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Interessi strategici, dinamiche economiche e problemi di sicurezza
postbipolari
6.d - Le dinamiche di global history, tra società ed economia
Maria Chiara Stefanelli
1012925
Innovazione storiografica: la global history
Dal 1980 la global history è l’unico metodo di ricerca e di indagine storiografica che esamina la
storia da un’ottica globale, superando visioni parziali e monoculturali. Questo metodo è il risultato
di un cambiamento sostanziale di interpretazione: infatti, fino al secondo quarto dell’Ottocento
vigeva un eurocentrismo talmente esclusivo da ridurre il resto del mondo a qualcosa di “stagnante e
senza storia”. Poi, intorno ai primi anni del Novecento, a seguito di un certo interesse filosofico e
storico nei confronti delle culture extraeuropee e di un concetto di società più complessa, le certezze
iniziali vennero a mancare. E da qui, negli ultimi anni del Novecento, si afferma una storia più
specifica della World History, in quanto focalizzata sull’innovazione della globalizzazione e sui
processi della realtà odierna rintracciati anche nel passato.
Se si dovessero identificare le due date essenziali nella storia globale, potremmo supportare l’idea
del ricercatore Peter Haugen, il quale indica come primissimo momento nella storia del mondo la
nascita della democrazia ad Atene nel 460 a.C., e come ultimo lo sgancio della bomba atomica da
parte degli Stati Uniti sulle città giapponesi Hiroshima e Nagasaki nel 1945.
Queste, come numerose altre date, coincidono con eventi rigorosamente legati alla storia
dell’Occidente, che ha manifestato una forte supremazia sul resto del mondo almeno fino agli ultimi
anni, tempi in cui Cina e India, contemporaneamente con la diffusione della crisi economica a
partire dal 2008 negli Usa, e poi anche nei Paesi della Ue, hanno dato esempio di scenari inaspettati,
rappresentanti una evoluzione globale sicuramente non più dipendente in maniera esclusiva
dall’Occidente.
Quando si parla di global history sono evidenti vari elementi di cambiamento su ampia scala, i quali
portano necessariamente a prendere in considerazione responsabilità, fattori e condizioni molto più
ampie nelle dinamiche della storia del mondo.
La globalizzazione ieri ed oggi
Le trasformazioni a livello mondiale degli ultimi decenni rientrano nella fase storica della tanto
sbandierata globalizzazione, la cui definizione, secondo uno dei maggiori esperti del campo,
2
Giovanni Gozzini, si può tradurre in un “insieme di movimenti internazionali di merci, capitali e
persone”. Movimenti, questi, che hanno presentato un’andatura piuttosto vasta e varia, talvolta
anche inaspettata, nel corso del tempo.
Ma quand’è che i fenomeni di globalizzazione si sono manifestati per la prima volta? Alcuni storici
ritengono attorno alla metà del diciannovesimo secolo, altri sostengono la teoria della loro esistenza
già nel sedicesimo secolo, o addirittura anche nell’antichità classica. Altri ancora, invece, teorizzano
un’anticipazione del fenomeno della globalizzazione nel trentennio che precede la prima guerra
mondiale, periodo nel quale una certa convergenza economica (crescita Pil, trasferimento di
innovazioni tecnologiche, ecc) si estese da Belgio, Olanda, Francia, Germania, Svizzera, Spagna,
Nord Italia, Austria, Ungheria, Scandinavia a Stati Uniti occidentali, Canada, Australia, Nuova
Zelanda, Cile, Argentina e Giappone. Mentre, ad essere coinvolti nei processi di migrazione e di
flussi di capitali, senza conoscere alcuna rapidità di crescita del reddito, furono i paesi tropicali.
Ed effettivamente, dal 1815 in poi, il commercio mondiale raggiunse il 4-5 per cento di diffusione
rispetto all’1 per cento del secolo precedente, e in continenti quali Asia, Africa e America Latina il
volume delle esportazioni si moltiplicò sino alla vigilia della prima guerra mondiale. Questo fece sì
che il loro peso nel commercio mondiale aumentasse esponenzialmente, insieme con una sempre
più crescente importanza dei prodotti agricoli (a basso costo) delle piantagioni, delle materie prime
e dei minerali. Nello specifico, nell’arco temporale che va dal 1790 al 1914, le importazioni europee
di generi, diciamo così, “tropicali” si moltiplicarono per ben 45 volte.
