L’obiettivo della mia tesi è analizzare le nuove metodologie applicate per creare startup digitali di successo, dal metodo Lean Startup, al customer development, elencherò le fasi di sviluppo di un’idea per trasformarla in un business sostenibile che punti alla crescita. Verrà analizzato nel dettaglio il nuovo fenomeno sviluppato nella Silicon Valley e che sta creando molto entusiasmo qui in Italia, che ha cambiato il modo di acquisire i clienti e fare marketing: il Growth Hacking; ne approfondirò le tecniche e le strategie che consentono di completare il processo, attraverso l’analisi dei framework di supporto e la descrizione degli elementi che lo compongono: i diciannove canali di acquisizione, il funnel dei pirati e le metriche di crescita.
[...]
L’idea di affrontare questi temi è nata in quest’ultimo anno, insieme al mio team, abbiamo avuto il piacere di entrare a far parte al programma di accelerazione della durata di tre mesi dell’Università IULM, chiamato IULM Innovation Lab, con il progetto di business chiamato CreationDose, di cui attualmente faccio parte, in cui abbiamo affrontato gran parte degli argomenti di innovazione che andrò a descrivere. Li ho voluti approfondire per acquisire le competenze più moderne di sviluppo di un business, di marketing e di applicarli nei miei progetti imprenditoriali attuali e futuri .
5. INDICE
INTRODUZIONE................................................................................................ 1
CAPITOLO 1- STARTUP E GROWTH HACKING...................................... 3
1.1 Che cos’è una Startup? ................................................................................ 3
1.1.1 Startup: ecosistema italiano ed internazionale ....................................... 5
1.2. Perché le startup falliscono......................................................................... 7
1.3 Il metodo Lean Startup ................................................................................. 8
1.4 Il growth hacking: definizione e origine .................................................... 11
1.5 Growth Hacking e Marketing..................................................................... 14
1.6 Chi è il Growth Hacker? ............................................................................ 17
CAPITOLO 2: IL PROCESSO DI GROWTH HACKING .......................... 21
2.1 I quattro livelli del growth hacking............................................................ 21
2.2 Il processo di growth hacking .................................................................... 22
2.3 Gli elementi del processo ........................................................................... 29
CAPITOLO 3: DALL’IDEA AL BUSINESS ................................................. 35
3.1 Il ciclo di vita di una startup ...................................................................... 35
3.2. Problem Solution Fit ................................................................................. 37
3.2.1 Javelin Board........................................................................................ 39
3.2.2. Interviste di Customer Discovery........................................................ 40
3.3 Product Market Fit..................................................................................... 43
3.4. Minimum Viable Product .......................................................................... 45
3.5 Il Business Model Canvas .......................................................................... 48
CAPITOLO 4: STRATEGIE DI PRODOTTO .............................................. 53
4.1 Funnel dei pirati: AARRR .......................................................................... 53
4.2 Canali di Traction ...................................................................................... 61
4.2.2 Canali Push........................................................................................... 63
4.2.3 Canali Product...................................................................................... 64
4.2.4 Bullseye Framework ............................................................................ 65
6. 4.3. Il modello Hook ......................................................................................... 66
4.4 Trovare gli early adopter ........................................................................... 73
4.5 Strategie di acquisizione............................................................................. 79
CAPITOLO 5: METRICHE............................................................................. 83
5.1Obiettivi S.M.A.R.T e KPI ........................................................................... 83
5.2 One Metric that Matters per Business Model............................................. 86
CAPITOLO 6: INTERVISTE E CASE STUDY ............................................ 93
6.1 Interviste: Luca Barboni e Raffaele Gaito ................................................. 93
6.2 Case-Study: CreationDose ....................................................................... 101
CONCLUSIONE.............................................................................................. 107
RINGRAZIAMENTI....................................................................................... 109
7. 1
INTRODUZIONE
L’obiettivo della mia tesi è analizzare le nuove metodologie applicate per creare
startup digitali di successo, dal metodo Lean Startup, al customer development,
elencherò le fasi di sviluppo di un’idea per trasformarla in un business sostenibile
che punti alla crescita. Verrà analizzato nel dettaglio il nuovo fenomeno
sviluppato nella Silicon Valley e che sta creando molto entusiasmo qui in Italia,
cambiando il modo di acquisire i clienti e fare marketing: il growth hacking; ne
approfondirò le tecniche e le strategie che consentono di completare il processo,
attraverso l’analisi dei framework di supporto e la descrizione degli elementi che
lo compongono: i diciannove canali di acquisizione, il funnel dei pirati e le
metriche di crescita.
Essendo il growth hacking una disciplina nata recentemente, le pubblicazioni
bibliografiche non sono numerose; descriverò attingendo da fonti e libri
americani, dai libri italiani attualmente in commercio, da un corso online che ho
avuto il piacere di seguire e intervistando i professori del corso stesso.
L’idea di affrontare questi temi è nata in quest’ultimo anno, insieme al mio team,
abbiamo avuto il piacere di entrare a far parte al programma di accelerazione
della durata di tre mesi dell’Università IULM, chiamato IULM Innovation Lab,
con il progetto di business chiamato CreationDose, di cui attualmente faccio
parte, in cui abbiamo affrontato gran parte degli argomenti di innovazione che
andrò a descrivere. Li ho voluti approfondire per acquisire le competenze più
moderne di sviluppo di un business, di marketing e di applicarli nei miei progetti
imprenditoriali attuali e futuri.
9. 3
CAPITOLO 1- STARTUP E GROWTH HACKING
1.1 Che cos’è una Startup?
Per definire cos’è una startup, esistono diverse linee di pensiero poiché sono
delle imprese che si differenziano dalle imprese tradizionali per delle
caratteristiche specifiche. Steve Blank docente dell’università di New York ed
imprenditore seriale, nel 2010 ha dato una prima definizione di cos’è una startup,
diventata la definizione per eccellenza1
.
Egli definisce una startup: “un’organizzazione temporanea in cerca di un
business model scalabile, ripetibile e profittevole.”
Per scalabilità si intende quando i ricavi crescono più velocemente dei costi da
sostenere per generare ricavi stessi e quindi possibile passare da uno a centomila
clienti senza eccessivi sforzi finanziari.
Una startup è definibile ripetibile se può ottenere ricavi più volte nel tempo
attraverso l’erogazione di un prodotto o un servizio.
Essere profittevole è lo scopo di ogni impresa quindi anche di una startup, ovvero
quello di guadagnare dal prodotto sviluppato.
1
What’s a Startup First Principles [Online]. STEVE BLANK. (2010) Disponibile all’indirizzo:
https://steveblank.com/2010/01/25/whats-a-startup-first-principles/ (Consultato nell’Agosto
2017)
10. 4
La seconda definizione di startup è data da Paul Graham, cofondatore di Y
combinator, l’acceleratore più importante della Silicon Valley, nel 2012 2
definisce una startup un’azienda costruita per crescere velocemente.
Inoltre spiega perché ogni impresa che nasce non è una startup, ma solo una
piccola frazione. Ad esempio i ristoranti non sono definibili startup perché non
sono costruiti per crescere velocemente, a differenza di un motore di ricerca.
Per un’impresa crescere velocemente significa che si deve creare un prodotto che
le persone vogliono, raggiungere e servirle.
Per spiegare il concetto, viene confrontato un negozio di barbiere ed un software.
Un barbiere offre un servizio che soddisfa il bisogno delle persone di tagliarsi i
capelli, il problema per il barbiere (sia per ogni impresa retail) è che lui serve
personalmente i propri clienti, quindi in pochi viaggerebbero per un taglio di
capelli. E anche se lo facessero non si riuscirebbe a servirli tutti.
Mentre sviluppare un software è un modo per servire la maggior parte dei clienti
che sentono quel determinato problema. Ad esempio, se si dovesse sviluppare
una piattaforma per insegnare il tibetano agli ungheresi, sarà possibile
raggiungere la maggior parte di loro, ma sarebbero in pochi. Sviluppare un
software per insegnare inglese ai cinesi, si entra nel territorio delle startup.
2
Startup=Growth [Online]. PAUL GRAHAM.(2012)Disponibile all’indirizzo:
http://www.paulgraham.com/growth.html (Consultato nell’Agosto 2017)
11. 5
La terza definizione deriva da Eric Ries autore del libro “The Lean Startup” che
la definisce “un’istituzione umana che sviluppa un prodotto o un servizio
innovativo in un contesto di estrema incertezza” 3
.
Le startup si muovono in estrema incertezza visto hanno poche risorse per
costruire un nuovo prodotto che risolva determinati problemi e che ha bisogno di
continui esperimenti per crescere ed evolversi.
1.1.1 Startup: ecosistema italiano ed internazionale
Il fenomeno delle startup nasce nella Silicon Valley che già dai primi anni del
‘900 cominciò a produrre innovazioni, dai microchip fino ai giorni d’oggi con
Internet ed i social network. In Silicon Valley sono nate come startup le più
grandi e potenti aziende dei nostri tempi come Google, Apple e Facebook.
La forza della Silicon Valley è l’ecosistema che facilita l’innovazione e la
crescita della startup fino all’acquisizione da parte di altri aziende (exit), sono
concentrate infatti, un terzo del venture capital mondiale e solo nel 2016 sono
stati investiti 9 miliardi di dollari 4
.
In Italia l’ecosistema delle startup, nasce alla fine degli anni 90, dove nascono i
primi casi di successo come il primo motore di ricerca Italia Virgilio e di Yoox, il
3
What is a startup [Online] Startup Lesson Learned . Disponibile all’indirizzo:
http://www.startuplessonslearned.com/2010/06/what-is-startup.html (Consultato nell’Agosto
2017)
4
Venture Capital Investment. Silicon Valley Indicators.org [Online]. Disponibile all’indirizzo:
http://siliconvalleyindicators.org/data/economy/innovation-entrepreneurship/venture-capital-
investment/ (Consultato nell’Agosto 2017)
12. 6
primo e-commerce italiano dedicato al settore dei vestiti, il suo valore nel 2015,
ha superato il miliardo. Nel 2012 viene introdotto il decreto legge 18 ottobre
2012, n 179 detto anche Decreto Crescita 2.0, per la costituzione di startup
innovative, si iniziò a costruire un quadro di riferimento per favorire la nascita e
la crescita delle startup in Italia.5
Secondo il ministero dello sviluppo economico
nel 2017 le startup registrate all’albo delle startup innovative sono 6.851 in tutto
il paese.
Fonte: Smau.it
5
CHIODA E., DONADIO G., INGROSSO L., TRIPEPI T. Startup. Sogna, credici, realizza
[2016]
13. 7
1.2. Perché le startup falliscono
Fonte: thenextweb.com
Secondo Neil Patel, fondatore di KissMetrics e Crazyegg il 90% delle startup
falliscono, solo una su dieci riesce ad avere successo. 6
Esistono numerose cause
6
90% Of Startups Fail: Here's What You Need To Know About The 10% (2015) In: Neil
Patel Forbes.com [Online]. Disponibile all’indirizzo:
14. 8
per cui una startup fallisce come ad esempio: finire i capitali a disposizione molto
velocemente, un team composto da membri in modo sbagliato oppure il timing
con cui viene sviluppata un’idea di business. Una delle principali ragioni del
fallimento è la mancanza di validazione tra il prodotto che viene sviluppato e il
bisogno del mercato, detto product-market fit, ciò vuol dire che nessuno è
disposto a spendere del denaro per quel determinato prodotto.7
Secondo Eric Ries nel suo libro “The Lean Startup” la scrive che una delle
ragioni per cui una startup fallisce è l’utilizzo di un metodo manageriale vecchio,
che non consente alle startup di crescere velocemente ed andare sul mercato con
un prodotto valido8
.
