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Anno VIII n. 02 Febbraio 2015 Supplemento mensile del settimanale in pdf Heos.it
Il senso della Repubblica
NEL XXI SECOLO
QUADERNI DI STORIA E FILOSOFIA
ALL’INTERNO
N
essuno, finora, ha spiegato
in modo convincente quali
importanti riforme, dal
1948 ad oggi, siano state
bloccate o impedite dalla Costituzione
della Repubblica italiana.
Alcune delle riforme in via di attua-
zione o caldeggiate puntano a una
drastica modifica della Costituzione o
hanno l’obiettivo di accelerare l’iter
legis. Viene raccontato che nell’epoca
in cui tutto corre velocemente anche le
leggi debbano essere promulgate in
tempi ristrettissimi: come se l’eterna
emergenza fossa la sola regola.
È vero l’esatto contrario. Questo
concetto maschera semplicemente
non solo lo snaturamento del “sistema
democratico”, ma soprattutto evidenza
l’affermarsi di una sorta di dispotismo
cieco e pericoloso che rincorre la quo-
tidianità senza progetto o costrutto.
Uno dei grandi problemi del nostro
Paese non è stato rappresentato
dall’assenza di leggi, ma, semmai,
dall’eccesso di leggi: contraddittorie,
inapplicate (ad esempio per mancanza
dei decreti o delle circolari attuative) o,
addirittura, in contrasto con altre leggi
tutt’ora in vigore che le nuove norme
non si erano premunite di sostituire o
abrogare. Ne è nato il caos burocratico
(Continua a pagina 2)
“C’è un quadro di Klee che s’intitola
Angelus Novus. Vi si trova un angelo
che sembra in atto di allontanarsi da
qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli
occhi spalancati, la bocca aperta, le ali
distese. L’angelo della storia deve
avere questo aspetto. Ha il viso rivol-
to al passato. Dove ci appare una ca-
tena di eventi, egli vede una sola cata-
strofe, che accumula senza tregua
rovine su rovine e le rovescia ai suoi
piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi,
destare i morti e ricomporre l’infran-
to. Ma una tempesta spira dal paradi-
so, che si è impigliata nelle sue ali, ed
è così forte che gli non può chiuderle.
Questa tempesta lo spinge irresistibil-
mente nel futuro, a cui volge le spalle,
mentre il cumulo delle rovine sale
davanti a lui al cielo. Ciò che chiamia-
mo il progresso, è questa tempesta.”
Walter Benjamin, Tesi di filosofia
della storia (IX tesi)
L
’ Angelus Novus di Paul Klee,
che divenne il messianico
protagonista della IX tesi di
Tesi di filosofia della storia,
era stato acquistato nel 1921 da Wal-
ter Benjamin e da allora lo accompa-
gnò quasi sempre nelle sue peregrina-
zioni in Europa. Forse in un nessun
altro luogo della produzione benjami-
niana, nella tesi IX è espresso il di-
sprezzo benjaminiano per l’ideologia
del progresso, un progresso che in
questa ingenua visione si doveva svi-
luppare all’infinito e lungo un vettore
assolutamente lineare. Del tutto reali-
sticamente Benjamin rifiutava questa
ottimistica e consolatoria visione ma,
(Continua a pagina 2)
WALTER BENJAMIN, IPERDECISIONISMO
E REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO
LO STATO DI ECCEZIONE
COME REGOLA
IL POPOLO DEI MODERNI
DI PAOLO PROTOPAPA
PAG. 5
di MASSIMO MORIGI
CLIONET, LA RETE DI STUDIOSI
E PROFESSIONISTI PER LE LIBERTÀ LOCALI
PAG. 6
POCHE
E CAUTE
LEGGI…
di SAURO MATTARELLI
2
Il senso della Repubblica
QUADERNI DI STORIA E FILOSOFIA NEL XXI SECOLO
Supplemento mensile della newsletter settimanale in pdf Heos.it
Redazione Heos Editrice Via Muselle, 940 - 37050 Isola Rizza (Vr) Italy
Tel + fax ++39 045 69 70 187 ++39 345 92 95 137 heos@heos.it www.heos.it
Direttore editoriale: Sauro Mattarelli (email: smattarelli@virgilio.it) Direttore responsabile Umberto Pivatello
Comitato di redazione: Thomas Casadei, Maria Grazia Lenzi, Giuseppe Moscati, Piero Venturelli
Direzione scientifica e redazione: via Fosso Nuovo, 5 48020 S. P. in Vincoli - Ravenna (Italy)Tel. ++39 0544 551810
In collaborazione con “Cooperativa Pensiero e Azione” - Ravenna - Presidente Paolo Barbieri
N. 02 Febbraio 2015
SR
Tiratura: 8.112
e mail inviate
QUADERNI DI S&F
apparentemente del tutto
irrealisticamente, per Ben-
jamin quello che il futuro
negava e non ci poteva ga-
rantire era riservato al pas-
sato: per Benjamin la rivolu-
zione doveva, in primo luo-
go, compiere un’azione di
salvezza verso tutti coloro
che dai dominatori della
storia erano stati sottomessi
ed eliminati sia a livello individuale che come gruppi sociali
e/o etnici. Apparentemente, dal punto di vista personale ed
anche dell’elaborazione dottrinale del repubblicanesimo
(Continua da pagina 1)
geopolitico, nulla ci potrebbe di essere più distante, non
tanto per quanto riguarda il rifiuto dell’ideologia del pro-
gresso, dal messianismo rivolto al passato dalla IX tesi e
dalla struggente immagine dell’Angelus Novus Benjaminia-
no che passivamente trasportato dal vento che gli spira fra
le ali ha “il viso rivolto verso il passato” ma la grandissima
attualità di Benjamin insiste sul fatto che in quest’autore
convivono due aspetti che a prima vista sembrano assoluta-
mente antitetici.
Del misticismo soteriologico rivolto a resuscitare gli
sconfitti abbiamo già accennato, vediamo ora di focalizzarci
sul suo realismo politico. Scrive Benjamin nella VIII tesi di
Tesi di filosofia della storia: “La tradizione degli oppressi ci
insegna che lo ‘stato di eccezione’ in cui viviamo è la regola.
Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda
a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compi-
to, la creazione del vero stato di eccezione; e ciò migliorerà
la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua for-
tuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo
combattono in nome del progresso come di una legge stori-
ca. Lo stupore perché le cose che viviamo sono ‘ancora’ pos-
(Continua a pagina 3)
LO STATO DI ECCEZIONE COME REGOLA
che ogni cittadino vive dolorosamente
sulla sua pelle ogni giorno.
Si cavalca la spinta populistica contro
gli sprechi (come se gli sprechi fossero
le istituzioni e non la corruzione, la
delinquenza, la cattiva gestione) per
abolire il Senato, sbilanciare i poteri e
stravolgere la Costituzione in omaggio
dunque non a una filosofia del miglio-
ramento (tutto è migliorabile) ma del
vuoto: quello che consente ai pochi
potenti, a qualche furbo e a qualche
lacchè di farsi le sue grida nel mo-
mento più conveniente, di arricchirsi a
scapito di milioni di nuovi poveri e di
farsi beffa della gente, delle regole, dei
principi e perfino del buon senso.
In queste giornate le ultime rocca-
forti mazziniane hanno celebrato la
Repubblica Romana del 1849, che tra
l’altro emanò una Costituzione che ha
profondamente ispirato quella del
1948. Doveroso richiamare il monito
del triumvirato di quella Repubblica:
“poche e caute leggi, ma vigilanza de-
cisa sull’esecuzione….” ▪
POCHE E CAUTE LEGGI ...
A lato, l’Angelus Novus
di Paul Klee
3
QUADERNI DI S&FN. 02 Febbraio 2015
sibili nel ventesimo secolo è tutt’altro
che filosofico. Non è all’inizio di nessu-
na conoscenza, se non di quella che
l’idea di storia da cui proviene non sta
più in piedi.”
Cogliamo qui un Benjamin iperde-
cisionista ben oltre il decisionismo di
Carl Schmitt, un iperdecisionismo ben-
jaminano che aveva ben capito, sem-
pre oltre Schmitt, che la decisione non
era tanto quell’elemento che stava
fuori dalla norma pur costituendone la
base logica ma, molto più semplice-
mente (e fondamentale) era (ed è)
sempre stata l’unica elementare nor-
ma di comportamento (e giudizio) de-
gli agenti strategici, di quelle classi,
cioè, dominanti che da sempre fanno
la storia. E concordando a questo pun-
to interamente con Benjamin, il repub-
blicanesimo geopolitico intende porta-
re questa consapevolezza del perenne
“stato di eccezione in cui viviamo” a
conoscenza di tutti coloro che sono
stati abbagliati dall’ideologizzazione
della democrazia operata dagli agenti
strategici, per i quali la decisione è da
sempre sicura norma ispiratrice della
loro azione concreta e di giudizio gene-
rale per comprendere come funziona-
no le cose del mondo.
