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Il colore dei soldi in Vaticano
Pierfranco Pellizzetti (dalla rivista Critica liberale, settembre – novembre 2008, volume XV n.155-157, edizioni Dedalo)
 

                                                                   Il denaro, in quanto è il mezzo assoluto, e, per questo,
                                                 il punto che unisce infinite serie di fini, ha, nella sua forma psicologica,
                                                                  importanti connessioni proprio con l’immagine di Dio.
                                                                                       Georg Simmel (Filosofia del denaro)


Quando il 3 giugno 1963 Giovanni Battista Montini ascese al soglio di Pietro circolò subito una facezia: «perché ha
scelto il nome di Paolo VI? Semplice, perché la famiglia Montini possiede un sesto del Banco San Paolo di Brescia».

Infatti è sotto questo pontificato che il Vaticano verrà assumendo definitivamente i connotati di una merchant bank,
seppure occulta. Di certo per ragioni molto concrete, senza trascurare anche l’origine bresciana del Sommo Pontefice
(in effetti la città lombarda è da tempo un incubatore di finanzieri cattolici. Per primo Giovanni Bazoli, presidente di
Banca Intesa).

Subisce così ulteriore accelerazione il processo iniziato già agli albori del cristianesimo, nello scontro tra due
orientamenti divergenti, di fatto inconciliabili: quello ascetico e quello ierocratico. Con la vittoria del secondo; a partire
dalla “falsa donazione di Costantino”, nella trasformazione (attraverso una serie di concili, da Nicea a Calcedonia) di
un’eresia giudaica in religione di Stato, fino agli assetti teocratici che si imporranno nei territori direttamente controllati
dal clero surrogando l’amministrazione romana in rovina. Sicché «il clero cristiano finì per contrapporsi al popolo dei
credenti, rivendicando a se stesso l’accesso esclusivo ai testi rivelati e a tutto ciò che è sacro»1. La mutazione di un
messaggio d’amore in struttura di potere, attraverso il controllo monopolistico della salvezza e delle terapie del dolore
insito nella condizione umana; in cui essenza della Chiesa è sempre meno il movimento e sempre più l’istituzione.
Quindi, la costante attenzione sia a presidiare il proprio spazio di dominio come a promuovere le aspirazioni e gli
interessi materiali del proprio personale dirigente. La creazione di un ordine realizzato – come scrive Alessandro
Pizzorno – affiancando altre risorse a quelle “spirituali”, di cui dispone direttamente: «il controllo del sapere, delle
procedure normative, degli stati di devozione e della definizione dei nemici»2.

Evoluzione già ben riconoscibile tra l’XI e il XII secolo, nello scontro tra movimento cluniacense e i riformatori
gregoriani. Ancora Pizzorno: «Il primo aveva in mente la riforma morale della vita monastica, essendo orientato
all’extramondano, non incline a lottare con gli imperatori, ma anzi pronto a cooperare con loro. I secondi miravano a
una riforma generale di tutta la chiesa occidentale, erano ostili all’impero, che desideravano subordinare, e perseguivano
un programma paragonabile a una rivoluzione politica. Quindi, si direbbe, le pretese di Cluny erano non politiche,
quelle di Hildenbrand tipicamente politiche»3. Si può rappresentare tutto ciò in una sorta di “modello idraulico”, come
condotta di scorrimento tra potere temporale e potere spirituale. Ricavandone che, negli anni successivi a papa
Gregorio, il prevalente flusso a senso unico verso il temporalismo finirà per andare a scapito di una spiritualità
gradatamente disseccata. Da qui le tensioni col rinascente bisogno di ascetismo, soprattutto a livello di basso clero,
all’origine dei ricorrenti movimenti ereticali e delle endemiche rivolte (Patarini, Lollardi, Valdesi, Dolciniani, ma anche
protojacqueries contadine) che – pur trovando una base nelle condizioni materiali degli umili e degli oppressi – si
richiamano costantemente all’ideale perduto di una fede davvero pura, non inquinata dalla simonia. E l’utopia perderà la
partita con la politica assoluta.

Emblematica la vicenda di Francesco d’Assisi, inizialmente guardato con sospetto quale potenziale eretico dalle
gerarchi ecclesiastiche, per il suo richiamo alla regola della povertà, poi santificato; appena l’alto clero comprende come
la sua sottomissione al papa lo trasformi automaticamente in una formidabile carta da giocare contro la sovversione,
proprio perché credenziale dell’ipotetica integrabilità di un’istanza alternativa nell’ordine vigente. «Da allora esso
diventerà il più potente strumento per contrastare il passo ai movimenti che sviluppano il disegno opposto, quello della
rivolta»4. Umberto Eco ha reso letterariamente questo inconsapevole ruolo di puntello del Potere svolto dal
francescanesimo nel suo romanzo Il nome della rosa, in cui – secondo una lettura metaforicamente attualizzata del testo
– i frati poverelli corrisponderebbero al Pci berlingueriano all’inizio anni ’70 del secolo scorso, nella sua opera di
contrasto del terrorismo armato delle Brigate Rosse (a loro volta simboleggiate dai dolciniani) a vantaggio
dell’egemonia democristiana. Palmiro Togliatti, due decenni prima, avrebbe parlato sarcasticamente di “utili idioti” (ma
che dire di lui, quando nel marzo 1947 si sancì la costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi nel malfamato art. 7 della
nostra Legge Fondamentale grazie anche ai 95 voti comunisti, a fronte di ipotetici vantaggi politici mai incassati?).

