Come percepiamo, conosciamo e agiamo all’interno di ambienti fisici, naturali o costruiti che siano? Che cosa rende gli ambienti digitali radicalmente diversi da quelli fisici? Perché uomini e macchine faticano strutturalmente a capirsi? Come usare le informazioni in chiave architettonica? Come comporre software intesi come contesti, come spazi di possibilità da esplorare?
A queste e a molte altre domande tenta di rispondere lo splendido libro di Andrew Hinton, Understanding Context. Environment, Language and Information Architecture, O'Reilly Media, 2014.
Il distacco tra società e scuola può essere colmato attraverso l'applicazione didattica del costruttivismo e l'apprendimento in ambiente tecnologico web 2.0
Il Rapporto con l'utenza: la gestione della comunicazione e dei conflittiInterazione Clinica
[...] dal latino communicare, "mettere in comune". In questa accezione, il processo comunicativo può essere visto come un lavoro di costruzione sociale [...] attraverso il quale gli esseri umani condividono il significato da attribuire...
Il distacco tra società e scuola può essere colmato attraverso l'applicazione didattica del costruttivismo e l'apprendimento in ambiente tecnologico web 2.0
Il Rapporto con l'utenza: la gestione della comunicazione e dei conflittiInterazione Clinica
[...] dal latino communicare, "mettere in comune". In questa accezione, il processo comunicativo può essere visto come un lavoro di costruzione sociale [...] attraverso il quale gli esseri umani condividono il significato da attribuire...
Expetence pattern per reti umane e ottimaliGiuseppe Nenna
Le APPS di un linguaggio wireless, affiancate da strutture organizzative elementari o di prossimità, anche di tipo associativo, hanno il compito di ridurre il rischio che scale inferiori non complete o completamente connesse [Salingaros] possano vanificare la condivisione/circuitazione delle "expetence". Il MIT di Boston sta sperimentando Urban pixels - wireless infrastructure for liberated pixels - che non si limitano a telai rigidi come sono i tipici schermi urbani, ma sono applicabili a superfici orizzontali e verticali in qualsiasi configurazione, in grado di comunicare reciprocamente allo scopo di supportare un ampio spettro di opzioni e modalità di visualizzazione. Cioè a supporto di processi orizzontali che aumentano il livello di complessità organizzata.
I contenuti sono disponibili sotto licenza CC Attribution (BY) NonCommercial (NC) Share Alike (SA) ed, in quanto non commerciali, possono essere liberamente condivisi, con vincolo di attribuzione, sebbene originali, No Derivative Work [http://it.wikipedia.org/wiki/Licenze_Creative_Commons].
Il termine "expetence" è un concept, e connesso neologismo, coniati da Giuseppe Nenna, di cui indicare esplicitamente fonte ed attribuzione.
Dispense didattiche del corso di Filosofia Morale del Prof. Guido Traversa.universitaeuropeadiroma
Le dispense del Prof. Traversa contengono estratti del suo volume "Metafisica degli accidenti. Dalla logica alla spiritualità: il tessuto delle cose", utilizzati nel corso di Filosofia Morale (M-FIL/03) dell'Università Europea di Roma.
Guido Traversa è Professore Associato di Filosofia morale (M-FIL/03) presso il nostro Ateneo.
Il passaggio dall'immagine alla realtà virtuale attraverso l'analisi delle scoperte dell'embodied cognition (cognizione incarnata) con l'introduzione del software open source "NeuroVR
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Argo CCMS: come usare al meglio i file di configurazione per export in Word, ...KEA s.r.l.
Alla scoperta di uno strumento di Argo CCMS molto potente, che non sempre riceve la giusta attenzione.
Che cosa sono e a che cosa servono i file di configurazione?
I file di configurazione «registrano» tutte le impostazioni che eseguiamo durante una procedura di esportazione (es. in Word, Excel o XML).
Richiamando in seguito un file di configurazione ripetiamo la procedura di esportazione, applicando in modo automatico le impostazioni salvate... senza doverci pensare più!
Perché i file di configurazione sono utili?
I file di configurazione sono utili perché rendono la procedura di esportazione più veloce, certa e replicabile da ogni operatore.
Suggerimento! A questo scopo possiamo creare, per esempio, file di configurazione specifici per modello e versione, configurazione o matricola della macchina, per cliente, per lingua, per destinatario...
Dialogare con le macchine in linguaggio naturale... Finalmente! Ma ci voleva ...KEA s.r.l.