Ancor più radicale di Carl Schmitt
per il quale lo stato di eccezione pur
stando alla base dell’ordinamento giu-
ridico non faceva parte, comunque,
dello stesso, Walter Benjamin aveva
compreso che lo stato di eccezione
andava ben al di là della visione sch-
mittiana di katechon, ultima mitica
risorsa cui fare ricorso per impedire la
dissoluzione dello stato ma costituiva,
bensì, la natura stessa dello stato e
della vita associata. Per essere ancora
più chiari: per Carl Schmitt uno stato di
eccezione che entra in scena solo nei
momenti di massima crisi; per Walter
Benjamin uno stato di eccezione conti-
nuamente ed incessantemente ope-
rante e in cui il suo mascheramento in
forme giuridiche è funzionale al man-
tenimento dei rapporti di dominio. Se
(Continua da pagina 2)
giustamente, ma con intento nemme-
no tanto nascostamente denigratorio,
il pensiero di Carl Schmitt è stato defi-
nito ‘decisionismo’, Walter Benjamin
apre al pensiero politico la dimensione
dell’iperdecisionismo.
Questo iperdecisionismo è un
aspetto del pensiero di Walter Benja-
min che finora non ha ricevuto alcuna
attenzione. Sì, é vero che molto è stato
scritto sui rapporti fra Walter Benjamin
e Carl Schmitt, molta acribia filologica
è stata spesa sull’argomento ma quello
che è totalmente mancato è un discor-
so sul significato in Benjamin di una
visione iperdecisionista e sul significato
per noi dell’iperdecisionismo benjami-
niano. Quella che è mancata, insom-
ma, è un’autentica visione filosofico-
politica, un vuoto di pensiero che è
segno, prima ancora di una incom-
prensione di Benjamin, della totale
cecità dell’attuale pensiero politico,
tutto, sui tempi che stiamo vivendo.
“L’idea di storia da cui proviene
non sta più in piedi”, quello che per
Benjamin era letteralmente spazzatu-
ra, una propaganda ancor peggio del
fascismo, era il concetto che la storia
fosse un processo immancabilmente
tendente al progresso, un progresso
che avrebbe immancabilmente solleva-
to l’uomo, in virtù di regole e leggi
sempre più razionali, dalla fatica della
decisione extra legem. Sconfitto il fa-
scismo, le società del secondo dopo-
guerra, quelle capitalistiche e quelle
socialiste indifferentemente, sono sta-
te basate proprio su questo principio,
il principio cioè che la norma ( che as-
sumesse più o meno una forma giuridi-
ca, poco importa: le società socialiste
avevano un rapporto più sciolto con la
lettera della legge ma assolutamente
(Continua a pagina 4)
LO STATO DI ECCEZIONE COME REGOLA
Walter Benjamin nel 1928
“L’IDEA DI STORIA DA CUI PROVIENE
NON STA PIÙ IN PIEDI”,
QUELLO CHE PER BENJAMIN ERA
LETTERALMENTE SPAZZATURA,
UNA PROPAGANDA ANCOR PEGGIO
DEL FASCISMO, ERA IL CONCETTO
CHE LA STORIA FOSSE UN PROCESSO
IMMANCABILMENTE TENDENTE
AL PROGRESSO,
UN PROGRESSO CHE AVREBBE
IMMANCABILMENTE SOLLEVATO
L’UOMO, IN VIRTÙ DI REGOLE
E LEGGI SEMPRE PIÙ RAZIONALI”
Carl Schmitt
4
QUADERNI DI S&F N. 02 Febbraio 2015
ferreo sulla loro costituzione materiale, l’impossibilità cioè
di mettere in discussione il ruolo del partito) non poteva
essere messa in discussione se non soppiantandola con
un’altra norma successiva generata secondo determinate
regole elettorali del gioco demo-
cratico (o della democrazia socia-
lista, nei paesi nella sfera d’in-
fluenza sovietica o politicamente
organizzati sulla scia della tradi-
zione politica della rivoluzione
bolscevica). Su questo principio si
sono edificate le liberaldemocra-
zie e i cosiddetti regimi del socia-
lismo reale ma si tratta di un prin-
cipio, come ben aveva visto Ben-
jamin, che non sta letteralmente
in piedi e svolge unicamente la
funzione di mascheramento dei
rapporti di dominio (rapporti di dominio che, anche se di-
svelati con prudente linguaggio dagli iniziati alle scienze
politiche, si cerca di giustificare, da parte dell’intellighenzia
e dai detentori del potere politico dediti alla riproduzione e
mantenimento di questi rapporti, col dire che costituiscono
un progresso rispetto al passato: un passo verso sempre
maggiore democrazia o un passo verso il comunismo nei
defunti paesi socialisti).
Causa, principalmente, la loro inefficienza economica e
rapporti di dominio all’interno di queste società non proprio
così totalitari come la pubblicistica e la scienza politica delle
liberaldemocrazie hanno sempre voluto far credere, le so-
cietà socialiste sono finite nel mitico bidone della storia e
quindi oggigiorno, eredi della vittoria sul nazifascismo, ri-
mangono su piazza le cosiddette società basate sulla demo-
crazia elettoralistica a suffragio universale. A chiunque sia
onesto e non voglia stancamente ripetere le illogiche assur-
dità sulla libertà e la democrazia che queste società consen-
tirebbero, risulta solarmente evidente che la democrazia in
queste società è del tutto allucinatoria mentre la libertà è,
per dirla brevemente e senza bisogno di far sfoggio di tanta
dottrina, per molti strati della popolazione, la libertà di mo-
rire di fame e di essere emarginati da qualsiasi processo
decisionale.
Se i nonsense ideologici sono però utili per stabilizzare
presso i ceti intellettuali, che è meglio definire per la loro
intima insipienza ceti semicolti, la teodicea della liberalde-
mocrazia, per gli strati con un livello di istruzione inferiore è
necessario qualcosa di diverso e di un livello ancora più bas-
so non tanto per celare la natura radicalmente violenta dei
rapporti di dominio ma, nel loro caso, per celare la presenza
stessa di questi rapporti. E senza dilungarci ulteriormente su
(Continua da pagina 3)
questo punto, la “società dello spettacolo”, una società
dello spettacolo che con quiz, informazione guidata e di
livello cavernicolo, terroristi di cui l’occidente non ha mai
alcuna responsabilità e farlocche invasioni aliene che, oltre
ad instillare il bisogno di un’autorità protettrice, non sono
altro che la ridicola copertura di esperimenti militari, svolge
egregiamente questo ruolo di “distrazione di massa”.
Concordando quindi pienamente con Benjamin, il repub-
blicanesimo geopolitico intende portare questa consapevo-
lezza del perenne “stato di ecce-
zione in cui viviamo” a conoscen-
za di tutti coloro che sono stati
abbagliati dall’ideologizzazione
della democrazia operata dagli
agenti strategici, per i quali la
decisione è da sempre sicura
norma ispiratrice della loro azio-
ne concreta e di giudizio generale
per comprendere come funziona-
no le cose del mondo. Se il timido
decisionismo di Schmitt era in
funzione conservatrice e in pe-
renne attesa – ed evocazione –
del mitico Katechon, il frenatore che avrebbe arrestato la
rivoluzione sempre incombente, l’ ‘iperdecisionismo’ benja-
miniano è invece il miglior farmaco mai messo punto per la
diffusione della consapevolezza presso i dominati che la
norma non è altro che la cristallizzazione di una decisione
originaria.
E se per comprendere che “Ciò che chiamiamo il pro-
gresso, è questa tempesta” è necessario il passaggio attra-
verso una soteriologia rivolta al passato, ben venga allora
anche il misticismo di Benjamin: un realismo giunto alla sua
massima maturazione ha ben compreso la lezione della I
tesi di Tesi di filosofia della storia dove si parla di un automa
infallibile nel gioco degli scacchi, il materialismo storico, che
è imbattibile al gioco degli scacchi ma questa imbattibilità gli
è fornita da un nano gobbo nascosto sotto il tavolo (la teolo-
gia) che abilissimo nel gioco manovra l’automa.
