, la CM-Sephadex è uno scambiatore cationico debole.
La resina è stata sospesa in un adeguato volume del seguente tampone, con il quale è stata poi
equilibrata la colonna a temperatura ambiente: 150 mL di KPi 20 mM pH 6,8 + 0,5 mM EDTA +
10 mM β-mercaptoetanolo.
Una volta pronta ed equilibrata la colonna è stato caricato il campione proteico, dializzato e
centrifugato, che è in grado di legarsi reversibilmente alla matrice scalzando gli ioni.
Le molecole non legate sono state eluite dalla colonna usando il tampone di equilibratura (circa 100
mL).
A questo punto la proteina legata alla resina è stata eluita grazie ad un gradiente lineare di pH e
forza ionica fornito da un gradientatore che mescola due tamponi:
A) 150 mL KPi 20 mM pH 6,8 , EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l
B) 150 mL KPi 250 mM pH 7,2 , EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l. L’eluato è stato
raccolto in frazioni di 10 ml circa ed è stata letta la loro assorbanza allo spettrofotometro a 280 nm
e 420 nm per identificare le frazioni contenenti la proteina.
Le frazioni contenenti la proteina sono state riunite. Il campione proteico è stato precipitato con
(NH3)2SO4 al 60%, e centrifugato per concentrarlo. Infine il campione è stato dializzato o/n a 4°C
in tampone KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l per l’isoforma
citosolica e KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 50 mMNaCl,l 50 mM
KCl, 5% glicerolo per l’isoforma mitocondriale.
38
Cromatografia su colonna a scambio idrofobico ɸ-Sephadex
Per raggiungere un grado di purificazione ottimale della proteina e renderla adatta ad analisi
strutturali il campione è stato caricato su una colonna cromatografica a scambio idrofobico ɸ-
Sephadex ed ulteriormente purificato.
La matrice della colonna cromatografica espone gruppi idrofobici che avranno affinità per le
regioni idrofobiche della proteina. Per permettere alla SHMT di aderire alla matrice è stato
aggiunto al campione (NH3)2SO4 al 20% che rende le regioni idrofobiche della proteina più
esposte.
Anche la colonna è stata equilibrata con tampone contenente la stessa percentuale di (NH3)2SO4 :
KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 20% (NH3)2SO4.
Il campione è stato quindi caricato sulla colonna e la colonna lavata per eluire tutto ciò che non
aderisce. La proteina è stata poi eluita con una soluzione gradiente composta da i tamponi:
A) KPi 20 mM pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 20% (NH3)2SO4
B) KPi 20 mM pH 7,2 EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l
L’eluato è stato raccolto in frazioni di 10 ml circa ed è stata letta la loro assorbanza allo
spettrofotometro a 280 nm e 420 nm per identificare le frazioni contenenti la proteina.
Le frazioni contenenti la proteina sono state riunite. Il campione proteico è stato precipitato con
(NH3)2SO4 al 60%, e centrifugato per concentrarlo. Infine il campione è stato dializzato o/n a 4°C
in tampone KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l per l’isoforma
citosolica e KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 50 mMNaCl,l 50 mM
KCl, 5% glicerolo per l’isoforma mitocondriale.
I campioni proteici sono stati infine conservati a -20°C o in ghiaccio secondo le esigenze
sperimentali.
3.3 Protocollo di purificazione della forma apo-enzimatica della
SHMT umana.
Per ottenere la forma apo-enzimatica di entrambe le isoforme della SHMT umana, ovvero staccare
il cofattore PLP dalla tasca enzimatica, è stata utilizzata la L-cisteina.
La cisteina è infatti in grado di legarsi al PLP e formare con esso un complesso tiazolidinico, che
perde affinità con la tasca dell’enzima e viene rilasciato in soluzione.
39
Aggiunta di cisteina 100mM al campione:
Al campione proteico di SHMT purificato è stata aggiunta una concentrazione finale di cisteina
100mM. Il campione perde il suo colore giallo tipico dell’emissione del PLP perché esso si lega
alla cisteina formando il complesso tiazolidinico che non emette più nel giallo.
Colonna cromatografica con resina a scambio idrofobico ϕ-Sefadex:
Per permettere alla SHMT di aderire alla matrice della colonna cromatografica è stato aggiunto al
campione (NH3)2SO4 al 35% che rende le regioni idrofobiche della proteina più esposte.
Anche la colonna cromatografica è stata equilibrata con un tampone contenente (NH3)2SO4 al 35%
per rendere la resina idrofobica in grado di legare l’Apo-enzima.
Il campione è stato caricato sulla colonna e la resina lavata con tampone contenente (NH3)2SO4 al
35% e cisteina 100mM per eliminare i contaminanti che non aderiscono alla resina, il complesso
tiazolidinico ed eventuale PLP ancora rimasto nel campione.
È stato poi effettuato un secondo lavaggio con tampone contenente (NH3)2SO4 al 35% ma privo di
cisteina per eliminarla dalla colonna ed avere solo la proteina di interesse da eluire. Durante
ciascun lavaggio l’eluato è stato raccolto in frazioni da circa 10 ml e le frazioni lette allo
spettrofotometro a 280 nm e 330 nm (complesso tiazolidinico) per verificare che la proteina di
interesse rimanesse attaccata alla colonna e tutta la cisteina ed il complesso tiazolidinico fossero
usciti dalla colonna.
La proteina è stata eluita dalla colonna con un primo tampone di eluizione contenente il 10% di
propilen-glicol (PG) e con un secondo tampone di eluizione al 30% (PG).
La composizione dei tamponi utilizzati per ciascuna isoforma è stata: KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA
400 µl/l, DTT 1 mM per l’isoforma citosolica e KPi 20 mM, pH 7.8, EDTA 400 µl/l, DTT 1mM,
50 mMNaCl,l 50 mM KCl, 5% glicerolo per l’isoforma mitocondriale. Il pH per l’apo-enzima
mitocondriale è stato leggermente alzato.
Le frazioni della proteina in uscita sono state riunite.
Concentrazione con i filtri:
Il campione di apo-enzima risultante dalle frazioni riunite è stato concentrato con l’utilizzo di filtri
da 30.000 Da e la centrifuga a 7000 rpm.
Dialisi o/n:
Il campione concentrato è stato dializzato per eliminare il PG.
40
3.4 Spettrofotometria
La spettrofotometria si occupa dello studio degli spettri elettromagnetici della luce visibile,
dell’ultravioletto e del vicino infrarosso, è una tecnica d’indagine estremamente diffusa in ambito
biologico, utilizzata sia per analisi quantitative sia qualitative.
Lo studio degli spettri di assorbimento si basa sulla presenza in alcune molecole di cromofori. Un
cromoforo è un raggruppamento chimico insaturo, che presenta molti elettroni delocalizzati o doppi
legami coniugati, responsabile di un assorbimento situato nella regione delle lunghezze d'onda
comprese tra 180 e 1000 nm.
Le proteine, ad esempio, contengono residui amminoacidici aromatici (caratterizzati da
delocalizzazione elettronica) quali, il triptofano, la tirosina e la fenilalanina che presentano un
massimo di assorbimento a una lunghezza d’onda pari a 280 nm e sono responsabili del tipico
spettro di assorbimento delle proteine.
Lo strumento da noi utilizzato è stato uno spettrofotometro a serie di diodi Hewlett-Packard 8452.
Nel nostro lavoro lo studio degli spettri di assorbimento è stato utilizzato per la determinazione
delle concentrazioni proteiche, per la misurazione dei parametri cinetici e per i saggi di attività
enzimatica. Per la determinazione della concentrazione proteica si fa uso della legge di Lambert-
Beer che mette in relazione l’assorbimento della luce da parte di una sostanza assorbente con la sua
concentrazione. L’assorbimento della radiazione luminosa viene indicato come assorbanza (A),
essa altro non è che l’inverso della trasmittanza T = I/I0 , dove I0 è l’intensità della radiazione
incidente e I è l’intensità della radiazione trasmessa. Tenendo conto di ciò, si può ricavare la legge
di Lambert-Beer, che è la seguente:
Dove ε è il coefficiente di estinzione molare (tipico della sostanza, rappresenta l’assorbimento di
quella sostanza a concentrazione unitaria), c è la concentrazione molare della soluzione che assorbe
la luce e l è il cammino ottico della radiazione nella soluzione (spessore), solitamente 1 cm per le
cuvette standard.
Lo spettro di assorbimento della forma olo-enzimatica della serina idrossimetiltrasferasi è
caratterizzato da due picchi. Il primo corrisponde a 280 nm, spettro di assorbimento tipico delle
proteine, mentre il secondo picco, a 420 nm corrisponde allo spettro di assorbimento del PLP
legato alla tasca dell’enzima (aldimmina interna). Lo spettro di assorbimento della forma apo-
enzimatica perde il picco a 420 nm. (Figura 27)
41
FIGURA 27. Spettro di assorbimento dei raggi UV della serina idrossimetiltrasferasi.
3.5 Caratterizzazione cinetica e saggi di attività enzimatica
Il termine cinetica enzimatica implica uno studio della velocità di una reazione catalizzata da
enzimi e dei vari fattori che possono influenzarla.
La cinetica enzimatica si occupa in modo particolare degli aspetti cinetici del legame enzima-
substrato e della conseguente generazione di un prodotto. I dati di velocità utilizzati nelle analisi
cinetiche sono ottenuti da saggi enzimatici.
La caratterizzazione cinetica completa di un enzima prevede la misurazione di alcuni parametri che
sono correlati tra loro e descritti dall’equazione di Michaelis-Menten:
Tale equazione descrive la velocità di una reazione a singolo substrato catalizzata da una enzima e
mette in relazione la velocità di formazione del prodotto con la concentrazione del substrato .
Per la caratterizzazione cinetica di un enzima vengono quindi determinati i seguenti parametri
cinetici:
a) Calcolo della Km, o costante di Michaelis-Menten, dell’enzima per ciascun substrato. Questa
costante fornisce la misura della concentrazione di substrato necessaria affinché la reazione
abbia velocità pari a metà della velocità massima.
42
b) Calcolo della Vmax della reazione ( media delle Vmax per ciascun substrato)
c) Calcolo della Kcat (o numero di turnover) dell’enzima per ciascun substrato. Questo parametro
indica il numero di molecole di substrato convertite per secondo da una singola molecola di
enzima quando è saturata con il substrato.
d) Calcolo della Kd dell’enzima per ciascun substrato.
L'efficienza dell'enzima può essere espressa come rapporto tra kcat e Km. Tale rapporto è anche
definito costante di specificità. Dal momento che tale costante incorpora sia l'affinità che l'abilità
catalitica, spesso si utilizza per confrontare l'efficienza di diversi enzimi o quella di un unico
enzima con differenti substrati.
Tutti gli studi cinetici e i saggi enzimatici sono stati eseguiti su uno spettrofotometro a serie di
diodi Hewlett-Packard 8452.
Saggio enzimatico accoppiato
Per la determinazione dei parametri cinetici αKm (Km apparente), Kcat e Vmax delle isoforme della
SHMT è stato utilizzato un saggio enzimatico accoppiato. Per poter visualizzare e calcolare
l’attività delle isoforme, in presenza di diverse concentrazioni di ciascuno dei substrati, è stata
utilizzata la reazione accoppiata dell’enzima metilen-tetraidrofolato deidrogenasi (Mtd).
L’enzima Mtd è codificato dal gene FolD e utilizza come substrato il prodotto della reazione della
SHMT. Converte infatti il N5-N10-metilen-THF in N5-N10-metenil-THF, riducendo
contemporaneamente il NADP+ a NADPH. (Figura 28)
SHMT: L-serina + THF Glicina + 5,10-CH2-THF + H2O
Mtd: N-5,10-CH2 -THF + NADP+
= N-5,10-CH -THF+
+ NADPH
FIGURA 28. Reazione accoppiata della SHMT con la reazione della Mtd
+ NADP+ + NADPH
43
La riduzione del NADP+ può essere rilevata e misurata seguendo la variazione di assorbanza a
ΔA340 nm relativa allo spettro di assorbimento del NADPH.
Le reazioni della SHMT e della Mtd sono in rapporto stechiometrico 1:1 e la velocità di reazione
della Mtd è molto più alta. La velocità di reazione che si rileva corrisponde quindi a quella della
reazione più lenta. Questo rende il saggio accoppiato valido per misurare i parametri cinetici della
SHMT.
I saggi enzimatici sono stati eseguiti, ad una temperatura costante di 30°C, in cuvetta termostatica
di 1 cm, in tampone potassio fosfato KPi 20 Mm pH 7.2, DTT 0.2 mM, EDTA 400 µl/l per
entrambi gli isoenzimi ed il THF è stato addizionato sempre per ultimo in cuvetta al fine di evitare
la sua ossidazione.
E’ stata misurata la ΔA340 nm della soluzione enzimatica nei primi secondi della reazione (V
iniziale), in presenza di concentrazioni crescenti di L-Ser (da 10 a 0,039 mM) o THF (da 200 a
3,125 µM) per entrambe le isoforme.
Le specie reagenti sono state addizionate nella cuvetta secondo il seguente protocollo.
A) αKm, Kcat e Vmax per il THF: concentrazioni finali in cuvetta hSHMT 0.1 µM, L-Ser 30 mM,
Mtd 0,6 µM, NADP+
250 µM, THF da 200 µM a 1.125 µM.
Vf= 600 µl
tampone
hSHMT (5 µM)
L-Ser (1 M)
Mtd (350 µM)
X µl
12 µl
18 µl
1 µl
NADP+
(10 mM) 15 µl
THF ( 15 mM e diluizioni) X µl *
*Per il THF sono state preparate delle soluzioni tampone in cui diluirlo al momento dell’uso per ottenere le concentrazioni finali volute.
B) αKm, Kcat e Vmax per la L-Ser: concentrazioni finali in cuvetta hSHMT 0.1 µM, L-Ser da 10 mM a
39.06 µM, Mtd 0.6 µM, NADP+
250 µM, THF 50 µM.
Vf= 600 µl
tampone
hSHMT (5 µM)
L-Ser (20 mM)
Mtd (350 µM)
X µl
12 µl
X µl
1 µl
NADP+
(10 mM) 15 µl
THF ( 15 mM) 2 µl
44
I saggi sono stati ripetuti tre volte e l’analisi dei dati cinetici, le procedure di “curve fitting” e le
analisi statistiche sono state eseguite usando i software Microsoft Exel e GraphPad Prism.
Quest’ultimo programma per il fitting delle curve utilizza il metodo dei minimi quadrati: vengono
calcolati i parametri dell’equazione data in modo tale che la somma dei quadrati dei residui, che
rappresentano la differenza tra valori sperimentali e teorici, sia al minimo.
Per il “curve fitting” dei dati ottenuti dal saggio a concentrazioni crescenti di THF è stata
così modificata l’equazione di Michaelis-Menten, al fine di tenere conto dell’inibizione da
substrato che si osserva a concentrazioni superiori di 50 µM:
y = Vmax x [X]/ Km+ [X] x ( 1+ [X]/ki)
(dove la X corrisponde al substrato)
45
3.6 Fluorimetria e saggio fluorimetrico per la determinazione della
Kd per il PLP
La fluorescenza è un fenomeno di ri-emissione di luce da parte di composti che, dopo essere stati
irradiati con raggi UV sono passati ad uno stato eccitato e poi tornano molto velocemente ad un
livello energetico inferiore. Molte molecole organiche assorbono nel visibile e nell' UV ma solo
poche di esse sono fluorescenti. Alcune molecole di interesse biologico, se eccitate, possiedono la
capacità di riemettere fluorescenza come ad esempio gli amminoacidi aromatici Trp, Tyr e Phe
nelle proteine.
La fluorimetria è una tecnica spettrofotometrica di analisi basata sull’irradiamento di un campione
con radiazione di piccola lunghezza d’onda (ultravioletto) e sulla misura qualitativa e quantitativa
della radiazione emessa dal campione nell’atto di cedere l’energia prima assorbita.
A differenza della spettrofotometria quindi con questa tecnica si rileva la radiazione emessa
piuttosto che quella assorbita.
Per il nostro saggio abbiamo utilizzato uno spettrofluorimetro Perkin-Elmer LS50B e ci siamo
avvalsi della fluorescenza intrinseca del legame del PLP alla proteina. I campioni di apo-enzima
100 nM sono stati incubati 20 minuti con concentrazioni differenti di PLP da 0.1 a 3 µM, alla
temperatura di 20 °C in 50 mM sodio Hepes, pH 7.2 (per la SHMT1) o pH 7.8 (per la SHMT2).
I campioni sono stati poi eccitati a 290 nm in una cuvetta di quarzo da 1 cm e la variazione di
fluorescenza emessa a 300-450 nm è stata misurata. I dati sono stati analizzati in accordo con
l’equazione:
[ ] [ ] √ [ ] [ ] [ ] [ ][ ]
[ ]
46
3.7 Cristallografia
Tutti gli esperimenti di cristallografia sulla forma olo-enzimatica dell’isoforma mitocondriale della
SHMT umana sono stati condotti dal dott. Giorgio Giardina del dipartimento di Scienze
Biochimiche "A.R. Fanelli".
