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Meter Theon = Madre di Dio

  L’iscrizione dell’icona
  non serve in verità a far
  riconoscere il
  personaggio ma a
  proclamare anche con
  la scrittura e la Parola,
  la verità di fede. Non si
  tratta cioè di una
  didascalia, ma di una
  homologia, ossia di una
  professione di fede
  attraverso la quale il
  credente proclama: Io
  credo che questa donna
  è la Madre di Dio !
Orientamenti
teologici attuali
Maria vergine, la quale all'annunzio dell'angelo
accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e
portò la vita al mondo, è riconosciuta e onorata
come vera madre di Dio e Redentore. Redenta in
modo eminente in vista dei meriti del Figlio suo e
a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo, è
insignita del sommo ufficio e dignità di madre
del Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del
Padre e tempio dello Spirito Santo; per il quale
dono di grazia eccezionale precede di gran lunga
tutte le altre creature, celesti e terrestri (LG 53).
Non c’è nessun
  dogma mariologico:
   c’è un solo dogma
cristiano, il cui oggetto
  è Dio Salvatore (Eb
  11,6), cioè il Cristo.
      Maria si trova
 implicata nel Cristo,
come parte integrante
della salvezza in Gesù
         Cristo.
• Renè Laurentin solleva a
  questo riguardo il problema
  del linguaggio, in quanto
  ritiene l’espressione “dogma
  mariano”impropria: isola la
  Vergine Maria e rischia di
  tagliare i legami con Cristo e
  con la Chiesa; adoperarla
  significherebbe entrare,
  almeno formalmente e
  linguisticamente, nell’empasse
  di una mariologia chiusa in se
  stessa.
Il dogma è:
 - per il suo contenuto, una
verità rivelata;
- per la sua forma, una
proposizione dottrinale;
- per la sua validità
oggettiva, un enunciato
infallibile di fede;
- per la sua pretesa
soggettiva di validità, una
norma che impegna, sul
piano della coscienza, ogni
fedele della Chiesa;
- per il suo sviluppo, una
precisazione che la Chiesa
fa nel corso della sua storia
e nel suo itinerario di fede
“sotto” la Parola di Dio.
Per la tradizione
cristiana, il grembo
verginale di Maria,
fecondato dal
pneuma divino
senza intervento
umano (cf. Lc 1,34-
35), è divenuto
come il legno della
croce (cf. Mc 15,39)
o le bende della
sepoltura (cf. Gv 20,
5-8), motivo e segno
per riconoscere in
Gesù di Nazaret il
figlio di Dio.
Se la fonte prima
per incontrare la
fede è certamente
la Scrittura,
tuttavia, la
Paradosis Ecclesiae
veicola al credente
la vivente realtà
del passato e istilla
un habitus mentale
che lo rende docile
all’azione dello
Spirito.
L’ermeneutica oggi considera le
difficili questioni del linguaggio
usato e del momento storico
nella formulazione del dogma.
I teologi sostengono che, pur
nella intangibilità dell'autentico
contenuto di fede, esso è
sempre suscettibile di diverse
modalità di approccio e di
una lettura sempre nuova,
essendo il nocciolo dogmatico
sempre nuovo e vitale,
partecipando dell’evento-mistero
dell’autocomunicazione
dell’Unitrino.
In tale contesto, è perciò
valida la proposta di
un'ermeneutica globale:
fedeltà al passato,
risposta al presente, cui
deve seguire il momento
della comprensione del
passato
e del presente nella
prospettiva del futuro.
Non quindi sola
Scriptura, sola Traditio, o
solum magisterium, ma
nemmeno sola existentia
o sola experientia.
Nella teologia ecumenica
contemporanea si avverte
l’esigenza di integrare ogni
dogma nell’insieme di tutti i
dogmi (prestando attenzione
al principio della «gerarchia
delle verità») e l’insieme dei
dogmi nella totalità della
dottrina e della vita ecclesiali
(paradosis). Nello stesso
tempo si ha la convinzione
che «ogni dogma
ecclesiastico non è mai
soltanto conclusione di una
discussione, ma sempre
anche un nuovo inizio».
La verità è
sempre una e i
diversi misteri
hanno un
nexus tra loro
ma in
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un princeps:
Gesù Cristo
Salvatore
assoluto della
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Oggi si assiste ad
   una positiva
   riscoperta e
rivalutazione del
    linguaggio
 simbolico come
 via feconda per
  accostarsi alla
       realtà
  trascendente.