Perché il nocciolo vero non sta certo nell’eroismo delle minoranze ascetiche, che fungono da foglia di fico di un
dominio che ha smarrito ogni ragione ideale.

Per la Chiesa un dato di fatto plurisecolare. Come descritto già nel 1938 dallo storico del fenomeno urbano Lewis




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Mumford: . «nella città medievale la Chiesa era una dominante: nessun settore della vita mancava di attestare la sua
esistenza e il suo influsso. Nelle grandi capitali del Seicento la Chiesa era diventata una regressione; ancora una
presenza visibile ed imponente ma non più una forza sociale unificatrice e dinamica. Nella metropoli moderna la Chiesa
è una sopravvivenza: la sua potenza è basata sul numero, sulla ricchezza, sull’organizzazione materiale, ma non più
sulla capacità di dare la propria impronta alle attività quotidiane degli uomini»5.


Smarrita la purezza del messaggio, l’istituzione politica Chiesa si puntella – come si diceva – attraverso la
comunicazione che colonizza gli immaginari, la capacità organizzativa e l’acquisizione di risorse materiali, le ricchezze.
Ricchezza che in epoca moderna, in cui i patrimoni inerti si attivano nella riproduzione del capitale attraverso il profitto,
vira dal materiale al simbolico finanziario. Il denaro.

La Chiesa, in età capitalistica, tradurrà l’ormai interiorizzato cinismo, che ne permea da secoli la natura più profonda,
supportando l’Istituzione di potere con adeguate istituzioni finanziarie. Operazione che prende avvio in Italia nei primi
decenni del ‘900 grazie al Fascismo. L’11 febbraio 1929 Benito Mussolini e il cardinale Gasparri firmano i Patti
Lateranensi, articolati in tre parti: un Trattato, un Concordato e una Convenzione finanziaria in cui si riconosce al
Vaticano l’esenzione da tasse e dazi, nonché un “risarcimento per danni patiti” pari a circa 1 miliardo di attuali euro.
Grazie a questo “tesoretto” papa Pio XI istituisce l’“Amministrazione speciale delle Opere di religione”. Tesoretto che
sarà ulteriormente incrementato il 20 luglio 1933 da un analogo Concordato tra Vaticano e la Germania di Hitler.

L’ente finanziario appena istituito viene affidato al fratello di un vescovo, Bernardino Nogara, e si dedica a speculazioni
sul mercato dell’oro e delle valute. Poi, con l’avvento di papa Eugenio Pacelli (Pio XII), viene trasformato in “Istituto
per le Opere di religione” (Ior) il 27 giugno 1942; una vera e propria banca vaticana con autonoma personalità giuridica.
A Nogara si affiancano il principe Massimo Spada più un po’ di parenti del papà (Carlo, Marcantonio e Giulio Pacelli) e
l’Istituto si lancia nel rastrellamento dei pacchetti azionari di controllo di vari istituti bancari. In particolare la Banca
Cattolica del Veneto e la sede svizzera del Banco di Roma.

Un attivismo affaristico e speculativo che si interrompe con l’avvento di Giovanni XXIII, che per le esigenze del
proprio papato attinge soprattutto all’Obolo di San Pietro (le donazioni della comunità cattolica mondiale); per poi
riprendere alla grande con il suo successore. Appunto, Paolo VI.

Secondo il giornalista Mario Guarino due sono le ragioni di questa scelta: la riduzione dei flussi dell’Obolo (da 19
miliardi di lire a meno di 5) a seguite del venire meno dell’effetto-popolarità di papa Roncalli; soprattutto «l’incognita
della nuova legislazione fiscale italiana, che dal dicembre 1962 impone una tassazione al 30% dei profitti derivati dai
dividendi azionari». Aggiunge Guarino: «Per le sue speculazioni sui mercati azionari, il Vaticano pretenderebbe un
regime di totale esenzione fiscale: la Democrazia Cristiana è d’accordo, ma il partito socialista (che sostiene il primo
governo di centro-sinistra, guidato da Aldo Moro) è contrario ad accordare l’iniqua sanzione»6. Nel 1968 il governo
italiano conferma che il Vaticano è tenuto a pagare le tasse sui profitti azionari, e il pregresso andrà versato entro fine
anno.

Bisogna correre ai ripari. Nasce così il tandem tra Michele Sindona (avvocato siciliano milanesizzato, legato alla Mafia
italoamericana e affiliato alla Massoneria, che papa Montini aveva avuto modo di apprezzare già al tempo in cui
guidava la diocesi ambrosiana) e monsignor Paul Casimir Marcinkus da Cicero, sobborgo di Chicago, che viene
insediato ai vertici dello Ior. La prima operazione del duo è quella di parcheggiare azioni dell’Istituto nel paradiso
fiscale lussemburghese. E presto il duo diventerà trio (o forse quartetto) imbarcando il banchiere cattolico e massone
Roberto Calvi, boss del Banco Ambrosiano; la milanese “banca dei preti”. Nel 1971 il terzetto Sindona-Marcinkus-
Calvi fonda a Nassau, zona franca delle Bahamas specializzata in operazioni off shore, la Cisalpine Overseas Bank,
ennesimo canale per il riciclaggio di denaro e area di parcheggio per obbligazioni che scottano. Particolare inquietante
dell’accordo da cui prende corpo il cosiddetto “Trio dell’Ave Maria” è che questo viene stipulato il giorno di Natale
1960 nello studio romano del banchiere italo-uruguagio Umberto Ortolani7, numero due della gelliana Loggia P2. Così
anche l’ombra del maestro venerabile Licio Gelli si stende sull’intera vicenda. Non per niente, quando nel 1977
“L’Europeo” diretto da Gianluigi Melega inizierà a pubblicare un’inchiesta sul patrimonio mobiliare e immobiliare
vaticano in Italia a cura di Paolo Ojetti8, Rizzoli-Corsera editore del settimanale – il cui vertice era ormai totalmente
piduizzato – provvederà a bloccare subito l’inchiesta sgradita e al conseguente licenziamento di Melega.