Per Benjamin è il nano teologico che comanda la parti-
ta e lo deve fare di nascosto (perché è piccolo e brutto e
quindi la sua presenza, oltre ad essere un barare sulle rego-
le del gioco, non sarebbe stata apprezzata da un pensiero,
benché progressista, solidamente realista, come pretendeva
di essere la vulgata marxista del tempo infestata, come del
resto l’odierno pensiero liberaldemocratico, dalla mala pian-
ta del positivismo). Per noi, meno mistici ma forse consape-
volmente più dialettici di Benjamin – e come lui integral-
mente antipositivisti, massimamente nella ridicola versione
neo à la Popper, tanto per essere chiari – , è alla fine difficile
distinguere ciò che è veramente realista da ciò che è mistico
e forse, a questo punto, ci siamo ricongiunti in toto con la
IX tesi di Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin.▪
LO STATO DI ECCEZIONE COME REGOLA
“A CHIUNQUE SIA ONESTO E NON VOGLIA
STANCAMENTE RIPETERE LE ILLOGICHE
ASSURDITÀ SULLA LIBERTÀ E LA DEMOCRAZIA
CHE QUESTE SOCIETÀ CONSENTIREBBERO,
RISULTA SOLARMENTE EVIDENTE
CHE LA DEMOCRAZIA IN QUESTE SOCIETÀ
È DEL TUTTO ALLUCINATORIA”
5
N. 02 Febbraio 2015 QUADERNI DI S&F
N
on è consueto, nell’amplis-
simo panorama pubblicisti-
co corrente, imbattersi in
un volumetto entro il quale
trovino equilibrio e armonia teoretica
lo studio rigoroso dei fondamenti e
l’ibridazione storica nella contempora-
neità. Concetto cardine di un siffatto
percorso narrativo è – sin dal titolo – il
popolo, introdotto e declinato nella
sua esuberanza semantica, ma intrica-
to nelle maglie antropologiche e tecni-
co-giuridiche che ne fanno un autenti-
co oggetto di filosofia della politica.
Nel primo capitolo (Il popolo dei
moderni) l’autore fissa lo statuto me-
todologico della ricerca che, pur
nell’essenzialità ermeneutica dell’ap-
proccio, non nasconde l’ambizione di
aggredire la tesi forte (schmittiana, e
non solo) del “rapporto genetico tra
modernità e politica” (cfr. p. 7). Il che
significa – se ci fosse il bisogno di
sottolinearlo – assumersi “in contro-
tendenza” l’onere di accreditare pro-
prio la modernità come il tempo
«durante il quale si dipana e si eviden-
IL POPOLO DEI MODERNI
zia la cruciale dimensione dell’impoliti-
co» (ibidem). Siamo agli antipodi sia
dell’esclusivismo teorico incentrato
sull’autonomia scientifica della politica
originata dal pensiero cinque-
seicentesco di Machiavelli, Hobbes,
Bodin, ecc., sia del common sense che
vuole la politicizzazione come
‘naturale’ processo di (ottimistica) so-
cializzazione dell’uomo. Ne discende la
depoliticizzazione del popolo e la sua
“totale subordinazione *…+ alla sua
accezione sociale” (cfr. p. 74), con la
pedissequa affermazione di quel
“modello impolitico di società” (S.
Wolin) e dei saperi conoscitivi che oggi
ne giustificano l’ascesa. Forse non sia-
mo lontani – lo diciamo incidentalmen-
te e paradossalmente – dal giovane
Marx che in un’ottica antihegeliana,
nella metà dell’Ottocento, ironizzava
sulla neutralizzazione politica delle
classi e sulla loro (simmetrica) riduzio-
ne a stand sociali.
Già da queste premesse, incardinate
ben al di là di una asettica trattazione
politologica, emerge la drammaticità –
acutamente percepita da Gatti – di
dover misurare e accordare la
‘fondabilità’ della politica, in quanto
scienza umana par excellence, con il
suo ‘effettuale’ esercizio democratico.
Democratico, ovviamente, in ultima
istanza, cioè come approdo del
“politico” ad una contemporaneità che
– contro ogni storicismo giustificazioni-
sta – si espone allo “scacco” di quella
insanabile dicotomia.
Se, come argomenta persuasivamen-
te Gatti, la rousseauiana “istituzione di
un popolo” (Du contrat social), contro
ed oltre la ‘natura’ che per secoli ne
aveva costituito il fondamento episte-
mico, si è rivelata fallimentare, allora
bisogna ripensarne l’intero significato
storico. Occorre, in altri termini, vaglia-
re criticamente e disincantatamente i
paradigmi teorici entro i quali e con i
quali il “moderno” ha costruito il com-
plesso edificio dell’ordinamento pub-
blico e dell’assiologia etica del
“sociale” che lo sorregge.
Aver immaginato – ci suggerisce
l’autore – un’idea di società affidata
alla ‘divina immanenza’ di un
(demiurgico) legislatore, oppure alla
solipsistica visione ingegneristica di
una democrazia governabile con
“tecnica costituzionale” da parte di
algide “minoranze autorizzate” (cfr. p.
79), è un grave errore. Un errore, insie-
me, storico e conoscitivo, ancorché
compiuto da analisti e classici del pen-
siero politico i quali, per altro verso,
hanno saputo dare un decisivo contri-
buto allo sviluppo delle scienze sociali.
Si tratta, dunque, di un limite teo-
retico che, muovendo da un’autentica
frattura antropologica consumata
sull’alèa vincente del realismo cosid-
detto scientifico tra Cinquecento e
Seicento (poi perfezionato con l’illumi-
nismo ed il positivismo) confluisce nel
formalismo giuridico della contempo-
(Continua a pagina 6)
di PAOLO PROTOPAPA
Roberto Gatti, Il popolo dei moderni.
Breve saggio su una finzione,
La Scuola Ed., Brescia 2014,
pp. 89, € 8,50
6
N. 02 Febbraio 2015
mus come Saint-Just «va alla ghigliotti-
na» convinto che bisogna «ammettere
che i princîpi hanno torto oppure rico-
noscere che il popolo e gli uomini sono
colpevoli» (p. 87). In tal modo il krátos
(ci si perdoni l’azzardo), prosciugato
della vita vera di passioni, di lotte col-
lettive e di contraddizioni che lo costi-
tuiscono, stinge nell’arido razionalismo
di un démos ossificato nella sua mum-
mificata astrattezza.
Sicché l’inquietante pendolarità tra
esaltazione organicistica e frantuma-
zione individualistica continua a impe-
raneità. Il popolo, espropriato – per
così dire – della sua corposità (e irridu-
cibilità storico-antropologica), non può
che transumanare in “finzione”. Popo-
lo che diventa l’irresistibile quanto
manipolato e manipolabile oggetto
‘anatomico’ (e strumentale artificio di
contesa) per sociologi e ideologi. I qua-
li sono spesso suoi sinceri difensori che
– ci ricorda Gatti – per il tramite di Ca-
(Continua da pagina 5)
IL POPOLO DEI MODERNI
L’obiettivo prioritario è di uscire dal contesto strettamente
accademico, per approfondire e valorizzare la storia delle
amministrazioni e del tessuto associativo e imprenditoriale
locale, intrecciando gli aspetti istituzionali, politici ed econo-
mici che innervano la vita dei territori. La sede dell’associa-
zione è a Bologna, nel cuore di una regione la cui storia è
caratterizzata da tradizioni politiche e civili particolarmente
attente alle libertà locali; un patrimonio di etica civile da
riscoprire e rilanciare di fronte alle sfide del XXI secolo.
Presidente di Clionet (e responsabile del settore “Storia
delle autonomie”) è Carlo De Maria. Del Consiglio direttivo
fanno parte anche Matteo Troilo, vicepresidente e respon-
sabile di Clionet per il settore “Storia del turismo”, Luca
Gorgolini, responsabile per la regione Marche, Tito Menza-
ni, responsabile del settore storia d’impresa e tesoriere
dell’associazione, e Fabio Montella, responsabile per la pro-
vincia di Modena. Forte di una rete di competenze ampia e
variegata, Clionet offre servizi culturali avanzati e di ricerca.
(Continua a pagina 7)
dire l’ipotesi di un popolo non più mul-
titude aveucle (moltitudine cieca), ma
protagonista plausibile e plurale di una
altrettanto plausibile democrazia di
cittadini sovrani. Perciò questo denso e
lucido libro di Roberto Gatti ci pare un
fecondo apporto filosofico, non solo
perché non preclude una via di uscita
dall’impasse in cui si trova il pensiero
politico odierno, ma soprattutto per i
preziosi stimoli teorici che offre al con-
fronto civile sul destino della nostra
inquieta democrazia. ▪
C
reare una rete di ricercatori indipendenti in grado
di offrire servizi culturali di qualità al di fuori degli
“steccati” tradizionali. È questa la principale mis-
sion di Clionet, associazione di ricerca storica e
promozione culturale attiva dal 2011 in Emilia Romagna e
Marche.
Clionet si presenta come un network fra studiosi e liberi
professionisti, collegati ad alcuni dei principali istituti storici
italiani, che svolgono attività di ricerca e di insegnamento a
livello universitario, nell’ambito delle discipline storiche.
STORIA DELLE AUTONOMIE SOCIALI E TERRITORIALI E DEL TESSUTO PRODUTTIVO:
TRA EMILIA ROMAGNA E MARCHE OPERATIVA UNA NUOVA ASSOCIAZIONE
CLIONET,
LA RETE DI STUDIOSI
E PROFESSIONISTI
PER LE LIBERTÀ LOCALI
In questa sede proponiamo la presentazione di Clionet,
un’associazione di ricerca sulla storia delle autonomie
sociali e dei territori operante, soprattutto tra Emilia Ro-
magna e Marche. Nei prossimi numeri approfondiremo il
dialogo coi protagonisti di questa iniziativa per meglio
comprendere i percorsi, le prospettive e i filoni di ricerca
coinvolti.
