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News 16/A/2016
Lunedì, 18 Aprile 2016
L’Irlanda punta sulla Geotermia per raggiungere gli obiettivi UE sulle rinnovabili
Entro il 2020 il mix energetico del Paese dovrà raggiungere quota 16% da fonti
rinnovabili, attualmente è all’8,6%
In una ricerca lanciata dal Geological Survey of Ireland durante la conferenza
della Geothermal Association of Ireland –tenutasi all’interno dell’Energy Show 2016–
è stata valutata la potenzialità dell’energia geotermica racchiusa nel sottosuolo del
paese, e la sua possibile utilizzazione per il raggiungimento degli obiettivi in fatto di
rinnovabili delineati per l’Irlanda in sede europea: entro il 2020, infatti, l’isola dovrà
ricavare da fonti rinnovabili il 16% degli usi finali dell’energia (splittato in un 10% per il
totale del settore dei trasporti, il 12% per il calore, e il 10% per l’elettricità).
Nonostante alla meta manchino ormai soltanto 4 anni, ad oggi l’Irlanda ha
completato poco più della metà del proprio percorso, fermandosi all’8,6% dei propri
consumi energetici lordi coperto da rinnovabili. Il raggiungimento dell’obiettivo
potrebbe tuttavia essere dietro l’angolo. O meglio, sotto i piedi degli irlandesi.
«L’Irlanda –ha argomentato Ric Pasquali, presidente della Geothermal Association
of Ireland– ha nella propria disponibilità un’eccellente presenza di geotermia
superficiale che, accoppiata con la tecnologia delle pompe di calore, può essere
utilizzata per il riscaldamento, per il raffreddamento termico e per la produzione di
acqua calda».
Non solo. Come sottolineano anche alcune testate locali, la geotermia presenta
un’efficienza energetica più elevata rispetto a qualsiasi altra rinnovabile, è
disponibile 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana, e non dipende dalle variabili
meteorologiche. Può essere utilizzata per riscaldare o raffrescare le case, per
alimentare reti di teleriscaldamento o generare elettricità. Una possibilità da mettere
a frutto, ma che per potersi concretizzare ha bisogno di una regia chiara. «Nuove
politiche e misure di sensibilizzazione –conclude Pasquali– sono evidentemente
necessarie».
Fonte: greenreport.it
Fotovoltaico, Italia (per ora) prima al mondo per contributo alla domanda di
elettricità
Crollo verticale per le nuove installazioni: oggi siamo dietro a Cina, Germania,
Giappone, Usa
Nonostante le difficoltà attraversate dal settore, l’Italia nel fotovoltaico mantiene
ancora un primato mondiale: la domanda nazionale d’elettricità è soddisfatta per
l’8% dai pannelli fotovoltaici. Nessun Paese al mondo fa meglio: a seguire sono un
altro stato del Mediterraneo, la Grecia (7,4%), seguito dall’assai più nuvolosa ma
produttiva Germania (7,1%).
Questi sono i dati diffusi nell’ultimo rapporto dedicato al settore da parte della Iea,
l’Agenzia internazionale dell’energia. Dati però che raccontano purtroppo soltanto
una faccia della medaglia. Spulciando il dossier prodotto dall’Agenzia, si ha infatti
conferma di come quello messo in piedi con fatica e incentivi dall’Italia sia ormai un
primato assai precario. A dispetto dei propri successi, in Italia il mercato del
fotovoltaico ha subito un tracollo. 300 i nuovi MW installati nel 2015, una frazione
assai piccola dei 9,3 GW sbocciati nel 2011, anno dei record. Un crollo verticale
dove certamente il taglio degli incentivi ha influito molto, anche se secondo la Iea
oggi «il quadro normativo appare adeguato».
Un parere che non trova concorde un’altra istituzione di rilievo internazionale, il
Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (Unep) che solo pochi giorni fa ha
condannato l’incertezza politica e il taglio retroattivo agli incentivi portato avanti
dal governo Renzi.
Altri Paesi si muovono oggi con più coraggio (e risorse) del nostro. La Cina guida per
capacità installata, arrivata a livello cumulativo a quota 43,5 GW, seguita da
Germania (39,7 GW), Giappone (34,4 GW), Usa (25,6 GW) e infine Italia (18,9 GW). Il
nostro è un Paese baciato dal sole: il fotovoltaico contribuisce più qui che in Cina a
soddisfare la domanda di energia elettrica, nonostante il gigante asiatico conti una
potenza installata più che doppia rispetto alla nostra.
È una doppia sconfitta dunque non approfittare di tali, favorevoli condizioni di
partenza. Altri Paesi corrono. Negli Usa, ad esempio, come spiega l’ultima edizione
del “National Solar Jobs Census”
i lavoratori occupati nel settore solare sono cresciuti del 20% per il terzo anno
consecutivo, fino ad arrivare a quota 209mila occupati: più di quanti siano oggi
impiegati nell’estrazione di petrolio e gas (184.500 a fine 2015, -17mila rispetto al
2014), nonostante gli Stati uniti abbiano conosciuto l’exploit del fracking. Anche in
territorio Usa, però, sembra si stia ripetendo un errore già sperimentato in Italia: la
mancata creazione di una filiera industriale degna del mercato di riferimento. Nel
2015 gli addetti alle installazioni sono cresciuti del 65%, mentre quelli nella
manifattura legata al fotovoltaico sono rimasti pressoché stabili.
Fonte: greenreport.it
Autoproduzione da energie rinnovabili, 5 proposte e un manifesto per liberarla.
Nasce l’Alleanza per l’Autoproduzione. 350 sindaci hanno già aderito.
In un convegno internazionale organizzato da Legambiente a Roma si è parlato
delle barriere che frenano l’autoproduzione di energia pulita in Italia, di esperienze
europee, delle proposte e delle opportunità di sviluppo offerte dall’innovazione
nella gestione dell’energia. Dai lavori del convegno è venuta la conferma che
«L’autoproduzione da fonti rinnovabili rappresenta una grande potenzialità per il
nostro Paese per promuovere l’innovazione, creare lavoro, favorire gli investimenti.