Sono gli anni di un folle volo dai ben noti esiti criminali, con Sindona avvelenato nelle carceri di Voghera e Calvi
impiccato sotto un ponte di Londra. E la finanza nera si tinge di rosso sangue, non solo l’11 giugno 1979 per
l’assassinio – ad opera del killer di Cosa Nostra William Aricò – dell’avvocato Giorgio Ambrosoli liquidatore
dell’impero bancario sindoniano; di cui pure monsignor Marcinkus è stato artefice. Anche per l’oscura vicenda legata al
nome di papa Albino Luciani.

28 settembre 1978: il neo papa Giovanni Paolo I annuncia al segretario di Stato Jean Villot l’intenzione, il giorno
seguente, di sostituire Marcinkus e avviare un’inchiesta sulle infiltrazioni massoniche in Vaticano. Il giorno seguente –




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invece – sarà rinvenuto cadavere. Un decesso che la mai avvenuta autopsia e l’immediata imbalsamazione del corpo
rendono (apparentemente) inspiegabile. Sta di fatto che il suo successore, il papa in odore di santità Karol Wojtyla,
confermerà Marcinkus alla guida della finanza vaticana e poi lo premierà promuovendolo arcivescovo. Solo le proteste
della stampa e della pubblica opinione ne impediranno l’elevazione alla porpora cardinalizia. Si dice che il papa polacco
avesse troppo bisogno dell’uomo di Cicero per far giungere finanziamenti a Solidarnosc e destabilizzare il regime
comunista del generale Jaruzelski. Varsavia vale bene un prelato in combutta con massoni e mafiosi!

Il buco finanziario lasciato dalle scorribande degli anni precedenti sarà colmato proclamando nel 1983 un Anno Santo
straordinario per fare cassa.

Al di là dell’orrido insito in queste storie vaticane e dintorni, resta chiaro il disegno che da decenni guida la politica
della (cosiddetta) Santa Sede: costituire un polo finanziario alternativo alla finanza laica. Un disegno per cui, negli anni
a venire, daranno il loro peggio nuovi personaggi orribili.

Nel frattempo si susseguiranno le operazioni sospette. Ad esempio Don Luigi Verzè realizzerà le sue speculazioni
edilizie craxiano-berlusconiane e Padre Pio combatterà con i suoi confratelli cappuccini una dura guerra per intercettare
donazioni facendosi dispensare dal voto di povertà, il cardinale Michele Giordano difenderà la Curia napoletana nel
caso di chiese trasformate in locali per disco dance e sarà accusato di usura. La Compagnia delle Opere, braccio armato
di Comunione e Liberazione, continuerà nella sua opera di colonizzazione affaristica della società, specie nei territori in
cui dispone di una sponda nelle istituzioni, come la Lombardia del Governatore Formigoni (scoperto a trafficare con
l’Iraq di Saddam Hussein nell’operazione Food for Oil e grande protettore del pulviscolo di Onlus della Compagnia che
fanno incetta di ticket regionali per i servizi alla persona). Lo Ior sarà – come dire? – sfiorato dalle inchieste di Mani
Pulite. Verrà partorito il mega-imbroglio dell’8xmille sull’Irpef come meccanismo di finanziamento pubblico alla
Chiesa Cattolica9.

Ma, al giro di millennio, due soggetti risultano essere i protagonisti più attivi al servizio delle aspirazioni finanziarie
ecclesiastiche: la Banca d’Italia di Antonio Fazio e l’Opus Dei, l’organizzazione creata nel 1928 da Josemaria Escrivà
de Balaguer come potentissima “massoneria clericale”, stante la segretezza dei suoi affiliati; quanto cara a papa Wojtyla
e al generone di Sinistra (da Lucio Dalla a Massimo d’Alema).

Le vicende del 2005 legate al “caso Fazio” – le malefatte del Governatore di Bankitalia, in combutta con il ragionier
Gianpiero Fiorani boss del Banco di Lodi (quello che si appropriava dei fondi dei correntisti deceduti) e “furbetti” vari –
sono ormai cronaca di una scorribanda andata a male. Cioè il tentativo sventato dell’uomo di Ciociaria (e dell’Opus
Dei), asceso ai vertici della suprema istituzione finanziaria italiana, di conquistare illegalmente un pezzo importante del
sistema bancario nazionale (Bnl e Ambroveneta) in nome di una presunta cattolicità dei riders in pista.

Molto più oscura è la natura dell’altro soggetto – l’Opus Dei – e delle sue manovre. Sempre soffuse di mistero. Neppure
se ne conosce la consistenza patrimoniale. Le inchieste “amiche” parlano di 2,8 miliardi di dollari10. Dato che appare
abbondantemente sottostimato, visto che solo «il nuovo polo oncologico annesso al Politecnico del Campus Biomedico
(una delle due università dell’Opus nella capitale) [è] costato oltre 7 milioni di euro, “messi a disposizione – precisano i
comunicati ufficiali – dalla Regione Lazio e da un pool di donatori”. Ignoti»11.