La globalizzazione ottocentesca fu, inoltre, segnata dagli sviluppi tecnologici generati dalla
rivoluzione industriale, nella quale vennero coinvolti particolarmente i trasporti e le comunicazioni:
l’estensione delle ferrovie e lo sviluppo delle navigazioni consentirono lo scambio di merci in
maniera più veloce ed economica e a distanze maggiori, e la diffusione di un servizio come il
telegrafo elettrico permise una maggiore facilità di trasmissione di informazioni. I metodi di
trasporto e di conservazione della merce generarono una nuova divisione globale del lavoro che
collocò i paesi che oggi conosciamo come poveri nel ruolo di esportatori di materie prime e di
importatori di manufatti. Di conseguenza si creò un mercato intercomunicante. Ma se è giusto
ammettere che l’Ottocento portò ad una notevole innovazione tecnologica, è altrettanto vero che
questa fu prettamente limitata all’Occidente.
Anche a cavallo tra Ottocento e Novecento il trasferimento delle tecnologie ha rappresentato un
aspetto importante, ma a causa dell’asservimento coloniale è aumentato il differenziale di utilizzo
produttivo nell’uso delle macchine, elemento che ha condizionato, e condiziona tuttora, il problema
del sottosviluppo. Non dimentichiamo, infatti, che la globalizzazione internazionale, con i suoi
3
flussi di merci e persone, deriva da un’esperienza coloniale, che non si traduce in maniera scontata
in crescita economica auto sostenuta o in diffusione delle tecnologie industriali.
Ineguaglianza globale
A questo punto è bene sottolineare che, al contrario di chi pensa che il mondo sia stato da sempre un
teatro di divisione tra ricchezza e povertà, alcuni studiosi considerano lo spartiacque decisivo
proprio la rivoluzione industriale di inizio Ottocento, dalla quale deriverebbe il “problema
angoscioso del Terzo Mondo” (P. Bairoch).
Globalizzazione delle merci e delle persone si integrano reciprocamente ma con effetti diversi nel
Nord e nel Sud del mondo, e l’intensificarsi della globalizzazione può dar vita a dinamiche
difficilmente controllabili e a rischi di conflitto, in quanto i suoi benefici non sono mai stati
equamente distribuiti fra i diversi paesi né all’interno dei singoli.
Tornando agli elementi caratterizzanti la globalizzazione, nella fase tardo-ottocentesca ne troviamo
altri piuttosto influenti: basti pensare che il periodo coincise con la cosiddetta “età
dell’imperialismo”, segnata dall’espansione del controllo politico e militare delle principali potenze
occidentali su vaste aree del mondo non occidentale. Questo contribuì ad attirare un numero
crescente di regioni “periferiche” nell’orbita della nascente economia globale, la quale ebbe una
nuova spinta negli anni Cinquanta del Novecento.
In effetti, un’integrazione economica come quella negli anni successivi alla seconda guerra
mondiale ha presentato caratteristiche differenti rispetto alla globalizzazione ottocentesca:
economie come quella sovietica e cinese hanno abbracciato il comunismo e si sono estraniate dagli
sviluppi del capitalismo globale; oppure il flusso internazionale di capitali si è mosso
prevalentemente all’interno delle economie sviluppate, al contrario di quanto accaduto nella prima
fase di globalizzazione nella quale si era assistito ad una evidente apertura verso le aree in via di
sviluppo da parte dei paesi più ricchi; o ancora si è imposta, con controlli più rigidi, una limitazione
nei confronti dei flussi migratori.
Ed è sugli Stati Uniti d’America che l’economia di questi anni si è maggiormente incentrata, in
quanto essi, dopo la guerra, sono diventati una potenza mondiale a tutti gli effetti (e hanno
contribuito primariamente a ricostruire le economie distrutte dell’Europa e del Giappone).