1.3 Il metodo Lean Startup
Eric Ries, imprenditore americano che nel 2008 ha teorizzato la metodologia
Lean Startup, che consente alle startup di sviluppare un proprio modello di
business in modo snello e senza sprechi. La metodologia Lean ha le sue radici dal
Lean Manufacturing (coniato dai fratelli Womack e Jones nel libro La macchina
che ha cambiato il mondo) di Toyota, un modello di produzione leggero che
consiste nell’andare a verificare di persona ciò che le persone vogliono. Nel 2004
https://www.forbes.com/sites/neilpatel/2015/01/16/90-of-startups-will-fail-heres-what-you-
need-to-know-about-the-10/#2d9bfd0a6679. (Consultato nell’Agosto 2017)
7
Why startups fail, according to their founders. In: Erin Griffith[Online]. Disponibile
all’indirizzo : http://fortune.com/2014/09/25/why-startups-fail-according-to-their-founders/.
(Consultato nell’Agosto 2017)
8
RIES E. The Lean Startup: How Today's Entrepreneurs Use Continuous Innovation to Create
Radically Successful Businesses. 2010, 69
15. 9
il manager che si occupò della progettazione e dello sviluppo del minivan non
conosceva a fondo il Nord America che era il mercato principale del modello,
così ha organizzato un tour in tutti e cinquanta gli Stati Uniti, in Canada ed in
Messico. Ciò che capì è che i genitori o i nonni sarebbero stati i reali possessori
del modello, ma i bambini occupavano i due terzi posteriori del veicolo e che
sarebbero stati più attenti all’ambiente circostante. Proprio per questo la nuova
Sierra doveva piacere ai ragazzini. Questa validazione di ipotesi ha permesso alla
casa automobilistica giapponese di aumentare le vendite del modello Toyota
Sienna del 60% rispetto all’anno precedente.
Il Lean Manufacturing predica un processo di produzione snello e veloce basato
su evidenze empiriche più che su proiezioni e organizzazione basata su teoria. La
metodologia Lean Startup è basata sul ciclo Build-Measure-Learn, che permette
alle startup di ricevere feedback dai propri utenti.
“Queste informazioni sono assai più preziose dei soldi, dei riconoscimenti, o
delle citazioni sulla stampa, perché possono influire sulla prossima tornata di
idee da mettere in pratica e addirittura ridefinirle”9
9
RIES E. The Lean Startup: How Today's Entrepreneurs Use Continuous Innovation to Create
Radically Successful Businesses. 2010
16. 10
Fonte: http://eleganthack.com
Per applicare il metodo bisogna identificare le ipotesi da verificare: ipotesi
fiduciarie ovvero quelle basate sul valore e sulla crescita. Una volta chiarite le
ipotesi bisogna entrare nella fase di Build realizzando un Minimum Viable
Product, una dimostrazione di prodotto che ne mostra la value proposition, che
consente di compiere l’intero ciclo con il minimo sforzo, quindi entrare nella fase
Measure per misurare l’impatto, mettendolo di fronte a potenziali clienti,
valutare le reazioni e ricevere feedback a riguardo. La terza ed ultima fase Learn
ci consente di capire se sono state validate le ipotesi prefissate, capire come i
potenziali clienti rispondono e decidere se continuare con l’idea originaria o
17. 11
pivotare (svoltare) e quindi scegliere un altro percorso, e ripetere il ciclo fino a
trovare la nuova ipotesi da validare. Il metodo Lean permette alle startup di
prendere atto quando è il momento di fare pivot, riducendo sprechi di tempo e
denaro, e quindi il rischio di fallire.
Per effettuare questa metodologia e ridurre il rischio di fallimento le startup
devono adottare un nuovo approccio alla gestione dei loro processi e al
marketing.
Devono basare le loro decisioni strategiche sui dati che hanno raccolto e
diventare Data Driven, solo attraverso i dati, il continuo miglioramento del
prodotto, la validazione delle loro ipotesi, il confronto con i potenziali clienti e la
sperimentazione delle strategie di marketing senza esaurire le risorse a
disposizione, danno la possibilità di realizzare un prodotto che superi la fase di
product-market fit e puntare alla crescita.
Questo nuovo approccio, chiamato growth hacking - basato sulla metodologia
Lean Startup - nato nel 2010 ha consentito a realtà come Dropbox, Paypal e
Airbnb di diventare i colossi che sono adesso.
1.4 Il growth hacking: definizione e origine
Il termine growth hacking nasce il 26 luglio 2010 grazie ad un articolo 10
sul blog
di Sean Ellis, CEO di Growthhackers.com e precedentemente responsabile
marketing di Dropbox ed EventBrite, nell’articolo intitolato “Trova un Growth
10
Find a Growth Hacker for Your Startup. (2010)In: ELLIS S. [Online] Disponibile
all’indirizzo: http://www.startup-marketing.com/where-are-all-the-growth-hackers/ (Consultato
nell’Agosto 2017)
18. 12
Hacker per la tua startup”, ed è la prima volta in assoluto che viene usato questo
termine ed il termine Growth Hacker.
Le aziende in Silicon Valley si affidavano a lui quando avevano problemi di
crescita, e riusciva in pochi mesi a risolvere il problema, utilizzando un metodo
ben preciso. Per Sean Ellis il Growth Hacker, è quella persona che si focalizza
esclusivamente sulla crescita delle startup.
La crescita in una startup soprattutto digitale è la parte fondamentale della sua
vita (essendo la fase che viene dopo il Product Market Fit ed il suo sviluppo) e
permette di poter distribuire il prodotto a più persone possibili, nonché la più
difficile da attuare.
Il growth hacking nasce in un contesto dove i canali utilizzati dal marketing
digitale tradizionale erano saturi, che il sovraffollamento di pubblicità online e il
budget delle grandi aziende è superiore a quello delle startup che non hanno
molta disponibilità economica. Sean Ellis capì che nell’ambito digitale stavano
nascendo nuovi canali che potevano essere utilizzati per la crescita delle startup,
e che c’era bisogno di un nuovo approccio al marketing digitale senza doverlo
chiamare marketing, poiché l’approccio del Growth Hacking doveva essere
creativo, adattabile e misurabile.
Il Growth Hacking attinge a diverse discipline esistenti, ovvero tra l’intersezione
tra il marketing, il prodotto ed il coding, inoltre prende gli elementi principali
della metodologia Lean Startup, poiché si basa sperimentazione a cicli rapidi
ovvero Build -Measure-Learn.
19. 13
Fonte:raffaelegaito.com
Etimologicamente la parola growth hacking è formata da “Growth” che si
significa “crescita” e “Hacking” ovvero l'insieme dei metodi, delle tecniche e
delle operazioni volte a conoscere, accedere e modificare un sistema hardware o
software 11
Il termine “hacker” non deve avere un’accezione negativa, non
bisogna intenderlo come qualcuno che ruba dati sensibili, o che attacca i server
delle aziende, ma quella figura che, pensando “fuori dagli schemi”, riesce a
trovare soluzioni innovative a problemi consueti, ignorando le normali prassi,
regole o vincoli.
11
Hacking. Wikipedia.org. [Online] Disponibile all’indirizzo:
https://it.wikipedia.org/wiki/Hacking. (Consultato nell’Agosto 2017)
20. 14
Il growth hacking viene definito un processo ad sperimentazione rapida su canali
di marketing e di prodotto, al fine di trovare il modo più efficiente di scalare un
business.
È un metodo scientifico composto da step ben definiti. In questo modo è
possibile rendersi conto dei risultati ottenuti e dei problemi riscontrati in ogni
fase del processo e apportare le dovute modifiche tempestivamente.
1.5 Growth Hacking e Marketing
“Il growth hacking è marketing. È il futuro del marketing. È quello che il
marketing doveva essere all’inizio.”
Micheal Brenner
Il growth hacking è un nuovo approccio ed un nuovo mindset del marketing.
Esso nasce dall’esigenza di snellire e velocizzare quelle che sono le fasi del
marketing aziendale e quelle delle esigenze di un mercato sempre più
competitivo, al fine di far crescere più rapidamente possibile un business. Questo
approccio dà il vantaggio di poter cambiare rapidamente il modo in cui si
acquisiscono gli utenti grazie agli esperimenti fuori dagli schemi del marketing
tradizionale, che sono guidati dai dati ottenuti, riducendo i tempi e gli sprechi,
con un focus costante sulla crescita. Se ad esempio un’azienda tradizionale ha
come obiettivo di crescere del dieci percento l’anno, il growth hacker ha come
obiettivo la crescita del venti percento al mese. 12
Esso ripercorre tutti i punti del
12
Le differenze tra Growth Hacking e Marketing tradizionale (2016) Growth hacking Italia
[Online] Disponibile all’indirizzo: http://growthhackingitalia.com/differenze-growth-hacking-
marketing-tradizionale/ (Consultato nell’Agosto 2016)
21. 15
marketing tradizionale, quindi le fasi di analisi interna ed esterna, strategica e
operativa ma invece nel marketing tradizionale viene delineato un piano di lungo
periodo, stanziando budget e tempi ben precisi, non garantendo effettivamente il
risultato con il rischio di aver sprecato budget e risorse. Analizzare lo scenario e
pianificare una strategia non è efficace finché non si incontrano i propri clienti, si
avranno solo ipotesi e non verità assolute. Il growth hacking è un processo di
sperimentazione convalidata, tramite esperimenti rapidi, andando ad escludere le
strategie che non funzionano grazie al continuo monitoraggio dei dati ottenuti,
migliorare il prodotto e trovare la strategia migliore su cui focalizzarsi ed
investire risorse su di essa.
Sean Ellis quando cercava un “VP of Marketing”, veniva inondato da
candidature da parte di marketer, che avevano tutte le skill perfette per realizzare
un’ottima comunicazione di prodotto ed essere adatti a quel ruolo. Sean Ellis
notò però, che mancava loro qualcosa, il tipo di strategie che lui usava non
venivano dal marketing tradizionale; si trattava dell’impatto strategico e del
mindset. Mentre il marketer tradizionale si concentra su obiettivi molto più vasti
come la brand awareness o gestire i canali di comunicazione, lui cercava
qualcuno che avesse bisogno di mantenere il focus nell’individuare quella
metrica chiave all’interno del business model, e fare di tutto per farla crescere.
22. 16
Sean Ellis da quel momento smise di cercare un “VP of Marketing” e cominciò a
cercare dei growth hacker.
Fonte: http://growthhackingitalia.com/
Uno dei più recenti casi di cambi al vertice societari è accaduto nel marzo del
2017, quando la Coca Cola ha sostituito il suo Chief Marketing Officer con il
Chief Growth Officer, una figura responsabile della crescita dell’azienda13
.
13
The Coca-Cola Company Announces Senior Leadership Appointments (2017). Coca Cola
Company [Online]. Disponibile all’indirizzo:
http://www.coca-colacompany.com/press-center/press-releases/the-coca-cola-company-
announces-senior-leadership-appointments (Consultato a Settembre 2017)
23. 17
1.6 Chi è il Growth Hacker?
“Il growth hacker è una persona la cui stella polare è la crescita”
Il growth hacker è quella persona che si focalizza esclusivamente sulla crescita
delle startup definendo un singolo obiettivo a cui sono correlati tutti i suoi sforzi,
a differenza del marketing manager, il cui scopo è quello di gestire e mantenere
attivi una serie di attività e canali. Essendo il growth hacking una metodologia
posizionata al centro tra più discipline, anche il growth hacker deve avere
competenze multidisciplinari.
La caratteristica principale è la formazione a “T”, ovvero essere esperti in pochi
argomenti come ad esempio il Content Marketing o l’Email Marketing ed avere
conoscenze trasversali come ad esempio l’analisi dei dati, l’A/B testing ed il
coding.
Fonte: growthtribe.io
24. 18
Il growth hacker è un professionista che conosce i principi di digital marketing e
di programmazione che lavora con budget e risorse limitate che ha il compito di
aumentare il traffico e le conversioni per trasformare quanti più visitatori
possibili in utenti.
Il growth hacking unisce numerose discipline e di conseguenza trovare growth
hacker risulta una sfida quasi impossibile; per risolvere questo problema devono
le startup stesse ad orientarsi alla crescita e quindi formare un:“Growth Team”.