Quello che si sa è che tra gli oltre ottantamila affiliati non tutti portano il cilicio. Come il chiacchierato finanziere
svizzero Tito Tettamanti, socio in affari del manager ex Fiat Vittorio Ghidella (indagato per truffa ai danni della Cassa
del Mezzogiorno), il top manager milanese Giuseppe Garofano, braccio finanziario di Raul Gardini nelle vicende
culminate con la catastrofe del Gruppo Ferruzzi e il suicidio dello stesso leader, o Peter Duft, processato per concorso in
ricatto ai danni di Roberto Calvi. Una storia, quella del presidente del Banco Ambrosiano, che apre spiragli sulle segrete
cose dell’Opus. Scrive Ferruccio Pinotti: «Il 15-16 giugno, a Londra, Calvi tenta una serie di contatti con esponenti
della comunità finanziaria per risolvere il forte indebitamento dell’Ambrosiano. Secondo quanto affermato da Carlo,
Anna e Clara Calvi in sede processuale, il banchiere cerca un salvataggio attraverso un intervento dell’Opus Dei. Il
finanziere venezuelano Alberto Jaimes Berti, presidente di Icclesia, afferma di aver incontrato Calvi il 16 giugno e di
aver ricevuto dal banchiere la richiesta di smobilitare un “fondo segreto” di 2500 milioni di dollari costituito per conto
dello Ior, dell’Opus Dei e di altre realtà»12. L’operazione non riesce e dopo due giorni l’incauto banchiere sarà ritrovato
morto.

Insomma, lascia davvero perplessi la qualità della compagnia con cui questi cattolici imbastiscono le loro imprese.

Ecco il dunque: nell’odierna Chiesa modernista si mescolano in un blend stupefacente medievalità e postmoderno.
Ossia, la corsa al potere temporale incrocia con curioso (e perverso) sincretismo elementi tipici della contemporaneità,
nella fine delle grandi narrazioni: le costruzioni ideologiche moderne. Da un lato la trasformazione del denaro da mezzo
a fine. Per dirla con un Simmel profetico, «nell’epoca contemporanea, come nell’epoca della decadenza in Grecia e a
Roma, l’aspetto complessivo della vita, i rapporti reciproci fra gli uomini, la cultura oggettiva sono caratterizzati
dall’interesse per il denaro. Può sembrare un’ironia dello sviluppo storico il fatto che, nell’attimo in cui i fini della vita




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soddisfacenti e definitivi dal punto di vista del loro contenuto si atrofizzano, prenda il loro posto e si rivesta della loro
forma proprio quel valore che è esclusivamente un mezzo e niente più»13.

Ma altrettanto postmoderna è questa tensione all’appartenenza, in cui ciò che davvero conta è la contiguità. Sia pure
nelle forme di bande e cordate, di patti leonini e inconfessabili. In cui la linea di demarcazione tra legale e illegale
scompare, a fronte delle esigenze di tutela del gruppo e dell’habitat in cui può prosperare. Genericamente la società
tradizionale di tipo patriarcale a clan, recalcitrante a ogni controllo legale. Nell’accettazione di qualunque collusione:
dalla Mafia in Italia o in America, ai rapporti della yakuza con alcuni capi del partito liberal-democratico giapponese.
Infischiandosene tranquillamente degli scandali che ne possono derivare.

In questo contesto, in cui la Chiesa si modernizza più alla Simmel che alla Weber (le sue figure di riferimento sono il
banchiere e l’affarista, non l’imprenditore), il colore dei soldi in Vaticano non appare diverso da quello nelle isole
Cayman.

Un solo commento in conclusione: quanto raccontato dovrebbe fare riflettere sull’effettiva, intrinseca, natura di
un’Istituzione religiosa che ha barattato Dio col Potere, identificato in Mammona. Capace di così implacabile
accanimento contro chi vorrebbe solamente vivere, amare e morire secondo personali inclinazioni; quanto pronta a
offrire paterna comprensione nei confronti di lestofanti, solo perché le porgono il proprio omaggio formale.

NOTE

1 Carlo A. Viano, Laicità e laicismo, “Critica Liberale”, febbraio-marzo 2005.

2 Alessandro Pizzorno, Le radici della politica assoluta, Feltrinelli Milano 1993, p. 53.

3 Ibidem, p. 49 .

4 Francesco Alberoni, Movimento e istituzione, Il Mulino, Bologna 1977, p. 330.

5 Lewis Mumford, La cultura delle città, Edizioni di Comunità Torino 1999, p. 64.

6 Mario Guarino, I mercanti del Vaticano, Kaos Ed. Milano 1999, pag. 13.

7 Ibidem, pag. 52.

8 Paolo Ojetti, Vaticano S.p.A., “L’Europeo”, 7 gennaio 1977.

9 Cinzia Sciutto, Chiesa pigliatutto, «Micromega» 4/2007.

10 John L. Allen, Opus Dei – la vera storia, Newton Compton Roma 2006, p. 192.

11 Rita Pennarola, www.lavocedellacampania.it.

12 Ferruccio Pinotti, Opus dei Segreti, Rizzoli, Milano 2007, p. 457.

13 Georg Simmel, Filosofia del denaro, Utet, Torino 1999, p. 344.




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Il colore dei soldi in Vaticano