QUADERNI DI S&F
7
N. 02 Febbraio 2015
Storie dal territorio, che racconta le
autonomie territoriali e sociali, le for-
me e i caratteri della politica, dell’eco-
nomia e della società locale, la storia e
le culture d’impresa; Percorsi e net-
works, che presta attenzione alle bio-
grafie e alle scansioni generazionali,
alle reti di corrispondenze e agli studi
di genere; Tra guerra e pace, sulla
guerra combattuta e la guerra vissuta,
sui fronti e le retrovie, sulle origini e
sulle eredità dei conflitti; Italia-Europa-
Mondo, con sintesi di storia italiana e
internazionale; Strumenti, dedicata a
fonti, inventari, cataloghi e guide.
Il direttore scientifico di Ottocen-
toDuemila è Carlo De Maria, coadiuva-
to da un comitato direttivo composto
da Luca Gorgolini, Tito Menzani, Fabio
Montella, Matteo Troilo. Nel comitato
scientifico, invece, si aggiungono Enri-
co Acciai, Germana Albertani, Luigi
Balsamini, Margherita Becchetti, Ema-
nuele Bernardi, Eloisa Betti, Mirco Car-
rattieri, Sante Cruciani, Francesco Di
Bartolo, Michelangela Di Giacomo,
Alberto Ferraboschi, Antonio Senta e
Gilda Zazzara. Caratteristica comune a
tutti questi studiosi è un profilo forte-
mente orientato verso la disciplina
storica – pur se contaminata di apporti
plurimi, dal diritto all’economia, dalla
sociologia ai gender studies – e la rela-
tivamente giovane età, visto che quasi
tutti si collocano attorno ai trenta-
quarant’anni.
In pochi mesi, da maggio a dicembre
2014, sono già state tre le uscite edito-
riali in OttocentoDuemila, e cioè: Eloisa
Betti, Carlo De Maria (a cura di), Dalle
radici a una nuova identità. Vergato
tra sviluppo economico e cambiamento
sociale, (Storie dal territorio, 1); Carlo
De Maria (a cura di), Il “modello emilia-
no” nella storia d’Italia. Tra culture
politiche e pratiche di governo locale,
(Storie dal territorio, 2); Learco Andalò,
Tito Menzani (a cura di), Antonio Gra-
ziadei economista e politico (1873-
1953), (Percorsi e networks, 1).
Un altro importante lavoro è stato
realizzato, fuori collana, da alcuni dei
ricercatori che fanno parte del net-
work di Clionet. Si tratta del volume di
Mirco Carrattieri, Carlo De Maria, Luca
Gorgolini e Fabio Montella intitolato
#grandeguERra. L’Emilia-Romagna tra
fronte e retrovia (Bologna, Bradypus,
2014), catalogo della mostra promossa
dall’Assemblea legislativa dell’Emilia
Romagna in occasione del centenario
della prima guerra mondiale.
Oltre alle pubblicazioni e ai progetti
di ricerca ideati e promossi da Clionet,
i ricercatori che fanno parte dell'Asso-
ciazione hanno realizzato, singolar-
mente o in gruppo, numerosi lavori
tesi a valorizzare la storia delle autono-
mie sociali e territoriali e del tessuto
produttivo e imprenditoriale, collabo-
rando con enti pubblici e privati. Per
ulteriori approfondimenti si rimanda al
sito www.clionet.it e alla pagina Fa-
cebook “Clionet”. ▪ (Red)
Si impegna, a seconda delle richieste,
in vari settori di intervento, con la rea-
lizzazione di libri e iniziative culturali di
alta divulgazione: studio delle istituzio-
ni locali e delle politiche comunali,
provinciali e regionali; storia della coo-
perazione, delle imprese e dei distretti
produttivi; biografie dei protagonisti
della vita politico-amministrativa e
socio-economica; riordino e valorizza-
zione di fondi archivistici e librari; alle-
stimento di mostre storico-
documentarie; organizzazione di even-
ti culturali: convegni, seminari, presen-
tazioni librarie.
L’attività editoriale di Clionet è
iniziata con la pubblicazione di un libro
curato da Carlo De Maria, L’artigiano
della pace. Dante Cruicchi nel Novecen-
to (Bologna, Clueb, 2013), ed è prose-
guita con una nuova curatela, sempre
di Carlo De Maria, dedicata a Le Came-
re del Lavoro in Emilia-Romagna: ieri e
domani (Bologna, Editrice socialmente,
2013). Date le numerose collaborazioni
avviate con enti locali, fondazioni e
istituti culturali, il comitato direttivo di
Clionet ha deciso di ragionare sulla
realizzazione di una collana editoriale
nella quale convogliare – in accordo
con i soggetti partner – i risultati delle
proprie ricerche.
All’inizio del 2014, quindi, ha
stretto un accordo con l’editore bolo-
gnese Bradypus, che da alcuni anni si
stava segnalando per l’elevato livello
qualitativo, abbinato a una buona ca-
pacità di contenere i costi di pubblica-
zione. È nata così OttocentoDuemila,
collana di studi storici e del tempo
presente dell’Associazione Clionet.
Orientata, fin dal titolo, verso riflessio-
ni sulla contemporaneità, la collana è
aperta anche a contributi di più lungo
periodo, capaci di attraversare i confini
tra età medievale, moderna e contem-
poranea, intrecciando la storia politica
e sociale, con quella delle istituzioni,
delle dottrine e dell’economia.
Si articola in cinque sottocollane:
(Continua da pagina 6)
CLIONET, LA RETE DI STUDIOSI ...
Nella foto, tram modifcato in ambulanza
per trasporto feriti durante la prima guer-
ra mondiale (fonte #grandeguERra. L’E-
milia-Romagna tra fronte e retrovia/
comune.bologna.it/risorgimento/
articoli/47756/offset/0/id/78487
QUADERNI DI S&F
8
N. 02 Febbraio 2015
punto tuttavia il datore di lavoro potrà
proporre in alternativa e in via concilia-
tiva una indennità, per giunta non tas-
sabile, da un minimo di 2 a un massi-
mo di 12 mensilità. L’uso disinvolto
della leva fiscale ha quindi realizzato
una nuova performance: si realizza
infatti una sorta di incentivazione fi-
scale del potere di licenziamento ov-
vero una de-tassazione del paternali-
smo.
Per ottenere dal giudice la reintegra-
zione al lavoratore resta una sola chan-
ce: dare la prova “diabolica” della di-
scriminazione oppure dimostrare
“l’insussistenza del fatto materiale”
contestato; il che significa che se si
viene licenziati per “grave insubordina-
zione” e si dimostra che l’insubordina-
zione è stata invece “lieve” o
“lievissima” questo non basterà ad
essere reintegrati, perché il fatto mate-
riale comunque sussiste e quindi si
potrà ottenere solo il risarcimento. Si
abroga in questo modo anche il
“principio di proporzionalità” delle
sanzioni disciplinari introdotto, si badi,
non dallo Statuto dei lavoratori ma
addirittura dal codice civile del 1942. Il
tutto viene esteso anche ai licenzia-
menti collettivi. Si dovrà discutere del-
la legittimità di tutto questo, sul piano
sia dell’”eccesso di delega” sia della
costituzionalità di questa clamorosa
differenza di trattamento tra “vecchi”
e “nuovi” assunti.
Nulla si dice invece delle millantate
riduzioni dei contratti precari e della
proclamata abolizione di cococo, coco-
pro ecc. Per questo, a quanto pare, si
dovrà attendere un prossimo e futuri-
bile decreto. Per l’intanto i licenziati si
dovranno accontentare del voucher di
“ricollocazione” presso agenzie pubbli-
che o private, da disciplinare tuttavia
con altri successivi decreti e, si suppo-
ne, regolamenti attuativi di cui la legi-
slazione italiana continua a ingolfarsi in
nome della mitica semplificazione. ▪
Luigi Mariucci
I
l 2015 ha portato ai lavoratori la
sostanziale eliminazione
dell’art.18. La bozza di decreto
approvata dal governo stabilisce
infatti che per tutti i nuovi assunti non
ci sarà più la reintegrazione in caso di
licenziamento ingiustificato, perché
privo di motivo economico o disciplina-
re. Resta quindi confermato che la
formula accattivante del “contratto a
tutele crescenti” è del tutto arbitraria,
e va derubricata in “contratto a tutele
ridotte”.