Cancellando le barriere all’autoproduzione, che attualmente impediscono al
condominio e al distretto produttivo, alle famiglie e alle imprese di utilizzare energia
autoprodotta da fonti rinnovabili, possiamo ridurre anche i costi della bolletta
energetica. Facile a dirsi e, volendo, anche a farsi, perché oggi in Italia una
raffineria e un impianto solare pagano la stessa tassa sull’autoconsumo; all’interno di
un edificio è vietato distribuire energia elettrica autoprodotta da fonti rinnovabili; è
vietato persino distribuire energia elettrica pulita autoprodotta tra più imprese di uno
stesso distretto industriale». Eppure, l’autoproduzione e la distribuzione locale di
energia da fonti rinnovabili sono oggi al centro dell’interesse in tutto il mondo per le
opportunità che si stanno aprendo con l’innovazione nella gestione energetica,
grazie all’efficienza e alla riduzione dei costi delle tecnologie e delle reti. Secondo il
Cigno Verde, «Anche in Italia questa prospettiva avrebbe grandi potenzialità
perché, in questa forma, le fonti rinnovabili anche senza incentivi diretti, potrebbero
offrire una adeguata risposta alla domanda di elettricità e calore negli edifici e nei
territori, creando valore e nuova occupazione».
Nel suo intervento, il vicepresidente di Legambiente, Edoardo Zanchini, ha detto:
«Lanciamo oggi un’alleanza per l’autoproduzione da fonti rinnovabili per aprire a un
cambiamento del modello energetico che deve avere al centro le energie pulite e
le opportunità per i territori e le comunità. Crediamo sia arrivato il momento di aprire
un confronto pubblico e trasparente su queste sfide, sia a livello italiano che
europeo, per eliminare le barriere che oggi fermano una prospettiva che è
nell’interesse delle famiglie e delle imprese. Un cambiamento radicale del modello
energetico come è quello dell’autoproduzione, distribuito e con molteplici
protagonisti (i prosumer, ossia soggetti al contempo produttori e consumatori di
energia elettrica), può portare enormi vantaggi per un Paese come l’Italia, in termini
di riduzione dei consumi, importazioni di fonti fossili, emissioni inquinanti e
climalteranti».
Ma nel corso del convegno sono stati sottolineati i problemi di un quadro normativo
complicato e contradditorio, addirittura penalizzante dopo la riforma delle tariffe
elettriche, tanto da arrivare a vietare la distribuzione locale di energia da fonti
rinnovabili. Nasce da qui l’idea dell’Alleanza per l’autoproduzione, con l’adesione
da parte di oltre 350 Sindaci al Manifesto “Il futuro dell’energia passa per i territori”
promosso da Legambiente «per spingere questa prospettiva integrandola
profondamente nel territorio, in modo da creare opportunità di innovazione che
aiutino famiglie e imprese. Coinvolgendo associazioni di imprese, dei cittadini e dei
consumatori, insieme agli enti Locali per rendere possibili investimenti come quelli
realizzati nei Comuni delle Alpi dove, con una legge nata per le cooperative legate
alle centrali idroelettriche, è possibile distribuire l’energia pulita localmente. Una
opportunità che ha aperto a innovazioni nella gestione delle reti e nella produzione
da fonti rinnovabili, di grandissimo interesse e con conseguente riduzione dei costi in
bolletta».
Secondo ambientalisti, inprenditori e sindaci, «L’autoproduzione è un tassello
fondamentale di una politica energetica che finalmente faccia ripartire gli
investimenti nelle fonti rinnovabili, dopo il calo degli ultimi anni (300MW installati di
solare fotovoltaico nel 2015 contro 9mila nel 2011). Ma soprattutto, attraverso la
spinta all’innovazione, proprio questa prospettiva può essere la risposta ai problemi
di oscillazioni nella produzione da rinnovabili. Perché aprendo all’autoproduzione
negli edifici, nei distretti produttivi, nello scambio tra aziende, si può creare una
gestione integrata di impianti di produzione e di accumulo, sistemi efficienti in grado
di offrire un efficiente servizio di bilanciamento e dispacciamento rispetto alla rete, e
capace di programmare immissioni e prelievi. La seconda sfida riguarda gli oneri di
sistema che si pagano in bolletta, perché in una prospettiva di questo tipo si
ridurrebbe la platea di chi partecipa alla spesa. Per questo serve trasparenza e un
cambiamento delle regole, in modo da prevedere una partecipazione agli oneri di
sistema legata al tipo di fonte utilizzata (è assurdo che paghino allo stesso modo
l’autoconsumo di una raffineria e quello di un impianto solare) e un controllo
dell’evoluzione di questi oneri, in modo da poter effettuare eventuali interventi
correttivi».
La presidente di Legambiente, Rossella Muroni, ha sottolineato che «Il referendum
del 17 Aprile ha messo in evidenza quanto l’Italia abbia bisogno di una strategia
energetica per uscire dalle fonti fossili. Per questo chiediamo al Governo di eliminare
barriere e tasse nei confronti dell’autoproduzione e aprire a processo di innovazione
che, oltre ad essere nell’interesse generale, è oramai riconosciuto come
competitivo anche dalla Commissione Europea. Oggi disponiamo di tutte le
competenze per rispondere agli allarmi lanciati dall’Autorità per l’energia sulla
sicurezza del sistema, ma anche sulla riduzione delle risorse per gli oneri di sistema.
Sono questioni facilmente risolvibili all’interno di uno scenario davvero nuovo, nel
quale si spostano i consumi verso il vettore elettrico, e dove si può (finalmente)
ripensare la tassazione in funzione delle emissioni e dell’inquinamento prodotti.
Attraverso l’autoproduzione possiamo dare risposta ai problemi storici di dipendenza
energetica dall’estero dell’Italia attraverso un processo davvero innovativo e
conveniente, grazie alla riduzione dei costi degli impianti da fonti rinnovabili, delle
batterie di accumulo, delle tecnologie di gestione. Di sicuro, si dovranno introdurre
regole nuove per accompagnare questa prospettiva e si dovranno nel tempo
verificare i risultati, per accompagnare sviluppo e investimenti. Ma è arrivato il
momento di aprire a una innovazione energetica che guarda al futuro del Pianeta
e che crea opportunità nei territori».