  • 1. Untitled Document Page 1 of 5 Il colore dei soldi in Vaticano Pierfranco Pellizzetti (dalla rivista Critica liberale, settembre – novembre 2008, volume XV n.155-157, edizioni Dedalo)   Il denaro, in quanto è il mezzo assoluto, e, per questo, il punto che unisce infinite serie di fini, ha, nella sua forma psicologica, importanti connessioni proprio con l’immagine di Dio. Georg Simmel (Filosofia del denaro) Quando il 3 giugno 1963 Giovanni Battista Montini ascese al soglio di Pietro circolò subito una facezia: «perché ha scelto il nome di Paolo VI? Semplice, perché la famiglia Montini possiede un sesto del Banco San Paolo di Brescia». Infatti è sotto questo pontificato che il Vaticano verrà assumendo definitivamente i connotati di una merchant bank, seppure occulta. Di certo per ragioni molto concrete, senza trascurare anche l’origine bresciana del Sommo Pontefice (in effetti la città lombarda è da tempo un incubatore di finanzieri cattolici. Per primo Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa). Subisce così ulteriore accelerazione il processo iniziato già agli albori del cristianesimo, nello scontro tra due orientamenti divergenti, di fatto inconciliabili: quello ascetico e quello ierocratico. Con la vittoria del secondo; a partire dalla “falsa donazione di Costantino”, nella trasformazione (attraverso una serie di concili, da Nicea a Calcedonia) di un’eresia giudaica in religione di Stato, fino agli assetti teocratici che si imporranno nei territori direttamente controllati dal clero surrogando l’amministrazione romana in rovina. Sicché «il clero cristiano finì per contrapporsi al popolo dei credenti, rivendicando a se stesso l’accesso esclusivo ai testi rivelati e a tutto ciò che è sacro»1. La mutazione di un messaggio d’amore in struttura di potere, attraverso il controllo monopolistico della salvezza e delle terapie del dolore insito nella condizione umana; in cui essenza della Chiesa è sempre meno il movimento e sempre più l’istituzione. Quindi, la costante attenzione sia a presidiare il proprio spazio di dominio come a promuovere le aspirazioni e gli interessi materiali del proprio personale dirigente. La creazione di un ordine realizzato – come scrive Alessandro Pizzorno – affiancando altre risorse a quelle “spirituali”, di cui dispone direttamente: «il controllo del sapere, delle procedure normative, degli stati di devozione e della definizione dei nemici»2. Evoluzione già ben riconoscibile tra l’XI e il XII secolo, nello scontro tra movimento cluniacense e i riformatori gregoriani. Ancora Pizzorno: «Il primo aveva in mente la riforma morale della vita monastica, essendo orientato all’extramondano, non incline a lottare con gli imperatori, ma anzi pronto a cooperare con loro. I secondi miravano a una riforma generale di tutta la chiesa occidentale, erano ostili all’impero, che desideravano subordinare, e perseguivano un programma paragonabile a una rivoluzione politica. Quindi, si direbbe, le pretese di Cluny erano non politiche, quelle di Hildenbrand tipicamente politiche»3. Si può rappresentare tutto ciò in una sorta di “modello idraulico”, come condotta di scorrimento tra potere temporale e potere spirituale. Ricavandone che, negli anni successivi a papa Gregorio, il prevalente flusso a senso unico verso il temporalismo finirà per andare a scapito di una spiritualità gradatamente disseccata. Da qui le tensioni col rinascente bisogno di ascetismo, soprattutto a livello di basso clero, all’origine dei ricorrenti movimenti ereticali e delle endemiche rivolte (Patarini, Lollardi, Valdesi, Dolciniani, ma anche protojacqueries contadine) che – pur trovando una base nelle condizioni materiali degli umili e degli oppressi – si richiamano costantemente all’ideale perduto di una fede davvero pura, non inquinata dalla simonia. E l’utopia perderà la partita con la politica assoluta. Emblematica la vicenda di Francesco d’Assisi, inizialmente guardato con sospetto quale potenziale eretico dalle gerarchi ecclesiastiche, per il suo richiamo alla regola della povertà, poi santificato; appena l’alto clero comprende come la sua sottomissione al papa lo trasformi automaticamente in una formidabile carta da giocare contro la sovversione, proprio perché credenziale dell’ipotetica integrabilità di un’istanza alternativa nell’ordine vigente. «Da allora esso diventerà il più potente strumento per contrastare il passo ai movimenti che sviluppano il disegno opposto, quello della rivolta»4. Umberto Eco ha reso letterariamente questo inconsapevole ruolo di puntello del Potere svolto dal francescanesimo nel suo romanzo Il nome della rosa, in cui – secondo una lettura metaforicamente attualizzata del testo – i frati poverelli corrisponderebbero al Pci berlingueriano all’inizio anni ’70 del secolo scorso, nella sua opera di contrasto del terrorismo armato delle Brigate Rosse (a loro volta simboleggiate dai dolciniani) a vantaggio dell’egemonia democristiana. Palmiro Togliatti, due decenni prima, avrebbe parlato sarcasticamente di “utili idioti” (ma che dire di lui, quando nel marzo 1947 si sancì la costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi nel malfamato art. 7 della nostra Legge Fondamentale grazie anche ai 95 voti comunisti, a fronte di ipotetici vantaggi politici mai incassati?). Perché il nocciolo vero non sta certo nell’eroismo delle minoranze ascetiche, che fungono da foglia di fico di un dominio che ha smarrito ogni ragione ideale. Per la Chiesa un dato di fatto plurisecolare. Come descritto già nel 1938 dallo storico del fenomeno urbano Lewis file://C:Documents and SettingsAdministratorDesktopproxsoldivatic.htm 25/03/2010
