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Le proposte di legge del PD
sulla flessibilità
del sistema pensionistico
Scheda riassuntiva
Testi delle Proposte di Legge del PD
all’esame della Commissione Lavoro:
857 Damiano ed altri
2945 Damiano ed altri
530 Gnecchi ed altri
728 Gnecchi ed altri
1881 Gnecchi ed altri
388 Murer ed altri
1503 Di Salvo ed altri
Locandina dell’iniziativa
Si è riaperto il cantiere della previdenza per correg-
gere le rigidità e le distorsioni provocate dalla rifor-
ma Fornero del dicembre 2011. Alla Camera dei
Deputati, in Commissione Lavoro, sono depositati
numerosi disegni di legge di vari gruppi politici di
maggioranza e opposizione, che hanno in comune,
seppur in modo diverso, l’obiettivo di introdurre la
cosiddetta flessibilità in uscita, cioè la possibilità di
scegliere il momento del pensionamento, avendo
naturalmente una base minima di età anagrafica e
anzianità contributiva. Possiamo suddividere i vari
disegni in quattro gruppi:
1) L’impianto centrale si può trovare nella Propo-
sta di legge del Partito democratico (857 Damia-
no ed altri) presentata all’inizio della legislatura, in
base alla quale le lavoratrici e i lavoratori che abbia-
no maturato un’anzianità contributiva di almeno 35
anni possono accedere al pensionamento flessibile
al compimento del requisito minimo di 62 anni di
età fino al requisito massimo di 70 anni di età. Alla
quota calcolata con il sistema retributivo si applica
la riduzione o la maggiorazione di cui alla tabella A,
in relazione all’età di pensionamento effettivo e agli
anni di contributi versati. Si va da una penalizzazione
dell’8% con 62 anni ad un premio dell’8% a 70 anni.
Sono previste due deroghe a tale sistema. Sono
fatte salve, se più favorevoli, le disposizioni in ma-
teria di accesso anticipato al pensionamento per
FLESSIBILITA’	
  IN	
  USCITA	
  
	
  
	
  
Si	
  è	
  riaperto	
  il	
  cantiere	
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  dell’8%	
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  70	
  anni.	
  
TABELLA A
(Articolo 1, comma 2).
Età di pensionamento effettivo
Anni di contribuzione
35 36 37 38 39 40
62 -8 -7,7 -7,3 -6,9 -6 -3
63 -6 -5,7 -5,3 -4,9 -4 -2
64 -4 -3,7 -3,3 -2,9 -2 -1
65 -2 -1,7 -1,3 -0,9 -0,5 -0,3
66 0 0 0 0 0 0
67 2 2 2 2 2 2
68 4 4 4 4 4 4
69 6 6 6 6 6 6
70 8 8 8 8 8 8
	
  
Sono	
  previste	
  due	
  deroghe	
  a	
  tale	
  sistema.	
  Sono	
  fatte	
  salve,	
  se	
  più	
  favorevoli,	
  le	
  disposizioni	
  in	
  materia	
  di	
  
accesso	
  anticipato	
  al	
  pensionamento	
  per	
  gli	
  addetti	
  alle	
  lavorazioni	
  particolarmente	
  faticose	
  e	
  pesanti	
  di	
  cui	
  
al	
  decreto	
  legislativo	
  21	
  aprile	
  2011,	
  n.	
  67,(cosiddetti	
  lavori	
  usuranti),	
  nonché	
  le	
  disposizioni	
  in	
  materia	
  di	
  
esclusione	
  dai	
  limiti	
  anagrafici	
  per	
  i	
  lavoratori	
  che	
  hanno	
  maturato	
  il	
  requisito	
  di	
  anzianità	
  contributiva	
  di	
  
almeno	
   quarantuno	
   anni	
   (cosiddetti	
   lavoratori	
   precoci).	
   Questi	
   ultimi,al	
   raggiungimento	
   dei	
   41	
   anni	
   di	
  
contributi,	
  possono	
  andare	
  in	
  pensione	
  senza	
  penalizzazioni,	
  a	
  prescindere	
  dall’età	
  anagrafica.	
  
Su	
  tale	
  impianto	
  si	
  innestano	
  altre	
  due	
  proposte	
  di	
  legge	
  abbinate	
  nell’esame	
  in	
  Commissione	
  Lavoro	
  alla	
  
proposta	
  Damiano	
  (C.	
  3002	
  Fedriga	
  ed	
  altri	
  e	
  C.	
  3144	
  Pizzolante	
  ed	
  altri).	
  
gli addetti alle lavorazioni particolarmente fatico-
se e pesanti di cui al decreto legislativo 21 aprile
2011, n. 67,(cosiddetti lavori usuranti), nonché
le disposizioni in materia di esclusione dai limi-
ti anagrafici per i lavoratori che hanno matura-
to il requisito di anzianità contributiva di almeno
quarantuno anni (cosiddetti lavoratori preco-
ci). Questi ultimi, al raggiungimento dei 41 anni
di contributi, possono andare in pensione senza
penalizzazioni, a prescindere dall’età anagrafica.