4
Frammentazione e regionalismo
Come precedentemente detto, il termine globalizzazione continua ad essere largamente, e spesso
anche impropriamente, usato, e il fenomeno che ne risulta è generalmente associato ad una certa
unificazione del mondo sia sul piano di interpretazione dell’era in cui si vive, sia dal punto di vista
dello sviluppo socio-economico: il mondo sarebbe unificato, simile ed interconnesso, se vedessimo
la faccenda da un punto di vista Friedmaniano.
Questa potrebbe essere una considerazione del mondo attendibile se non fosse che, in realtà, la
globalizzazione non si muove necessariamente in modo così omogeneo da far sembrare il mondo
piatto, anzi, lascia addirittura spazio ad una tendenza diventata molto evidente nello scenario
internazionale: la regionalizzazione. Questa è la dimensione più adatta a gestire le dinamiche della
globalizzazione, e si presenta come regionalismo spontaneo sia come politico e istituzionale.
Inoltre, costituisce una chiave essenziale per fornire interpretare fenomeni storici piuttosto
importanti quali dinamiche demografiche e migratorie, sviluppi nel campo dell’economia,
dell’energia, dei diritti, inseriti in contesti culturali, politici ed economici.
Prendendo come valida la teoria sulla regionalizzazione, il mondo appare complesso e
multidimensionale. In effetti ogni sistema internazionale è stato da sempre diviso, in un certo modo,
in regioni, che presentavano aree più o meno distinte dalle reti di relazioni interne, dalla densità di
scambi o dai semplici caratteri distintivi come quelli geografici, identitari o culturali. Poi, al giorno
d’oggi, vi è una diffusa tendenza a dividere geograficamente le aree proprio al fine di rilevarne le
dinamiche politiche, economiche e sociali al loro interno, e di comprendere in che modo le varie
regioni sono connesse con il sistema internazionale.
Il fatto che il mondo si sia frammentato in maniera così evidente ha comportato l’assenza di guerre
fra grandi e superpotenze e la nascita una conflittualità a bassa intensità diffusa in quadri regionali
(ulteriormente marcata dalla nascita, dal 1989, delle organizzazioni regionali).
In conclusione, se si adotta un approccio di storia sotto un’ottica globale non significa porla sul
livello di tutti gli altri continenti, ma semplicemente adattarla ad un periodo tanto più lungo, quanto
più è accelerato il cambiamento nel mondo contemporaneo.

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Le dinamiche di global history

  • 1. 1 Interessi strategici, dinamiche economiche e problemi di sicurezza postbipolari 6.d - Le dinamiche di global history, tra società ed economia Maria Chiara Stefanelli 1012925 Innovazione storiografica: la global history Dal 1980 la global history è l’unico metodo di ricerca e di indagine storiografica che esamina la storia da un’ottica globale, superando visioni parziali e monoculturali. Questo metodo è il risultato di un cambiamento sostanziale di interpretazione: infatti, fino al secondo quarto dell’Ottocento vigeva un eurocentrismo talmente esclusivo da ridurre il resto del mondo a qualcosa di “stagnante e senza storia”. Poi, intorno ai primi anni del Novecento, a seguito di un certo interesse filosofico e storico nei confronti delle culture extraeuropee e di un concetto di società più complessa, le certezze iniziali vennero a mancare. E da qui, negli ultimi anni del Novecento, si afferma una storia più specifica della World History, in quanto focalizzata sull’innovazione della globalizzazione e sui processi della realtà odierna rintracciati anche nel passato. Se si dovessero identificare le due date essenziali nella storia globale, potremmo supportare l’idea del ricercatore Peter Haugen, il quale indica come primissimo momento nella storia del mondo la nascita della democrazia ad Atene nel 460 a.C., e come ultimo lo sgancio della bomba atomica da parte degli Stati Uniti sulle città giapponesi Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Queste, come numerose altre date, coincidono con eventi rigorosamente legati alla storia dell’Occidente, che ha manifestato una forte supremazia sul resto del mondo almeno fino agli ultimi anni, tempi in cui Cina e India, contemporaneamente con la diffusione della crisi economica a partire dal 2008 negli Usa, e poi anche nei Paesi della Ue, hanno dato esempio di scenari inaspettati, rappresentanti una evoluzione globale sicuramente non più dipendente in maniera esclusiva dall’Occidente. Quando si parla di global history sono evidenti vari elementi di cambiamento su ampia scala, i quali portano necessariamente a prendere in considerazione responsabilità, fattori e condizioni molto più ampie nelle dinamiche della storia del mondo. La globalizzazione ieri ed oggi Le trasformazioni a livello mondiale degli ultimi decenni rientrano nella fase storica della tanto sbandierata globalizzazione, la cui definizione, secondo uno dei maggiori esperti del campo,