La storia del Natural Language Processing (NLP) parte negli anni Cinquanta del secolo scorso, ma fino a una decina di anni fa traduzioni automatiche, chatbot e assistenti vocali erano perlopiù fonte di ilarità o frustrazione, mentre ora - superato il magico stupore iniziale - dialogare in linguaggio naturale con una macchina è una comune esperienza quotidiana - che sia Google Translate, Alexa, ChatGPT o il chatbot di un sito, ecc. Come dire: “Finalmente le macchine hanno imparato a parlare la nostra lingua! Ci voleva tanto?”.
Sì, tantissimo: il linguaggio è un fenomeno molto complesso - perché intrinsecamente legato all’umana esperienza del mondo, a livello personale, relazionale, socio-culturale e storico -, un fenomeno che padroneggiamo con naturalezza, ma che abbiamo dovuto anzitutto capire come rendere “comprensibile” alle macchine. Padroneggiare il linguaggio non significa solo conoscere il significato delle parole e le regole sintattico grammaticali di una lingua, significa anche e soprattutto come generare senso mediante questi utensili linguistici. La questione centrale è come rendere “comprensibili” alle macchine i sistemi di produzione di senso in assenza del fatto che le macchine possano basarsi sul contesto esperienziale e relazionale che guida l’umana comprensione delle eccezioni, delle ambiguità, della semantica e della pragmatica della lingua.
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Vediamo insieme il perché del cambio!
Quando un'azienda contatta KEA, le esigenze espresse più comunemente sono:
Gestire più volumi di documentazione
Risparmiare tempi e costi
Mitigare i rischi
Moltiplicare i tipi di output
Attuare l'approccio «digital first»
Rendere più fluida la collaborazione tra funzioni aziendali, con esperti esterni, distributori/rivenditori e utilizzatori finali
Accrescere la qualità
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Perché e come usare i fumetti nella comunicazione tecnica e di prodottoKEA s.r.l.
I manuali di istruzioni di Antonio Carraro S.p.A. hanno una caratteristica che balza subito all’occhio: sono ricchi di vignette in cui è impossibile non immedesimarsi nei trattori antropomorfizzati e nei cartoon di agricoltori, tecnici e personaggi di contorno. Finiamo così per leggere con attenzione i testi che ci spiegano come dare una mano ai nostri beniamini e per imparare in modo dilettevole come usare e manutenere il nostro trattore
Ma perché i fumetti catturano la nostra attenzione? Perché ci immedesimiamo nei personaggi? Perché, rivivendo le loro storie, finiamo per imprimerle nella nostra memoria e apprendere in modo ludico anche informazioni utili?
I principi base dell’intelligenza artificiale spiegata ai non tecnici KEA s.r.l.
Invito alla lettura di Tom Taulli, Artificial Intelligence Basics: A Non-Technical Introduction, New York, Apress Media, 2019
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Sono molte le aziende che, sulla documentazione stampata e/o sulle presenze online, indicano agli interlocutori il numero a cui essere contattate via WhatsApp.
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Mentre i motori cercano di proporci i contenuti più rilevanti per la nostra ricerca, sapendo in questo modo di fidelizzarci, i social (con la parziale eccezione di comunità professionali come LinkedIn) si focalizzano sull’espressione delle emozioni, più che sulla comunicazione dei contenuti, per risvegliare la nostra attenzione, sollecitarci ad agire anzitutto digitalmente - valutando, condividendo o commentando - e indurci iterare il ciclo il più a lungo possibile.
Non va dimenticato che le azioni digitali sono monetizzabili da parte sia della piattaforma (per esempio in termini di profilazione dell’utenza e di vendita di pubblicità targetizzata), sia di singoli agenti (per esempio in termini di collaborazione con soggetti interessati a distribuire il loro messaggio alla rete di influenza dell’utente).
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Invito alla lettura di Tim Cameron-Kitchen, How To Get To The Top Of Google in 2022: The Plain English Guide to SEO, Exposure Ninja, 2020
L’importanza dei metadati nella comunicazione tecnica e di prodotto e come ge...KEA s.r.l.
I metadati sono importanti per automatizzare la selezione e l’aggregazione flessibile e dinamica di risorse rilevanti contestualmente, nonché per supportare funzioni di elaborazione dei contenuti da parte di agenti software e/o di interazione con i contenuti da parte di persone (es. funzioni di site search e filtri).
Il sistema di gestione dei contenuti Argo di KEA, impiegabile come sistema di component content management e di product information management, mette a disposizione del redattore tecnico numerosi strumenti per gestire i metadati.
