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Tra il 1400 ed il 1500 fioriscono numerosi ricettari, come la
Concordia del 1511, o antidotari privati coevi di grande successo e
diffusione nella pianura Padana ed in tutta Europa, come il
Luminare Maius di Manlio del Bosco di Alessandria, il
Thesaurus Aromatariorum dello speziale bergamasco Paolo
Suardo e il Lumen Apotecariorum di Quirico de Augustis da
Tortona. Queste opere sono realizzate come l’Antidotario di
Niccolò e non sono considerabili farmacopee.
Nel 1500 dagli inventari delle apoteche più fornite si rileva la
presenza di 300-500 voci di semplici e composti, talora era presente
anche il rabarbaro, una delle sostanze più care importata dalla Cina,
spesso vi era la biblioteca che, in taluni casi, raggiungeva la
ragguardevole quantità, per quel tempo, di 300-400 volumi.
Spezierie
così ben fornite ed al passo con la scienza del tempo vendevano,
tuttavia, candele, grandi quantità di pece per i navaroli e di fieno
greco; la presenza, inoltre, di padelle per li coriandoli e di tegghie
per marzapane attestano la specializzazione in confetti e dolci. In
questo secolo va crescendo il fenomeno della progressiva ingerenza,
nei Comuni Italiani, delle Arti nella cosa pubblica fino a
determinare lo sviluppo della terza fase del Comune, il “Comune
del popolo” o periodo del “Governo delle Arti”, che affiancò al
governo podestarile il Capitanus populi coadiuvato dagli Anciani o
Priores Artium e il Concilium Populi.
La costituzione nell’ambito del Comune di queste nuove
strutture fu determinata dalla spinta delle nuove forze
sociali formate dalle classi produttive dei commercianti
degli industriali e degli artigiani di fronte alle vecchie
classi dominanti. Roma non si adeguò in tutto allo schema
di sviluppo dell’organismo
comunale nella fisionomia da esso assunto nelle città della
Toscana e dell’Italia settentrionale.
Infatti, non è rilevabile nella storia dell’Urbe un periodo
definibile propriamente come “Comune del popolo o
periodo del Governo delle Arti” anche se sono da
rammentare momenti in cui le Arti ebbero notevole
rilevanza politica ed economica.
Nel 1505 a Venezia i documenti attestano che i farmacisti
furono finalmente separati dai droghieri e dai merciai e
nacquero le prime corporazioni e si andarono costituendo,
poi, i Collegi degli Speziali o degli Aromatari.
Per quanto riguarda la situazione in Europa, Folch Jou
sostiene che in Spagna già a metà del 1300 Pedro El
Cirimonioso abbia favorito la nascita del “Colegio de
Boticarios”. Tuttavia, la separazione netta tra Speciarios
(Speziali) e Boticarios in Spagna, sempre secondo Folch
Jou, avvenne solo nel 1700 con l’istituzione del “Colegio
de Farmacia”.
Nel 1508 dalle Antille fu introdotto in Spagna il guaiaco (Guaiacum officinale e il Guaiacum
sanctum), noto come legno santo, subito largamente utilizzato in Europa, a prezzi elevatissimi,
per la cura della “malattia del secolo”, la sifilide (o lue o mal francioso), per la quale non v’erano
medicamenti migliori. Nel 1526 fu per la prima volta impiegato in Italia dal medico ferrarese
Antonio Musa Bresavola.
Dal XVI a XVIII secolo i boticários portoghesi rientrano in una grande divisione in due gruppi:
cristiani nuovi e cristiani vecchi; molti erano i medici ed i boticários discendenti di giudei
convertiti a forza che furono bersaglio di severe campagne di intolleranza religiosa. Nel 1525,
in particolare, fu presentata a Corte una petizione che proibisse ai cristiani nuovi di essere
boticários.
Sempre nel ‘500 in Francia la cittadina di Grasse si impone come capitale della produzione di
profumi e la Provenza si trasforma in un enorme giardino
di fiori e piante aromatiche.
Verso la fine del XVI secolo alcuni apotecari intrapren
denti si arricchirono con l’esportazione di manufatti
nelle contigue regioni. Il commercio più remunera-
tivo era sempre quello delle candele votive; le
apoteche più importanti avevano magazzini
con diverse tonnellate di cera vergine. A quel
tempo diversi speziali triplicarono addirittura
il loro capitale di esercizio.
In questo secolo la Repubblica di Venezia
fu il mercato delle droghe più importante
d’Europa.
Risale al Concilio di Bruges del 1528 un documento di particolare autore- volezza promulga
promulgato addirittura dalla Chiesa, in tema di periodo migliore per la rac-
colta delle piante o tempo balsamico, che stabilisce il divieto
di raccolta di piante medicamentose in specifici giorni ed
ore della giornata o in occasione di feste di determinati
santi (per esempio, la notte di S. Giovanni) ritenendo possibili
vari mutamenti della natura benefica delle droghe contenute.
L’anno 1530 segna l’inizio della presenza dell’ Ordine di San
Giovanni a Malta 5,6,7. Prima che vi giungessero gli Ospedalieri le
isole maltesi erano servite dal punto di vista sanitario soltanto da
due piccoli ospedali: il Santo Spirito a
Rabat e l’Ospedale di San Giuliano,
che al massimo avranno riunito
insieme venti posti letto.
Al 1532 risale l’inizio della costruzione del pri-
mo ospedale fatto erigere a Malta dall’ Ordine.
È interessante rilevare che il Primo Capitolo Generale che si celebrò
a Malta nel Forte dispose che i medici a dell’Ordine avrebbero visi- tato
gli infermi nelle loro case senza ricevere alcun compenso extra dai malati
stessi. Inoltre, l’Ospedaliere aveva ricevuto espresse istruzioni di controllo della
qualità dei farmaci dispensati e di verificare che i malati fossero adeguatamente
curati: l’Ordine prestava particolare attenzione ai farmaci che acquistava e non rispar
miava sforzi né denaro per rifornirsi dei migliori. Per l’acquisto di farmaci si invia-
vano speziali fino a Soria (Spagna), centro rinomato di produzione dei medicamenti.
L’ospedale aveva istituito standard elevati e li teneva
sotto attento controllo8. Veniva data particolare
attenzione alla qualità delle cure, al numero di visite
che i medici dovevano effettuare sui loro pazienti, alle
ispezioni a sorpresa che l’Ospedaliere era tenuto a
svolgere nella farmacia dell’ospedale ed alla qualità
del cibo servito ai pazienti. I medici dovevano visitare
i malati in ospedale almeno due volte al giorno.
Nel 1548 fu emessa una direttiva molto importante: si
ordinò ai medici dell’ospedale di tenere una riunione
clinica collegiale settimanale nella quale avrebbero
dovuto discutere le condizioni dei pazienti affidati alle
loro cure, un indiscutibile progresso per gli standard
sanitari dell’epoca.
La reputazione dei servizi medici e delle scuole degli
ospedali dell’Ordine si estese lungo tutta la costa del
Mediterraneo.
Il servizio sanitario gratuito era usufruibile non solo
dai residenti ma anche dai marinai e dai viaggiatori che
si ammalassero durante il loro soggiorno a Malta: ce
n’erano molti e tutti venivano curati senza alcuna
distinzione di razza, colore o religione.
I servizi sanitari istituiti dall’Ordine (due ospedali, la
scuola medica, l’uso e la stipulazione di una protocollo
operativo del personale medico qualificato, la diffusione di una buona pratica
farmaceutica) furono a tutti gli effetti i primi servizi sociali istituiti sulla
isola.
Nel 1543 si verificò un evento rivoluzionario per l’anatomia umana e per la medici-
na: Andreas Vesalius (1514-1564) corresse nel suo De humani corporis fabrica
gli errori anatomici riportati da Galeno.
Con il passare dei secoli la concezione ippocratica della figura del medico rimane
sostanzialmente immutata al punto che il Papa Clemente VII (Pontefice dal
1523 al 1534), in una sua Bolla, stabilì che il laureato in medicina s’impegnasse so-
lennemente ad osservare il testo del giuramento ippocratico.
Nel 1544 a Venezia un fatto nuovo e di straordinaria importanza per l’Italia e per il
il Mondo fu la pubblicazione dei Commentari a Dioscoride opera di Pier Andrea
Mattioli. Questi, medico poco più che quarantenne a Gorizia, ebbe l’intuito geniale
di dare alle stampe un’opera completa ed enciclopedica interamente scritta in volgare
cosicché rese nota a tutti, o almeno a coloro che erano in grado di leggere, la si-
tuazione della materia medica che stava allora cambiando di fronte all’in-
traprendenza del mondo scientifico rinascimentale: il suc- cesso
dell’opera non tardò a manifestarsi.
Nel 1558 a Praga egli aveva al suo seguito già due
artisti e 5 incisori di Vienna, nel 1565 l’opera rag-
giunse una mole di straordinaria ampiezza con una
edizione in folio di ben 1500 pagine ricchissima di
illustrazioni a tutta pagina: fu il successo editoriale
del secolo e decine di migliaia di copie del libro
Tuttavia, se da un canto lo speziale poteva trarre il
vantaggio di arricchire enormemente la propria
cultura, d’altro canto un rischio che si presentava era
evidentemente che lo speziale stesso venisse tentato
a commettere continui abusi di professione, con
disappunto delle autorità mediche del tempo.
Un altro nesso tra alchimia e rinascimento è
rintracciabile nella tradizione erboristica
fiorentina: gli Orti per la farmacopea in Firenze
furono curati dalla antica corporazione degli
“speziali”; l’Orto Botanico, adiacente allo Spedale
di S. Maria Nuova risale al XIV secolo, mentre
l’Orto dei Semplici, fu fondato nel 1545, anche a
scopi didattici. Presso lo stesso ospedale si trovava
la famosa omonima Spezieria con annessa scuola
per gli speziali.
Nel 1548 vede la luce la prima edizione del
Regimen Sanitatis, il frutto collettivo più noto della
Scuola Salernitana (ristampato in epoche successive
invasero il mondo medico-scientifico nonché quella vasta area frequentata da para-
medici praticanti. I “Commentari” del Mattioli indubbiamente soddisfacevano le
esigenze di un testo in volgare consultabile dai più e non c’è dubbio che tra le cosiddette
“farmacopee private” l’opera del Mattioli fu uno dei
testi più consultati.
volte sempre con nuove aggiunte): una raccolta di precetti e massime che insegnano a conservare
la salute adottando una opportuna regola alimentare e comportamentale senza bisogno di
ricorrere a sortilegi ed amuleti.
A metà del Cinquecento, dopo la grande stagione policroma, le ceramiche divennero bianche e
il bianco divenne faiance mentre per dare lustro si usa un’iridescenza.
In Italia solo nel 1553 all’Università di Padova venne istituita una cattedra (Lectura
simplicium) che conferiva il Diploma di Speziale.
Nel 1550 è pubblicata la seconda edizione del Ricettario Fiorentino che
presenta una novità per nulla trascurabile: allo speziale viene data la possi-
possibilità di procurarsi un discreto numero di cosiddetti “succedanei”
utili a sostituire “quelle medicine semplici le quali al presente è impos-
sibile provvedere ò vero in queste parti molto
difficile...”. Bisognava fare i conti con lo stra-
grande numero di botteghe, con lo stato di mi-
seria in cui versavano molte di esse, del diva-
rio che sussisteva tra le spezierie di città e
quelle della campagna e perciò cercare il più
possibile di offrire loro l’opportunità di rag-
giungere una certa uniformità di approvvi-
gionamento o, quanto meno, dare la possi-
bilità agli speziali più poveri - ed ecco l’uti-
lità delle liste dei succedanei - di procurarsi
il minimo necessario con costi sostenibili.
