2. Nei primissimi anni del ‘900 si
contavano appena 4.500 lavoratori
italiani in Belgio.
Erano impiegati soprattutto nella
costruzione della rete ferroviaria.
La manodopera straniera era impiegata
in quei settori in cui quella locale
rifiutava le condizioni contrattuali
offerte da quei lavori.
3. Subito dopo la Grande Guerra,
si aggiunsero operai e artigiani
del Nord Italia più colpito dal
conflitto, che portarono il
numero dei lavoratori italiani in
Belgio a circa ventimila
presenze, nonostante i modesti
salari ricevuti.
4. Essi giungono qui in uno stato che fa veramente pietà…Per
viaggio spesso sono derubati, e giungono qui senza sapere né
dove andare né a chi rivolgersi e senza potersi far
comprendere per non conoscere la lingua… Spesso passano
lunghe ore nelle stazioni, guardati con pietà, e alle volte
anche con un certo sdegno, dai passanti.
Il Nunzio Apostolico commentava così in quell’anno il loro arrivo a Charleroi:
5. L’arrivo di numerosi lavoratori
stranieri fu quasi triplicato sul
finire degli anni ‘20. Ciò
consentì all’industria mineraria
belga di poter continuare a
puntare più sull’offerta di bassi
salari che sugli investimenti
nell’innovazione tecnologica.
6. Il fascismo frenò ben presto
l’espatrio dei lavoratori, per
alimentare una potente crescita
demografica nazionale.
Tra il 1927 e il 1929 furono
soppressi quasi tutti gli enti
statali di tutela per gli
emigranti.
7. La grande crisi dell’occupazione italiana nel secondo dopoguerra,
con i danneggiamenti alle industrie e alle infrastrutture, il ritorno
dei reduci e dei prigionieri, la mancanza di un mercato nazionale,
spinse oltre confine, fin dal 1945, fra i 200 e i 300 mila lavoratori
ogni anno.
Nel 1950 gli operai italiani in Belgio erano circa 50.000.
8. Gli italiani in Europa 1946-1957
Paese Espatri Rimpatri
Belgio 216.315 56.904
Francia 589.179 208.491
Germania 21.138 13.633
Gran Bretagna 72.380 4931
Lussemburgo 25.530 20.667
Paesi Bassi 5921 319
Svizzera 789.820 587.339
Altri Paesi 24.806 12.551
Totale Europa 1.745.089 904.835
U. Ascoli, Movimenti migratori in Italia, Il Mulino, Bologna, 1979.
9. Il Protocollo di Intesa italo-belga del 23 giugno 1946 prevedeva
l’invio di 50.000 lavoratori italiani all’anno per le miniere del Belgio
in cambio di una fornitura di carbone all’Italia da concordare, ma a
prezzo agevolato, fra i 2 e i 3 milioni di tonnellate.
10. Pertanto lo sviluppo
dell’industria carbonifera negli
anni ’50 non poté contare che
in minima parte sui minatori
belgi, ma si fondò piuttosto
sulla larga disponibilità di
manodopera immigrata,
costretta dall’indigenza ad
accettare le dure condizioni di
lavoro e di rischio.
11. Le vecchie miniere in Belgio si sarebbero esaurite nel medio termine.
Per questo non furono avviate azioni destinate alla protezione e alla
sicurezza dei lavoratori.
Solamente nel 1964, ad esempio,
l’utilizzo progressivo dei martelli
pneumatici messi a disposizione dei
lavoratori negli scavi delle gallerie
aumentò notevolmente la
produzione delle polveri fini del
carbone, responsabili della
diffusione della silicosi, riconosciuta
malattia professionale dei minatori.
12. Tra gli anni ’80 e ’90 si registrò la definitiva chiusura di quasi tutti i
siti minerari nel Belgio, e si aprì una nuova stagione della storia
industriale di quel paese e dell’Europa intera.