Su tale impianto si innestano altre due proposte di
legge abbinate nell’esame in Commissione Lavoro
alla proposta Damiano (C. 3002 Fedriga ed altri e
C. 3144 Pizzolante ed altri).
2) Un secondo filone riguarda la cosiddetta “Quo-
ta 100”, con le proposte del PD e della Lega. Il
Partito Democratico (2945 Damiano ed altri) pre-
vede che al raggiungimento di “Quota 100” come
somma di età anagrafica e anzianità contributiva si
possa usufruire della pensione senza penalizzazio-
ni, fermo restando il requisito minimo di 62 anni di
età e minimo 35 anni di contributi per lavoratori di-
pendenti pubblici e privati. Per gli autonomi iscritti
all’INPS la somma prevista è 101, con i requisiti
minimi di 63 anni di età e 35 anni di contributi. La
proposta della Lega (2955 Prataviera (ora al Misto)
Fedriga ed altri) prevede che i lavoratori che ab-
biano maturato un’anzianità contributiva di almeno
35 anni ovvero un’anzianità anagrafica di almeno
58 anni possono accedere al pensionamento al
raggiungimento di quota 100 quale somma di età
anagrafica e contributiva.
3) Un’altra proposta della Lega (Fedriga 2046)
esprime l’opzione donna, che consente alle lavo-
ratrici, in presenza di determinati requisiti anagra-
fici e contributivi, di accedere anticipatamente alla
pensione calcolata interamente secondo il sistema
contributivo.
4) Numerosi disegni di legge si propongono di
individuare una nuova disciplina legislativa per l’ac-
cesso al pensionamento delle lavoratrici nonché di
FLESSIBILITÀ IN USCITA
valorizzare i lavori di cura e assistenza familiare
riconoscendo specifiche agevolazioni, soprattutto
nei confronti delle lavoratrici madri, sulle quali mag-
giormente grava l’onere sociale dello svolgimento
di tali attività (Misto minoranze linguistiche C.115
Gebhard ed altri, PD C. 388 Murer ed altri, PD
C.530 Gnecchi ed altri, PD C.728 Gnecchi ed
altri, PD C.1503 Di Salvo ed altri, Fratelli d’Italia
C.1879 Cirielli ed altri, PD C.1881 Gnecchi ed altri,
Per l’Italia Centro democratico C.2430 Fautilli ed al-
tri, Per l’Italia Centro democratico C.2605 Sberna
e Gigli, M5S C.314 Ciprini ed altri).
PROPOSTA DI LEGGE N. 857
D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI
DAMIANO, BARETTA, GNECCHI, LENZI, BELLA-
NOVA, LUCIANO AGOSTINI, ALBANELLA, AN-
TEZZA, ARLOTTI, BARGERO, BARUFFI, BOC-
CUZZI, BONOMO, CARELLA, CARRA, CENNI,
CENSORE, COVA, CRIVELLARI, D’INCECCO,
FABBRI, CINZIA MARIA FONTANA, FRAGOMELI,
GANDOLFI, GIACOBBE, GINOBLE, GOZI, GRE-
GORI, GULLO, IACONO, INCERTI, LAFORGIA,
LATTUCA, LAURICELLA, LODOLINI, MAESTRI,
MAGORNO, MALISANI, MANFREDI, MARAN-
TELLI, MARCHETTI,	 MARCHI, MARIANI,	
MARIANO, MOGNATO, MONGIELLO, MONTRO-
NI, MURA, GIORGIO PICCOLO, SALVATORE
PICCOLO, RAMPI, ROCCHI, GIOVANNA SANNA,
SIMONI, TERROSI, TULLO, VENITTELLI, ZAP-
PULLA
Disposizioni per consentire la libertà di scelta
nell’accesso dei lavoratori al trattamento pensio-
nistico
Presentata il 30 aprile 2013
ONOREVOLI COLLEGHI ! — La drammatica crisi
economica che ha colpito il nostro Paese negli ulti-
mi anni ha comportato il succedersi di una serie di
gravi crisi occupazionali e reso ancora più incerto
il futuro di milioni di lavoratrici e lavoratori. Le sicu-
rezze relative al proprio futuro pensionistico, che
hanno accompagnato le generazioni precedenti,
non esistono più. Molto spesso l’attività lavorativa
delle persone è frammentata, intervallata da pe-
riodi di disoccupazione, solo nei migliori dei casi
coperti da forme di ammortizzatori sociali.
Le manovre pensionistiche del quadriennio 2008-
2011, spostando l’età di pensionamento molto in
avanti e aumentando il numero di anni di contribu-
ti necessari per il raggiungimento della pensione,
hanno acuito lo stato di insicurezza e instabilità
delle persone.
La presente proposta di legge si pone l’obiettivo di
ripristinare certezza nella possibilità di età di pen-
sionamento effettivo di milioni di lavoratrici e lavo-
ratori, restituendo loro quella serenità perduta nel
corso degli ultimi anni, caratterizzati da un com-
pleto stravolgimento del sistema previdenziale.