Per maggiori informazioni http://www.keanet.it/argo-ccms-per-documentazione-tecnica-e-di-prodotto.html
Invito alla lettura di Riccardo Falcinelli: Figure. Come funzionano le immagi...KEA s.r.l.
Senza che ne siamo necessariamente consapevoli, le caratteristiche formali delle immagini guidano le nostre azioni, il nostro sguardo e il processo di elaborazione della “nostra” storia basata sulla percezione dei contenuti dell’immagine.
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Catalogo Natale Kasanova: edizioni 2020 e 2021 a confrontoKEA s.r.l.
Nel 2020 il Catalogo Natale di Kasanova - noto franchising con oltre 450 negozi specializzato nella vendita di casalinghi e articoli per la casa - mi colpì per il grado di integrazione esistente fra pubblicazione stampata, spot televisivi ed e-shop dell’azienda.
Conservai l’edizione 2020 del catalogo con l’intenzione di raffrontarla all’edizione di quest’anno, disponibile al seguente URL:
https://www.kasanova.com/it/volantino-natale-kasanova/
Scoprire le differenze fra le due edizioni del catalogo natalizio di Kasanova ci può dare indicazioni utili su come l’azienda ha reagito al feedback dei clienti e all’evoluzione della comunicazione.
Argo CMS – Come riusare manualmente contenuti all’interno di documenti distintiKEA s.r.l.
Argo CMS - Come riusare manualmente contenuti all’interno di documenti distinti. Riuso come link, mantenendo il collegamento fra documento di partenza e di destinazione oppure copia del contenuto da documento di partenza a documento di destinazione
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Rapporto uomo-macchina: storia di una incomprensione
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Rapporto uomo-macchina: storia di una incomprensione
Petra Dal Santo – KEA S.r.l. (dalsanto@keanet.it) | Febbraio 2017
Rapporto uomo-macchina: storia di una
incomprensione
Come percepiamo, conosciamo e agiamo all’interno di ambienti fisici, naturali o
costruiti che siano? Che cosa rende gli ambienti digitali radicalmente diversi da
quelli fisici? Perché uomini e macchine faticano strutturalmente a capirsi? Come
usare le informazioni in chiave architettonica? Come comporre software intesi come
contesti, come spazi di possibilità da esplorare?
A queste e a molte altre domande tenta di rispondere lo splendido libro di Andrew
Hinton, Understanding Context. Environment, Language and Information
Architecture, O'Reilly Media, 2014.
Ambienti fisici: naturali e costruiti
Negli ambienti fisici, naturali e costruiti, la nostra percezione riguarda superfici, sostanze, oggetti, ambienti
ed eventi.
Le superfici e la sostanza di cui sono fatte esprimono potenzialità fisiche che cogliamo immediatamente
tramite i nostri sensi, mentre i passaggi da una superficie / sostanza all’altra strutturano e rendono
riconoscibile l’ambiente.
Gli oggetti sono superfici / sostanze distinte. Possono essere attaccati (fissi) o staccati (mobili). A parità di
oggetto, la sua fissità o mobilità può esprimere un diverso potenziale. Per esempio, un ramo staccato da un
albero ci suggerisce l’uso come un bastone, mentre un ramo attaccato all’albero non ha questa
potenzialità. Gli oggetti possono essere o meno agenti: noi e gli animali siamo casi particolari di oggetti
animati, ma vedremo che anche molti oggetti digitali sono agenti.
Layout / luogo / ambiente fisico, naturale o costruito. L’ambiente è caratterizzato dalla relazione di
elementi invarianti, che ci permettono di distinguere un ambiente da un altro, di riconoscerlo come
sistema, di orientarci al suo interno e di percepirne le potenzialità. Per esempio nell’ambiente “bicicletta”,
le ruote, la trasmissione e il manubrio sono elementi di sistema invarianti. Percepiamo la relazione fra gli
elementi non come una relazione gerarchica, ma come nidificazione / ecosistema, che ammette
sovrapposizioni parziali fra gli elementi.
Percepiamo, comprendiamo e interpretiamo superfici, sostanze, oggetti e ambienti agendo su di essi.
Viceversa la nostra percezione, comprensione e interpretazione sono finalizzate ad agire in modo efficiente
ed efficace su oggetti e ambienti. Questo circolo è sintetizzabile dal termine interpret-azione.
