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Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli4
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 5
Copia n. _____________
L’autore
__________________________
© Copyright Raimondo Villano
© Ricerche, elaborazioni, copertina a cura di Raimondo Villano.
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa con un mezzo
qualsiasi, fotocopie, microfilm o altro, senza il permesso scritto dell’editore.
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withoutwritten permission from the publisher.
Realizzazione editoriale: Prof. Dott. Maria Rosaria Giordano.
Website: www.raimondovillano.com (no-profit); Segreteria: chironfound@gmail.com.
Vendite: chironeditore@gmail.com; Catalogo: www.raimondovillano.com (business).
Stampa LP - Napoli.
Prima edizione maggio 2010.
Prima ristampa novembre 2010.
Finito di scrivere il due aprile 2009.
Foto di copertina di Raimondo Villano (2005): anfora biansata di fabbrica napoletana della
seconda metà del XVII secolo dell’antica spezieria monumentale della Certosa di San Martino in
Napoli (Vomero).
Serie numerata. Questo volume, privo del numero di serie e della firma dell’autore, è da ritenersi
contraffatto.
Indice
CHIRON FOUND.
Praxys dpt
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli6
Presentazione 9
Dalla fine dell’impero Romano al Ducato bizantino 13
Dal Regno ostrogoto al Ducato 17
Dai Normanni agli Svevi 27
L’epoca angioina 39
L’epoca aragonese e spagnola 49
Dagli Asburgo ai Borbone 69
Le produzioni ceramiche 97
Farmacie storiche 103
Appendice:
Epoche storiche 109
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 7
Presentazione
l presente saggio di Raimondo Villano, che si aggiunge ad altre indagini sull’arte
farmaceutica condotte su uno scenario ancora più vasto, rappresenta un notevole
sforzo di sintesi.
Il Regno delle due Sicilie ha trovato la sua unità, almeno a partire dal 1200, con la prima
monarchia moderna di Federico II.
L’Autore non dimentica neanche i primordi di una civiltà mediterranea che ha, poi, visto
nascere in Campania la straordinaria Scuola Salernitana, di origine incerta ma di
fondamentale importanza divulgativa, estesa da Bologna, con Guglielmo da Saliceto, a
Parigi, con l’Antidotario di Nicolò, proclamato farmacopea ufficiale nel ‘400.
Il primato della nascita della farmacia pubblica voluta da un Genio, pur ispirato da un
parziale precedente francese, condizionerà questo Stato a prestare grande attenzione alla
nostra arte, favorita dalla cultura monastica, dallo scriptorium di Cassiodoro
all’universalismo di Costantino l’Africano.
Molte dinastie si sono succedute in questo Paese senza però stravolgere le sue
caratteristiche, lasciando molto spazio alle baronie locali e all’attività della Chiesa. Per
questo motivo non è mai nato uno Stato forte e il prezioso aggiornamento legislativo
dovuto ad una Università, per questo famosa, è stato applicato saltuariamente e, forse, a
macchia di leopardo.
Si può spiegare così il monopolio delle farmacie conventuali benedettine a Napoli nel
‘700, come le impressioni degli stranieri che nell’800 lodavano magari il singolo speziale
per la sua onestà, ma rimarcavano le manchevolezze del sistema. Che, per esempio,
esploderanno con la legge di liberalizzazione Crispi alla fine del secolo: pur essendo in
vigore una pianta organica, che nelle regioni del nord limitò l’incondizionata
proliferazione degli esercizi, qui, vedi a Messina e Catania, centinaia di botteghe alzarono
un’insegna limitandosi alla raccolta delle ricette, convogliate all’unico farmacista dietro
compenso.
Lo studio documentato da Mario Zappalà sulla vicenda si unisce alle diverse fonti
consultate da Villano, con speciale riguardo alle opere di Andrea Russo e di Chichierchia
e Papa.
Partendo da questa base, l’Autore riuscirà a scrivere una storia esaustiva della farmacia
nel più antico Regno italiano che, anche nel decadente periodo ottocentesco, sarà il più
attento ad aggiornare i suoi Petitoria e Ricettari Napoletani rispetto agli altri Stati italiani.
Dott. Antonio Corvi
Presidente Accademia Italiana di Storia della Farmacia
I
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli8
“Abbiamo la responsabilità
di mantenere vivo il passato
dal quale veniamo:
è allo stesso tempo
nostro padre e nostro figlio”
Carlos Fuentes
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 9
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli10
L’epoca aragonese e spagnola
Nel Regno di Napoli la presenza degli speziali è rintracciabile ab antico o, in epoca
aragonese, nel Liber examinationis aromatariorum del 1464(39)
o nelle Capitolazioni
dell’Arte del 1496(40)
o in alcuni diplomi rilasciati dall’Almo Collegio Salernitano(41)
,
benché non vi sia notizia alcuna di studi specifici, recitandosi nella formula “idoneum,
habilem ac sufficientem ad conficiendum julepa, ac syrupia simplicia et composita (...) et
omnia, quae ad dictam artem peninent, peragere”.
Nella seconda metà del 1400 l’autorevolezza della Scuola Salernitana è tale che, ad
esempio, l’Antidotario Salernitano è “legge” per gli Speziali di Heidelberg.
Nel 1471, poi, l’Antidotario del IX secolo della Scuola Salernitana viene stampato a
Venezia e reso obbligatorio per gli speziali d’Italia più del Ricettario Fiorentino.
Viene, inoltre, pubblicato il Compendium Aromatorium di Saladino d’Ascoli che,
diviso in 7 particulae ed in forma di domanda e risposta costituisce il miglior riferimento
per gli allievi in attesa di essere esaminati e ne scaturisce anche il ritratto ideale dello
speziale dell’epoca, con qualità morali e materiali tali da porlo come esempio al
professionista attuale.
Nel 1498 con i Capitula è richiesto dal Re di Napoli Federico d’Aragona (1496-1501)
agli speziali il possesso di un titolo specifico vidimato dal Protomedico per
l’autorizzazione all’esercizio della professione. Questi provvedimenti dichiarano di fatto
l’esistenza degli speziali di medicina cedolati, da sottoporre ad un determinato esame, e
ne definiscono l’elemento distintivo rispetto agli speziali manuali, il cui esercizio “(...) è
assai differente dall'esercizio di comporre le predette cose medicinali, ad essi non sono
approvati all'effetto di fare composti della forma, e maniere come si approvano gli altri
Speziali di medicina, non possono fare, né tenere, né contrattare le dette cose composte
di medicinali. Debbono avere semplici, che non sono composti e si tengono e si
contrattano come sono (...)”. In effetti, gli speziali di medicina hanno conoscenze più
specialistiche in campo medico e farmaceutico mentre gli speziali manuali, più
propriamente droghieri, sono semplici mercanti e produttori di droghe, unguenti e
profumi che, tuttavia, avendo sviluppato un’incontestabile esperienza di manipolatori di
droghe, aromi ed unguenti, sovente sono coinvolti dai medici per la preparazione delle
loro ricette per cui nel tempo si attribuiscono ulteriori competenze, estendendo la loro
attività fino all’elaborazione vera e propria di composti medicamentosi, prerogativa
esclusiva degli speziali di medicina. Non di rado, quindi, le due categorie di speziali,
soprattutto nel napoletano, si confrontano fino alla definizione in termini legali dei
reciproci diritti(42)
.
_______________
(39) Russo A., Un ignorato “Liber examinationi Aromatanorum” del sec. XV, in Atti 1° Congresso UMSHP
(Torino, 1967); Torino, Unigraf, 1967. Biblioteca Naz.le Napoli, Sez. Napoletana, Miscellanea B, IX, 4/27.
(40) Russo A., L’Arte degli Speziali in Napoli, Napoli, Buona Stampa, 1966. Arch. Naz. Na, Sez. Napoletana,
Misc. B, IX, 4/11.
(41) Sinno A., Diplomi di laurea dell'Almo Collegio Salernitano in “Archivio Storico della Provincia di
Salerno” a. I, fasc. 11-111 (apr/set 1921). Archivio Nazionale di Napoli, Sala Mod., n. 610.9. STO. 12.
(42) Chichierchia Luca - Papa Simona, Storia della farmacia a Napoli. Dalla Spetieria conventuale alle
botteghe dell’Ottocento, Electa Napoli, 1998.
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 11
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli12
Tra il 1499 ed il 1526, connessa alla prevalente “incurabilità” della sifilide (non ancora
battezzata con tale nome), sorgono in Italia nosocomi specializzati per luetici che,
paradossalmente, sono denominati Ospedali degli Incurabili(43)
.
Nel 1548 vede la luce una delle prime edizioni complete del Flos Medicinae, meglio
conosciuto come Regimen Sanitatis Salernitanum, il frutto collettivo più noto della
Scuola Salernitana (ristampato in epoche successive almeno in almeno 300 trecento
edizioni sempre con nuove aggiunte e tradotto in quasi tutte le lingue europee, in alcune
lingue asiatiche e perfino in certi dialetti). Questi versi (in origine 362), raccolti e
commentati nel XIII secolo dal maestro della scuola medica di Montpellier, Arnaldo da
Villanova, allievo della scuola salernitana, diventano nel corso dei secoli addirittura
3520. La diffusione e la risonanza che il poema, scritto in versi leonini(44)
, ha in
quest’epoca si devono certamente alla sua chiarezza didattica piana, semplice, popolare e
adatta alla comprensione di chiunque.
Non si nota ombra né appesantimento di principi filosofici, ma tutto si ispira alla virtù dei
“semplici” e ai precetti di una rigida igiene fisica e morale.
È un poema del quale non si conosce la data precisa di compilazione, né l’autore o gli
autori e si presume che i primi versi siano stati scritti intorno al X secolo. Vari sono i
manoscritti che in maggioranza lo dedicano al Re d’Inghilterra “Anglorum Regi” poche
volte a un “Francorum Regi”; nel primo caso non si è certi se si tratti di Edoardo III di
Inghilterra, che regna con esemplare virtù dal 1042 al 1060, o invece di Roberto II, Duca
di Normandia, figlio di Guglielmo il Conquistatore(45)
.