Intendiamo, inoltre, garantire modalità omogenee
di uscita dal mondo del lavoro a tutte le categorie
di lavoratori, pubblici, privati e autonomi. Infatti, in
un contesto di recessione così profondo e duraturo
– che ha visto entrare in profonda difficoltà settori
fino a pochi anni fa al riparo da ogni vento di crisi,
quale il pubblico impiego, e che ha inferto colpi du-
rissimi al mondo delle piccole imprese e del lavoro
autonomo – riteniamo necessario prevedere forme
di flessibilità di pensionamento, le quali, attraverso
un sistema di penalizzazione e premialità in tema di
assegno pensionistico, consenta alle lavoratrici e ai
lavoratori di poter decidere, all’interno di un range
variabile tra i 62 e i 70 anni di età, il momento della
cessazione dell’attività lavorativa.
Ciò contribuirà ad agevolare anche un ricambio
generazionale, che le recenti riforme pensionisti-
che hanno contribuito a disincentivare.
Il comma 1 del singolo articolo di cui si compone
la presente proposta di legge dispone che, dal 1o
gennaio 2014, le lavoratrici e i lavoratori – pubbli-
ci, privati e autonomi – tra i 62 e i 70 anni di età
che abbiano maturato un’anzianità contributiva di
almeno 35 anni possano accedere a forme di pen-
sionamento flessibile, purché l’importo dell’asse-
gno, secondo l’ordinamento previdenziale di ap-
partenenza, sia almeno pari a 1,5 volte l’importo
dell’assegno sociale.
Il comma 2 prevede che la determinazione dell’im-
porto della pensione si applichi considerando l’im-
porto massimo conseguibile, secondo l’ordina-
mento previdenziale di appartenenza di ciascuno,
al quale viene applicata una riduzione o maggio-
razione sulla quota di trattamento pensionistico
calcolata con il sistema retributivo, a seconda che
l’età di pensionamento sia inferiore o superiore ai
66 anni e degli anni di contributi versati.
Il comma 3 stabilisce che le disposizioni dei commi
precedenti non si applichino, se meno favorevoli,
ai soggetti impiegati nei cosiddetti lavori « usuranti
». Inoltre per le lavoratrici e i lavoratori che abbiano
maturato almeno 41 anni di anzianità contributiva
è prevista la possibilità di pensionamento prescin-
dendo dall’età anagrafica.
Il comma 4, infine, stabilisce che, fino al 31 dicem-
bre 2016, derogando dalla disciplina in materia,
l’incremento dell’età pensionistica dovuto all’al-
lungamento della speranza di vita sia determinato
nella misura di tre mesi complessivi.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
1. A decorrere dal 10 gennaio 2014, le lavoratrici
e i lavoratori che abbiano maturato un’anzianità
contributiva di almeno 35 anni possono accede-
re al pensionamento flessibile al compimento del
requisito minimo di 62 anni di età fino al requisi-
to massimo di 70 anni di età, purché l’importo
dell’assegno, secondo i rispettivi ordinamenti pre-
videnziali di appartenenza, sia almeno pari a 1,5
volte l’importo dell’assegno sociale.
2. Ai fini della determinazione dell’importo della
pensione si calcola per ciascuna lavoratrice o la-
voratore l’importo massimo conseguibile a requisiti
pieni secondo i rispettivi ordinamenti previdenziali
di appartenenza. Alla quota calcolata con il siste-
ma retributivo si applica la riduzione o la maggiora-
zione di cui alla tabella A allegata alla presente leg-
ge, in relazione all’età di pensionamento effettivo e
agli anni di contributi versati, al fine di conseguire
l’invarianza dei costi tra i due sistemi.
3. Sono fatte salve, se più favorevoli, le disposizioni
in materia di accesso anticipato al pensionamento
per gli addetti alle lavorazioni particolarmente fati-
cose e pesanti di cui al decreto legislativo 21 aprile
2011, n. 67, nonché le disposizioni in materia di
esclusione dai limiti anagrafici per i lavoratori che
hanno maturato il requisito di anzianità contributi-
va di almeno quarantuno anni.
4. In via transitoria, fino al 31 dicembre 2016, l’a-
deguamento dei requisiti anagrafici e contributivi
di accesso al sistema pensionistico agli incrementi
della speranza di vita è determinato nella misura di
tre mesi complessivi, in deroga alla disciplina pre-
vista dall’articolo 12 del decreto legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modi-
ficazioni.
PROPOSTA DI LEGGE N. 2945
D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI
DAMIANO, GNECCHI, ZAPPULLA, DI SALVO,
GREGORI,MAESTRI, GIACOBBE, MICCOLI, CA-
SELLATO,BARUFFI,GIORGIO PICCOLO, BOC-
CUZZI, INCERTI, ALBANELLA, SIMONI, ARLOTTI
Disposizioni per l’introduzione di elementi di fles-
sibilità nell’accesso dei lavoratori al trattamento
pensionistico
Presentata il 10 marzo 2015
ONOREVOLI COLLEGHI! — La drammatica crisi
economica che ha colpito il nostro Paese negli ulti-
mi anni ha comportato il succedersi di una serie di
gravi crisi occupazionali e reso ancora più incerto
il futuro di milioni di lavoratrici e di lavoratori. I timi-
di segnali di ripresa occupazionale registratisi ne-
gli ultimi mesi (12,6 per cento nel gennaio 2015),
com’è stato opportunamente osservato, non pos-
sono indurre a facili ottimismi, stanti gli alti tassi
di disoccupazione riferiti al 2014, pari al 12,7 per
cento, che rappresenta il dato annuale massimo
mai registrato dal 1977.