  • 2. Untitled Document Page 2 of 5 Mumford: . «nella città medievale la Chiesa era una dominante: nessun settore della vita mancava di attestare la sua esistenza e il suo influsso. Nelle grandi capitali del Seicento la Chiesa era diventata una regressione; ancora una presenza visibile ed imponente ma non più una forza sociale unificatrice e dinamica. Nella metropoli moderna la Chiesa è una sopravvivenza: la sua potenza è basata sul numero, sulla ricchezza, sull’organizzazione materiale, ma non più sulla capacità di dare la propria impronta alle attività quotidiane degli uomini»5. Smarrita la purezza del messaggio, l’istituzione politica Chiesa si puntella – come si diceva – attraverso la comunicazione che colonizza gli immaginari, la capacità organizzativa e l’acquisizione di risorse materiali, le ricchezze. Ricchezza che in epoca moderna, in cui i patrimoni inerti si attivano nella riproduzione del capitale attraverso il profitto, vira dal materiale al simbolico finanziario. Il denaro. La Chiesa, in età capitalistica, tradurrà l’ormai interiorizzato cinismo, che ne permea da secoli la natura più profonda, supportando l’Istituzione di potere con adeguate istituzioni finanziarie. Operazione che prende avvio in Italia nei primi decenni del ‘900 grazie al Fascismo. L’11 febbraio 1929 Benito Mussolini e il cardinale Gasparri firmano i Patti Lateranensi, articolati in tre parti: un Trattato, un Concordato e una Convenzione finanziaria in cui si riconosce al Vaticano l’esenzione da tasse e dazi, nonché un “risarcimento per danni patiti” pari a circa 1 miliardo di attuali euro. Grazie a questo “tesoretto” papa Pio XI istituisce l’“Amministrazione speciale delle Opere di religione”. Tesoretto che sarà ulteriormente incrementato il 20 luglio 1933 da un analogo Concordato tra Vaticano e la Germania di Hitler. L’ente finanziario appena istituito viene affidato al fratello di un vescovo, Bernardino Nogara, e si dedica a speculazioni sul mercato dell’oro e delle valute. Poi, con l’avvento di papa Eugenio Pacelli (Pio XII), viene trasformato in “Istituto per le Opere di religione” (Ior) il 27 giugno 1942; una vera e propria banca vaticana con autonoma personalità giuridica. A Nogara si affiancano il principe Massimo Spada più un po’ di parenti del papà (Carlo, Marcantonio e Giulio Pacelli) e l’Istituto si lancia nel rastrellamento dei pacchetti azionari di controllo di vari istituti bancari. In particolare la Banca Cattolica del Veneto e la sede svizzera del Banco di Roma. Un attivismo affaristico e speculativo che si interrompe con l’avvento di Giovanni XXIII, che per le esigenze del proprio papato attinge soprattutto all’Obolo di San Pietro (le donazioni della comunità cattolica mondiale); per poi riprendere alla grande con il suo successore. Appunto, Paolo VI. Secondo il giornalista Mario Guarino due sono le ragioni di questa scelta: la riduzione dei flussi dell’Obolo (da 19 miliardi di lire a meno di 5) a seguite del venire meno dell’effetto-popolarità di papa Roncalli; soprattutto «l’incognita della nuova legislazione fiscale italiana, che dal dicembre 1962 impone una tassazione al 30% dei profitti derivati dai dividendi azionari». Aggiunge Guarino: «Per le sue speculazioni sui mercati azionari, il Vaticano pretenderebbe un regime di totale esenzione fiscale: la Democrazia Cristiana è d’accordo, ma il partito socialista (che sostiene il primo governo di centro-sinistra, guidato da Aldo Moro) è contrario ad accordare l’iniqua sanzione»6. Nel 1968 il governo italiano conferma che il Vaticano è tenuto a pagare le tasse sui profitti azionari, e il pregresso andrà versato entro fine anno. Bisogna correre ai ripari. Nasce così il tandem tra Michele Sindona (avvocato siciliano milanesizzato, legato alla Mafia italoamericana e affiliato alla Massoneria, che papa Montini aveva avuto modo di apprezzare già al tempo in cui guidava la diocesi ambrosiana) e monsignor Paul Casimir Marcinkus da Cicero, sobborgo di Chicago, che viene insediato ai vertici dello Ior. La prima operazione del duo è quella di parcheggiare azioni dell’Istituto nel paradiso fiscale lussemburghese. E presto il duo diventerà trio (o forse quartetto) imbarcando il banchiere cattolico e massone Roberto Calvi, boss del Banco Ambrosiano; la milanese “banca dei preti”. Nel 1971 il terzetto Sindona-Marcinkus- Calvi fonda a Nassau, zona franca delle Bahamas specializzata in operazioni off shore, la Cisalpine Overseas Bank, ennesimo canale per il riciclaggio di denaro e area di parcheggio per obbligazioni che scottano. Particolare