I cristalli di dimensioni circa 20x20x600 µM sono stati cresciuti con il metodo della diffusione di
vapore mescolando 2 µl della soluzione contenente l’olo-SHMT2 1 mg/ml (Tampone: 100 mM
K/NaCl, 20 mM KPhO pH 7.2, 5 mMβ-mercaptoetanolo, 5% glicerolo) con 1 µl della soluzione:
0.1 M Bis-Tris propano pH 7.5, 5% glicerolo, 12-16% PEG 3350, 0.2 M KF. . I dati di diffrazione
sono stati raccolti su BL14.1 ed analizzati con Helmholtz-Zentrum Berlin (HZB) al BESSY II
electron storage ring (Berlin-Adlershof, Germany) equipaggiato con un a Pilatus 6M detector.
3.8 Elettroforesi e proteolisi limitata
Elettroforesi delle proteine
Questa tecnica viene utilizzata per separare le singole componenti di una miscela di proteine in
base al peso molecolare ed è largamente utilizzata nel corso di purifcazioni di proteine, in genere
come tecnica analitica, per determinare rapidamente la complessità della miscela di proteine
ottenuta.
La separazione può essere effettuata in condizioni denaturanti in presenza di un detergente anionico
come il sodio dodecil solfato (SDS) che, legandosi alle proteine da separare, ne altera la struttura e
conferisce loro una carica netta negativa proporzionale alla loro massa.
L’SDS lega infatti le proteine con rapporto stechiometrico fisso: una molecola
di SDS ogni due AA. In questo modo l’entità della migrazione delle catene polipeptidiche dipende
unicamente dal loro peso molecolare.
FIGURA 29. Formula di struttura dell’SDS
47
Per i nostri scopi è stata utilizzata, in particolare, la SDS-PAGE su gel di poliacrilamide
discontinuo. Il gel è costituito da una zona superiore di “concentrazione” o stacking gel a pH 6,8 in
cui l’acrilammide è al 5% (p/v) e da una zona inferiore più ampia di “separazione” o running gel a
pH 8,8 in cui la concentrazione dell’acrilammide è al 12,5% (p/v).
Lo Stacking gel è composto da:
- Acrilamide 40% 0,46 mL
- Tris-HCl 0,5 M, pH 6,8 0,93 mL
- H20 2,25 mL
- SDS 10% 37 µL
- Persolfato di ammonio 10% (APS) 37 µL
- TEMED 6,6 M (tetrametiletilendiammina) 4,5 µL
Il Running gel è composto da:
- Acrilamide 40% 2,34 mL
- Tris-Hcl 1,5 M pH 8,8 1,87 mL
- H2O 3,15 mL
- SDS 10% 75 µL
- Persolfato di ammonio 10% (APS) 75 µL
- TEMED 6,6 M (tetrametiletilendiammina) 7,5 µL
Prima del caricamento su gel, viene aggiunto al campione un iso-volume della seguente soluzione:
- Tris-HCl 0,5 M, pH 6,8 1 mL
- H2O 4 mL
- SDS 10% 1,6 mL
- Blu di bromo fenolo 0,05% (p/v) 0,2 mL
- Glicerolo 0,8 mL
- DDT 1 M 0,8 mL
Il preparato viene mantenuto a 100 °C per 3 min e poi caricato in appositi pozzetti ricavati nella
regione dello stacking gel. La successiva corsa elettroforetica viene effettuata a 200 V per circa 60
min, usando un tampone di scorrimento a pH 8,3 formato da:
48
- SDS 1 g/l
- Tris-HCl 3 g/l
- Glicina 14,4 g/l
Terminata la corsa elettroforetica, il gel viene prima colorato con una soluzione di Blu di Comassie
0,25% (p/v) in acido acetico al 10% (p/v) e metanolo 50% (p/v) in acqua, successivamente si
procede con la decolorazione in una soluzione di acido acetico 7% e metanolo 25% in acqua.
Proteolisi limitata
La proteolisi limitata è una tecnica che permette lo studio più o meno qualitativo della struttura di
una proteina. Ci si avvale della capacità di alcune proteasi di tagliare in maniera specifica alcuni
legami peptidici. Se un legame peptidico, della proteina in studio, si trova in una regione esposta
della proteina o in una regione facilmente accessibile (loop o regioni a cerniera), la proteasi
specifica per quel legame avrà maggior facilità di accesso e taglierà il legame frammentando la
proteina in frammenti di specifica lunghezza.
Tanto minore sarà l'accessibilità al sito tanta più proteasi o più tempo di esposizione alla proteasi
dovrò avere perché il legame venga tagliato. Caricando su un gel SDS-PAGE il campione proteico
esposto alla proteasi è possibile separare i frammenti ottenuti e visualizzarne la grandezza (dal
confronto con uno standard molecolare). Si ottiene così uno specifico bandeggio relativo alla
digestione della proteina che stiamo studiando esposta alla proteasi che abbiamo utilizzato. Il
legame della proteina con un substrato può determinare un ingombro nella regione di taglio o
portare a modificazioni nella struttura della proteina portando così rispettivamente ad
un'intensificazione o una diminuzione della suscettibilità al taglio. Dallo studio della lunghezza dei
frammenti, in diverse condizioni sperimentali (diversa concentrazione e tempo di esposizione alla
proteasi), è possibile visualizzare la presenza di un cambiamento di conformazione. È possibile
inoltre confrontare strutture proteiche simili per capirne le differenze, oppure identificare le regioni
più resistenti al taglio ed inaccessibili.
Sequenziando i frammenti peptidici è poi possibile determinare la regione esposta al taglio. Questa
tecnica è stata utilizzata nel 1997 da Fontana et al. per determinare differenze dinamiche e
strutturali tra la forma olo- ed apo- enzimatica dell'emoglobina. Nel nostro caso è stato utile per
determinare la differenza strutturale tra la forma apo-enzimatica ed olo-enzimatica delle isoforme
mitocondriale e citosolica della hSHMT.
La parte difficile di questa tecnica è proprio l'analisi del gel risultante e del bandeggio ottenuto. Il
bandeggio, in entrambe le condizioni sperimentali, dovrebbe mostrarsi come un aumento delle
49
bande a peso molecolare inferiore man mano che si aumenta il tempo di esposizione alla proteasi o
la sua concentrazione, poiché in entrambi i casi aumento la possibilità di accesso ai siti di taglio.
Per ottenere un buon risultato sperimentale è stato importante eseguire una serie di prove
preliminari per ottimizzare alcuni parametri : rapporto enzima/proteasi, la temperatura ed il tempo
di esposizione al taglio della proteasi.
Quindi inizialmente sono stati eseguiti esperimenti di proteolisi limitata sull’isoforma
mitocondriale con tre diverse proteasi, capaci di tagliare la proteina in corrispondenza di pochi e
specifici legami peptidici quali: tripsina, endoproteinasi GluC e chimotripsina. La tripsina ha
generato una maggiore varietà di taglio e di frammenti ed è stata scelta per procedere
nell’esperimento.
In seguito sono state messe appunto cinetiche di taglio proteolitico a diverse concentrazioni della
proteasi e a diversi tempi per identificare un range di concentrazioni delle specie che evidenziasse
possibili variazioni di taglio nel tempo.
Ciò che si è rivelato efficace nel nostro caso è stato utilizzare basse concentrazioni di proteasi
rispetto a quelle dell'enzima (1:100), temperature basse e tempi di reazione/esposizione alla
proteolisi non troppo lunghi. Il confronto dei gels elettroforetici ottenuti dal taglio delle due forme,
apo- ed olo-enzimatica, di ciascuna isoforma, ha permesso di rilevare delle differenze di bandeggio,
indice di diversità strutturale delle regioni soggette al taglio.
Prima di procedere al saggio di proteolisi limitata è stata sempre valutata l’attività dell’olo-enzima,
dell’apo-enzima e dell’apo-enzima + PLP rigenerato (ovvero incubato per 40 min con
concentrazione PLP almeno 4 volte superiore) utilizzando il saggio accoppiato all’Mtd descritto nel
paragrafo precedente. Questa analisi è stata condotta allo scopo di escludere che le proteine da
saggiare fossero già in parte degradate o non correttamente in folding.
Il saggio è stato condotto alla temperatura di 22°C ed in tampone KPi 20 mM di composizione
specifica per le due isoforme: pH 7.8, NaCl 50 mM, KCl 50 mM, DTT 1 mM, EDTA 0,2 mM,
glicerolo 5% per l’isoforma mitocondriale e pH 7.2, DTT 1 mM, EDTA 0.2 mM per quella
citosolica.
Parallelamente al saggio è stato anche eseguito un gel di controllo dell’autoproteolisi delle specie
reagenti.
50
Protocollo comune ad entrambe le isoforme:
A) Preparati i seguenti campioni da incubare a RT per 40 minuti per dare modo al PLP di legarsi
alla tasca dell’enzima e ricostituire l’olo-SHMT:
 Olo: 39.3 µl olo-hSHMT 0.3 mg/ml
 Apo-SHMT + PLP: 2 µl PLP 2.2 mM + 150 µl Apo-SHMT Vf= 152 µl (Apo-SHMT
0.3 mg/ml)
 Apo-SHM: 150 µl Apo 0.3 mg/ml
B) Campioni incubati in bagnetto termostatato a 22°C :
1. 15 μl Tripsina (0.06 mg/ml) + 30 μl Tampone Vf= 45 μl (Tripsina 0.02 mg/ml)
2. 80 μl Apo-SHMT+PLP + 37.6 μl Tripsina (0.06 mg/ml) Vf= 117.6 μl (Tripsina 0.02
mg/ml + Apo-SHMT 0.204 mg/ml)
3. 80 μl Apo-SHMT + 37.6 μl Tripsina (0.06 mg/ml) Vf= 117.6 μl (Tripsina 0.02 mg/ml
+ Apo-SHMT 0.204 mg/ml)
4. 72 μl Apo-SHMT+PLP rimasti + 33 μl Tampone Vf= 105 μl (Apo-SHMT 0.204
mg/ml)
5. 70 μl Apo-SHMT + 33 μl Tampone Vf= 103 μl apo-SHMT 0.204 mg/ml
6. aggiungere ai 39.3 µl olo-SHMT 18.5 µl di tampone Vf= 57.8µl ( olo 0.204 mg/ml)
Al campione 2 e 3 la tripsina è stata aggiunta solo quando tutti i campioni sono stati preparati e
portati a 22°C nel bagnetto.
Sono stati prelevati da ciascuno dei 6 campioni aliquote di 15 µl a tempi diversi. Prima
dell’aggiunta di tripsina sono stati prelevati subito al T=0 le aliquote dai campioni 4, 5 e 6 anche
per il gel di controllo dell’autoproteolisi delle specie reagenti.
Dopo l’aggiunta della tripsina sono state prelevate le aliquote da tutti i 6 campioni ai tempi 2.5’,
10’, 30’, 60’, 90’e 120’.
Le aliquote sono state mescolate ciascuna con 5 µl di Sample buffer 4X per fermare la reazione e
poi a 100°C per 3 minuti.
Infine i campioni sono stati caricati si gel elettroforetico SDS-PAGE e corsi come da protocollo. Le
bande dei gels sono state tagliate ed analizzate allo spettrometro di massa MALDI-TOFF.
51
hSHMT1
hSHMT2
FIGURA 30. Gels di controllo dell’autoproteolisi delle specie reagenti.
3.9 Cromatografia di esclusione dimensionale (SEC)
La cromatografia di esclusione molecolare è un processo di analisi che si utilizza per separare
sostanze organiche aventi peso molecolare differente.
La fase stazionaria è composta da una matrice inerte disposta in microsfere che presentano dei pori
di dimensione selettiva per le macromolecole.
I soluti con un volume maggiore dei pori della fase stazionaria (ovvero con un peso molecolare più
grande) non verranno fermati nella loro corsa ma scivoleranno piuttosto tra le particelle della
matrice e usciranno dalla colonna con il fronte del solvente molto prima. I soluti che invece hanno
dimensioni minori rispetto al diametro e alla superficie dei pori saranno trattenuti dalla colonna per
un tempo proporzionale al peso molecolare del soluto stesso. Eluiscono dalla colonna quindi prima
le molecole più grandi e via via quelle a peso molecolare inferiore.
Per i nostri esperimenti ci siamo avvalsi di un apparato cromatografico FPLC Aktaprime delle GE
Healthcare. La colonna cromatografica utilizzata è stata una Superdex 200. Le corse
cromatografiche sono state effettuate in tampone KPi 20 mM pH 7.2, DTT 1 mM, EDTA 0.2 mM.
Legenda:
1. olo-hSHMT 0 min
2. Apo-hSHMT 0 min
3. Apo-hSHMT + PLP 0 min
4. Standard
5. olo-hSHMT 30 min
6. Apo-hSHMT 30 min
7. Apo-hSHMT + PLP 30 min
8. olo-hSHMT 2 h
9. Apo-hSHMT 2 h
10. Apo-hSHMT + PLP 2 h
52
3.10 Dicroismo circolare ed esperimenti di denaturazione termica
Il dicroismo circolare (CD) è una tecnica spettroscopica che permettte di determinare la presenza
ed il tipo di struttura secondaria di proteine e peptidi. Il metodo si basa sul fenomeno di
assorbimento differenziale della luce polarizzata da parte di molecole intrinsecamente chirali, o
achirali, ma immerse in un rigido intorno asimmetrico.
Ogni cromoforo chirale o appartenente ad una molecola chirale presenta un assorbimento
caratteristico a determinate lunghezze d’onda. Per quanto riguarda le proteine, informazioni
interessanti si possono trarre dall’esame della zona compresa tra 250 e 190 nm (lontano UV). In
questa zona il cromoforo responsabile del segnale dicroico è il gruppo ammidico che presenta un
profilo di ellitticità diverso a seconda della conformazione degli angoli di legame dei gruppi
adiacenti, ovvero a seconda del tipo di struttura secondaria in cui è inserito.
Inoltre la forma dello spettro può venire influenzata da vari fattori quali la rigidità della proteina, le
interazioni con l’ambiente circostante, il numero di residui aromatici, la polarità del solvente e la
temperatura. In particolare se le catene laterali sono mobili, l’intensità della banda CD diminuisce.
Con questa tecnica si possono pertanto analizzare le cinetiche di denaturazione termica delle
proteine registrando la diminuzione del segnale dicroico durante il de-folding della specie in analisi
ed associare una misura quantitativa alla stabilità dello stato di folding della proteina.
Nel saggio da noi eseguito abbiamo saggiato la stabilità delle forme apo ed olo-enzimatiche di
entrambe le isoforme della SHMT umana. Le forme olo-enzimatiche sono state ottenute incubando 25
µM o 45 µM di PLP all’apo-SHMT1 ed all’apo-SHMT2 rispettivamente. I campioni proteici,
concentrati 4 µM in soluzione, sono stati riscaldati dalla temperatura di 30 °C a 90°C, con un tasso di
incremento della temperatura controllato di 1 °C/minuto. L’attività dicroica a 220 nm è stata
monitorata ogni 0.5 °C. I dati ottenuti sono stati raccolti e la curva fittata secondo l’equazione qui di
seguito riportata:
( )
 corrisponde al massimo intervallo di ellitticità, T è la temperatura espressa in ° C, Tm è la temperatura di
melting apparente e n la ripidità della curva sigmoidale.
53
4. RISULTATI E DISCUSSIONE
Le isoforme della SHMT umana possiedono proprietà catalitiche
simili
Per l’espressione e la purificazione dell’isoforma citosolica (hSHMT1) e mitocondriale (hSHMT2)
della serina idrossimetiltransferasi umana è stato seguito il protocollo presente in letteratura,
relativo alla rcSHMT (isoforma di coniglio) e descritto nella sezione materiali e metodi. (Di Salvo
et al., 1998)
Il primo passo condotto nello studio della SHMT umana è stato quello di determinare i parametri
cinetici della reazione fisiologica catalizzata dalle due isoforme. La scelta di compiere tale analisi
preliminare è stata presa sulla base dell’evidenza che tali parametri sono importanti per evidenziare
eventuali differenze tra gli isoenzimi. Inoltre la caratterizzazione cinetica delle isoforme di un
enzima si è spesso rivelato un importante strumento nello studio dell’inibizione attuata da un
possibile agente chemioterapico.
I saggi enzimatici sono stati effettuati in triplicato, ad una temperatura costante di 30°C, in tampone
KPi 20 Mm pH 7.2, contenente DTT 0.2 mM e EDTA 0.1 mM . Dal momento che l’enzima
utilizza due substrati, per ciascun isoenzima sono stati condotti due serie di esperimenti
indipendenti; una a concentrazione saturante di tetraidrofolato (THF) e concentrazioni crescenti di
L-Serina e l’altra a concentrazione saturante di L-serina e concentrazione variabile di THF. Per
misurare l’attività catalitica dell’enzima è stato utilizzato un saggio accoppiato con la metilen-THF
deidrogenasi (vedi Materiali e Metodi). I risultati sono stati riportati in grafico come velocità
iniziale (Vi) in funzione della concentrazione del substrato non saturante. A concentrazioni di THF
superiori a 40 µM si è osservato il fenomeno dell’inibizione da substrato e ne è stato tenuto conto
durante l’analisi dei dati. Sono state così determinate la costante catalitica kcat e la costante di
Michaelis-Menten αKm (Km apparente determinata a concentrazione saturante dell’altro substrato)
per ciascun substrato e con entrambe le isoforme dell’enzima e sono state riportate in una tabella
dove è possibile vederle a confronto. (Figura 31)
Le costanti catalitiche ottenute per le due isoforme sono diverse e questo è dovuto all’effetto
inibitorio del THF che non ci permette di rilevare la velocit massima dell’enzima. A
concentrazione saturante di L-Serina la velocit massima che si osserva è più bassa rispetto a quella
che l’enzima avrebbe a causa dell’effetto inibitorio del THF a concentrazioni superiori a 40 µM.