  • 2. 2 Giovanni Gozzini, si può tradurre in un “insieme di movimenti internazionali di merci, capitali e persone”. Movimenti, questi, che hanno presentato un’andatura piuttosto vasta e varia, talvolta anche inaspettata, nel corso del tempo. Ma quand’è che i fenomeni di globalizzazione si sono manifestati per la prima volta? Alcuni storici ritengono attorno alla metà del diciannovesimo secolo, altri sostengono la teoria della loro esistenza già nel sedicesimo secolo, o addirittura anche nell’antichità classica. Altri ancora, invece, teorizzano un’anticipazione del fenomeno della globalizzazione nel trentennio che precede la prima guerra mondiale, periodo nel quale una certa convergenza economica (crescita Pil, trasferimento di innovazioni tecnologiche, ecc) si estese da Belgio, Olanda, Francia, Germania, Svizzera, Spagna, Nord Italia, Austria, Ungheria, Scandinavia a Stati Uniti occidentali, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Cile, Argentina e Giappone. Mentre, ad essere coinvolti nei processi di migrazione e di flussi di capitali, senza conoscere alcuna rapidità di crescita del reddito, furono i paesi tropicali. Ed effettivamente, dal 1815 in poi, il commercio mondiale raggiunse il 4-5 per cento di diffusione rispetto all’1 per cento del secolo precedente, e in continenti quali Asia, Africa e America Latina il volume delle esportazioni si moltiplicò sino alla vigilia della prima guerra mondiale. Questo fece sì che il loro peso nel commercio mondiale aumentasse esponenzialmente, insieme con una sempre più crescente importanza dei prodotti agricoli (a basso costo) delle piantagioni, delle materie prime e dei minerali. Nello specifico, nell’arco temporale che va dal 1790 al 1914, le importazioni europee di generi, diciamo così, “tropicali” si moltiplicarono per ben 45 volte. La globalizzazione ottocentesca fu, inoltre, segnata dagli sviluppi tecnologici generati dalla rivoluzione industriale, nella quale vennero coinvolti particolarmente i trasporti e le comunicazioni: l’estensione delle ferrovie e lo sviluppo delle navigazioni consentirono lo scambio di merci in maniera più veloce ed economica e a distanze maggiori, e la diffusione di un servizio come il telegrafo elettrico permise una maggiore facilità di trasmissione di informazioni. I metodi di trasporto e di conservazione della merce generarono una nuova divisione globale del lavoro che collocò i paesi che oggi conosciamo come poveri nel ruolo di esportatori di materie prime e di importatori di manufatti. Di conseguenza si creò un mercato intercomunicante. Ma se è giusto ammettere che l’Ottocento portò ad una notevole innovazione tecnologica, è altrettanto vero che questa fu prettamente limitata all’Occidente. Anche a cavallo tra Ottocento e Novecento il trasferimento delle tecnologie ha rappresentato un aspetto importante, ma a causa dell’asservimento coloniale è aumentato il differenziale di utilizzo produttivo nell’uso delle macchine, elemento che ha condizionato, e condiziona tuttora, il problema del sottosviluppo. Non dimentichiamo, infatti, che la globalizzazione internazionale, con i suoi