Infatti anche quando risulterà
accertata la mancanza di una giustifica-
zione del licenziamento il rapporto di
lavoro sarà estinto e il giudice potrà
solo stabilire una indennità di risarci-
mento da un minimo di 4 a un massi-
mo di 24 mensilità in relazione alla
anzianità. Si dovrà quindi in ogni caso
impugnare il licenziamento. A quel
L’ELEZIONE
DEL PRESIDENTE
DELLA
REPUBBLICA,
SERGIO
MATTARELLA
Pubblichiamo il testo del telegramma inviato dal Presidente Nazionale
dell’Associazione mazziniana italiana al Presidente della Repubblica in occa-
sione della sua elezione
Signor Presidente, noi mazziniani italiani plaudiamo alla Sua elezione alla su-
prema magistratura repubblicana quale saldo punto di riferimento dell'unità
nazionale e della democrazia parlamentare. Entusiasti, salutiamo il Suo primo
gesto simbolico di meditazione presso le Fosse Ardeatine, nel ricordo della Resi-
stenza e del Risorgimento e nel ripudio dell'intolleranza, del razzismo e della
violenza. Ci riconosciamo nel Suo messaggio rivolto tramite il Parlamento a tutti
i cittadini, concordando pienamente con Lei sul fatto che il miglior modo di ri-
spettare la Costituzione sia applicarla ed attuarla per rafforzare la libertà, i diritti
civili e la legalità esercitando innanzitutto il proprio dovere. Auguri sinceri di
buon lavoro nell'interesse superiore dell'Italia e dell'Europa, certi che la Sua cifra
morale e politica, frutto di un'esperienza di cultura e di vita profonda e consape-
vole, saprà tenere alto il prestigio delle istituzioni in ogni sede nazionale ed in-
ternazionale. ▪
Mario di Napoli Presidente Nazionale A.M.I.
LAVORATORI COL “CONTRATTO
A TUTELE RIDOTTE”
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Walter benjamin, iperdecisionismo e repubblicanesimo geopolitico. lo stato di eccezione come regola, massimo morigi, marxismo, karl marx

  • 1. Anno VIII n. 02 Febbraio 2015 Supplemento mensile del settimanale in pdf Heos.it Il senso della Repubblica NEL XXI SECOLO QUADERNI DI STORIA E FILOSOFIA ALL’INTERNO N essuno, finora, ha spiegato in modo convincente quali importanti riforme, dal 1948 ad oggi, siano state bloccate o impedite dalla Costituzione della Repubblica italiana. Alcune delle riforme in via di attua- zione o caldeggiate puntano a una drastica modifica della Costituzione o hanno l’obiettivo di accelerare l’iter legis. Viene raccontato che nell’epoca in cui tutto corre velocemente anche le leggi debbano essere promulgate in tempi ristrettissimi: come se l’eterna emergenza fossa la sola regola. È vero l’esatto contrario. Questo concetto maschera semplicemente non solo lo snaturamento del “sistema democratico”, ma soprattutto evidenza l’affermarsi di una sorta di dispotismo cieco e pericoloso che rincorre la quo- tidianità senza progetto o costrutto. Uno dei grandi problemi del nostro Paese non è stato rappresentato dall’assenza di leggi, ma, semmai, dall’eccesso di leggi: contraddittorie, inapplicate (ad esempio per mancanza dei decreti o delle circolari attuative) o, addirittura, in contrasto con altre leggi tutt’ora in vigore che le nuove norme non si erano premunite di sostituire o abrogare. Ne è nato il caos burocratico (Continua a pagina 2) “C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivol- to al passato. Dove ci appare una ca- tena di eventi, egli vede una sola cata- strofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infran- to. Ma una tempesta spira dal paradi- so, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibil- mente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamia- mo il progresso, è questa tempesta.” Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia (IX tesi) L ’ Angelus Novus di Paul Klee, che divenne il messianico protagonista della IX tesi di Tesi di filosofia della storia, era stato acquistato nel 1921 da Wal- ter Benjamin e da allora lo accompa- gnò quasi sempre nelle sue peregrina- zioni in Europa. Forse in un nessun altro luogo della produzione benjami- niana, nella tesi IX è espresso il di- sprezzo benjaminiano per l’ideologia del progresso, un progresso che in questa ingenua visione si doveva svi- luppare all’infinito e lungo un vettore assolutamente lineare. Del tutto reali- sticamente Benjamin rifiutava questa ottimistica e consolatoria visione ma, (Continua a pagina 2) WALTER BENJAMIN, IPERDECISIONISMO E REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO LO STATO DI ECCEZIONE COME REGOLA IL POPOLO DEI MODERNI DI PAOLO PROTOPAPA PAG. 5 di MASSIMO MORIGI CLIONET, LA RETE DI STUDIOSI E PROFESSIONISTI PER LE LIBERTÀ LOCALI PAG. 6 POCHE E CAUTE LEGGI… di SAURO MATTARELLI
  • 2. 2 Il senso della Repubblica QUADERNI DI STORIA E FILOSOFIA NEL XXI SECOLO Supplemento mensile della newsletter settimanale in pdf Heos.it Redazione Heos Editrice Via Muselle, 940 - 37050 Isola Rizza (Vr) Italy Tel + fax ++39 045 69 70 187 ++39 345 92 95 137 heos@heos.it www.heos.it Direttore editoriale: Sauro Mattarelli (email: smattarelli@virgilio.it) Direttore responsabile Umberto Pivatello Comitato di redazione: Thomas Casadei, Maria Grazia Lenzi, Giuseppe Moscati, Piero Venturelli Direzione scientifica e redazione: via Fosso Nuovo, 5 48020 S. P. in Vincoli - Ravenna (Italy)Tel. ++39 0544 551810 In collaborazione con “Cooperativa Pensiero e Azione” - Ravenna - Presidente Paolo Barbieri N. 02 Febbraio 2015 SR Tiratura: 8.112 e mail inviate QUADERNI DI S&F apparentemente del tutto irrealisticamente, per Ben- jamin quello che il futuro negava e non ci poteva ga- rantire era riservato al pas- sato: per Benjamin la rivolu- zione doveva, in primo luo- go, compiere un’azione di salvezza verso tutti coloro che dai dominatori della storia erano stati sottomessi ed eliminati sia a livello individuale che come gruppi sociali e/o etnici. Apparentemente, dal punto di vista personale ed anche dell’elaborazione dottrinale del repubblicanesimo (Continua da pagina 1) geopolitico, nulla ci potrebbe di essere più distante, non tanto per quanto riguarda il rifiuto dell’ideologia del pro- gresso, dal messianismo rivolto al passato dalla IX tesi e dalla struggente immagine dell’Angelus Novus Benjaminia- no che passivamente trasportato dal vento che gli spira fra le ali ha “il viso rivolto verso il passato” ma la grandissima attualità di Benjamin insiste sul fatto che in quest’autore convivono due aspetti che a prima vista sembrano assoluta- mente antitetici. Del misticismo soteriologico rivolto a resuscitare gli sconfitti abbiamo già accennato, vediamo ora di focalizzarci sul suo realismo politico. Scrive Benjamin nella VIII tesi di Tesi di filosofia della storia: “La tradizione degli oppressi ci insegna che lo ‘stato di eccezione’ in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compi- to, la creazione del vero stato di eccezione; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua for- tuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge stori- ca. Lo stupore perché le cose che viviamo sono ‘ancora’ pos- (Continua a pagina 3) LO STATO DI ECCEZIONE COME REGOLA che ogni cittadino vive dolorosamente sulla sua pelle ogni giorno. Si cavalca la spinta populistica contro gli sprechi (come se gli sprechi fossero le istituzioni e non la corruzione, la delinquenza, la cattiva gestione) per abolire il Senato, sbilanciare i poteri e stravolgere la Costituzione in omaggio dunque non a una filosofia del miglio- ramento (tutto è migliorabile) ma del vuoto: quello che consente ai pochi potenti, a qualche furbo e a qualche lacchè di farsi le sue grida nel mo- mento più conveniente, di arricchirsi a scapito di milioni di nuovi poveri e di farsi beffa della gente, delle regole, dei principi e perfino del buon senso. In queste giornate le ultime rocca- forti mazziniane hanno celebrato la Repubblica Romana del 1849, che tra l’altro emanò una Costituzione che ha profondamente ispirato quella del 1948. Doveroso richiamare il monito del triumvirato di quella Repubblica: “poche e caute leggi, ma vigilanza de- cisa sull’esecuzione….” ▪ POCHE E CAUTE LEGGI ... A lato, l’Angelus Novus di Paul Klee