Ecco le proposte di Legambiente:
1) All’interno degli edifici deve essere consentita la distribuzione di energia elettrica
autoprodotta da fonti rinnovabili attraverso reti private.
In questo modo si apre ad innovazioni nella gestione elettrica e del riscaldamento
nei condomini, negli edifici per uffici e commerciali.
2) Tra aziende limitrofe deve essere consentito lo scambio di energia elettrica
prodotta da impianti da fonti rinnovabili o in cogenerazione ad alto rendimento
attraverso reti private.
In modo da aprire ad innovazioni nei distretti industriali e nello scambio di elettricità
da fonti rinnovabili tra aziende limitrofe.
3) Le amministrazioni pubbliche devono poter utilizzare la rete elettrica per lo
scambio di energia prodotta da impianti da fonti rinnovabili tra edifici di proprietà.
Per dare la possibilità ai Comuni di investire nelle fonti rinnovabili e di scambiare
energia tra i diversi edifici pubblici.
4) Le utenze domestiche devono poter beneficiare di vantaggi fiscali e
semplificazioni nell’autoproduzione da fonti rinnovabili.
In questo modo si aiutano le famiglie a installare impianti solari sui tetti direttamente
per i consumi di illuminazione, riscaldamento, raffrescamento.
5) L’autoproduzione di energia elettrica da fonti rinnovabili deve beneficiare di
vantaggi sugli oneri parafiscali in bolletta per i vantaggi ambientali che determina.
In questo modo si rendono vantaggiosi gli investimenti nell’autoproduzione,
distinguendo nella tassazione tra impianti da fonti rinnovabili e invece da fonti fossili.
Fonte: greenreport.it
Prevenzione del Danno Ambientale, ancora difficoltà nell’attuazione della direttiva.
Per conseguire l’obiettivo europeo della prevenzione dei danni ambientali in caso di
minaccia imminente e della riparazione dei danni sono stati fatti dei passi avanti, ma
ancora persistono molte difficoltà. È quanto emerge dalla seconda relazione della
Commissione sull’attuazione della direttiva sulla responsabilità ambientale in materia
di prevenzione e di riparazione del danno ambientale (2004/35/CE).
La relazione illustra l’esperienza acquisita nell’applicazione della direttiva sulla
responsabilità ambientale tra il 2007 e il 2013. La direttiva riguarda i danni ambientali
significativi: in linea con il principio “chi inquina paga”, secondo la direttiva
l’operatore responsabile deve prendere le necessarie misure preventive o riparatrici
e deve sostenere tutti i costi. La direttiva sulla responsabilità ambientale copre i
danni alla biodiversità, (specie e habitat naturali protetti), all’acqua e al terreno e
non i danni tradizionali (danni alla proprietà, pericolo di morte e lesioni personali o
danni materiali.
La Commissione ha valutato l’attuazione e l’efficacia della direttiva nel tempo e ha
concluso che la direttiva ha migliorato la prevenzione e la riparazione del danno
ambientale in misura limitata rispetto alla situazione precedente il suo recepimento.
In particolare, la direttiva ha rafforzato il principio “chi inquina paga” (evitando così
costi significativi a carico delle finanze pubbliche), attuando la responsabilità
oggettiva per danno ambientale in tutta l’Ue e rafforzando gli standard di
riparazione per ripristinare le risorse naturali danneggiate, in particolare per danni
alla biodiversità.
Ma ha anche sottolineato che la direttiva non ha ancora realizzato il suo potenziale.
Complice la variabilità tra gli Stati membri nel recepimento e nell’applicazione della
direttiva.
A prescindere dal fatto che molti Stati hanno recepito la direttiva in ritardo (solo a
partire dalla metà del 2010 la direttiva è stata pienamente recepita da tutti i 27 Stati
membri), l’efficacia della direttiva varia in modo significativo, dato che è stata
attuata in modo molto diverso nei vari Stati membri. In parte ciò è dovuto alla
struttura-quadro della direttiva che prevede una serie di eccezioni, opzioni e
flessibilità. Caratteristiche che agevolano l’eterogeneità delle legislazioni nazionali.
Per quanto riguarda l’attuazione, tra l’aprile 2007 e l’aprile 2013 gli Stati membri
hanno segnalato circa 1 245 casi confermati di danno ambientale. Un numero di
casi che varia considerevolmente tra gli Stati membri. Due Stati rappresentano oltre
l’86% di tutti i casi di danno segnalati (Ungheria: 563 casi, Polonia: 506) e sei hanno
segnalato la maggior parte dei casi residui (Germania (60), Grecia (40), Italia (17) ,
Lettonia, Spagna e Regno Unito). Undici Stati membri non hanno segnalato alcun
caso di danno ambientale in relazione alla direttiva dal 2007 in poi, forse perché
affrontano i casi esclusivamente nell’ambito del sistema nazionale.
Inoltre, la presenza di un numero elevato di casi in uno Stato non significa
necessariamente che esso applichi la direttiva sulla responsabilità ambientale in
modo più stringente di quanto richiesto. Tale divergenza può essere spiegata dai
diversi ordinamenti giuridici e dalle diverse tradizioni giuridiche (in particolare se le
normative preesistenti sono state abrogate o meno), da eventuali differenze che
contraddistinguono lo stato dell’ambiente e dalle diverse interpretazioni dei termini
e dei concetti fondamentali, come illustrato di seguito.
Secondo la Commissione il maggiore utilizzo della direttiva è spesso dovuto: all’uso
di registri dei casi attinenti alla direttiva sulla responsabilità ambientale; alle maggiori
opportunità a disposizione delle parti interessate di formulare le loro osservazioni e
impegnarsi con le autorità competenti; all’obbligo che incombe in via accessoria
alle autorità competenti di effettuare azioni preventive e correttive qualora gli
operatori non fossero in grado di farlo; a un grado più elevato di consapevolezza
circa la direttiva sulla responsabilità ambientale da parte del pubblico e dei
portatori d’interesse, in particolare gli operatori.