A parità di superfici, sostanze, oggetti e ambienti ogni agente può percepirne potenzialità differenti. Per
esempio, un ramo o un albero esprimono potenzialità diverse per noi e per un volatile. Lo stesso agente
può inoltre percepire potenzialità differenti della stessa superficie, sostanza, oggetto e ambiente in base
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Petra Dal Santo – KEA S.r.l. (dalsanto@keanet.it) | Febbraio 2017
alla sua situazione, ai suoi bisogni e compiti. Per esempio la stessa autostrada è percepita in modo diverso
dall’automobilista e dal pedone. Il contesto è dunque lo spazio-tempo della relazione biunivoca di
interpret-azione fra agente, situazione in cui l’agente si trova (bisogni, compiti, background, ecc.) e
ambiente.
Superfici, sostanze, oggetti e ambienti non sono immutabili. L’evento è il cambiamento di secondo il
principio di causalità. Per economizzare gli sforzi, gli esseri viventi, noi compresi, sono ciechi ai
cambiamenti non rilevanti ai fini dell’interpret-azione. Gli ambienti non naturali, ma costruiti dall’uomo,
tendono a modificare o addirittura a sospendere la correlazione naturale, diretta, fra causa ed effetto. Per
comprendere i nessi causali in ambienti costruiti, la percezione e l’esperienza non sono sufficienti, ma è
necessario apprendere i nessi causali dalle comunicazioni di chi li ha progettati e attuati.
Su che cosa si basa la nostra l’interpret-azione di oggetti e ambienti?
La nostra interpret-azione di oggetti e ambienti si basa su due modalità distinte e integrate: la percezione di
informazioni fisiche e la cognizione di informazioni cosiddette linguistiche (semantiche, simboliche,
concettuali).
Informazione fisica e percezione
L’informazione fisica è costituita dalle caratteristiche fisiche intrinseche a oggetti e ambienti. Non è creata
intenzionalmente e non ha finalità comunicative: esiste a prescindere dal fatto di essere colte da un
agente. Ha una velocità di cambiamento molto bassa.
La percezione è il metodo cognitivo che accomuna l’uomo agli altri esseri viventi. Si basa sul circolo fra
azione e interpretazione: agendo interpretiamo oggetti e ambienti; viceversa, l’interpretazione ci aiuta a
ottimizzare l’azione su oggetti e ambienti. Si tratta di un concetto dinamico. La percezione non richiede una
riflessione consapevole, ma – in base alle capacità dei nostri sensi – coglie immediatamente l’espressività
delle caratteristiche fisiche e delle variazioni dei sistemi con cui siamo in simbiosi. Obiettivo della
percezione è permettere all’essere vivente di interpretare il sistema quanto basta per agire in simbiosi con
esso e assicurarsi la sopravvivenza.
La percezione è un metodo di interpret-azione body-first (James Gibson parla di “embodied cognition”),
basata sull’immediatezza irriflessa (“information pick-up”). La percezione è tendenzialmente tacita,
inconscia e automatica.
Per definire l’informazione fisica percepibile, Gibson conia il termine di “affordance”. L’affordance definisce
il sistema a cui concorrono la rete di caratteristiche intrinseche di oggetti e ambienti, nonché le capacità di
un determinato soggetto percipiente. L’affordance non è unica, ma è relativa, definita cioè dalla relazione
biunivoca fra oggetto / ambiente e soggetto percipiente / agente.
Informazione linguistica (semantica, simbolica, concettuale) e cognizione
L’informazione linguistica è creata intenzionalmente da un mittente per comunicare qualcosa a un
destinatario. Ha una velocità di cambiamento media.
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Il livello dell’informazione linguistica (Gibson parla di “display”) crea una vera e propria infrastruttura
(“information architecture”) che può reggersi in modo autonomo o sovrapporsi a quello dell’informazione
fisica per aumentarne o modificarne il senso (da questo punto di vista la Realtà Aumentata non ha
inventato nulla di nuovo!).
Per sua natura l’informazione linguistica è convenzionale e contestuale, comprensibile solo se mittente e
destinatario si muovono su un terreno comune (storico, culturale, di dominio, ecc.). Per esempio la
cassetta delle lettere esprime informazioni fisiche che ogni persona (più in generale, ogni essere vivente)
può percepire, ma comunica anche informazioni linguistiche (cioè il fatto di essere un elemento del sistema
di gestione della corrispondenza), che possono essere comprese solo da persone situate nello stesso spazio
di negoziazione in cui si colloca anche la cassetta delle lettere. Convenzionalità e contestualità rendono le
informazioni linguistiche meno stabili di quelle fisiche e quindi potenzialmente ambigue: la
disambiguazione è un elemento costitutivo della comunicazione.