Basta dare un’occhiata a qualche inventario
di spezieria del ‘400 per rendersi conto di come lo speziale supplisse spesso la scarsità delle voci
medicamentose dedicandosi, non di rado, ad altri commerci: in campane, pentole, bicchieri, carta,
inchiostri e lucignoli.
Questa edizione del Ricettario, inoltre, da un lato aveva l’alto e difficile compito di stabilire i
medicamenti utili alla salute pubblica, senza trascurare l’importanza della tradizione galenico-
araba, d’altro lato doveva arginare i crescenti episodi di ciarlataneria e mortificare una certa
libertà di “inventare medicamenti” da parte di chiunque e, infine, doveva sancire regole precise e
autorevoli che assicurassero allo speziale un futuro che gli permettesse di riscattare la sua
posizione professionale e di distinguersi definitivamente dai droghieri.
Il Ricettario, infine, cominciò a mettere ordine nella procedura di preparazione dei medicamenti,
stabilendo tempi e metodi.
Evidentemente allo speziale, poiché tendeva sempre più a distinguere il suo mestiere da quello
del droghiere, non bastavano gli aridi elenchi di semplici corredati da rigide regole
comportamentali, avendo egli bisogno di consultare piuttosto dei
manuali che gli dessero una visione più ampia e globale
della materia medica con tanto di indica-
zioni terapeutiche delle droghe che
egli abitualmente usava e con pre-
cisi riferimenti bibliografici sul lo-
ro utilizzo tradizionale.
A partire dalla seconda metà del
XVI secolo fanno la comparsa in
Svizzera le prime farmacopee a
carattere regionale.
Nel 1555 al viterbese Girolamo Ruscelli si attribuisce la paternità dell’opera dei Secreti del
rev. Donno Alessio Piemontese, stampata a Venezia, che conobbe una fama straordinaria
superando il centinaio di riedizioni fra quelle in italiano, in latino e in altre sette lingue europee.
Come esempio di stretta relazione tra alchimia e arte nel rinascimento fiorentino ricordiamo la
pubblicazione del libro De Re Metallica (1556) su analisi e fusione dei metalli dell’Alchimista
senese Vannoccio Biringuccio e, in corrispondenza, la celebre fusione (1554) del Perseo di
Benvenuto Cellini, le porte del Battistero, il Puttino del cortile di Palazzo Vecchio, ecc.
Il principio di separazione degli interessi tra professionisti sanitari in Portogallo fu rafforzato nel
1561 con la proibizione di società tra medici e boticários.
Il 5 Settembre 1561 a Firenze il duca Cosimo de’ Medici “volendo che li spetiali di tutto il
dominio fiorentino si governino sotto la medesima regola et modo”, emanò una rigidissima
provvisione: “Per benefitio della vita humana” in cui “le compositioni et ordinationi
medicinali” dovevano essere realizzate “buone, nette, stabili et senza
za fraude o macula alcuna, secondo l’ordine et modo del Ricettario
Fiorentino”. Tutti gli speziali erano poi obbligati ad esporre al pub
blico, almeno un giorno prima della vendita, ogni nuova prepara-
zione che doveva anche essere controllata dai “veditori” incarica-
ti, “Et acciocché le dispense et compositioni che per li tempi si fa-
ranno siano al tutto senza fraude et pericolo de corpi umani, deb-
bino li spetiali metterle sopra la mostra della bottega, nel solito
tavolello, in publico almeno un giorno avanti che le dispensino et
di poi far chiamare li veditori et medico et li detti deputati non le
possino in modo alcuno accettare se non haveranno visto droga
per droga che sia buona come per il Ricettario è ordinato”.
Tutto non solo doveva essere controllato ma registrato
sì da conservare memoria di quanto era avvenuto presso
ciascuna spezieria. Ogni margine di autonomia o di
“libera iniziativa” veniva a cadere e gli speziali erano
solo tenuti al più scrupoloso rispetto delle norme
stabilite. In un primo tempo furono escluse da questa
rigidissima normativa le spezierie di ospedali e conventi
ma l’eccezione fu di breve durata ed il 21 Aprile 1562,
con una nuova Provvisione, Cosimo de’ Medici impose
un’unica comune disciplina.
Nel corso del governo di Francesco dei Medici (+ 1587)
ci fu la rigida disciplina dell’orario di apertura e di
chiusura delle spezierie. Alcuni speziali avevano
mostrato “poco rispetto al culto divino et all’honore di
Dio aprendo le loro botteghe e vendendo nei giorni
festivi comandati dalla Santa Madre Chiesa”, ed i
Consoli dell’Arte emanarono una rigida normativa al
riguardo. Per garantire la disponibilità di farmaci, in
caso di necessità, fu stabilito che quattro spezierie, per
sorteggio, restassero aperte a Firenze e fu proibito a
tutti gli altri speziali di “vendere, o far vendere, o
tenere la sua bottega aperta, eziam a sportello, ne’
giorni festivi comandati dalla Santa Madre Chiesa o da
S.A.S. sotto la pena di lire cento per la prima volta et
per la seconda volta di lire cento e di stare tre giorni con la bottega serrata”.
Nel 1565 ai boticários di Lisbona è proibito di avere praticanti cristiani nuovi.
Nel 1567 viene pubblicata l’innovativa terza edizione del Ricettario Fiorentino: sufficientemente
corretta e compilata non più dal Collegio dei medici ma da una Commissione composta da
dodici persone nominate dalle Altezze Serenissime il Duca ed il Principe di Firenze e di Siena
che approvarono il Ricettario, su richiesta della Commissione stessa, rendendolo comune non
solo a tutte le spezierie dello Stato ma anche a tutte quelle che lo desiderassero. Il Ricettario
recava in Appendice i nuovi Statuti del Duca Cosimo de’ Medici che, tra l’altro, istituivano in
ogni luogo ove fossero spezierie un corpo di Speziali Ispettori costituto da uno o due Speziali,
scelti nello stesso luogo da un elenco (borsa) comprendente gli Speziali scrutinati (squittinati)
dall’Arte stessa, denominati Veditori o Saggiatori e un Medico scelto dal Rettore del luogo.
Gli Speziali ispettori insieme al Medico, controllavano anche che nella Spezieria fossero presenti
le preparazioni obbligatorie (come riportato in una tabella allegata alla
Provisione in appendice al Ricettario) e che Droga per Droga, siano
buona al tutto e come per il Ricettario è ordinato.
Qualora avessero trovato medicinali non buoni o
vecchi o con difetti che non potevano essere corret-
ti, ne chiedevano la distruzione; in caso di recidi-
va si chiedeva che gli inadempienti venissero
condannati dal Consolato o Rettore.
Gli Speziali, inoltre, non potevano fare
composizioni senza che fossero viste dai
Veditori e dispensarle e consegnarle senza la
presenza degli ispettori a questo preposti, i quali
dovevano sia dare notizia delle buone che dovevano essere registrate con il nome, il peso, il
luogo della spezieria, sia mandare all’Arte qualsiasi cosa pericolosa alla salute.
Se però i Veditori erano scoperti a consentire l’uso di materiali non idonei o avariati venivano
multati dall’Arte. I Veditori dovevano anche giudicare della bontà di alcuni prodotti come lo
zucchero santomme, i saponi sodi forestieri,
verificare la bontà dell’Aloe che doveva essere
lavata con acqua rosa, ecc. e di questo dovevano
prenderenota nel loro libro e insieme al Medico
erano tenuti a fare una relazione scritta delle
ispezioni da loro effettuate.
Gli Speziali erano tenuti all’osservanza del peso e
potevano dispensare medicinali solo per ordinazio-
ne del Medico, il quale era tenuto a redigere la
ricetta (poliza) secondo le regole stabilite, cioè con
il nome e l’indirizzo, dopo che avessero verificato la
validità della stessa ricetta e dovevano registrare di
loro che doveva essere tenuto a disposizione dei
Veditori.
Essi potevano tenere nella loro bottega un garzone e
dei collaboratori o sottoposti i quali però erano
limitati nella loro attività (ad esempio, non
potevano comprare materiale all’ingrosso senza la
presenza di un rappresentante dell’Arte, né potevano
vendere cera tedesca alterata o adulterata).
Risale al 1576 la prima ufficiale Lista rerum
Petendarum (medicamenti obbligatori) frutto di un
accordo stipulato fra il Collegio dei Medici ed il
Collegio degli Aromatari di Roma.
Il lavoro è effettuato dal Collegio dei Medici e da
quello degli Spetiali o dei Consoli degli Spetiali.
Tutte le Tariffe sono pubblicate in italiano per poter
essere comprese da chiunque e recano tra le
disposizioni l’obbligo che gli acquirenti non devono
chiedere sconti mentre d’altra parte lo Speziale non
deve praticare aumenti.
A partire dagli ultimi decenni del 1500 la moda europea
impose alla nobiltà l’usanza di indossare le gorgiere o
colletti di San Giovanni 9, grandi colli inamidati fatti
con lunghi metraggi di pizzi arricciati a fisarmonica.
Una gorgiera bianca ben gonfia era un simbolo
distintivo inequivocabile dell’alta classe sociale di
appartenenza (il bianco, tra l’altro, era segno di
nobiltà).
Ma tutti apprezzavano anche colletti merlettati con fili
d’oro o d’argento e decorati con pietre preziose.
Il top della ricercatezza consisteva, poi, nell’abbinare al
collo i polsini ed il fazzoletto rifiniti con pizzo della
stessa fantasia.
Resosi però conto le autorità
dell’epoca che si sarebbero
generati evidenti disordini
sociali se le mogli dei nobili e
quelle dei popolani avessero
portato gli stessi pizzi e colli
vistosi, furono promulgate le
leggi sontuarie in base alle
quali era severamente vietato
acquisto e uso di trine, colli e
merletti a tutti eccetto che alle
famiglie nobili ed ai
farmacisti.
Nel 1583 la celebre
Accademia della Crusca
vide la luce nella Farmacia
Lasca in Firenze.
Anche Leonardo Da Vinci
frequentò la farmacia dove,
dalla conversazione con
medici e farmacisti, trasse
materia di riflessione per i
suoi bellissimi studi di
anatomia.
Questo suo interesse per le questioni di
medicina e farmacia ci è attestato da alcune
ricette e da una filastrocca in versi scoperta
nel Codice Atlantico in cui Leonardo con
molta arguzia consiglia, fra l’altro, di stare
lontano dalle medicine indicando linee di
prevenzione sanitaria.
Sempre nel 1583 è pubblicato in latino e in
volgare l’Antidotario Romano, la prima
farmacopea dello Stato Pontificio.
Nel 1588 in Spagna le Ordinanze del Reale
Tribunale del Protomedicato, incluse nella
Prammatica Reale concessa da Felipe Il a San
Lorenzo del Escorial il 2 Agosto di 1593,
contemplavano la redazione di una
Farmacopea Generale ad opera di una
Commissione costituita da tre medici e tre
farmacisti concedendo per questa redazione il
periodo di due anni. Lo scopo della
disposizione era ottenere un Codice Ufficiale
in Spagna al quale tutti i farmacisti potessero
riferirsi per l’elaborazione dei medicinali.
Verso la fine del 1500 dilagò in varie regioni
europee la rabbia.
Il Cinquecento e il Seicento sono i secoli della
grande fioritura dei Secreti medicinali che
sostanzialmente possono essere considerati
come opere di divulgazione a vari livelli del
sapere medico, con più o meno forte intrusione
di arcani alchemici, di credenze superstiziose,
quando non di sfacciata ciarlataneria, mentre
qualche garanzia di maggiore competenza si ha
quando l’autore è un medico oppure uno
speziale.