Per questo sottolinea che occorre impegnarsi per migliorare la base di conoscenze
in merito all’effettivo impatto della direttiva sulla responsabilità ambientale, sia
sull’ambiente sia sui portatori d’interesse. Per farlo, occorre migliorare la raccolta di
dati sui casi connessi alla direttiva. Risultati utili deriverebbero anche
dall’allineamento delle soluzioni nazionali (su questioni quali: modelli relativi alla
riparazione dei danni, analisi dei rischi, calcolo della copertura assicurativa ecc.), in
quanto le banche dati disponibili potranno essere utilizzate per rafforzare le garanzie
finanziarie (offrendo prodotti più mirati), migliorare i regimi di gestione del rischio
delle imprese e aumentare le conoscenze di operatori e portatori d’interesse in
causa, comprese le autorità responsabili per la riduzione dei danni.
Cosa ancora più importante, si potrebbero prendere provvedimenti per rafforzare la
capacità amministrativa e promuovere strumenti di sostegno per l’attuazione.
Inoltre, lo sviluppo di efficaci controlli regolamentari raccomandato negli
orientamenti per legiferare meglio dovrebbe assicurare una valutazione più solida e
definitiva della direttiva in futuro. (Articolo di Eleonora Santucci)
Fonte:greenreport.it
Ambiente in genere. Associazioni ambientaliste e contributo unificato per la
presentazione dei ricorsi al giudice amministrativo.
Comm. Trib. Reg. per la Lombardia Sezione/Collegio 19 sent. 987 del 22 febbraio
2016
In tema di ricorso in materia assoggettata al rito ordinario del codice processuale
amministrativo gli atti giudiziari posti in essere e depositati in tale rito dalle
associazioni ambientaliste e ONLUS non sono soggetti al contributo unificato.
Fonte:lexambiente.it
Bioedilizia, al via il progetto “Building a green social dialogue”
Accordo tra Commissione UE, sindacati e operatori delle costruzioni per favorire il
green building
Trasformare il settore edile da ‘divoratore di suolo e di energia’ a capofila per una
crescita sostenibile che passi attraverso il dialogo sociale. Questo l’obiettivo del
progetto “B.R.O.A.D. - Building a Green Social Dialogue” presentato dalla Fillea Cgil
e recentemente approvato dalla Commissione Europea. Il progetto coinvolgerà i
sindacati di quattro paesi europei, centri di ricerca, associazioni datoriali, con
l’obiettivo di realizzare, al termine del percorso, una proposta di Linee Guida a
supporto del dialogo sociale nei processi di transizione verso il green building, per lo
sviluppo del mercato del lavoro e la crescita, nel segno della qualità e del rispetto
dei diritti e della salute, delle competenze professionali dei lavoratori.
Green economy: i cardini del progetto
Il progetto è in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020 e mira allo sviluppo
della bioedilizia in tutto il ciclo produttivo: della ricerca all'innovazione nei materiali,
delle tecniche di costruzione alla progettazione degli edifici. Fillea Cgil e i partner
del progetto (Fondazione Di Vittorio, la federazione europea dei sindacati delle
costruzioni, un centro studi della Germania, i sindacati delle costruzioni di Polonia,
Spagna e Belgio, e per l'Italia Filca Cisl, FenealUil e Ance) studieranno leprincipali
tendenze nello sviluppo della bioedilizia a livello nazionale ed europeo e i modelli di
successo da diffondere attraverso lo scambio di esperienze e buone pratiche tra i
paesi e le parti sociali. Si cercherà di valorizzare le esperienze e pratiche virtuose
di dialogo sociale che hanno dato vita a processi sostenibili nel settore e prodotto
crescita economica e buona occupazione. Il progetto Broad si articolerà, come
anticipato dal segretario generale Fillea Walter Schiavella, con workshop e incontri
che coinvolgeranno rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, le istituzioni,
gli esperti, la società civile e i settori e le professioni legate alla green economy.
Crescita sostenibile: le due le fasi del progetto
La prima fase di indagine si concluderà nel dicembre 2016 con un Report europeo
contenente: il quadro delle politiche comunitarie in materia di green economy e di
bioedilizia; la panoramica delle iniziative a sostegno dei posti di lavoro verdi a livello
europeo, attraverso una rassegna della letteratura scientifica e istituzionale in
materia; l'analisi comparata delle diverse esperienze dei paesi coinvolti nel progetto;
una descrizione del ruolo e delle funzioni delle parti sociali, in modo da proporre
suggerimenti e raccomandazioni per rafforzare il dialogo sociale nei processi di
conversione bioedilizia. La seconda fase si concluderà a dicembre 2017, con
la realizzazione delle “linee guida” per il dialogo sociale nella bioedilizia a livello
europeo e nazionale, che saranno il frutto dell’intensa attività di scambio e
confronto tra le parti sociali. Questo “network” del dialogo sociale nelle costruzioni
avrà un sito internet dedicato ed una forte presenza sui social ed un hashtag
#greendialogue. Sono previste anche dirette in streaming dei vari workshop e
convegni programmati in Italia e negli altri Paesi partner. (Articolo di Alessandra
Marra)
Fonte: edilportale.it
crescita economica e buona occupazione. Il progetto Broad si articolerà, come
anticipato dal segretario generale Fillea Walter Schiavella, con workshop e incontri
che coinvolgeranno rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, le istituzioni,
gli esperti, la società civile e i settori e le professioni legate alla green economy.