Esso è una raccolta di precetti e massime che insegnano a conservare la salute adottando
una opportuna regola alimentare e comportamentale, senza bisogno di ricorrere a sortilegi
ed amuleti, come è condensato già nei primi versi che suggeriscono un tipo di vita
rigorosamente igienica e serena così recitando: “Al re d’Inghilterra la Scuola di Salerno
unanime scrive: se vuoi star bene, se vuoi vivere sano, scaccia i gravi pensieri, l’adirarti
ritieni dannoso. Bevi poco, mangia sobriamente; non ti sia inutile l’alzarti dopo il
pranzo; fuggi il sonno del meriggio; non trattenere l’urina, né comprimere a lungo il
ventre; se questi precetti fedelmente osserverai, tu lungo tempo vivrai. Se ti mancano i
medici, siano per te medici queste tre cose: l’animo lieto, la quiete e la moderata dieta”.
L’opera, a carattere enciclopedico, descrive gli elementi della natura, gli alimenti, gli stati
d’animo e le stagioni allo scopo di salvaguardare la salute mantenendo un perfetto
equilibrio tra uomo e natura. Il Regimen offre i rimedi giusti per ogni sofferenza,
dettandoci le buone norme per vivere sani, demolisce quel fanatico misticismo
medioevale che impone la privazione della carne, la mortificazione dello spirito,
l’astinenza dal piacere e, soprattutto, la paura di avere in sacro orrore tutto ciò che può
rendere più dolce e dilettevole la vita, per cui fa capire chiaramente a chi lo consulta di
valersi, con giusta moderazione, de beni terreni che la natura ha elargito.
_______________
(43) Genova (1499), Bologna e Savona (1513), Roma (1512-15), Napoli (1517-19), Vicenza (1518-19),
Verona (1519), Brescia (1520), Firenze (1522), Padova (1526).
(44) Versi latini rimati in mezzo e alla fine; si crede traggano il nome da un poeta francese di nome Leonio
vissuto nel XII secolo.
(45) F. Grondona - Salerno Civitas Hippocratica, 1967, anno I, nn.1-2, pp. 38-42
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 13
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli14
Poche opere, tranne quelle religiose, influenzano per molti secoli la vita dei popoli
europei quanto il Regimen.
Nel 1563 è nominato Protomedico in Sicilia Giovanni Filippo Ingrassia, promotore
delle Constitutiones che fa stampare nel 1564 a Palermo (apud Ioannem Mattheum
Maydam) con lo scopo di eliminare gli abusi, regolare l’attività di medici e speziali,
adottare provvedimenti nei confronti di ciarlatani e speculatori, delineare compiti e diritti
del Protomedico. In particolare, le Constitutiones di Ingrassia dispongono la visita delle
spezierie da parte del Pprotomedico con un revisore (un aromatario esperto in semplici e
composti) due volte l’anno, preferibilmente in primavera e autunno, stagioni riservate
tradizionalmente alla preparazione delle composizioni generando malcontento tra non
pochi speziali che “adversus protomedicos murmurando blaterare ac blasphemare non
desistunt” ritenendo più giusta una cadenza triennale delle ispezioni; ribadiscono il
divieto di società e rapporti che implicano scambio di denaro tra medici e speziali
aumentandone la multa per i medici trasgressori e, ad arbitrio del Pprotomedico, il
carcere; consentono ai medici solo “in casu igitur necessitate tantum, et absente medico
nonnumquam speciarius et magis absente speciario medicus succurrere potest” la
vendita di medicine e puniscono gli abusi con multe e, ad arbitrio del Protomedico, con il
carcere; stabiliscono che per ottenere la licenza di aprire bottega e curare con rimedi
l’aromatario debba superare un esame ed effettuare un praticantato di almeno cinque anni
presso maestri approvati; ordinano che lo speziale abbia la bottega dello speziale sia
fornita di “omni ingenio et industria”, abbia gli strumenti “ad artem necessaria” e li
conservi “munda et polita, sub pena carceris arbitrio nostro”; estendono l’obbligo di
riportare sul coperchio di vasi e contenitori la data di preparazione di tutti i medicamenti
“idem speciarius scribat diem, quo talia simplicia collegit, vel emit” e, onde evitare la
perdita o il deperimento dei coperchi, dispongono di annotare giorno, mese, anno e
indizione dei preparati in apposito registro da conservare in spezieria nonchè di incollare
anche sul lato dei vasi un foglietto con la data di preparazione e ammoniscono lo speziale
dal commettere frode trasferendo da un vaso all’altro coperchio e schede o vendere come
recenti “antiquas compositiones”; ordinano che i medicamenti velenosi, tra cui siano
conservati separatamente dagli altri o addirittura nascosti per evitare confusioni per lo
speziale ed i suoi sottoposti; evidenziano, infine, che il Protomedico girando per il Regno
ha constatato il diffuso malcostume tra gli speziali di vendere “ad oculum vel famulorum
discretionem” i semplici e i composti e, addirittura, oppiacei e medicine costose.
Un altro profilo dettagliato dell’antico speziale partenopeo, poi, ci è tramandato dal
periodo spagnolo con una Prammatica del 1577, contenente istruzioni per l’attività del
Protomedico(46)
, in cui sono con precisione riportati i “requisiti per l’idoneità o privilegio
all’esercizio pubblico di speziale”: nato da legittimo matrimonio, battezzato, non essere
inquisito da autorità giudiziaria, godere di buona fama; conoscere la grammatica e avere
un attestato rilasciato da un maestro di pubblica scuola; aver fatto pratica per almeno sei
anni presso uno speziale approvato.
_______________
(46) Giustiniani L., Nuolla raccolta tjelle Prammatiche del Regno di Napoli. Napoli, Simoniana, 1803-1806.
T. 111 e XII.
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 15
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli16
Le prove di esame, davanti alla Commissione presieduta dal Protomedico con la presenza
di otto rappresentanti del Ceto degli Speziali, consistono: nella selezione di medicamenti
buoni illustrandone le qualità; nell’attenersi ai Canoni di Mesuè nel preparare i
medicamenti; nel conoscere leggi e consuetudini per il buon andamento della pubblica
attività.
Nel 1581 un bando sottolinea la necessità di impedire che i praticanti non patentati
esercitino la medicina o dispensino medicamenti. Con questo bando il Protomedicato
non cerca di eliminare tali soggetto, cosa del resto realisticamente impossibile, bensì di
assicurarsi che si presentino per la necessaria qualifica. Il Santorelli, a tal proposito,
riferisce che nel passato (cioè negli anni antecedenti al 1652) coloro che praticano tali
attività senza sottoporsi all’esame e senza farsi patentare dal Protomedico vengono
privati di tutti i loro beni mobili. Ma, ai tempi di Santorelli, è necessario che il paziente
presenti una querela contro il ciarlatano senza patente mentre di solito, accade invece che
il paziente si accontenti di riavere dal ciarlatano i soldi spesi per ottenere il medicamento.
Con la Prammatica del 1581 e successivamente con quella del 1679 le autorità
stabiliscono in modo chiaro i limiti delle categorie degli speziali di medicina e degli
speziali manuali e ne sono stabilite le competenze in relazione alla formazione: agli
speziali di medicina, quali artigiani specializzati, è riconosciuta dignità e professionalità
derivanti dalla specifica attività ed è richiesto loro l’obbligo di frequentare un corso di
studi al termine del quale, e dopo un’opportuna verifica, sono dichiarati idonei
all’esercizio(47)
.
Nel 1607 la Congregazione degli Speziali di Medicina partenopea ottiene dall’abate
Ugolino per conto dei Benedettini la concessione all’istituzione di un Monte nella zona
dei Banchi Nuovi che “si ha da erigersi in subsidio delle figliole femine, et altri bisogni
dell’arte” nella Chiesa di SS. Demetrio e Bonifacio la cui attività, di tipo assistenziale e
come vero e proprio centro sociale, è regolata da apposite Capitolazioni di cui sono di
particolare interesse quelle riguardanti la dotazione delle figlie degli speziali ed altre
innovazioni nell’assistenza agli iscritti(48)
.
Pochi anni dopo, precisamente nel 1614, è pubblicato il Petitorio, prima farmacopea
del Regno.
Nel 1629 gli Alemanni portano la peste in Valtellina e poi nel Milanese e Mantovano ma
per il freddo il morbo non si diffonde subito bensì divampa l’anno seguente invadendo e
spopolando buona parte dell’Italia . Nel corso del 1630 il flagello nero della peste, che si
abbatte in particolare sull’Italia Settentrionale massimizzandosi a Milano, non risparmia
Napoli ma si diffonde soprattutto a Benevento.
Le parole peste e contagio incutono terrore perché collegabili immediatamente alla morte
anche in giovane età: la peste va in giro per le città a bocca aperta come una faina. Da
tempi immemorabili la peste è considerata un flagello divino ragion per cui essa viene
esorcizzata facendo ricorso alla mediazione dei Santi, come San Rocco, o della Madonna.
_______________
(47) Chichierchia Luca - Papa Simona, Storia della farmacia a Napoli. Dalla Spetieria conventuale alle
botteghe dell’Ottocento, Electa Napoli, 1998.
(48) A. Russo, I Capitolari degli Speziali di Medicina per il Pio Monte di SS. Demetrio e Bonifacio nel 1607,
La Farmacia Nuova, n. 3, Napoli 1981.