inquietante dell’accordo da cui prende corpo il cosiddetto “Trio dell’Ave Maria” è che questo viene stipulato il giorno di Natale 1960 nello studio romano del banchiere italo-uruguagio Umberto Ortolani7, numero due della gelliana Loggia P2. Così anche l’ombra del maestro venerabile Licio Gelli si stende sull’intera vicenda. Non per niente, quando nel 1977 “L’Europeo” diretto da Gianluigi Melega inizierà a pubblicare un’inchiesta sul patrimonio mobiliare e immobiliare vaticano in Italia a cura di Paolo Ojetti8, Rizzoli-Corsera editore del settimanale – il cui vertice era ormai totalmente piduizzato – provvederà a bloccare subito l’inchiesta sgradita e al conseguente licenziamento di Melega. Sono gli anni di un folle volo dai ben noti esiti criminali, con Sindona avvelenato nelle carceri di Voghera e Calvi impiccato sotto un ponte di Londra. E la finanza nera si tinge di rosso sangue, non solo l’11 giugno 1979 per l’assassinio – ad opera del killer di Cosa Nostra William Aricò – dell’avvocato Giorgio Ambrosoli liquidatore dell’impero bancario sindoniano; di cui pure monsignor Marcinkus è stato artefice. Anche per l’oscura vicenda legata al nome di papa Albino Luciani. 28 settembre 1978: il neo papa Giovanni Paolo I annuncia al segretario di Stato Jean Villot l’intenzione, il giorno seguente, di sostituire Marcinkus e avviare un’inchiesta sulle infiltrazioni massoniche in Vaticano. Il giorno seguente – file://C:Documents and SettingsAdministratorDesktopproxsoldivatic.htm 25/03/2010
  • 3. Untitled Document Page 3 of 5 invece – sarà rinvenuto cadavere. Un decesso che la mai avvenuta autopsia e l’immediata imbalsamazione del corpo rendono (apparentemente) inspiegabile. Sta di fatto che il suo successore, il papa in odore di santità Karol Wojtyla, confermerà Marcinkus alla guida della finanza vaticana e poi lo premierà promuovendolo arcivescovo. Solo le proteste della stampa e della pubblica opinione ne impediranno l’elevazione alla porpora cardinalizia. Si dice che il papa polacco avesse troppo bisogno dell’uomo di Cicero per far giungere finanziamenti a Solidarnosc e destabilizzare il regime comunista del generale Jaruzelski. Varsavia vale bene un prelato in combutta con massoni e mafiosi! Il buco finanziario lasciato dalle scorribande degli anni precedenti sarà colmato proclamando nel 1983 un Anno Santo straordinario per fare cassa. Al di là dell’orrido insito in queste storie vaticane e dintorni, resta chiaro il disegno che da decenni guida la politica della (cosiddetta) Santa Sede: costituire un polo finanziario alternativo alla finanza laica. Un disegno per cui, negli anni a venire, daranno il loro peggio nuovi personaggi orribili. Nel frattempo si susseguiranno le operazioni sospette. Ad esempio Don Luigi Verzè realizzerà le sue speculazioni edilizie craxiano-berlusconiane e Padre Pio combatterà con i suoi confratelli cappuccini una dura guerra per intercettare donazioni facendosi dispensare dal voto di povertà, il cardinale Michele Giordano difenderà la Curia napoletana nel caso di chiese trasformate in locali per disco dance e sarà accusato di usura. La Compagnia delle Opere, braccio armato di Comunione e Liberazione, continuerà nella sua opera di colonizzazione affaristica della società, specie nei territori in cui dispone di una sponda nelle istituzioni, come la Lombardia del Governatore Formigoni (scoperto a trafficare con l’Iraq di Saddam Hussein nell’operazione Food for Oil e grande protettore del pulviscolo di Onlus della Compagnia che fanno incetta di ticket regionali per i servizi alla persona). Lo Ior sarà – come dire? – sfiorato dalle inchieste di Mani Pulite. Verrà partorito il mega-imbroglio dell’8xmille sull’Irpef come meccanismo di finanziamento pubblico alla Chiesa Cattolica9. Ma, al giro di millennio, due soggetti risultano essere i protagonisti più attivi al servizio delle aspirazioni finanziarie ecclesiastiche: la Banca d’Italia di Antonio Fazio e l’Opus Dei, l’organizzazione creata nel 1928 da Josemaria Escrivà de Balaguer come potentissima “massoneria clericale”, stante la segretezza dei suoi affiliati; quanto cara a papa Wojtyla e al generone di Sinistra (da Lucio Dalla a Massimo d’Alema). Le vicende del 2005 legate al “caso Fazio” – le malefatte del Governatore di Bankitalia, in combutta con il ragionier Gianpiero Fiorani boss del Banco di Lodi (quello che si appropriava dei fondi dei correntisti deceduti) e “furbetti” vari – sono ormai cronaca di una scorribanda andata a male. Cioè il tentativo sventato dell’uomo di Ciociaria (e dell’Opus Dei), asceso ai vertici della suprema istituzione finanziaria italiana, di conquistare illegalmente un pezzo importante del sistema bancario nazionale (Bnl e Ambroveneta) in nome di una presunta cattolicità dei riders in pista. Molto più oscura è la natura dell’altro soggetto – l’Opus Dei – e delle sue manovre. Sempre soffuse di mistero. Neppure se ne conosce la consistenza patrimoniale. Le inchieste “amiche” parlano di 2,8 miliardi di dollari10. Dato che appare abbondantemente sottostimato, visto che solo «il nuovo polo oncologico annesso al