  • 3. 3 QUADERNI DI S&FN. 02 Febbraio 2015 sibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessu- na conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.” Cogliamo qui un Benjamin iperde- cisionista ben oltre il decisionismo di Carl Schmitt, un iperdecisionismo ben- jaminano che aveva ben capito, sem- pre oltre Schmitt, che la decisione non era tanto quell’elemento che stava fuori dalla norma pur costituendone la base logica ma, molto più semplice- mente (e fondamentale) era (ed è) sempre stata l’unica elementare nor- ma di comportamento (e giudizio) de- gli agenti strategici, di quelle classi, cioè, dominanti che da sempre fanno la storia. E concordando a questo pun- to interamente con Benjamin, il repub- blicanesimo geopolitico intende porta- re questa consapevolezza del perenne “stato di eccezione in cui viviamo” a conoscenza di tutti coloro che sono stati abbagliati dall’ideologizzazione della democrazia operata dagli agenti strategici, per i quali la decisione è da sempre sicura norma ispiratrice della loro azione concreta e di giudizio gene- rale per comprendere come funziona- no le cose del mondo. Ancor più radicale di Carl Schmitt per il quale lo stato di eccezione pur stando alla base dell’ordinamento giu- ridico non faceva parte, comunque, dello stesso, Walter Benjamin aveva compreso che lo stato di eccezione andava ben al di là della visione sch- mittiana di katechon, ultima mitica risorsa cui fare ricorso per impedire la dissoluzione dello stato ma costituiva, bensì, la natura stessa dello stato e della vita associata. Per essere ancora più chiari: per Carl Schmitt uno stato di eccezione che entra in scena solo nei momenti di massima crisi; per Walter Benjamin uno stato di eccezione conti- nuamente ed incessantemente ope- rante e in cui il suo mascheramento in forme giuridiche è funzionale al man- tenimento dei rapporti di dominio. Se (Continua da pagina 2) giustamente, ma con intento nemme- no tanto nascostamente denigratorio, il pensiero di Carl Schmitt è stato defi- nito ‘decisionismo’, Walter Benjamin apre al pensiero politico la dimensione dell’iperdecisionismo. Questo iperdecisionismo è un aspetto del pensiero di Walter Benja- min che finora non ha ricevuto alcuna attenzione. Sì, é vero che molto è stato scritto sui rapporti fra Walter Benjamin e Carl Schmitt, molta acribia filologica è stata spesa sull’argomento ma quello che è totalmente mancato è un discor- so sul significato in Benjamin di una visione iperdecisionista e sul significato per noi dell’iperdecisionismo benjami- niano. Quella che è mancata, insom- ma, è un’autentica visione filosofico- politica, un vuoto di pensiero che è segno, prima ancora di una incom- prensione di Benjamin, della totale cecità dell’attuale pensiero politico, tutto, sui tempi che stiamo vivendo. “L’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi”, quello che per Benjamin era letteralmente spazzatu- ra, una propaganda ancor peggio del fascismo, era il concetto che la storia fosse un processo immancabilmente tendente al progresso, un progresso che avrebbe immancabilmente solleva- to l’uomo, in virtù di regole e leggi sempre più razionali, dalla fatica della decisione extra legem. Sconfitto il fa- scismo, le società del secondo dopo- guerra, quelle capitalistiche e quelle socialiste indifferentemente, sono sta- te basate proprio su questo principio, il principio cioè che la norma ( che as- sumesse più o meno una forma giuridi- ca, poco importa: le società socialiste avevano un rapporto più sciolto con la lettera della legge ma assolutamente (Continua a pagina 4) LO STATO DI ECCEZIONE COME REGOLA Walter Benjamin nel 1928 “L’IDEA DI STORIA DA CUI PROVIENE NON STA PIÙ IN PIEDI”, QUELLO CHE PER BENJAMIN ERA LETTERALMENTE SPAZZATURA, UNA PROPAGANDA ANCOR PEGGIO DEL FASCISMO, ERA IL CONCETTO CHE LA STORIA FOSSE UN PROCESSO IMMANCABILMENTE TENDENTE AL PROGRESSO, UN PROGRESSO CHE AVREBBE IMMANCABILMENTE SOLLEVATO L’UOMO, IN VIRTÙ DI REGOLE E LEGGI SEMPRE PIÙ RAZIONALI” Carl Schmitt
  • 4. 4 QUADERNI DI S&F N. 02 Febbraio 2015 ferreo sulla loro costituzione materiale, l’impossibilità cioè di mettere in discussione il ruolo del partito) non poteva essere messa in discussione se non soppiantandola con un’altra norma successiva generata secondo determinate regole elettorali del gioco demo- cratico (o della democrazia socia- lista, nei paesi nella sfera d’in- fluenza sovietica o politicamente organizzati sulla scia della tradi- zione politica della rivoluzione bolscevica). Su questo principio si sono edificate le liberaldemocra- zie e i cosiddetti regimi del socia- lismo reale ma si tratta di un prin- cipio, come ben aveva visto Ben- jamin, che non sta letteralmente in piedi e svolge unicamente la funzione di mascheramento dei rapporti di dominio (rapporti di dominio che, anche se di- svelati con prudente linguaggio dagli iniziati alle scienze politiche, si cerca di giustificare, da parte dell’intellighenzia e dai detentori del potere politico dediti alla riproduzione e mantenimento di questi rapporti, col dire che costituiscono un progresso rispetto al passato: un passo verso sempre maggiore democrazia o un passo verso il comunismo nei defunti paesi socialisti). Causa, principalmente, la loro inefficienza economica e rapporti di dominio all’interno di queste società non proprio così totalitari come la pubblicistica e la scienza politica delle liberaldemocrazie hanno sempre voluto far credere, le so- cietà socialiste sono finite nel mitico bidone della storia e quindi oggigiorno, eredi della vittoria sul nazifascismo, ri- mangono su piazza le cosiddette società basate sulla demo- crazia elettoralistica a suffragio universale. A chiunque sia onesto e non voglia stancamente ripetere le illogiche assur- dità sulla libertà e la democrazia che queste società consen- tirebbero, risulta solarmente evidente che la democrazia in queste società è del tutto allucinatoria mentre la libertà è, per dirla brevemente e senza bisogno di far sfoggio di tanta dottrina, per molti strati della popolazione, la libertà di mo- rire di fame e di essere emarginati da qualsiasi processo decisionale. Se i nonsense ideologici sono però utili per stabilizzare presso i ceti intellettuali, che è meglio definire per la loro intima insipienza ceti semicolti, la teodicea della liberalde- mocrazia, per gli strati con un livello di istruzione inferiore è necessario qualcosa di diverso e di un livello ancora più bas- so non tanto per celare la natura radicalmente violenta dei rapporti di dominio ma, nel loro caso, per celare la presenza stessa di questi rapporti. E senza dilungarci ulteriormente su (Continua da pagina 3) questo punto, la “società dello spettacolo”, una società dello spettacolo che con quiz, informazione guidata e di livello cavernicolo, terroristi di cui l’occidente non ha mai alcuna responsabilità e farlocche invasioni aliene che, oltre ad instillare il bisogno di un’autorità protettrice, non sono altro che la ridicola copertura di esperimenti militari, svolge egregiamente questo ruolo di “distrazione di massa”. Concordando quindi pienamente con Benjamin, il repub- blicanesimo geopolitico intende portare questa consapevo- lezza del perenne “stato di ecce- zione in cui viviamo” a conoscen- za di tutti coloro che sono stati abbagliati dall’ideologizzazione della democrazia operata dagli agenti strategici, per i quali la decisione è da sempre sicura norma ispiratrice della loro azio- ne concreta e di giudizio generale per comprendere come funziona- no le cose del mondo. Se il timido decisionismo di Schmitt era in funzione conservatrice e in pe- renne attesa – ed evocazione – del mitico Katechon, il frenatore che avrebbe arrestato la rivoluzione sempre incombente, l’ ‘iperdecisionismo’ benja- miniano è invece il miglior farmaco mai messo punto per la diffusione della consapevolezza presso i dominati che la norma non è altro che la cristallizzazione di una decisione originaria. E se per comprendere che “Ciò che chiamiamo il pro- gresso, è questa tempesta” è necessario il passaggio attra- verso una soteriologia rivolta al passato, ben venga allora anche il misticismo di Benjamin: un realismo giunto alla sua massima maturazione ha ben compreso la lezione della I tesi di Tesi di filosofia della storia dove si parla di un automa infallibile nel gioco degli scacchi, il materialismo storico, che è imbattibile al gioco degli scacchi ma questa imbattibilità gli è fornita da un nano gobbo nascosto sotto il tavolo (la teolo- gia) che abilissimo nel gioco manovra l’automa. Per Benjamin è il nano teologico che comanda la parti- ta e lo deve fare di nascosto (perché è piccolo e brutto e quindi la sua presenza, oltre ad essere un barare sulle rego- le del gioco, non sarebbe stata apprezzata da un pensiero, benché progressista, solidamente realista, come pretendeva di essere la vulgata marxista del tempo infestata, come del resto l’odierno pensiero liberaldemocratico, dalla mala pian- ta del positivismo). Per noi, meno mistici ma forse consape- volmente più dialettici di Benjamin – e come lui integral- mente antipositivisti, massimamente nella ridicola versione neo à la Popper, tanto per essere chiari – , è alla fine difficile distinguere ciò che è veramente realista da ciò che è mistico e forse, a questo punto, ci siamo ricongiunti in toto con la IX tesi di Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin.▪ LO STATO DI ECCEZIONE COME REGOLA “A CHIUNQUE SIA ONESTO E NON VOGLIA STANCAMENTE RIPETERE LE ILLOGICHE ASSURDITÀ SULLA LIBERTÀ E LA DEMOCRAZIA CHE QUESTE SOCIETÀ CONSENTIREBBERO, RISULTA SOLARMENTE EVIDENTE CHE LA DEMOCRAZIA IN QUESTE SOCIETÀ È DEL TUTTO ALLUCINATORIA”