Inoltre la concentrazione del THF alla quale si raggiunge tale velocit non corrisponde alla
concentrazione saturante per l’enzima. Di conseguenza la concentrazione di THF (50 µM),
54
utilizzata per la determinazione della costante catalitica dell’enzima per la L-Serina, è stata
necessariamente scelta per evitare l’effetto di inibizione ma non è saturante. Nonostante questo
effetto di inibizione i parametri cinetici ottenuti per le due isoforme sono molto simili, pertanto gli
isoenzimi non differiscono per quanto riguarda le proprietà catalitiche.
hSHMT1
hSHMT2
ENZIMA Substrato kcat (s-1
) αKm (M)
hcSHMT THF 1158 ± 84,8 10,65 ± 1,86
hmSHMT THF 1883 ± 214.3 23.01 ± 4.12
hcSHMT L-Serina 715.4 ± 8.3 0,225 ± 0,01
hmSHMT L-Serina 788.1 ± 12.8 0.278 ± 0.02
FIGURA 31. Parametri cinetici delle isoforme SHMT1 e SHMT2 umane. Le curve di saturazione ottenute
variando la concentrazione di THF sono state analizzate usando l’equazione: y = Vmax x [X]/ Km+ [X] x ( 1+
[X]/ki) (dove la X corrisponde al substrato)
55
Inoltre è stata saggiata l’affinità di entrambe le isoforme della SHMT umana per il cofattore PLP.
L’analisi è stata condotta sfruttando lo smorzamento della fluorescenza che si osserva quando il
PLP si lega alla proteina. Misurando l’emissione di fluorescenza ottenuta eccitando i residui di
aromatici (eccitazione a 280 nm) delle forme apo-enzimatiche della SHMT1 e SHMT2 in presenza
di concentrazioni crescenti di PLP (0.1–3 M), è stato possibile ottenere delle curve di saturazione
dalle quali è stata determinata la costante di dissociazione del PLP (Figura 32). L’isoforma
citosolica hSHMT1 possiede una Kd per il PLP di 0.25± 0,08 µM, mentre per l’isoforma
mitocondriale la Kd ha un valore leggermente più alto (0.44 ±0,13 µM). In ogni modo l’equilibrio
di legame della SHMT umana al PLP risulta essere caratterizzato da una costante di dissociazione
dell’ordine del sub-micromolare simile per entrambe le isoforme.
FIGURA 32. Comparazione delle curve di saturazione ottenute per il legame del PLP all’apo-hSHMT1 e
all’apo-hSHMT2. La variazione di fluorescenza è riportata nel grafico come variazione frazionale.
Tesi Magistrale
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Tesi Magistrale

  • 1. Caratterizzazione strutturale e conformazionale delle isoforme citosolica e mitocondriale della Serina idrossimetiltrasferasi Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di laurea Magistrale in Biologia e Tecnologie Cellulari Cattedra di Scienze Biochimiche Candidato Alessandra Cicalini n° matricola 1131336 Relatore Roberto Contestabile A/A 2013/2014
  • 2. INDICE 1. INTRODUZIONE………………………………………………………………….. pag. 1 1.1 Vitamina B6: struttura, biosintesi ed assorbimento………………………………… pag. 2 1.2 Il cofattore piridossal-5'-fosfato: la forma biologicamente attiva della vitamina B6. pag. 8 1.3 Meccanismo di reazione degli enzimi PLP-dipendenti ……………………………… pag. 9 1.4 Enzimi PLP-dipendenti nel metabolismo cellulare ………….................................... pag. 11 1.5 La serina idrossimetiltrasferasi: struttura, proprietà spettrali e reazioni …………… pag. 13 1.6 La serina idrossimetiltrasferasi nel metabolismo cellulare…………………………… pag. 19 1.7 La serina idrossimetiltrasferasi ed il cancro………………………………………….. pag. 25 2. SCOPO DEL LAVORO DI TESI…………………………………………………. pag. 29 3. MATERIALI E METODI…………………………………………………..……… pag. 31 3.1 Cellule batteriche e vettori plasmidici………………………………………………... pag. 31 3.2 Protocollo di purificazione delle isoforme SHMT1 e SHMT2 ……………………… pag. 34 3.3 Protocollo di purificazione della forma apo-enzimatica della SHMT umana……….. pag. 38 3.4 Spettrofotometria……………………………………………………………………… pag. 40 3.5 Caratterizzazione cinetica e saggi di attività enzimatica……………………………… pag. 41 3.6 Fluorimetria e saggio fluorimetrico per la determinazione della Kd per il PLP…….. pag. 45 3.7 Cristallografia………………………………………………………………………….. pag. 46 3.8 Elettroforesi e proteolisi limitata……………………………………………………… pag. 46 3.9 Cromatografia di esclusione dimensionale (SEC)……………………………………. pag. 51 3.10 Dicroismo circolare ed esperimenti di denaturazione termica……………………… pag. 52 4. RISULTATI E DISCUSSIONE …………………………………........................ pag. 53 5. CONCLUSIONI………………..…………………………………………………….. pag. 69 RINGRAZIAMENTI …………………………………………………..…...........……. pag. 70 ELENCO ABBREVIAZIONI …………………………………………..…………….. pag. 71 INDICE FIGURE ………………………………………………………………………. pag. 72 BIBLIOGRAFIA ………………………………………………………………………… pag. 74
  • 3. 1 1. INTRODUZIONE La serina idrossimetiltrasferasi è un enzima piridossale-5’-fosfato-dipendente, ubiquitario e altamente conservato nell’evoluzione di tutte le specie viventi, sia vegetali che animali. La sua attività catalitica è particolarmente importante per alcuni processi metabolici della cellula, come il metabolismo energetico e la sintesi dei mattoni biologici: amminoacidi e nucleotidi. È pertanto un enzima cruciale nella riprogrammazione metabolica delle cellule cancerose e, come molti altri enzimi, appartenenti alle vie biosintetiche dei nucleotidi o dei folati, il bersaglio ideale di agenti chemioterapici. La ragione della presenza di diverse isoforme cellulari della SHMT e la possibilità che esse svolgano ruoli diversi sono argomenti oggi ampiamente dibattuti. Nella prima parte di questa tesi saranno descritte la struttura e le funzioni della vitamina B6 con particolare attenzione al piridossal-5'-fosfato, il suo ruolo come cofattore enzimatico ed il meccanismo di reazione degli enzimi PLP-dipendenti. Successivamente l’attenzione verrà portata sulla serina idrossimetiltrasferasi, per illustrarne la reazione enzimatica, le caratteristiche strutturali note ed i ruoli nel metabolismo cellulare. Nella parte centrale della tesi verrà esposto il lavoro sperimentale, condotto in laboratorio allo scopo di ottenere un’analisi strutturale e conformazionale delle isoforme citosolica e mitocondriale dell’enzima umano. L’analisi verrà supportata dalla descrizione dei materiali, della strumentazione tecnica utilizzata e delle metodologie eseguite, al fine di rendere la comprensione più facile al lettore. Nella parte conclusiva verranno infine discussi i risultati ottenuti.
  • 4. 2 1.1 Vitamina B6: struttura, biosintesi ed assorbimento Le vitamine sono un insieme molto eterogeneo di sostanze organiche indispensabili per tutti gli organismi. L’uomo le assume quotidianamente con la dieta alimentare, non essendo in grado di sintetizzarle; il termine stesso vitamina, deriva dal tedesco vitamin, ovvero amina della vita. In base alla loro solubilità vengono divise in due grandi classi: le vitamine idrosolubili e le vitamine liposolubili. Appartengono alla classe delle vitamine idrosolubili quelle del gruppo B: B1 (tiamina), B2 (riboflavina), B5 (acido pantotenico), B6 (piridossina), B9 (acido folico), B12 (cobalamina), così come la vitamina C (acido ascorbico), la vitamina H (biotina) e la vitamina PP (niacina). Appartengono invece alla classe delle vitamine liposolubili, le vitamine A, D, E e K. La mancanza (ipovitaminosi o avitaminosi in caso di totale assenza) o l’eccesso (ipervitaminosi) di vitamine nell’organismo possono causare vari disturbi, patologie o fenomeni di tossicità, poiché questi composti sono coinvolti nell’omeostasi di molti processi biologici sia a livello cellulare che organicistico. Le vitamine idrosolubili, nello specifico, sono coinvolte nella regolazione del metabolismo cellulare e tessutale attraverso gli enzimi che le richiedono per espletare le loro attività catalitiche; le vitamine idrosolubili sono, infatti, dei coenzimi. Struttura della vitamina B6 La vitamina B6 è una vitamina idrosolubile e molto probabilmente la più versatile essendo coinvolta in una serie di reazioni di fondamentale importanza nella cellula. Il termine vitamina B6 è stato spesso usato per indicare il composto piridossina. Tuttavia oggi ha acquisito un carattere più generico riferendosi all'insieme di sei composti o vitameri, presenti in tutti gli organismi, che condividono la struttura base 2-metil-3-idrossipiridina (sono tutti derivati piridinici) e differiscono per la natura dei diversi sostituenti sul C4 e C5 . I vitameri B6 qui di seguito riportati sono: la piridossina (PN), il piridossale (PL), la piridossamina (PM) ed i loro rispettivi derivati fosforilati sul C5; la piridossina-5'-fosfato (PNP), il piridossale-5'- fosfato (PLP) e la piridossamina-5'-fosfato (PMP). (Figura 1)
  • 5. 3 FIGURA 1. Struttura dei vitameri B6 Biosintesi della vitamina B6 Gli animali non sono in grado di sintetizzare de novo la vitamina B6. Solamente le piante, gli Eubatteri, gli Archaea ed alcuni funghi sono in grado di farlo e sono due le vie di sintesi fin ora conosciute. La prima via, utilizzata da Escherichia coli e altri membri della divisione γ dei proteobatteri, viene definita “DXP-dependente” e richiede per la sintesi di PNP sei enzimi, riportati nella figura sottostante. (Figura 2) Gli altri microrganismi, inclusi gli Archea, e la maggior parte degli Eubatteri, i funghi e le piante, invece, utilizzano una seconda via biosintetica definita “DXP-indipendente”. Questa via è catalizzata solo da due enzimi (Pdx1-Pdx2), che agiscono insieme per convertire il ribosio 5-fosfato (R5P) e la gliceraldeide 3-fosfato (G3P) direttamente in PLP. Questo complesso enzimatico viene chiamato PLP sintasi. Anche alcuni batteri patogeni sono in grado di sintetizzare la vitamina (Neisseria meningitis, Salmonella typhimurium, Vibrio cholerae, Yersina pestis ed altri), quindi progettare farmaci specifici potrebbe avere interessanti fini applicativi. (Fitzpatrick et al., 2010)
  • 6. 4 FIGURA 2. Vie biosintetiche della vitamina B6. Via De novo DXP-dipendente (presente in alcuni eubatteri): GapB, d-eritrosio-4-fosfato deidrogenasi; PdxB, eritronato-4-fosfato deidrogenasi; PdxF/SerC, fosfoserina aminotransferasi; PdxA, 4-idrossitreonina-4-fosfato deidrogenasi; DPXS, 1-deossi-d-xilulosio-5- fosfato sintasi; PNP sintasi, dal gene PdxJ. Via De novo DXP-indipendente (presente negli altri eubatteri, funghi ,piante ed Archaea): complesso PLP sintasi: dominio sintasico dal gene Pdx1; dominio glutaminasico dal gene Pdx2. Salvage pathway (presenti in tutti gli organismi inclusi I mammiferi): PLK, piridossal chinasi dal gene PdxK e piridossal chinasi 2 dal gene PdxY; PNPOx, piridossina-5’-fosfato ossidasi dal gene PdxH. Assorbimento della vitamina B6 I vitameri B6 vengono acquisiti dagli animali dalla dieta mediante assorbimento intestinale:  Dal cibo di origine animale l'uomo assimila la vitamina in parte sotto forma di PMP ma principalmente sotto forma di PLP, che si trova associato agli enzimi PLP-dipendenti. In
  • 7. 5 particolar modo ricava il PLP dalla degradazione della glicogeno fosforilasi presente in abbondante quantità nel muscolo e quindi nella carne. (McCormick D. B. 1989)  Dal cibo di origine vegetale la vitamina B6 viene assunta principalmente sotto forma di PN e PN-5'-β-glucoside (Figura 3) anche se in quest'ultima forma sembra essere assimilata con più difficoltà poiché richiede l'intervento di glucosidasi intestinali. (Mackey et al 2003) FIGURA 3. Piridossina-5'-β glucoside Non tutte le vitamine vengono assunte nella loro forma biologicamente utilizzabile ma piuttosto come precursori che vanno sotto il nome di provitamine. Una volta assunti, tali composti vengono trasformati da specifici enzimi nella loro forma attiva, al fine di renderli utilizzabili. Nel caso specifico della vitamina B6 gli animali possiedono gli enzimi in grado di interconvertire tra loro le forme defosforilate e fosforilate della vitamina (PL chinasi e varie fosfatasi) ed un'ossidasi in grado di convertire poi le forme fosforilate in PLP (PNP ossidasi; PNPOx). (Mccormick D. B., Chen H. 1999; Jang, Y. M. 2003) Tutti questi enzimi prendono il nome di “enzimi della via di recupero” del PLP. (Figura 4) FIGURA 4. Enzimi della via di recupero o “salvage pathway” del PLP
  • 8. 6 L’enzima piridossal chinasi converte i vitameri nei loro rispettivi esteri fosforilati utilizzando l’ATP come donatore del gruppo fosfato. La piridossina 5-fosfato ossidasi, invece, ossida il gruppo alcolico o amminico sul C4’ dei rispettivi substrati (PNP e PMP) in gruppo aldeidico utilizzando una molecola di FMN come cofattore e O2 come accettore di elettroni. L’attività degli enzimi della via di recupero del PLP è indispensabile, poiché essi permettono l'assorbimento di tutti i vitameri da parte delle cellule dell’intestino ed il loro trasporto ai tessuti. Ne regolano inoltre il livello intracellulare evitandone la tossicità ed infine li convertono nella forma biologicamente attiva della vitamina, che viene ceduta direttamente agli apoenzimi: il PLP. Infatti a livello intestinale le forme fosforilate (PLP, PMP, PNP), che non riuscirebbero a passare la membrana delle cellule ed essere così assorbite, vengono defosforilate a PN, PL e PM da ecto- enzimi tessuto specifici rilasciati nel lume dell'intestino (fosfatasi intestinali; IP). Le forme defosforilate vengono così assorbite dall'intestino tenue mediante un sistema mediato da carrier e riversate nel circolo sanguigno. (Said H. M. 2004). A questo punto il sistema portale epatico trasporta i vitameri, attraverso la vena portale epatica, fino al fegato dove la PL chinasi lì rifosforila a PLP, PNP, PMP e la PNPOx converte poi PNP e PMP in PLP. Circa il 60% della vitamina che viene riversato nel circolo sistemico e raggiunge i tessuti è sotto forma di PLP legato alla Lys190 all'albumina. La restante percentuale circola sotto forma di PL, PM, e PN. (Surtees R. A. et al. 2006) Una volta raggiunti i tessuti i vitameri defosforilati passano dai letti capillari al liquido interstiziale grazie alle fosfatasi alcaline tessuto-non-specifiche (TNAP) associate alla membrana delle cellule endoteliali dei vasi di tutti i tessuti. (Clayton P.T. 2006) All'interno delle cellule le forme defosforilate vengono nuovamente fosforilate dalla PL chinasi e la PNPOx converte ancora i vitameri PNP e PMP nella forma biologicamente attiva della vitamina: il PLP. Quest'ultimo viene così ceduto agli apoenzimi PLP-dipendenti. Tutto il ciclo di assorbimento è qui di seguito riassunto in figura 5.
  • 9. 7 FIGURA 5. Ciclo di assorbimento e trasporto della vitamina B6 Gli enzimi della via di recupero del PLP sono espressi in tutte le cellule, ma la quantità dei trascritti (mRNA) e il funzionamento di questi enzimi sono altamente regolate in maniera tessuto-specifica. Il loro mancato funzionamento porta all'alterazione dei livelli intra- ed extracellulari di PLP, che può essere molto dannosa per l'organismo, soprattutto a livello cellulare; la loro deficienza funzionale può causare una diminuzione di disponibilità del cofattore piridossale 5’ fosfato per gli enzimi PLP-dipendenti ed l'alterazione di tutti i metabolismi ad essi associati.