In mariologia i simboli, i tipi, le figure, le icone teologiche che si
riferiscono alla Madre del Signore, infatti, sono così numerose e
diversificate, da far pensare a un ginepraio inestricabile, per cui
diventa necessario apprendere l'alfabeto del linguaggio simbolico
prima di intraprendere la lettura dei “testi mariani” (dogmatici,
teologici, liturgici...) scritti con tale sistema linguistico.
Il titolo Madre di Dio è
strettamente unito al
dogma cristologico più
importante quello
dell’unione ipostatica:
nella persona (o
nell’ipostasi) del Figlio di
Dio sono unite la natura
umana e la natura divina.
Per confutare le opinioni degli
gnostici Apelle e Valentino che
attribuivano a Cristo un “corpo
celeste”, Cirillo di Gesulemme (†
387) nelle Catechesi spiegò che
l’umanazione di Cristo si attuò
non in apparenza, né in
immaginazione, ma in tutta
verità. “Non passò per la Vergine
come per un canale, ma
veramente prese carne da lei e
veramente fu nutrito da lei col
latte, mangiando come noi,
realmente e realmente come noi
bevendo”.
Perciò il simbolo di
fede
Costantinopolitano
(381):

Et incarnatus est de
Spiritu Sancto ex
Maria virgine, et
homo factus est

e non dia (per)
Mentre gli alessandrini
sono più disposti ad
accettare Maria come
Madre di Dio, gli
antiochieni fanno fatica,
perché tendono a
distaccare il Figlio di Dio
da Gesù Cristo, in cui il
Figlio abita come in un
tempio. Malgrado lo
scetticismo dei teologi
antiochieni, il titolo
Theotókos alla fine del IV
secolo è universalmente
diffuso in Oriente.
Quando Nestorio, patriarca di Costantinopoli dal 428, della scuola antiochena che
non accettava l’unione ipostatica in Cristo (in cui l’unica persona è portatrice degli
attributi divini e umani) propose per Maria il titolo Christotókos provocò la decisa
reazione di Cirillo d’Alessandria.
Non diciamo, infatti, che la
natura dal Verbo si sia incarnata
mutandosi, né che fu
trasformata in un uomo,
composto di anima e di corpo.
Diciamo, piuttosto, che il Verbo,
unendo a se stesso
ipostaticamente una carne
animata da un'anima razionale,
si fece uomo in modo ineffabile
e incomprensibile e si è
chiamato figlio dell'uomo; non
assunse la natura umana solo
secondo la volontà e nemmeno
assunse un’altra persona.
Sono diverse, cioè, le nature
che si uniscono, ma uno solo
è il Cristo e Figlio che risulta
da esse; la differenza delle
nature non è cancellata
dall’unione, ma piuttosto la
divinità e l'umanità formano
per noi un solo Signore e
Cristo e Figlio…;
(Non dobbiamo pensare),
infatti, che prima sia stato
generato un uomo qualsiasi
dalla santa Vergine, e che poi
sia disceso in lui il Verbo: ma
che, invece, unica realtà fin
dal seno della madre, sia nato
secondo la carne, accettando
la nascita della propria carne.
Theotókos significa
letteralmente colei
che ha generato Dio.
È chiaro che si tratta
unicamente della
generazione umana di
Gesù, non della
generazione eterna
della Santissima
Trinità. Da Maria il
Verbo “è nato
secondo la carne”
(Gv 1,14)
L’icona ha nella pietà e nella
dottrina delle Chiese greco-slave
un posto che non ha equivalenti in
occidente.
Nel II Concilio di Nicea (787) viene
presentata la teologia delle
immagini basata sui Padri
cappadoci attraverso i dottori
dell’epoca iconoclasta. Mentre
l’Oriente cristiano gli ha riservato
sempre un posto importante non è
stato così nella Chiesa
d’occidente.
A partire dagli anni '30 del
secolo XX si è manifestato in
tutto il cristianesimo
occidentale un interesse nuovo
per la teologia e la liturgia
bizantine .
Da quegli anni infatti si
cominciano ad avvertire nel
mondo cattolico e protestante
gli effetti della presenza a Parigi
di un folto gruppo di teologi e
pensatori russi ortodossi che, in
parte raccolti attorno
all'Istituto San Sergio, fanno
conoscere alla teologia
occidentale la ricchezza e la
profondità dell'esperienza
spirituale bizantina e della
filosofia religiosa russa.
Grazie a Pavel Evdokimov con una sua opera assai diffusa e
suggestiva, La teologia della bellezza (1970).
viene riscoperta l’icona bizantina. Il suo valore quasi
sacramentale, il suo significato teologico, la sua qualità
mistagogica convergono nel conferirle valore e dignità, anzi
una certa quale superiorità sulla concezione occidentale
dell'arte sacra.