Vari manuali propagandavano e molti ciarlatani
giramondo vendevano sulle pubbliche piazze i
loro rimedi segreti dalle mirabolanti virtù.
Nello Stato Pontificio, intanto, alle soglie del
‘600, nel progressivo passaggio
dall’ordinamento datogli dal cardinale
Albornoz ad una forma caratterizzata dal
prevalere dell’autorità pontificia sulle altre
forme politiche interne, ad opera
particolarmente dell’energica azione di Giulio
II e successivamente di Sisto V, è possibile
notare un affievolimento della rilevanza
politica delle diverse Corporazioni, tra cui il
Collegio degli Speziali.
Nello Statuto dei Consoli del 1596 del Nobile Collegio Chimico Farmaceutico Romano si
intendono “Speziali tutti quelli che esercitano o fanno per alcun scolaro esercitare l’arte di
spezieria e ancora tutti coloro che vendono pubblicamente ne le loro botteghe pepe, zafferame,
sapone ovvero altrove cose spettanti a la dett’arte, e questi tali possino essere costretti avanti li
Signori Consoli a rispondere, e far osservare li Capitoli de li presenti Statuti si come li altri
speziali”. Nel predetto Statuto, inoltre, sono indicati i due requisiti relativi rispettivamente al
limite di età minimo (25 anni) ed al possesso della specifica competenza nell’arte della spezieria
nonché le altre condizioni necessarie all’ammissione nel Collegio degli Speziali: residenza in
Roma da almeno l0 anni, avere esercitato con un
provetto speziale, essere di buona condizione
sociale, godere di buona reputazione, essere
timorato di Dio ed aver superato il prescritto
esame.
Tra XVI e XVIII secolo sono emersi conflitti
di lavoro sia fra i mercanti-imprenditori da una
parte e i lavoranti dall’altra sia all’interno di un
medesimo gruppo corporativo a causa dei mutati
rapporti con il mercato o per il riassetto dei suoi
equilibri conseguentemente alla concorrenza
straniera e all’introduzione di nuove tecniche
produttive.
Sul finire del XV e l’inizio del XVI secolo
furono realizzate a Lisbona tre grandi
istituzioni di assistenza: la Caldas da Rainha,
la Misericórdia di Lisbona e l’Ospedale de Todos-os-Santos.
Tutte e tre queste istituzioni avevano tra il loro personale in pianta stabile i boticários
ospedalieri; in particolare, il Regimento dell’Hospital de Todos-os-Santos stabiliva che nel
nosocomio vi fossero un boticário e tre aiutanti che dovevano addirittura risiedere nell’ospedale
stesso.
Nel 1600 anche a Genova atti documentano la separazione dei farmacisti dai droghieri e dai
merciai, originando la Corporazione.
Gli strumenti scientifici presenti nel mondo antico e medievale (bilancia, compasso, astrolabio,
orologi meccanici, ecc.) erano il risultato di un lento processo di perfezionamento; con gli inizi
del Seicento si assiste a un’improvvisa fase di invenzione che nel giro di un secolo cambia
profondamente l’immagine della scienza, e con essa il rapporto tra ambiente e persone.
L’atteggiamento di Galilei, che nel 1609
punta verso il cielo il suo cannocchiale
acquista particolare significato alla luce di
questo contesto di faticosa riaffermazione
delle arti meccaniche tra Quattrocento e
Cinquecento: a differenza delle dottrine che
si rifacevano all’aristotelismo, gli strumenti
entravano da quel momento a pieno titolo
nella scienza. Sicuramente uno dei caratteri
peculiari della rivoluzione scientifica del
Seicento è il connubio tra scienza e tecnica
che contraddistinguerà in seguito l’intero
sviluppo della conoscenza scientifica
occidentale e che, nelle forme assunte tra il
Seicento e il Settecento, differisce
profondamente dai precedenti (dell’Antichità
e del Medioevo). In questo periodo iniziarono
ad essere gettate le fondamenta di un nuovo
tipo di scienza che fosse libera dal retaggio
del medioevalismo galenico e diretta alla
formulazione di leggi e principi generali
attraverso l’esperimento, più che
all’osservazione scolastica dei fenomeni.
Sarebbe veramente troppo lungo ricordare
anche solo le principali scoperte di questa
epoca, ma, per far capire lo spirito che la
animava, è sufficiente menzionare, oltre gli
studi di Galileo Galileo, la determinazione
della legge di gravitazione universale da parte
di Isac Newton, le prime leggi sulla pressione
atmosferica stabilite da Pascal e la
dimostrazione da parte di Keplero che le
orbite dei pianeti sono regolate da leggi
matematiche. Tutto questo fermento, inoltre,
era supportato dal punto di vista filosofico
dalle teorie razionalistiche di Cartesio,
Francesco Bacone, Tommaso Campanella e
Giordano Bruno: mettendo il ragionamento al di sopra della pura sensazione, essi contribuirono
ad aprire la strada al metodo sperimentale.
Nel XVII secolo in Francia i farmacisti realizzarono un’innovazione importante per la loro
immagine: il cambiamento di nome della professione. A partire da quel secolo, infatti, il
farmacista da apothicaire divenne pharmacien: variazione scaturita da una problematica
connessa alla moda del clistere10, pratica diffusa, soprattutto in Francia, dal XV al XVIII secolo.
Tutti, medici e pazienti, a quel tempo credevano nelle virtù del clistere11, al punto che, per
esempio, a Martin Lutero ne fu persino praticato uno dopo la morte, il 18
febbraio 1546, per rianimarlo “eventual- mente avesse ancora un soffio di
vita...”.
Nelle antiche spezierie i clisteri si praticavano in un apposito an-
golo, in piedi o stesi su branda, in questo caso con
prezzo più elevato.
Le Farmacie più impor-
tanti tenevano un apoteca
rio- garzone che si reca-
va a praticar- lo a domi-
cilio, spesso so anche
portando un pitale.
In farmacia vi era, inve
ce, una sedia apposita
per defecare denominata
“comoda”, piccolo
mobile bucato.
Gli apotecari avevano un’appropriata tenuta con unica e, sovente, un recipiente di legno
contenente il pitale quando si recavano al domicilio del malato.
I farmacisti francesi, poi, avevano un legame particolare col clistere, perché tra i loro obblighi
professionali rientravano sia la preparazione dei clisteri medicati che la loro somministrazione,
anche a domicilio, usando siringhe metalliche di varie dimensioni e forme. Col passare del tempo
questa terapia divenne oggetto di burla per gli apotecari. Nel XVII secolo, in particolare, la satira
francese e, prima ancora, lo stesso Molière nel suo “Le malade imaginaire” fecero
dell’apothicaire che somministra un clistere un bersaglio così vessato che nelle corporazioni si
diffuse un imbarazzo insopportabile.
Nel 1608 un Regolamento dell’Ufficio Protomedicale,
disciplinò la professione in Sardegna assoggettando i
farmacisti ad un esame di abilitazione da prestarsi dopo un
determinato numero di anni di pratica in altra farmacia. In
seguito alla creazione delle due Università sarde, l’idoneità
ai farmacisti veniva concessa dopo aver compito il corso di
materia medica nell’Università ed ultimata la pratica sotto la
direzione di un farmacista approvato. Questa pratica era di
cinque anni per i farmacisti che intendevano esercitare in
città e di tre anni per quelli dei villaggi. L’esame di idoneità
si sosteneva alla presenza di una commissione composta del
Protomedico, del professore di materia medica e di due
sindaci degli speziali. Anche gli assistenti alle farmacie
erano tenuti a subire un esame, per essere autorizzati
all’esercizio della professione come titolari.
Dunque, nessuna farmacia poteva essere aperta al pub- blico se non sotto la dire-
zione di un farmacista patentato. Questa riforma, tutta- via, fu applicata con
indubbi benefici alle farmacie dei principali centri isolani ma non riuscì ad
estendere la sua azione nei piccoli paesi per la riluttanza dei farmacisti paten-
tati ad istituirvi un esercizio farmaceutico. Ciò generò il dilemma: o legalizzare o sradi-
care gli abusi. Tra i due mali si scelse il primo che più riservava benefi- cio alle popolazioni
rurali: l’autorità superiore, dunque, “in via di temperamento, se non logico certamente
indispensabile”, concedeva di tanto in tanto sanatoria all’abilitazione al servizio farmaceu-
tico a coloro che, sebbene non muniti dei titoli prescritti, avevano per lun- go periodo di tempo
esercitato abusivamente la professione del farmacista. Anche i Comuni ru- rali, dal canto loro,
non si sottrassero dal favorire l’istituzione di servizi farmaceutici: mol- ti di essi, infatti,
solevano concedere gratuitamente ai farmacisti vaste aree di terreno per coltivarvi le er
be medicamentose (i semplici), quando queste scarseggiavano. Tutta- via, nonostante le
speciali agevolazioni, non si ottennero grandi risultati di incremento delle farmacie.
All’inizio del 1600 nella città di Milano il Collegio degli Speziali era estremamente orga-
nizzato e molto chiuso a innovazioni esterne; le 55 farmacie esistenti erano distribuite
regolarmente nei quartieri che facevano capo alle cinque porte, quasi antici
pando la formazione di una vera pianta organica.
A partire dal XVII secolo a Milano fu imposta la magistra-
tura dei Protofisici le cui controversie con i Collegi degli Spe ziali fu
rono memorabili: questi magistrati, impossibilitati a cancellare le prerogative
dei Collegi, allevarono una categoria di produttori di “segreti” che venivano
approvati e resi idonei alla vendita anche sulle piazze dietro
versamento di una Tassa di Registrazione di loro esclusivo appannaggio.
Ma nel corso del 1630 il flagello nero della
peste si abbatté sull’Italia Settentrionale in
particolare. Le parole peste e contagio
incutevano terrore perché collegabili
immediatamente alla morte. Da tempi
immemorabili la peste era considerata un
flagello divino ragion per cui essa veniva
esorcizzata facendo ricorso alla mediazione
come San Rocco, o della Madonna.
rapidamente si diffuse per contagio anche a
numerose funzioni propiziatorie in luoghi
blici affollati di gente. In tempi di contagio
re restrittive finalizzate a proteggere le
indenni. Una delle misure più impegnative
gli Stati per proteggersi dalle pestilenze era
di una città dove si sospettava l’esistenza
gio. La messa al bando era strettamente cra
ra di protezione: l’istituzione di cordoni
per evitare il contagio. La messa al bando
mezzo più frequentemente usato per
prevenzione delle malattie epidemiche.
zione di ogni rapporto commerciale e di
tà o il paese considerato potenziale fonte di
Ottomano e dell’Africa venivano spesso
dei Santi,
L’epi- demia
causa delle
di culto o pub-
scattavano misu-
comunità ancora
messe in atto da
la messa al bando
di un focolaio di conta-
correlata ad un’altra misu
sanitari in terra o in mare
va considerata come il
cercare di realizzare una
Essa comportava l’interru
comunicazione con la locali
contagio. I paesi dell’Impero
banditi perché ritenuti pericolosi.
Per diffondere il messaggio del rischio e della necessità di
interrompere viaggi verso località o paesi, le autorità civili
o sanitarie usavano persone chiamate “banditori” che
avevano il compito di diffondere questo messaggio tra la
popolazione sparsa sul territorio e per lo più analfabeta.
L’ordine trasmesso attraverso il banditore veniva chiamato
Bando, Editto, Ordinanza o Decreto.