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 17
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli18
L’epidemia rapidamente si diffonde per contagio anche a causa delle numerose funzioni
propiziatorie in luoghi di culto o pubblici affollati di gente. In tempi di contagio scattano
misure restrittive finalizzate a proteggere le comunità ancora indenni. Una delle misure
più impegnative messe in atto da tutti gli Stati per proteggersi dalle pestilenze è la messa
al bando di una città dove si sospetta l’esistenza di un focolaio di contagio. La messa al
bando è strettamente correlata ad un’altra misura di protezione: l’istituzione di cordoni
sanitari in terra o in mare per evitare il contagio. La messa al bando va considerata come
il mezzo più frequentemente usato per cercare di realizzare una prevenzione delle
malattie epidemiche. Essa comporta l’interruzione di ogni rapporto commerciale e di
comunicazione con la località o il paese considerato potenziale fonte di contagio.
I paesi dell’Impero Ottomano e dell’Africa vengono spesso banditi perché ritenuti
pericolosi. Per diffondere il messaggio del rischio e della necessità di interrompere viaggi
verso località o paesi, le autorità civili o sanitarie usano persone chiamate “banditori” che
hanno il compito di diffondere questo messaggio tra la popolazione sparsa sul territorio e
per lo più analfabeta. L’ordine trasmesso attraverso il banditore viene chiamato Bando,
Editto, Ordinanza o Decreto. Gli arrivi di persone, merci ed animali sono visti con occhio
spaventato e tutti cercano di proteggersi da questi possibili veicoli di infezione. Una delle
misure di prevenzione più antiche, la più diffusa e meglio documentata, è l’istituzione
della Fede di Sanità, attestato di cui si deve munire chi inizia un viaggio di terra e che
“fa fede”, certifica lo stato di salute di cui gode il paese di partenza del viaggiatore e di
conseguenza, presumibilmente, del viaggiatore stesso.
La Fede di Sanità, vero e proprio Passaporto Sanitario, è considerata un documento
particolarmente importante che le autorità, nel timore di frodi, seguono attentamente dal
momento della stampa fino a quello della consegna a chi lo deve compilare. Mentre
l’analogo documento che accompagna una imbarcazione, la Patente di Sanità, è
necessariamente rilasciata dall’autorità di un porto (da una Deputazione Sanitaria
investita di grandi poteri), la Fede di Sanità è rilasciata anche in piccoli agglomerati
urbani. Mentre le Patenti di Sanità sono il più delle volte belle stampe munite dei noti
bolli di sanità, le Fedi sono il più delle volte piccoli e semplici foglietti manoscritti
compilati da un impiegato del Comune. Le Fedi devono riportare le caratteristiche
somatiche della persona cui sono rilasciate insieme ad ogni altro elemento utile per una
sicura identificazione. Le Patenti di Sanità vengono accuratamente controllate da
funzionari o medici deputati al controllo sanitario. Se le imbarcazioni provengono da
porti considerati sospetti, se durante la navigazione la barca è stata attaccata da corsari,
l’equipaggio, i passeggeri ed il carico vengono messi in quarantena. Gli ospedali dove un
tempo si curano i lebbrosi vengono indicati con il termine di lazzaretti. Essi indicano
quei luoghi recintati presso i porti marittimi dove le navi, i naviganti e le loro merci
vengono sottoposti a periodi di quarantena in tempi sospetti di pestilenza. Oltre alla
quarantena nei lazzaretti, nei periodi di epidemie le persone possono essere sottoposte a
sequestro domiciliare, specie se la famiglia che abita in quel luogo ha avuto un decesso
dovuto alla malattia epidemica che infierisce in questo momento. La posta (lettere,
manoscritti, dispacci, giornali), già considerata per secoli un pericoloso veicolo di
contagio ritenendo la carta di per sé suscettibile di ricevere, conservare e trasmettere il
contagio, è sottoposta a capillare e rigorosissima disinfezione quale misura tesa a
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 19
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli20
prevenire la diffusione del contagio. Le lettere possono essere disinfettate esternamente o
anche esternamente ed internamente. Lungo le strade consolari o, comunque, lungo i
percorsi dei flussi postali si trovano le stazioni di disinfezione dove un certo numero di
addetti forniti di guanti e grembiuli di tela cerata prendono con lunghe pinze le lettere, le
pongono su un tavolo, le aprono, le disinfettano per poi raccogliere e bruciare ogni
frammento di carta rimasto. Le modalità di disinfezione sono state diverse a seconda
delle zone e delle epoche. Per secoli le virtù purificatrici attribuite al fuoco hanno
tranquillizzato gli incaricati della disinfezione delle lettere. Si usano legni odorosi,
sostanze aromatiche oppure sterpaglie. Purtroppo la carta si brucia facilmente per cui è
necessaria una grande attenzione nei passaggi delle lettere sulla fiamma. Si spacca nel
senso della lunghezza l’estremità di una canna e nello spacco si infila il foglio da passare
sulla fiamma. L’immersione nell’aceto è anch’essa ritenuta un sistema molto sicuro di
disinfezione. Le lettere sono aperte, spruzzate con l’aceto, quindi asciugate. Anche questo
sistema ha degli inconvenienti poiché non tutti gli inchiostri resistono all’aceto ed alcuni
manoscritti diventano illeggibili: danno irreparabile quando si tratta di lettere
commerciali o di documenti bancari. Nel tentativo di evitare una parte almeno dei
suddetti inconvenienti, gli operatori cercano di abbreviare al massimo il tempo
dell’immersione.
Inoltre, sono largamente impiegati i buccheri(49)
che sprigionano le loro benefiche
fragranze. È diffusa, infatti, la credenza nelle proprietà terapeutico-afrodisiache dei
profumi per cui è invalsa l’abitudine di sprigionare essenze nei luoghi di riunione e di
abitazione sostenendo le virtù salvifiche e perfettive non solo delle medicine profumate
ma, addirittura, anche dei cibi profumati. Su questa scia imperversa fra i ricchi la moda
della cioccolata al gelsomino, dei sorbetti carichi di ambra e muschio, delle “acque
concie”.
La fede nelle proprietà terapeutiche dei profumi, unitamente alla passione per i cosmetici
“ambrati e muschiati” continuerà in tutta Europa fino almeno alla metà del Settecento.
Del resto il “diletto dell’olfatto”, oltre che aspetto della filosofia del sensismo, costituisce
una risposta dei ceti abbienti ai miasmi della città e alla scarsa igiene personale. Non va
sottaciuto, del resto, che nei secoli XVI-XVIII, ritenendosi la peste e la sifilide originate
dagli odori, è assai diffusa la paura dell’acqua basata sulla teoria “scientifica” del corpo
poroso: si sostiene che la malattia passi attraverso i pori e, pertanto, occorre conservare il
corpo impermeabile e prendere il bagno completo con mille precauzioni e solo in casi
rarissimi, addirittura su prescrizione medica(50)
. Ai malati, inoltre, vengono somministrati
per bocca elettuari a base di rabarbaro, erba cassia, coralli rossi, perle macinate, cannella
e fiori di camomilla mentre per prevenzione vari testi consigliavano medicamenti a base
di antimonio con zucchero rosato in vino o acqua.
In molti erbari, inoltre, per la prevenzione del morbo si consiglia di lavare i pavimenti
con aceto e di strofinarli con aglio ed acqua rosata.
_______________
(49) Bucchero: terra rossastra odorosa, proveniente da paesi esotici e anche dalle Americhe, molto di moda
nel XVII secolo usata per fare pastiglie e profumate.
(50) Questa concezione scomparirà solo nell’Ottocento con la scoperta dei microbi.
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 21
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli22
In questo grande teatro tragico della peste, inoltre, la farraginosa ed evanescente medicina
offre anche un altro miserando spettacolo: giunge a far confezionare polveri antipestose
composte addirittura con più di 150 semplici per la maggior parte teriacali e cordiali.
I medici, infine, girano vestiti in modo un po’ particolare: con grembiuli fino ai piedi e
con una specie di becco d’uccello sul naso contenente una spugna con gli immancabili
profumi.
Nonostante questi ed altri interventi la devastazione del morbo non è arginata e si abbatte,
ovviamente, sui medici (il timore di non avere più medici è molto sentito tanto che, in
considerazione del rischio di esser contagiato e morire, si invita talvolta i medici a vivere
in abitazioni di campagna) ed anche sugli apotecari decimandoli e vuotando di ogni
merce le loro “botteghe”.
In breve tempo si deve constatare l’impossibilità di rifornimenti di medicamenti nonché
la scomparsa di molti speziali aggrediti dal male cui sono particolarmente esposti. Alla
fine di questo terribile anno gli speziali sono in molti luoghi quasi estinti, taluni sono
sull’orlo del fallimento avendo rifornito a credito i lazzaretti (e riscuotendo, poi, molti
anni dopo, in qualche caso non isolato anche dopo oltre un decennio).
Nel contempo il 16 dicembre 1631 il Vesuvio torna in forte attività dopo 5 secoli
devastando buona parte dell’area vesuviana con una colonna eruttiva di cenere e lapilli di
circa 13-20 chilometri preceduta da deformazioni geologiche e fenomeni tellurici e
seguita da una fase esplosiva.
Nel 1638 l’Ateneo messinese decreta la fondazione dell’Hortus Messanensis
affidandone la realizzazione a Pietro Castelli(51)
, discepolo del luminare Cesalpino, cui
succede il fondatore dell’istologia e dell’anatomia vegetale Marcello Malpighi che
effettua a Messina gran parte dei suoi studi contenuti nell’Anatomes Plantarum Idea e
nell’Anatome Plantarum.
Nel Regno di Napoli in quest’epoca i Protomedici sono responsabili dell’ispezione e della
concessione delle patenti di abilitazione ai praticanti. A giudicare dallo spazio dedicato
all’argomento sia negli statuti sia nei registri, la visita agli speziali è il compito più
importante del Protomedico. La visita deve cogliere lo speziale di sorpresa. Per citare il
protomedico Antonio Santorelli (1652), “doveva essere come la morte: lo speziale sa
che deve venire, ma non sa il giorno o l’ora(52)
”. Questo per impedire che si sbarazzasse
dei medicinali difettosi o inferiori o si faccia prestare medicinali buoni da un altro
speziale prima della visita (reati che si verificano ugualmente, nonostante la minaccia di
una multa di ben centocinquanta ducati).