Lo straordinario
successo teologico -
e spirituale - del
termine icona ha
portato ad una
riduzione di
significato del
termine immagine,
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indicasse la
rappresentazione
puramente esteriore
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notevole eclisse nel
linguaggio religioso.
Ha determinato però al
tempo stesso un
ampliamento considerevole
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è andato oltre il riferimento
alla sacra icona per
esprimere da una parte
l'immagine di valore
genericamente religioso e
dall'altra parte ogni tipo, di
realtà nella quale si possa
ritrovare una dialettica tra
"visibile concretezza"' e
"invisibile profondità"
Abbiamo così due
modalità teologico-
spirituali di uso del
termine icona, che
sono diverse anche
se in qualche misura
sovrapposte: icona
nel senso di icona
sacra; icona nel
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visibile che rinvia ad
un significato
teologico salvifico
generale.
«Perciò  del Dio invisibile non
fare nessuna immagine, ma
da quando tu vedi
l'incorporeo divenuto uomo,
fa l'immagine della forma
umana; quando l'invisibile
diventa visibile nella carne,
dipingi la rassomiglianza
dell'invisibile, quando ciò che
non ha né quantità né misura
né figura per l'eminenza della
sua natura, quando colui che
era in forma di Dio prende la
forma di uno schiavo e per
questa riduzione assume la
quantità, la miseria e i
caratteri del corpo, …
…disegna allora sulla tua
tavola e proponi alla
contemplazione colui che ha
accettato di essere visto,
esprimi la sua indicibile
condiscendenza, la sua
Nascita dalla Vergine, il
Battesimo al Giordano, la
Trasfigurazione sul Tabor, la
Passione che dona
l'impassibilità, i miracoli, le
manifestazioni della sua
natura e della sua
operazione divina, compiute
attraverso le operazioni della
carne, la tomba salutare del
Salvatore, l'Ascensione al
cielo, illustra tutto ciò in
parola e in pittura nei libri e
sulle tavole di legno»
(Giovanni Damasceno).
Secondo le parole del
Damasceno «l'icona dunque è
somiglianza, modello,
rappresentazione che mostra
attraverso sé colui di cui essa è
immagine. L'icona però non è lo
stesso prototipo» (PG 94,
1337B).
La natura dell'icona è una natura
"relativa", rinvia al prototipo,
all'originale. Ad essa pertanto
non va una latreia, ovvero un
culto di adorazione che è proprio
solo di Dio, ma una proskynèsis
schētiché' o timētiké, una
venerazione relativa che onora
nell'icona l'originale.
Una volta legittimata la
possibilità delle icone di
Cristo e della loro
venerazione, è possibile
legittimare quelle della
Vergine e dei santi: «Noi
facciamo la proskynesis
innanzitutto di fronte a quelli
nei quali Dio, il solo Santo,
riposa: la santa Madre di Dio
e tutti i santi. Per quanto è
possibile essi sono simili a
Dio, per la loro libera scelta,
per l'inabitazione in essi di
Dio e delle sue energie.
Giustamente li si chiama dèi
non per natura, ma per
grazia» (PG 94, 1352)
La prima caratteristica dell'icona si
può definire epifanica, giacché
manifesta l'invisibile agli occhi della
carne. L'icona infatti cerca di
rappresentare o, per meglio dire, di
rendere visibile attraverso i mezzi
tecnici e le materie proprie dell'arte
pittorica la verità spirituale, il mondo
come appare ai sensi spirituali. C'è
infatti, al di là del cosmo visibile, il
mondo che solo lo sguardo spirituale
può cogliere, il mondo attraversato e
trasfigurato dalla gloria di Dio. L'icona
consente all'invisibile di farsi
accessibile ad ogni uomo, anche se è
privo di occhio spirituale.
L’ immagine della
Theotokos occupa il primo
posto dopo quella di Cristo
e le fa da pendant; si
distingue dalle icone degli
altri santi e degli angeli sia
per la varietà dei tipi
iconografici che per il loro
numero e l'intensità della
loro venerazione
La varietà e il
numero
non facilita la
classificazione
tipologica
delle sacre icone
mariane.
Tuttavia, si può operare
una generale distinzione
tra le icone nelle quali la
Madre di Dio è
rappresentata in rapporto
immediato o meno con i
misteri della vita di Cristo e
con le feste dell'anno
liturgico, spesso basate sui
vangeli apocrifi, e le icone
che esprimono contenuti
della fede, interpretazioni
spirituali e in ogni caso
contemplazioni del ruolo
della Vergine Maria in
rapporto al Cristo e alla
Chiesa.
La Donna Maria
 “aveva un’intimità così
profonda col suo Dio,
che il suo Dio,
nell’intimità che aveva a
sua volta con lei,
volle farsi uomo
diventando carne della
sua carne”.