Gli arrivi di persone, merci ed animali erano visti con
occhio spaventato e tutti cercavano di proteggersi da
questi possibili veicoli di infezione. Una delle misure di
prevenzione più antiche, la più diffusa e meglio
documentata, fu l’istituzione della Fede di Sanità,
attestato di cui si doveva munire chi iniziava un viaggio di
terra e che “faceva fede”, certificava lo stato di salute di
cui godeva il paese di partenza del viaggiatore e di
conseguenza, presumibilmente, del viaggiatore stesso.
La Fede di Sanità, vero e proprio Passaporto Sanitario, era
considerata un documento particolarmente importante che
le autorità, nel timore di frodi, seguivano attentamente dal
momento della stampa fino a quello della consegna chi lo
doveva compilare.
Mentre l’analogo documento che accompagnava una
imbarcazione, la Patente di Sanità, era necessariamente
rilasciata dall’autorità di un porto (da una Deputazione
Sanitaria investita di grandi poteri), la Fede di
Sanità era rilasciata anche in piccoli agglomerati
urbani.
Mentre le Patenti di Sanità sono il più delle volte
belle stampe munite dei noti bolli di sanità, le
Fedi sono il più delle volte piccoli e semplici
foglietti manoscritti compilati da un impiegato
del Comune.
Le Fedi dovevano riportare le caratteristiche
somatiche della persona cui erano rilasciate
insieme ad ogni altro elemento utile per una
sicura identificazione.
Le Patenti di Sanità venivano accuratamente
controllate da funzionari o medici deputati al
controllo sanitario.
Se le imbarcazioni provenivano da porti
considerati sospetti, se durante la navigazione la
barca era stata attaccata da corsari, l’equipaggio,
i passeggeri ed il carico venivano messi in
quarantena.
Gli ospedali dove un tempo si curavano i
lebbrosi venivano indicati con il termine di
lazzaretti. Essi indicavano quei luoghi recintati
presso i porti marittimi dove le navi, i naviganti
e le loro merci venivano sottoposti a periodi di
quarantena in tempi sospetti di pestilenza. Oltre
alla quarantena nei lazzaretti, nei periodi di
epidemie le persone potevano essere a sequestro
domiciliare, specie se la famiglia che abitava in
quel luogo aveva avuto un decesso per la malattia
epidemica che infieriva in quel momento. La posta
(lettere, manoscritti, giornali), già considerata per
secoli un pericoloso veicolo di contagio (ritenendo
la carta suscettibile di ricevere, conservare e
trasmettere il contagio) era sottoposta a capillare e
rigorosissima disinfezione quale misura tesa a
prevenire la diffusione del contagio. Le lettere
potevano essere disinfettate esternamente ed anche
internamente. Lungo le strade consolari o lungo i
percorsi dei flussi postali si trovavano le stazioni
di disinfezione dove un addetti forniti di guanti e
grembiuli di tela cerata prendevano con lunghe
pinze le lettere, le ponevano su un tavolo, le
aprivano, le disinfettavano per poi raccogliere e
bruciare ogni frammento di carta rimasto. Per
secoli le virtù purificatrici attribuite al fuoco hanno
tranquillizzato gli incaricati della disinfezione
delle lettere.
Si usavano legni odorosi, sostanze aromatiche
oppure sterpaglie. Purtroppo la carta si bruciava
facilmente per cui era necessaria una grande
attenzione nei passaggi delle lettere sulla
fiamma. Si spaccava nel senso della lunghezza
l’estremità di una canna e nello spacco si infilava
il foglio da passare sulla fiamma.
L’immersione nell’aceto era anch’essa ritenuta
un sistema molto sicuro di disinfezione.
Le lettere erano aperte, spruzzate con l’aceto,
quindi asciugate. Anche questo sistema aveva
degli inconvenienti poiché non tutti gli inchiostri
resistevano all’aceto ed alcuni manoscritti
diventavano illeggibili: danno irreparabile
quando si trattava di lettere commerciali o di
documenti bancari.
Nel tentativo di evitare una parte almeno dei
suddetti inconvenienti, gli operatori cercavano di
abbreviare al massimo il tempo dell’immersione.
Nonostante questi ed altri interventi la
devastazione del morbo non fu arginata e si
abbattè, ovviamente, sui medici (il timore di non
avere più medici era molto sentito tanto che, in
considerazione del rischio di esser contagiato e
morire, si invitava talvolta i medici a vivere in
abitazioni di campagna) ed anche sugli apotecari
decimandoli e vuotando di ogni merce le loro
“botteghe”. In breve tempo si dovette constatare
l’impossibilità di rifornimenti di medicamenti
nonché la scomparsa di molti speziali aggrediti dal
male cui erano particolarmente esposti.
Alla fine di quel terribile anno gli speziali erano in
molti luoghi quasi estinti, taluni erano sull’orlo del
fallimento avendo rifornito a credito i lazzaretti (e
riscuotendo, poi, molti anni dopo, in qualche caso
non isolato anche dopo oltre un decennio).
Dopo la peste del 1630 i dirigenti del Collegio degli
Speziali di Milano accettarono di immatricolare
qualche candidato esterno alle famiglie dei Maestri
Speziali, ma creando una sottocategoria di
operatori abilitati solo alla vendita e non alla
composizione dei farmaci.
Nel corso di questo secolo, inoltre, cresce il numero
di aggregazioni professionali; in diversi casi
cominciano ad essere imposti alla categoria degli
speziali Statuti in base ai quali si dovevano accettare
le ispezioni del Collegio dei Medici, perdendo così
parte dell’autonomia.
Nel 1636 vede la luce la portoghese Farmacopea
Elegantissima di Zacuto Lusitano.
Nel 1650, inoltre, compare la prima regolare Tassa
dei Medicinali.
Nel 1669 viene pubblicato nello Stato Pontificio
un Bando Protomedicale che nell’ambito della
deontologia medica proibisce al medico di “fare
compagnia con gli spetiali per partecipazione al
guadagno”.
Ancora 1669, davanti a Luigi XIV, risale la prima
rappresentazione teatrale in cui è presente uno
speziale: Monsieur de Pourceaugnac di Molière,
commedia balletto in tre atti con musica di
Giovanni Battista Lulli nella quale l’autore
impersonava il protagonista Pourceaugnac e il
musicista Lulli recitava in una danza nella parte di
uno speziale con una grande siringa in mano.
Nel 1670, è stampata una nuova edizione del
Ricettario Fiorentino, dedicata al Granduca
Cosimo III, di nuova concezione, molto più
ordinata, corretta e semplice.
Vi vengono descritti nuovi medicamenti di origine
americana (macioacan o rabarbaro bianco,
scarappa o giarappo, sassafras), ma comprende
anche alcune particolari ricette di rimedi come gli Oli del Granduca, la polvere antiepilettica della
Granduchessa; erano descritti, inoltre, il modo di distillare l’acqua (con la relativa figura del
fornello e del suo refrigerante) e il fornello a bagno maria o stufa umida.
Nel 1674 notevole fama si guadagnò il Recueil des recettes,
opera di Madame Fouquet uscita a Lione, che trattava dei
rimedi segreti per sanare con poca spesa ogni sorta di
infermità interne ed esterne, invecchiate e passate fino al
presente per incurabili. Sperimentati dalla Medesima
Dama12.
Nel corso di alcune sedute della Royal Society, nell’anno
1677, Robert Hooke comunicò che si era costruito da
solo varie centinaia di piccolissime lenti biconvesse a
breve lunghezza focale e piccole sfere di vetro fuso (di dia-
metro inferiore a mm 2,5) che, inserite in una montatura
metallica, funzionavano come microscopi semplici. Le
stupefacenti, piccolissime lenti non si sarebbero limita-
te ad avvicinare e a ingrandire un mondo familiare
(spermatozoi e globuli rossi del sangue individuando
protozoi e batteri, come avvenne per i microscopisti
della prima generazione). Con quelle lenti e con i
nuovi microscopi si apriva allo sguardo un mondo nuovo e
inaspettato di minerali e di tessuti organici, strutturati
secondo forme. Un mondo popolato da forme di vita invisibili all’occhio umano.
Marcello Malpighi (1628-1694), utilizzando i primi rudimentali microscopi, potè compiere
indagini anatomiche piuttosto accurate osservando la
struttura cellulare e scoprendo tra l’altro la prova della
comunicazione tra vene ed arterie a livello degli alveoli
polmonari.
Va ricordato, infine, che verso la fine del 1600 si ha la
nascita del concetto della natura vivente del contagio:
Giovan Cosimo Bonomo (1666-1696), ad esempio,
individuò la vera eziologia della scabbia con la scoperta del
ruolo dell’acaro nella malattia, anche se la medicina
ufficiale ignorò i suoi studi fino a quasi la metà del secolo
XIX.
All’inizio del secolo Francis Bacon aveva visto giusto: la
scienza non è semplice osservazione della natura. La natura
parla solo se interrogata. Bisogna che gli uomini non si
accontentino di contemplarla, ma imparino a “torcere la
coda al leone”. Servono alla scienza non solo aiuti per
l’intelletto, ma anche aiuti per i sensi.
Dalla fine del XVII secolo in ambienti soprattutto
anglosassoni, o comunque fortemente influenzati dal
pensiero religioso protestante, si comincia a cambiare
l’atteggiamento nei confronti dei Maestri greci e latini
criticandone aspramente l’educazione classica, in quanto
pagana, e gli scienziati riconducono le origini del loro
sapere a quello biblico.
Nonostante questo patrimonio culturale sia in realtà
sconosciuto, per mancanza di ogni tipo di fonte, lo
si ricostruisce da citazioni dirette della Bibbia.
Tra i massimi fondamenti della dottrina applicata
alle scienze mediche e farmaceutiche pre-industriali
vi è il principio dell’analogia secondo il quale
tutto ciò che esiste, fenomeni naturali, minerali,
vegetali, animali e corpi celesti sono collegati da
una rete di corrispondenze: i fenomeni e le cose
sono collegati tra loro dall’analogia.
Nell’antica medicina il principio analogico è
applicato sia nelle tecniche diagnostiche sia in
quelle terapeutiche. L’irascibilità, il colore
giallastro, l’aspetto grifagno (come i rapaci, uccelli
“di Fuoco”, per l’acutezza della loro vista e la
rapidità dell’attacco) sono collegati alla Bile gialla,
espressione del Fuoco organico; le droghe di colore
giallo e/o amare servono per drenare questa Bile ed
espellerne l’eccesso. Il lattice della Celidonia, il
fiore del Tarassaco, le radici del Rabarbaro o della
Curcuma, il tuorlo dell’uovo sono analogicamente
collegate dal giallo-dorato o aranciato, tipicamente
biliare, nonché dai loro indiscutibili effetti
farmacologici come coleretici.
La spensieratezza e l’aspetto rubicondo (come i porcellini), sono collegati al Sangue,
manifestazione dell’Elemento Aria; i cibi e le droghe dai colori vivaci, dal sapore dolce, i legumi,
i vini, la frutta secca, le carni insaporite, creano gran nutrimento e sangue in abbondanza. Sono
collegati dalla potenza nutritiva e dal sapore gradevole, qualità caratteristiche della nostra linfa
vitale. La moderazione, l’aspetto corpulento e il colorito pallido, tendenzialmente bovini, sono
collegati alla Flemma, espressione dell’Elemento Acqua; le droghe e i cibi succosi, acquosi,
penduli, insapori, oppure bianchi e lucenti (la lattuga, i cetrioli, il latte, la mozzarella, lo
stracchino), generano Flemma, e anche muco se la stagione è appropriata (quindi d’inverno).
Droghe mucillaginose e lenitive, come i petali del Papavero, la Malva, lo Psillio, generano,
invece, buona Flemma, emolliente e rinfrescante.