La descrizione che ci fornisce il Santorelli nel 1652 mostra che il procedimento della
visita è reso più severo rispetto al 1577 in cui agli speziali è concesso un preavviso di
ventiquattro ore.
_______________
(51) Autore di un’originale classificazione delle piante, basata su quattordici classi riunite in quattro hortuli,
anticipatrice della disposizione sistematico-filogenetica utilizzabile oggigiorno.
(52) A. Santorelli, Il protomedico napolitano, ovvero dell’autorità di esso. Dialogo raccolto da un discepolo
... e data in luce dal signor Fabio Cava, Napoli, 1652, p. 33.
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 23
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli24
Nel 1656 una epidemia di peste colpisce l’Italia centro-meridionale con punte
massime a Roma e a Napoli. La popolazione è letteralmente falcidiata: nella sola città di
Napoli i morti sono oltre duecentomila, poco meno della metà degli abitanti.
A metà Seicento, poi, su impulso dei filosofi e scienziati Thomas Hobbes (1558-1679) e
René Descartes (1596-1650), i maggiori artefici della visione meccanicistica del
mondo e dell’uomo come una macchina costituita da materia in movimento, del
matematico Giovanni Alfonso Borrelli (1608-1679), autore della visione del corpo
umano come macromacchina osteo-artro-muscolare della locomozione, e del medico
inglese William Harvey (1578-1657), autore della visione del corpo umano come
macchina propellente il sangue, nella cui concezione Cartesio ed Hobbes(53)
stessi
riconoscono un contributo decisivo per l’esordiente meccanicismo scientifico esteso in
ambito anatomo-fisiologico, nasce la medicina meccanica o iatromedicina.
La iatromedicina ha una matrice concettuale in comune con la iatrochimica: benchè
appaiano in contrasto le interpretazioni, ad esempio, della digestione meccanica come
triturazione con quella chimica della cozione, della concezione iatromeccanica del corpo
macchina con quella iatrochimica del corpo provetta, in effetti la componente filosofica,
velatamente o apertamente materialistica, le accomuna entrambe.
In Italia la iatrochimica fiorisce proprio a Napoli, dove è molto influente il pensiero
meccanicista cartesiano in seno ad una controcultura che ama colorarsi di francesismo in
funzione antispagnola, per opera di Tommaso Cornelio e di Leonardo di Capua (1617-
1695), autore di un Discorso per la difesa dell’arte chimica in cui questa disciplina è
ritenuta indispensabile “per la philosophia e per la medicina”: la carica eversiva di tale
opera è riconoscibile nella spiegazione iatrochimica in chiave cartesiana
dell’effervescenza non solo della fermentazione della materia ma addirittura dell’energia
dello spirito.
Nel 1661 è pubblicato da Robert Boyle il famoso libro The Sceptical Chymist in cui è
guidato da ciò che egli definisce filosofia corpuscolare che utilizza i concetti di materia
e di moto per spiegare meccanicisticamente qualsiasi reazione o proprietà fisica e per
eliminare ogni teoria occulta.
Grazie a questa filosofia corpuscolare la spagirica dei medici paracelsiani si evolve in
iatrochimica e tra gli artefici di tale evoluzione ancora una volta figurano i napoletani
con i membri dell’Accademia degli Investiganti di Napoli, tra i più importanti centri
italiani di diffusione della nuova filosofia di Cartesio e di Gassendi, che trova
perfettamente coerente l’adozione della fisica di Galileo e la medicina di Paracelso e van
Helmont per un denominatore comune alla iatromeccanica ed alla iatrochimica nella
teoria corpuscolare della materia nata dalla rivoluzione scientifica.
_______________
(53) Hobbes nell’introduzione al Leviatano dice che “la vita non è altro che un movimento di membra”
chiedendosi “cosa è il cuore se non una molla e cosa sono i nervi se non fili e cosa sono le giunture se non
ruote per il movimento al corpo?”. (Fonte: Cosmacini Giorgio, L’arte lunga-Storia della medicina
dall’antichità a oggi, Cap. V, L’età moderna, GLF Editori Laterza, Economica Laterza 212, Roma-Bari,
1997, Cap. V, pag. 270).
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 25
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli26
Nel 1663 a Venezia il medico Tommaso Cornelio premette ai suoi Progymnasmata
physica un violentemente polemico dialogus contro i medici tradizionalisti imputando
loro “imprudenza propria di coloro che, mentre vogliono apparire grandi nell’arte di
medicare, trascurato l’aggiornamento e lo studio, cercano con l’inganno e con l’astuzia
la gloria e la pubblica fama; e quanto più mancano di nozioni e di buone arti, tanto più
cercano di supplirvi con bei modi e affettazioni di gran senno”. Tale attacco provoca il
contrattacco dei galenisti napoletani capeggiati dal Protomedico Carlo Pignataro che,
preoccupati di perdere il monopolio della professione, chiedono che l’insegnamento della
Chimica, impartito privatamente in quanto non contemplato dall’ordinamento degli studi,
sia rigorosamente vietato. Contro tale richiesta è pubblicato anonimamente, ma attribuito
a Di Capua, un Discorso per la difesa dell’arte chimica e de’ professori di essa in cui la
nuova scienza è definita indispensabile per la Filosofia e la Medicina in quanto rivela
“l’ultima costituzione e natura delle parti”. I galenisti replicano con un controdiscorso in
cui si dimostra che “i medicamenti spagirici sieno per lo più mal sicuri e pericolosi, e da
non permettersi senza l’approbazione de’ medici galenisti. E che la lettura della chimica,
benché privatamente, come non utile, debba restare proibita”.
L’ostracismo alla Chimica, inoltre, ha ragioni profonde: i rivali iatrochimici sono accusati
non solo di antigalenismo ma anche di antiaristotelismo, di irreligione.
Ciò che è grave, infine, è che accuse ed invettive durissime sono rivolte da medici ad altri
medici; soprattutto in Europa, poi, ma anche in Italia, non pochi fisiologi e medici hanno
fama di miscredenti e nella Napoli spagnolesca ed inquisitoria tardoseicentesca i fisiologi
iatrochimici ed i medici spagirici sono costretti a passare da una strategia di attacco sul
piano scientifico ad una di difesa in ambito teologico-religioso.
Un caso emblematico di ripercussioni pratiche di tale contrapposizione anche in campo
terapeutico e, quindi, nell’impiego di medicamenti è l’avvelenamento da antimonio
trattato da Di Capua nella sua opera “Parere sull’incertezza della medicina” pubblicata
nella seconda metà del XVII secolo: tale medicamento spagirico è considerato dagli
iatrochimici come “farmaco universale” e come “piombo sacro dei saggi” mentre è
bandito dalle prescrizioni di Redi e dei medici galenisti perché “emetico irrispettoso delle
vie di evacuazione predisposte dalla natura” e tra i prodotti “più mal sicuri”;
conseguentemente i medici “irregolari” lo prescrivono in forma di sale come tartrato
stibiato mentre i medici “regolari”, denunciando ogni abuso del farmaco, lo definiscono
tartaro stigiato: veicolo di sicuro trapasso all’oltretomba, verso la palude Stigia(54)
.
Tra il Seicento e il Settecento vi è nel centro-sud d’Italia un ricorso popolare per la cura
della peste talmente sconsiderato per l’abuso di stibium da determinare l’intervento
restrittivo dell’uso dell’antimonio da parte delle autorità con comminazione di pene
pecuniarie.
_______________
(54) Fonte: Cosmacini Giorgio, Storia della medicina e della Sanità in Italia- Dalla peste nera ai giorni
nostri, Laterza, Roma-Bari 2005, pagg. 192-193.
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 27
Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli28
Il 17 settembre 1706 nel Regno delle Due Sicilie è promulgato il Decreto del Regio
Collaterale contenente una delle norme più importanti in merito alla distanza da
osservare tra una spezieria esistente ed una di nuova istituzione; in esso, in particolare, è
precisato “che alcuno non possa fondare una nuova spetieria in qualunque sito di questa
capitale, senza averne chiesto preventivamente il permesso all’Uffizio del Regio
Protomedicato del Regno, il quale allora accorda siffatto permesso, quando risulta da
misura legale, di cui s’incarica il Collegio degli Speziali, che il luogo, ove si vuole
situare la nuova spezieria, è distante per settanta passi dalle spezierie contigue”. Tale
legge è rimasta in vigore per molti anni, venendo confermata e ridiscussa nell’ambito di
decisioni giudiziarie e disposizioni sovrane e ministeriali, il più delle volte centrate sulla
risoluzione di controversie determinate dalla norma stessa, la quale, molto precisa sulla
definizione di un valore numerico per la distanza, lo è un po’ meno sulle modalità di
determinazione della stessa. Cosicché non mancano questioni riguardanti
l’individuazione dei riferimenti a partire dai quali va misurata la suddetta distanza.
Rispetto a tali questioni la giurisprudenza si orienta indicando nell’ingresso principale il
caposaldo della misurazione ed escludendo, quindi, dal vincolo proibitivo la distanza da
porticciole di servizio; inoltre, per le spezierie collocate all’interno dei monasteri, è
ragionevolmente stabilito che il vincolo sulla distanza va inteso a partire dal sito destinato
allo smercio dei medicinali e non dalla porta di ingresso del monastero stesso per cui
spesso il riferimento è la finestra mascherata da grata utilizzata per gli scambi con
l’esterno, che poi diventa proprio un elemento prescritto per legge come vincolo sulle
spezierie conventuali.
Ed a tale vincolo si appellano di frequente gli speziali privati nell’ambito delle loro
controversie con gli Ordini religiosi, ritenendosi che seppure “(...) venisse la tolleranza la
distanza di 70 passi voluta dalla Prammatica del 17 settembre 1706, (...). in buon diritto,
ed a riguardo delle farmacie erette nell' ambito delle case religiose claustrali, la legge
esige, che tali farmacie abbiano finestre esterne con cancelli di ferro attaccati all'orifizio
esteriore e la idea corrispondente alla parola finestra è tassativa, né si potrebbe
estendendosi ad altra apertura, e tanto meno ad una porta”. È, infine, riconosciuto che
l’istituzione di una nuova farmacia in nessun modo deve essere condizionata, in termini
di distanza, dalla vicinanza di una preesistente farmacia sorta abusivamente.

