Al caffè degli esistenzialisti - Al Complexity Literacy Meeting il libro pres...Complexity Institute
Siamo a cavallo tra il 1932 e il 1933. Al Bec-de-Graz, un caffè di Parigi la cui specialità sono i cocktail all’albicocca, si incontrano tre giovani amici: Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e il loro compagno di scuola Raymond Aron. È lui a introdurre Sartre e la de Beauvoir alla fenomenologia, una nuova corrente di pensiero così radicale che, dice indicando i bicchieri, «Se sei un fenomenologo puoi parlare di questo cocktail ed è filosofia!».
Questa stringata argomentazione dà a Sartre l’ispirazione di cui era in cerca da anni, e gli offre lo spunto per creare la propria filosofia basata sull’esperienza della vita reale, sull’amore e il desiderio, sulla libertà e l’essere, sui caffè e i camerieri, sull’amicizia e il fervore rivoluzionario. Sono idee che ammalieranno Parigi, avranno rapida diffusione in tutto il mondo e lasceranno un marchio indelebile sulla cultura giovanile degli anni Sessanta, dai movimenti per i diritti civili a quelli studenteschi fino alle rivendicazioni del femminismo.
L’immigrazione e i media: dalla costruzione del nemico all’immaginario interc...Marco Binotto
Pubblicato nel volume curato da Francesca Colella, Valentina Grassi "Comunicazione interculturale. Immagine e comunicazione in una società multiculturale" (p. 74-95, Franco Angeli, Milano 2007).
Al caffè degli esistenzialisti - Al Complexity Literacy Meeting il libro pres...Complexity Institute
Siamo a cavallo tra il 1932 e il 1933. Al Bec-de-Graz, un caffè di Parigi la cui specialità sono i cocktail all’albicocca, si incontrano tre giovani amici: Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e il loro compagno di scuola Raymond Aron. È lui a introdurre Sartre e la de Beauvoir alla fenomenologia, una nuova corrente di pensiero così radicale che, dice indicando i bicchieri, «Se sei un fenomenologo puoi parlare di questo cocktail ed è filosofia!».
Questa stringata argomentazione dà a Sartre l’ispirazione di cui era in cerca da anni, e gli offre lo spunto per creare la propria filosofia basata sull’esperienza della vita reale, sull’amore e il desiderio, sulla libertà e l’essere, sui caffè e i camerieri, sull’amicizia e il fervore rivoluzionario. Sono idee che ammalieranno Parigi, avranno rapida diffusione in tutto il mondo e lasceranno un marchio indelebile sulla cultura giovanile degli anni Sessanta, dai movimenti per i diritti civili a quelli studenteschi fino alle rivendicazioni del femminismo.
L’immigrazione e i media: dalla costruzione del nemico all’immaginario interc...Marco Binotto
Pubblicato nel volume curato da Francesca Colella, Valentina Grassi "Comunicazione interculturale. Immagine e comunicazione in una società multiculturale" (p. 74-95, Franco Angeli, Milano 2007).
6. “tutti i muri erano ricoperti
di manifesti rivoluzionari…non c’era
palazzo
o chiesa su cui non fossero affissi
manifesti di questo genere.
Mai prima di allora s’era vista una tale
quantità
di manifesti in una sola città”
Walter Benjamin
19. Thick description
“La cultura consiste
in strutture di significato socialmente stabilite,
nei cui termini le persone fanno cose
come lanciarsi dei segnali d’intesa (…)
non significa affermare che essa sia un fenomeno psicologico,
una caratteristica della mente di qualcuno,
o della sua personalità”.
Clifford Geertz
20. Cogliere il punto di vista nativo
• L’osservazione partecipante
• L’antropologo non può diventare indigeno, ma può
dialogare, capire il significato.
• L’etnografia non va in cerca di leggi, ma di significati
• I testi etnografici sono interpretazioni di
interpretazioni.
• L’etnografia non deve ambire a proporre modelli
universali, deve mirare a spaesare il lettore, a
incrinare l’ottundente senso di familiarità.
• No al modella del microcosmo (Jonesville NON è gli
USA); si ad un approccio micrologico
Courtesy of Anamaria Forero Angel
21. - L’etnografia, l’analisi
culturale,
è sempre incompleta
- L’etnografia è fiction
- L’etnografia non si fa sui
villaggi
ma dentro i villaggi
Courtesy of Anamaria Forero Angel
23. “la macchina fotografica
è l’arma ideale di una
consapevolezza di tipo
acquisitivo. Fotografare
significa infatti
appropriarsi della cosa
che si fotografa. Significa
stabilire con il mondo una
relazione particolare che
dà una sensazione di
conoscenza e quindi di
potere”
(Sontag, 2004:4).
25. Antropologia della metropoli: defamiliarizzare il familiare
“L’alterità non si profila sulla riva del mare
pelle (…)
ma sull’orlo della
Il mondo sociale non si articola in perspicui ‘noi’ da un lato,
con cui possiamo empatizzare per quanto grande
sia la differenza fra noi, ed enigmatici ‘loro’ dall’altro,
con cui non possiamo empatizzare per quanto ci si sforzi
di difendere fino alla fine il loro diritto di essere diversi
da noi”
Clifford Geertz