L’introversione, l’aspetto secco e duro, il colorito scuro (come certi insetti o le vecchie
cornacchie), sono collegati alla Bile nera o Malinconia, espressione organica dell’Elemento
Terra; le droghe minerali cristalline, le piante le cui parti rammentano ossa, articolazioni e
tendini, oppure dai fiori violetti o porporini, dal sapore acido o astringente, servono a generare o
una buona Melanconia (forti strutture corporee), come l’Equiseto, la Piantaggine, i sali metallici,
o parti animali dure e solide (il Corallo, le Perle, le corna) o a espellere quella dannosa, come la
Borragine, le Felci (Polipodio, Ceterach, Capelvenere), la Senna e l’Aloe. Anzi l’Aloe, con il suo
aspetto vetroso e oscuro, rammenta inequivocabilmente l’Umore del quale favorirà l’espulsione.

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R. VILLANO - Cenni di arte e storia della farmacia (parte 3)

  • 1. Tra il 1400 ed il 1500 fioriscono numerosi ricettari, come la Concordia del 1511, o antidotari privati coevi di grande successo e diffusione nella pianura Padana ed in tutta Europa, come il Luminare Maius di Manlio del Bosco di Alessandria, il Thesaurus Aromatariorum dello speziale bergamasco Paolo Suardo e il Lumen Apotecariorum di Quirico de Augustis da Tortona. Queste opere sono realizzate come l’Antidotario di Niccolò e non sono considerabili farmacopee. Nel 1500 dagli inventari delle apoteche più fornite si rileva la presenza di 300-500 voci di semplici e composti, talora era presente anche il rabarbaro, una delle sostanze più care importata dalla Cina, spesso vi era la biblioteca che, in taluni casi, raggiungeva la ragguardevole quantità, per quel tempo, di 300-400 volumi. Spezierie così ben fornite ed al passo con la scienza del tempo vendevano, tuttavia, candele, grandi quantità di pece per i navaroli e di fieno greco; la presenza, inoltre, di padelle per li coriandoli e di tegghie per marzapane attestano la specializzazione in confetti e dolci. In questo secolo va crescendo il fenomeno della progressiva ingerenza, nei Comuni Italiani, delle Arti nella cosa pubblica fino a determinare lo sviluppo della terza fase del Comune, il “Comune del popolo” o periodo del “Governo delle Arti”, che affiancò al governo podestarile il Capitanus populi coadiuvato dagli Anciani o Priores Artium e il Concilium Populi.
  • 2. La costituzione nell’ambito del Comune di queste nuove strutture fu determinata dalla spinta delle nuove forze sociali formate dalle classi produttive dei commercianti degli industriali e degli artigiani di fronte alle vecchie classi dominanti. Roma non si adeguò in tutto allo schema di sviluppo dell’organismo comunale nella fisionomia da esso assunto nelle città della Toscana e dell’Italia settentrionale. Infatti, non è rilevabile nella storia dell’Urbe un periodo definibile propriamente come “Comune del popolo o periodo del Governo delle Arti” anche se sono da rammentare momenti in cui le Arti ebbero notevole rilevanza politica ed economica. Nel 1505 a Venezia i documenti attestano che i farmacisti furono finalmente separati dai droghieri e dai merciai e nacquero le prime corporazioni e si andarono costituendo, poi, i Collegi degli Speziali o degli Aromatari. Per quanto riguarda la situazione in Europa, Folch Jou sostiene che in Spagna già a metà del 1300 Pedro El Cirimonioso abbia favorito la nascita del “Colegio de Boticarios”. Tuttavia, la separazione netta tra Speciarios (Speziali) e Boticarios in Spagna, sempre secondo Folch Jou, avvenne solo nel 1700 con l’istituzione del “Colegio de Farmacia”.
  • 3. Nel 1508 dalle Antille fu introdotto in Spagna il guaiaco (Guaiacum officinale e il Guaiacum sanctum), noto come legno santo, subito largamente utilizzato in Europa, a prezzi elevatissimi, per la cura della “malattia del secolo”, la sifilide (o lue o mal francioso), per la quale non v’erano medicamenti migliori. Nel 1526 fu per la prima volta impiegato in Italia dal medico ferrarese Antonio Musa Bresavola. Dal XVI a XVIII secolo i boticários portoghesi rientrano in una grande divisione in due gruppi: cristiani nuovi e cristiani vecchi; molti erano i medici ed i boticários discendenti di giudei convertiti a forza che furono bersaglio di severe campagne di intolleranza religiosa. Nel 1525, in particolare, fu presentata a Corte una petizione che proibisse ai cristiani nuovi di essere boticários. Sempre nel ‘500 in Francia la cittadina di Grasse si impone come capitale della produzione di profumi e la Provenza si trasforma in un enorme giardino di fiori e piante aromatiche. Verso la fine del XVI secolo alcuni apotecari intrapren denti si arricchirono con l’esportazione di manufatti nelle contigue regioni. Il commercio più remunera- tivo era sempre quello delle candele votive; le apoteche più importanti avevano magazzini con diverse tonnellate di cera vergine. A quel tempo diversi speziali triplicarono addirittura il loro capitale di esercizio. In questo secolo la Repubblica di Venezia fu il mercato delle droghe più importante d’Europa.
  • 4. Risale al Concilio di Bruges del 1528 un documento di particolare autore- volezza promulga promulgato addirittura dalla Chiesa, in tema di periodo migliore per la rac- colta delle piante o tempo balsamico, che stabilisce il divieto di raccolta di piante medicamentose in specifici giorni ed ore della giornata o in occasione di feste di determinati santi (per esempio, la notte di S. Giovanni) ritenendo possibili vari mutamenti della natura benefica delle droghe contenute. L’anno 1530 segna l’inizio della presenza dell’ Ordine di San Giovanni a Malta 5,6,7. Prima che vi giungessero gli Ospedalieri le isole maltesi erano servite dal punto di vista sanitario soltanto da due piccoli ospedali: il Santo Spirito a Rabat e l’Ospedale di San Giuliano, che al massimo avranno riunito insieme venti posti letto. Al 1532 risale l’inizio della costruzione del pri- mo ospedale fatto erigere a Malta dall’ Ordine. È interessante rilevare che il Primo Capitolo Generale che si celebrò a Malta nel Forte dispose che i medici a dell’Ordine avrebbero visi- tato gli infermi nelle loro case senza ricevere alcun compenso extra dai malati stessi. Inoltre, l’Ospedaliere aveva ricevuto espresse istruzioni di controllo della qualità dei farmaci dispensati e di verificare che i malati fossero adeguatamente curati: l’Ordine prestava particolare attenzione ai farmaci che acquistava e non rispar miava sforzi né denaro per rifornirsi dei migliori. Per l’acquisto di farmaci si invia- vano speziali fino a Soria (Spagna), centro rinomato di produzione dei medicamenti.
  • 5. L’ospedale aveva istituito standard elevati e li teneva sotto attento controllo8. Veniva data particolare attenzione alla qualità delle cure, al numero di visite che i medici dovevano effettuare sui loro pazienti, alle ispezioni a sorpresa che l’Ospedaliere era tenuto a svolgere nella farmacia dell’ospedale ed alla qualità del cibo servito ai pazienti. I medici dovevano visitare i malati in ospedale almeno due volte al giorno. Nel 1548 fu emessa una direttiva molto importante: si ordinò ai medici dell’ospedale di tenere una riunione clinica collegiale settimanale nella quale avrebbero dovuto discutere le condizioni dei pazienti affidati alle loro cure, un indiscutibile progresso per gli standard sanitari dell’epoca. La reputazione dei servizi medici e delle scuole degli ospedali dell’Ordine si estese lungo tutta la costa del Mediterraneo. Il servizio sanitario gratuito era usufruibile non solo dai residenti ma anche dai marinai e dai viaggiatori che si ammalassero durante il loro soggiorno a Malta: ce n’erano molti e tutti venivano curati senza alcuna distinzione di razza, colore o religione. I servizi sanitari istituiti dall’Ordine (due ospedali, la scuola medica, l’uso e la stipulazione di una protocollo
  • 6. operativo del personale medico qualificato, la diffusione di una buona pratica farmaceutica) furono a tutti gli effetti i primi servizi sociali istituiti sulla isola. Nel 1543 si verificò un evento rivoluzionario per l’anatomia umana e per la medici- na: Andreas Vesalius (1514-1564) corresse nel suo De humani corporis fabrica gli errori anatomici riportati da Galeno. Con il passare dei secoli la concezione ippocratica della figura del medico rimane sostanzialmente immutata al punto che il Papa Clemente VII (Pontefice dal 1523 al 1534), in una sua Bolla, stabilì che il laureato in medicina s’impegnasse so- lennemente ad osservare il testo del giuramento ippocratico. Nel 1544 a Venezia un fatto nuovo e di straordinaria importanza per l’Italia e per il il Mondo fu la pubblicazione dei Commentari a Dioscoride opera di Pier Andrea Mattioli. Questi, medico poco più che quarantenne a Gorizia, ebbe l’intuito geniale di dare alle stampe un’opera completa ed enciclopedica interamente scritta in volgare cosicché rese nota a tutti, o almeno a coloro che erano in grado di leggere, la si- tuazione della materia medica che stava allora cambiando di fronte all’in- traprendenza del mondo scientifico rinascimentale: il suc- cesso dell’opera non tardò a manifestarsi. Nel 1558 a Praga egli aveva al suo seguito già due artisti e 5 incisori di Vienna, nel 1565 l’opera rag- giunse una mole di straordinaria ampiezza con una edizione in folio di ben 1500 pagine ricchissima di illustrazioni a tutta pagina: fu il successo editoriale del secolo e decine di migliaia di copie del libro
  • 7. Tuttavia, se da un canto lo speziale poteva trarre il vantaggio di arricchire enormemente la propria cultura, d’altro canto un rischio che si presentava era evidentemente che lo speziale stesso venisse tentato a commettere continui abusi di professione, con disappunto delle autorità mediche del tempo. Un altro nesso tra alchimia e rinascimento è rintracciabile nella tradizione erboristica fiorentina: gli Orti per la farmacopea in Firenze furono curati dalla antica corporazione degli “speziali”; l’Orto Botanico, adiacente allo Spedale di S. Maria Nuova risale al XIV secolo, mentre l’Orto dei Semplici, fu fondato nel 1545, anche a scopi didattici. Presso lo stesso ospedale si trovava la famosa omonima Spezieria con annessa scuola per gli speziali. Nel 1548 vede la luce la prima edizione del Regimen Sanitatis, il frutto collettivo più noto della Scuola Salernitana (ristampato in epoche successive invasero il mondo medico-scientifico nonché quella vasta area frequentata da para- medici praticanti. I “Commentari” del Mattioli indubbiamente soddisfacevano le esigenze di un testo in volgare consultabile dai più e non c’è dubbio che tra le cosiddette “farmacopee private” l’opera del Mattioli fu uno dei testi più consultati.