La sovrapposizione fra livello dell’informazione fisica e livello dell’informazione linguistica conferisce
un’espressività comunicativa più complessa a oggetti e ambienti.
L’informazione linguistica può essere parlata o scritta. Il linguaggio orale è lineare, legato all’evento,
mentre il linguaggio scritto è slegato dall’evento: aumenta la capacità di astrazione e categorizzazione, è
persistente (a meno della distruzione del suo supporto), può essere archiviato e richiamato, può essere
oggetto di analisi e facilita la trasmissione. L’informazione linguistica scritta può basarsi su icone e indicatori
oppure su simboli: mentre le icone, gli indicatori (per esempio l’indicatore del livello di carburante di
un’autovettura) e, per certi versi, anche le metafore mantengono il legame con l’oggetto e ambiente cui si
riferiscono, il simbolo è astratto e comprensibile solo se mittente e destinatario sono situati su un terreno
comune (sono rappresentazioni visibili dell’invisibile). L’astrazione determina anche la flessibilità del
simbolo, come dimostrato dai concetti, che sono un caso particolare di simboli: un unico termine può
rappresentare un intero sistema, che le persone sono in grado di reificare, cioè di “vedere” come oggetti e
ambienti monolitici e concreti (per esempio il concetto di società).
La cognizione, necessaria per recepire le informazioni linguistiche, è un metodo di interpret-azione brain-
first (Gibson parla di “disembodied cognition”), basato sulla mediazione della riflessione. La cognizione è
esplicita, volontaria, riflessiva.
È interessante notare che, in prima battuta l’informazione linguistica viene appresa cognitivamente, ma
che – una volta appresa –, anch’essa viene percepita come una “seconda natura” dell’oggetto e
dell’ambiente, quasi fosse un’informazione fisica. Dato che la cognizione richiede più sforzi della
percezione, si tratta di una strategia tacita, inconscia e automatica per economizzare gli sforzi.
Satisficing: strategie per economizzare gli sforzi cognitivi
Secondo Gibson, nel nostro processo di interpret-azione di un oggetto o ambiente, il livello percettivo,
fisico, immediato e irriflesso, precede quello cognitivo, mentale e mediato dalla riflessione, poiché –
rispetto alla cognizione – la percezione richiede uno sforzo minore.
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Dal momento che gli esseri viventi, compreso l’uomo, tendono a economizzare gli sforzi, la mediazione
della riflessione (cognizione) scatta solo quando l’immediatezza irriflessa (percezione) non produce un
risultato di interpret-azione sufficientemente soddisfacente (“satisficing” = satisfy + suffice).
Solo in presenza “attriti” la nostra modalità di funzionamento passa da percettiva a cognitiva.
Percezione e cognizione sono metodi distinti, ma integrati (Gibson parla di “soft assembly”). Nel processo di
interpret-azione non facciamo una distinzione consapevole fra informazione fisica e linguistica, fra
percezione e cognizione: avvertiamo solo un senso di minore o maggiore fatica. È nel suo insieme, fisico e
linguistico, che l’ambiente influenza le nostre azioni.
Su percezione e cognizione influiscono non solo l’ambiente, ma anche la situazione, i bisogni e i compiti
della persona, la socialità e la cultura, l’esperienza e l’apprendimento, nonché la memoria.
Anche la memoria funziona secondo il principio del satisficing, del massimo risultato con il minimo sforzo.
Esiste una memoria tacita, che si forma inconsapevolmente e involontariamente nel tempo, sulla base delle
nostre percezioni ed esperienze, e una memoria esplicita, che utilizziamo quando impariamo a memoria e
richiamiamo alla memoria consapevolmente e volontariamente.
La memoria tacita aumenta le nostre capacità di ottimizzare l’interpret-azione in un determinato ambiente
e quindi di sopravvivere al suo interno. Si tratta di una capacità fisica che, come la percezione, l’uomo
condivide con gli altri esseri viventi. La memoria tacita, rispetto a quella esplicita, richiede uno sforzo
minore da parte del soggetto ed è quindi sempre la prima opzione.
Nel complesso condividiamo con gli altri esseri viventi la tendenza naturale a economizzare gli sforzi e
quindi ad agire prima di pensare, basando l’interpret-azione di oggetti e ambienti anzitutto sulla
percezione e sulla memoria tacita, e solo in caso di risultati al di sotto della soglia del satisficing su
cognizione e memoria esplicita.