La natura
umana
portava il
Verbo,
ma era il
Verbo che
sosteneva
la natura
umana
“E questa
maternità di
Maria perdura
senza soste
dal momento
del
consenso. . . ”
Maria ha espresso
il suo consenso
alla
richiesta di Dio, ha
messo nel mondo
l’Unigenito Figlio
suo, l’ha accolto,
curato ed educato.
Con la sua
premurosa
maternità ha
collaborato a
sottrarre la vita di
ogni vivente
alla morte.
In Maria,
l’alfabeto della vita

Maria è la prima del lungo
corteo di questa umanità
incamminata, caduta ma
incamminata, prodiga ma
incamminata: in lei c’è
l’alfabeto della vita.
Nel patrimonio della prima
cellula è già contenuto un
progetto, l’energia e i codici
perché la persona futura abbia
tutta la sua bellezza e la sua
potenzialità, e quelle
caratteristiche che la faranno
unica. Così Maria è come il
DNA della Chiesa e di ogni
discepolo, in lei la Chiesa si
forma e si riforma su Maria.
Se Maria è «icona del
mistero», è ugualmente
icona di ogni discepolo.
L’immagine del DNA
può aiutarci a capire in
che modo la presenza
di Maria sia operante:
non come un modello
di riferimento passivo,
non come una semplice
intercessione
misericordiosa, ma
come forza di vita
germinante.
La sua maternità non è
conclusa, si occupa ancora e
continuamente di noi, nell’oggi
di Dio, ci guida dall’interno,
sospingendoci al destino che è
il suo. In un lavorio continuo, in
una dinamica creativa, in una
germinazione perenne, in
analogia con l’invisibile e
fortissimo lavoro che il
patrimonio genetico della mia
prima cellula continua a
svolgere in me, nel mio
organismo, nel mio crescere e
maturare. La maternità di
Maria è il diffondersi del
patrimonio originario del
credente autentico, da lei,
prima cellula della Chiesa, a
ogni cellula del corpo. La
Chiesa infatti prolunga Maria,
non Cristo. Cristo è il capo di
questo corpo.
“Il discorso di fede
sulla Vergine Madre è
tutto relazionale. Non
si può
parlare di Maria
senza parlare del
mistero del Verbo
incarnato, e perciò
della
Trinità, dell’uomo e
della Chiesa, della
storia e soprattutto
dell’escatologia”
“La sua è dunque una
maternità impegnata e
significa ch’ella si occuperà
maternamente dei suoi figli.
Il vincolo oggettivo che lega
la maternità
divina alla nostra vita
cristiana ha dunque, ancor
prima che noi ne siamo
consapevoli, da parte della
Vergine, un carattere
personalistico e non può
essere considerato un
rapporto impersonale”
“L’esistenza della Vergine–Madre è
segno di tutti i misteri cristiani:

del mistero trinitario, per essere
figlia eletta del Padre,
madre santa del Figlio, sposa
amorosa dello Spirito;
del mistero dell’incarnazione, per la
sua maternità divina;
del mistero pasquale–pentecostale
per il suo essere stata
“socia del Salvatore” sotto la croce
e compagna degli apostoli nel
cenacolo;
del mistero della Chiesa, per
essere sua madre e suo modello;
del mistero della fine, per essere
già assunta nella gloria trinitaria”
La maternità iscritta nel
corpo di ogni donna è il
fondamento
della capacità femminile di
“farsi spazio accogliente”
per l’altro. Questa
connotazione umana
sessuata
femminile è un dono
speciale di Dio
all’umanità. La donna
che possiede una
specificità biologica di un
corpo capace
di dare spazio ad un altro
è cifra somigliante del
mistero
trinitario.
“Si ritiene
comunemente
che la donna
più dell’uomo
sia capace di
attenzione
verso la
persona
concreta
e che la
maternità
sviluppi ancora
di più questa
disposizione”
“Assumere un’attitudine materna
significa offrirsi come grembo che
accoglie e rigenera” [. . . ]

“L’esperienza della maternità, non
tanto in termini
fisiologici, ma come fattivo
orientamento di vita tradotto
nell’accoglienza e
nella creatività dell’amore, risulta a tal
punto determinante soprattutto per la
donna, che qualora venga disattesa o
contraddetta provoca gravi squilibri
dalle dolorose ripercussioni personali e
sociali. Mentre è sintomatico notare
che la maternità si dilata per così dire
all’infinito nelle persone radicate in
una verginità e in una sponsalità
totalmente dedite alla causa del regno”
Ogni anima che crede,
concepisce e genera il
Verbo di Dio…
Se secondo la carne una
sola è la madre di Cristo,
secondo la fede tutte le
anime generano Cristo
quando accolgono la sua
parola
(S. Ambrogio)
Chi non crede che Gesù è Dio
 non può dire a Maria che è la
         Madre di Dio

Il fatto che Dio sia sceso dalla
sua sovranità, incarnandosi
nel grembo di Maria, è un
invito per noi a scendere dalla
nostra superbia, sia nei
confronti di Dio, sia nei
confronti degli uomini. Il
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T H E O T O K O S

  • 1.