Le sicurezze relative al proprio futuro pensionisti-
co, che hanno accompagnato le generazioni pre-
cedenti, non esistono più.
Molto spesso l’attività lavorativa delle persone è
frammentata, intervallata da periodi di disoccupa-
zione, solo nei migliori dei casi coperti da forme di
ammortizzatori sociali.
Le manovre pensionistiche del quadriennio 2008-
2011, spostando l’età di pensionamento molto in
avanti e aumentando il numero di anni di contribu-
ti necessari per il raggiungimento della pensione,
hanno acuito lo stato di insicurezza e di instabilità
delle persone, con il paradosso di vedere trop-
pi lavoratori perdere l’occupazione pur essendo
lontani dalla pensione e, allo stesso tempo, con
l’innalzamento progressivo dell’età pensionabile,
giunta ormai oltre i 67 anni, e il sostanziale bloc-
co del turnover, di fatto si impedisce l’ingresso dei
giovani, perché è del tutto ovvio che se i genitori
rimangono vincolati nel posto di lavoro fino a tarda
età, i loro figli e nipoti troveranno con maggiore
difficoltà un’occupazione.
Più che opportunamente, lo stesso Ministro del
lavoro e delle politiche sociali ha riconosciuto che
se non si introduce uno strumento di flessibilità nel
sistema pensionistico si rischia di determinare un
vero e proprio problema sociale.
Laddove non si intervenisse, tale preoccupazione
non potrebbe essere scongiurata se non a fronte
di un’improvvisa e molto significativa impennata
della produzione e del prodotto interno lordo, ipo-
tesi che non trova riscontro in tutte le analisi pre-
visionali, anche tenendo conto del meccanismo di
incremento dell’età pensionabile previsto a legisla-
zione vigente, in base al quale, ad esempio, dal
2016 l’aspettativa di vita aumenterà di altri 4 mesi.
Da tale data si andrà in pensione di vecchiaia con
66 anni e 7 mesi e di anzianità con 42 anni e 10
mesi se uomini e con 41 anni e 10 mesi se donne,
ovvero con soglie anagrafiche che non trovano ri-
scontro nella gran parte degli Stati dell’Unione eu-
ropea e con una dinamica di lungo termine della
spesa pubblica per le pensioni migliore di quella
di altri Paesi.
Per tali ragioni, la presente proposta di legge si
pone l’obiettivo di ripristinare certezza nella pos-
sibilità di età di pensionamento effettivo delle la-
voratrici e dei lavoratori, restituendo loro quella
serenità perduta nel corso degli ultimi anni, ca-
ratterizzati da un completo stravolgimento del si-
stema previdenziale, attraverso la previsione di un
ampio periodo di transizione all’interno del quale
consentire l’accesso al trattamento pensionistico
al conseguimento di determinati requisiti anagrafici
e contributivi.
In dettaglio, si propone di introdurre un sistema
di flessibilità di uscita, a decorrere dal 1o gennaio
2016 e fino al 31 dicembre 2021, per i lavoratori
che, fatta salva la conferma del requisito di anzia-
nità contributiva non inferiore a trentacinque anni
e di una soglia anagrafica non inferiore a 62 anni,
possono conseguire, quale somma tra il requisito
anagrafico e quello contributivo, la quota 100.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
In deroga a quanto disposto dall’articolo 24, com-
ma 6, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 di-
cembre 2011, n. 214, a decorrere dal 1o
gennaio
2016 e fino al 31 dicembre 2021, il diritto al trat-
tamento pensionistico per i lavoratori dipendenti
e autonomi iscritti all’assicurazione obbligatoria e
alle forme di essa sostitutive ed esclusive si con-
segue, fermo restando il requisito di anzianità con-
tributiva non inferiore a trentacinque anni, al per-
fezionamento dei requisiti indicati nella tabella A
allegata alla presente legge.Atti Parlamentari — 4 — Camera dei Deputati — 2945
Tabella A
(Articolo 1, comma 1)
Lavoratori dipendenti pubblici e privati Lavoratori autonomi iscritti all’INPS
(1)
Somma di età
anagrafica e
anzianità contributiva
Età anagrafica
minima per la
maturazione del
requisito indicato
in colonna 1
(2)
Somma di età
anagrafica e di
anzianità contributiva
Età anagrafica
minima per la
maturazione del
requisito indicato
in colonna 2
100 62 101 63
PROPOSTA DI LEGGE N. 530
D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI
GNECCHI, CINZIA MARIA FONTANA, INCERTI,
MAESTRI
Disposizioni per la concessione di contributi previ-
denziali figurativi e di incrementi del trattamento di
pensione per il riconoscimento dei lavori di cura fa-
miliare svolti dai genitori
Presentata il 25 marzo 2013
ONOREVOLI COLLEGHI! — La presente proposta
di legge si pone l’obiettivo di favorire l’occupazio-
ne femminile e la natalità agendo in particolare sulle
pensioni delle donne in primo luogo perché esse
sono sempre troppo basse e, in secondo luogo
perché con il calcolo contributivo per la determi-
nazione della misura della pensione non sarà più
prevista l’integrazione al trattamento minimo e ciò
comporterà per moltissime donne una pensione
assolutamente insufficiente per condurre una vita
dignitosa: siamo pertanto di fronte al rischio reale,
per le future donne anziane, di condizioni di vera
povertà.