Fonte: http://blog.growthtribe.io/
Il growth team è formato da:
1. Responsabile della crescita “Head of Growth”: la figura centrale del team
di crescita che conosce i meccanismi del growth hacking, con una
formazione a T con il focus sul marketing, ma che sappia interpretare i
25. 19
dati ottenuti, ha il compito di comprendere le strategie dei vari canali di
acquisizione, saper allocare il budget per i test e gestire un team.
1. Programmatore “Developer”: è colui che scrive il codice del prodotto,
costruisce le pagine web che consentono al team di eseguire gli esperimenti di
A/B testing, di automatizzare i processi, e aiutare nell’ottimizzazione SEO e
nell’acquisizione degli utenti.
1. Designer: figura che disegna l’interfaccia del sito e dell’ user experience
della piattaforma con le varie caratteristiche, per rendere il prodotto facile da
usare.
1. Data Analyst: è un professionista dell’estrazione, analisi e interpretazione
dei dati, fondamentale per capire se gli esperimenti in corso stanno ottenendo i
risultati sperati e saper prendere decisioni basati su di essi e non su sensazioni
individuali.14
Una volta definito cos’è il growth hacking, aver spiegato la differenza con
marketing tradizionale e il ruolo del growth hacker, nel capitolo successivo ne
verrà descritto nel dettaglio il processo di sperimentazione rapida, con i relativi
elementi e fasi che lo compongono.
14
ELLIS S. Hacking Growth (2016)
27. 21
CAPITOLO 2: IL PROCESSO DI GROWTH HACKING
2.1 I quattro livelli del growth hacking
Fonte: Slide Raffaele Gaito
Le parti fondamentali del growth hacking si fondano su quattro livelli in modo da
comporre una piramide.
Il primo livello della piramide è formato dalle Fondamenta che contengono tutti
i gli elementi teorici della metodologia Lean Startup che guidano a livello
strategico l’agire del growth hacker quindi la filosofia customer centric, di
prendere decisioni basate sui dati e di sapere che senza testare non si può essere
sicuri delle strategie.
28. 22
Il secondo livello è il Processo che è la fase più importante poiché gli elementi
delle fondamenta si traducono in buone pratiche di gestione del lavoro e del team
affinché si possa seguire un flusso continuo di sperimentazione e di
apprendimento validato basato sui dati.
Il terzo livello della piramide è composto dalle Skill, che si riferisce alle
competenze trasversali del growth hacker, che superano i limiti del marketing,
quindi un professionista con un background formativo a forma di T.
Il quarto ed ultimo livello è composto dalle Tattiche, il processo a
sperimentazione continua porterà ad individuare a delle singole strategie o il
“Growth Hack”. Questa è la fase meno importante del growth hacking poiché
come già accennato la fase più importante è il processo, analizzato nel paragrafo
successivo.
2.2 Il processo di growth hacking
Quando ci si riferisce a casi di successo che hanno ottenuto una crescita
esponenziale tramite un growth hack, si fa riferimento ad esempi molto famosi
come ad esempio Dropbox che tramite il suo programma di referral, che aumenta
lo spazio in memoria di 500 megabyte, se invita un suo amico ad usare la
piattaforma.
Queste strategie di crescita sono diventate uno standard nelle piattaforme digitali,
poiché viene copiata dalle piattaforme concorrenti o similari, diventando una best
29. 23
practice del settore e andando a perdere il vantaggio competitivo ottenuto, che ha
permesso di aggredire un mercato in una maniera nuova.
Per questo non è importante focalizzarsi sulle singole strategie e tattiche di
crescita.
Il processo di growth hacking è l’unica fase che può essere trasversale al contesto
storico, al prodotto, al business e alle tecnologie. Ha quattro caratteristiche ben
specifiche:
1.Creatività: la creatività è uno degli elementi principali del Growth Hacking
perché consente di progettare il design degli esperimenti in maniera innovativa e
mai usata da altri.
2.Espandibilità: l’obiettivo delle startup deve essere scalabile, quindi ogni
esperimento deve essere creato per essere replicabile e far scalare la startup.
3.Rapidità: il processo deve essere il più rapido possibile per consentire a
raccogliere dati e feedback, per riuscire ad ottimizzare gli esperimenti.
4.Adattabilità: il processo deve funzionare in contesti diversi, dal punto di vista
del budget e tecnologici, in caso di pivot.
30. 24
È fondamentale capire come gestire gli esperimenti e di progettarli. Questa è una
delle principali differenze tra il growth hacking ed il marketing, perché il
marketing si concentra su canali conosciuti e strategie utilizzati dal settore, nel
growth hacking si gestisce un processo di sperimentazione continua per scoprire
il prossimo growth hack. 15
Il processo di growth hacking è un sistema che se progettato nel modo corretto,
porta alla crescita. Esso è strutturato in sei stadi:
1. Definizione degli obiettivi S.M.A.R.T (capitolo 5)
2. Implementazione degli strumenti di Analytics per tracciare gli obiettivi e le
metriche
3. Esecuzione degli esperimenti
4. Ottimizzazione degli esperimenti
5. Ripetere l’esperimento di successo16
15
Growth Hacking Masterclass [2017] Corso online su http://lacerba.io [Online] Consultato a
Giugno 2017
16
PATEL N. The Definitive Guide to Growth Hacking Capitolo 3 [Online] Disponibile
all’indirizzo: https://www.quicksprout.com/the-definitive-guide-to-growth-hacking-chapter-3/ .
Consultato a Settembre 2017
31. 25
Fonte:raffaelegaito.com
Gli esperimenti devono essere molteplici, poiché più ne vengono eseguiti e falliti,
più viene interiorizzato l’apprendimento. È necessario infatti che solo uno degli
esperimenti funzioni, e che porti alla crescita e all’acquisizione degli utenti,
ovvero il growth hack, fondamentale per la costruzione del motore di crescita:
Growth Engine.
La metodologia di eseguire test in breve tempo è stata teorizzata da Sean Ellis ed
è chiamata “High Tempo Testing”17
.
17
High Tempo Testing Revives Growth Hackers.com[Online] Disponibile all’indirizzo:
https://growthhackers.com/growth-studies/high-tempo-testing-revives-growthhackers-com-
growth. Consultato a Settembre 2017
32. 26
Fonte: growthackers.com
“È fondamentale comprimere nel minor tempo possibile il maggior numero di
esperimenti per trovare il growth hack.”
Sean Ellis
Essendo il processo di growth hacking basato su esperimenti continui, essi
possono riguardare i canali di marketing oppure sul prodotto.
Gli esperimenti nel dettaglio, devono essere rapidi, si investe inizialmente ad
ogni esperimento budget ridotti e successivamente, se l’esperimento si dimostra
vincente e si raggiungono gli obiettivi preimpostati, si investono maggiori risorse
33. 27
su di esso. Anche se un esperimento fallisce si avranno raccolte numerose
informazioni sul prodotto e sugli utenti.
Per gestire gli esperimenti si prende in prestito il framework la gestione dei
processi e di sviluppo software SCRUM18
, creato da Ken Schwaber e Jeff
Sutherland nel 1995, e l’utilizzo di piattaforme che permettono di gestire i
processi come Trello19
Fonte: gcn.com
Questo metodo permette di raccogliere le idee, prioritizzarle, eseguirle e
misurarle.
18
Scrum Guides [Online]. Disponibile all’indirizzo: http://www.scrumguides.org/. Consultato a
Settembre 2017
19
Trello.com [Online]. Disponibile all’indirizzo: http://trello.com. Consultato a Settembre 2017
34. 28
Nel prossimo paragrafo verranno analizzati gli elementi che costituiscono il
processo di growth hacking.
35. 29
2.3 Gli elementi del processo
Gli elementi del processo di growth hacking sono stati sintetizzati da Brian
Balfour, Chief Growth Officier di HubSpot .
Fonte: blog.kissmetrics.com/
Il processo viene suddiviso in sei elementi:
1. Brainstorming: il primo passaggio è la generazione di idee che andranno
testate, esse vengono basate da una Growth Hypothesis che “è una
supposizione che permette di capire e testare come gli utenti entreranno in
contatto con il prodotto e definire il modo più efficiente per acquisire
clienti nuovi e aumentare il bacino di utenza”. [Startup Marketing libro]
36. 30
In questa fase, le idee sono prive di giudizi e limitazioni e di includerne il più
possibile. Le idee possono riguardare: il test di nuovi target, l’introduzione di
nuove funzioni di prodotto, nuovi spunti di A/B testing. Queste idee vengono
suddivise secondo gli step del funnel dei pirati. Alla fine del brainstorming verrà
creato un database (idea backlog) che contiene le idee e la fase del funnel a cui ci
si rivolge.
Uno degli aspetti più importanti del brainstorming è che tutto il team ne deve
essere coinvolto, dallo sviluppo, al design e al marketing; avendo così un
contributo completo sulle opportunità da cogliere.
2) Prioritize: per prioritizzare un’idea e quindi iniziare un test è necessario
capire di quante risorse si ha a disposizione. Uno dei framework di supporto per
la prioritizzazione delle idee è il B.R.A.S.S un foglio di calcolo che permette di
valutare le idee generate attraverso i seguenti parametri a cui viene attribuito un
valore da 1 a 5:
•Blink: indica quanto l’idea è stata detta d’istinto
• Relevance: l’ importanza del contenuto al canale
• Availability: la facilità della realizzazione dell’idea, ed il suo effettivo costo in
termini di tempo o di denaro
• Scalability: se è ripetibile nel tempo
• Score: infine viene attribuito un risultato finale dato dalla somma dei parametri
precedenti.
L’idea che ottiene il punteggio può essere testate e sperimentata.
37. 31
Un sistema di prioritizzazione adottato da Sean Ellis, è il modello I.C.E. 20
un
acronimo che sta per Impact: Indica il potenziale dell’idea. L’impatto risponde
alla domanda: “Se la strategia ha successo quanto sarà grande il successo che
otterremo?”
Confidence: è la possibilità di successo dell’idea. Risponde alla domanda: “Quali
sono le probabilità che la nostra strategia abbia successo?”.
Ease: da 1 a 10 quanto è facile realizzare l’idea. Risponde alla domanda “Quante
risorse sono necessarie a realizzare il test relativo a questa idea?”.
3)Test: una volta prioritizzata l’idea si passa al testing. Il test consiste nel
considerare l’idea di marketing come degli esperimenti. Per formulare questi
esperimenti si utilizza un documento chiamato experiment doc.
20
ELLIS S. Hacking Growth (2016)
38. 32
fonte: https://i.pinimg.com/o
È composto dai seguenti elementi:
1. Nome del test: si dà un nome al test per riconoscere i vari test che sono
stati lanciati, si scrivono delle sigle che si riferiscono al numero del test,
nome del test, step del funnel e a chi si rivolge. Ad esempio: EID
(Experiment identification) 1 (numero dell’esperimento)/2017 (anno
39. 33
dell’esperimento) - Awareness (fase del Funnel) pubblicare un video al
giorno sulla pagina Facebook (nome dell’esperimento). Successivamente
si definisce chi sarà il coordinatore delle operazioni e chi renderà conto
dei risultati.
2. Durata del Test: ogni test ha un inizio ed una fine, hanno una di una o due
settimane, eccetto casi particolari.
3. Ipotesi di partenza: è l’idea esplicitata sotto forma di ipotesi. Ad esempio:
“Crediamo che pubblicare video sulla pagina Facebook possa aumentarne
la copertura”
4. Test: viene definito come si intende procedere con l’esperimento e come
realizzarlo. Ad esempio “Per verificare questo, pubblicheremo un video al
giorno sulla pagina Facebook”
5. Metriche: si identifica la metrica di riferimento o il KPI che va monitorata
per capire se il test ha avuto successo o meno. Ad esempio “Copertura
organica giornaliera”
6. Risultati attesi (Criteria): Si quantifica l’impatto desiderato per poter
decretare il fallimento o il successo di un esperimento. Ad esempio:
“Abbiamo ragione se la copertura della pagina aumenta del 30% rispetto
alla settimana precedente”.21
4)Implement: Una volta che l’experiment doc è stato delineato, si passa
alla fase di implementazione. In questa fase si scompone il test in una serie di
task e si assegna alle risorse coinvolte, facendo rispettare i tempi di consegna,
validando i contenuti per effettuare il test e assicurarsi di non avere problemi
durante l’esecuzione.