  • 8. volte sempre con nuove aggiunte): una raccolta di precetti e massime che insegnano a conservare la salute adottando una opportuna regola alimentare e comportamentale senza bisogno di ricorrere a sortilegi ed amuleti. A metà del Cinquecento, dopo la grande stagione policroma, le ceramiche divennero bianche e il bianco divenne faiance mentre per dare lustro si usa un’iridescenza. In Italia solo nel 1553 all’Università di Padova venne istituita una cattedra (Lectura simplicium) che conferiva il Diploma di Speziale. Nel 1550 è pubblicata la seconda edizione del Ricettario Fiorentino che presenta una novità per nulla trascurabile: allo speziale viene data la possi- possibilità di procurarsi un discreto numero di cosiddetti “succedanei” utili a sostituire “quelle medicine semplici le quali al presente è impos- sibile provvedere ò vero in queste parti molto difficile...”. Bisognava fare i conti con lo stra- grande numero di botteghe, con lo stato di mi- seria in cui versavano molte di esse, del diva- rio che sussisteva tra le spezierie di città e quelle della campagna e perciò cercare il più possibile di offrire loro l’opportunità di rag- giungere una certa uniformità di approvvi- gionamento o, quanto meno, dare la possi- bilità agli speziali più poveri - ed ecco l’uti- lità delle liste dei succedanei - di procurarsi il minimo necessario con costi sostenibili. Basta dare un’occhiata a qualche inventario
  • 9. di spezieria del ‘400 per rendersi conto di come lo speziale supplisse spesso la scarsità delle voci medicamentose dedicandosi, non di rado, ad altri commerci: in campane, pentole, bicchieri, carta, inchiostri e lucignoli. Questa edizione del Ricettario, inoltre, da un lato aveva l’alto e difficile compito di stabilire i medicamenti utili alla salute pubblica, senza trascurare l’importanza della tradizione galenico- araba, d’altro lato doveva arginare i crescenti episodi di ciarlataneria e mortificare una certa libertà di “inventare medicamenti” da parte di chiunque e, infine, doveva sancire regole precise e autorevoli che assicurassero allo speziale un futuro che gli permettesse di riscattare la sua posizione professionale e di distinguersi definitivamente dai droghieri. Il Ricettario, infine, cominciò a mettere ordine nella procedura di preparazione dei medicamenti, stabilendo tempi e metodi. Evidentemente allo speziale, poiché tendeva sempre più a distinguere il suo mestiere da quello del droghiere, non bastavano gli aridi elenchi di semplici corredati da rigide regole comportamentali, avendo egli bisogno di consultare piuttosto dei manuali che gli dessero una visione più ampia e globale della materia medica con tanto di indica- zioni terapeutiche delle droghe che egli abitualmente usava e con pre- cisi riferimenti bibliografici sul lo- ro utilizzo tradizionale. A partire dalla seconda metà del XVI secolo fanno la comparsa in Svizzera le prime farmacopee a carattere regionale.
  • 10. Nel 1555 al viterbese Girolamo Ruscelli si attribuisce la paternità dell’opera dei Secreti del rev. Donno Alessio Piemontese, stampata a Venezia, che conobbe una fama straordinaria superando il centinaio di riedizioni fra quelle in italiano, in latino e in altre sette lingue europee. Come esempio di stretta relazione tra alchimia e arte nel rinascimento fiorentino ricordiamo la pubblicazione del libro De Re Metallica (1556) su analisi e fusione dei metalli dell’Alchimista senese Vannoccio Biringuccio e, in corrispondenza, la celebre fusione (1554) del Perseo di Benvenuto Cellini, le porte del Battistero, il Puttino del cortile di Palazzo Vecchio, ecc. Il principio di separazione degli interessi tra professionisti sanitari in Portogallo fu rafforzato nel 1561 con la proibizione di società tra medici e boticários. Il 5 Settembre 1561 a Firenze il duca Cosimo de’ Medici “volendo che li spetiali di tutto il dominio fiorentino si governino sotto la medesima regola et modo”, emanò una rigidissima provvisione: “Per benefitio della vita humana” in cui “le compositioni et ordinationi medicinali” dovevano essere realizzate “buone, nette, stabili et senza za fraude o macula alcuna, secondo l’ordine et modo del Ricettario Fiorentino”. Tutti gli speziali erano poi obbligati ad esporre al pub blico, almeno un giorno prima della vendita, ogni nuova prepara- zione che doveva anche essere controllata dai “veditori” incarica- ti, “Et acciocché le dispense et compositioni che per li tempi si fa- ranno siano al tutto senza fraude et pericolo de corpi umani, deb- bino li spetiali metterle sopra la mostra della bottega, nel solito tavolello, in publico almeno un giorno avanti che le dispensino et di poi far chiamare li veditori et medico et li detti deputati non le possino in modo alcuno accettare se non haveranno visto droga per droga che sia buona come per il Ricettario è ordinato”.
  • 11. Tutto non solo doveva essere controllato ma registrato sì da conservare memoria di quanto era avvenuto presso ciascuna spezieria. Ogni margine di autonomia o di “libera iniziativa” veniva a cadere e gli speziali erano solo tenuti al più scrupoloso rispetto delle norme stabilite. In un primo tempo furono escluse da questa rigidissima normativa le spezierie di ospedali e conventi ma l’eccezione fu di breve durata ed il 21 Aprile 1562, con una nuova Provvisione, Cosimo de’ Medici impose un’unica comune disciplina. Nel corso del governo di Francesco dei Medici (+ 1587) ci fu la rigida disciplina dell’orario di apertura e di chiusura delle spezierie. Alcuni speziali avevano mostrato “poco rispetto al culto divino et all’honore di Dio aprendo le loro botteghe e vendendo nei giorni festivi comandati dalla Santa Madre Chiesa”, ed i Consoli dell’Arte emanarono una rigida normativa al riguardo. Per garantire la disponibilità di farmaci, in caso di necessità, fu stabilito che quattro spezierie, per sorteggio, restassero aperte a Firenze e fu proibito a tutti gli altri speziali di “vendere, o far vendere, o tenere la sua bottega aperta, eziam a sportello, ne’ giorni festivi comandati dalla Santa Madre Chiesa o da S.A.S. sotto la pena di lire cento per la prima volta et
  • 12. per la seconda volta di lire cento e di stare tre giorni con la bottega serrata”. Nel 1565 ai boticários di Lisbona è proibito di avere praticanti cristiani nuovi. Nel 1567 viene pubblicata l’innovativa terza edizione del Ricettario Fiorentino: sufficientemente corretta e compilata non più dal Collegio dei medici ma da una Commissione composta da dodici persone nominate dalle Altezze Serenissime il Duca ed il Principe di Firenze e di Siena che approvarono il Ricettario, su richiesta della Commissione stessa, rendendolo comune non solo a tutte le spezierie dello Stato ma anche a tutte quelle che lo desiderassero. Il Ricettario recava in Appendice i nuovi Statuti del Duca Cosimo de’ Medici che, tra l’altro, istituivano in ogni luogo ove fossero spezierie un corpo di Speziali Ispettori costituto da uno o due Speziali, scelti nello stesso luogo da un elenco (borsa) comprendente gli Speziali scrutinati (squittinati) dall’Arte stessa, denominati Veditori o Saggiatori e un Medico scelto dal Rettore del luogo. Gli Speziali ispettori insieme al Medico, controllavano anche che nella Spezieria fossero presenti le preparazioni obbligatorie (come riportato in una tabella allegata alla Provisione in appendice al Ricettario) e che Droga per Droga, siano buona al tutto e come per il Ricettario è ordinato. Qualora avessero trovato medicinali non buoni o vecchi o con difetti che non potevano essere corret- ti, ne chiedevano la distruzione; in caso di recidi- va si chiedeva che gli inadempienti venissero condannati dal Consolato o Rettore. Gli Speziali, inoltre, non potevano fare composizioni senza che fossero viste dai Veditori e dispensarle e consegnarle senza la presenza degli ispettori a questo preposti, i quali
  • 13. dovevano sia dare notizia delle buone che dovevano essere registrate con il nome, il peso, il luogo della spezieria, sia mandare all’Arte qualsiasi cosa pericolosa alla salute. Se però i Veditori erano scoperti a consentire l’uso di materiali non idonei o avariati venivano multati dall’Arte. I Veditori dovevano anche giudicare della bontà di alcuni prodotti come lo zucchero santomme, i saponi sodi forestieri, verificare la bontà dell’Aloe che doveva essere lavata con acqua rosa, ecc. e di questo dovevano prenderenota nel loro libro e insieme al Medico erano tenuti a fare una relazione scritta delle ispezioni da loro effettuate. Gli Speziali erano tenuti all’osservanza del peso e potevano dispensare medicinali solo per ordinazio- ne del Medico, il quale era tenuto a redigere la ricetta (poliza) secondo le regole stabilite, cioè con il nome e l’indirizzo, dopo che avessero verificato la validità della stessa ricetta e dovevano registrare di loro che doveva essere tenuto a disposizione dei Veditori. Essi potevano tenere nella loro bottega un garzone e dei collaboratori o sottoposti i quali però erano limitati nella loro attività (ad esempio, non potevano comprare materiale all’ingrosso senza la presenza di un rappresentante dell’Arte, né potevano vendere cera tedesca alterata o adulterata).
  • 14. Risale al 1576 la prima ufficiale Lista rerum Petendarum (medicamenti obbligatori) frutto di un accordo stipulato fra il Collegio dei Medici ed il Collegio degli Aromatari di Roma. Il lavoro è effettuato dal Collegio dei Medici e da quello degli Spetiali o dei Consoli degli Spetiali. Tutte le Tariffe sono pubblicate in italiano per poter essere comprese da chiunque e recano tra le disposizioni l’obbligo che gli acquirenti non devono chiedere sconti mentre d’altra parte lo Speziale non deve praticare aumenti. A partire dagli ultimi decenni del 1500 la moda europea impose alla nobiltà l’usanza di indossare le gorgiere o colletti di San Giovanni 9, grandi colli inamidati fatti con lunghi metraggi di pizzi arricciati a fisarmonica. Una gorgiera bianca ben gonfia era un simbolo distintivo inequivocabile dell’alta classe sociale di appartenenza (il bianco, tra l’altro, era segno di nobiltà). Ma tutti apprezzavano anche colletti merlettati con fili d’oro o d’argento e decorati con pietre preziose. Il top della ricercatezza consisteva, poi, nell’abbinare al collo i polsini ed il fazzoletto rifiniti con pizzo della stessa fantasia.
  • 15. Resosi però conto le autorità dell’epoca che si sarebbero generati evidenti disordini sociali se le mogli dei nobili e quelle dei popolani avessero portato gli stessi pizzi e colli vistosi, furono promulgate le leggi sontuarie in base alle quali era severamente vietato acquisto e uso di trine, colli e merletti a tutti eccetto che alle famiglie nobili ed ai farmacisti. Nel 1583 la celebre Accademia della Crusca vide la luce nella Farmacia Lasca in Firenze. Anche Leonardo Da Vinci frequentò la farmacia dove, dalla conversazione con medici e farmacisti, trasse materia di riflessione per i suoi bellissimi studi di anatomia.
  • 16. Questo suo interesse per le questioni di medicina e farmacia ci è attestato da alcune ricette e da una filastrocca in versi scoperta nel Codice Atlantico in cui Leonardo con molta arguzia consiglia, fra l’altro, di stare lontano dalle medicine indicando linee di prevenzione sanitaria. Sempre nel 1583 è pubblicato in latino e in volgare l’Antidotario Romano, la prima farmacopea dello Stato Pontificio. Nel 1588 in Spagna le Ordinanze del Reale Tribunale del Protomedicato, incluse nella Prammatica Reale concessa da Felipe Il a San Lorenzo del Escorial il 2 Agosto di 1593, contemplavano la redazione di una Farmacopea Generale ad opera di una Commissione costituita da tre medici e tre farmacisti concedendo per questa redazione il periodo di due anni. Lo scopo della disposizione era ottenere un Codice Ufficiale in Spagna al quale tutti i farmacisti potessero riferirsi per l’elaborazione dei medicinali. Verso la fine del 1500 dilagò in varie regioni europee la rabbia.