  • 5. 5 N. 02 Febbraio 2015 QUADERNI DI S&F N on è consueto, nell’amplis- simo panorama pubblicisti- co corrente, imbattersi in un volumetto entro il quale trovino equilibrio e armonia teoretica lo studio rigoroso dei fondamenti e l’ibridazione storica nella contempora- neità. Concetto cardine di un siffatto percorso narrativo è – sin dal titolo – il popolo, introdotto e declinato nella sua esuberanza semantica, ma intrica- to nelle maglie antropologiche e tecni- co-giuridiche che ne fanno un autenti- co oggetto di filosofia della politica. Nel primo capitolo (Il popolo dei moderni) l’autore fissa lo statuto me- todologico della ricerca che, pur nell’essenzialità ermeneutica dell’ap- proccio, non nasconde l’ambizione di aggredire la tesi forte (schmittiana, e non solo) del “rapporto genetico tra modernità e politica” (cfr. p. 7). Il che significa – se ci fosse il bisogno di sottolinearlo – assumersi “in contro- tendenza” l’onere di accreditare pro- prio la modernità come il tempo «durante il quale si dipana e si eviden- IL POPOLO DEI MODERNI zia la cruciale dimensione dell’impoliti- co» (ibidem). Siamo agli antipodi sia dell’esclusivismo teorico incentrato sull’autonomia scientifica della politica originata dal pensiero cinque- seicentesco di Machiavelli, Hobbes, Bodin, ecc., sia del common sense che vuole la politicizzazione come ‘naturale’ processo di (ottimistica) so- cializzazione dell’uomo. Ne discende la depoliticizzazione del popolo e la sua “totale subordinazione *…+ alla sua accezione sociale” (cfr. p. 74), con la pedissequa affermazione di quel “modello impolitico di società” (S. Wolin) e dei saperi conoscitivi che oggi ne giustificano l’ascesa. Forse non sia- mo lontani – lo diciamo incidentalmen- te e paradossalmente – dal giovane Marx che in un’ottica antihegeliana, nella metà dell’Ottocento, ironizzava sulla neutralizzazione politica delle classi e sulla loro (simmetrica) riduzio- ne a stand sociali. Già da queste premesse, incardinate ben al di là di una asettica trattazione politologica, emerge la drammaticità – acutamente percepita da Gatti – di dover misurare e accordare la ‘fondabilità’ della politica, in quanto scienza umana par excellence, con il suo ‘effettuale’ esercizio democratico. Democratico, ovviamente, in ultima istanza, cioè come approdo del “politico” ad una contemporaneità che – contro ogni storicismo giustificazioni- sta – si espone allo “scacco” di quella insanabile dicotomia. Se, come argomenta persuasivamen- te Gatti, la rousseauiana “istituzione di un popolo” (Du contrat social), contro ed oltre la ‘natura’ che per secoli ne aveva costituito il fondamento episte- mico, si è rivelata fallimentare, allora bisogna ripensarne l’intero significato storico. Occorre, in altri termini, vaglia- re criticamente e disincantatamente i paradigmi teorici entro i quali e con i quali il “moderno” ha costruito il com- plesso edificio dell’ordinamento pub- blico e dell’assiologia etica del “sociale” che lo sorregge. Aver immaginato – ci suggerisce l’autore – un’idea di società affidata alla ‘divina immanenza’ di un (demiurgico) legislatore, oppure alla solipsistica visione ingegneristica di una democrazia governabile con “tecnica costituzionale” da parte di algide “minoranze autorizzate” (cfr. p. 79), è un grave errore. Un errore, insie- me, storico e conoscitivo, ancorché compiuto da analisti e classici del pen- siero politico i quali, per altro verso, hanno saputo dare un decisivo contri- buto allo sviluppo delle scienze sociali. Si tratta, dunque, di un limite teo- retico che, muovendo da un’autentica frattura antropologica consumata sull’alèa vincente del realismo cosid- detto scientifico tra Cinquecento e Seicento (poi perfezionato con l’illumi- nismo ed il positivismo) confluisce nel formalismo giuridico della contempo- (Continua a pagina 6) di PAOLO PROTOPAPA Roberto Gatti, Il popolo dei moderni. Breve saggio su una finzione, La Scuola Ed., Brescia 2014, pp. 89, € 8,50
  • 6. 6 N. 02 Febbraio 2015 mus come Saint-Just «va alla ghigliotti- na» convinto che bisogna «ammettere che i princîpi hanno torto oppure rico- noscere che il popolo e gli uomini sono colpevoli» (p. 87). In tal modo il krátos (ci si perdoni l’azzardo), prosciugato della vita vera di passioni, di lotte col- lettive e di contraddizioni che lo costi- tuiscono, stinge nell’arido razionalismo di un démos ossificato nella sua mum- mificata astrattezza. Sicché l’inquietante pendolarità tra esaltazione organicistica e frantuma- zione individualistica continua a impe- raneità. Il popolo, espropriato – per così dire – della sua corposità (e irridu- cibilità storico-antropologica), non può che transumanare in “finzione”. Popo- lo che diventa l’irresistibile quanto manipolato e manipolabile oggetto ‘anatomico’ (e strumentale artificio di contesa) per sociologi e ideologi. I qua- li sono spesso suoi sinceri difensori che – ci ricorda Gatti – per il tramite di Ca- (Continua da pagina 5) IL POPOLO DEI MODERNI L’obiettivo prioritario è di uscire dal contesto strettamente accademico, per approfondire e valorizzare la storia delle amministrazioni e del tessuto associativo e imprenditoriale locale, intrecciando gli aspetti istituzionali, politici ed econo- mici che innervano la vita dei territori. La sede dell’associa- zione è a Bologna, nel cuore di una regione la cui storia è caratterizzata da tradizioni politiche e civili particolarmente attente alle libertà locali; un patrimonio di etica civile da riscoprire e rilanciare di fronte alle sfide del XXI secolo. Presidente di Clionet (e responsabile del settore “Storia delle autonomie”) è Carlo De Maria. Del Consiglio direttivo fanno parte anche Matteo Troilo, vicepresidente e respon- sabile di Clionet per il settore “Storia del turismo”, Luca Gorgolini, responsabile per la regione Marche, Tito Menza- ni, responsabile del settore storia d’impresa e tesoriere dell’associazione, e Fabio Montella, responsabile per la pro- vincia di Modena. Forte di una rete di competenze ampia e variegata, Clionet offre servizi culturali avanzati e di ricerca. (Continua a pagina 7) dire l’ipotesi di un popolo non più mul- titude aveucle (moltitudine cieca), ma protagonista plausibile e plurale di una altrettanto plausibile democrazia di cittadini sovrani. Perciò questo denso e lucido libro di Roberto Gatti ci pare un fecondo apporto filosofico, non solo perché non preclude una via di uscita dall’impasse in cui si trova il pensiero politico odierno, ma soprattutto per i preziosi stimoli teorici che offre al con- fronto civile sul destino della nostra inquieta democrazia. ▪ C reare una rete di ricercatori indipendenti in grado di offrire servizi culturali di qualità al di fuori degli “steccati” tradizionali. È questa la principale mis- sion di Clionet, associazione di ricerca storica e promozione culturale attiva dal 2011 in Emilia Romagna e Marche. Clionet si presenta come un network fra studiosi e liberi professionisti, collegati ad alcuni dei principali istituti storici italiani, che svolgono attività di ricerca e di insegnamento a livello universitario, nell’ambito delle discipline storiche. STORIA DELLE AUTONOMIE SOCIALI E TERRITORIALI E DEL TESSUTO PRODUTTIVO: TRA EMILIA ROMAGNA E MARCHE OPERATIVA UNA NUOVA ASSOCIAZIONE CLIONET, LA RETE DI STUDIOSI E PROFESSIONISTI PER LE LIBERTÀ LOCALI In questa sede proponiamo la presentazione di Clionet, un’associazione di ricerca sulla storia delle autonomie sociali e dei territori operante, soprattutto tra Emilia Ro- magna e Marche. Nei prossimi numeri approfondiremo il dialogo coi protagonisti di questa iniziativa per meglio comprendere i percorsi, le prospettive e i filoni di ricerca coinvolti. QUADERNI DI S&F