  • 2. Meter Theon = Madre di Dio L’iscrizione dell’icona non serve in verità a far riconoscere il personaggio ma a proclamare anche con la scrittura e la Parola, la verità di fede. Non si tratta cioè di una didascalia, ma di una homologia, ossia di una professione di fede attraverso la quale il credente proclama: Io credo che questa donna è la Madre di Dio !
  • 3.
  • 5. Maria vergine, la quale all'annunzio dell'angelo accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò la vita al mondo, è riconosciuta e onorata come vera madre di Dio e Redentore. Redenta in modo eminente in vista dei meriti del Figlio suo e a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo, è insignita del sommo ufficio e dignità di madre del Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per il quale dono di grazia eccezionale precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri (LG 53).
  • 6. Non c’è nessun dogma mariologico: c’è un solo dogma cristiano, il cui oggetto è Dio Salvatore (Eb 11,6), cioè il Cristo. Maria si trova implicata nel Cristo, come parte integrante della salvezza in Gesù Cristo.
  • 7. • Renè Laurentin solleva a questo riguardo il problema del linguaggio, in quanto ritiene l’espressione “dogma mariano”impropria: isola la Vergine Maria e rischia di tagliare i legami con Cristo e con la Chiesa; adoperarla significherebbe entrare, almeno formalmente e linguisticamente, nell’empasse di una mariologia chiusa in se stessa.
  • 8. Il dogma è: - per il suo contenuto, una verità rivelata; - per la sua forma, una proposizione dottrinale; - per la sua validità oggettiva, un enunciato infallibile di fede; - per la sua pretesa soggettiva di validità, una norma che impegna, sul piano della coscienza, ogni fedele della Chiesa; - per il suo sviluppo, una precisazione che la Chiesa fa nel corso della sua storia e nel suo itinerario di fede “sotto” la Parola di Dio.
  • 9. Per la tradizione cristiana, il grembo verginale di Maria, fecondato dal pneuma divino senza intervento umano (cf. Lc 1,34- 35), è divenuto come il legno della croce (cf. Mc 15,39) o le bende della sepoltura (cf. Gv 20, 5-8), motivo e segno per riconoscere in Gesù di Nazaret il figlio di Dio.
  • 10. Se la fonte prima per incontrare la fede è certamente la Scrittura, tuttavia, la Paradosis Ecclesiae veicola al credente la vivente realtà del passato e istilla un habitus mentale che lo rende docile all’azione dello Spirito.
  • 11. L’ermeneutica oggi considera le difficili questioni del linguaggio usato e del momento storico nella formulazione del dogma. I teologi sostengono che, pur nella intangibilità dell'autentico contenuto di fede, esso è sempre suscettibile di diverse modalità di approccio e di una lettura sempre nuova, essendo il nocciolo dogmatico sempre nuovo e vitale, partecipando dell’evento-mistero dell’autocomunicazione dell’Unitrino.
  • 12. In tale contesto, è perciò valida la proposta di un'ermeneutica globale: fedeltà al passato, risposta al presente, cui deve seguire il momento della comprensione del passato e del presente nella prospettiva del futuro. Non quindi sola Scriptura, sola Traditio, o solum magisterium, ma nemmeno sola existentia o sola experientia.
  • 13. Nella teologia ecumenica contemporanea si avverte l’esigenza di integrare ogni dogma nell’insieme di tutti i dogmi (prestando attenzione al principio della «gerarchia delle verità») e l’insieme dei dogmi nella totalità della dottrina e della vita ecclesiali (paradosis). Nello stesso tempo si ha la convinzione che «ogni dogma ecclesiastico non è mai soltanto conclusione di una discussione, ma sempre anche un nuovo inizio».
  • 14. La verità è sempre una e i diversi misteri hanno un nexus tra loro ma in riferimento a un princeps: Gesù Cristo Salvatore assoluto della storia umana.
  • 15. Oggi si assiste ad una positiva riscoperta e rivalutazione del linguaggio simbolico come via feconda per accostarsi alla realtà trascendente.