  • 3. 3 flussi di merci e persone, deriva da un’esperienza coloniale, che non si traduce in maniera scontata in crescita economica auto sostenuta o in diffusione delle tecnologie industriali. Ineguaglianza globale A questo punto è bene sottolineare che, al contrario di chi pensa che il mondo sia stato da sempre un teatro di divisione tra ricchezza e povertà, alcuni studiosi considerano lo spartiacque decisivo proprio la rivoluzione industriale di inizio Ottocento, dalla quale deriverebbe il “problema angoscioso del Terzo Mondo” (P. Bairoch). Globalizzazione delle merci e delle persone si integrano reciprocamente ma con effetti diversi nel Nord e nel Sud del mondo, e l’intensificarsi della globalizzazione può dar vita a dinamiche difficilmente controllabili e a rischi di conflitto, in quanto i suoi benefici non sono mai stati equamente distribuiti fra i diversi paesi né all’interno dei singoli. Tornando agli elementi caratterizzanti la globalizzazione, nella fase tardo-ottocentesca ne troviamo altri piuttosto influenti: basti pensare che il periodo coincise con la cosiddetta “età dell’imperialismo”, segnata dall’espansione del controllo politico e militare delle principali potenze occidentali su vaste aree del mondo non occidentale. Questo contribuì ad attirare un numero crescente di regioni “periferiche” nell’orbita della nascente economia globale, la quale ebbe una nuova spinta negli anni Cinquanta del Novecento. In effetti, un’integrazione economica come quella negli anni successivi alla seconda guerra mondiale ha presentato caratteristiche differenti rispetto alla globalizzazione ottocentesca: economie come quella sovietica e cinese hanno abbracciato il comunismo e si sono estraniate dagli sviluppi del capitalismo globale; oppure il flusso internazionale di capitali si è mosso prevalentemente all’interno delle economie sviluppate, al contrario di quanto accaduto nella prima fase di globalizzazione nella quale si era assistito ad una evidente apertura verso le aree in via di sviluppo da parte dei paesi più ricchi; o ancora si è imposta, con controlli più rigidi, una limitazione nei confronti dei flussi migratori. Ed è sugli Stati Uniti d’America che l’economia di questi anni si è maggiormente incentrata, in quanto essi, dopo la guerra, sono diventati una potenza mondiale a tutti gli effetti (e hanno contribuito primariamente a ricostruire le economie distrutte dell’Europa e del Giappone).
  • 4. 4 Frammentazione e regionalismo Come precedentemente detto, il termine globalizzazione continua ad essere largamente, e spesso anche impropriamente, usato, e il fenomeno che ne risulta è generalmente associato ad una certa unificazione del mondo sia sul piano di interpretazione dell’era in cui si vive, sia dal punto di vista dello sviluppo socio-economico: il mondo sarebbe unificato, simile ed interconnesso, se vedessimo la faccenda da un punto di vista Friedmaniano. Questa potrebbe essere una considerazione del mondo attendibile se non fosse che, in realtà, la globalizzazione non si muove necessariamente in modo così omogeneo da far sembrare il mondo piatto, anzi, lascia addirittura spazio ad una tendenza diventata molto evidente nello scenario internazionale: la regionalizzazione. Questa è la dimensione più adatta a gestire le dinamiche della globalizzazione, e si presenta come regionalismo spontaneo sia come politico e istituzionale. Inoltre, costituisce una chiave essenziale per fornire interpretare fenomeni storici piuttosto importanti quali dinamiche demografiche e migratorie, sviluppi nel campo dell’economia, dell’energia, dei diritti, inseriti in contesti culturali, politici ed economici. Prendendo come valida la teoria sulla regionalizzazione, il mondo appare complesso e multidimensionale. In effetti ogni sistema internazionale è stato da sempre diviso, in un certo modo, in regioni, che presentavano aree più o meno distinte dalle reti di relazioni interne, dalla densità di scambi o dai semplici caratteri distintivi come quelli geografici, identitari o culturali. Poi, al giorno d’oggi, vi è una diffusa tendenza a dividere geograficamente le aree proprio al fine di rilevarne le dinamiche politiche, economiche e sociali al loro interno, e di comprendere in che modo le varie regioni sono connesse con il sistema internazionale. Il fatto che il mondo si sia frammentato in maniera così evidente ha comportato l’assenza di guerre fra grandi e superpotenze e la nascita una conflittualità a bassa intensità diffusa in quadri regionali (ulteriormente marcata dalla nascita, dal 1989, delle organizzazioni regionali). In conclusione, se si adotta un approccio di storia sotto un’ottica globale non significa porla sul livello di tutti gli altri continenti, ma semplicemente adattarla ad un periodo tanto più lungo, quanto più è accelerato il cambiamento nel mondo contemporaneo.