Gli articoli 3 e 4 della Costituzione riconoscono i se-
guenti princìpi fondamentali:
articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale
e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali. È com-
pito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di or-
dine economico e sociale, che, limitando di fatto
la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese»;
articolo 4: « La Repubblica riconosce a tutti i citta-
dini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che
rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il
dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità
e la propria scelta, una attività o una funzione che
concorra al progresso materiale o spirituale della
società ».
L’Italia ha un buon livello di legislazione in favore del-
la parità e contro la discriminazione fra i sessi, ma
nonostante i buoni princìpi giuridici, sia nell’accesso
al lavoro, sia in termini di occupazione in generale,
ma soprattutto di progressione di carriera e di retri-
buzioni, le disuguaglianze fra uomini e donne sono
ancora notevoli. La pensione è la sintesi del percor-
so lavorativo e dimostra in modo evidente la durata
e la consistenza della contribuzione versata durante
tutta la propria attività lavorativa. È risaputo che l’in-
tegrazione al trattamento minimo è un fenomeno
tipicamente femminile mentre le pensioni di anzia-
nità un fenomeno tipicamente maschile. Purtroppo,
anche verificando gli importi delle pensioni di nuova
liquidazione si confermano i dati storici: mediamen-
te le donne hanno pensioni che corrispondono alla
metà dell’importo medio degli uomini. I motivi sono
storicamente purtroppo sempre gli stessi: il percor-
so lavorativo delle donne registra molte interruzioni,
il lavoro spesso è a tempo parziale, la progressione
in carriera è scarsa, le retribuzioni sono più basse.
In compenso però la società gode di tanto lavoro
gratuito svolto dalle donne. Le «baby pensionate»
del settore pubblico hanno garantito per anni un’e-
conomia di servizi parallela a quella istituzionale. I
mille lavori invisibili delle donne hanno sostenuto, di
fatto, il sistema di welfare. Purtroppo il lavoro in fa-
miglia non viene rilevato dalle statistiche ufficiali e se
non fossero le donne a occuparsi della pulizia della
casa, della cura dei bambini e degli anziani e di tutte
quelle mansioni invisibili, ma indispensabili, all’inter-
no della famiglia, questi servizi dovrebbero essere
acquistati sul mercato e quindi assumerebbero un
preciso valore economico quantificabile (dal libro di
Alberto Alesina e Andrea Ichino «L’Italia fatta in casa»).
L’attuale sistema di servizi per la famiglia lascia vuoti
che le donne, in modo particolare, si vedono co-
strette a colmare, sostituendosi all’offerta dei servizi
per la cura dei figli, degli anziani e dei disabili. Si
pensi, infatti, che solo per quanto riguarda i servizi
di supporto alla prima infanzia (da 0 a 3 anni di età),
l’Italia offre una copertura in media del 10 per cento
contro il 33 per cento richiesto dall’Unione europea.
In tal senso la scelta delle donne di stare fuori dal
mondo del lavoro o di ripiegare forzatamente sul
part time o su altre forme di lavori atipici, che con-
sentano loro di conciliare al meglio l’impegno del
lavoro di cura, risulta quasi una decisione obbligata,
che però sicuramente non corrisponde al proget-
to di ideale lavorativo cui queste donne avrebbero
aspirato.
Se prendiamo a riferimento gli altri Paesi europei,
prescindendo dalla tutela della gravidanza e della
maternità (cioè il periodo a ridosso della nascita)
che esiste in tutti i Paesi europei, si nota che è pre-
sente una generosa forma di contribuzione figurati-
va per la crescita dei figli. In Francia, alle lavoratrici
madri sono riconosciuti due anni di contribuzione
figurativa per ogni figlio e fino a tre anni (a scelta tra
madre e padre), oltre ad un eventuale supplemen-
to di pensione (pari al 10 per cento in più) per chi
abbia avuto almeno tre figli. La Francia è uno dei
Paesi con tasso di fecondità più elevato in Europa.
In Grecia sono riconosciuti da uno ad un massimo
di quattro anni di contribuzione figurativa, in relazio-
ne al numero di figli avuti. In Germania sono previsti
vari sostegni economici alla famiglia legati ai figli che
permettono maggiore possibilità di scelta reale ri-
spetto al lavoro e utilizzo dei servizi.
La scelta quasi obbligata delle donne di assentarsi
dal mercato del lavoro per brevi o per lunghi pe-
riodi, comporta un’ulteriore penalizzazione soprat-
tutto per quanto attiene all’aspetto previdenziale. A
differenza degli uomini, sono molte di più le donne
che arrivano alla pensione di vecchiaia per la scar-
sità di contributi accumulati nel corso degli anni e
sono poche le donne che maturano i requisiti per
l’accesso al pensionamento per anzianità contribu-
tiva. Tralasciando il settore del pubblico impiego,
nel settore privato, ancora nel 2011, l’importo me-
dio di una pensione di vecchiaia liquidato dall’Isti-
tuto nazionale della previdenza sociale (INPS) alle
donne arrivava a malapena a 640 euro lordi mensili.