  • 16. In mariologia i simboli, i tipi, le figure, le icone teologiche che si riferiscono alla Madre del Signore, infatti, sono così numerose e diversificate, da far pensare a un ginepraio inestricabile, per cui diventa necessario apprendere l'alfabeto del linguaggio simbolico prima di intraprendere la lettura dei “testi mariani” (dogmatici, teologici, liturgici...) scritti con tale sistema linguistico.
  • 17.
  • 18. Il titolo Madre di Dio è strettamente unito al dogma cristologico più importante quello dell’unione ipostatica: nella persona (o nell’ipostasi) del Figlio di Dio sono unite la natura umana e la natura divina.
  • 19. Per confutare le opinioni degli gnostici Apelle e Valentino che attribuivano a Cristo un “corpo celeste”, Cirillo di Gesulemme († 387) nelle Catechesi spiegò che l’umanazione di Cristo si attuò non in apparenza, né in immaginazione, ma in tutta verità. “Non passò per la Vergine come per un canale, ma veramente prese carne da lei e veramente fu nutrito da lei col latte, mangiando come noi, realmente e realmente come noi bevendo”.
  • 20. Perciò il simbolo di fede Costantinopolitano (381): Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria virgine, et homo factus est e non dia (per)
  • 21. Mentre gli alessandrini sono più disposti ad accettare Maria come Madre di Dio, gli antiochieni fanno fatica, perché tendono a distaccare il Figlio di Dio da Gesù Cristo, in cui il Figlio abita come in un tempio. Malgrado lo scetticismo dei teologi antiochieni, il titolo Theotókos alla fine del IV secolo è universalmente diffuso in Oriente.
  • 22. Quando Nestorio, patriarca di Costantinopoli dal 428, della scuola antiochena che non accettava l’unione ipostatica in Cristo (in cui l’unica persona è portatrice degli attributi divini e umani) propose per Maria il titolo Christotókos provocò la decisa reazione di Cirillo d’Alessandria.
  • 23. Non diciamo, infatti, che la natura dal Verbo si sia incarnata mutandosi, né che fu trasformata in un uomo, composto di anima e di corpo. Diciamo, piuttosto, che il Verbo, unendo a se stesso ipostaticamente una carne animata da un'anima razionale, si fece uomo in modo ineffabile e incomprensibile e si è chiamato figlio dell'uomo; non assunse la natura umana solo secondo la volontà e nemmeno assunse un’altra persona.
  • 24. Sono diverse, cioè, le nature che si uniscono, ma uno solo è il Cristo e Figlio che risulta da esse; la differenza delle nature non è cancellata dall’unione, ma piuttosto la divinità e l'umanità formano per noi un solo Signore e Cristo e Figlio…; (Non dobbiamo pensare), infatti, che prima sia stato generato un uomo qualsiasi dalla santa Vergine, e che poi sia disceso in lui il Verbo: ma che, invece, unica realtà fin dal seno della madre, sia nato secondo la carne, accettando la nascita della propria carne.
  • 25. Theotókos significa letteralmente colei che ha generato Dio. È chiaro che si tratta unicamente della generazione umana di Gesù, non della generazione eterna della Santissima Trinità. Da Maria il Verbo “è nato secondo la carne” (Gv 1,14)
  • 26. L’icona ha nella pietà e nella dottrina delle Chiese greco-slave un posto che non ha equivalenti in occidente. Nel II Concilio di Nicea (787) viene presentata la teologia delle immagini basata sui Padri cappadoci attraverso i dottori dell’epoca iconoclasta. Mentre l’Oriente cristiano gli ha riservato sempre un posto importante non è stato così nella Chiesa d’occidente.
  • 27. A partire dagli anni '30 del secolo XX si è manifestato in tutto il cristianesimo occidentale un interesse nuovo per la teologia e la liturgia bizantine . Da quegli anni infatti si cominciano ad avvertire nel mondo cattolico e protestante gli effetti della presenza a Parigi di un folto gruppo di teologi e pensatori russi ortodossi che, in parte raccolti attorno all'Istituto San Sergio, fanno conoscere alla teologia occidentale la ricchezza e la profondità dell'esperienza spirituale bizantina e della filosofia religiosa russa.
  • 28. Grazie a Pavel Evdokimov con una sua opera assai diffusa e suggestiva, La teologia della bellezza (1970). viene riscoperta l’icona bizantina. Il suo valore quasi sacramentale, il suo significato teologico, la sua qualità mistagogica convergono nel conferirle valore e dignità, anzi una certa quale superiorità sulla concezione occidentale dell'arte sacra.
  • 29. Lo straordinario successo teologico - e spirituale - del termine icona ha portato ad una riduzione di significato del termine immagine, come se esso indicasse la rappresentazione puramente esteriore di una realtà, e ad una sua notevole eclisse nel linguaggio religioso.