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europeo, attraverso una rassegna della letteratura scientifica e istituzionale in
materia; l'analisi comparata delle diverse esperienze dei paesi coinvolti nel progetto;
una descrizione del ruolo e delle funzioni delle parti sociali, in modo da proporre
suggerimenti e raccomandazioni per rafforzare il dialogo sociale nei processi di
conversione bioedilizia. La seconda fase si concluderà a dicembre 2017, con
la realizzazione delle “linee guida” per il dialogo sociale nella bioedilizia a livello
europeo e nazionale, che saranno il frutto dell’intensa attività di scambio e
confronto tra le parti sociali. Questo “network” del dialogo sociale nelle costruzioni
avrà un sito internet dedicato ed una forte presenza sui social ed un hashtag
#greendialogue. Sono previste anche dirette in streaming dei vari workshop e
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  • 1. News 16/A/2016 Lunedì, 18 Aprile 2016 L’Irlanda punta sulla Geotermia per raggiungere gli obiettivi UE sulle rinnovabili Entro il 2020 il mix energetico del Paese dovrà raggiungere quota 16% da fonti rinnovabili, attualmente è all’8,6% In una ricerca lanciata dal Geological Survey of Ireland durante la conferenza della Geothermal Association of Ireland –tenutasi all’interno dell’Energy Show 2016– è stata valutata la potenzialità dell’energia geotermica racchiusa nel sottosuolo del paese, e la sua possibile utilizzazione per il raggiungimento degli obiettivi in fatto di rinnovabili delineati per l’Irlanda in sede europea: entro il 2020, infatti, l’isola dovrà ricavare da fonti rinnovabili il 16% degli usi finali dell’energia (splittato in un 10% per il totale del settore dei trasporti, il 12% per il calore, e il 10% per l’elettricità). Nonostante alla meta manchino ormai soltanto 4 anni, ad oggi l’Irlanda ha completato poco più della metà del proprio percorso, fermandosi all’8,6% dei propri consumi energetici lordi coperto da rinnovabili. Il raggiungimento dell’obiettivo potrebbe tuttavia essere dietro l’angolo. O meglio, sotto i piedi degli irlandesi. «L’Irlanda –ha argomentato Ric Pasquali, presidente della Geothermal Association of Ireland– ha nella propria disponibilità un’eccellente presenza di geotermia superficiale che, accoppiata con la tecnologia delle pompe di calore, può essere utilizzata per il riscaldamento, per il raffreddamento termico e per la produzione di acqua calda». Non solo. Come sottolineano anche alcune testate locali, la geotermia presenta un’efficienza energetica più elevata rispetto a qualsiasi altra rinnovabile, è disponibile 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana, e non dipende dalle variabili meteorologiche. Può essere utilizzata per riscaldare o raffrescare le case, per alimentare reti di teleriscaldamento o generare elettricità. Una possibilità da mettere a frutto, ma che per potersi concretizzare ha bisogno di una regia chiara. «Nuove politiche e misure di sensibilizzazione –conclude Pasquali– sono evidentemente necessarie». Fonte: greenreport.it
  • 2. Fotovoltaico, Italia (per ora) prima al mondo per contributo alla domanda di elettricità Crollo verticale per le nuove installazioni: oggi siamo dietro a Cina, Germania, Giappone, Usa Nonostante le difficoltà attraversate dal settore, l’Italia nel fotovoltaico mantiene ancora un primato mondiale: la domanda nazionale d’elettricità è soddisfatta per l’8% dai pannelli fotovoltaici. Nessun Paese al mondo fa meglio: a seguire sono un altro stato del Mediterraneo, la Grecia (7,4%), seguito dall’assai più nuvolosa ma produttiva Germania (7,1%). Questi sono i dati diffusi nell’ultimo rapporto dedicato al settore da parte della Iea, l’Agenzia internazionale dell’energia. Dati però che raccontano purtroppo soltanto una faccia della medaglia. Spulciando il dossier prodotto dall’Agenzia, si ha infatti conferma di come quello messo in piedi con fatica e incentivi dall’Italia sia ormai un primato assai precario. A dispetto dei propri successi, in Italia il mercato del fotovoltaico ha subito un tracollo. 300 i nuovi MW installati nel 2015, una frazione assai piccola dei 9,3 GW sbocciati nel 2011, anno dei record. Un crollo verticale dove certamente il taglio degli incentivi ha influito molto, anche se secondo la Iea oggi «il quadro normativo appare adeguato». Un parere che non trova concorde un’altra istituzione di rilievo internazionale, il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (Unep) che solo pochi giorni fa ha condannato l’incertezza politica e il taglio retroattivo agli incentivi portato avanti dal governo Renzi. Altri Paesi si muovono oggi con più coraggio (e risorse) del nostro. La Cina guida per capacità installata, arrivata a livello cumulativo a quota 43,5 GW, seguita da Germania (39,7 GW), Giappone (34,4 GW), Usa (25,6 GW) e infine Italia (18,9 GW). Il nostro è un Paese baciato dal sole: il fotovoltaico contribuisce più qui che in Cina a soddisfare la domanda di energia elettrica, nonostante il gigante asiatico conti una potenza installata più che doppia rispetto alla nostra. È una doppia sconfitta dunque non approfittare di tali, favorevoli condizioni di partenza. Altri Paesi corrono. Negli Usa, ad esempio, come spiega l’ultima edizione del “National Solar Jobs Census” i lavoratori occupati nel settore solare sono cresciuti del 20% per il terzo anno consecutivo, fino ad arrivare a quota 209mila occupati: più di quanti siano oggi impiegati nell’estrazione di petrolio e gas (184.500 a fine 2015, -17mila rispetto al 2014), nonostante gli Stati uniti abbiano conosciuto l’exploit del fracking. Anche in