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R. Villano - Gli Speziali nel Regno di Napoli - L’epoca aragonese e spagnola

  • 1.
  • 2. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli4
  • 3. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 5 Copia n. _____________ L’autore __________________________ © Copyright Raimondo Villano © Ricerche, elaborazioni, copertina a cura di Raimondo Villano. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi, fotocopie, microfilm o altro, senza il permesso scritto dell’editore. All right reserved. No part of this book shall be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted by ani means, electronic, mechanical, photocopying, recording or otherwise, withoutwritten permission from the publisher. Realizzazione editoriale: Prof. Dott. Maria Rosaria Giordano. Website: www.raimondovillano.com (no-profit); Segreteria: chironfound@gmail.com. Vendite: chironeditore@gmail.com; Catalogo: www.raimondovillano.com (business). Stampa LP - Napoli. Prima edizione maggio 2010. Prima ristampa novembre 2010. Finito di scrivere il due aprile 2009. Foto di copertina di Raimondo Villano (2005): anfora biansata di fabbrica napoletana della seconda metà del XVII secolo dell’antica spezieria monumentale della Certosa di San Martino in Napoli (Vomero). Serie numerata. Questo volume, privo del numero di serie e della firma dell’autore, è da ritenersi contraffatto. Indice CHIRON FOUND. Praxys dpt
  • 4. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli6 Presentazione 9 Dalla fine dell’impero Romano al Ducato bizantino 13 Dal Regno ostrogoto al Ducato 17 Dai Normanni agli Svevi 27 L’epoca angioina 39 L’epoca aragonese e spagnola 49 Dagli Asburgo ai Borbone 69 Le produzioni ceramiche 97 Farmacie storiche 103 Appendice: Epoche storiche 109
  • 5. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 7 Presentazione l presente saggio di Raimondo Villano, che si aggiunge ad altre indagini sull’arte farmaceutica condotte su uno scenario ancora più vasto, rappresenta un notevole sforzo di sintesi. Il Regno delle due Sicilie ha trovato la sua unità, almeno a partire dal 1200, con la prima monarchia moderna di Federico II. L’Autore non dimentica neanche i primordi di una civiltà mediterranea che ha, poi, visto nascere in Campania la straordinaria Scuola Salernitana, di origine incerta ma di fondamentale importanza divulgativa, estesa da Bologna, con Guglielmo da Saliceto, a Parigi, con l’Antidotario di Nicolò, proclamato farmacopea ufficiale nel ‘400. Il primato della nascita della farmacia pubblica voluta da un Genio, pur ispirato da un parziale precedente francese, condizionerà questo Stato a prestare grande attenzione alla nostra arte, favorita dalla cultura monastica, dallo scriptorium di Cassiodoro all’universalismo di Costantino l’Africano. Molte dinastie si sono succedute in questo Paese senza però stravolgere le sue caratteristiche, lasciando molto spazio alle baronie locali e all’attività della Chiesa. Per questo motivo non è mai nato uno Stato forte e il prezioso aggiornamento legislativo dovuto ad una Università, per questo famosa, è stato applicato saltuariamente e, forse, a macchia di leopardo. Si può spiegare così il monopolio delle farmacie conventuali benedettine a Napoli nel ‘700, come le impressioni degli stranieri che nell’800 lodavano magari il singolo speziale per la sua onestà, ma rimarcavano le manchevolezze del sistema. Che, per esempio, esploderanno con la legge di liberalizzazione Crispi alla fine del secolo: pur essendo in vigore una pianta organica, che nelle regioni del nord limitò l’incondizionata proliferazione degli esercizi, qui, vedi a Messina e Catania, centinaia di botteghe alzarono un’insegna limitandosi alla raccolta delle ricette, convogliate all’unico farmacista dietro compenso. Lo studio documentato da Mario Zappalà sulla vicenda si unisce alle diverse fonti consultate da Villano, con speciale riguardo alle opere di Andrea Russo e di Chichierchia e Papa. Partendo da questa base, l’Autore riuscirà a scrivere una storia esaustiva della farmacia nel più antico Regno italiano che, anche nel decadente periodo ottocentesco, sarà il più attento ad aggiornare i suoi Petitoria e Ricettari Napoletani rispetto agli altri Stati italiani. Dott. Antonio Corvi Presidente Accademia Italiana di Storia della Farmacia I
  • 6. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli8 “Abbiamo la responsabilità di mantenere vivo il passato dal quale veniamo: è allo stesso tempo nostro padre e nostro figlio” Carlos Fuentes
  • 7. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 9
  • 8. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli10 L’epoca aragonese e spagnola Nel Regno di Napoli la presenza degli speziali è rintracciabile ab antico o, in epoca aragonese, nel Liber examinationis aromatariorum del 1464(39) o nelle Capitolazioni dell’Arte del 1496(40) o in alcuni diplomi rilasciati dall’Almo Collegio Salernitano(41) , benché non vi sia notizia alcuna di studi specifici, recitandosi nella formula “idoneum, habilem ac sufficientem ad conficiendum julepa, ac syrupia simplicia et composita (...) et omnia, quae ad dictam artem peninent, peragere”. Nella seconda metà del 1400 l’autorevolezza della Scuola Salernitana è tale che, ad esempio, l’Antidotario Salernitano è “legge” per gli Speziali di Heidelberg. Nel 1471, poi, l’Antidotario del IX secolo della Scuola Salernitana viene stampato a Venezia e reso obbligatorio per gli speziali d’Italia più del Ricettario Fiorentino. Viene, inoltre, pubblicato il Compendium Aromatorium di Saladino d’Ascoli che, diviso in 7 particulae ed in forma di domanda e risposta costituisce il miglior riferimento per gli allievi in attesa di essere esaminati e ne scaturisce anche il ritratto ideale dello speziale dell’epoca, con qualità morali e materiali tali da porlo come esempio al professionista attuale. Nel 1498 con i Capitula è richiesto dal Re di Napoli Federico d’Aragona (1496-1501) agli speziali il possesso di un titolo specifico vidimato dal Protomedico per l’autorizzazione all’esercizio della professione. Questi provvedimenti dichiarano di fatto l’esistenza degli speziali di medicina cedolati, da sottoporre ad un determinato esame, e ne definiscono l’elemento distintivo rispetto agli speziali manuali, il cui esercizio “(...) è assai differente dall'esercizio di comporre le predette cose medicinali, ad essi non sono approvati all'effetto di fare composti della forma, e maniere come si approvano gli altri Speziali di medicina, non possono fare, né tenere, né contrattare le dette cose composte di medicinali. Debbono avere semplici, che non sono composti e si tengono e si contrattano come sono (...)”. In effetti, gli speziali di medicina hanno conoscenze più specialistiche in campo medico e farmaceutico mentre gli speziali manuali, più propriamente droghieri, sono semplici mercanti e produttori di droghe, unguenti e profumi che, tuttavia, avendo sviluppato un’incontestabile esperienza di manipolatori di droghe, aromi ed unguenti, sovente sono coinvolti dai medici per la preparazione delle loro ricette per cui nel tempo si attribuiscono ulteriori competenze, estendendo la loro attività fino all’elaborazione vera e propria di composti medicamentosi, prerogativa esclusiva degli speziali di medicina. Non di rado, quindi, le due categorie di speziali, soprattutto nel napoletano, si confrontano fino alla definizione in termini legali dei reciproci diritti(42) . _______________ (39) Russo A., Un ignorato “Liber examinationi Aromatanorum” del sec. XV, in Atti 1° Congresso UMSHP (Torino, 1967); Torino, Unigraf, 1967. Biblioteca Naz.le Napoli, Sez. Napoletana, Miscellanea B, IX, 4/27. (40) Russo A., L’Arte degli Speziali in Napoli, Napoli, Buona Stampa, 1966. Arch. Naz. Na, Sez. Napoletana, Misc. B, IX, 4/11. (41) Sinno A., Diplomi di laurea dell'Almo Collegio Salernitano in “Archivio Storico della Provincia di Salerno” a. I, fasc. 11-111 (apr/set 1921). Archivio Nazionale di Napoli, Sala Mod., n. 610.9. STO. 12. (42) Chichierchia Luca - Papa Simona, Storia della farmacia a Napoli. Dalla Spetieria conventuale alle botteghe dell’Ottocento, Electa Napoli, 1998.