Oggetti, ambienti e informazioni digitali: l’altro tout court
Negli anni Quaranta del secolo scorso, Claude Shannon affronta il problema dell’archiviazione e della
trasmissione di contenuti, e utilizza il termine “informazione” per definire un messaggio ridotto alla sua
descrivibilità matematica (come sequenza di bit, di binary digits, digitale), neutro rispetto alla sua
componente semantica, di senso.
Intrinsecamente il linguaggio digitale non offre appigli alla nostra attività di percezione e cognizione,
poiché è pensato per consentire il funzionamento di macchine (computer e software), nonché la
comunicazione fra di esse, non per essere compreso immediatamente dagli esseri umani.
Perché possiamo comprenderlo, il linguaggio digitale va tradotto, sovrapponendo a posteriori al
messaggio il livello semantico di cui è stato privato in fase di digitalizzazione.
Il livello semantico, non essenziale al funzionamento della macchina, è aggiunto solo a quelle parti della
macchina, che è previsto entrino a contatto con le persone. Le ontologie – che descrivono, sempre in
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termini logico-matematici, elementi e relazioni di un determinato dominio – sono funzionali a questa
attività di donazione di senso a posteriori.
La teoria dell’informazione si applica non solo all’archiviazione e alla trasmissione, ma anche
all’elaborazione (computing). In particolare Alan Turing e Norbert Wiener affermano, che ogni messaggio
descrivibile in termini logico-matematici può essere elaborato da una macchina. La capacità di
elaborazione implica che la macchina acquisti – al pari dell’uomo e degli altri esseri viventi, sebbene con
modalità differenti – lo status di agente, capace di decidere e di agire in modo autonomo all’interno del
nostro mondo.
In ogni ambiente digitale, ad agire non è solo la persona, ma sempre anche il software, rendendo
necessariamente duplice la prospettiva dell’interpret-azione: oltre al punto di vista della persona, va
considerato anche quello del software.
Perché la macchina possa decidere e agire nel nostro mondo, esso va ricreato all’interno della macchina
con strumenti logico-matematici, secondo i principi dell’astrazione e della rappresentazione.
Ciò implica, che le macchine partono dall’astrazione logico-matematica (brain-first), anziché dalla
percezione fisica, mentre l’uomo e gli altri esseri viventi partono dalla percezione fisica (body first) e,
all’occorrenza, attivano gli strumenti cognitivi. La prospettiva di partenza diametralmente opposta è la
causa originaria della difficoltà di interazione fra uomo e macchina.
Va sottolineato che nelle interfacce uomo-macchina per la prima volta è possibile interagire con la
rappresentazione di elementi e delle loro relazioni. Mentre possiamo solo osservare gli oggetti raffigurati in
un quadro, l’interfaccia di ogni software ci permette di agire sugli oggetti e ambienti rappresentati e di
ricevere di ritorno la loro reazione.
Gli ambienti digitali, non sono fisici, ma non per questo sono meno reali. Oggetti e ambienti digitali che
popolano le interfacce software acquistano per noi una affordance simulata, a cui applichiamo lo stesso
approccio fisico-percettivo con cui approcciamo oggetti e ambienti fisici (naturali o costruiti). Anche negli
ambienti digitali percepiamo la relazione fra gli elementi non come una relazione gerarchica, ma come
nidificazione / ecosistema, che ammette una sovrapposizione parziale fra gli elementi. Per esempio: in
un’applicazione web Progetti, Documenti, Manager, Autori, Team possono essere altrettanti elementi
invarianti (sezioni); l’applicazione del concetto di nidificazione / ecosistema permette all’utente non solo di
esplorarli singolarmente (verticalmente), ma anche di tracciare in modo autonomo percorsi di
collegamento multi-dimensionali, basati sulla sua situazione, sui suoi bisogni e compiti, passando, per
esempio, da un autore ai documenti che ha prodotto oppure verificando quali sono i team di cui un autore
fa parte e qual è il manager di ognuno, ecc.