  • 3. territorio Usa, però, sembra si stia ripetendo un errore già sperimentato in Italia: la mancata creazione di una filiera industriale degna del mercato di riferimento. Nel 2015 gli addetti alle installazioni sono cresciuti del 65%, mentre quelli nella manifattura legata al fotovoltaico sono rimasti pressoché stabili. Fonte: greenreport.it Autoproduzione da energie rinnovabili, 5 proposte e un manifesto per liberarla. Nasce l’Alleanza per l’Autoproduzione. 350 sindaci hanno già aderito. In un convegno internazionale organizzato da Legambiente a Roma si è parlato delle barriere che frenano l’autoproduzione di energia pulita in Italia, di esperienze europee, delle proposte e delle opportunità di sviluppo offerte dall’innovazione nella gestione dell’energia. Dai lavori del convegno è venuta la conferma che «L’autoproduzione da fonti rinnovabili rappresenta una grande potenzialità per il nostro Paese per promuovere l’innovazione, creare lavoro, favorire gli investimenti. Cancellando le barriere all’autoproduzione, che attualmente impediscono al condominio e al distretto produttivo, alle famiglie e alle imprese di utilizzare energia autoprodotta da fonti rinnovabili, possiamo ridurre anche i costi della bolletta energetica. Facile a dirsi e, volendo, anche a farsi, perché oggi in Italia una raffineria e un impianto solare pagano la stessa tassa sull’autoconsumo; all’interno di un edificio è vietato distribuire energia elettrica autoprodotta da fonti rinnovabili; è vietato persino distribuire energia elettrica pulita autoprodotta tra più imprese di uno stesso distretto industriale». Eppure, l’autoproduzione e la distribuzione locale di energia da fonti rinnovabili sono oggi al centro dell’interesse in tutto il mondo per le opportunità che si stanno aprendo con l’innovazione nella gestione energetica, grazie all’efficienza e alla riduzione dei costi delle tecnologie e delle reti. Secondo il Cigno Verde, «Anche in Italia questa prospettiva avrebbe grandi potenzialità perché, in questa forma, le fonti rinnovabili anche senza incentivi diretti, potrebbero offrire una adeguata risposta alla domanda di elettricità e calore negli edifici e nei territori, creando valore e nuova occupazione». Nel suo intervento, il vicepresidente di Legambiente, Edoardo Zanchini, ha detto: «Lanciamo oggi un’alleanza per l’autoproduzione da fonti rinnovabili per aprire a un cambiamento del modello energetico che deve avere al centro le energie pulite e le opportunità per i territori e le comunità. Crediamo sia arrivato il momento di aprire un confronto pubblico e trasparente su queste sfide, sia a livello italiano che europeo, per eliminare le barriere che oggi fermano una prospettiva che è nell’interesse delle famiglie e delle imprese. Un cambiamento radicale del modello
  • 4. energetico come è quello dell’autoproduzione, distribuito e con molteplici protagonisti (i prosumer, ossia soggetti al contempo produttori e consumatori di energia elettrica), può portare enormi vantaggi per un Paese come l’Italia, in termini di riduzione dei consumi, importazioni di fonti fossili, emissioni inquinanti e climalteranti». Ma nel corso del convegno sono stati sottolineati i problemi di un quadro normativo complicato e contradditorio, addirittura penalizzante dopo la riforma delle tariffe elettriche, tanto da arrivare a vietare la distribuzione locale di energia da fonti rinnovabili. Nasce da qui l’idea dell’Alleanza per l’autoproduzione, con l’adesione da parte di oltre 350 Sindaci al Manifesto “Il futuro dell’energia passa per i territori” promosso da Legambiente «per spingere questa prospettiva integrandola profondamente nel territorio, in modo da creare opportunità di innovazione che aiutino famiglie e imprese. Coinvolgendo associazioni di imprese, dei cittadini e dei consumatori, insieme agli enti Locali per rendere possibili investimenti come quelli realizzati nei Comuni delle Alpi dove, con una legge nata per le cooperative legate alle centrali idroelettriche, è possibile distribuire l’energia pulita localmente. Una opportunità che ha aperto a innovazioni nella gestione delle reti e nella produzione da fonti rinnovabili, di grandissimo interesse e con conseguente riduzione dei costi in bolletta». Secondo ambientalisti, inprenditori e sindaci, «L’autoproduzione è un tassello fondamentale di una politica energetica che finalmente faccia ripartire gli investimenti nelle fonti rinnovabili, dopo il calo degli ultimi anni (300MW installati di solare fotovoltaico nel 2015 contro 9mila nel 2011). Ma soprattutto, attraverso la spinta all’innovazione, proprio questa prospettiva può essere la risposta ai problemi di oscillazioni nella produzione da rinnovabili. Perché aprendo all’autoproduzione negli edifici, nei distretti produttivi, nello scambio tra aziende, si può creare una gestione integrata di impianti di produzione e di accumulo, sistemi efficienti in grado di offrire un efficiente servizio di bilanciamento e dispacciamento rispetto alla rete, e capace di programmare immissioni e prelievi. La seconda sfida riguarda gli oneri di sistema che si pagano in bolletta, perché in una prospettiva di questo tipo si ridurrebbe la platea di chi partecipa alla spesa. Per questo serve trasparenza e un cambiamento delle regole, in modo da prevedere una partecipazione agli oneri di sistema legata al tipo di fonte utilizzata (è assurdo che paghino allo stesso modo l’autoconsumo di una raffineria e quello di un impianto solare) e un controllo dell’evoluzione di questi oneri, in modo da poter effettuare eventuali interventi correttivi». La presidente di Legambiente, Rossella Muroni, ha sottolineato che «Il referendum
  • 5. del 17 Aprile ha messo in evidenza quanto l’Italia abbia bisogno di una strategia energetica per uscire dalle fonti fossili. Per questo chiediamo al Governo di eliminare barriere e tasse nei confronti dell’autoproduzione e aprire a processo di innovazione che, oltre ad essere nell’interesse generale, è oramai riconosciuto come competitivo anche dalla Commissione Europea. Oggi disponiamo di tutte le competenze per rispondere agli allarmi lanciati dall’Autorità per l’energia sulla sicurezza del sistema, ma anche sulla riduzione delle risorse per gli oneri di sistema. Sono questioni facilmente risolvibili all’interno di uno scenario davvero nuovo, nel quale si spostano i consumi verso il vettore elettrico, e dove si può (finalmente) ripensare la tassazione in funzione delle emissioni e dell’inquinamento prodotti. Attraverso l’autoproduzione possiamo dare risposta ai problemi storici di dipendenza energetica dall’estero dell’Italia attraverso un processo davvero innovativo e conveniente, grazie alla riduzione dei costi degli impianti da fonti rinnovabili, delle batterie di accumulo, delle tecnologie di gestione. Di sicuro, si dovranno introdurre regole nuove per accompagnare questa prospettiva e si dovranno nel tempo verificare i risultati, per accompagnare sviluppo e investimenti. Ma è arrivato il momento di aprire a una innovazione energetica che guarda al futuro del Pianeta e che crea opportunità nei territori». Ecco le proposte di Legambiente: 1) All’interno degli edifici deve essere consentita la distribuzione di energia elettrica autoprodotta da fonti rinnovabili attraverso reti private. In questo modo si apre ad innovazioni nella gestione elettrica e del riscaldamento nei condomini, negli edifici per uffici e commerciali. 