  • 30. Ha determinato però al tempo stesso un ampliamento considerevole del significato dell'icona che è andato oltre il riferimento alla sacra icona per esprimere da una parte l'immagine di valore genericamente religioso e dall'altra parte ogni tipo, di realtà nella quale si possa ritrovare una dialettica tra "visibile concretezza"' e "invisibile profondità"
  • 31. Abbiamo così due modalità teologico- spirituali di uso del termine icona, che sono diverse anche se in qualche misura sovrapposte: icona nel senso di icona sacra; icona nel senso di realtà visibile che rinvia ad un significato teologico salvifico generale.
  • 32. «Perciò del Dio invisibile non fare nessuna immagine, ma da quando tu vedi l'incorporeo divenuto uomo, fa l'immagine della forma umana; quando l'invisibile diventa visibile nella carne, dipingi la rassomiglianza dell'invisibile, quando ciò che non ha né quantità né misura né figura per l'eminenza della sua natura, quando colui che era in forma di Dio prende la forma di uno schiavo e per questa riduzione assume la quantità, la miseria e i caratteri del corpo, …
  • 33. …disegna allora sulla tua tavola e proponi alla contemplazione colui che ha accettato di essere visto, esprimi la sua indicibile condiscendenza, la sua Nascita dalla Vergine, il Battesimo al Giordano, la Trasfigurazione sul Tabor, la Passione che dona l'impassibilità, i miracoli, le manifestazioni della sua natura e della sua operazione divina, compiute attraverso le operazioni della carne, la tomba salutare del Salvatore, l'Ascensione al cielo, illustra tutto ciò in parola e in pittura nei libri e sulle tavole di legno» (Giovanni Damasceno).
  • 34. Secondo le parole del Damasceno «l'icona dunque è somiglianza, modello, rappresentazione che mostra attraverso sé colui di cui essa è immagine. L'icona però non è lo stesso prototipo» (PG 94, 1337B). La natura dell'icona è una natura "relativa", rinvia al prototipo, all'originale. Ad essa pertanto non va una latreia, ovvero un culto di adorazione che è proprio solo di Dio, ma una proskynèsis schētiché' o timētiké, una venerazione relativa che onora nell'icona l'originale.
  • 35. Una volta legittimata la possibilità delle icone di Cristo e della loro venerazione, è possibile legittimare quelle della Vergine e dei santi: «Noi facciamo la proskynesis innanzitutto di fronte a quelli nei quali Dio, il solo Santo, riposa: la santa Madre di Dio e tutti i santi. Per quanto è possibile essi sono simili a Dio, per la loro libera scelta, per l'inabitazione in essi di Dio e delle sue energie. Giustamente li si chiama dèi non per natura, ma per grazia» (PG 94, 1352)
  • 36. La prima caratteristica dell'icona si può definire epifanica, giacché manifesta l'invisibile agli occhi della carne. L'icona infatti cerca di rappresentare o, per meglio dire, di rendere visibile attraverso i mezzi tecnici e le materie proprie dell'arte pittorica la verità spirituale, il mondo come appare ai sensi spirituali. C'è infatti, al di là del cosmo visibile, il mondo che solo lo sguardo spirituale può cogliere, il mondo attraversato e trasfigurato dalla gloria di Dio. L'icona consente all'invisibile di farsi accessibile ad ogni uomo, anche se è privo di occhio spirituale.
  • 37. L’ immagine della Theotokos occupa il primo posto dopo quella di Cristo e le fa da pendant; si distingue dalle icone degli altri santi e degli angeli sia per la varietà dei tipi iconografici che per il loro numero e l'intensità della loro venerazione
  • 38. La varietà e il numero non facilita la classificazione tipologica delle sacre icone mariane.
  • 39. Tuttavia, si può operare una generale distinzione tra le icone nelle quali la Madre di Dio è rappresentata in rapporto immediato o meno con i misteri della vita di Cristo e con le feste dell'anno liturgico, spesso basate sui vangeli apocrifi, e le icone che esprimono contenuti della fede, interpretazioni spirituali e in ogni caso contemplazioni del ruolo della Vergine Maria in rapporto al Cristo e alla Chiesa.
  • 40. La Donna Maria “aveva un’intimità così profonda col suo Dio, che il suo Dio, nell’intimità che aveva a sua volta con lei, volle farsi uomo diventando carne della sua carne”.