  • 9. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 11
  • 10. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli12 Tra il 1499 ed il 1526, connessa alla prevalente “incurabilità” della sifilide (non ancora battezzata con tale nome), sorgono in Italia nosocomi specializzati per luetici che, paradossalmente, sono denominati Ospedali degli Incurabili(43) . Nel 1548 vede la luce una delle prime edizioni complete del Flos Medicinae, meglio conosciuto come Regimen Sanitatis Salernitanum, il frutto collettivo più noto della Scuola Salernitana (ristampato in epoche successive almeno in almeno 300 trecento edizioni sempre con nuove aggiunte e tradotto in quasi tutte le lingue europee, in alcune lingue asiatiche e perfino in certi dialetti). Questi versi (in origine 362), raccolti e commentati nel XIII secolo dal maestro della scuola medica di Montpellier, Arnaldo da Villanova, allievo della scuola salernitana, diventano nel corso dei secoli addirittura 3520. La diffusione e la risonanza che il poema, scritto in versi leonini(44) , ha in quest’epoca si devono certamente alla sua chiarezza didattica piana, semplice, popolare e adatta alla comprensione di chiunque. Non si nota ombra né appesantimento di principi filosofici, ma tutto si ispira alla virtù dei “semplici” e ai precetti di una rigida igiene fisica e morale. È un poema del quale non si conosce la data precisa di compilazione, né l’autore o gli autori e si presume che i primi versi siano stati scritti intorno al X secolo. Vari sono i manoscritti che in maggioranza lo dedicano al Re d’Inghilterra “Anglorum Regi” poche volte a un “Francorum Regi”; nel primo caso non si è certi se si tratti di Edoardo III di Inghilterra, che regna con esemplare virtù dal 1042 al 1060, o invece di Roberto II, Duca di Normandia, figlio di Guglielmo il Conquistatore(45) . Esso è una raccolta di precetti e massime che insegnano a conservare la salute adottando una opportuna regola alimentare e comportamentale, senza bisogno di ricorrere a sortilegi ed amuleti, come è condensato già nei primi versi che suggeriscono un tipo di vita rigorosamente igienica e serena così recitando: “Al re d’Inghilterra la Scuola di Salerno unanime scrive: se vuoi star bene, se vuoi vivere sano, scaccia i gravi pensieri, l’adirarti ritieni dannoso. Bevi poco, mangia sobriamente; non ti sia inutile l’alzarti dopo il pranzo; fuggi il sonno del meriggio; non trattenere l’urina, né comprimere a lungo il ventre; se questi precetti fedelmente osserverai, tu lungo tempo vivrai. Se ti mancano i medici, siano per te medici queste tre cose: l’animo lieto, la quiete e la moderata dieta”. L’opera, a carattere enciclopedico, descrive gli elementi della natura, gli alimenti, gli stati d’animo e le stagioni allo scopo di salvaguardare la salute mantenendo un perfetto equilibrio tra uomo e natura. Il Regimen offre i rimedi giusti per ogni sofferenza, dettandoci le buone norme per vivere sani, demolisce quel fanatico misticismo medioevale che impone la privazione della carne, la mortificazione dello spirito, l’astinenza dal piacere e, soprattutto, la paura di avere in sacro orrore tutto ciò che può rendere più dolce e dilettevole la vita, per cui fa capire chiaramente a chi lo consulta di valersi, con giusta moderazione, de beni terreni che la natura ha elargito. _______________ (43) Genova (1499), Bologna e Savona (1513), Roma (1512-15), Napoli (1517-19), Vicenza (1518-19), Verona (1519), Brescia (1520), Firenze (1522), Padova (1526). (44) Versi latini rimati in mezzo e alla fine; si crede traggano il nome da un poeta francese di nome Leonio vissuto nel XII secolo. (45) F. Grondona - Salerno Civitas Hippocratica, 1967, anno I, nn.1-2, pp. 38-42
  • 11. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 13
  • 12. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli14 Poche opere, tranne quelle religiose, influenzano per molti secoli la vita dei popoli europei quanto il Regimen. Nel 1563 è nominato Protomedico in Sicilia Giovanni Filippo Ingrassia, promotore delle Constitutiones che fa stampare nel 1564 a Palermo (apud Ioannem Mattheum Maydam) con lo scopo di eliminare gli abusi, regolare l’attività di medici e speziali, adottare provvedimenti nei confronti di ciarlatani e speculatori, delineare compiti e diritti del Protomedico. In particolare, le Constitutiones di Ingrassia dispongono la visita delle spezierie da parte del Pprotomedico con un revisore (un aromatario esperto in semplici e composti) due volte l’anno, preferibilmente in primavera e autunno, stagioni riservate tradizionalmente alla preparazione delle composizioni generando malcontento tra non pochi speziali che “adversus protomedicos murmurando blaterare ac blasphemare non desistunt” ritenendo più giusta una cadenza triennale delle ispezioni; ribadiscono il divieto di società e rapporti che implicano scambio di denaro tra medici e speziali aumentandone la multa per i medici trasgressori e, ad arbitrio del Pprotomedico, il carcere; consentono ai medici solo “in casu igitur necessitate tantum, et absente medico nonnumquam speciarius et magis absente speciario medicus succurrere potest” la vendita di medicine e puniscono gli abusi con multe e, ad arbitrio del Protomedico, con il carcere; stabiliscono che per ottenere la licenza di aprire bottega e curare con rimedi l’aromatario debba superare un esame ed effettuare un praticantato di almeno cinque anni presso maestri approvati; ordinano che lo speziale abbia la bottega dello speziale sia fornita di “omni ingenio et industria”, abbia gli strumenti “ad artem necessaria” e li conservi “munda et polita, sub pena carceris arbitrio nostro”; estendono l’obbligo di riportare sul coperchio di vasi e contenitori la data di preparazione di tutti i medicamenti “idem speciarius scribat diem, quo talia simplicia collegit, vel emit” e, onde evitare la perdita o il deperimento dei coperchi, dispongono di annotare giorno, mese, anno e indizione dei preparati in apposito registro da conservare in spezieria nonchè di incollare anche sul lato dei vasi un foglietto con la data di preparazione e ammoniscono lo speziale dal commettere frode trasferendo da un vaso all’altro coperchio e schede o vendere come recenti “antiquas compositiones”; ordinano che i medicamenti velenosi, tra cui siano conservati separatamente dagli altri o addirittura nascosti per evitare confusioni per lo speziale ed i suoi sottoposti; evidenziano, infine, che il Protomedico girando per il Regno ha constatato il diffuso malcostume tra gli speziali di vendere “ad oculum vel famulorum discretionem” i semplici e i composti e, addirittura, oppiacei e medicine costose. Un altro profilo dettagliato dell’antico speziale partenopeo, poi, ci è tramandato dal periodo spagnolo con una Prammatica del 1577, contenente istruzioni per l’attività del Protomedico(46) , in cui sono con precisione riportati i “requisiti per l’idoneità o privilegio all’esercizio pubblico di speziale”: nato da legittimo matrimonio, battezzato, non essere inquisito da autorità giudiziaria, godere di buona fama; conoscere la grammatica e avere un attestato rilasciato da un maestro di pubblica scuola; aver fatto pratica per almeno sei anni presso uno speziale approvato. _______________ (46) Giustiniani L., Nuolla raccolta tjelle Prammatiche del Regno di Napoli. Napoli, Simoniana, 1803-1806. T. 111 e XII.
  • 13. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 15
  • 14. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli16 Le prove di esame, davanti alla Commissione presieduta dal Protomedico con la presenza di otto rappresentanti del Ceto degli Speziali, consistono: nella selezione di medicamenti buoni illustrandone le qualità; nell’attenersi ai Canoni di Mesuè nel preparare i medicamenti; nel conoscere leggi e consuetudini per il buon andamento della pubblica attività. Nel 1581 un bando sottolinea la necessità di impedire che i praticanti non patentati esercitino la medicina o dispensino medicamenti. Con questo bando il Protomedicato non cerca di eliminare tali soggetto, cosa del resto realisticamente impossibile, bensì di assicurarsi che si presentino per la necessaria qualifica. Il Santorelli, a tal proposito, riferisce che nel passato (cioè negli anni antecedenti al 1652) coloro che praticano tali attività senza sottoporsi all’esame e senza farsi patentare dal Protomedico vengono privati di tutti i loro beni mobili. Ma, ai tempi di Santorelli, è necessario che il paziente presenti una querela contro il ciarlatano senza patente mentre di solito, accade invece che il paziente si accontenti di riavere dal ciarlatano i soldi spesi per ottenere il medicamento. Con la Prammatica del 1581 e successivamente con quella del 1679 le autorità stabiliscono in modo chiaro i limiti delle categorie degli speziali di medicina e degli speziali manuali e ne sono stabilite le competenze in relazione alla formazione: agli speziali di medicina, quali artigiani specializzati, è riconosciuta dignità e professionalità derivanti dalla specifica attività ed è richiesto loro l’obbligo di frequentare un corso di studi al termine del quale, e dopo un’opportuna verifica, sono dichiarati idonei all’esercizio(47) . Nel 1607 la Congregazione degli Speziali di Medicina partenopea ottiene dall’abate Ugolino per conto dei Benedettini la concessione all’istituzione di un Monte nella zona dei Banchi Nuovi che “si ha da erigersi in subsidio delle figliole femine, et altri bisogni dell’arte” nella Chiesa di SS. Demetrio e Bonifacio la cui attività, di tipo assistenziale e come vero e proprio centro sociale, è regolata da apposite Capitolazioni di cui sono di particolare interesse quelle riguardanti la dotazione delle figlie degli speziali ed altre innovazioni nell’assistenza agli iscritti(48) . Pochi anni dopo, precisamente nel 1614, è pubblicato il Petitorio, prima farmacopea del Regno. Nel 1629 gli Alemanni portano la peste in Valtellina e poi nel Milanese e Mantovano ma per il freddo il morbo non si diffonde subito bensì divampa l’anno seguente invadendo e spopolando buona parte dell’Italia . Nel corso del 1630 il flagello nero della peste, che si abbatte in particolare sull’Italia Settentrionale massimizzandosi a Milano, non risparmia Napoli ma si diffonde soprattutto a Benevento. Le parole peste e contagio incutono terrore perché collegabili immediatamente alla morte anche in giovane età: la peste va in giro per le città a bocca aperta come una faina. Da tempi immemorabili la peste è considerata un flagello divino ragion per cui essa viene esorcizzata facendo ricorso alla mediazione dei Santi, come San Rocco, o della Madonna. _______________ (47) Chichierchia Luca - Papa Simona, Storia della farmacia a Napoli. Dalla Spetieria conventuale alle botteghe dell’Ottocento, Electa Napoli, 1998. (48) A. Russo, I Capitolari degli Speziali di Medicina per il Pio Monte di SS. Demetrio e Bonifacio nel 1607, La Farmacia Nuova, n. 3, Napoli 1981.