  • 10. 8 1.2 Il cofattore piridossal-5'-fosfato: la forma biologicamente attiva della vitamina B6 FIGURA 6. Il piridossale 5’-fosfato (PLP) Il piridossale 5’-fosfato (PLP) (Figura 6) è composto da un anello piridinico con 4 sostituenti: un gruppo aldeidico sul C4, un metile sul C2, un estere fosfato sul C5 e un ossidrile sul C3. Il gruppo aldeidico è il centro reattivo della molecola, le sue proprietà sono finemente modulate dalla presenza del gruppo ossidrile e dall’azoto dell’anello piridinico. Il PLP è considerato la forma biologicamente attiva della vitamina B6 poiché, oltre a svolgere svariate funzioni in molteplici processi cellulari, assume il ruolo predominante di cofattore enzimatico. Attua infatti oltre 140 differenti reazioni enzimatiche, le quali rappresentano circa il 4% di tutte le attività catalitiche conosciute e sono eseguite da enzimi appartenenti a cinque delle sei classi enzimatiche fin ora catalogate. Questa grande versatilità catalitica deriva in primo luogo dalla sua peculiare struttura elettronica, in cui i 5 atomi di carbonio dell'anello, l'azoto, il carbonio e l'ossigeno del gruppo aldeidico formano un sistema risonante, responsabile anche del colore giallo del composto. Inoltre il gruppo aldeidico in posizione C4 possiede un’elevata reattività e può reagire con: o Ammino gruppi, tramite reazioni di condensazione per formare una base di Schiff. o Idrazine, tramite reazioni di condensazione. o Idrossilammine sostituite, tramite reazioni di condensazione. o Composti sulfidrilici Il PLP è in grado di catalizzare anche in assenza di enzimi, in soluzione, numerose reazioni. Tuttavia la velocità delle reazioni catalizzate è inferiore rispetto a quando si trova legato come cofattore agli enzimi. (Snell E.E. 1985) Questo viene spiegato dal fatto che, nella tasca enzimatica, le proprietà catalitiche del cofattore vengono modulate dalle catene polipeptidiche che lo circondano, le quali da una parte aumentano la velocità di reazione e dall'altra gli conferiscono un più ampio spettro di possibilità catalitiche. -
  • 11. 9 1.3 Meccanismo di reazione degli enzimi PLP-dipendenti Il PLP possiede due proprietà chimiche fondamentali: attraverso il suo gruppo aldeidico forma immine con il gruppo amminico primario dei substrati ed è inoltre in grado, fungendo da “trappola elettronica”, di attrarre elettroni dal substrato e di stabilizzare gli intermedi carbanionici che si formano dalla scissione eterolitica dei legami. In virtù di queste peculiari proprietà chimiche, i passaggi iniziali del meccanismo d'azione del PLP, in tutte le reazioni enzimatiche PLP-dipendenti, sono essenzialmente gli stessi.(Figura 7) Il cofattore è sempre covalentemente legato, in forma di aldimmina, al gruppo ε-amminico di un residuo di lisina, nella tasca dell'enzima PLP-dipendente, formando la cosiddetta "aldimmina interna". Il gruppo -NH2 del substrato effettua poi un attacco nucleofilo al C4' del PLP, con formazione di una diammina geminale intermedia. In questa struttura intermedia entrambi i gruppi -NH2, dell'enzima e del substrato, sono legati al C4', il quale assume una geometria tetraedrica. Successivamente il legame con il residuo di lisina viene scisso, generando, per condensazione del PLP con il substrato, quella che viene chiamata un' "aldimmina esterna" (Base di Schiff). Sia nell'aldimmina interna che in quella esterna, invece, il C4' ha una geometria planare. (Metzler et al. 1954) FIGURA 7. Meccanismo di reazione del PLP; formazione della base di Schiff A questo punto i legami del Cα del substrato vengono indeboliti dall'effetto di attrazione elettronica, esercitato dall'anello aromatico del PLP e dall'azoto piridinico protonato, portando alla rottura eterolitica di uno di questi.
  • 12. 10 Le successive fasi della reazione variano a seconda del tipo di substrato e di quale dei legami del Cα del substrato viene scisso. Il legame che viene rotto dipende anche dalla conformazione e dalla natura dei residui amminoacidici della tasca enzimatica, poiché sono questi a modulare l'attività catalitica del cofattore stabilizzando un legame piuttosto che un altro. Tuttavia la rottura può essere di tre tipi: l’eliminazione di CO2, la deprotonazione, l’eliminazione della catena laterale. Comunque la perdita di uno dei sostituenti del Cα del substrato, per taglio eterolitico, porta sempre alla formazione di un carbanione (chiamato anche carbanione α), con una coppia di elettroni libera, altamente instabile. Il PLP si comporta come una “trappola elettronica”, grazie all'estesa coniugazione degli elettroni π dell'anello piridinico, delocalizzando per risonanza la carica negativa ed il carbanione viene immediatamente stabilizzato formando un intermedio chinonoide. (Nelson D.L. and COX M.M 2010) (Figura 8) FIGURA 8. Struttura di risonanza del carbanione con formazione di un intermedio chinonoide. A questo punto seguono, a seconda dell'enzima coinvolto nella catalisi, molteplici vie, che si ramificano in una serie di passaggi e portano a prodotti finali differenti. È infatti il microambiente che circonda il cofattore a favorire una determinata reazione rispetto alle molte altre possibili. A seconda del legame rotto precedentemente possono presentarsi diverse reazioni: 1) reazioni che procedono dopo l’eliminazione di CO2 dal Cα: α-decarbossilazione, α- decarbossilazione seguita da transaminazione; 2) reazioni che procedono dopo la deprotonazione del Cα: racemizzazione, transaminazione, β- decarbossilazione, β-eliminazione, β-sintesi, γ-eliminazione, γ-sintesi; 3) reazioni che procedono dopo l’eliminazione della catena laterale: α-sintesi, scissione aldolica.
  • 13. 11 1.4 Enzimi PLP- dipendenti nel metabolismo cellulare Una grande varietà di enzimi nella cellula utilizza come cofattore enzimatico il piridossale 5’ fosfato che si vede quindi coinvolto in numerosi ed importanti processi cellulari quali:  sintesi, interconversione e degradazione degli amminoacidi ;  sintesi e degradazione di ammine biogene;  sintesi dei composti tetrapirrolici, come per esempio l’eme;  rifornimento delle unità monocarboniose;  metabolismo degli amminozuccheri;  sintesi di DNA, RNA e cofattori nucleotidici;  produzione di neurotrasmettitori. La maggioranza degli enzimi PLP-dipendenti svolge la sua attività catalitica prendendo parte al metabolismo di amminoacidi (sintesi, interconversione e degradazione degli aminoacidi) e ammine, attraverso reazioni chimiche che vanno da semplici isomerizzazioni a elaborate reazioni di sintesi. A questa classe di enzimi appartengono infatti transaminasi, deaminasi, racemasi, deidratasi, liasi, numerose sintasi e decarbossilasi. (Figura 9) D’altra parte alcuni di questi enzimi non sono solo coinvolti nel metabolismo degli amminoacidi ma intervengono anche nel metabolismo dei carboidrati. Ad esempio le glicano fosforillasi utilizzano il PLP come gruppo prostetico anche se con un meccanismo di reazione diverso. (Metzler et al., 1977) Inoltre gli enzimi PLP-dipendenti prendono parte alla modulazione dell’espressione genica mediata dagli ormoni steroidei (Allgood et al., 1993) ed assumono un ruolo chiave nel metabolismo di sintesi e degradazione dei neurotrasmettitori (Kang et al. 2002; McCarty, 2000).Livelli inadeguati di PLP, infatti, sono responsabili di disfunzioni neurologiche, in particolar modo dell’epilessia (Di Salvo et al., 2012). La notevole diversità degli enzimi PLP-dipendenti emerge chiaramente dalla modulazione e dall’esaltazione delle proprietà chimiche intrinseche del coenzima da parte della componente proteica circostante. L’evoluzione ha modellato la struttura proteica in modo che ogni enzima possa fornire un ambiente unico di legame con il proprio substrato e possa attuare le proprie reazioni specifiche. Grazie ai recenti sviluppi tecnologici nel campo della bioinformatica, della cristallografia delle proteine ed al supporto di banche dati sempre più aggiornate, la ricerca nel campo degli enzimi PLP-dipendenti è cresciuta notevolmente. Essa oggi si rivolge principalmente
  • 14. 12 allo studio della funzione, della struttura di questi importanti catalizzatori biologici ed alle relazioni tra l’attività catalitica ed il percorso evolutivo. FIGURA 9. Schema del metabolismo cellulare fornito dal PATHWAY database online KEGG, Kyoto Encyclopedia of Genes and Genome ( www.genome.ad/Kegg/pathway/map). Ogni punto corrisponde ad un metabolita ed ogni linea ad un enzima. Le linee evidenziate in rosso corrispondono agli enzimi PLP-dipendenti.
  • 15. 13 1.5 La serina idrossimetiltrasferasi: struttura, proprietà spettrali e reazioni catalizzate La serina idrossimetiltransferasi (SHMT) è un enzima piridossal 5’-fosfato dipendente, ubiquitario e altamente conservato in batteri, piante, funghi e mammiferi. L’enzima venne purificato e caratterizzato per la prima volta nel 1963 dal fegato di coniglio (Schirch e Mason, 1963). Oggi, grazie allo sviluppo di nuovi strumenti informatici, è possibile confrontare, nelle banche dati biologiche, i dati relativi alla sequenza genica, alla struttura cristallografica ed alla caratterizzazione cinetica delle sue isoforme, che nel corso degli anni sono state purificate da diversi organismi, compreso l’uomo. Questa ricchezza di informazioni, facilmente accessibili, rappresenta oggi un potente strumento per la ricerca ed ha permesso di rendere evidente quanto l’attività catalitica della serina idrossimetiltrasferasi sia importante nel metabolismo cellulare. Struttura e folding della SHMT La disponibilità di numerose strutture cristallografiche dell’enzima, risolte da fonti sia eucariotiche che procariotiche, ha contribuito a chiarire una serie di osservazioni precedentemente acquisite con classici studi biochimici. La SHMT procariotica è un omodimero mentre nei mammiferi, compreso l’uomo, assolve le sue funzioni catalitiche come omotetramero ed appartiene al gruppo di ripiegamento I (o famiglia dell’aspartato aminotrasferasi), che include molti degli enzimi PLP-dipendenti meglio caratterizzati. Come per gli altri membri di questo gruppo, la subunità enzimatica del tetramero che viene tradotta si ripiega in due domini. Il dominio grande N-terminale è costituito da sette foglietti β e numerose -eliche, mentre il piccolo dominio C-terminale è costituito da tre foglietti β, ricoperti da -eliche su di un lato. Ogni subunità del tetramero quindi possiede un sito attivo, nel quale alloggia una molecola del cofattore PLP, ma ciascuna tasca è delimitata anche da residui amminoacidici forniti dalla subunità adiacente. Per questo motivo ogni sito attivo si localizza all’interfaccia di due monomeri che vanno a costituire un dimero obbligato, cataliticamente attivo. Questi omodimeri negli eucarioti si associano poi a formare l’omotetramero. Nel sito attivo il cofattore PLP è strettamente legato, tramite base di schiff, ad un residuo di lisina. (figura 10)
  • 16. 14 FIGURA 10. Struttura SHMT citosolica umana (hcSHMT). A sinistra visione dell’omotetramero: subunità A in ciano, B in marrone, C in verde e D in viola. Le subunità A-D e C-B formano i dimeri, che sono correlati da un duplice asse orizzontale. È visibile anche il cofattore PLP. A destra ingrandimento del monomero C; dominio grande N-terminale in verde e la sua estremità in viola; dominio C-terminale in rosso; al centro è rappresentato il cofattore PLP (Renwick et al. 1998) Nei mammiferi la SHMT è presente in due isoforme; un’isoforma citosolica (cSHMT), anche indicata come SHMT1, e un’isoforma mitocondriale (mSHMT), indicata come SHMT2..Ciascuna delle isorforme, citosolica e mitocondriale, è codificata da un singolo gene, localizzato rispettivamente nella regione cromosomica 17p11.2 e 12q13 (Shipra et al., 2003). Nell’uomo le sequenze aminoacidiche delle due isoforme condividono un alto grado di omologia (63%). I singoli isoenzimi sono altamente omologhi agli analoghi citosolico di coniglio (92% identità di sequenza) e mitocondriale di coniglio (97% identità di sequenza). Inoltre un alto grado di omologia è stato riscontrato anche tra l’isoforma citosolica di coniglio e l’isoforma di E. coli (43% identità) (Martini et al., 1987). L’enzima citosolico è composto da 483 aminoacidi e ha un peso molecolare di 53.020 Da, mentre la forma mitocondriale è formata da 474 residui aminoacidici è presenta un peso molecolare di 52.400 Da. Negli eucarioti quindi il dimero obbligato possiede un peso molecolare di ~110 kDa, mentre la struttura tetramerica di ~ 250 kDa. Il meccanismo di ripiegamento della SHMT di E.coli è stato studiato e compreso in dettaglio. Esso può essere diviso in due fasi e termina con il legame del PLP. Nella prima fase, i domini grande e piccolo assumono rapidamente una conformazione molto simile a quella nativa. Nella seconda fase, più lenta, l’enzima acquisisce la capacità di legare il cofattore. L’evento chiave necessario per il passaggio tra la prima e la seconda fase rimane ancora poco chiaro. (Florio et al., 2010)
  • 17. 15 Meccanismo di reazione Conversione THF-dipendente della serina in glicina La SHMT catalizza la reazione reversibile di taglio retroaldolico della L-serina in glicina, con trasferimento dell’unità monocarboniosa, derivante dal gruppo idrossimetilico della serina, al tetraidrofolato (H4PteGlu, o THF) e formazione di metilentetraidrofolato (5,10-CH2-H4PteGlu). Questa reazione rappresenta la risorsa primaria di unità monocarboniose richieste per la sintesi di timidilato, purine e metionina (Schirch et al., 2005). (Figura 11) L-serina + THF Glicina + 5,10-CH2-THF + H2O FIGURA 11. Reazione principale della SHMT: conversione THF-dipendente della serina in glicina. Il primo passaggio, nella conversione THF-dipendente della serina in glicina, è l’attacco nucleofilo portato dal N5 del H4PteGlu al C3 della serina legata come aldimina esterna al PLP. Il legame C3- C2 viene rotto e si genera l’intermedio chinonoide e la N5 -carbinolamina. Successivamente un residuo di glutammato (Glu75 nella SHMT citosolica di coniglio) agisce da catalizzatore acido nella deidratazione della la N5 -carbinolamina per formare un N5 -immino catione, nuovamente protonato poi dal N10 con formazione del 5,10-CH2-H4PteGlu. Il ruolo del H4PteGlu nella reazione con la SHMT non è solo quello di accettare il gruppo idrossimetilico della serina, ma anche quello di spostare l’equilibrio verso la formazione dell’intermedio chinonoide. (Schirch et al., 2005)
  • 18. 16 FIGURA 12. Meccanismo proposto per la conversione folato-dipendente della serina in glicina. I gruppi basici sono indicati con B: e quelli acidi con BH (Schirch et al., 2005). Proprietà spettrali della serina idrossimetiltrasferasi Come abbiamo già accennato in precedenza, all’interno del sito attivo il PLP è legato covalentemente attraverso una base di Schiff al gruppo ε-aminico di un residuo di lisina dell’enzima, formando la cosiddetta “aldimmina interna”. Questo composto assume una colorazione gialla e conferisce all’enzima proprietà spettrali uniche, per questa ragione il cofattore viene usato come sonda spettrofotometrica per seguire le fasi della catalisi. In assenza dell’aminoacido substrato, l’enzima esibisce un massimo di assorbimento tra 420 nm e 430 nm, dovuto al PLP legato all’enzima. L’aggiunta di livelli saturanti di glicina, in assenza di THF, produce uno spettro di assorbimento in cui è possibile distinguere tre diverse bande: una a 343 nm, una a 425 nm ed una terza a 495 nm, le cui intensità relative sono influenzate dal pH (Schirch & Diller, 1971). La presenza di bande simili in altri enzimi PLP-dipendenti, già dimostrate con lo studio di sistemi modello in precedenti lavori di ricerca (Davis & Metzler, 1972), ha permesso un’agevole interpretazione dei dati ottenuti per la SHMT. La specie chimica che assorbe a 425 nm corrisponde al complesso formato tra aminoacido e PLP, noto come “aldimmina esterna”. La banda d’assorbimento a 495 nm dipende dalla formazione di un intermedio chinonoide, prodotto dalla deprotonazione del carbonio α della glicina, mentre l’assorbimento a 343 nm è dato dalla formazione di una struttura chiamata “diamina geminale”. Studi di cinetica rapida hanno poi mostrato questi intermedi comparire nell’ordine: 343 nm  425 nm  495 (Schirch, 1975; Cheng & Haslam, 1972) (Figura 13).