Rispetto a quelli fisici, gli oggetti e ambienti digitali presentano peculiarità, che li rendono radicalmente
diversi:
• Essendo simulata, l’affordance di oggetti e ambienti digitali non è fisica, ma solo linguistica
(semantica, simbolica, concettuale). In quanto tale, nulla vieta che modifichi o addirittura
contraddica il comportamento degli omologhi fisici, ingenerando in noi un senso di spaesamento
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Rapporto uomo-macchina: storia di una incomprensione
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• Non essendo governati da regole fisiche, ma da regole logico-matematiche, i rapporti di causa-
effetto di oggetti e ambienti digitali, nonché degli oggetti fisici digitalmente aumentati dell’IoT
(Internet of Things, internet delle cose), non sono evidenti – poiché di solito non vediamo né
comprendiamo immediatamente il codice sorgente su cui si basa il funzionamento della macchina –
, e possono contravvenire alle regole di funzionamento degli omologhi fisici o degli oggetti non
IoT. L’affordance digitale non è mai naturale, ma è sempre convenzionale: come tale andrebbe
anzitutto spiegata da parte di chi ha progettato e attuato il nesso e poi appresa dall’utente tramite
cognizione ed esperienza, non tramite la percezione – il che richiede uno sforzo, che cerchiamo
istintivamente di evitare
• Essendo guidato da regole logico-matematiche, non fisiche, senza mutare di aspetto, lo stesso
oggetto e ambiente digitale può mutare il proprio comportamento in base alla modalità in cui si
trova, portandoci a trarre conclusioni errate e a commettere errori, se il tipo di modalità o la scelta
compiuta dalla macchina in nostra vece non sono comunicati chiaramente in termini linguistici.
Ecco due esempi: il tab Shopping di Google dà priorità ai prodotti sponsorizzati, ma questo
comportamento non è chiaro e noi siamo indotti a pensare che il criterio di presentazione dei
risultati sia lo stesso delle altre funzioni di ricerca, fondato sulla rilevanza; alcuni sistemi di e-
commerce basano la localizzazione automatica dell’utente sul suo indirizzo IP, il che non garantisce
un posizionamento sufficientemente preciso e rischia di essere spiazzante
• Essendo svincolata dalla fisicità, la velocità di cambiamento delle informazioni digitali è molto
elevata
• Come già sottolineato, per economizzare gli sforzi, gli esseri viventi, noi compresi, sono ciechi ai
cambiamenti non rilevanti ai fini dell’interpret-azione. Negli ambienti digitali i cambiamenti sono
ancora più difficili da percepire, poiché i nessi causali non sono auto-evidenti e gli spazi sono
spesso molto ridotti (soprattutto in ambito mobile).
Composizione del contesto: princìpi per lo sviluppo di ambienti digitali
Il contesto è la rete di relazioni, unica e personale, che – tramite l’azione, il portato storico (esperienza) e
la narrazione (donazione di senso) – si crea fra ogni agente, ogni agito e la situazione in cui ogni agente si
trova.
L’agente può essere la persona oppure la macchina: nel digitale la prospettiva è sempre duplice.
La situazione è una componente importante del contesto. Per esempio, il fatto di essere pedoni o
automobilisti cambia il senso che, in quella determinata situazione, ha la medesima autostrada. Il contesto
è unico e personale per ogni agente, e può essere percepito diversamente dallo stesso agente in vari
momenti.
Comporre il contesto, cioè progettare oggetti e ambienti digitali, significa creare spazio (spacemaking) per
creare senso (sensemaking). Nella composizione del contesto:
• Si tratta di costruire un tutto strutturato (ambiente) mediante la relazione fra le sue parti
(elementi)
• Il tipo di relazione fra le parti è di nidificazione, non di gerarchia (relazione di tipo ecologico)
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Rapporto uomo-macchina: storia di una incomprensione
Petra Dal Santo – KEA S.r.l. (dalsanto@keanet.it) | Febbraio 2017
• Relazioni e struttura (la “mappa del territorio”) non sono neutrali, ma frutto del punto di vista e
delle decisioni del progettista. In quanto tale, la mappa afferma che cosa l’ambiente è e come
funziona, è cioè la rappresentazione del suo senso
• È necessario tenere in considerazione i diversi modi in cui gli agenti (persone, software)
percepiscono / conoscono l’agito, nonché le situazioni in cui gli agenti possono trovarsi
• La presenza di elementi e relazioni invarianti, nonché la coerenza interna della mappa e la sua
corrispondenza a uno degli “schemi mentali” familiari agli agenti tipici sono fondamentali, affinché
gli utenti possano orientarsi nell’ambiente, interpretarlo (cioè condensarlo in una propria
narrazione carica di senso) e agire in modo efficiente ed efficace
• Il progettista ha a disposizione solo strumenti linguistici (semantici, simbolici, concettuali) per