  • 15. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli 17
  • 16. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli18 L’epidemia rapidamente si diffonde per contagio anche a causa delle numerose funzioni propiziatorie in luoghi di culto o pubblici affollati di gente. In tempi di contagio scattano misure restrittive finalizzate a proteggere le comunità ancora indenni. Una delle misure più impegnative messe in atto da tutti gli Stati per proteggersi dalle pestilenze è la messa al bando di una città dove si sospetta l’esistenza di un focolaio di contagio. La messa al bando è strettamente correlata ad un’altra misura di protezione: l’istituzione di cordoni sanitari in terra o in mare per evitare il contagio. La messa al bando va considerata come il mezzo più frequentemente usato per cercare di realizzare una prevenzione delle malattie epidemiche. Essa comporta l’interruzione di ogni rapporto commerciale e di comunicazione con la località o il paese considerato potenziale fonte di contagio. I paesi dell’Impero Ottomano e dell’Africa vengono spesso banditi perché ritenuti pericolosi. Per diffondere il messaggio del rischio e della necessità di interrompere viaggi verso località o paesi, le autorità civili o sanitarie usano persone chiamate “banditori” che hanno il compito di diffondere questo messaggio tra la popolazione sparsa sul territorio e per lo più analfabeta. L’ordine trasmesso attraverso il banditore viene chiamato Bando, Editto, Ordinanza o Decreto. Gli arrivi di persone, merci ed animali sono visti con occhio spaventato e tutti cercano di proteggersi da questi possibili veicoli di infezione. Una delle misure di prevenzione più antiche, la più diffusa e meglio documentata, è l’istituzione della Fede di Sanità, attestato di cui si deve munire chi inizia un viaggio di terra e che “fa fede”, certifica lo stato di salute di cui gode il paese di partenza del viaggiatore e di conseguenza, presumibilmente, del viaggiatore stesso. La Fede di Sanità, vero e proprio Passaporto Sanitario, è considerata un documento particolarmente importante che le autorità, nel timore di frodi, seguono attentamente dal momento della stampa fino a quello della consegna a chi lo deve compilare. Mentre l’analogo documento che accompagna una imbarcazione, la Patente di Sanità, è necessariamente rilasciata dall’autorità di un porto (da una Deputazione Sanitaria investita di grandi poteri), la Fede di Sanità è rilasciata anche in piccoli agglomerati urbani. Mentre le Patenti di Sanità sono il più delle volte belle stampe munite dei noti bolli di sanità, le Fedi sono il più delle volte piccoli e semplici foglietti manoscritti compilati da un impiegato del Comune. Le Fedi devono riportare le caratteristiche somatiche della persona cui sono rilasciate insieme ad ogni altro elemento utile per una sicura identificazione. Le Patenti di Sanità vengono accuratamente controllate da funzionari o medici deputati al controllo sanitario. Se le imbarcazioni provengono da porti considerati sospetti, se durante la navigazione la barca è stata attaccata da corsari, l’equipaggio, i passeggeri ed il carico vengono messi in quarantena. Gli ospedali dove un tempo si curano i lebbrosi vengono indicati con il termine di lazzaretti. Essi indicano quei luoghi recintati presso i porti marittimi dove le navi, i naviganti e le loro merci vengono sottoposti a periodi di quarantena in tempi sospetti di pestilenza. Oltre alla quarantena nei lazzaretti, nei periodi di epidemie le persone possono essere sottoposte a sequestro domiciliare, specie se la famiglia che abita in quel luogo ha avuto un decesso dovuto alla malattia epidemica che infierisce in questo momento. La posta (lettere, manoscritti, dispacci, giornali), già considerata per secoli un pericoloso veicolo di contagio ritenendo la carta di per sé suscettibile di ricevere, conservare e trasmettere il contagio, è sottoposta a capillare e rigorosissima disinfezione quale misura tesa a
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  • 18. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli20 prevenire la diffusione del contagio. Le lettere possono essere disinfettate esternamente o anche esternamente ed internamente. Lungo le strade consolari o, comunque, lungo i percorsi dei flussi postali si trovano le stazioni di disinfezione dove un certo numero di addetti forniti di guanti e grembiuli di tela cerata prendono con lunghe pinze le lettere, le pongono su un tavolo, le aprono, le disinfettano per poi raccogliere e bruciare ogni frammento di carta rimasto. Le modalità di disinfezione sono state diverse a seconda delle zone e delle epoche. Per secoli le virtù purificatrici attribuite al fuoco hanno tranquillizzato gli incaricati della disinfezione delle lettere. Si usano legni odorosi, sostanze aromatiche oppure sterpaglie. Purtroppo la carta si brucia facilmente per cui è necessaria una grande attenzione nei passaggi delle lettere sulla fiamma. Si spacca nel senso della lunghezza l’estremità di una canna e nello spacco si infila il foglio da passare sulla fiamma. L’immersione nell’aceto è anch’essa ritenuta un sistema molto sicuro di disinfezione. Le lettere sono aperte, spruzzate con l’aceto, quindi asciugate. Anche questo sistema ha degli inconvenienti poiché non tutti gli inchiostri resistono all’aceto ed alcuni manoscritti diventano illeggibili: danno irreparabile quando si tratta di lettere commerciali o di documenti bancari. Nel tentativo di evitare una parte almeno dei suddetti inconvenienti, gli operatori cercano di abbreviare al massimo il tempo dell’immersione. Inoltre, sono largamente impiegati i buccheri(49) che sprigionano le loro benefiche fragranze. È diffusa, infatti, la credenza nelle proprietà terapeutico-afrodisiache dei profumi per cui è invalsa l’abitudine di sprigionare essenze nei luoghi di riunione e di abitazione sostenendo le virtù salvifiche e perfettive non solo delle medicine profumate ma, addirittura, anche dei cibi profumati. Su questa scia imperversa fra i ricchi la moda della cioccolata al gelsomino, dei sorbetti carichi di ambra e muschio, delle “acque concie”. La fede nelle proprietà terapeutiche dei profumi, unitamente alla passione per i cosmetici “ambrati e muschiati” continuerà in tutta Europa fino almeno alla metà del Settecento. Del resto il “diletto dell’olfatto”, oltre che aspetto della filosofia del sensismo, costituisce una risposta dei ceti abbienti ai miasmi della città e alla scarsa igiene personale. Non va sottaciuto, del resto, che nei secoli XVI-XVIII, ritenendosi la peste e la sifilide originate dagli odori, è assai diffusa la paura dell’acqua basata sulla teoria “scientifica” del corpo poroso: si sostiene che la malattia passi attraverso i pori e, pertanto, occorre conservare il corpo impermeabile e prendere il bagno completo con mille precauzioni e solo in casi rarissimi, addirittura su prescrizione medica(50) . Ai malati, inoltre, vengono somministrati per bocca elettuari a base di rabarbaro, erba cassia, coralli rossi, perle macinate, cannella e fiori di camomilla mentre per prevenzione vari testi consigliavano medicamenti a base di antimonio con zucchero rosato in vino o acqua. In molti erbari, inoltre, per la prevenzione del morbo si consiglia di lavare i pavimenti con aceto e di strofinarli con aglio ed acqua rosata. _______________ (49) Bucchero: terra rossastra odorosa, proveniente da paesi esotici e anche dalle Americhe, molto di moda nel XVII secolo usata per fare pastiglie e profumate. (50) Questa concezione scomparirà solo nell’Ottocento con la scoperta dei microbi.
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  • 20. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli22 In questo grande teatro tragico della peste, inoltre, la farraginosa ed evanescente medicina offre anche un altro miserando spettacolo: giunge a far confezionare polveri antipestose composte addirittura con più di 150 semplici per la maggior parte teriacali e cordiali. I medici, infine, girano vestiti in modo un po’ particolare: con grembiuli fino ai piedi e con una specie di becco d’uccello sul naso contenente una spugna con gli immancabili profumi. Nonostante questi ed altri interventi la devastazione del morbo non è arginata e si abbatte, ovviamente, sui medici (il timore di non avere più medici è molto sentito tanto che, in considerazione del rischio di esser contagiato e morire, si invita talvolta i medici a vivere in abitazioni di campagna) ed anche sugli apotecari decimandoli e vuotando di ogni merce le loro “botteghe”. In breve tempo si deve constatare l’impossibilità di rifornimenti di medicamenti nonché la scomparsa di molti speziali aggrediti dal male cui sono particolarmente esposti. Alla fine di questo terribile anno gli speziali sono in molti luoghi quasi estinti, taluni sono sull’orlo del fallimento avendo rifornito a credito i lazzaretti (e riscuotendo, poi, molti anni dopo, in qualche caso non isolato anche dopo oltre un decennio). Nel contempo il 16 dicembre 1631 il Vesuvio torna in forte attività dopo 5 secoli devastando buona parte dell’area vesuviana con una colonna eruttiva di cenere e lapilli di circa 13-20 chilometri preceduta da deformazioni geologiche e fenomeni tellurici e seguita da una fase esplosiva. Nel 1638 l’Ateneo messinese decreta la fondazione dell’Hortus Messanensis affidandone la realizzazione a Pietro Castelli(51) , discepolo del luminare Cesalpino, cui succede il fondatore dell’istologia e dell’anatomia vegetale Marcello Malpighi che effettua a Messina gran parte dei suoi studi contenuti nell’Anatomes Plantarum Idea e nell’Anatome Plantarum. Nel Regno di Napoli in quest’epoca i Protomedici sono responsabili dell’ispezione e della concessione delle patenti di abilitazione ai praticanti. A giudicare dallo spazio dedicato all’argomento sia negli statuti sia nei registri, la visita agli speziali è il compito più importante del Protomedico. La visita deve cogliere lo speziale di sorpresa. Per citare il protomedico Antonio Santorelli (1652), “doveva essere come la morte: lo speziale sa che deve venire, ma non sa il giorno o l’ora(52) ”. Questo per impedire che si sbarazzasse dei medicinali difettosi o inferiori o si faccia prestare medicinali buoni da un altro speziale prima della visita (reati che si verificano ugualmente, nonostante la minaccia di una multa di ben centocinquanta ducati). La descrizione che ci fornisce il Santorelli nel 1652 mostra che il procedimento della visita è reso più severo rispetto al 1577 in cui agli speziali è concesso un preavviso di ventiquattro ore. _______________ (51) Autore di un’originale classificazione delle piante, basata su quattordici classi riunite in quattro hortuli, anticipatrice della disposizione sistematico-filogenetica utilizzabile oggigiorno. (52) A. Santorelli, Il protomedico napolitano, ovvero dell’autorità di esso. Dialogo raccolto da un discepolo ... e data in luce dal signor Fabio Cava, Napoli, 1652, p. 33.