Va considerato, inoltre, che sono ben 4,5 milioni le
pensioni integrate al trattamento minimo, con un
importo medio di integrazione di circa 3.100 euro
annui per pensione. Su 4,5 milioni di pensioni inte-
grate, di ben 3,5 milioni sono titolari le donne (dati
del Ministero dell’economia e delle finanze – Ragio-
neria dello Stato, anno 2005). Si consideri, come
già rilevato, che per le pensioni liquidate con il si-
stema contributivo non esisterà più l’integrazione al
trattamento minimo e ciò comporterà un ulteriore
reale peggioramento, per le donne in particolare. Le
pensioni integrate al minimo nel 2011 sono invece
3.856.033 prevalentemente destinate a donne (81
per cento). Il Nord registra una maggiore presenza
di trattamenti (circa il 44 per cento del totale), con
una quota relativamente più consistente di pensioni
di vecchiaia integrate (53 per cento). Questo dimo-
stra che le pensioni sono basse e che l’integrazione
al trattamento minimo è una misura indispensabile
per la sopravvivenza di chi lo percepisce.
Il comma 40 dell’articolo 1 della legge 8 agosto
1995, n. 335 aveva previsto alcune agevolazioni
proprio per attenuare la penalizzazione conseguen-
te all’abolizione del trattamento minimo e all’au-
mento del requisito anagrafico (all’epoca era pre-
visto il passaggio da 55 a 60 anni per la pensione
di vecchiaia) e di quello contributivo (da quindici a
venti anni di contributi necessari), ma non sono si-
curamente sufficienti. Va rilevato però che la legge
22 dicembre 2011, n. 214 (la manovra cosiddetta
«salva Italia») ha ulteriormente aumentato, senza
prevedere un’equa gradualità, l’età di accesso alla
pensione di vecchiaia per le lavoratrici del settore
privato. Mentre nel 1995 era stata prevista una mi-
sura «compensativa» oltre alla gradualità, nel 2011
non è stato previsto nulla e non è possibile che
una precisa fascia anagrafica di popolazione pa-
ghi personalmente le conseguenze di questa scel-
ta molto più di tutti gli altri e le donne in misura
ancora maggiore.
La presente proposta di legge intende pertanto
migliorare almeno le intuizioni e le buone intenzioni
compensative già previste dalla citata legge n. 335
del 1995, quella che possiamo considerare, insie-
me alla normativa adottata nel 1992, la vera riforma
previdenziale.
La distribuzione per classi di anzianità contribu-
tiva nel territorio nazionale delle pensioni dirette
di vecchiaia e di invalidità erogate dall’INPS (circa
8.439.000 pensioni – 2003 su dati INPS), evidenzia
che il 52 per cento delle pensioni erogate a donne è
liquidato con una contribuzione fino a venti anni (in
particolare fino a quindici anni il 25 per cento delle
pensioni e da quindici a venti anni il 27 per cento
delle pensioni femminili) e solo il 9,9 per cento del-
le titolari donne raggiunge la fascia di contributi fra
trentacinque e quaranta anni.
Se alla precedente analisi si aggiunge la conside-
razione che la donna è maggiormente esposta con
l’invecchiamento a divenire invalida e non autosuf-
ficiente, essendo la speranza di vita della donna
pensionata senz’altro superiore a quella dell’uomo
(la speranza di vita della donna è pari a 85,8 anni e
quella dell’uomo è di 81,9 anni), si intuisce come
questa generazione di popolazione femminile sia
economicamente fragile e come sia sempre più
esposta a un grave rischio di povertà e di indigen-
za. Dunque, se questa è la situazione, per la quale è
difficile prevedere sostanziali mutamenti nel breve e
medio periodo, rispetto all’offerta di servizi per la cura
dei figli, crediamo sia un atto dovuto nei confronti del-
le donne e delle famiglie in generale dare un concreto
riconoscimento da parte dello Stato al lavoro di cura
prestato all’interno della famiglia.
La presente proposta di legge intende quindi rag-
giungere l’obiettivo di garantire soprattutto alle donne
il raggiungimento di una pensione dignitosa a fronte
dell’impegno per lavori di cura nell’ambito familiare.
Con l’articolo 1 viene ribadito che lo Stato ricono-
sce il valore universale della maternità e dei lavori
di cura familiari svolti dai genitori quali attività indi-
spensabili per la vita della collettività.
Con l’articolo 2 si riconoscono periodi di contribu-
zione figurativa per ogni figlio, naturale o adottivo,
nonché un incremento del 10 per cento della pen-
sione maturata per chi abbia avuto almeno due figli.
Gli oneri relativi all’attuazione della legge sono posti
a carico della fiscalità generale.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
Lo Stato riconosce il valore universale della ma-
ternità e dei lavori di cura familiare svolti dai geni-
tori quali attività necessarie e indispensabili per la
vita della collettività.