creare, a partire dalla mappa, uno spazio carico di senso e per ingenerare nell’utente una
determinata interpret-azione (in questo senso ogni mappa è uno strumento di potere). È
oggettivamente difficile veicolare tramite informazioni linguistiche che cos’è e come funziona un
ambiente digitale: in primo luogo, perché l’utente dovrebbe avere un approccio cognitivo, non
percettivo a questo tipo di informazioni, mentre egli parte sempre dalla percezione, attivando
cognizione e memoria esplicita solo quando i risultati delle sue interpret-azioni sono al di sotto
della soglia del satisficing; in secondo luogo, poiché il digitale contestualizza di meno le
informazioni linguistiche, richiedendo quindi a monte un’attenta attività di disambiguazione per
non pregiudicarne la comprensibilità da parte degli utenti tipici. Disambiguare significa anche che il
progettista è chiamato a sfruttare proficuamente la nostra capacità di cogliere metafore per
integrare tacitamente informazione fisica, linguistica e digitale. Gli strumenti linguistici per creare,
a partire dalla mappa, uno spazio carico di senso sono:
o Etichette. Immagini e testi atti a nominare le cose
o Relazioni. Creano un tutto dalle parti. Dovrebbero essere stabilite privilegiando il principio
della nidificazione. Possono essere di vario tipo: relazioni fra elementi sovra- e subordinati
o di pari grado; relazioni basate su matrici, liste, faccette; relazioni fra elementi non
contigui (percorsi di collegamento); relazioni fra mondo fisico e funzione digitale, ecc. L’ uso
controllato del linguaggio, le ontologie, le tassonomie e i thesauri aiutano a stabilire
relazioni intelligibili
o Regole. Le regole riguardano le azioni che gli agenti possono compiere. Anch’esse sono
comunicate in termini linguistici (ne è un esempio la riga di mezzania della carreggiata, che
– in base al tipo di tratto – ci indica la possibilità o meno di effettuare un sorpasso).
Nella composizione del contesto occorre considerare che le persone di norma non hanno un approccio
logico e lineare né alla formulazione, né allo svolgimento del proprio compito: si comporta piuttosto in
modo erratico, iterativo ed esperienziale, seguendo il “profumo” dei contenuti e delle azioni che via via
paiono più funzionali al raggiungimento dello scopo – come un cacciatore / raccoglitore. Spesso situazioni,
bisogni e compiti si chiariscono alle persone strada facendo.
A prescindere dai rari casi in cui è necessario far seguire all’operatore un percorso lineare e predefinito (per
esempio in attività di data entry oppure nell’applicazione di protocolli medicali), il progettista non deve
disegnare i molteplici modi di uso del software (poiché è impossibile predefinire le esigenze di ogni agente,
anche tipico), ma rendere comprensibile l’ambiente (in base ai principi di nidificazione, ecosistema e
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sovrapposizione parziale; non di gerarchia, verticalizzazione, silos e compartimenti stagni), in modo tale che
ogni persona possa trovare la sua via di esplorazione, narrazione (sensemaking) e interpret-azione.
Anche per il fatto che la memoria tacita, rispetto a quella esplicita, richiede uno sforzo minore da parte del
soggetto ed è quindi sempre la prima opzione, il progettista non deve presupporre che l’utente impari a
memoria e richiami alla memoria consapevolmente e volontariamente la sequenza delle procedure.
I software dovrebbero nascere per supportare un approccio simile al metodo pedagogico Montessori,
dando alle persone gli strumenti per scoprire l’ambiente a modo proprio, conferendogli senso attraverso
la propria personale narrazione, cioè tramite l’attività linguistica con cui cerchiamo un filo rosso, una
coerenza interna a un sequenza di nostre interpret-azioni. I software dovrebbero essere spazi di possibilità
da esplorare, resilienti. Un esempio interessante di questo approccio è IFTTT (If This Than That),
applicazione che incorpora il principio del Service Design e del System of Activities Hub. In IFTTT non sono
centrali le funzioni (che cosa fa il software), ma il modo in cui l’applicazione aiuta l’agente a portare a
termine un compito. Anche la proazione del software va vista in funzione del principio di leggibilità della
complessità, non di esautorazione della persona.
“Put knowledge in the world”: per essere spazi di possibilità da esplorare, i software non devono occultare
la complessità, ma renderla comprensibile alle persone, se possibile già alla percezione fisica, altrimenti
alla cognizione mentale e alla memoria esplicita. Passare dal seamless al seamfull, “mostrare le cuciture”
significa rendere evidente e disponibile all’interpret-azione la complessità, permettendo alla persona di
costruire la propria personale “mappa del territorio”, di dare coerenza e senso all’ambiente e di esplorarlo
in base a finalità puntuali.
Autore: Petra Dal Santo – KEA S.r.l. (dalsanto@keanet.it)