  • 19. 17 FIGURA 13. Intermedi di reazione che si formano in seguito all’aggiunta di glicina alla SHMT. Se è presente un’aldeide, l’intermedio IV può reagire con essa, formando un idrossiaminoacido (intermedio V) che viene rilasciato passando attraverso l’intermedio VI. Sotto ogni intermedio viene riportata la lunghezza d’onda corrispondente al massimo di assorbimento (Schirch, 1982) Taglio retroaldolico dei β-idrossiamminoacidi La SHMT oltre alla reazione di trasferimento del C-β dalla serina al H4PteGlu, è in grado di catalizzare, in vitro ed in assenza di H4PteGlu, la scissione aldolica di numerosi L-β- idrossiaminoacidi (Figura 14), con preferenza per la treonina e la β-fenilserina. Nessuna di queste reazioni richiede H4PteGlu come co-substrato. La stereospecificità dell’enzima rispetto al Cβ è rilassata; il taglio si verifica con entrambi i diastereomeri treo e eritro, ma l’isomero eritro è favorito rispetto al treo (L-allo-treonina rispetto alla L-treonina). Il sito attivo, grazie ad una cavità idrofobica, è infatti in grado di ospitare grandi sostituenti al Cβ in entrambe le forme sia treo che eritro. FIGURA 14. Meccanismo proposto per la reazione di taglio retroaldolico dei β-idrossiamminoacidi. I gruppi basici sono indicati con B: e quelli acidi con BH (Schirch et al., 2005). Conversione del 5,10-CH+ -H4PteGlu in 5,10-CHO-H4PteGlu
  • 20. 18 Un’altra reazione che la SHMT è in grado di catalizzare è la conversione del 5,10-CH2-H4PteGlu in 5-CHO-H4PteGlu (formil-tetraidrofolato), reazione questa che sembra venga utilizzata dalle cellule dormienti come forma di conservazione di folati allo stato ridotto e di gruppi monocarboniosi (Stover et al., 1990 e 1992). Sebbene questa reazione sia più lenta rispetto l’interconversione della serina e glicina, numerosi lavori sperimentali hanno dimostrato che il 5-CHO-H4PteGlu presente nella cellula deriva interamente dall’attività della SHMT (Stover et al. 1990, Anguera et al. 2003, Holmes et al. 2002) Uno passaggio critico nella reazione è la rottura acido-catalizzata del legame tra l’atomo di carbonio e l’N10 (struttura I nella figura 15). Il meccanismo probabilmente segue la stessa chimica acido-base necessaria nella conversione serina-glicina con H4PteGlu per formare CH2-H4PteGlu. FIGURA 15. Meccanismo proposto per la conversione del 5,10-CH+- H4PteGlu a 5-CHO-H4PteGlu. I gruppi basici sono indicati con B: e quelli acidi con BH (Schirch et al., 2005). La serina idrossimetiltrasferasi infine è in grado di catalizzare anche una serie di reazioni alternative; reazioni di decarbossilazione, transaminazione e racemizzazione di analoghi di substrato (Schirch et al, 1998) La scelta della reazione catalizzata dalla SHMT è determinata principalmente dalla struttura del substrato amminoacidico. Con i substrati fisiologici, serina o glicina, la SHMT non catalizza nessuna delle reazioni secondarie. Secondo il modello attualmente accettato, la specificità di reazione dell’enzima dipende dalla conformazione aperta o chiusa del sito attivo. I substrati fisiologici determinano la conformazione chiusa, mentre quelli alternativi reagiscono quando l’enzima si trova in una conformazione aperta, consentendo reazioni alternative (decarbossilazione, transaminazione e racemizzazione) (Schirch et al., 1991) Questa capacità di catalizzare, con i propri substrati o con analoghi di substrato, reazioni alternative rispetto alla propria reazione fisiologica, è stata definita “promiscuità catalitica”. La promiscuità catalitica degli enzimi a PLP può aver favorito, per evoluzione divergente, la comparsa dell’odierna gamma di enzimi dipendenti dal piridossal-5’-fosfato.
  • 21. 19 1.6 La serina idrossimetiltrasferasi nel metabolismo cellulare La reazione principale catalizzata dalla serina idrossimetiltrasferasi si pone al centro di alcuni tra i più importanti processi metabolici della cellula. Questo enzima infatti ha un ruolo centrale nel metabolismo degli amminoacidi L-serina, glicina e dei folati. I prodotti della sua reazione sono poi precursori di composti implicati nel metabolismo energetico della cellula e nella sintesi dei mattoni biologici, quali amminoacidi e nucleotidi. Il 5,10-metilen-THF rappresenta la risorsa primaria di unità monocarboniose richieste per la sintesi delle purine adenina e guanina, per la conversione dell’uridilato in timidilato e per la metilazione dell’omocisteina in metionina. (Schirch et al., 2005) D’altra parte anche la glicina risulta fondamentale per la biosintesi delle purine ed inoltre viene utilizzata dalla cellula per la formazione delle porfirine e dei deossiribonucleotidi. Qui di seguito sono riportati ed analizzati i metabolismi che vengono influenzati maggiormente dall’attività della SHMT. Metabolismo di glicina, serina e treonina: La via principale di sintesi della serina e della glicina è la stessa in tutti gli organismi. Questa via parte dal 3-fosfoglicerato prodotto dalla glicolisi per formare la serina e la SHMT ne catalizza la conversione in glicina. La glicina poi negli animali subisce una scissione ossidativa ad opera dell’enzima di scissione della glicina o glicina sintasi, che la degrada a CO2, NH4 + e cede un gruppo metilenico al THF formando 5,10-CH2-H4PteGlu. Questo enzima fa parte di un complesso proteico ancorato alla membrana interna del mitocondrio, chiamato glycine cleavage system (GCS). (Nelson D. and Cox M., 2008) È interessante notare che, oltre all’SHMT, anche altri enzimi appartenenti al metabolismo della glicina e della serina, come la serina deidratasi o l’enzima di scissione della glicina, utilizzano sia il PLP che il THF per la catalisi delle proprie reazioni. Entrambi i cofattori hanno quindi un ruolo predominante e correlato nel catabolismo di questi amminoacidi. Metabolismo delle unità monocarboniose e dei folati L’acido tetraidrofolico o THF, substrato della SHMT, è la forma attiva e ridotta del folato o acido folico: composto che per i mammiferi è una vitamina (la vitamina B9) e viene assunta dalla dieta. È costituito da una pterina, sostituita in posizione 6 da un metile (6-metilpterina), legata ad un p- aminobenzoato ed ad un glutammato. (Figura 16)
  • 22. 20 L’acido folico viene ridotto in due tappe a THF dall’enzima diidrofolato reduttasi che, con l'utilizzo di NADPH come donatore di elettroni, riduce la 6-metilpterina. FIGURA 16. Struttura del tetraidrofolato. Il THF è un cofattore enzimatico in grado di legare e trasportare un gruppo monocarbonioso, in uno dei tre stadi di ossidazione, sull’atomo di azoto N5 , sull’ N10 o legato a entrambi. Questa unità monocarboniosa deriva principalmente dall’atomo di carbonio rimosso durante la conversione della serina in glicina a opera dell’ SHMT, che trasforma quindi il THF in N5 , N10 - metilen-tetraidrofolato. Da questo prodotto di reazione diversi enzimi possono generare ben sei forme del tetraidrofolato, che sono interconvertibili tra di loro e in grado di trasportare e cedere unità monocarboniose a diversi stadi di ossidazione: 5-CH3-H4PteGlu, 5,10-CH-H4PteGlu, 5-CHO- H4PteGlu, 10-CHO-H4PteGlu ed 5-CHNH-H4PteGlu. (Figura 17) La stessa SHMT concorre alla regolazione ed al mantenimento dell’omeostasi del pool di queste unità monocarboniose intracellulari, attraverso la reazione secondaria, irreversibile, di conversione del 5,10-CH2-H4PteGlu in formiltetraidrofolato (5-CHO-H4PteGlu) (Stover et al. 1990, 1992; Holmes et al., 2002; Krushwitz et al., 1994). Questi composti sono chiamati complessivamente folati e sono i cofattori di molte reazioni cellulari, soprattutto quelle appartenenti alle vie metaboliche degli amminoacidi e dei nucleotidi. I farmaci o composti chimici che legame competono con i folati per legarsi agli enzimi sono chiamati antifolati. (Nelson D. and Cox M., 2008)
  • 23. 21 FIGURA 17. Interconversione delle unità monocarboniose sui folati. Sintesi della metionina e dell’S-adenosilmetionina Un’altra importante reazione in cui partecipa l’unità monocarboniosa derivante dall’attività catalitica della SHMT è proprio la conversione dell’omocisteina a metionina. Infatti il 5-CH3-H4PteGlu è il substrato della metionina sintasi che, con il supporto del coenzima B12, trasferisce il gruppo metilico dal folato all’omocisteina, generando metionina e tetraidrofolato. La metionina è poi convertita in S-adenosilmetionina grazie all’attività della metionina adenosil trasferasi. Questa reazione fa parte di un ciclo metabolico importante per la sintesi della S-adenosilmetionina, che è un donatore universale di gruppi metili e quindi importante per la metilazione del DNA.(Nelson D. and Cox M., 2008) (Figura 18)
  • 24. 22 FIGURA 18. Sintesi della metionina e della S-adenosilmetionina Sintesi de novo delle purine ed il ciclo del timidilato Le vie di biosintesi degli amminoacidi e quelle dei nucleotidi sono strettamente interconnesse: alcuni amminoacidi o parti di essi vengono incorporati nelle strutture puriniche o pirimidiniche e molte vie hanno in comune sia gli intermedi metabolici che le reazioni di trasferimento dell’azoto e delle unità monocarboniose. I prodotti della reazione dell’SHMT, glicina e N5 -N10 -metilen-THF, sono protagonisti nella sintesi delle purine e del timidilato. La glicina, per incorporazione diretta nell’anello o attraverso incorporazione di unità monocarboniose derivate dal glycine cleavage system, prende parte alla sintesi de novo delle basi puriniche adenina e guanina. Infatti questo amminoacido diventa parte strutturale dell’anello purinico mentre l’ N10 - formil-THF fornisce due atomi di carbonio in due tappe ben distinte. (Figura19)
  • 25. 23 FIGURA 19. Incorporazione della glicina nell’anello purinico Inoltre la glicina è importante, indirettamente, anche nella formazione dei deossiribonucleotidi, prendendo parte alla sintesi del composto glutatione (GSH) insieme al glutammato ed alla cisteina. (Nelson D. and Cox M., 2008) La via biosintetica de novo delle pirimidine citosina ed uracile, d’altra parte, non richiede l’intervento di amminoacidi quali serina o glicina o dei folati. Tuttavia la sintesi de novo dei derivati timinici e del timidilato avviene dal dUMP, ad opera dell’enzima timidilato sintasi. Questo enzima riduce l’dUMP a dUTP utilizzando N5 -N10 metilentetraidrofolato, che a sua volta si ossida a diidrofolato. Quindi la SHMT, insieme alla diidrofolato reduttasi ed alla timidilato sintasi costituisce quello che viene definito il ciclo del timidilato, pathway metabolico che controlla l’apporto di timina e di derivati timinici per la cellula. (Figura 20)
  • 26. 24 FIGURA 20. Ciclo del timidilato Biosintesi delle porfirine Negli ultimi anni è risultata sempre più evidente l’importanza della produzione di glicina nel mitocondrio. Nella matrice mitocondriale infatti essa viene condensata con il succinil-coA dalla δ- amminolevulinato sintasi a formare 5-amminolevulinato. Questo composto è il precursore universale delle diverse forme di eme contenute nelle emoproteine, nei citocromi e nei complessi che attuano il processo di fosforilazione ossidativa. In conclusione si può affermare che l’SHMT gioca un ruolo fondamentale in molti importanti processi cellulari compresa la respirazione cellulare. Importante è però notare che le due isoforme, citosolica e mitocondriale, di questo enzima possono contribuire in maniera diversa a questi metabolismi cellulari. La cSHMT assume un ruolo più importante come fonte delle unità monocarboniose usate nella biosintesi delle purine e del timidilato, mentre la principale funzione della mSHMT sembra essere legata alla sintesi della glicina. (di Salvo et al. 2013) Dato che il tetraidrofolato e i suoi derivati non possono attraversare la membrana mitocondriale, la comunicazione tra il metabolismo delle unità monocarboniose mitocondriale e citosolico è mediato dal flusso di serina, glicina e formiato tra questi due compartimenti.
  • 27. 25 1.7 La serina idrossimetiltrasferasi nel cancro In contrasto con le cellule normalmente differenziate, le cellule cancerose sono caratterizzate da un alto tasso proliferativo. La loro crescita incontrollata è il risultato dell’acquisizione di alcune caratteristiche fondamentali, che più comunemente vengono definite “hallmarks of cancer”. L’accumulo progressivo di mutazioni rende queste cellule capaci di evadere la senescenza, l'apoptosi e di poter avanzare nel ciclo cellulare anche in assenza dei fattori di crescita. Una delle caratteristiche più importanti che le cellule della massa tumorale acquisiscono, è la capacità di riorganizzare il proprio metabolismo, allo scopo di ottenere una più veloce ed efficiente produzione di energia metabolica e di biomassa. Già nel 1926 Otto Warburg aveva dimostrato che nelle cellule cancerose e nei tessuti ad alto tasso proliferativo, vi è un aumento del metabolismo glicolitico e del ciclo dei pentosi fosfati. L’incremento del flusso di queste vie si accompagna poi alla produzione di grandi quantità di lattato, anche in presenza di alta tensione di O2 e di una regolare respirazione mitocondriale. (Warburg O et al. 1927; Koppenol WH et al. 2011 ) A questo fenomeno venne assegnato poi il nome di effetto Warburg. L’effetto Warburg può essere indotto ed incrementato dallo stato di ipossia che si crea nella massa tumorale. Esso è causato principalmente dall’attivazione di oncogeni che direttamente, o indirettamente attraverso il controllo trascrizionale, interferiscono con l’attività degli enzimi delle vie metaboliche principali. In parte questo fenomeno è dovuto alla mutazione degli enzimi che le caratterizzano. In molti tumori si è osservato che il flusso della via glicolitica viene incrementato dalla sovraespressione del trasportatore per l’up-take del glucosio (GLUT1) e dall’aumento dell’espressione degli enzimi a monte della via come: l’esochinasi 2 (HK2) e la fosfofruttochinasi (PFK). D’altra parte le cellule aumentano l’espressione di una specifica isoforma della piruvato chinasi (PK); la piruvato chinasi del muscolo M2 (PKM2). L’inefficienza catalitica di questo enzima rallenta il flusso della via, portando all’accumulo degli intermedi della glicolisi. (Heesun Cheong et al. 2012) Si osserva anche l’aumento dell’espressione e dell’attività della lattato deidrogenasi (LDH) e della piruvato deidrogenasi chinasi (PDK1). Quest’ultimo enzima è responsabile della fosforilazione ed inibizione di una delle subunità della piruvato deidrogenasi. Impedisce quindi che il piruvato venga convertito in acetil-CoA e trasportato nel mitocondrio, facendo in modo che rimanga nel citoplasma, divenendo il substrato della lattato deidrogenasi.(Miran Jang et al 2013 ; Heesun Cheong et al. 2012) (Figura 21)
  • 28. 26 FIGURA 21. Effetto Warburg ed enzimi della glicolisi de-regolati nelle cellule tumorali. La resa di ATP che si ottiene dalla fermentazione lattica è però nettamente inferiore a quella che si ottiene con la respirazione, motivo per il quale le cellule tumorali richiedono un sostanzioso up- take di glucosio e glutammina. Hanno inoltre un tasso glicolitico di circa 200 volte maggiore rispetto alle cellule normali. La scelta di utilizzare un metabolismo che ha una così bassa efficienza di produzione di ATP è dovuta alla possibilità, per queste cellule, di sfruttare l’incremento della produzione degli intermedi della via glicolitica, per incanalarli verso le vie di sintesi della biomassa. Ad esempio il 3-fosfoglicerato, che si accumula nel citoplasma, è il precursore della via biosintetica della L-serina e della glicina e la 3-fosfoglicerato deidrogenasi (3PDG) è proprio uno degli enzimi di questa via che vengono sovraespressi in un significativo numero di tumori umani (Locasale et al., 2011; Possemato et al, 2011). La SHMT, nelle cellule altamente proliferanti, ha il ruolo fondamentale di convertire la serina proveniente dal glucosio in glicina, rifornendo così di unità monocarboniosa le vie biosintetiche delle purine, del timidi lato, della metionina e delle porfirine. In una varietà di tumori solidi e nelle cellule della leucemia umana è stata riscontrata l’iperattività della SHMT, associata all’incremento della richiesta di sintesi di DNA di queste cellule. (Thorndike J et al., 1979; Snell K. et al., 1988)
  • 29. 27 Più recentemente è stato anche dimostrato che entrambe le isoforme della SHMT sono target trascrizionali dall’oncogene c-Myc e che alcune varianti geniche dell’isoforma citosolica sono associate con l’incremento del rischio di cancro ai polmoni. (Nikiforov MA et al., 2002; Wang L et al., 2007) Anche la sovraespressione della SHMT2 in cellule NIH-3T3 sembra essere in grado di indurre tumori in vivo. (Zhang WC et al., 2012) Marcature con isotopi radioattivi hanno rivelato che, in cellule tumorali in rapida proliferazione, la gran parte della glicina consumata è in effetti incorporata nei nucleotidi purinici. Ciò avviene in misura molto minore in cellule lentamente proliferanti. L’aumento del consumo di glicina correlato a un alto tasso di proliferazione è stato osservato in oltre 60 linee cellulari trasformate ed è ancora più pronunciato in specifici tumori, come quello ovarico, del colon e cellule di melanoma, quindi il consumo di glicina sembra essere una caratteristica specifica di cellule trasformate in rapida proliferazione. (Mohit et al., 2012) La sintesi intracellulare di glicina è compartimentalizzata tra citoplasma e mitocondrio e regolata proprio dalle due isoforme della serina idrossimetiltransferasi. Inoltre, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la reazione catalizzata dalla SHMT fornisce anche supporto al metabolismo delle unità monocarboniose, al ciclo del timidilato per la produzione di timidilato ed alla sintesi di porfirine per il metabolismo energetico. (Figura 22) FIGURA 22. Schema riassuntivo dei metabolismi interessati dall’attività della SHMT nelle cellule tumorali.