21
BARBONI L. (2017) Growth Hacking fai crescere la tua impresa online. Flaccovio Editore,
Palermo. 163-168
40. 34
5) Analyze: Concluso il test, si passa alla fase di analisi si utilizzano
piattaforme di analisi. Per capire cosa sta succedendo si guardano i dati
quantitativi (hard data), e per capire perché sta succedendo, si misurano i dati
qualitativi (soft data). Per misurare i dati quantitativi si utilizzano piattaforme di
web analytics come Google Analytics, mentre per analizzare il comportamento
degli utenti all’interno del sito si utilizzano tool che forniscono mappe di calore
come Hotjar.
6) Systemize: Lo step di sistematizzazione è la fine del processo, in questa fase
si decide se l’esperimento è fallito oppure si è rivelato un successo, e quindi
renderlo parte dei processi aziendali.
Analizzato il processo di growth hacking, nei successivi paragrafi saranno
descritti le fasi della vita di una startup dalla semplice intuizione di un’idea alla
costruzione di un business che possa essere valido per il mercato.
41. 35
CAPITOLO 3: DALL’IDEA AL BUSINESS
3.1 Il ciclo di vita di una startup
Steve Blank, imprenditore seriale della Silicon Valley ha teorizzato il ciclo di
vita di una startup nel suo libro The Four Steps to Epiphany22
, osserva che uno
dei motivi per cui moltissime startup falliscono nonostante una buona idea ed un
buon team, è per un errore sistematico in cui veniva concepito il lancio di nuovi
prodotti.
Il modello tradizionale composto da sette step:
1)Business Idea
2)Analisi del mercato
3)Analisi dei requisiti
4)Design
5)Sviluppo
6)Controllo qualità
7)Lancio
Ritardava il più possibile il lancio del prodotto, affinché sia costruito in modo
perfetto, l’incontro con il cliente finale e così facendo viene massimizzato il
rischio imprenditoriale. Viene speso del tempo per fare ricerche di mercato
(senza intervistare gli utenti finali), pianificare il prodotto secondo una visione
del team (senza chiedere quale fosse la feature più voluta), è stato investito del
22
BLANK S. (2013) The Four Steps to the Epiphany: Successful Strategies for Products that
Wins
42. 36
budget di sviluppo (senza sapere che bastava una versione più semplice ed
economica) e di marketing (senza aver capito che quel prodotto non serviva a
nessuno).
Per questo è nato il metodo Lean Startup (capitolo 1), per minimizzare il rischio
di fallimento delle startup tramite un processo continuo di feedback durante lo
sviluppo del prodotto. Il ciclo di vita di una startup viene strutturato da Steve
Blank in:
1)Ricerca del Business Model composto dalle fasi di
Customer Discovery: la comprensione delle esigenze degli utenti
Customer Validation: la definizione di un modello di vendita che possa essere
replicato
2)Execution del Business Model con le sottofasi di
Customer Creation (o Growth) : la comprensione della scalabilità del business
attraverso un piano di marketing e di vendita che possa essere ripetuto nel tempo
Company Building: la creazione di singoli dipartimenti e processi che supportano
la crescita futura
43. 37
Lean
Fonte: upscalability.com
Sviluppare un’azienda da zero ad un milione di clienti richiede l’attraversamento
di diverse fasi ed a seconda delle fasi, cambiano gli obiettivi ed è fondamentale
capire qual è la fase in cui si trova una startup ed impostare le diverse strategie e
metriche per passare alla fase successiva.
3.2. Problem Solution Fit
“Non innamorarti della soluzione, innamorati del problema.”
Uri Levine, CEO Waze
44. 38
Fonte: mdi.com.pk
Per sviluppare un business di successo quindi non basta sviluppare un ottimo
prodotto, ma bisogna individuare un problema che una nicchia (trovare gli early
adopter) di persone che ne soffrono, che sia sufficiente per definire un mercato e
cercarne una soluzione. Per questo bisogna individuare il Problem-Solution Fit,
in questa fase è fondamentale quindi intervistare le persone che soffrono questo
problema per capire se sono state fatte le giuste ipotesi sulla soluzione e sul
problema, ed è inoltre un buon modo per capire come costruire il prodotto.23
23
Becoming a Lean Startup Guru [Online] In: Ash Maurya. Disponibile all’indirizzo:
http://startitup.co/guides/294/becoming-a-lean-startup-guru. Consultatto ad Agosto 2017
45. 39
3.2.1 Javelin Board
Fonte: http://startinte.it/
La Javelin Board è un framework tipico del metodo del metodo Lean
Startup, che permette di validare l’idea perché permette di accoppiare le ipotesi
di problema di un determinato target con quelle della soluzione ipotizzata quindi
è utile nella fase di Problem-Solution Fit, il suo punto di forza è quello di poter
effettuare dei pivot molto velocemente . È composta da tre blocchi che hanno lo
scopo di trovare la giusta soluzione ad un problema comune ad una nicchia di
persone. Il primo blocco è dedicato al brainstorming, in questa fase bisogna
rispondere alle domande:
46. 40
-Chi è il vostro cliente? Sii il più specifico possibile
-Qual è il problema? Esponilo dal punto di vista del cliente?”
-Definisci la soluzione solo dopo aver trovato un problema che valga la
pena risolvere
- Scrive le assunzioni che devono essere vere per confermare le ipotesi
A queste domande vanno definite delle risposte nei blocchi nella parte
destra del grafico, rispondendo a tutte le domande escludendo quella della
soluzione; vanno ipotizzate le massime assunzioni di rischio e un criterio di
successo in modo da capire in percentuali quante persone soffrono di quel
determinato problema. La seconda fase per validare l’idea è quella di “Get out of
the building” (uscire dalle mura) quindi bisogna intervistare di persona i
potenziali clienti che soffrono quel problema e raccogliere i dati reali, in questo
modo si sintetizza l’apprendimento e capire dai risultati ottenuti se continuare
con la soluzione pensata oppure effettuare un pivot e poter completare i blocchi
di “risultati e decisioni” e “quello che hai imparato”. Se invece non è stata
validata la soluzione si ripete il processo fino a trovare una soluzione che merita
di essere sviluppata. Solo se si è trovata la giusta soluzione ad un problema
sofferto, si può completare il blocco della soluzione, e poter parlarne con i
potenziali clienti.
3.2.2. Interviste di Customer Discovery
Per intervistare i propri clienti in modo da validare le nostre idee e quindi passare
alla fase di “ Get out of the building”, si utilizza il metodo di Customer Discover
47. 41
sviluppato da Steve Blank,24
in questo modo si potrà capire se esiste un problema
e quanto è importante.
Nella fase di Customer Discovery uno dei principi fondamentali e quello di non
parlare mai dell’idea, perché può suggestionare l’intervistato a confermare che
quell’idea è buona.
La seconda regola di Customer Discovery è quella di non parlare mai del futuro
come ad esempio “Se sviluppassimo un prodotto che risolve il problema X, lo
useresti?” perché parlando al futuro si chiede al cliente di predire qualcosa che
ancora non esiste.
Le domande da chiedere devono riferirsi ad avvenimenti che sono accaduti al
passato e che siano domande che lascino spazio all’interlocutore in modo che sia
in grado di condividere i suoi punti di vista.
Inoltre è preferibile non formulare domande che impediscano all’interlocutore di
non condividere i propri punti di vista rispetto all’argomento di riferimento.
È consigliabile formulare domande in modo da far argomentare l’intervistato per
ottenere maggiori informazioni.25
24
Customer Discovery: The Search for Product/Market Fit. 2 Minutes to See Why (2014). Steve
Blank.com [Online]. Disponibile all’indirizzo: https://steveblank.com/2014/06/28/customer-
discovery-the-search-for-productmarket-fit-2-minutes-to-see-why/
25
Customer Discovery.com [Online] Disponibile all’indirizzo: http://customerdiscovery.com/.
Consultato nell’Agosto 2017
48. 42
Le domande da sottoporre all’intervistato possono essere, ad esempio:
1. Qual è la parte più difficile del [contesto del problema]?
2.Quando ti è capitata l’ultima volta questo problema?
3. Perché era così tanto difficile?
4. Cosa hai fatto per risolvere questo problema?
5. Cosa non ti piace della soluzione che hai provato?26
26
How I Interview Customers(2013) Disponibile
all’indirizzo:http://customerdevlabs.com/2013/11/05/how-i-interview-customers
49. 43
3.3 Product Market Fit
Fonte: startupmarketing.com
“Trovarsi in un buon mercato in grado di soddisfare quel mercato”
Marc Andreessen
Il product market fit è un concetto fondamentale del metodo Lean Startup,
letteralmente significa che il prodotto che si ha in mente di sviluppare sia in
sintonia con le esigenze del mercato di riferimento.
50. 44
Per capire se una startup ha raggiunto il product market fit si utilizza un metodo
che Sean Ellis ha usato con le startup con cui faceva consulenza 27
1. Si somministra un sondaggio sulla base utenti ponendo la domanda
chiave: “Se il prodotto fosse ritirato dal mercato da domani, come ti
sentiresti”
2. Se almeno il 40% risponde che si sentirebbe “arrabbiato” o “molto
insoddisfatto”, può essere considerato un segnale di raggiungimento del
PMF
Sean Ellis sostiene che è possibile costruire un business sostenibile solo quando
gli utenti cominciano a percepire quel prodotto o servizio come must-have. 28
Una volta aver raggiunto il PMF, bisogna andare alle fasi successive della
piramide della Startup (figura). Di seguito una breve descrizione dei passaggi da
attuare prima di passare alla fase di scaling:
● Promettere: Bisogna evidenziare i benefici descritti dagli utenti che
sarebbero molto dispiaciuti se il prodotto fosse ritirato dal mercato
27
Sean Ellis’ product/market fit survey Measuring & Understanding Product/Market Fit
Qualitatively(2016) ELLIS S. [Online] Disponibile all’indirizzo:
https://www.slideshare.net/hiten1/measuring-understanding-productmarket-fit-qualitatively/3-
Sean_Ellis_productmarket_fit_surveysurveyio
28
Using Survey.io [Online] In: Sean Ellis. Disponibile all’indirizzo: http://www.startup-
marketing.com/using-survey-io/ . Consultato nell’Agosto 2016
51. 45
● Economici: Bisogna implementare il modello di business che permette di
acquisire con profitto la maggior parte degli utenti.
● Ottimizzare: Migliorare il processo di acquisizione dei clienti per
renderlo ripetibile e scalabile, testando approcci multipli. Inoltre è
fondamentale monitorare e migliorare le metriche che contano. 29
3.4. Minimum Viable Product
Il Minimum Viable Product (da ora MVP), è una versione della value proposition
del prodotto, che permette agli utenti che soffrono un determinato problema, di
sperimentare la soluzione; l’MVP non è una versione di sviluppo del prodotto ma
è uno strumento che permette di massimizzare l’apprendimento con il minimo
degli sforzi in termini di tempo e costi.
L’obiettivo dell’MVP è creare una prima interazione con gli early adopter e
iniziare a raccogliere dati quantitativi sul progetto, deve permettere al team di
entrare nel ciclo di feedback Build-Measure-Learn.
È necessario scegliere l’MVP giusto da mostrare ai potenziali utenti in base a tre
importanti fattori:
● “Fidelity” del prodotto: se ha un’alta o bassa fedeltà rispetto al prodotto
finito.
● Numero di persone raggiunte: a quante persone è possibile mostrare
l’MVP
● Lunghezza del ciclo feedback: in quanto è possibile raccogliere i dati.