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  • 22. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli24 Nel 1656 una epidemia di peste colpisce l’Italia centro-meridionale con punte massime a Roma e a Napoli. La popolazione è letteralmente falcidiata: nella sola città di Napoli i morti sono oltre duecentomila, poco meno della metà degli abitanti. A metà Seicento, poi, su impulso dei filosofi e scienziati Thomas Hobbes (1558-1679) e René Descartes (1596-1650), i maggiori artefici della visione meccanicistica del mondo e dell’uomo come una macchina costituita da materia in movimento, del matematico Giovanni Alfonso Borrelli (1608-1679), autore della visione del corpo umano come macromacchina osteo-artro-muscolare della locomozione, e del medico inglese William Harvey (1578-1657), autore della visione del corpo umano come macchina propellente il sangue, nella cui concezione Cartesio ed Hobbes(53) stessi riconoscono un contributo decisivo per l’esordiente meccanicismo scientifico esteso in ambito anatomo-fisiologico, nasce la medicina meccanica o iatromedicina. La iatromedicina ha una matrice concettuale in comune con la iatrochimica: benchè appaiano in contrasto le interpretazioni, ad esempio, della digestione meccanica come triturazione con quella chimica della cozione, della concezione iatromeccanica del corpo macchina con quella iatrochimica del corpo provetta, in effetti la componente filosofica, velatamente o apertamente materialistica, le accomuna entrambe. In Italia la iatrochimica fiorisce proprio a Napoli, dove è molto influente il pensiero meccanicista cartesiano in seno ad una controcultura che ama colorarsi di francesismo in funzione antispagnola, per opera di Tommaso Cornelio e di Leonardo di Capua (1617- 1695), autore di un Discorso per la difesa dell’arte chimica in cui questa disciplina è ritenuta indispensabile “per la philosophia e per la medicina”: la carica eversiva di tale opera è riconoscibile nella spiegazione iatrochimica in chiave cartesiana dell’effervescenza non solo della fermentazione della materia ma addirittura dell’energia dello spirito. Nel 1661 è pubblicato da Robert Boyle il famoso libro The Sceptical Chymist in cui è guidato da ciò che egli definisce filosofia corpuscolare che utilizza i concetti di materia e di moto per spiegare meccanicisticamente qualsiasi reazione o proprietà fisica e per eliminare ogni teoria occulta. Grazie a questa filosofia corpuscolare la spagirica dei medici paracelsiani si evolve in iatrochimica e tra gli artefici di tale evoluzione ancora una volta figurano i napoletani con i membri dell’Accademia degli Investiganti di Napoli, tra i più importanti centri italiani di diffusione della nuova filosofia di Cartesio e di Gassendi, che trova perfettamente coerente l’adozione della fisica di Galileo e la medicina di Paracelso e van Helmont per un denominatore comune alla iatromeccanica ed alla iatrochimica nella teoria corpuscolare della materia nata dalla rivoluzione scientifica. _______________ (53) Hobbes nell’introduzione al Leviatano dice che “la vita non è altro che un movimento di membra” chiedendosi “cosa è il cuore se non una molla e cosa sono i nervi se non fili e cosa sono le giunture se non ruote per il movimento al corpo?”. (Fonte: Cosmacini Giorgio, L’arte lunga-Storia della medicina dall’antichità a oggi, Cap. V, L’età moderna, GLF Editori Laterza, Economica Laterza 212, Roma-Bari, 1997, Cap. V, pag. 270).
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  • 24. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli26 Nel 1663 a Venezia il medico Tommaso Cornelio premette ai suoi Progymnasmata physica un violentemente polemico dialogus contro i medici tradizionalisti imputando loro “imprudenza propria di coloro che, mentre vogliono apparire grandi nell’arte di medicare, trascurato l’aggiornamento e lo studio, cercano con l’inganno e con l’astuzia la gloria e la pubblica fama; e quanto più mancano di nozioni e di buone arti, tanto più cercano di supplirvi con bei modi e affettazioni di gran senno”. Tale attacco provoca il contrattacco dei galenisti napoletani capeggiati dal Protomedico Carlo Pignataro che, preoccupati di perdere il monopolio della professione, chiedono che l’insegnamento della Chimica, impartito privatamente in quanto non contemplato dall’ordinamento degli studi, sia rigorosamente vietato. Contro tale richiesta è pubblicato anonimamente, ma attribuito a Di Capua, un Discorso per la difesa dell’arte chimica e de’ professori di essa in cui la nuova scienza è definita indispensabile per la Filosofia e la Medicina in quanto rivela “l’ultima costituzione e natura delle parti”. I galenisti replicano con un controdiscorso in cui si dimostra che “i medicamenti spagirici sieno per lo più mal sicuri e pericolosi, e da non permettersi senza l’approbazione de’ medici galenisti. E che la lettura della chimica, benché privatamente, come non utile, debba restare proibita”. L’ostracismo alla Chimica, inoltre, ha ragioni profonde: i rivali iatrochimici sono accusati non solo di antigalenismo ma anche di antiaristotelismo, di irreligione. Ciò che è grave, infine, è che accuse ed invettive durissime sono rivolte da medici ad altri medici; soprattutto in Europa, poi, ma anche in Italia, non pochi fisiologi e medici hanno fama di miscredenti e nella Napoli spagnolesca ed inquisitoria tardoseicentesca i fisiologi iatrochimici ed i medici spagirici sono costretti a passare da una strategia di attacco sul piano scientifico ad una di difesa in ambito teologico-religioso. Un caso emblematico di ripercussioni pratiche di tale contrapposizione anche in campo terapeutico e, quindi, nell’impiego di medicamenti è l’avvelenamento da antimonio trattato da Di Capua nella sua opera “Parere sull’incertezza della medicina” pubblicata nella seconda metà del XVII secolo: tale medicamento spagirico è considerato dagli iatrochimici come “farmaco universale” e come “piombo sacro dei saggi” mentre è bandito dalle prescrizioni di Redi e dei medici galenisti perché “emetico irrispettoso delle vie di evacuazione predisposte dalla natura” e tra i prodotti “più mal sicuri”; conseguentemente i medici “irregolari” lo prescrivono in forma di sale come tartrato stibiato mentre i medici “regolari”, denunciando ogni abuso del farmaco, lo definiscono tartaro stigiato: veicolo di sicuro trapasso all’oltretomba, verso la palude Stigia(54) . Tra il Seicento e il Settecento vi è nel centro-sud d’Italia un ricorso popolare per la cura della peste talmente sconsiderato per l’abuso di stibium da determinare l’intervento restrittivo dell’uso dell’antimonio da parte delle autorità con comminazione di pene pecuniarie. _______________ (54) Fonte: Cosmacini Giorgio, Storia della medicina e della Sanità in Italia- Dalla peste nera ai giorni nostri, Laterza, Roma-Bari 2005, pagg. 192-193.
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  • 26. Raimondo Villano – Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli28 Il 17 settembre 1706 nel Regno delle Due Sicilie è promulgato il Decreto del Regio Collaterale contenente una delle norme più importanti in merito alla distanza da osservare tra una spezieria esistente ed una di nuova istituzione; in esso, in particolare, è precisato “che alcuno non possa fondare una nuova spetieria in qualunque sito di questa capitale, senza averne chiesto preventivamente il permesso all’Uffizio del Regio Protomedicato del Regno, il quale allora accorda siffatto permesso, quando risulta da misura legale, di cui s’incarica il Collegio degli Speziali, che il luogo, ove si vuole situare la nuova spezieria, è distante per settanta passi dalle spezierie contigue”. Tale legge è rimasta in vigore per molti anni, venendo confermata e ridiscussa nell’ambito di decisioni giudiziarie e disposizioni sovrane e ministeriali, il più delle volte centrate sulla risoluzione di controversie determinate dalla norma stessa, la quale, molto precisa sulla definizione di un valore numerico per la distanza, lo è un po’ meno sulle modalità di determinazione della stessa. Cosicché non mancano questioni riguardanti l’individuazione dei riferimenti a partire dai quali va misurata la suddetta distanza. Rispetto a tali questioni la giurisprudenza si orienta indicando nell’ingresso principale il caposaldo della misurazione ed escludendo, quindi, dal vincolo proibitivo la distanza da porticciole di servizio; inoltre, per le spezierie collocate all’interno dei monasteri, è ragionevolmente stabilito che il vincolo sulla distanza va inteso a partire dal sito destinato allo smercio dei medicinali e non dalla porta di ingresso del monastero stesso per cui spesso il riferimento è la finestra mascherata da grata utilizzata per gli scambi con l’esterno, che poi diventa proprio un elemento prescritto per legge come vincolo sulle spezierie conventuali. Ed a tale vincolo si appellano di frequente gli speziali privati nell’ambito delle loro controversie con gli Ordini religiosi, ritenendosi che seppure “(...) venisse la tolleranza la distanza di 70 passi voluta dalla Prammatica del 17 settembre 1706, (...). in buon diritto, ed a riguardo delle farmacie erette nell' ambito delle case religiose claustrali, la legge esige, che tali farmacie abbiano finestre esterne con cancelli di ferro attaccati all'orifizio esteriore e la idea corrispondente alla parola finestra è tassativa, né si potrebbe estendendosi ad altra apertura, e tanto meno ad una porta”. È, infine, riconosciuto che l’istituzione di una nuova farmacia in nessun modo deve essere condizionata, in termini di distanza, dalla vicinanza di una preesistente farmacia sorta abusivamente.