2) Tra aziende limitrofe deve essere consentito lo scambio di energia elettrica prodotta da impianti da fonti rinnovabili o in cogenerazione ad alto rendimento attraverso reti private. In modo da aprire ad innovazioni nei distretti industriali e nello scambio di elettricità da fonti rinnovabili tra aziende limitrofe. 3) Le amministrazioni pubbliche devono poter utilizzare la rete elettrica per lo scambio di energia prodotta da impianti da fonti rinnovabili tra edifici di proprietà. Per dare la possibilità ai Comuni di investire nelle fonti rinnovabili e di scambiare energia tra i diversi edifici pubblici. 4) Le utenze domestiche devono poter beneficiare di vantaggi fiscali e semplificazioni nell’autoproduzione da fonti rinnovabili. In questo modo si aiutano le famiglie a installare impianti solari sui tetti direttamente per i consumi di illuminazione, riscaldamento, raffrescamento. 5) L’autoproduzione di energia elettrica da fonti rinnovabili deve beneficiare di
  • 6. vantaggi sugli oneri parafiscali in bolletta per i vantaggi ambientali che determina. In questo modo si rendono vantaggiosi gli investimenti nell’autoproduzione, distinguendo nella tassazione tra impianti da fonti rinnovabili e invece da fonti fossili. Fonte: greenreport.it Prevenzione del Danno Ambientale, ancora difficoltà nell’attuazione della direttiva. Per conseguire l’obiettivo europeo della prevenzione dei danni ambientali in caso di minaccia imminente e della riparazione dei danni sono stati fatti dei passi avanti, ma ancora persistono molte difficoltà. È quanto emerge dalla seconda relazione della Commissione sull’attuazione della direttiva sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e di riparazione del danno ambientale (2004/35/CE). La relazione illustra l’esperienza acquisita nell’applicazione della direttiva sulla responsabilità ambientale tra il 2007 e il 2013. La direttiva riguarda i danni ambientali significativi: in linea con il principio “chi inquina paga”, secondo la direttiva l’operatore responsabile deve prendere le necessarie misure preventive o riparatrici e deve sostenere tutti i costi. La direttiva sulla responsabilità ambientale copre i danni alla biodiversità, (specie e habitat naturali protetti), all’acqua e al terreno e non i danni tradizionali (danni alla proprietà, pericolo di morte e lesioni personali o danni materiali. La Commissione ha valutato l’attuazione e l’efficacia della direttiva nel tempo e ha concluso che la direttiva ha migliorato la prevenzione e la riparazione del danno ambientale in misura limitata rispetto alla situazione precedente il suo recepimento. In particolare, la direttiva ha rafforzato il principio “chi inquina paga” (evitando così costi significativi a carico delle finanze pubbliche), attuando la responsabilità oggettiva per danno ambientale in tutta l’Ue e rafforzando gli standard di riparazione per ripristinare le risorse naturali danneggiate, in particolare per danni alla biodiversità. Ma ha anche sottolineato che la direttiva non ha ancora realizzato il suo potenziale. Complice la variabilità tra gli Stati membri nel recepimento e nell’applicazione della direttiva. A prescindere dal fatto che molti Stati hanno recepito la direttiva in ritardo (solo a partire dalla metà del 2010 la direttiva è stata pienamente recepita da tutti i 27 Stati membri), l’efficacia della direttiva varia in modo significativo, dato che è stata attuata in modo molto diverso nei vari Stati membri. In parte ciò è dovuto alla struttura-quadro della direttiva che prevede una serie di eccezioni, opzioni e flessibilità. Caratteristiche che agevolano l’eterogeneità delle legislazioni nazionali.
  • 7. Per quanto riguarda l’attuazione, tra l’aprile 2007 e l’aprile 2013 gli Stati membri hanno segnalato circa 1 245 casi confermati di danno ambientale. Un numero di casi che varia considerevolmente tra gli Stati membri. Due Stati rappresentano oltre l’86% di tutti i casi di danno segnalati (Ungheria: 563 casi, Polonia: 506) e sei hanno segnalato la maggior parte dei casi residui (Germania (60), Grecia (40), Italia (17) , Lettonia, Spagna e Regno Unito). Undici Stati membri non hanno segnalato alcun caso di danno ambientale in relazione alla direttiva dal 2007 in poi, forse perché affrontano i casi esclusivamente nell’ambito del sistema nazionale. Inoltre, la presenza di un numero elevato di casi in uno Stato non significa necessariamente che esso applichi la direttiva sulla responsabilità ambientale in modo più stringente di quanto richiesto. Tale divergenza può essere spiegata dai diversi ordinamenti giuridici e dalle diverse tradizioni giuridiche (in particolare se le normative preesistenti sono state abrogate o meno), da eventuali differenze che contraddistinguono lo stato dell’ambiente e dalle diverse interpretazioni dei termini e dei concetti fondamentali, come illustrato di seguito. Secondo la Commissione il maggiore utilizzo della direttiva è spesso dovuto: all’uso di registri dei casi attinenti alla direttiva sulla responsabilità ambientale; alle maggiori opportunità a disposizione delle parti interessate di formulare le loro osservazioni e impegnarsi con le autorità competenti; all’obbligo che incombe in via accessoria alle autorità competenti di effettuare azioni preventive e correttive qualora gli operatori non fossero in grado di farlo; a un grado più elevato di consapevolezza circa la direttiva sulla responsabilità ambientale da parte del pubblico e dei portatori d’interesse, in particolare gli operatori. Per questo sottolinea che occorre impegnarsi per migliorare la base di conoscenze in merito all’effettivo impatto della direttiva sulla responsabilità ambientale, sia sull’ambiente sia sui portatori d’interesse. Per farlo, occorre migliorare la raccolta di dati sui casi connessi alla direttiva. Risultati utili deriverebbero anche dall’allineamento delle soluzioni nazionali (su questioni quali: modelli relativi alla riparazione dei danni, analisi dei rischi, calcolo della copertura assicurativa ecc.), in quanto le banche dati disponibili potranno essere utilizzate per rafforzare le garanzie finanziarie (offrendo prodotti più mirati), migliorare i regimi di gestione del rischio delle imprese e aumentare le conoscenze di operatori e portatori d’interesse in causa, comprese le autorità responsabili per la riduzione dei danni. Cosa ancora più importante, si potrebbero prendere provvedimenti per rafforzare la capacità amministrativa e promuovere strumenti di sostegno per l’attuazione. Inoltre, lo sviluppo di efficaci controlli regolamentari raccomandato negli orientamenti per legiferare meglio dovrebbe assicurare una valutazione più solida e