29
The Startup Pyramid [Online] ibidem
52. 46
Esistono diversi MVP che possono essere realizzati:
● Explainer Video: è un video breve dopo vengono spiegate le
caratteristiche del prodotto, e perché bisogna comprarlo. La durata del
video in media dura dai 30 ai 90 secondi. Dropbox ad esempio ha usato
prima del suo lancio questa tecnica per illustrarne le potenzialità da cui ha
ottenuto cinque mila iscrizioni. 30
● Slide: una breve presentazione che in poche diapositive mostri le
caratteristiche principali del prodotto. Le slide sono spesso utilizzate nei
pitch di presentazione.
● Pitch: è l’esposizione dell’idea di business davanti ad una platea o ad un
investitore della una durata dai 3 ai 5 minuti. Esiste una variante chiamata
“elevetor pitch” della durata di 30 secondi.
● Mockup: sono esempi di interfaccia del prodotto, prima di essere
realizzato. È possibile creare mockup interattivi usando tool come
inVision.
● Landing Page: lo scopo principale della landing page è quello di
comunicare velocemente il valore offerto e convertire i visitatori in
potenziali iscritti.
30
MVP Drobox [Online] Youtube.com.. Disponibile all’indirizzo:
https://www.youtube.com/watch?v=vY3OtMBCEKY. Consultato a Settembre 2017
53. 47
● Concierge o Mago di Oz: è un MVP che fornisce un’esperienza
all’utente simulando automazione. È stato utilizzato da Nick Swinmurn il
fondatore di Zappos. Nel 1999 volle realizzare un ecommerce online di
scarpe, invece di sviluppare la piattaforma da zero, decise di seguire
un’altra strada, temendo che le persone non comprassero scarpe online,
decise di fotografare le scarpe dei negozi fisici (con il loro consenso),
pubblicarle online e metterle in vendita. Ogni volta che un ordine
cominciava, lui stesso gestiva tutto in modo manuale: andava in negozio,
comprava le scarpe ordinate, le spediva, gestiva i pagamenti e i recessi.
Così facendo, validò il mercato, il bisogno dei clienti, il modello di
business, simulando un servizio ancora inesistente, con il lavoro
manuale.31
● Crowfunding : è l’MVP di maggior effetto ma anche quello più difficile
da realizzare. Consiste nel mostrare il progetto e richiedere una raccolta
fondi. 32
Successivamente alla fase di validazione, il passo successivo è quello di unire gli
elementi che compongono un business model sostenibile, in modo rapido e senza
sprechi attraverso uno schema strategico innovativo: il Business Model Canvas.
31
RIES E. The Lean Startup: How Today's Entrepreneurs Use Continuous Innovation to Create
Radically Successful Businesses. 2010
32
The Ultimate Guide to Minimum Viable Products [Online] BLAGOJEVIC V. Disponibile
all’indirizzo: https://scalexl.com/the-ultimate-guide-to-minimum-viable-products/. Consultato a
settembre 2017
54. 48
3.5 Il Business Model Canvas
Il Business Model Canvas è uno strumento strategico di che utilizza il linguaggio
visuale per creare e sviluppare modelli di business innovativi, ad alto valore e
consente di rappresentare visivamente il modo in cui un’azienda crea,
distribuisce e cattura valore per i propri clienti.
Il Business Model Canvas nasce nel 2010 e lo crea Alex Ostelwalder 33
, è un
framework composto da nove blocchi che permette di riassumere tutti gli
elementi di business, e permette di passare da un approccio classico ad uno più
intuitivo visto che in un solo foglio viene rappresentato il business model, a
differenza di business plan di decine o centinaia di pagine.
Fonte: businessmodelcanvas.it
33
Alex Osterwalder.com [Online] Disponibile all’indirizzo:http://alexosterwalder.com/.
Consultato nell’agosto 2017
55. 49
L’idea è che il foglio di carta diventi una tela sulla quale i team possano
descrivere il proprio modello di business, compilandolo attraverso post-it per
facilitare il cambiamento o l’evoluzione del business model stesso. È composto
dai seguenti blocchi:
1. Segmenti di clientela: descrive i differenti gruppi di persone e/o
organizzazioni ai quali l’azienda si rivolge. Nel caso in cui il business
model corrisponde ad un market place si coinvolgono entrambi i segmenti,
preferibilmente usando post-it di colore diverso perché permette di
costruire il pacchetto di prodotti e servizi attorno alle precise esigenze di
ogni specifico cluster di clienti. Risponde alle domande: “Per chi stai
creando valore?” oppure “Qual è il tuo cliente più importante?”
2. Proposta di valore: nota anche come “value proposition”, indica il
pacchetto di prodotti e servizi che rappresenta un valore per uno specifico
segmento di clienti. In questo blocco, gli elementi da inserire non sono
solo i prodotti e servizi (ovviamente suddivisi per linee e tipologie).
Bisogna considerare anche altri elementi di valore che vengono proposti al
cliente, come esperienza d’uso particolare, economicità, innovazione ed
accessibilità. Risponde alla domanda:” Perché i clienti dovrebbero
scegliere il tuo prodotto/servizio?”.
3. Canali: descrive come l’azienda raggiunge un determinato segmento di
clientela per presentargli e fornirgli la sua proposta di valore. Sono i punti
di contatto tra l’azienda e i suoi clienti. Possono essere possono essere:
● diretti, quindi di proprietà dell’azienda, come nel caso dei punti
vendita, della forza vendita e della vendita sul web.
● indiretti, ossia di proprietà di partner dell’azienda. In questo caso
parliamo di negozi dei partner, grossisti e canali web di proprietà dei
56. 50
partner. Risponde alle domande: “attraverso quali canali vuoi che i tuoi
clienti siano raggiunti?”
1. Relazioni con i clienti: descrive il tipo di relazione che l’azienda
stabilisce con i diversi segmenti di clienti. Questa sezione indica le modalità
attraverso le quali l’impresa: acquisisce clienti, fidelizza gli utenti già acquisiti e
aumenta le vendite. In base al modello di business è possibile attivare diverse
tipologie di relazioni con i propri clienti come: assistenza personale, servizi
automatici, self service, community ecc. Risponde alla domanda: “Che tipo di
relazione i nostri segmenti di clientela si aspettano di instaurare?”
1. Flussi di ricavi: descrive i flussi di ricavi che l’azienda ottiene dalla
vendita dei prodotti/servizi a un determinato segmento di clientela. Le variabili
da tenere in considerazione nella composizione di questo blocco sono il prezzo e
la modalità di pagamento, fondamentali entrambi per regolare i flussi finanziari e
rendere il modello di business funzionante e l’attività sostenibile. Esistono due
differenti modalità di pagamento che generano flussi di ricavi diversi: il
pagamento in un’unica soluzione, oppure i pagamenti ricorrenti, come gli affitti o
gli abbonamenti. Che comprendono diverse tipologie di guadagno come: la
vendita di un bene, la quota di iscrizione, noleggio, commissioni, licenze,
pubblicità e il canone d’uso. Risponde alla domanda: “per quale valore i nostri
clienti sono disposti a pagare?”
1. Risorse chiave: racchiude le risorse più importanti che permettono di
creare e mettere in pratica il progetto, identificano ciò di cui ha bisogno il
modello di business affinché funzioni. Ogni attività è caratterizzata da risorse
chiavi differenti che possono essere: fisiche, umane, finanziarie o intellettuali.
Risponde alla domanda: “quali risorse chiave richiede la nostra proposta di
valore?”
57. 51
1. Attività Chiave: descrive le attività strategiche che devono essere
compiute per creare e sostenere le value proposition, raggiungere i clienti,
mantenere le relazioni con loro e generare ricavi. Le attività chiave possono
essere di tre tipi.
1. Produttive: tipiche delle aziende manifatturiere nelle quali è
indispensabile continuare a creare, produrre e distribuire i propri
prodotti.
2. Problem solving: usate da modelli di business che hanno come value
proposition la proposta di servizi come ad esempio le agenzie di
consulenza
3. Mantenimento e/o sviluppo di piattaforme/reti: utilizzate da aziende
come Facebook, all’interno delle quali lo sviluppo della piattaforma è
fondamentale per il funzionamento del business. Risponde alla
domanda: “quale attività chiave richiede la nostra proposta di valore?”
1. Partner chiave: definisce la rete di fornitori e partner necessari al
funzionamento del modello di business aziendale. I vantaggi di avere delle
partnership strategiche permette di: ottimizzare le risorse e le attività, sviluppare
economie di scala, ridurre i rischi della concorrenza, competere in un mercato più
vasto, acquisire particolari risorse ed attività, diffondere il brand in maniera più
capillare, scoprire nuovi clienti e partnership. Risponde alla domanda: “chi sono i
nostri partner chiave?”
1. Struttura dei costi: definisce i costi che l’azienda dovrà sostenere per
rendere funzionante il proprio modello di business. Analizzando la struttura dei
costi, il modello di business può avere: costi fissi, costi variabili, economie di
scala ed economie di scopo.
58. 52
Risponde alla domanda: “Quali sono i costi più importanti del nostro
business model?”34
Il modello di business del prodotto è stato descritto, nei paragrafi successivi
verranno approfondite le tecniche e le strategie che compongono gli esperimenti
di growth hacking come il funnel dei pirati, i diciannove canali di acquisizione
dei clienti e le tecniche che puntano alla crescita del prodotto.
34
Business Model Canvas.it [Online]Dispobile all’indirizzo:
http://www.businessmodelcanvas.it/. Consultato nell’agosto 2017
59. 53
CAPITOLO 4: STRATEGIE DI PRODOTTO
4.1 Funnel dei pirati: AARRR
Fonte: media.sumo.com
Il Funnel AARRR è stato teorizzato nel 2007 35
da Dave McLure, fondatore di
500 Startups, uno dei più importanti acceleratori della Silicon Valley, si chiama
in questo modo perché ricorda il verso dei pirati. Il Funnel dei pirati è una delle
più importanti metodologie usate nel growth hacking, a differenza degli altri
funnel di vendita che esistono nel marketing, ci si concentra solo su una metrica
35
Product Marketing for Pirates: AARRR! (aka Startup Metrics for Internet Marketing &
Product Management (2007) McLure D. Disponibile all’indirzzo:
http://500hats.typepad.com/500blogs/2007/06/internet-market.html. Consultato nell’agosto
2017
60. 54
alla volta. Come scrive Neil Patel nel suo “The definitive guide to Growth
Hacking”36
il funnel ha tre importanti obiettivi:
1)Ottenere visitatori nel sito
2) Attivare utenti
3) Farli ritornare in piattaforma (Retention)
Fonte: quicksprout.com
36
PATEL N. The Definitive Guide to Growth Hacking Capitolo 4 [Online] Disponibile
all’indirizzo: https://www.quicksprout.com/the-definitive-guide-to-growth-hacking-chapter-4/ .
Consultato a Settembre 2017
61. 55
È composto da cinque importanti fasi che indicano il comportamento dell’utente
che va dalla fase di primo contatto con il prodotto fino all’acquisto e al
passaparola.
Nel corso degli anni questo framework si è evoluto, soprattutto in funzione alle
nuove dinamiche del marketing digitale, ed è nata una variante composta da sei
step che aggiunge una terza “A” che corrisponde alla fase di “Awareness”, che
non era stata considerata da McLure, ed è antecedente alla fase di
“Acquisition”.
1)Awareness: è l’inizio del funnel. È la fase del funnel da cui iniziano gli
esperimenti di growth hacking. Questo momento corrisponde alla fase di
conoscenza del prodotto e/o servizio da parte dell’utente grazie ai canali di
acquisizione pull, push o di prodotto. (paragrafo 4.3).
L’obiettivo di questo step è quello di mettere in contatto l’azienda con i suoi
utenti target, in modo da poterli così rendere successivamente clienti.
In questa fase iniziale le “vanity metrics”, come ad esempio: like alla pagina
Facebook, download dell’applicazione o visite sul sito, non risultano vane, ma
hanno la loro importanza in quanto rendono apprezzabile il livello di notorietà
del modello di business. Però, è necessario darne una struttara affinché si instauri
una relazione con gli utenti che entrano in contatto con il brand.
I KPI da tenere in considerazione per questa prima fase sono:
● Traffico sul sito web
62. 56
● Vanity metrics (like, impressions, social shares, download ecc.)