ART. 2.
1. Alle madri, o ai padri in caso di totale assenza
della madre, sono riconosciuti:
a) tre anni di contribuzione figurativa per ogni fi-
glio naturale o adottivo;
b) sei anni di contribuzione figurativa per ogni
figlio, in caso di disabilità grave riconosciuta ai
sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 feb-
braio 1992, n. 104;
c) quattro anni di contribuzione figurativa per ogni
figlio, nel caso di lavoro a tempo parziale a in-
tegrazione della contribuzione per raggiungere la
misura che sarebbe spettata alla lavoratrice o al
lavoratore qualora avesse avuto un rapporto di
lavoro a tempo pieno;
d) un’integrazione pari al 10 per cento del tratta-
mento pensionistico maturato in favore di coloro
che hanno avuto almeno due figli, naturali o adottivi.
Gli oneri derivanti dall’attuazione del comma 1 sono
posti a carico della fiscalità generale.
PROPOSTA DI LEGGE N. 728
D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI
GNECCHI, DAMIANO, LENZI, MADIA, BOBBA,
BERRETTA, BELLANOVA, MORANI, MANZI, MO-
RETTI, CULOTTA, INCERTI, MAESTRI, GIACOB-
BE, BARUFFI, GIORGIO PICCOLO
Norme in materia previdenziale in favore dei lavora-
tori che assistono familiari gravemente disabili
Presentata l’11 aprile 2013
ONOREVOLI COLLEGHI! — La presente proposta
di legge nasce dall’esigenza di aiutare tutte le fami-
glie alle prese con l’assistenza e la cura quotidiane di
un familiare gravemente disabile. Se è pur vero che
la legge 5 febbraio 1992, n. 104, sancisce il pieno
rispetto della dignità umana e promuove i diritti di li-
bertà e di autonomia delle persone disabili nonché la
loro integrazione in tutti gli ambiti sociali, le difficoltà
che incontrano le famiglie nell’assistenza di queste
persone sono molteplici e non sempre i servizi offerti
dall’assistenza pubblica sono sufficienti ad aiutare la
famiglia nella gestione quotidiana del familiare disa-
bile grave. Queste persone, se non vengono aiuta-
te, non sono in grado di lavarsi, vestirsi, nutrirsi o
partecipare alla vita sociale. Nella maggior parte dei
casi il disabile in condizioni di gravità – e quando si
parla di handicap grave questo non è mai un termi-
ne generico ma presuppone sempre una speciale
condizione, certificata in base a una visita collegiale,
che comporta per il disabile l’impossibilità di comp-
iere «gli atti quotidiani della vita» – dipende comple-
tamente dal familiare che si occupa di lui.
Questo perché, a tutt’oggi, la famiglia costituisce
ancora il perno su cui ruotano l’assistenza e la cura
della persona disabile. Infatti, nei nuclei familiari
dove è presente un disabile grave, alla normale atti-
vità lavorativa esterna necessaria al sostentamento
familiare si devono aggiungere la cura e l’assistenza
quotidiane a colui che non è in grado di badare a
se stesso. Com’è evidente, quindi, il nucleo fami-
liare costituisce, a un tempo, la collettività e il luogo
nel quale il disabile èassistito prevalentemente e in
modo continuativo, con notevoli oneri economici, e
non solo, a carico dei conviventi che se ne prendono
cura. Del resto, molto spesso, la presa in carico del
disabile da parte della famiglia è dettata non solo da
ragioni puramente affettive, ma anche economiche,
soprattutto per i nuclei familiari che non versano in
condizioni economiche tali da potersi permettere
l’aiuto di professionisti del settore o semplicemen-
te un aiuto esterno anche non qualificato. Questo
con l’andare del tempo provoca, sicuramente, il lo-
goramento fisico e psichico delle persone a cui è
affidata la cura del disabile. L’articolo 1, comma 1,
della presente proposta di legge prevede la possi-
bilità di anticipare l’età per l’accesso alla pensione
di vecchiaia di tre mesi per ogni anno dedicato alla
cura e all’assistenza del familiare convivente disa-
bile, fino a un massimo di cinque anni nonché il
diritto alla pensione anticipata, indipendentemen-
te dall’età anagrafica, a seguito del versamento di
trenta anni di contributi previdenziali, di cui almeno
cinque annualità versate nel periodo di costanza di
assistenza al familiare convivente disabile. Inoltre,
sempre all’articolo 1, al comma 2, si prevede, per il
familiare lavoratore, una contribuzione figurativa di
due mesi per ogni anno di contribuzione effettiva,
per un massimo di cinque anni, purche´ anche que-
sta sia versata in costanza di assistenza al familiare
disabile. I benef`ıci previsti all’articolo 1 si applicano
a condizione che, all’interno del nucleo familiare,
non vi sia un componente maggiorenne che, pur
abile al lavoro, non svolga alcuna attività lavorativa e
indipendentemente dall’attività lavorativa svolta dal
familiare lavoratore, purche´ questi sia stabilmente
convivente con la persona disabile.
All’articolo 2 si prevede una contribuzione figurativa
per i genitori che, pur lavorando, prestano un’assi-
stenza continua ai propri figli disabili.