  • 8. definitiva della direttiva in futuro. (Articolo di Eleonora Santucci) Fonte:greenreport.it Ambiente in genere. Associazioni ambientaliste e contributo unificato per la presentazione dei ricorsi al giudice amministrativo. Comm. Trib. Reg. per la Lombardia Sezione/Collegio 19 sent. 987 del 22 febbraio 2016 In tema di ricorso in materia assoggettata al rito ordinario del codice processuale amministrativo gli atti giudiziari posti in essere e depositati in tale rito dalle associazioni ambientaliste e ONLUS non sono soggetti al contributo unificato. Fonte:lexambiente.it Bioedilizia, al via il progetto “Building a green social dialogue” Accordo tra Commissione UE, sindacati e operatori delle costruzioni per favorire il green building Trasformare il settore edile da ‘divoratore di suolo e di energia’ a capofila per una crescita sostenibile che passi attraverso il dialogo sociale. Questo l’obiettivo del progetto “B.R.O.A.D. - Building a Green Social Dialogue” presentato dalla Fillea Cgil e recentemente approvato dalla Commissione Europea. Il progetto coinvolgerà i sindacati di quattro paesi europei, centri di ricerca, associazioni datoriali, con l’obiettivo di realizzare, al termine del percorso, una proposta di Linee Guida a supporto del dialogo sociale nei processi di transizione verso il green building, per lo sviluppo del mercato del lavoro e la crescita, nel segno della qualità e del rispetto dei diritti e della salute, delle competenze professionali dei lavoratori. Green economy: i cardini del progetto Il progetto è in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020 e mira allo sviluppo della bioedilizia in tutto il ciclo produttivo: della ricerca all'innovazione nei materiali, delle tecniche di costruzione alla progettazione degli edifici. Fillea Cgil e i partner del progetto (Fondazione Di Vittorio, la federazione europea dei sindacati delle costruzioni, un centro studi della Germania, i sindacati delle costruzioni di Polonia, Spagna e Belgio, e per l'Italia Filca Cisl, FenealUil e Ance) studieranno leprincipali tendenze nello sviluppo della bioedilizia a livello nazionale ed europeo e i modelli di successo da diffondere attraverso lo scambio di esperienze e buone pratiche tra i paesi e le parti sociali. Si cercherà di valorizzare le esperienze e pratiche virtuose di dialogo sociale che hanno dato vita a processi sostenibili nel settore e prodotto
  • 9. crescita economica e buona occupazione. Il progetto Broad si articolerà, come anticipato dal segretario generale Fillea Walter Schiavella, con workshop e incontri che coinvolgeranno rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, le istituzioni, gli esperti, la società civile e i settori e le professioni legate alla green economy. Crescita sostenibile: le due le fasi del progetto La prima fase di indagine si concluderà nel dicembre 2016 con un Report europeo contenente: il quadro delle politiche comunitarie in materia di green economy e di bioedilizia; la panoramica delle iniziative a sostegno dei posti di lavoro verdi a livello europeo, attraverso una rassegna della letteratura scientifica e istituzionale in materia; l'analisi comparata delle diverse esperienze dei paesi coinvolti nel progetto; una descrizione del ruolo e delle funzioni delle parti sociali, in modo da proporre suggerimenti e raccomandazioni per rafforzare il dialogo sociale nei processi di conversione bioedilizia. La seconda fase si concluderà a dicembre 2017, con la realizzazione delle “linee guida” per il dialogo sociale nella bioedilizia a livello europeo e nazionale, che saranno il frutto dell’intensa attività di scambio e confronto tra le parti sociali. Questo “network” del dialogo sociale nelle costruzioni avrà un sito internet dedicato ed una forte presenza sui social ed un hashtag #greendialogue. Sono previste anche dirette in streaming dei vari workshop e convegni programmati in Italia e negli altri Paesi partner. (Articolo di Alessandra Marra) Fonte: edilportale.it
  • 10. crescita economica e buona occupazione. Il progetto Broad si articolerà, come anticipato dal segretario generale Fillea Walter Schiavella, con workshop e incontri che coinvolgeranno rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, le istituzioni, gli esperti, la società civile e i settori e le professioni legate alla green economy. Crescita sostenibile: le due le fasi del progetto La prima fase di indagine si concluderà nel dicembre 2016 con un Report europeo contenente: il quadro delle politiche comunitarie in materia di green economy e di bioedilizia; la panoramica delle iniziative a sostegno dei posti di lavoro verdi a livello europeo, attraverso una rassegna della letteratura scientifica e istituzionale in materia; l'analisi comparata delle diverse esperienze dei paesi coinvolti nel progetto; una descrizione del ruolo e delle funzioni delle parti sociali, in modo da proporre suggerimenti e raccomandazioni per rafforzare il dialogo sociale nei processi di conversione bioedilizia. La seconda fase si concluderà a dicembre 2017, con la realizzazione delle “linee guida” per il dialogo sociale nella bioedilizia a livello europeo e nazionale, che saranno il frutto dell’intensa attività di scambio e confronto tra le parti sociali. Questo “network” del dialogo sociale nelle costruzioni avrà un sito internet dedicato ed una forte presenza sui social ed un hashtag #greendialogue. Sono previste anche dirette in streaming dei vari workshop e convegni programmati in Italia e negli altri Paesi partner. (Articolo di Alessandra Marra) Fonte: edilportale.it