● Conversioni
2)Acquisition: corrisponde alla fase in cui gli utenti compiono una determinata
azione che li porta ad essere considerati più che semplici visitatori. Dopo aver
conosciuto per la prima volta il prodotto, entra in contatto con essa per avere
maggiori informazioni e quindi manifestando dunque interesse verso il
prodotto/servizio della stessa.
In questo step l’obiettivo è quello di ottimizzare il tasso di conversione tra
l’acquisizione dati dell’utente e l’attivazione, mantenendo il più basso possibile il
costo di acquisizione utente (C.A.C).
In questa fase è necessario iniziare ad ottimizzare con A/B test basati sui dati
ricevuti, perché si potrà testare il grado di coinvolgimento e capire quanti utenti
sono veramente interessati. Le metriche da tenere in considerazione sono:
● Nuovo Lead
● L’iscrizione alla newsletter
● Numero di nuovi account su base settimanale/mensile
3) Activation: è il momento in cui l’utente sperimenta per la prima volta il
valore del servizio.
63. 57
Questa fase indica il processo per il quale l’utente appena iscritto, compie una
serie di passaggi e aumenta la possibilità di diventare un utilizzatore del prodotto,
corrisponde con il WOW moment, un momento che sbalordisce l’utente mentre
utilizza il prodotto, ad esempio: “aver trovato i primi 7 amici su Facebook nei
primi 10 giorni” 37
Le metriche da misurare sono:
● Nuove registrazioni al servizio di prova
● Percentuale di persone che completano la compilazione di un form
4)Retention:Il quarto step del funnel dei pirati corrisponde al momento in cui
l’utente torna ad utilizzare la piattaforma più volte; come ad esempio gli utenti
che tornano nel sito o utenti che aprono l’applicazione almeno una volta in sette
giorni.
Le metriche da tenere in considerazioni sono:
● Utenti attivi giornalieri (DAU)
● Utenti mensili (MAU)
● Tasso di abbandono (“Churn Rate”)
37
How do you find insights like Facebook's "7 friends in 10 days" to grow your product
faster?[Online]. Dispobile all’indirizzo: https://www.quora.com/How-do-you-find-insights-like-
Facebooks-7-friends-in-10-days-to-grow-your-product-faster. Consultato a settembre 2017
64. 58
5)Revenue: è lo step che determina il passaggio dall’utente ad acquirente; quindi
corrisponde a livello di marketing all’acquisto. A seconda del modello di
business bisogna considerare metriche specifiche.
Le metriche da tenere in considerazione sono:
● La spesa media per utente (ARPU)
● la frequenza media di acquisto
6)Referral: l’ultima fase rappresenta il momento del passaparola, quindi di un
utente che ha provato/acquistato un determinato prodotto o servizio e lo consiglia
alla sua cerchia di amci/colleghi.
Il passaparola generato da un utente è possibile misurarlo con delle metriche
specifiche che sono:
● Il K virale (fattore di viralità), riferito all’efficacia degli inviti a nuovi
utenti ad utilizzare il servizio da parte di clienti già fidelizzati.
● Il Net Promoter Score (NPS), un parametro che calcola gli utenti del
prodotto che chiedono ad utenti esterni quanto sarebbero disposti da 1 a 10
ad utilizzarlo.
Le fasi del funnel dei pirati si possono adattare ad ogni tipo di business model,
quindi è possibile invertire gli step. Ad esempio: Booking.com permette prima di
65. 59
provare il servizio ed in un secondo momento chiede la registrazione, in questo
caso vengono invertite le fasi di “Aquisition” e “Activation”.
Fonte:aaronbeashel.com/
Una delle differenze tra l’approccio del marketing tradizionale e il growth
hacking, è che nel primo caso ci si concentra nelle prime fasi del funnel
(awareness e acquisition), nel secondo si concentra ad ottimizzare tutte le fasi,
dalla fase di awareness fino al referral, elaborando strategie che permettano di
aumentare il valore delle metriche di riferimento (capitolo 5) ed abbattere i costi
di acquisizione.
66. 60
Fonte: mattyford.com
Descritte le fasi del funnel, nei seguenti paragrafi verranno approfonditi i
diciannove canali per ottenere clienti e su cui basare gli esperimenti di growth
hacking.
67. 61
4.2 Canali di Traction
Fonte: mediakix.com
La fase di Traction è la più importante dopo quella di validazione e consiste per
una startup nella capacità di ottenere nuovi utenti e quindi di crescere.
Nel libro “Traction: How Any Startup Can Achieve Explosive Customer Growth”
38
scritto da Justin Mares e Gabriel Weinberg, vengono elencati i diciannove
canali da dove le startup ottengono nuovi utenti, e che hanno usato tutte le startup
di successo per crescere. Sono di tre categorie e si dividono in canali push, pull e
di prodotto.
38
MARES J. e WEINBERG G (2014) T Traction: How Any Startup Can Achieve Explosive
Customer Growth
68. 62
4.2.1 Canali Pull
Sono tutte quelle tecniche che forniscono un contenuto di valore per
attirare utenti a visitare il sito e a utilizzare il prodotto. Tra i canali pull rientrano:
● Content marketing: approccio strategico focalizzato nel creare e
distribuire contenuti rilevanti e di valore ai potenziali clienti. Come ad
esempio articoli, guide, infografiche,ebook e webinar
● SEO: Il search engine optimization, sono tutte le attività che permettono
di ottimizzare la visibilità del prodotto all’interno dei motori di ricerca.
● Social media marketing: utilizzare i social media come canale per attirare
clienti per il proprio prodotto, bisogna creare contenuti interessanti, utili o
potenzialmente virali che possano aumentare la visibilità attraverso le
condivisioni e l’user generated content
● Unconventional PR: è un approccio non convenzionale alle pubbliche
relazioni, nel creare delle storie interessanti per essere rivendute ai blog o
ai giornali. Si riferisce alle attività di guerrilla marketing o al marketing
stunt (operazione di marketing eclatante per attirare l’attenzione in
maniera virale).
● Email marketing: sistema automatizzato o personalizzato di invio email
che permette di convertire potenziali clienti, monetizzando su quelli già
esistenti
● Other’s People network: è uno dei canali più utilizzato nel growth
hacking. Bisogna individuare community di potenziali utenti in
69. 63
piattaforme già esistenti per far conoscere il nostro prodotto e presentare il
prodotto in modo non invasivo.
● Community building: è la strategia basata sul creare una community
intorno al prodotto, con lo scopo di incentivare lo scambio e le relazioni
tra i clienti esistenti per coinvolgere nuovi utenti a farne parte.
● Eventi: promuovere un evento che possa far conoscere il prodotto e
aumentare l’awareness del brand
● Guest posting: Proporre a blog vicini alla propria audience post con
contenuti di alto valore che rimandano al prodotto (anche indirettamente)
● Referral program: si basa sulla gratificazione ed incentivazione dei
consumatori attuali per ottenere nuove adesioni ad un servizio o maggiori
acquisti di un determinato bene.
4.2.2 Canali Push
Sono canali di promozione che interrompono l’azione che l’utente intende
svolgere con lo scopo di attirarli ad utilizzare il prodotto o ad entrare nel nostro
sito. I canali push sono:
● Social o Display Ad: advertising pubblicitario classico che avviene
tramite i banner all’interno dei siti web o le inserzioni sui social network
● SEM o SEA: ramo del web marketing che si applica ai motori di ricerca
con lo scopo di portare al sito, il maggior numero di visitatori realmente
interessati ai suoi contenuti.
● Affiliate Marketing: si verifica quando vengono coinvolte altre persone a
vendere il prodotto dando loro una percentuale.
70. 64
● Pitch: raccontare la propria idea o prodotto in modo coinvolgente di
fronte ad un pubblico. È una strategia per farsi conoscere e acquisire i
primi clienti.
● Vendita diretta: processo classico di vendita classica, utile quando il
prodotto o servizio da vendere è costoso.
● Traditional Media: sono i media tradizionali offline, rientrano tra i media
le riviste, televisione, radio e volantini.
4.2.3 Canali Product
Sono tutti quei canali riconducibili a tutti gli effetti di network o di rete insiti nel
prodotto stesso. I canali product sono:
● Viralità organica: trovare il modo di avere nuovi clienti sfruttando i
clienti esistenti tramite il passaparola
● Integrazioni e partnership: siglare una partnership o dare vita ad una joint
ventures e sviluppare altri tipi di collaborazioni con altre aziende per
arrivare a istantaneamente a migliaia di utenti.
● Side-project Marketing: si acquisicono nuovi clienti attraverso risorse
ingegneristiche, creano nuovi software laterali che collegano direttamente
al prodotto principali.
Per utilizzare questi canali in modo concreto, si utilizza un framework, ideato
dagli stessi autori del libro Traction: Il Bullseye Framework
71. 65
4.2.4 Bullseye Framework
Fonte:pbs.twimg.com
Il Bullseye framework si suddivide in tre livelli:
L’anello più esterno è dedicato al brainstorming dove bisogna chiedersi
“Quali sono le migliori strategie per acquisire utenti?”. In questa fase il team di
una startup si deve riunire per capire quali sono i migliori canali adatti per
l’acquisizione di utenti; formulare idee di strategia per ogni canale, prima di
scegliere da quale partire. Bisogna elencare singole azioni specifiche, da valutare,
che possono andare nella parte media dell’anello. Ad esempio se parliamo di
usare il canale di traction i social media una singola azione specifica può essere
condividere ogni giorno su Facebook un contenuto di valore utile al proprio
pubblico di riferimento.
L’anello intermedio è quello dedicato ai test, dove vengono selezionati le
migliori idee e si promuovono stringendole verso il centro, per progettare degli
esperimenti e misurare i dati. Esistono dei metodi per valutare da quali idee
72. 66
bisogna iniziare, si utilizzano i metodi di sperimentazione, il test deve dare tre
risposte:
- Quanto costa acquisire utenti da questo canale?
-Quanti utenti sono presenti in questo canale?
-I clienti acquisiti da questo canale sono quelli di che vogliamo in questo
momento?
Bisogna rispondere a queste tre domande e continuare a testare finchè non
si hanno dati sufficienti per poter valutare se questa è una strategia che vale la
pena scalare quindi aumentando il budget e concentrare le forze del team.
L’ultimo anello è quello centrale: dove rimangono solo le strategie che
stanno funzionando, in questa ultima fase bisogna scalare e quindi aumentare il
budget ed investire in questi esperimenti che si sono dimostrati di successo, e
automatizzare i processi di questi esperimenti con degli script personalizzati
dedicati.
4.3. Il modello Hook
Il modello Hook viene teorizzato nel libro “Hooked: How to Build Habit-
Forming Products”39
di Nir Eyal - esperto di business e tecnologia - che ha dato
una risposta al come le piattaforme tecnologiche agganciano e coinvolgono
l’utente così tanto da modificarne i comportamente e le abitudini.
39
EYAL N. (2013) Hooked: How to Build Habit-Forming Products
73. 67
La soglia di attenzione di un utente non dura più di 8 secondi 40
quindi per creare un prodotto di successo è necessario che il prodotto stesso
diventi un’abitudine, e l’acquisizione di migliaia di utenti o milioni di download,
sono metriche che non indicano il successo di una startup. I prodotti sviluppati
quindi devono diventare importanti nella testa degli utenti; le piattaforme che al
giorno d’oggi sono le più utilizzate come Facebook, Instagram, Linkedin o
Twitter, hanno individuato i bisogni degli utenti e soprattutto le modalità che li
spingono ad utilizzarli continuamente, e che riguardano l’intersezione tra il
design della piattaforma, gli aspetti psicologici e di User Experience.
Questi prodotti raggiungono l’obiettivo finale della fase di Stickiness, ovvero
l’appicicosità del prodotto, attraverso un ciclo chiamato Engagement Loop,
ovvero “la relazione che si crea tra gli utenti ed il prodotto che sta alla base del
motore di crescita, che serve a spingere gli utenti all’interno del funnel AARRR
[…] dato da tutte le azioni che gli utenti svolgono in cui interagiscono con il
prodotto. [...] Si tratta di far leva sulle attività che l’utente svolge quando decide
di rispondere alla richiesta di primo utilizzo e sugli elementi che lo spingono a
tornare.” 41
I touch point possono essere:
Notifiche brevi: un semplice contatto ad intervalli regolari.