  • 30. 28 I più diffusi antimetaboliti utilizzati come agenti anticancro agiscono proprio a livello di queste vie metaboliche. Farmaci che causano l’inibizione della timidilato sintasi (TS) e della diidrofolato reduttasi (DHFR) sono i più antichi agenti chemioterapici in medicina oncologica ed ancora i più largamente utilizzati; metotrexato e 5-fluorouracile.(Matthew G. et al., 2011) Se si vuole sviluppare un farmaco che stimola o inibisce una via metabolica, il bersaglio più logico è l’enzima che ha il maggior impatto sul flusso della via. La posizione critica occupata dalla SHMT, nel punto di convergenza delle due vie metaboliche chiave per l’intervento chemioterapico (metabolismo di serina e glicina e biosintesi dei nucleotidi) e la disponibilità di una grande quantità d’informazioni strutturali, fanno di questo enzima un attraente bersaglio per terapie antitumorali. Scegliere la SHMT come possibile bersaglio di agenti chemioterapici avrebbe il duplice vantaggio di diminuire il flusso della serina dai precursori glicolitici, smorzando così l’effetto Warburg e di inibire la sintesi del DNA, agendo simultaneamente sia sulla sintesi delle pirimidine che delle purine. (Figura 23) FIGURA 23. Chemioterapici attualmente in uso e metabolismo dei folati (5-fluorouracile e metotrexato)
  • 31. 29 2. SCOPO DEL LAVORO DI TESI Nel 2012 uno studio di Jain et al. ha contribuito a far luce sul ruolo della glicina e delle isoforme della SHMT nella proliferazione delle cellule tumorali. I ricercatori hanno esaminato l’espressione genica di 1452 enzimi metabolici in 60 linee cellulari tumorali umane e misurato i profili del consumo e del rilascio di un gran numero di metaboliti. Dall’analisi metabolomica è risultato che la glicina, a differenza di altri metaboliti, mostra un profilo di consumo e rilascio diverso in cellule altamente proliferanti e scarsamente proliferanti. La domanda di glicina nelle cellule cancerose eccede la capacità di sintesi endogena. Inoltre esperimenti condotti con la glicina marcata (C3 -Gly) hanno dimostrato che quella consumata nelle cellule altamente proliferanti viene incorporata principalmente nei nucleotidi purinici, mentre questa incorporazione avviene poco nelle cellule non tumorali. In correlazione a questo dato l’analisi dei profili di espressione genica ha rilevato che le cellule altamente proliferanti sovraesprimono gli enzimi della biosintesi della glicina e soprattutto quelli del pathway mitocondriale di sintesi del metabolita, come il gene SHMT2. Ulteriori esperimenti hanno poi dimostrato che il gene codificante l’isoforma mitocondriale della serina idrossimetiltrasferasi è spesso sovraespresso, anche quando l’espressione del gene SHMT1, che codifica per l’isoforma citosolica dell’enzima, risulta normale. Il silenziamento del gene SHMT2 in queste cellule porta all’arresto della veloce proliferazione, salvo che non venga fornita glicina esogena. Al contrario, il suo silenziamento in cellule non tumorali non ne rallenta la divisione. (Jain M et al., 2012) Questi importanti risultati, insieme a molti altri ottenuti negli ultimi anni, supportano l’odierna ipotesi che la biosintesi di glicina a livello mitocondriale sia fondamentale per sostenere la proliferazione delle cellule tumorali. Così come risulta sempre più evidente che sia l’isoforma mitocondriale della SHMT, più della citosolica, a dare il maggior contributo a tale processo. La ragione della presenza di due isoenzimi della SHMT negli eucarioti e la possibilità che questi abbiano funzioni diverse nel metabolismo cellulare, è un argomento ancora da esplorare. La diversa localizzazione delle due isoforme nella cellula è sicuramente indice di una differente funzione e ciascuna potrebbe offrire un contributo diverso al metabolismo. La SHMT1 sembra giocare un ruolo cruciale nella biosintesi timidilato, come parte di un complesso multienzimatico ancorato alla lamina nucleare, la cui attività è fondamentale per mantenere l'integrità del DNA. La SHMT2 è coinvolta invece nella biosintesi del timidilato nei mitocondri. Tuttavia la funzione principale dell’isoforma mitocondriale potrebbe essere quella di generare unità monocarboniose dalla serina, che vengono poi esportate come formiato nel citosol e danno supporto al metabolismo del carbonio. O ancora potrebbe avere un ruolo cruciale nella
  • 32. 30 produzione di glicina all'interno dei mitocondri, necessaria per la biosintesi dell'eme e quindi per il metabolismo energetico della cellula. (Martino L. di Salvo et al. 2013) Tuttavia oggi ancora non si hanno molte informazioni sulle differenze sostanziali tra le due isoforme ne si conoscono in dettaglio le proprietà catalitiche o la regolazione di ciascun isoenzima. Non ultima è la questione riguardante il ruolo della struttura tetramerica, che si riscontra nelle isoforme eucariotiche ma non nei procarioti, dove la SHMT è cataliticamente attiva come dimero. Il lavoro di tesi è stato svolto nell’ambito di un progetto più vasto, che vede come obiettivo ultimo l’identificazione di nuovi possibili agenti chemioterapici diretti contro la SHMT umana. Lo scopo del lavoro di tesi qui riportato è stato quindi quello di eseguire una caratterizzazione strutturale e conformazionale delle isoforme citosolica e mitocondriale della SHMT umana con il fine ultimo di evidenziare le differenze tra i due isoenzimi.
  • 33. 31 3. MATERIALI E METODI 3.1 Cellule batteriche e vettori plasmidici Le isoforme SHMT1 e SHMT2 umane sono state espresse come ricombinanti in cellule competenti per shock termico E. coli BL21(DE3). Genotipo: E. coli B F– dcm ompT hsdS(rB– mB–) gal λ(DE3). Efficienza i trasformazione superiore a 8*107 cfu/µg di DNA. Questo ceppo batterico è stato ingegnerizzato per ottenere alti livelli di espressione della proteina ricombinante ed avere una facile induzione nei sistemi basati sull'impiego della RNA polimerasi del fago T7. Non presentano alcuna resistenza agli antibiotici se non quella portata dal plasmide con cui vengono trasformate. La sigla (DE3) indica che l’ospite è un lisogeno del profago λ (DE3), in altre parole nel loro genoma è stata integrata una sequenza (indicata con DE3) che contiene il gene della RNA polimerasi T7 sotto controllo del promotore lacUV. L’espressione della polimerasi è pertanto repressa costitutivamente dal prodotto del gene lac I che è presente sia nelle cellule BL21 stesse che nel vettore di espressione con cui vengono trasformate, ma può essere indotta aggiungendo l’isopropil- -D-tiogalattosie (IPTG) al mezzo di coltura. Inoltre il ceppo manca di due proteasi (lon e ompT) e questo riduce la possibilità di degradazione delle proteine espresse come ricombinanti. Le cellule E. coli BL21 (DE3) sono state trasformate con il vettore di espressione pET22b(+) nel quale è stato clonato il gene della SHMT umana e presenta i geni per la resistenza all’ampicillina. Il vettore pET22 è un derivato di pBR322, dispone di una sequenza segnale N-terminale pelB per una potenziale localizzazione periplasmatica e di una sequenza His-Tag al C-terminale. L’espressione dei geni clonati in questo vettore è posta sotto il controllo di un promotore trascrizionale forte (promotore T7) e un terminatore (T7) posti, rispettivamente, all’inizio e alla fine ella regione in cui è stato clonato il gene di interesse. A monte del sito di poli-clonaggio sono localizzati i segnali canonici necessari per l’espressione del trascritto. (Figura 24 )
  • 34. 32 FIGURA 24. Il vettore pET-22b(+). I siti unici di restrizioni sono mostrati sulla mappa circolare. La sequenza è numerata secondo la convezione di pBR322, quindi la regione di espressione T7 è inversa rispetto la mappa circolare
  • 35. 33 In questo vettore di espressione, il promotore della T7 RNA polimerasi, a monte del gene bersaglio, è seguito dall’operatore lac e in questo modo, in assenza di IPTG, il repressore lac agisce tanto sul promotore lacUV5 della T7 RNA polimerasi quanto sul promotore T7 del gene di interesse. Con l’aggiunta di IPTG al mezzo di coltura si ha l’espressione della T7 RNA polimerasi che permette la trascrizione del gene clonato nel plasmide. (Figura 25) FIGURA 25. Elementi di controllo del sistema pET.
  • 36. 34 3.2 Protocollo di purificazione delle isoforme SHMT1 e SHMT2 La purificazione di una proteina costituisce il primo passaggio nello studio delle sue proprietà e consiste nell’isolare selettivamente la molecola proteica di interesse da un estratto cellulare o comunque da una miscela eterogenea contenente altre proteine, o anche acidi nucleici, polisaccaridi, lipidi e molecole più piccole. La purificazione sfrutta le differenze di proprietà chimico-fisiche tra la molecola che si cerca di purificare e le altre presenti nella miscela; ad esempio la dimensione e la forma o il contenuto in aminoacidi acidi o basici. La quantità di proteina che occorre recuperare influenza la scelta del metodo di purificazione ed anche il tipo di studio che si vuole eseguire detta i limiti di purezza che è necessario raggiungere: per lo studio della struttura di una proteina si richiede un grado di purezza di molto maggiore di quello richiesto per gli studi cinetici. Il protocollo di purificazione eseguito è stato lo stesso per entrambe le isoforme della SHMT umana fatta eccezione per la composizione della soluzione tampone nella quale sono state conservate. L’isoforma mitocondriale ha richiesto un contributo maggiore di sali e glicerolo per essere stabile. Pre-inoculo Le cellule BL21(DE3)-pET22b(+)-hSHMT da stock in glicerolo a -80°C sono state inoculate in 50 ml LB di composizione:  Triptone 10 g/l  Estratto di lievito: 5 g/l  NaCl: 5 g/l Aggiunti 50 μl di ampicillina (100 mg/ml) e lasciate crescere a 37 °C o/n. Inoculo e crescita della coltura batterica pura in beuta Sono stati inoculati 40 ml della coltura ottenuta precedentemente in 4 l di LB di stessa composizione divisi in 8 beute da 500 ml ciascuna ed aggiunti 500 μl di ampicillina (100 mg/ml) per ciascuna beuta, la crescita è stata effettuata a 37°C in agitazione per circa 4 ore.
  • 37. 35 Induzione Quando l’OD600 della coltura ha raggiunto un valore compreso tra 0,6-0,8 sono stati aggiunti 500 µl dell’induttore IPTG (0,2 M) per ciascuna beuta e lasciata la coltura a crescere in agitazione a 37 °C o/n. Centrifugazione e sonicazione La coltura è stata centrifugata per 20 minuti a 6000 rpm in ultracentrifuga alla temperatura di 4°C per precipitare le cellule e concentrarle. Il pellet cellulare è stato risospeso in tampone KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l. Alla soluzione è stato aggiunto PLP ed il cocktail di inibitori delle proteasi. La soluzione cellulare è stata sonicata in ghiaccio per 3 minuti, pulse 10 on e 10 off, AMPL 70%. Il lisato è stato infine centrifugato per separare l’estratto proteico dal pellet di membrane ed organelli cellulari. Precipitazione frazionata Per separare la SHMT dalla maggior parte delle altre proteine di E. coli è stata utilizzata la tecnica della precipitazione frazionata. Tale tecnica permette la separazione delle macromolecole sul principio che le proteine sono meno solubili ad alte concentrazioni di sale. La concentrazione salina che permette la precipitazione della specie voluta varia da proteina a proteina, poiché esse hanno composizioni amminoacidiche differenti. Quando la concentrazione salina aumenta, alcune molecole di acqua sono attratte dagli ioni del sale, diminuisce quindi il numero di molecole d’acqua che interagisce con la proteina e di conseguenza diminuisce la sua solubilità. Le interazioni proteina-proteina diventano più forti di quelle soluto-solvente, le molecole proteiche formano interazioni idrofobiche tra loro e la proteina precipita (salting out). E’ possibile separare proteine che precipitano a diverse concentrazioni saline. Per il frazionamento è stato utilizzato il solfato d’ammonio ( (NH3)2SO4 ), la concentrazione di solfato d’ammonio viene espressa come percentuale di saturazione. Per l’isolamento di entrambe le isoforme della hSHMT è stato effettuato un primo frazionamento con (NH3)2SO4 al 25% ed è stato centrifugato il tutto a 12000 rpm per 30 min a 4°C. La nostra proteina non precipita e possiamo quindi rimuovere la prima frazione di proteine precipitata che non ci interessa. Dopo aver aggiunto un pizzico di PLP per stabilizzare l’enzima, è stata effettuata una seconda precipitazione con (NH3)2SO4 al 60%, percentuale alla quale precipita l’SHMT, con
  • 38. 36 successiva centrifugazione. Questa volta è stato recuperato il pellet proteico e risospeso in tampone KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l. Dialisi Per eliminare il sale dalla soluzione dopo il frazionamento con (NH3)2SO4 è stata effettuata una dialisi. La dialisi è una tecnica che permette di separare le molecole in soluzione attraverso una membrana semipermeabile. La soluzione viene inserita in un sacchetto da dialisi, in genere una membrana di nitrocellulosa, con pori di grandezza specifica in base alla proteina che stiamo purificando. Il sacchetto viene messo nel cosiddetto tampone di dialisi. Molecole abbastanza piccole da riuscire a passare tra i pori della membrana (acqua, sali) tendono a muoversi dentro o fuori del sacchetto, secondo il loro gradiente di concentrazione. Molecole più grandi (DNA, proteine, polisaccaridi), aventi dimensioni significativamente superiori alle dimensioni dei pori, si mantengono all’interno del sacchetto di dialisi. La soluzione è stata dializzata in 1,5 L di tampone KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β- mercaptoetanolo 350 µl/l a 4 °C per tutta la notte. Il giorno seguente è stato cambiato il tampone di dialisi: 1 L di KPi 20 mM, pH 6.8, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l a temperatura ambiente. Il cambio dialisi è importante per abbassare il pH del campione e permettere alla nostra proteina di acquisire una carica netta positiva che le permetterà di legarsi alla colonna cromatografica nella fase successiva della purificazione. Dopo la dialisi, generalmente si centrifuga il campione per 20 min a 12000 rpm a 4°C, per eliminare eventuale precipitato proteico. Cromatografia su colonna a scambio ionico CM-Sephadex Per proseguire nella purificazione della SHMT è stata eseguita una cromatografia a scambio ionico su colonna. La cromatografia a scambio ionico, che viene di solito eseguita su colonna, sfrutta le interazioni elettrostatiche tra molecole con carica opposta presenti nella fase mobile e nella fase stazionaria. E’ possibile distinguere una cromatografia a scambio anionico, in cui la fase stazionaria ha carica positiva e lo ione scambiabile è l’anione, e una cromatografia a scambio cationico, in cui la fase stazionaria ha carica negativa e lo ione scambiabile è un catione. Le proteine si legano a scambiatori anionici/cationici a seconda della loro carica netta. La forze del legame dipende dalle caratteristiche strutturali delle proteine, dal pH e dalla forza ionica. Ne consegue che è possibile modulare il legame della proteina alla fase stazionaria variando pH e forza ionica.
  • 39. 37 La CM-Sephadex da noi utilizzata è stata acquistata dalla Sigma-Aldrich, è costituita da gruppi funzionali acidi, carbossimetilici, legati al Sephadex, una matrice di destrano (polimero del glucosio) avente cross-link con epicloridrina. Lo ione che viene scambiato è il Na+. FIGURA 26. Struttura della resina CM-Sephadex in cui è visibile il gruppo carbossimetilico e a destra il principio di funzionamento: le proteine cariche positivamente (sfere blu) vengono legate dalla matrice carica negativamente, le proteine cariche negativamente (sfere rosa) passano attraverso la colonna. Attiva ad un range tra 6 e 10, la CM-Sephadex è uno scambiatore cationico debole. La resina è stata sospesa in un adeguato volume del seguente tampone, con il quale è stata poi equilibrata la colonna a temperatura ambiente: 150 mL di KPi 20 mM pH 6,8 + 0,5 mM EDTA + 10 mM β-mercaptoetanolo. Una volta pronta ed equilibrata la colonna è stato caricato il campione proteico, dializzato e centrifugato, che è in grado di legarsi reversibilmente alla matrice scalzando gli ioni. Le molecole non legate sono state eluite dalla colonna usando il tampone di equilibratura (circa 100 mL). A questo punto la proteina legata alla resina è stata eluita grazie ad un gradiente lineare di pH e forza ionica fornito da un gradientatore che mescola due tamponi: A) 150 mL KPi 20 mM pH 6,8 , EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l B) 150 mL KPi 250 mM pH 7,2 , EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l. L’eluato è stato raccolto in frazioni di 10 ml circa ed è stata letta la loro assorbanza allo spettrofotometro a 280 nm e 420 nm per identificare le frazioni contenenti la proteina. Le frazioni contenenti la proteina sono state riunite. Il campione proteico è stato precipitato con (NH3)2SO4 al 60%, e centrifugato per concentrarlo. Infine il campione è stato dializzato o/n a 4°C in tampone KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l per l’isoforma citosolica e KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 50 mMNaCl,l 50 mM KCl, 5% glicerolo per l’isoforma mitocondriale.