Politecnico del Campus Biomedico (una delle due università dell’Opus nella capitale) [è] costato oltre 7 milioni di euro, “messi a disposizione – precisano i comunicati ufficiali – dalla Regione Lazio e da un pool di donatori”. Ignoti»11. Quello che si sa è che tra gli oltre ottantamila affiliati non tutti portano il cilicio. Come il chiacchierato finanziere svizzero Tito Tettamanti, socio in affari del manager ex Fiat Vittorio Ghidella (indagato per truffa ai danni della Cassa del Mezzogiorno), il top manager milanese Giuseppe Garofano, braccio finanziario di Raul Gardini nelle vicende culminate con la catastrofe del Gruppo Ferruzzi e il suicidio dello stesso leader, o Peter Duft, processato per concorso in ricatto ai danni di Roberto Calvi. Una storia, quella del presidente del Banco Ambrosiano, che apre spiragli sulle segrete cose dell’Opus. Scrive Ferruccio Pinotti: «Il 15-16 giugno, a Londra, Calvi tenta una serie di contatti con esponenti della comunità finanziaria per risolvere il forte indebitamento dell’Ambrosiano. Secondo quanto affermato da Carlo, Anna e Clara Calvi in sede processuale, il banchiere cerca un salvataggio attraverso un intervento dell’Opus Dei. Il finanziere venezuelano Alberto Jaimes Berti, presidente di Icclesia, afferma di aver incontrato Calvi il 16 giugno e di aver ricevuto dal banchiere la richiesta di smobilitare un “fondo segreto” di 2500 milioni di dollari costituito per conto dello Ior, dell’Opus Dei e di altre realtà»12. L’operazione non riesce e dopo due giorni l’incauto banchiere sarà ritrovato morto. Insomma, lascia davvero perplessi la qualità della compagnia con cui questi cattolici imbastiscono le loro imprese. Ecco il dunque: nell’odierna Chiesa modernista si mescolano in un blend stupefacente medievalità e postmoderno. Ossia, la corsa al potere temporale incrocia con curioso (e perverso) sincretismo elementi tipici della contemporaneità, nella fine delle grandi narrazioni: le costruzioni ideologiche moderne. Da un lato la trasformazione del denaro da mezzo a fine. Per dirla con un Simmel profetico, «nell’epoca contemporanea, come nell’epoca della decadenza in Grecia e a Roma, l’aspetto complessivo della vita, i rapporti reciproci fra gli uomini, la cultura oggettiva sono caratterizzati dall’interesse per il denaro. Può sembrare un’ironia dello sviluppo storico il fatto che, nell’attimo in cui i fini della vita file://C:Documents and SettingsAdministratorDesktopproxsoldivatic.htm 25/03/2010
  • 4. Untitled Document Page 4 of 5 soddisfacenti e definitivi dal punto di vista del loro contenuto si atrofizzano, prenda il loro posto e si rivesta della loro forma proprio quel valore che è esclusivamente un mezzo e niente più»13. Ma altrettanto postmoderna è questa tensione all’appartenenza, in cui ciò che davvero conta è la contiguità. Sia pure nelle forme di bande e cordate, di patti leonini e inconfessabili. In cui la linea di demarcazione tra legale e illegale scompare, a fronte delle esigenze di tutela del gruppo e dell’habitat in cui può prosperare. Genericamente la società tradizionale di tipo patriarcale a clan, recalcitrante a ogni controllo legale. Nell’accettazione di qualunque collusione: dalla Mafia in Italia o in America, ai rapporti della yakuza con alcuni capi del partito liberal-democratico giapponese. Infischiandosene tranquillamente degli scandali che ne possono derivare. In questo contesto, in cui la Chiesa si modernizza più alla Simmel che alla Weber (le sue figure di riferimento sono il banchiere e l’affarista, non l’imprenditore), il colore dei soldi in Vaticano non appare diverso da quello nelle isole Cayman. Un solo commento in conclusione: quanto raccontato dovrebbe fare riflettere sull’effettiva, intrinseca, natura di un’Istituzione religiosa che ha barattato Dio col Potere, identificato in Mammona. Capace di così implacabile accanimento contro chi vorrebbe solamente vivere, amare e morire secondo personali inclinazioni; quanto pronta a offrire paterna comprensione nei confronti di lestofanti, solo perché le porgono il proprio omaggio formale. NOTE 1 Carlo A. Viano, Laicità e laicismo, “Critica Liberale”, febbraio-marzo 2005. 2 Alessandro Pizzorno, Le radici della politica assoluta, Feltrinelli Milano 1993, p. 53. 3 Ibidem, p. 49 . 4 Francesco Alberoni, Movimento e istituzione, Il Mulino, Bologna 1977, p. 330. 5 Lewis Mumford, La cultura delle città, Edizioni di Comunità Torino 1999, p. 64. 6 Mario Guarino, I mercanti del Vaticano, Kaos Ed. Milano 1999, pag. 13. 7 Ibidem, pag. 52. 8 Paolo Ojetti, Vaticano S.p.A., “L’Europeo”, 7 gennaio 1977. 9 Cinzia Sciutto, Chiesa pigliatutto, «Micromega» 4/2007. 10 John L. Allen, Opus Dei – la vera storia, Newton Compton Roma 2006, p. 192. 11 Rita Pennarola, www.lavocedellacampania.it. 12 Ferruccio Pinotti, Opus dei Segreti, Rizzoli, Milano 2007, p. 457. 13 Georg Simmel, Filosofia del denaro, Utet, Torino 1999, p. 344. file://C:Documents and SettingsAdministratorDesktopproxsoldivatic.htm 25/03/2010
  • 5. Untitled Document Page 5 of 5 file://C:Documents and SettingsAdministratorDesktopproxsoldivatic.htm 25/03/2010