Notifiche organiche: una tecnica utilizzata dai social newtork, che informano
quando un amico ha compiuto un’azione all’interno della piattaforma.
40
Eight Second Attention Span (2016) New York Times.com In: EGAN T.[Online] Disponibile
all’indirizzo: https://www.nytimes.com/2016/01/22/opinion/the-eight-second-attention-
span.html?mcubz=0. Consultato a settembre 2017
41
CAMERA A. (2017) STARTUP MARKETING Strategie di growth hacking per sviluppare il
vostro business, HOEPLI, p 83-85
74. 68
Posizionamento: rappresenta la leva massima del coinvolgimento, perché è
legato alle sensazioni ed emozioni dell’utente. 42
I prodotti quindi diventano un’abitudine se attirano l’attenzione dell’utente più
volte nel corso dei giorni di utilizzo, e compiere i cicli Hook.
Fonte: alexandercowan.com
Il ciclo Hook è formato da 4 diverse fasi:
1. Trigger (Innesco): può essere interno o esterno, è l’elemento che aziona il
comportamento dell’utente.
42
ibidem
75. 69
I Trigger esterni possono essere promozioni e pubblicità (Paid Trigger),
video o articoli sulla stampa (Earned Trigger) oppure possono dipendere dalle
persone attraverso il passaparola, dagli utenti attuali ai programmi di Referral
(Relationship Trigger), e per ultimi possono dipendere dalla volontà degli utenti
in quanto sono loro che decidono le azioni da compiere in piattaforma (Owned
Trigger). Hanno lo scopo di far entrare in contatto l’utente con il prodotto, di
renderli gli coinvolti il più possibile, con l’obiettivo di non doverne più attivare
nel futuro.
I Trigger interni, sono una serie di emozioni o sensazioni che influenzano la
routine degli utenti, in particolare la noia, il senso di solitudine; sono Trigger
interni molto più potenti rispetto alle sensazioni positive perché sono legate ad un
bisogno di soddisfare. Quanto più si è in grado di identificare queste emozioni,
maggiori saranno le possibilità per creare un meccanismo di Trigger interno che
sviluppi funzionalità in linea con le emozioni degli utenti.
Per trovare queste emozioni ci si affida al metodo dei “5 Perché” una tecnica
utilizzata da Taiichi Ohno che lo ha definito la base dell’approccio del Lean
manufacturing di Toyota. È basata sulla ripetizione del “Perché” per cinque
volte, per capire la natura del problema affinché si possa capire la soluzione.
Nel metodo Hook è utile per capire i trigger interni che spingono l’utente a
utilizzare un prodotto.
Nel libro Hooked viene utilizzato l’esempio di un nuovo ipotetico prodotto in
fase di sviluppo chiamato per la prima volta “e-mail” e che la personas di
76. 70
riferimento sia un manager chiamato Julie, che ha lo scopo di dare le risposte al
team di sviluppo per capire i seguenti perché:
Perché #1: “Perché Julie dovrebbe utilizzare l’e-mail ?
Risposta: Perché vuole come inviare e ricevere messaggi
Perché #2: “Perché dovrebbe volerlo fare?”
Risposta: Perché vuole condividere e ricevere informazioni velocemente
Perché #3: Perché dovrebbe volerlo fare?
Risposta: Per sapere cosa succede nella vita delle persone che consce
Perché #4: Perché vorrebbe farlo?
Risposta: Per sapere se qualcuno ha bisogno di lei.
Perché #5: Perché deve saperlo?
Risposta: Ha paura di rimanere fuori dal giro.
È stato trovato come come trigger interno il sentimento di paura, questo
consentirà di sviluppare una soluzione che consentirà a Julie di mantenere la
calma.
77. 71
1. Action (azione): è l’azione che segue il Trigger ed è il comportamento che
si adotta per ricevere una ricompensa, più l'azione è facile e vantaggiosa, più
l'utente sarà disposto a compierla; se invece l’utente non compie l’azione il
trigger iniziale si è rivelato inutile. Ad esempio un’azione che facilita la
registrazione all’interno dei siti web è la possibilità di autenticarsi tramite i dati
dei social network come Facebook. Questa semplice azione facilità il processo di
registrazione che risulta lungo e noioso, e porta gli utenti all’abbandono di esso;
il Social Login diventa più snella e veloce, si utilizza un profilo già esistente. Si
otterranno risultati sorprendenti se si è in grado di sviluppare un prodotto che sia
semplice da usare per gli utenti, ancora prima di provarlo.
1. Variable Reward (ricompensa variabile): sono uno degli strumenti più
potenti che le aziende creano per agganciare gli utenti. Vengono ricompensati gli
utenti risolvendo un problema, rinforzando la loro motivazione per l'azione
intrapresa nella fase precedente. Devono soddisfare i bisogni degli utenti, ma non
estinguere il loro desiderio di essere coinvolti nuovamente dal prodotto. Le
ricompense variabili possono essere di tre tipologie:
-Ricompense tribali: sono gratificazioni che fanno sentire importante gli
utenti.
-Ricompense relative alla caccia: che derivano dal bisogno di cercare
informazioni. Come ad esempio il continuo aggiornamento della newsfeed di
Facebook.
-Ricompense relative all’individuo: sono le ricompense che fanno ottenere
agli utenti una forma di gratificazione personale
78. 72
1. Investment (investimento): L'investimento arriva dopo la fase della
ricompensa variabile, quando gli utenti sono stati predisposti a ricambiare. Gli
investimenti migliorano il servizio quanto più esso viene usato. Rendono
possibile l'accumulo di valore immagazzinato sotto forma di contenuti, dati,
follower, reputazione o competenza e spingono l’utente ad utilizzare il ciclo in
futuro.
Fonte: https://i.pinimg.com/
In figura il modello Hook applicato a Facebook.
79. 73
4.4 Trovare gli early adopter
Dopo aver analizzato i canali di Traction, è necessario trovare e delineare un
profilo da un punto di vista demografico e psicografico dei primi utilizzatori
della soluzione proposta: gli early adopter.
Gli early adopter sono quel segmento di mercato che prova minor attrito
possibile verso la novità proposta e che in assenza di competitor sul mercato,
sono disposti a fabbricarsi da soli la soluzione pur di risolvere il proprio
problema.
Fonte:www.uveco.ir/
80. 74
Nei business digitali l’analisi demografica non è sufficiente per delineare un
profilo di un potenziale cliente, ma è necessario capire veramente quali sono i
suoi comportamenti che lo caratterizzano da un punto di vista psicologico,
andando ad analizzare il modo di pensare, la cultura, i suoi valori e le sue
decisioni.
Questo è alla base del growth hacking perché capire chi sono i migliori clienti
permette di ottimizzare gli esperimenti del processo di crescita.
Queste informazioni vanno schematizzate grazie a dei un framework di supporto
che vanno a delineare degli elementi degli early adopter quali i job, i pain e i
gain.
Per compilare gli elementi del framework, le informazioni possono essere
inserite partendo da una fase di brainstorming, fonti di informazioni come le
interviste di customer discovery, la conoscenza del settore e i competitor.
Per prima cosa bisogna considerare la prospettiva dell’utente. I “job” dell’utente
sono delle azioni che provano ad eseguire nel loro lavoro o nella loro vita. Sono
di tre tipi:
Funzionali: sono riferiti ad azioni specifiche o che tendono a risolvere un
problema (ad esempio: valutare un dato, progettare una campagna)
Sociali: si riferisce ad azioni che l’utente compie per essere percepito dalla
società in quel determinato modo (ad esempio: responsabilità sociale o essere
all’avanguardia)
Personali: indica i bisogni individuali e desideri di stato emotivo, come essere un
bravo leader o avere un senso di realizzazione. Questi job basati sul benessere
81. 75
personale riguardano la professionalità, l’emotività e i problemi dell’immagine
personale.
Fonte: slide del corso
Dopo aver trovato i jobs si identificano gli User’s Pain ovvero i problemi dei
vostri utenti. Sono tutto ciò che interferisce nel completare un’attività,
includendo i potenziali rischi.
Gli user’s pain sono suddivisi in tre macro aree:
Risultati indesiderati, problemi e caratteristiche. I pain spesso rispecchiano le
stesse aree dei job: funzionali (“La soluzione non funziona”), sociali (“non riesco
a fare questo”) o emozionali (“mi sento male se faccio questo”)
Ostacoli: ciò che impedisce il completamento o l’esecuzione di un’attività.
Rischi: descrive conseguenze negative potenziali ed importanti.
82. 76
Fonte: slide del corso
I Gain descrivono i risultati ed i benefici che gli utenti vogliono includendo
utilità funzionali, obiettivi sociali, emozioni positive e riduzione dei costi. Si
suddividono in quattro macro aree:
● Richiesti: il minimo necessario per portare a soluzione un lavoro
● Previsti: la norma percepita per cui: mentre non è tutto necessariamente
richiesto, è nonostante tutto previsto.
● Desiderati: ciò che si vorrebbe avere
● Inaspettati: i benefici che gli utenti non hanno richiesto.
83. 77
Fonte: slide del corso
Per fornire valore agli utenti bisogna capire le loro preferenze, e rispondere alla
domanda: “a cosa tengono i miei potenziali clienti?” Valutandoli secondo questa
classifica:
Job importance : dall’insignificante al più importante
Pain severity: dal moderato all’estremo
Gain relevance: dal “nice to have” all’ essenziale
84. 78
Una volta aver capito quali sono i job, i pain e i gain si compila la Value Map.
Fonte: slide del corso
Aver completato questa mappa darà un quadro generale di quelli che sono le
attività, gli obiettivi ed i problemi che hanno gli utenti. 43
Dopo aver delineato i job, i pain e i gain del potenziale cliente, è possibile
sintetizzare le informazioni psicologiche e demografiche all’interno di un
framework di supporto chiamato Lean Personas.
43
TORNABENE S. (2016) Slide del corso in Communication Strategy e Media Planning
85. 79
Fonte:custdevday.files.wordpress.com/
La Lean Personas permette di creare un identikit, che sintetizza i comportamenti,
gli aspetti demografici, i bisogni e gli obiettivi che intende raggiungere.
4.5 Strategie di acquisizione
Dopo aver creato profilo ideale degli early adopters ed averli identificati, inizia la
fase di acquisizione. Una delle tecniche più comuni già introdotta nel paragrafo
dedicato alla Traction, è il canale Other’s People Network, dove è possibile
sfruttare community online in piattaforme esistenti dove si radunano i potenziali
utenti, che utilizzano soluzioni alternative prima della potenziale soluzione da
proporre, è fondamentale individuarle ed “ascoltarle”. Uno dei tool che permette
86. 80
di scovare i primi potenziali clienti è Facebook Audience Insight 44
che mostra
dati relativi al pubblico di destinazione, grazie ai dati nativi di Facebook per
mostrare caratteristiche del pubblico, quali ad esempio dati demografici,
psicografici ed i loro interessi.
È possibile “rubare” i primi utenti grazie a strumenti che consentono di
analizzare i dati dei competitor, come ad esempio: SimilarWeb 45
. Esso è un sito
che rivela le analytics del sito dei competitor, le aree geografiche in cui sono
presenti, le sorgenti di traffico che indica come gli utenti entrano in contatto con
il sito, i canali social utilizzati per acquisire clienti e molto altro. Sfruttando
questa analisi dei competitor è possibile capire quali sono i canali da usare e le
strategie da attuare per ottenere i primi utenti.
Una tecnica per ottenere i primi early adopter è chiamata smoke test, un concetto
simile all’MVP, ovvero simulare qualcosa che ancora non esiste al fine di testarlo
sugli early adopter.