  • 41. La natura umana portava il Verbo, ma era il Verbo che sosteneva la natura umana
  • 42. “E questa maternità di Maria perdura senza soste dal momento del consenso. . . ”
  • 43. Maria ha espresso il suo consenso alla richiesta di Dio, ha messo nel mondo l’Unigenito Figlio suo, l’ha accolto, curato ed educato. Con la sua premurosa maternità ha collaborato a sottrarre la vita di ogni vivente alla morte.
  • 44. In Maria, l’alfabeto della vita Maria è la prima del lungo corteo di questa umanità incamminata, caduta ma incamminata, prodiga ma incamminata: in lei c’è l’alfabeto della vita. Nel patrimonio della prima cellula è già contenuto un progetto, l’energia e i codici perché la persona futura abbia tutta la sua bellezza e la sua potenzialità, e quelle caratteristiche che la faranno unica. Così Maria è come il DNA della Chiesa e di ogni discepolo, in lei la Chiesa si forma e si riforma su Maria.
  • 45. Se Maria è «icona del mistero», è ugualmente icona di ogni discepolo. L’immagine del DNA può aiutarci a capire in che modo la presenza di Maria sia operante: non come un modello di riferimento passivo, non come una semplice intercessione misericordiosa, ma come forza di vita germinante.
  • 46. La sua maternità non è conclusa, si occupa ancora e continuamente di noi, nell’oggi di Dio, ci guida dall’interno, sospingendoci al destino che è il suo. In un lavorio continuo, in una dinamica creativa, in una germinazione perenne, in analogia con l’invisibile e fortissimo lavoro che il patrimonio genetico della mia prima cellula continua a svolgere in me, nel mio organismo, nel mio crescere e maturare. La maternità di Maria è il diffondersi del patrimonio originario del credente autentico, da lei, prima cellula della Chiesa, a ogni cellula del corpo. La Chiesa infatti prolunga Maria, non Cristo. Cristo è il capo di questo corpo.
  • 47. “Il discorso di fede sulla Vergine Madre è tutto relazionale. Non si può parlare di Maria senza parlare del mistero del Verbo incarnato, e perciò della Trinità, dell’uomo e della Chiesa, della storia e soprattutto dell’escatologia”
  • 48. “La sua è dunque una maternità impegnata e significa ch’ella si occuperà maternamente dei suoi figli. Il vincolo oggettivo che lega la maternità divina alla nostra vita cristiana ha dunque, ancor prima che noi ne siamo consapevoli, da parte della Vergine, un carattere personalistico e non può essere considerato un rapporto impersonale”
  • 49. “L’esistenza della Vergine–Madre è segno di tutti i misteri cristiani: del mistero trinitario, per essere figlia eletta del Padre, madre santa del Figlio, sposa amorosa dello Spirito; del mistero dell’incarnazione, per la sua maternità divina; del mistero pasquale–pentecostale per il suo essere stata “socia del Salvatore” sotto la croce e compagna degli apostoli nel cenacolo; del mistero della Chiesa, per essere sua madre e suo modello; del mistero della fine, per essere già assunta nella gloria trinitaria”
  • 50. La maternità iscritta nel corpo di ogni donna è il fondamento della capacità femminile di “farsi spazio accogliente” per l’altro. Questa connotazione umana sessuata femminile è un dono speciale di Dio all’umanità. La donna che possiede una specificità biologica di un corpo capace di dare spazio ad un altro è cifra somigliante del mistero trinitario.
  • 51. “Si ritiene comunemente che la donna più dell’uomo sia capace di attenzione verso la persona concreta e che la maternità sviluppi ancora di più questa disposizione”
  • 52. “Assumere un’attitudine materna significa offrirsi come grembo che accoglie e rigenera” [. . . ] “L’esperienza della maternità, non tanto in termini fisiologici, ma come fattivo orientamento di vita tradotto nell’accoglienza e nella creatività dell’amore, risulta a tal punto determinante soprattutto per la donna, che qualora venga disattesa o contraddetta provoca gravi squilibri dalle dolorose ripercussioni personali e sociali. Mentre è sintomatico notare che la maternità si dilata per così dire all’infinito nelle persone radicate in una verginità e in una sponsalità totalmente dedite alla causa del regno”
  • 53. Ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio… Se secondo la carne una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo quando accolgono la sua parola (S. Ambrogio)
  • 54. Chi non crede che Gesù è Dio non può dire a Maria che è la Madre di Dio Il fatto che Dio sia sceso dalla sua sovranità, incarnandosi nel grembo di Maria, è un invito per noi a scendere dalla nostra superbia, sia nei confronti di Dio, sia nei confronti degli uomini. Il grande peccato dell’orgoglio è sempre in agguato. Ogni giorno è un combattimento per restare a galla, per non essere schiacciato dall’altro, per primeggiare e prevalere sull’altro.