  • 40. 38 Cromatografia su colonna a scambio idrofobico ɸ-Sephadex Per raggiungere un grado di purificazione ottimale della proteina e renderla adatta ad analisi strutturali il campione è stato caricato su una colonna cromatografica a scambio idrofobico ɸ- Sephadex ed ulteriormente purificato. La matrice della colonna cromatografica espone gruppi idrofobici che avranno affinità per le regioni idrofobiche della proteina. Per permettere alla SHMT di aderire alla matrice è stato aggiunto al campione (NH3)2SO4 al 20% che rende le regioni idrofobiche della proteina più esposte. Anche la colonna è stata equilibrata con tampone contenente la stessa percentuale di (NH3)2SO4 : KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 20% (NH3)2SO4. Il campione è stato quindi caricato sulla colonna e la colonna lavata per eluire tutto ciò che non aderisce. La proteina è stata poi eluita con una soluzione gradiente composta da i tamponi: A) KPi 20 mM pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 20% (NH3)2SO4 B) KPi 20 mM pH 7,2 EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l L’eluato è stato raccolto in frazioni di 10 ml circa ed è stata letta la loro assorbanza allo spettrofotometro a 280 nm e 420 nm per identificare le frazioni contenenti la proteina. Le frazioni contenenti la proteina sono state riunite. Il campione proteico è stato precipitato con (NH3)2SO4 al 60%, e centrifugato per concentrarlo. Infine il campione è stato dializzato o/n a 4°C in tampone KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l per l’isoforma citosolica e KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, β-mercaptoetanolo 350 µl/l, 50 mMNaCl,l 50 mM KCl, 5% glicerolo per l’isoforma mitocondriale. I campioni proteici sono stati infine conservati a -20°C o in ghiaccio secondo le esigenze sperimentali. 3.3 Protocollo di purificazione della forma apo-enzimatica della SHMT umana. Per ottenere la forma apo-enzimatica di entrambe le isoforme della SHMT umana, ovvero staccare il cofattore PLP dalla tasca enzimatica, è stata utilizzata la L-cisteina. La cisteina è infatti in grado di legarsi al PLP e formare con esso un complesso tiazolidinico, che perde affinità con la tasca dell’enzima e viene rilasciato in soluzione.
  • 41. 39 Aggiunta di cisteina 100mM al campione: Al campione proteico di SHMT purificato è stata aggiunta una concentrazione finale di cisteina 100mM. Il campione perde il suo colore giallo tipico dell’emissione del PLP perché esso si lega alla cisteina formando il complesso tiazolidinico che non emette più nel giallo. Colonna cromatografica con resina a scambio idrofobico ϕ-Sefadex: Per permettere alla SHMT di aderire alla matrice della colonna cromatografica è stato aggiunto al campione (NH3)2SO4 al 35% che rende le regioni idrofobiche della proteina più esposte. Anche la colonna cromatografica è stata equilibrata con un tampone contenente (NH3)2SO4 al 35% per rendere la resina idrofobica in grado di legare l’Apo-enzima. Il campione è stato caricato sulla colonna e la resina lavata con tampone contenente (NH3)2SO4 al 35% e cisteina 100mM per eliminare i contaminanti che non aderiscono alla resina, il complesso tiazolidinico ed eventuale PLP ancora rimasto nel campione. È stato poi effettuato un secondo lavaggio con tampone contenente (NH3)2SO4 al 35% ma privo di cisteina per eliminarla dalla colonna ed avere solo la proteina di interesse da eluire. Durante ciascun lavaggio l’eluato è stato raccolto in frazioni da circa 10 ml e le frazioni lette allo spettrofotometro a 280 nm e 330 nm (complesso tiazolidinico) per verificare che la proteina di interesse rimanesse attaccata alla colonna e tutta la cisteina ed il complesso tiazolidinico fossero usciti dalla colonna. La proteina è stata eluita dalla colonna con un primo tampone di eluizione contenente il 10% di propilen-glicol (PG) e con un secondo tampone di eluizione al 30% (PG). La composizione dei tamponi utilizzati per ciascuna isoforma è stata: KPi 20 mM, pH 7.2, EDTA 400 µl/l, DTT 1 mM per l’isoforma citosolica e KPi 20 mM, pH 7.8, EDTA 400 µl/l, DTT 1mM, 50 mMNaCl,l 50 mM KCl, 5% glicerolo per l’isoforma mitocondriale. Il pH per l’apo-enzima mitocondriale è stato leggermente alzato. Le frazioni della proteina in uscita sono state riunite. Concentrazione con i filtri: Il campione di apo-enzima risultante dalle frazioni riunite è stato concentrato con l’utilizzo di filtri da 30.000 Da e la centrifuga a 7000 rpm. Dialisi o/n: Il campione concentrato è stato dializzato per eliminare il PG.
  • 42. 40 3.4 Spettrofotometria La spettrofotometria si occupa dello studio degli spettri elettromagnetici della luce visibile, dell’ultravioletto e del vicino infrarosso, è una tecnica d’indagine estremamente diffusa in ambito biologico, utilizzata sia per analisi quantitative sia qualitative. Lo studio degli spettri di assorbimento si basa sulla presenza in alcune molecole di cromofori. Un cromoforo è un raggruppamento chimico insaturo, che presenta molti elettroni delocalizzati o doppi legami coniugati, responsabile di un assorbimento situato nella regione delle lunghezze d'onda comprese tra 180 e 1000 nm. Le proteine, ad esempio, contengono residui amminoacidici aromatici (caratterizzati da delocalizzazione elettronica) quali, il triptofano, la tirosina e la fenilalanina che presentano un massimo di assorbimento a una lunghezza d’onda pari a 280 nm e sono responsabili del tipico spettro di assorbimento delle proteine. Lo strumento da noi utilizzato è stato uno spettrofotometro a serie di diodi Hewlett-Packard 8452. Nel nostro lavoro lo studio degli spettri di assorbimento è stato utilizzato per la determinazione delle concentrazioni proteiche, per la misurazione dei parametri cinetici e per i saggi di attività enzimatica. Per la determinazione della concentrazione proteica si fa uso della legge di Lambert- Beer che mette in relazione l’assorbimento della luce da parte di una sostanza assorbente con la sua concentrazione. L’assorbimento della radiazione luminosa viene indicato come assorbanza (A), essa altro non è che l’inverso della trasmittanza T = I/I0 , dove I0 è l’intensità della radiazione incidente e I è l’intensità della radiazione trasmessa. Tenendo conto di ciò, si può ricavare la legge di Lambert-Beer, che è la seguente: Dove ε è il coefficiente di estinzione molare (tipico della sostanza, rappresenta l’assorbimento di quella sostanza a concentrazione unitaria), c è la concentrazione molare della soluzione che assorbe la luce e l è il cammino ottico della radiazione nella soluzione (spessore), solitamente 1 cm per le cuvette standard. Lo spettro di assorbimento della forma olo-enzimatica della serina idrossimetiltrasferasi è caratterizzato da due picchi. Il primo corrisponde a 280 nm, spettro di assorbimento tipico delle proteine, mentre il secondo picco, a 420 nm corrisponde allo spettro di assorbimento del PLP legato alla tasca dell’enzima (aldimmina interna). Lo spettro di assorbimento della forma apo- enzimatica perde il picco a 420 nm. (Figura 27)
  • 43. 41 FIGURA 27. Spettro di assorbimento dei raggi UV della serina idrossimetiltrasferasi. 3.5 Caratterizzazione cinetica e saggi di attività enzimatica Il termine cinetica enzimatica implica uno studio della velocità di una reazione catalizzata da enzimi e dei vari fattori che possono influenzarla. La cinetica enzimatica si occupa in modo particolare degli aspetti cinetici del legame enzima- substrato e della conseguente generazione di un prodotto. I dati di velocità utilizzati nelle analisi cinetiche sono ottenuti da saggi enzimatici. La caratterizzazione cinetica completa di un enzima prevede la misurazione di alcuni parametri che sono correlati tra loro e descritti dall’equazione di Michaelis-Menten: Tale equazione descrive la velocità di una reazione a singolo substrato catalizzata da una enzima e mette in relazione la velocità di formazione del prodotto con la concentrazione del substrato . Per la caratterizzazione cinetica di un enzima vengono quindi determinati i seguenti parametri cinetici: a) Calcolo della Km, o costante di Michaelis-Menten, dell’enzima per ciascun substrato. Questa costante fornisce la misura della concentrazione di substrato necessaria affinché la reazione abbia velocità pari a metà della velocità massima.
  • 44. 42 b) Calcolo della Vmax della reazione ( media delle Vmax per ciascun substrato) c) Calcolo della Kcat (o numero di turnover) dell’enzima per ciascun substrato. Questo parametro indica il numero di molecole di substrato convertite per secondo da una singola molecola di enzima quando è saturata con il substrato. d) Calcolo della Kd dell’enzima per ciascun substrato. L'efficienza dell'enzima può essere espressa come rapporto tra kcat e Km. Tale rapporto è anche definito costante di specificità. Dal momento che tale costante incorpora sia l'affinità che l'abilità catalitica, spesso si utilizza per confrontare l'efficienza di diversi enzimi o quella di un unico enzima con differenti substrati. Tutti gli studi cinetici e i saggi enzimatici sono stati eseguiti su uno spettrofotometro a serie di diodi Hewlett-Packard 8452. Saggio enzimatico accoppiato Per la determinazione dei parametri cinetici αKm (Km apparente), Kcat e Vmax delle isoforme della SHMT è stato utilizzato un saggio enzimatico accoppiato. Per poter visualizzare e calcolare l’attività delle isoforme, in presenza di diverse concentrazioni di ciascuno dei substrati, è stata utilizzata la reazione accoppiata dell’enzima metilen-tetraidrofolato deidrogenasi (Mtd). L’enzima Mtd è codificato dal gene FolD e utilizza come substrato il prodotto della reazione della SHMT. Converte infatti il N5-N10-metilen-THF in N5-N10-metenil-THF, riducendo contemporaneamente il NADP+ a NADPH. (Figura 28) SHMT: L-serina + THF Glicina + 5,10-CH2-THF + H2O Mtd: N-5,10-CH2 -THF + NADP+ = N-5,10-CH -THF+ + NADPH FIGURA 28. Reazione accoppiata della SHMT con la reazione della Mtd + NADP+ + NADPH
  • 45. 43 La riduzione del NADP+ può essere rilevata e misurata seguendo la variazione di assorbanza a ΔA340 nm relativa allo spettro di assorbimento del NADPH. Le reazioni della SHMT e della Mtd sono in rapporto stechiometrico 1:1 e la velocità di reazione della Mtd è molto più alta. La velocità di reazione che si rileva corrisponde quindi a quella della reazione più lenta. Questo rende il saggio accoppiato valido per misurare i parametri cinetici della SHMT. I saggi enzimatici sono stati eseguiti, ad una temperatura costante di 30°C, in cuvetta termostatica di 1 cm, in tampone potassio fosfato KPi 20 Mm pH 7.2, DTT 0.2 mM, EDTA 400 µl/l per entrambi gli isoenzimi ed il THF è stato addizionato sempre per ultimo in cuvetta al fine di evitare la sua ossidazione. E’ stata misurata la ΔA340 nm della soluzione enzimatica nei primi secondi della reazione (V iniziale), in presenza di concentrazioni crescenti di L-Ser (da 10 a 0,039 mM) o THF (da 200 a 3,125 µM) per entrambe le isoforme. Le specie reagenti sono state addizionate nella cuvetta secondo il seguente protocollo. A) αKm, Kcat e Vmax per il THF: concentrazioni finali in cuvetta hSHMT 0.1 µM, L-Ser 30 mM, Mtd 0,6 µM, NADP+ 250 µM, THF da 200 µM a 1.125 µM. Vf= 600 µl tampone hSHMT (5 µM) L-Ser (1 M) Mtd (350 µM) X µl 12 µl 18 µl 1 µl NADP+ (10 mM) 15 µl THF ( 15 mM e diluizioni) X µl * *Per il THF sono state preparate delle soluzioni tampone in cui diluirlo al momento dell’uso per ottenere le concentrazioni finali volute. B) αKm, Kcat e Vmax per la L-Ser: concentrazioni finali in cuvetta hSHMT 0.1 µM, L-Ser da 10 mM a 39.06 µM, Mtd 0.6 µM, NADP+ 250 µM, THF 50 µM. Vf= 600 µl tampone hSHMT (5 µM) L-Ser (20 mM) Mtd (350 µM) X µl 12 µl X µl 1 µl NADP+ (10 mM) 15 µl THF ( 15 mM) 2 µl
  • 46. 44 I saggi sono stati ripetuti tre volte e l’analisi dei dati cinetici, le procedure di “curve fitting” e le analisi statistiche sono state eseguite usando i software Microsoft Exel e GraphPad Prism. Quest’ultimo programma per il fitting delle curve utilizza il metodo dei minimi quadrati: vengono calcolati i parametri dell’equazione data in modo tale che la somma dei quadrati dei residui, che rappresentano la differenza tra valori sperimentali e teorici, sia al minimo. Per il “curve fitting” dei dati ottenuti dal saggio a concentrazioni crescenti di THF è stata così modificata l’equazione di Michaelis-Menten, al fine di tenere conto dell’inibizione da substrato che si osserva a concentrazioni superiori di 50 µM: y = Vmax x [X]/ Km+ [X] x ( 1+ [X]/ki) (dove la X corrisponde al substrato)
  • 47. 45 3.6 Fluorimetria e saggio fluorimetrico per la determinazione della Kd per il PLP La fluorescenza è un fenomeno di ri-emissione di luce da parte di composti che, dopo essere stati irradiati con raggi UV sono passati ad uno stato eccitato e poi tornano molto velocemente ad un livello energetico inferiore. Molte molecole organiche assorbono nel visibile e nell' UV ma solo poche di esse sono fluorescenti. Alcune molecole di interesse biologico, se eccitate, possiedono la capacità di riemettere fluorescenza come ad esempio gli amminoacidi aromatici Trp, Tyr e Phe nelle proteine. La fluorimetria è una tecnica spettrofotometrica di analisi basata sull’irradiamento di un campione con radiazione di piccola lunghezza d’onda (ultravioletto) e sulla misura qualitativa e quantitativa della radiazione emessa dal campione nell’atto di cedere l’energia prima assorbita. A differenza della spettrofotometria quindi con questa tecnica si rileva la radiazione emessa piuttosto che quella assorbita. Per il nostro saggio abbiamo utilizzato uno spettrofluorimetro Perkin-Elmer LS50B e ci siamo avvalsi della fluorescenza intrinseca del legame del PLP alla proteina. I campioni di apo-enzima 100 nM sono stati incubati 20 minuti con concentrazioni differenti di PLP da 0.1 a 3 µM, alla temperatura di 20 °C in 50 mM sodio Hepes, pH 7.2 (per la SHMT1) o pH 7.8 (per la SHMT2). I campioni sono stati poi eccitati a 290 nm in una cuvetta di quarzo da 1 cm e la variazione di fluorescenza emessa a 300-450 nm è stata misurata. I dati sono stati analizzati in accordo con l’equazione: [ ] [ ] √ [ ] [ ] [ ] [ ][ ] [ ]
  • 48. 46 3.7 Cristallografia Tutti gli esperimenti di cristallografia sulla forma olo-enzimatica dell’isoforma mitocondriale della SHMT umana sono stati condotti dal dott. Giorgio Giardina del dipartimento di Scienze Biochimiche "A.R. Fanelli". I cristalli di dimensioni circa 20x20x600 µM sono stati cresciuti con il metodo della diffusione di vapore mescolando 2 µl della soluzione contenente l’olo-SHMT2 1 mg/ml (Tampone: 100 mM K/NaCl, 20 mM KPhO pH 7.2, 5 mMβ-mercaptoetanolo, 5% glicerolo) con 1 µl della soluzione: 0.1 M Bis-Tris propano pH 7.5, 5% glicerolo, 12-16% PEG 3350, 0.2 M KF. . I dati di diffrazione sono stati raccolti su BL14.1 ed analizzati con Helmholtz-Zentrum Berlin (HZB) al BESSY II electron storage ring (Berlin-Adlershof, Germany) equipaggiato con un a Pilatus 6M detector. 3.8 Elettroforesi e proteolisi limitata Elettroforesi delle proteine Questa tecnica viene utilizzata per separare le singole componenti di una miscela di proteine in base al peso molecolare ed è largamente utilizzata nel corso di purifcazioni di proteine, in genere come tecnica analitica, per determinare rapidamente la complessità della miscela di proteine ottenuta. La separazione può essere effettuata in condizioni denaturanti in presenza di un detergente anionico come il sodio dodecil solfato (SDS) che, legandosi alle proteine da separare, ne altera la struttura e conferisce loro una carica netta negativa proporzionale alla loro massa. L’SDS lega infatti le proteine con rapporto stechiometrico fisso: una molecola di SDS ogni due AA. In questo modo l’entità della migrazione delle catene polipeptidiche dipende unicamente dal loro peso molecolare. FIGURA 29. Formula di struttura dell’SDS