  • 17. Il Cinquecento e il Seicento sono i secoli della grande fioritura dei Secreti medicinali che sostanzialmente possono essere considerati come opere di divulgazione a vari livelli del sapere medico, con più o meno forte intrusione di arcani alchemici, di credenze superstiziose, quando non di sfacciata ciarlataneria, mentre qualche garanzia di maggiore competenza si ha quando l’autore è un medico oppure uno speziale. Vari manuali propagandavano e molti ciarlatani giramondo vendevano sulle pubbliche piazze i loro rimedi segreti dalle mirabolanti virtù. Nello Stato Pontificio, intanto, alle soglie del ‘600, nel progressivo passaggio dall’ordinamento datogli dal cardinale Albornoz ad una forma caratterizzata dal prevalere dell’autorità pontificia sulle altre forme politiche interne, ad opera particolarmente dell’energica azione di Giulio II e successivamente di Sisto V, è possibile notare un affievolimento della rilevanza politica delle diverse Corporazioni, tra cui il Collegio degli Speziali.
  • 18. Nello Statuto dei Consoli del 1596 del Nobile Collegio Chimico Farmaceutico Romano si intendono “Speziali tutti quelli che esercitano o fanno per alcun scolaro esercitare l’arte di spezieria e ancora tutti coloro che vendono pubblicamente ne le loro botteghe pepe, zafferame, sapone ovvero altrove cose spettanti a la dett’arte, e questi tali possino essere costretti avanti li Signori Consoli a rispondere, e far osservare li Capitoli de li presenti Statuti si come li altri speziali”. Nel predetto Statuto, inoltre, sono indicati i due requisiti relativi rispettivamente al limite di età minimo (25 anni) ed al possesso della specifica competenza nell’arte della spezieria nonché le altre condizioni necessarie all’ammissione nel Collegio degli Speziali: residenza in Roma da almeno l0 anni, avere esercitato con un provetto speziale, essere di buona condizione sociale, godere di buona reputazione, essere timorato di Dio ed aver superato il prescritto esame. Tra XVI e XVIII secolo sono emersi conflitti di lavoro sia fra i mercanti-imprenditori da una parte e i lavoranti dall’altra sia all’interno di un medesimo gruppo corporativo a causa dei mutati rapporti con il mercato o per il riassetto dei suoi equilibri conseguentemente alla concorrenza straniera e all’introduzione di nuove tecniche produttive. Sul finire del XV e l’inizio del XVI secolo furono realizzate a Lisbona tre grandi istituzioni di assistenza: la Caldas da Rainha,
  • 19. la Misericórdia di Lisbona e l’Ospedale de Todos-os-Santos. Tutte e tre queste istituzioni avevano tra il loro personale in pianta stabile i boticários ospedalieri; in particolare, il Regimento dell’Hospital de Todos-os-Santos stabiliva che nel nosocomio vi fossero un boticário e tre aiutanti che dovevano addirittura risiedere nell’ospedale stesso. Nel 1600 anche a Genova atti documentano la separazione dei farmacisti dai droghieri e dai merciai, originando la Corporazione. Gli strumenti scientifici presenti nel mondo antico e medievale (bilancia, compasso, astrolabio, orologi meccanici, ecc.) erano il risultato di un lento processo di perfezionamento; con gli inizi del Seicento si assiste a un’improvvisa fase di invenzione che nel giro di un secolo cambia profondamente l’immagine della scienza, e con essa il rapporto tra ambiente e persone. L’atteggiamento di Galilei, che nel 1609 punta verso il cielo il suo cannocchiale acquista particolare significato alla luce di questo contesto di faticosa riaffermazione delle arti meccaniche tra Quattrocento e Cinquecento: a differenza delle dottrine che si rifacevano all’aristotelismo, gli strumenti entravano da quel momento a pieno titolo nella scienza. Sicuramente uno dei caratteri peculiari della rivoluzione scientifica del Seicento è il connubio tra scienza e tecnica che contraddistinguerà in seguito l’intero sviluppo della conoscenza scientifica
  • 20. occidentale e che, nelle forme assunte tra il Seicento e il Settecento, differisce profondamente dai precedenti (dell’Antichità e del Medioevo). In questo periodo iniziarono ad essere gettate le fondamenta di un nuovo tipo di scienza che fosse libera dal retaggio del medioevalismo galenico e diretta alla formulazione di leggi e principi generali attraverso l’esperimento, più che all’osservazione scolastica dei fenomeni. Sarebbe veramente troppo lungo ricordare anche solo le principali scoperte di questa epoca, ma, per far capire lo spirito che la animava, è sufficiente menzionare, oltre gli studi di Galileo Galileo, la determinazione della legge di gravitazione universale da parte di Isac Newton, le prime leggi sulla pressione atmosferica stabilite da Pascal e la dimostrazione da parte di Keplero che le orbite dei pianeti sono regolate da leggi matematiche. Tutto questo fermento, inoltre, era supportato dal punto di vista filosofico dalle teorie razionalistiche di Cartesio, Francesco Bacone, Tommaso Campanella e
  • 21. Giordano Bruno: mettendo il ragionamento al di sopra della pura sensazione, essi contribuirono ad aprire la strada al metodo sperimentale. Nel XVII secolo in Francia i farmacisti realizzarono un’innovazione importante per la loro immagine: il cambiamento di nome della professione. A partire da quel secolo, infatti, il farmacista da apothicaire divenne pharmacien: variazione scaturita da una problematica connessa alla moda del clistere10, pratica diffusa, soprattutto in Francia, dal XV al XVIII secolo. Tutti, medici e pazienti, a quel tempo credevano nelle virtù del clistere11, al punto che, per esempio, a Martin Lutero ne fu persino praticato uno dopo la morte, il 18 febbraio 1546, per rianimarlo “eventual- mente avesse ancora un soffio di vita...”. Nelle antiche spezierie i clisteri si praticavano in un apposito an- golo, in piedi o stesi su branda, in questo caso con prezzo più elevato. Le Farmacie più impor- tanti tenevano un apoteca rio- garzone che si reca- va a praticar- lo a domi- cilio, spesso so anche portando un pitale. In farmacia vi era, inve ce, una sedia apposita per defecare denominata “comoda”, piccolo mobile bucato.
  • 22. Gli apotecari avevano un’appropriata tenuta con unica e, sovente, un recipiente di legno contenente il pitale quando si recavano al domicilio del malato. I farmacisti francesi, poi, avevano un legame particolare col clistere, perché tra i loro obblighi professionali rientravano sia la preparazione dei clisteri medicati che la loro somministrazione, anche a domicilio, usando siringhe metalliche di varie dimensioni e forme. Col passare del tempo questa terapia divenne oggetto di burla per gli apotecari. Nel XVII secolo, in particolare, la satira francese e, prima ancora, lo stesso Molière nel suo “Le malade imaginaire” fecero dell’apothicaire che somministra un clistere un bersaglio così vessato che nelle corporazioni si diffuse un imbarazzo insopportabile. Nel 1608 un Regolamento dell’Ufficio Protomedicale, disciplinò la professione in Sardegna assoggettando i farmacisti ad un esame di abilitazione da prestarsi dopo un determinato numero di anni di pratica in altra farmacia. In seguito alla creazione delle due Università sarde, l’idoneità ai farmacisti veniva concessa dopo aver compito il corso di materia medica nell’Università ed ultimata la pratica sotto la direzione di un farmacista approvato. Questa pratica era di cinque anni per i farmacisti che intendevano esercitare in città e di tre anni per quelli dei villaggi. L’esame di idoneità si sosteneva alla presenza di una commissione composta del Protomedico, del professore di materia medica e di due sindaci degli speziali. Anche gli assistenti alle farmacie erano tenuti a subire un esame, per essere autorizzati all’esercizio della professione come titolari.
  • 23. Dunque, nessuna farmacia poteva essere aperta al pub- blico se non sotto la dire- zione di un farmacista patentato. Questa riforma, tutta- via, fu applicata con indubbi benefici alle farmacie dei principali centri isolani ma non riuscì ad estendere la sua azione nei piccoli paesi per la riluttanza dei farmacisti paten- tati ad istituirvi un esercizio farmaceutico. Ciò generò il dilemma: o legalizzare o sradi- care gli abusi. Tra i due mali si scelse il primo che più riservava benefi- cio alle popolazioni rurali: l’autorità superiore, dunque, “in via di temperamento, se non logico certamente indispensabile”, concedeva di tanto in tanto sanatoria all’abilitazione al servizio farmaceu- tico a coloro che, sebbene non muniti dei titoli prescritti, avevano per lun- go periodo di tempo esercitato abusivamente la professione del farmacista. Anche i Comuni ru- rali, dal canto loro, non si sottrassero dal favorire l’istituzione di servizi farmaceutici: mol- ti di essi, infatti, solevano concedere gratuitamente ai farmacisti vaste aree di terreno per coltivarvi le er be medicamentose (i semplici), quando queste scarseggiavano. Tutta- via, nonostante le speciali agevolazioni, non si ottennero grandi risultati di incremento delle farmacie. All’inizio del 1600 nella città di Milano il Collegio degli Speziali era estremamente orga- nizzato e molto chiuso a innovazioni esterne; le 55 farmacie esistenti erano distribuite regolarmente nei quartieri che facevano capo alle cinque porte, quasi antici pando la formazione di una vera pianta organica. A partire dal XVII secolo a Milano fu imposta la magistra- tura dei Protofisici le cui controversie con i Collegi degli Spe ziali fu rono memorabili: questi magistrati, impossibilitati a cancellare le prerogative dei Collegi, allevarono una categoria di produttori di “segreti” che venivano approvati e resi idonei alla vendita anche sulle piazze dietro versamento di una Tassa di Registrazione di loro esclusivo appannaggio.
  • 24. Ma nel corso del 1630 il flagello nero della peste si abbatté sull’Italia Settentrionale in particolare. Le parole peste e contagio incutevano terrore perché collegabili immediatamente alla morte. Da tempi immemorabili la peste era considerata un flagello divino ragion per cui essa veniva esorcizzata facendo ricorso alla mediazione come San Rocco, o della Madonna. rapidamente si diffuse per contagio anche a numerose funzioni propiziatorie in luoghi blici affollati di gente. In tempi di contagio re restrittive finalizzate a proteggere le indenni. Una delle misure più impegnative gli Stati per proteggersi dalle pestilenze era di una città dove si sospettava l’esistenza gio. La messa al bando era strettamente cra ra di protezione: l’istituzione di cordoni per evitare il contagio. La messa al bando mezzo più frequentemente usato per prevenzione delle malattie epidemiche. zione di ogni rapporto commerciale e di tà o il paese considerato potenziale fonte di Ottomano e dell’Africa venivano spesso dei Santi, L’epi- demia causa delle di culto o pub- scattavano misu- comunità ancora messe in atto da la messa al bando di un focolaio di conta- correlata ad un’altra misu sanitari in terra o in mare va considerata come il cercare di realizzare una Essa comportava l’interru comunicazione con la locali contagio. I paesi dell’Impero banditi perché ritenuti pericolosi.