  • 7. 7 N. 02 Febbraio 2015 Storie dal territorio, che racconta le autonomie territoriali e sociali, le for- me e i caratteri della politica, dell’eco- nomia e della società locale, la storia e le culture d’impresa; Percorsi e net- works, che presta attenzione alle bio- grafie e alle scansioni generazionali, alle reti di corrispondenze e agli studi di genere; Tra guerra e pace, sulla guerra combattuta e la guerra vissuta, sui fronti e le retrovie, sulle origini e sulle eredità dei conflitti; Italia-Europa- Mondo, con sintesi di storia italiana e internazionale; Strumenti, dedicata a fonti, inventari, cataloghi e guide. Il direttore scientifico di Ottocen- toDuemila è Carlo De Maria, coadiuva- to da un comitato direttivo composto da Luca Gorgolini, Tito Menzani, Fabio Montella, Matteo Troilo. Nel comitato scientifico, invece, si aggiungono Enri- co Acciai, Germana Albertani, Luigi Balsamini, Margherita Becchetti, Ema- nuele Bernardi, Eloisa Betti, Mirco Car- rattieri, Sante Cruciani, Francesco Di Bartolo, Michelangela Di Giacomo, Alberto Ferraboschi, Antonio Senta e Gilda Zazzara. Caratteristica comune a tutti questi studiosi è un profilo forte- mente orientato verso la disciplina storica – pur se contaminata di apporti plurimi, dal diritto all’economia, dalla sociologia ai gender studies – e la rela- tivamente giovane età, visto che quasi tutti si collocano attorno ai trenta- quarant’anni. In pochi mesi, da maggio a dicembre 2014, sono già state tre le uscite edito- riali in OttocentoDuemila, e cioè: Eloisa Betti, Carlo De Maria (a cura di), Dalle radici a una nuova identità. Vergato tra sviluppo economico e cambiamento sociale, (Storie dal territorio, 1); Carlo De Maria (a cura di), Il “modello emilia- no” nella storia d’Italia. Tra culture politiche e pratiche di governo locale, (Storie dal territorio, 2); Learco Andalò, Tito Menzani (a cura di), Antonio Gra- ziadei economista e politico (1873- 1953), (Percorsi e networks, 1). Un altro importante lavoro è stato realizzato, fuori collana, da alcuni dei ricercatori che fanno parte del net- work di Clionet. Si tratta del volume di Mirco Carrattieri, Carlo De Maria, Luca Gorgolini e Fabio Montella intitolato #grandeguERra. L’Emilia-Romagna tra fronte e retrovia (Bologna, Bradypus, 2014), catalogo della mostra promossa dall’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna in occasione del centenario della prima guerra mondiale. Oltre alle pubblicazioni e ai progetti di ricerca ideati e promossi da Clionet, i ricercatori che fanno parte dell'Asso- ciazione hanno realizzato, singolar- mente o in gruppo, numerosi lavori tesi a valorizzare la storia delle autono- mie sociali e territoriali e del tessuto produttivo e imprenditoriale, collabo- rando con enti pubblici e privati. Per ulteriori approfondimenti si rimanda al sito www.clionet.it e alla pagina Fa- cebook “Clionet”. ▪ (Red) Si impegna, a seconda delle richieste, in vari settori di intervento, con la rea- lizzazione di libri e iniziative culturali di alta divulgazione: studio delle istituzio- ni locali e delle politiche comunali, provinciali e regionali; storia della coo- perazione, delle imprese e dei distretti produttivi; biografie dei protagonisti della vita politico-amministrativa e socio-economica; riordino e valorizza- zione di fondi archivistici e librari; alle- stimento di mostre storico- documentarie; organizzazione di even- ti culturali: convegni, seminari, presen- tazioni librarie. L’attività editoriale di Clionet è iniziata con la pubblicazione di un libro curato da Carlo De Maria, L’artigiano della pace. Dante Cruicchi nel Novecen- to (Bologna, Clueb, 2013), ed è prose- guita con una nuova curatela, sempre di Carlo De Maria, dedicata a Le Came- re del Lavoro in Emilia-Romagna: ieri e domani (Bologna, Editrice socialmente, 2013). Date le numerose collaborazioni avviate con enti locali, fondazioni e istituti culturali, il comitato direttivo di Clionet ha deciso di ragionare sulla realizzazione di una collana editoriale nella quale convogliare – in accordo con i soggetti partner – i risultati delle proprie ricerche. All’inizio del 2014, quindi, ha stretto un accordo con l’editore bolo- gnese Bradypus, che da alcuni anni si stava segnalando per l’elevato livello qualitativo, abbinato a una buona ca- pacità di contenere i costi di pubblica- zione. È nata così OttocentoDuemila, collana di studi storici e del tempo presente dell’Associazione Clionet. Orientata, fin dal titolo, verso riflessio- ni sulla contemporaneità, la collana è aperta anche a contributi di più lungo periodo, capaci di attraversare i confini tra età medievale, moderna e contem- poranea, intrecciando la storia politica e sociale, con quella delle istituzioni, delle dottrine e dell’economia. Si articola in cinque sottocollane: (Continua da pagina 6) CLIONET, LA RETE DI STUDIOSI ... Nella foto, tram modifcato in ambulanza per trasporto feriti durante la prima guer- ra mondiale (fonte #grandeguERra. L’E- milia-Romagna tra fronte e retrovia/ comune.bologna.it/risorgimento/ articoli/47756/offset/0/id/78487 QUADERNI DI S&F
  • 8. 8 N. 02 Febbraio 2015 punto tuttavia il datore di lavoro potrà proporre in alternativa e in via concilia- tiva una indennità, per giunta non tas- sabile, da un minimo di 2 a un massi- mo di 12 mensilità. L’uso disinvolto della leva fiscale ha quindi realizzato una nuova performance: si realizza infatti una sorta di incentivazione fi- scale del potere di licenziamento ov- vero una de-tassazione del paternali- smo. Per ottenere dal giudice la reintegra- zione al lavoratore resta una sola chan- ce: dare la prova “diabolica” della di- scriminazione oppure dimostrare “l’insussistenza del fatto materiale” contestato; il che significa che se si viene licenziati per “grave insubordina- zione” e si dimostra che l’insubordina- zione è stata invece “lieve” o “lievissima” questo non basterà ad essere reintegrati, perché il fatto mate- riale comunque sussiste e quindi si potrà ottenere solo il risarcimento. Si abroga in questo modo anche il “principio di proporzionalità” delle sanzioni disciplinari introdotto, si badi, non dallo Statuto dei lavoratori ma addirittura dal codice civile del 1942. Il tutto viene esteso anche ai licenzia- menti collettivi. Si dovrà discutere del- la legittimità di tutto questo, sul piano sia dell’”eccesso di delega” sia della costituzionalità di questa clamorosa differenza di trattamento tra “vecchi” e “nuovi” assunti. Nulla si dice invece delle millantate riduzioni dei contratti precari e della proclamata abolizione di cococo, coco- pro ecc. Per questo, a quanto pare, si dovrà attendere un prossimo e futuri- bile decreto. Per l’intanto i licenziati si dovranno accontentare del voucher di “ricollocazione” presso agenzie pubbli- che o private, da disciplinare tuttavia con altri successivi decreti e, si suppo- ne, regolamenti attuativi di cui la legi- slazione italiana continua a ingolfarsi in nome della mitica semplificazione. ▪ Luigi Mariucci I l 2015 ha portato ai lavoratori la sostanziale eliminazione dell’art.18. La bozza di decreto approvata dal governo stabilisce infatti che per tutti i nuovi assunti non ci sarà più la reintegrazione in caso di licenziamento ingiustificato, perché privo di motivo economico o disciplina- re. Resta quindi confermato che la formula accattivante del “contratto a tutele crescenti” è del tutto arbitraria, e va derubricata in “contratto a tutele ridotte”. Infatti anche quando risulterà accertata la mancanza di una giustifica- zione del licenziamento il rapporto di lavoro sarà estinto e il giudice potrà solo stabilire una indennità di risarci- mento da un minimo di 4 a un massi- mo di 24 mensilità in relazione alla anzianità. Si dovrà quindi in ogni caso impugnare il licenziamento. A quel L’ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, SERGIO MATTARELLA Pubblichiamo il testo del telegramma inviato dal Presidente Nazionale dell’Associazione mazziniana italiana al Presidente della Repubblica in occa- sione della sua elezione Signor Presidente, noi mazziniani italiani plaudiamo alla Sua elezione alla su- prema magistratura repubblicana quale saldo punto di riferimento dell'unità nazionale e della democrazia parlamentare. Entusiasti, salutiamo il Suo primo gesto simbolico di meditazione presso le Fosse Ardeatine, nel ricordo della Resi- stenza e del Risorgimento e nel ripudio dell'intolleranza, del razzismo e della violenza. Ci riconosciamo nel Suo messaggio rivolto tramite il Parlamento a tutti i cittadini, concordando pienamente con Lei sul fatto che il miglior modo di ri- spettare la Costituzione sia applicarla ed attuarla per rafforzare la libertà, i diritti civili e la legalità esercitando innanzitutto il proprio dovere. Auguri sinceri di buon lavoro nell'interesse superiore dell'Italia e dell'Europa, certi che la Sua cifra morale e politica, frutto di un'esperienza di cultura e di vita profonda e consape- vole, saprà tenere alto il prestigio delle istituzioni in ogni sede nazionale ed in- ternazionale. ▪ Mario di Napoli Presidente Nazionale A.M.I. LAVORATORI COL “CONTRATTO A TUTELE RIDOTTE” Opinioni QUADERNI DI S&F