  • 49. 47 Per i nostri scopi è stata utilizzata, in particolare, la SDS-PAGE su gel di poliacrilamide discontinuo. Il gel è costituito da una zona superiore di “concentrazione” o stacking gel a pH 6,8 in cui l’acrilammide è al 5% (p/v) e da una zona inferiore più ampia di “separazione” o running gel a pH 8,8 in cui la concentrazione dell’acrilammide è al 12,5% (p/v). Lo Stacking gel è composto da: - Acrilamide 40% 0,46 mL - Tris-HCl 0,5 M, pH 6,8 0,93 mL - H20 2,25 mL - SDS 10% 37 µL - Persolfato di ammonio 10% (APS) 37 µL - TEMED 6,6 M (tetrametiletilendiammina) 4,5 µL Il Running gel è composto da: - Acrilamide 40% 2,34 mL - Tris-Hcl 1,5 M pH 8,8 1,87 mL - H2O 3,15 mL - SDS 10% 75 µL - Persolfato di ammonio 10% (APS) 75 µL - TEMED 6,6 M (tetrametiletilendiammina) 7,5 µL Prima del caricamento su gel, viene aggiunto al campione un iso-volume della seguente soluzione: - Tris-HCl 0,5 M, pH 6,8 1 mL - H2O 4 mL - SDS 10% 1,6 mL - Blu di bromo fenolo 0,05% (p/v) 0,2 mL - Glicerolo 0,8 mL - DDT 1 M 0,8 mL Il preparato viene mantenuto a 100 °C per 3 min e poi caricato in appositi pozzetti ricavati nella regione dello stacking gel. La successiva corsa elettroforetica viene effettuata a 200 V per circa 60 min, usando un tampone di scorrimento a pH 8,3 formato da:
  • 50. 48 - SDS 1 g/l - Tris-HCl 3 g/l - Glicina 14,4 g/l Terminata la corsa elettroforetica, il gel viene prima colorato con una soluzione di Blu di Comassie 0,25% (p/v) in acido acetico al 10% (p/v) e metanolo 50% (p/v) in acqua, successivamente si procede con la decolorazione in una soluzione di acido acetico 7% e metanolo 25% in acqua. Proteolisi limitata La proteolisi limitata è una tecnica che permette lo studio più o meno qualitativo della struttura di una proteina. Ci si avvale della capacità di alcune proteasi di tagliare in maniera specifica alcuni legami peptidici. Se un legame peptidico, della proteina in studio, si trova in una regione esposta della proteina o in una regione facilmente accessibile (loop o regioni a cerniera), la proteasi specifica per quel legame avrà maggior facilità di accesso e taglierà il legame frammentando la proteina in frammenti di specifica lunghezza. Tanto minore sarà l'accessibilità al sito tanta più proteasi o più tempo di esposizione alla proteasi dovrò avere perché il legame venga tagliato. Caricando su un gel SDS-PAGE il campione proteico esposto alla proteasi è possibile separare i frammenti ottenuti e visualizzarne la grandezza (dal confronto con uno standard molecolare). Si ottiene così uno specifico bandeggio relativo alla digestione della proteina che stiamo studiando esposta alla proteasi che abbiamo utilizzato. Il legame della proteina con un substrato può determinare un ingombro nella regione di taglio o portare a modificazioni nella struttura della proteina portando così rispettivamente ad un'intensificazione o una diminuzione della suscettibilità al taglio. Dallo studio della lunghezza dei frammenti, in diverse condizioni sperimentali (diversa concentrazione e tempo di esposizione alla proteasi), è possibile visualizzare la presenza di un cambiamento di conformazione. È possibile inoltre confrontare strutture proteiche simili per capirne le differenze, oppure identificare le regioni più resistenti al taglio ed inaccessibili. Sequenziando i frammenti peptidici è poi possibile determinare la regione esposta al taglio. Questa tecnica è stata utilizzata nel 1997 da Fontana et al. per determinare differenze dinamiche e strutturali tra la forma olo- ed apo- enzimatica dell'emoglobina. Nel nostro caso è stato utile per determinare la differenza strutturale tra la forma apo-enzimatica ed olo-enzimatica delle isoforme mitocondriale e citosolica della hSHMT. La parte difficile di questa tecnica è proprio l'analisi del gel risultante e del bandeggio ottenuto. Il bandeggio, in entrambe le condizioni sperimentali, dovrebbe mostrarsi come un aumento delle
  • 51. 49 bande a peso molecolare inferiore man mano che si aumenta il tempo di esposizione alla proteasi o la sua concentrazione, poiché in entrambi i casi aumento la possibilità di accesso ai siti di taglio. Per ottenere un buon risultato sperimentale è stato importante eseguire una serie di prove preliminari per ottimizzare alcuni parametri : rapporto enzima/proteasi, la temperatura ed il tempo di esposizione al taglio della proteasi. Quindi inizialmente sono stati eseguiti esperimenti di proteolisi limitata sull’isoforma mitocondriale con tre diverse proteasi, capaci di tagliare la proteina in corrispondenza di pochi e specifici legami peptidici quali: tripsina, endoproteinasi GluC e chimotripsina. La tripsina ha generato una maggiore varietà di taglio e di frammenti ed è stata scelta per procedere nell’esperimento. In seguito sono state messe appunto cinetiche di taglio proteolitico a diverse concentrazioni della proteasi e a diversi tempi per identificare un range di concentrazioni delle specie che evidenziasse possibili variazioni di taglio nel tempo. Ciò che si è rivelato efficace nel nostro caso è stato utilizzare basse concentrazioni di proteasi rispetto a quelle dell'enzima (1:100), temperature basse e tempi di reazione/esposizione alla proteolisi non troppo lunghi. Il confronto dei gels elettroforetici ottenuti dal taglio delle due forme, apo- ed olo-enzimatica, di ciascuna isoforma, ha permesso di rilevare delle differenze di bandeggio, indice di diversità strutturale delle regioni soggette al taglio. Prima di procedere al saggio di proteolisi limitata è stata sempre valutata l’attività dell’olo-enzima, dell’apo-enzima e dell’apo-enzima + PLP rigenerato (ovvero incubato per 40 min con concentrazione PLP almeno 4 volte superiore) utilizzando il saggio accoppiato all’Mtd descritto nel paragrafo precedente. Questa analisi è stata condotta allo scopo di escludere che le proteine da saggiare fossero già in parte degradate o non correttamente in folding. Il saggio è stato condotto alla temperatura di 22°C ed in tampone KPi 20 mM di composizione specifica per le due isoforme: pH 7.8, NaCl 50 mM, KCl 50 mM, DTT 1 mM, EDTA 0,2 mM, glicerolo 5% per l’isoforma mitocondriale e pH 7.2, DTT 1 mM, EDTA 0.2 mM per quella citosolica. Parallelamente al saggio è stato anche eseguito un gel di controllo dell’autoproteolisi delle specie reagenti.
  • 52. 50 Protocollo comune ad entrambe le isoforme: A) Preparati i seguenti campioni da incubare a RT per 40 minuti per dare modo al PLP di legarsi alla tasca dell’enzima e ricostituire l’olo-SHMT:  Olo: 39.3 µl olo-hSHMT 0.3 mg/ml  Apo-SHMT + PLP: 2 µl PLP 2.2 mM + 150 µl Apo-SHMT Vf= 152 µl (Apo-SHMT 0.3 mg/ml)  Apo-SHM: 150 µl Apo 0.3 mg/ml B) Campioni incubati in bagnetto termostatato a 22°C : 1. 15 μl Tripsina (0.06 mg/ml) + 30 μl Tampone Vf= 45 μl (Tripsina 0.02 mg/ml) 2. 80 μl Apo-SHMT+PLP + 37.6 μl Tripsina (0.06 mg/ml) Vf= 117.6 μl (Tripsina 0.02 mg/ml + Apo-SHMT 0.204 mg/ml) 3. 80 μl Apo-SHMT + 37.6 μl Tripsina (0.06 mg/ml) Vf= 117.6 μl (Tripsina 0.02 mg/ml + Apo-SHMT 0.204 mg/ml) 4. 72 μl Apo-SHMT+PLP rimasti + 33 μl Tampone Vf= 105 μl (Apo-SHMT 0.204 mg/ml) 5. 70 μl Apo-SHMT + 33 μl Tampone Vf= 103 μl apo-SHMT 0.204 mg/ml 6. aggiungere ai 39.3 µl olo-SHMT 18.5 µl di tampone Vf= 57.8µl ( olo 0.204 mg/ml) Al campione 2 e 3 la tripsina è stata aggiunta solo quando tutti i campioni sono stati preparati e portati a 22°C nel bagnetto. Sono stati prelevati da ciascuno dei 6 campioni aliquote di 15 µl a tempi diversi. Prima dell’aggiunta di tripsina sono stati prelevati subito al T=0 le aliquote dai campioni 4, 5 e 6 anche per il gel di controllo dell’autoproteolisi delle specie reagenti. Dopo l’aggiunta della tripsina sono state prelevate le aliquote da tutti i 6 campioni ai tempi 2.5’, 10’, 30’, 60’, 90’e 120’. Le aliquote sono state mescolate ciascuna con 5 µl di Sample buffer 4X per fermare la reazione e poi a 100°C per 3 minuti. Infine i campioni sono stati caricati si gel elettroforetico SDS-PAGE e corsi come da protocollo. Le bande dei gels sono state tagliate ed analizzate allo spettrometro di massa MALDI-TOFF.
  • 53. 51 hSHMT1 hSHMT2 FIGURA 30. Gels di controllo dell’autoproteolisi delle specie reagenti. 3.9 Cromatografia di esclusione dimensionale (SEC) La cromatografia di esclusione molecolare è un processo di analisi che si utilizza per separare sostanze organiche aventi peso molecolare differente. La fase stazionaria è composta da una matrice inerte disposta in microsfere che presentano dei pori di dimensione selettiva per le macromolecole. I soluti con un volume maggiore dei pori della fase stazionaria (ovvero con un peso molecolare più grande) non verranno fermati nella loro corsa ma scivoleranno piuttosto tra le particelle della matrice e usciranno dalla colonna con il fronte del solvente molto prima. I soluti che invece hanno dimensioni minori rispetto al diametro e alla superficie dei pori saranno trattenuti dalla colonna per un tempo proporzionale al peso molecolare del soluto stesso. Eluiscono dalla colonna quindi prima le molecole più grandi e via via quelle a peso molecolare inferiore. Per i nostri esperimenti ci siamo avvalsi di un apparato cromatografico FPLC Aktaprime delle GE Healthcare. La colonna cromatografica utilizzata è stata una Superdex 200. Le corse cromatografiche sono state effettuate in tampone KPi 20 mM pH 7.2, DTT 1 mM, EDTA 0.2 mM. Legenda: 1. olo-hSHMT 0 min 2. Apo-hSHMT 0 min 3. Apo-hSHMT + PLP 0 min 4. Standard 5. olo-hSHMT 30 min 6. Apo-hSHMT 30 min 7. Apo-hSHMT + PLP 30 min 8. olo-hSHMT 2 h 9. Apo-hSHMT 2 h 10. Apo-hSHMT + PLP 2 h
  • 54. 52 3.10 Dicroismo circolare ed esperimenti di denaturazione termica Il dicroismo circolare (CD) è una tecnica spettroscopica che permettte di determinare la presenza ed il tipo di struttura secondaria di proteine e peptidi. Il metodo si basa sul fenomeno di assorbimento differenziale della luce polarizzata da parte di molecole intrinsecamente chirali, o achirali, ma immerse in un rigido intorno asimmetrico. Ogni cromoforo chirale o appartenente ad una molecola chirale presenta un assorbimento caratteristico a determinate lunghezze d’onda. Per quanto riguarda le proteine, informazioni interessanti si possono trarre dall’esame della zona compresa tra 250 e 190 nm (lontano UV). In questa zona il cromoforo responsabile del segnale dicroico è il gruppo ammidico che presenta un profilo di ellitticità diverso a seconda della conformazione degli angoli di legame dei gruppi adiacenti, ovvero a seconda del tipo di struttura secondaria in cui è inserito. Inoltre la forma dello spettro può venire influenzata da vari fattori quali la rigidità della proteina, le interazioni con l’ambiente circostante, il numero di residui aromatici, la polarità del solvente e la temperatura. In particolare se le catene laterali sono mobili, l’intensità della banda CD diminuisce. Con questa tecnica si possono pertanto analizzare le cinetiche di denaturazione termica delle proteine registrando la diminuzione del segnale dicroico durante il de-folding della specie in analisi ed associare una misura quantitativa alla stabilità dello stato di folding della proteina. Nel saggio da noi eseguito abbiamo saggiato la stabilità delle forme apo ed olo-enzimatiche di entrambe le isoforme della SHMT umana. Le forme olo-enzimatiche sono state ottenute incubando 25 µM o 45 µM di PLP all’apo-SHMT1 ed all’apo-SHMT2 rispettivamente. I campioni proteici, concentrati 4 µM in soluzione, sono stati riscaldati dalla temperatura di 30 °C a 90°C, con un tasso di incremento della temperatura controllato di 1 °C/minuto. L’attività dicroica a 220 nm è stata monitorata ogni 0.5 °C. I dati ottenuti sono stati raccolti e la curva fittata secondo l’equazione qui di seguito riportata: ( )  corrisponde al massimo intervallo di ellitticità, T è la temperatura espressa in ° C, Tm è la temperatura di melting apparente e n la ripidità della curva sigmoidale.
  • 55. 53 4. RISULTATI E DISCUSSIONE Le isoforme della SHMT umana possiedono proprietà catalitiche simili Per l’espressione e la purificazione dell’isoforma citosolica (hSHMT1) e mitocondriale (hSHMT2) della serina idrossimetiltransferasi umana è stato seguito il protocollo presente in letteratura, relativo alla rcSHMT (isoforma di coniglio) e descritto nella sezione materiali e metodi. (Di Salvo et al., 1998) Il primo passo condotto nello studio della SHMT umana è stato quello di determinare i parametri cinetici della reazione fisiologica catalizzata dalle due isoforme. La scelta di compiere tale analisi preliminare è stata presa sulla base dell’evidenza che tali parametri sono importanti per evidenziare eventuali differenze tra gli isoenzimi. Inoltre la caratterizzazione cinetica delle isoforme di un enzima si è spesso rivelato un importante strumento nello studio dell’inibizione attuata da un possibile agente chemioterapico. I saggi enzimatici sono stati effettuati in triplicato, ad una temperatura costante di 30°C, in tampone KPi 20 Mm pH 7.2, contenente DTT 0.2 mM e EDTA 0.1 mM . Dal momento che l’enzima utilizza due substrati, per ciascun isoenzima sono stati condotti due serie di esperimenti indipendenti; una a concentrazione saturante di tetraidrofolato (THF) e concentrazioni crescenti di L-Serina e l’altra a concentrazione saturante di L-serina e concentrazione variabile di THF. Per misurare l’attività catalitica dell’enzima è stato utilizzato un saggio accoppiato con la metilen-THF deidrogenasi (vedi Materiali e Metodi). I risultati sono stati riportati in grafico come velocità iniziale (Vi) in funzione della concentrazione del substrato non saturante. A concentrazioni di THF superiori a 40 µM si è osservato il fenomeno dell’inibizione da substrato e ne è stato tenuto conto durante l’analisi dei dati. Sono state così determinate la costante catalitica kcat e la costante di Michaelis-Menten αKm (Km apparente determinata a concentrazione saturante dell’altro substrato) per ciascun substrato e con entrambe le isoforme dell’enzima e sono state riportate in una tabella dove è possibile vederle a confronto. (Figura 31) Le costanti catalitiche ottenute per le due isoforme sono diverse e questo è dovuto all’effetto inibitorio del THF che non ci permette di rilevare la velocit massima dell’enzima. A concentrazione saturante di L-Serina la velocit massima che si osserva è più bassa rispetto a quella che l’enzima avrebbe a causa dell’effetto inibitorio del THF a concentrazioni superiori a 40 µM. Inoltre la concentrazione del THF alla quale si raggiunge tale velocit non corrisponde alla concentrazione saturante per l’enzima. Di conseguenza la concentrazione di THF (50 µM),
  • 56. 54 utilizzata per la determinazione della costante catalitica dell’enzima per la L-Serina, è stata necessariamente scelta per evitare l’effetto di inibizione ma non è saturante. Nonostante questo effetto di inibizione i parametri cinetici ottenuti per le due isoforme sono molto simili, pertanto gli isoenzimi non differiscono per quanto riguarda le proprietà catalitiche. hSHMT1 hSHMT2 ENZIMA Substrato kcat (s-1 ) αKm (M) hcSHMT THF 1158 ± 84,8 10,65 ± 1,86 hmSHMT THF 1883 ± 214.3 23.01 ± 4.12 hcSHMT L-Serina 715.4 ± 8.3 0,225 ± 0,01 hmSHMT L-Serina 788.1 ± 12.8 0.278 ± 0.02 FIGURA 31. Parametri cinetici delle isoforme SHMT1 e SHMT2 umane. Le curve di saturazione ottenute variando la concentrazione di THF sono state analizzate usando l’equazione: y = Vmax x [X]/ Km+ [X] x ( 1+ [X]/ki) (dove la X corrisponde al substrato)
  • 57. 55 Inoltre è stata saggiata l’affinità di entrambe le isoforme della SHMT umana per il cofattore PLP. L’analisi è stata condotta sfruttando lo smorzamento della fluorescenza che si osserva quando il PLP si lega alla proteina. Misurando l’emissione di fluorescenza ottenuta eccitando i residui di aromatici (eccitazione a 280 nm) delle forme apo-enzimatiche della SHMT1 e SHMT2 in presenza di concentrazioni crescenti di PLP (0.1–3 M), è stato possibile ottenere delle curve di saturazione dalle quali è stata determinata la costante di dissociazione del PLP (Figura 32). L’isoforma citosolica hSHMT1 possiede una Kd per il PLP di 0.25± 0,08 µM, mentre per l’isoforma mitocondriale la Kd ha un valore leggermente più alto (0.44 ±0,13 µM). In ogni modo l’equilibrio di legame della SHMT umana al PLP risulta essere caratterizzato da una costante di dissociazione dell’ordine del sub-micromolare simile per entrambe le isoforme. FIGURA 32. Comparazione delle curve di saturazione ottenute per il legame del PLP all’apo-hSHMT1 e all’apo-hSHMT2. La variazione di fluorescenza è riportata nel grafico come variazione frazionale.