  • 25. Per diffondere il messaggio del rischio e della necessità di interrompere viaggi verso località o paesi, le autorità civili o sanitarie usavano persone chiamate “banditori” che avevano il compito di diffondere questo messaggio tra la popolazione sparsa sul territorio e per lo più analfabeta. L’ordine trasmesso attraverso il banditore veniva chiamato Bando, Editto, Ordinanza o Decreto. Gli arrivi di persone, merci ed animali erano visti con occhio spaventato e tutti cercavano di proteggersi da questi possibili veicoli di infezione. Una delle misure di prevenzione più antiche, la più diffusa e meglio documentata, fu l’istituzione della Fede di Sanità, attestato di cui si doveva munire chi iniziava un viaggio di terra e che “faceva fede”, certificava lo stato di salute di cui godeva il paese di partenza del viaggiatore e di conseguenza, presumibilmente, del viaggiatore stesso. La Fede di Sanità, vero e proprio Passaporto Sanitario, era considerata un documento particolarmente importante che le autorità, nel timore di frodi, seguivano attentamente dal momento della stampa fino a quello della consegna chi lo doveva compilare. Mentre l’analogo documento che accompagnava una imbarcazione, la Patente di Sanità, era necessariamente rilasciata dall’autorità di un porto (da una Deputazione
  • 26. Sanitaria investita di grandi poteri), la Fede di Sanità era rilasciata anche in piccoli agglomerati urbani. Mentre le Patenti di Sanità sono il più delle volte belle stampe munite dei noti bolli di sanità, le Fedi sono il più delle volte piccoli e semplici foglietti manoscritti compilati da un impiegato del Comune. Le Fedi dovevano riportare le caratteristiche somatiche della persona cui erano rilasciate insieme ad ogni altro elemento utile per una sicura identificazione. Le Patenti di Sanità venivano accuratamente controllate da funzionari o medici deputati al controllo sanitario. Se le imbarcazioni provenivano da porti considerati sospetti, se durante la navigazione la barca era stata attaccata da corsari, l’equipaggio, i passeggeri ed il carico venivano messi in quarantena. Gli ospedali dove un tempo si curavano i lebbrosi venivano indicati con il termine di lazzaretti. Essi indicavano quei luoghi recintati presso i porti marittimi dove le navi, i naviganti
  • 27. e le loro merci venivano sottoposti a periodi di quarantena in tempi sospetti di pestilenza. Oltre alla quarantena nei lazzaretti, nei periodi di epidemie le persone potevano essere a sequestro domiciliare, specie se la famiglia che abitava in quel luogo aveva avuto un decesso per la malattia epidemica che infieriva in quel momento. La posta (lettere, manoscritti, giornali), già considerata per secoli un pericoloso veicolo di contagio (ritenendo la carta suscettibile di ricevere, conservare e trasmettere il contagio) era sottoposta a capillare e rigorosissima disinfezione quale misura tesa a prevenire la diffusione del contagio. Le lettere potevano essere disinfettate esternamente ed anche internamente. Lungo le strade consolari o lungo i percorsi dei flussi postali si trovavano le stazioni di disinfezione dove un addetti forniti di guanti e grembiuli di tela cerata prendevano con lunghe pinze le lettere, le ponevano su un tavolo, le aprivano, le disinfettavano per poi raccogliere e bruciare ogni frammento di carta rimasto. Per secoli le virtù purificatrici attribuite al fuoco hanno tranquillizzato gli incaricati della disinfezione delle lettere.
  • 28. Si usavano legni odorosi, sostanze aromatiche oppure sterpaglie. Purtroppo la carta si bruciava facilmente per cui era necessaria una grande attenzione nei passaggi delle lettere sulla fiamma. Si spaccava nel senso della lunghezza l’estremità di una canna e nello spacco si infilava il foglio da passare sulla fiamma. L’immersione nell’aceto era anch’essa ritenuta un sistema molto sicuro di disinfezione. Le lettere erano aperte, spruzzate con l’aceto, quindi asciugate. Anche questo sistema aveva degli inconvenienti poiché non tutti gli inchiostri resistevano all’aceto ed alcuni manoscritti diventavano illeggibili: danno irreparabile quando si trattava di lettere commerciali o di documenti bancari. Nel tentativo di evitare una parte almeno dei suddetti inconvenienti, gli operatori cercavano di abbreviare al massimo il tempo dell’immersione. Nonostante questi ed altri interventi la devastazione del morbo non fu arginata e si abbattè, ovviamente, sui medici (il timore di non avere più medici era molto sentito tanto che, in considerazione del rischio di esser contagiato e
  • 29. morire, si invitava talvolta i medici a vivere in abitazioni di campagna) ed anche sugli apotecari decimandoli e vuotando di ogni merce le loro “botteghe”. In breve tempo si dovette constatare l’impossibilità di rifornimenti di medicamenti nonché la scomparsa di molti speziali aggrediti dal male cui erano particolarmente esposti. Alla fine di quel terribile anno gli speziali erano in molti luoghi quasi estinti, taluni erano sull’orlo del fallimento avendo rifornito a credito i lazzaretti (e riscuotendo, poi, molti anni dopo, in qualche caso non isolato anche dopo oltre un decennio). Dopo la peste del 1630 i dirigenti del Collegio degli Speziali di Milano accettarono di immatricolare qualche candidato esterno alle famiglie dei Maestri Speziali, ma creando una sottocategoria di operatori abilitati solo alla vendita e non alla composizione dei farmaci. Nel corso di questo secolo, inoltre, cresce il numero di aggregazioni professionali; in diversi casi cominciano ad essere imposti alla categoria degli speziali Statuti in base ai quali si dovevano accettare le ispezioni del Collegio dei Medici, perdendo così parte dell’autonomia.
  • 30. Nel 1636 vede la luce la portoghese Farmacopea Elegantissima di Zacuto Lusitano. Nel 1650, inoltre, compare la prima regolare Tassa dei Medicinali. Nel 1669 viene pubblicato nello Stato Pontificio un Bando Protomedicale che nell’ambito della deontologia medica proibisce al medico di “fare compagnia con gli spetiali per partecipazione al guadagno”. Ancora 1669, davanti a Luigi XIV, risale la prima rappresentazione teatrale in cui è presente uno speziale: Monsieur de Pourceaugnac di Molière, commedia balletto in tre atti con musica di Giovanni Battista Lulli nella quale l’autore impersonava il protagonista Pourceaugnac e il musicista Lulli recitava in una danza nella parte di uno speziale con una grande siringa in mano. Nel 1670, è stampata una nuova edizione del Ricettario Fiorentino, dedicata al Granduca Cosimo III, di nuova concezione, molto più ordinata, corretta e semplice. Vi vengono descritti nuovi medicamenti di origine americana (macioacan o rabarbaro bianco, scarappa o giarappo, sassafras), ma comprende
  • 31. anche alcune particolari ricette di rimedi come gli Oli del Granduca, la polvere antiepilettica della Granduchessa; erano descritti, inoltre, il modo di distillare l’acqua (con la relativa figura del fornello e del suo refrigerante) e il fornello a bagno maria o stufa umida. Nel 1674 notevole fama si guadagnò il Recueil des recettes, opera di Madame Fouquet uscita a Lione, che trattava dei rimedi segreti per sanare con poca spesa ogni sorta di infermità interne ed esterne, invecchiate e passate fino al presente per incurabili. Sperimentati dalla Medesima Dama12. Nel corso di alcune sedute della Royal Society, nell’anno 1677, Robert Hooke comunicò che si era costruito da solo varie centinaia di piccolissime lenti biconvesse a breve lunghezza focale e piccole sfere di vetro fuso (di dia- metro inferiore a mm 2,5) che, inserite in una montatura metallica, funzionavano come microscopi semplici. Le stupefacenti, piccolissime lenti non si sarebbero limita- te ad avvicinare e a ingrandire un mondo familiare (spermatozoi e globuli rossi del sangue individuando protozoi e batteri, come avvenne per i microscopisti della prima generazione). Con quelle lenti e con i nuovi microscopi si apriva allo sguardo un mondo nuovo e inaspettato di minerali e di tessuti organici, strutturati secondo forme. Un mondo popolato da forme di vita invisibili all’occhio umano. Marcello Malpighi (1628-1694), utilizzando i primi rudimentali microscopi, potè compiere
  • 32. indagini anatomiche piuttosto accurate osservando la struttura cellulare e scoprendo tra l’altro la prova della comunicazione tra vene ed arterie a livello degli alveoli polmonari. Va ricordato, infine, che verso la fine del 1600 si ha la nascita del concetto della natura vivente del contagio: Giovan Cosimo Bonomo (1666-1696), ad esempio, individuò la vera eziologia della scabbia con la scoperta del ruolo dell’acaro nella malattia, anche se la medicina ufficiale ignorò i suoi studi fino a quasi la metà del secolo XIX. All’inizio del secolo Francis Bacon aveva visto giusto: la scienza non è semplice osservazione della natura. La natura parla solo se interrogata. Bisogna che gli uomini non si accontentino di contemplarla, ma imparino a “torcere la coda al leone”. Servono alla scienza non solo aiuti per l’intelletto, ma anche aiuti per i sensi. Dalla fine del XVII secolo in ambienti soprattutto anglosassoni, o comunque fortemente influenzati dal pensiero religioso protestante, si comincia a cambiare l’atteggiamento nei confronti dei Maestri greci e latini criticandone aspramente l’educazione classica, in quanto pagana, e gli scienziati riconducono le origini del loro sapere a quello biblico.
  • 33. Nonostante questo patrimonio culturale sia in realtà sconosciuto, per mancanza di ogni tipo di fonte, lo si ricostruisce da citazioni dirette della Bibbia. Tra i massimi fondamenti della dottrina applicata alle scienze mediche e farmaceutiche pre-industriali vi è il principio dell’analogia secondo il quale tutto ciò che esiste, fenomeni naturali, minerali, vegetali, animali e corpi celesti sono collegati da una rete di corrispondenze: i fenomeni e le cose sono collegati tra loro dall’analogia. Nell’antica medicina il principio analogico è applicato sia nelle tecniche diagnostiche sia in quelle terapeutiche. L’irascibilità, il colore giallastro, l’aspetto grifagno (come i rapaci, uccelli “di Fuoco”, per l’acutezza della loro vista e la rapidità dell’attacco) sono collegati alla Bile gialla, espressione del Fuoco organico; le droghe di colore giallo e/o amare servono per drenare questa Bile ed espellerne l’eccesso. Il lattice della Celidonia, il fiore del Tarassaco, le radici del Rabarbaro o della Curcuma, il tuorlo dell’uovo sono analogicamente collegate dal giallo-dorato o aranciato, tipicamente biliare, nonché dai loro indiscutibili effetti farmacologici come coleretici.
  • 34. La spensieratezza e l’aspetto rubicondo (come i porcellini), sono collegati al Sangue, manifestazione dell’Elemento Aria; i cibi e le droghe dai colori vivaci, dal sapore dolce, i legumi, i vini, la frutta secca, le carni insaporite, creano gran nutrimento e sangue in abbondanza. Sono collegati dalla potenza nutritiva e dal sapore gradevole, qualità caratteristiche della nostra linfa vitale. La moderazione, l’aspetto corpulento e il colorito pallido, tendenzialmente bovini, sono collegati alla Flemma, espressione dell’Elemento Acqua; le droghe e i cibi succosi, acquosi, penduli, insapori, oppure bianchi e lucenti (la lattuga, i cetrioli, il latte, la mozzarella, lo stracchino), generano Flemma, e anche muco se la stagione è appropriata (quindi d’inverno).
  • 35. Droghe mucillaginose e lenitive, come i petali del Papavero, la Malva, lo Psillio, generano, invece, buona Flemma, emolliente e rinfrescante. L’introversione, l’aspetto secco e duro, il colorito scuro (come certi insetti o le vecchie cornacchie), sono collegati alla Bile nera o Malinconia, espressione organica dell’Elemento Terra; le droghe minerali cristalline, le piante le cui parti rammentano ossa, articolazioni e tendini, oppure dai fiori violetti o porporini, dal sapore acido o astringente, servono a generare o una buona Melanconia (forti strutture corporee), come l’Equiseto, la Piantaggine, i sali metallici, o parti animali dure e solide (il Corallo, le Perle, le corna) o a espellere quella dannosa, come la Borragine, le Felci (Polipodio, Ceterach, Capelvenere), la Senna e l’Aloe. Anzi l’Aloe, con il suo aspetto vetroso e oscuro, rammenta inequivocabilmente l’Umore del quale favorirà l’espulsione.