Per capire meglio lo smoke test, si prende come esempio Udemy, una
piattaforma di formazione online che al lancio del prodotto, non avevano
prodotto nessun contenuto originale ma avevano caricato nella piattaforma video
di Youtube, raccolti in playlist e simulavano dei corsi nella loro piattaforma, con
l’obiettivo di capire se gli utenti erano interessati o meno alla loro proposta, e
così iniziare a sviluppare la piattaforma completa con i contenuti originali.
Una perplessità sorge spontanea ovvero: “non è rischioso lanciare qualcosa che
ancora non esiste? Non si rischia di rovinare la reputazione o il brand?”. In realtà
44
Facebook Audience Insight [Online] Disponibile all’indirizzo:
https://www.facebook.com/ads/audience_insights. Consultato a settembre 2017
45
Similar Web.com [Online] Disponibile all’indirizzo: https://www.similarweb.com/.
Consultato a settembre 2017
87. 81
in questo stadio di sviluppo, il brand non esiste e non è detto che la soluzione
proposta sia la funzione definitiva e quindi è possibile cambiare l’idea,
caratteristiche di prodotto e di brand, l’obiettivo è raccogliere dati reali che grazie
allo stretto contatto con gli early adopter che diranno ciò che è prioritario, ciò che
bisogna implementare e trovare il prezzo corretto con cui loro stessi sono disposti
a pagare.
Uno dei metodi più efficaci per ottenere i primi feedback della soluzione
proposta tramite uno smoke test è l’utilizzo di una landing page ed usare le
potenzialità di Facebook Advertising, investendo dei micro budget per ottenere le
prime email. È possibile anche utilizzare una tecnica di A/B testing per capire il
princing del prodotto creando due landing page differenti e capire tramite la
disponibilità a pagare.
La strategia più utilizzata per ottenere le prime email degli utenti è l’utilizzo dei
Lead Magnet.
I Lead Magnet sono dei contenuti di altissimo valore specifici di un argomento,
creati per attirare una nicchia di pubblico interessati e convincerli a lasciare la
mail in cambio dell’accesso al contenuto stesso. Sono di diverse tipologie come
ad esempio PDF, eBook, Webinar esclusivi oppure una raccolta di informazioni
utili.
Dopo aver delineato le fasi del processo di growth hacking e di sperimentazione,
è importante ricordare una famosa frase di Paul Graham che recita: “Do things
that don’t scale” ovvero “Fai cose che non scalano” 46
. È una frase
controintuitiva che però si riferisce ai canali da utilizzare per acquisire utenti e
non al modello di business. La startup, deve essere scalabile poiché la scabilità è
una delle caratteristiche più importanti di che consente la crescita. Ma nella fase
46
Do things that don’t scale (2013) GRAHAM P. [Online] Disponibile all’indirizzo:
http://paulgraham.com/ds.html. Consultato a Settembre 2017
88. 82
di vita iniziale, l’acquisizione dei primi utenti è coinvolto lavoro manuale. Nelle
prime fasi di vita di una startup, le risorse sono molto limitate, e non può
permettersi di terminare budget in campagne di marketing che non hanno ritorno;
nell’acquisire i primi utenti è necessario contattare manualmente persone
estremamente profilate e coinvolgerle nel prodotto. 47
In conclusione, dopo aver analizzato le fasi del funnel dei pirati, i diciannove
canali di Traction, la profilazione degli early adopter con le relative strategie per
ottenere le prime mail e i primi feedback, per effettuare i primi esperimenti di
growth hacking manca l’ultimo elemento che consente di capire se la strategia ha
successo o meno, ovvero le metriche. Nel prossimo capitolo vengono analizzate
le metriche utili per ogni tipologia di business che devono essere aumentate
affinché gli esperimenti abbiano successo.
47
Growth Hacking Masterclass [2017] Corso online su http://lacerba.io [Online] Consultato a
giugno 2017
89. 83
CAPITOLO 5: METRICHE
5.1Obiettivi S.M.A.R.T e KPI
Qualsiasi business di successo, e soprattutto nell’ambito startup deve essere
guidato dai dati e da obiettivi specifici. Misurare le performance serve a capire in
quale direzione sta andando il progetto e se la strategia che si è adottata funziona.
Per questo è fondamentale combinare obiettivi S.M.A.R.T e capire quali sono le
metriche da controllare.
Il metodo S.M.A.R.T. è un sistema per la definizione degli obiettivi, che vengono
messi al primo posto rispetto alle attività necessarie per il loro raggiungimento; è
stato sviluppato da Peter Drucker nel 1954, come parte integrante della filosofia
di gestione aziendale MBO (Management by Objectives). 48
L’acronimo viene usato per indicare dei particolari criteri di efficienza:
Specific: Specifico e pertinente per la tipologia di business. Si va ad identificare
chi è coinvolto, cosa bisogna fare per raggiungerlo, quando deve essere fatto e
perché bisogna farlo.
Measurable: Misurabile dal punto di vista quantitativo. Bisogna capire se è
possibile misurare il risultato.
Achievable: raggiungibili, quindi non si tiene in considerazioni obiettivi troppo
distanti dalla realtà
48
Management By Objectives (MBO) (2014) . MULDER P. Dispobile all’indirizzo:
https://www.toolshero.com/management/management-by-objectives-drucker/ . Consultato a
settembre 2017
90. 84
Realistic: sono gli obiettivi realistici o rilevanti per il progetto.
Time-Based: basati su un tempo limite.
Un esempio di obiettivo S.M.A.R.T. che racchiude tutte le caratteristiche è:
“Aumentare la copertura organica della pagina Facebook del 30% in tre
settimane”.
Una volta definiti gli obiettivi bisogna concentrarsi nel definire le metriche
chiave che indicano l’efficienza della strategia.
I K.P.I (Key Performance Indicator) sono gli indicatori di performance che
permettono di capire se si sta raggiungendo l’obiettivo.
Per definire un KPI è necessario avere un dato quantitativo, ovvero una metrica
che sia in linea con l’obiettivo da realizzare. Uno degli errori che si fa più
frequentemente è quello di tenere in considerazione le Vanity Metrics che non
indicano il vero valore del business come ad esempio i download o i mi piace alla
pagina Facebook. Esistono delle metriche che sono importanti da tenere sotto
controllo e capire se la startup sta crescendo e da presentare agli investitori per
valutare la salute o la traction del progetto.
Life Time Value (LTV): È una delle più importanti metriche da tenere sotto
controllo per una startup, indica la quantificazione dei guadagni mediamenti
generati da ogni singolo utente generati in un determinato lasso di tempo. È
legata strettamente alla fiducia che il cliente ha della piattaforma. L’obiettivo del
Growth Hacker è aumentare questo valore.
91. 85
Churn Rate: è il tasso di abbandono, questa metrica indica quanti utenti
abbandonano il prodotto, è complementare al Life Time Value, poiché anch’esso
è legato alla fidelizzazione. Il Churn Rate è fortemente influenzato dal business
model e dal settore in cui si opera, inoltre questa metriche si riferisce all’analisi
delle coorti (ovvero gli utenti storici) e non a quelli appena acquisiti. L’obiettivo
del growth hacker è minimizzare il Churn Rate.
Customer Acquisition Cost (CAC): o Costo di Acquisizione per Utente è un
indicatore che monitora il costo di acquisizione o iscrizione alla piattaforma per
un singolo utente in un determinato canale. È il risultato del rapporto fra il totale
della spesa del canale di marketing e gli utenti acquisiti in un determinato arco
temporale. L’obiettivo di un growth hacker è minimizzare il C.A.C, essendo
specifico per ogni canale scelto sarà possibile capire quale canale permette di
ottenere il maggior numero di utenti al minor costo possibile e quindi generare un
unico C.A.C.
Average Revenue Per User (ARPU): Indica la quantità di denaro che l’utente
effettua all’interno della piattaforma. L’obiettivo del growth hacker è
massimizzare questa metrica e aumentare il valore dell’acquisto medio tramite
tecniche di up-selling e cross selling, tecniche utilizzate dalla maggior parte degli
e-commerce.
K-Factor (Il coefficiente di viralità):
È una metrica che indica il numero di utenti ottenuti tramite il passaparola o la
viralità generata dagli utenti.
92. 86
Quando il fattore K è maggiore di 1, significa avere una crescita virale o
esponenziale, permette di abbattere i costi di acquisizione ed ottenere utenti a
costo zero.
5.2 One Metric that Matters per Business Model
Le OMTM ovvero la One Metric That Matters sono delle metriche che vengono
analizzate nel libro “Lean Analytics: Use Data to Build a Better Startup Faster”
di Alistair Croll & Benjamin Yoskovitz49
. L’approccio del growth hacking si
basa su questo aspetto, ovvero bisogna concentrarsi su un solo obiettivo per
permettere di canalizzare tutte le energie, senza pensare alle condizioni di
estrema incertezza in cui si sta operando.
Il vantaggio del growth hacking è che è necessario cercare di far crescere quella
determinata metrica. Ogni business model ha delle metriche chiave che indicano
se vi è una potenziale crescita del prodotto/servizio.
Nel libro vengono teorizzati le cinque fasi del ciclo vitale di un prodotto :
Empathy : Fase che si lega alle metriche qualitative. Lavoro di validazione
basato sull’approccio lean che deve essere alla base di ogni business data driven,
e non può essere saltato. È una fase che hanno tutti i business model perché si
riferisce al processo di validazione pre- product/market fit.
Stickiness : Letteralmente “ appiccicosità, ovvero il tasso di fidelizzazione. Il
cliente prova il prodotto o il servizio e non riesce più a staccarsene.
Virality : Viralità. Fa sì che il prodotto o servizio si diffondono in maniera
esponenziale grazie al passaparola dei clienti.
49
CROLL A. e YOSKOVITZ B. (2013) Lean Analytics: Use Data to Build a Better Startup
Faster
93. 87
Revenue : Fase in cui la startup monetizza, vendendo all’utente ormai convinto
del prodotto o servizio un piano a pagamento.
Scale: Fase in cui la startup entra in un processo esponenziale delle metriche.
Nei prossimi paragrafi verranno elencati i vari business model con le relative
OMTM e le quattro fasi del ciclo vitali (escludendo la fase di empathy poiché è
riferita alla validazione).
Fonte:themadbugkoustubh.files.wordpress.com
1)E-commerce: sito online dove gli utenti hanno la possibilità di acquistare
prodotti.
Nella fase di Stickiness le metriche da tenere in considerazione sono:
94. 88
-Loyalty
-Conversion
Nella fase di Virality le metriche da tenere in considerazione sono il costo di
acquisizione, condivisioni e Re-Activation
Nella fase di Revenue le metriche da tenere in considerazione sono:
-Guadagno medio per utente (ARPU)
-il Life Time Value
Nella fase di Scaling o crescita esponenziali, le metriche da tenere in
considerazione sono:
-Performance degli affiliati
-Whitelabel
2)User generated content: sono piattaforme dove i contenuti all’interno sono
creati dagli utenti, come ad esempio i social network.
Nella fase di Stickiness le metriche da tenere in considerazione sono:
● Numero di contenuti generati
● Numero spam generati
Nella fase di Virality le metriche da tenere in considerazione
-Inviti
-Share
Nella fase di Revenue le metriche da tenere in considerazioni sono:
95. 89
Revenues da adv
-Donazioni
Nella fase di Scaling o crescita esponenziali, le metriche da tenere in
considerazioni sono:
-Vendita dei dati raccolti
-Vendita di analytics
3)Software as a Service (SAAS): il prodotto è un software o una piattaforma
sviluppata per creare profitto tramite abbonamenti o acquisto unico del servizio.
Nella fase di Stickiness le metriche da tenere in considerazione sono:
● Tasso di engagement
● Churn Rate
Nella fase di Virality le metriche da tenere in considerazione sono :
● Viralità “implicita”
● Customer Acquisiton Cost
Nella fase di Revenue le metriche da tenere in considerazione sono:
-Upselling
-Customer Acquisition Cost/Life Time Value
Nella fase di Scaling o crescita esponenziali, le metriche da tenere in
considerazione sono:
-API