All’articolo 3 si prevede per il familiare che assiste la
persona disabile e che non ha mai svolto un’attività
lavorativa la possibilità di versare i contributi volon-
tari fino al raggiungimento della contribuzione mini-
ma per il diritto alle pensione, secondo le modalità
previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro
del personale domestico.
L’articolo 4, infine, reca la copertura finanziaria.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
(Collocamento anticipato in quiescenza).
1. Alle lavoratrici e ai lavoratori che si dedicano al
lavoro di cura e di assistenza di familiari disabili
aventi una percentuale di invalidità uguale al 100
per cento, che assume connotazione di gravità ai
sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 feb-
braio 1992, n. 104, e che necessitano di assistenza
continua poiche´ non in grado di compiere gli atti
quotidiani della vita, ai sensi di quanto previsto dalla
tabella di cui al decreto del Ministro della sanità 5
febbraio 1992, pubblicato nel supplemento ordi-
nario alla Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio
1992, sono riconosciuti, su richiesta:
a) un anticipo di età per l’accesso alla pensione di
vecchiaia di tre mesi per ogni anno dedicato al la-
voro di cura, fino a un massimo di cinque anni di
anticipo;
b) il diritto alla pensione anticipata, indipendente-
mente dall’età anagrafica, a seguito del versamento
di trenta anni di contributi previdenziali, di cui alme-
no cinque annualità versate nel periodo di costanza
di assistenza al familiare convivente disabile grave.
2. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al comma 1 han-
no diritto, inoltre, ai fini della misura del trattamento
pensionistico, a una contribuzione figurativa di due
mesi per ogni anno di contribuzione effettiva, per
un massimo di cinque anni, purche´ versata in co-
stanza di assistenza al familiare convivente disabile
grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge
5 febbraio 1992, n. 104.
3. I benefici di cui ai commi 1 e 2 del presente ar-
ticolo al di fuori dell’ipotesi prevista dall’articolo 2,
comma 1, della presente legge, possono essere
godute da un solo familiare convivente per ciascu-
na persona disabile grave ai sensi dell’articolo 3,
comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, pre-
sente all’interno del nucleo familiare, qualora all’in-
terno dello stesso nucleo familiare non vi siano altri
componenti maggiorenni che, pur abili al lavoro,
non svolgono alcuna attività lavorativa.
4. Il beneficio di cui al comma 1 del presente ar-
ticolo si applica alla lavoratrice o al lavoratore che
presta assistenza al disabile grave ai sensi dell’ar-
ticolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.
104, indipendentemente dalla sua età anagrafica e
dalla sua appartenenza al settore pubblico, al set-
tore privato, alle libere professioni, al commercio o
all’artigianato, al lavoro autonomo.
5. Ai fini della presente legge, per lavoratore o lavo-
ratrice si intende uno solo dei parenti o degli affini
entro il quarto grado della persona assistita, ovvero
chi con quest’ultima convive stabilmente avendo
la medesima residenza anagrafica, e che svolge
un’attività lavorativa.
ART. 2.
(Norme in favore dei genitori di figli disabili gravi).
A uno dei genitori che assiste stabilmente il figlio di-
sabile grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, è riconosciuta, oltre
al diritto di cui all’articolo 1, comma 1, della presen-
te legge, la possibilità di una contribuzione figurativa
di un anno ogni cinque anni di contribuzione effetti-
va, versata in costanza di assistenza al figlio disabile
grave, a condizione che all’interno dello stesso nu-
cleo familiare non vi siano altri componenti maggio-
renni che, pur abili al lavoro, non svolgono alcuna
attività lavorativa.
Nel caso di assistenza congiunta da parte di en-
trambi i genitori, l’agevolazione di cui al comma 1 è
suddivisa al 50 per cento tra i medesimi.
Qualora la presenza nel nucleo familiare di figli di-
sabili gravi ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, sia superiore all’uni-
tà, i benef`ıci previsti dalla presente legge spettano
a entrambi i genitori.
ART. 3.
(Contribuzione volontaria e figurativa).
Per coloro che si sono dedicati al lavoro di cura e di
assistenza di soggetti disabili gravi ai sensi dell’ar-
ticolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.
104, e che non hanno mai svolto un’attività lavo-
rativa, è prevista la possibilità di versare i contributi
volontari fino al raggiungimento della contribuzione
minima per il diritto alla pensione, secondo le mo-
dalità previste dal contratto collettivo nazionale di
lavoro del personale domestico.
Per coloro che hanno dovuto lasciare la propria oc-
cupazione lavorativa per assistere con carattere di
continuità un familiare disabile grave ai sensi dell’ar-
ticolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.
104, in possesso di almeno quindici anni di con-
tribuzione al momento della cessazione dell’attività
lavorativa, è riconosciuto il diritto a una contribuzio-
ne figurativa di due mesi per ogni anno di assisten-
za al familiare disabile grave ai sensi dell’articolo 3,
comma 3, della legge 5 febbraio 1992, 104, per un
massimo di cinque anni.
ART. 4.
(Copertura finanziaria).
All’onere derivante dall’attuazione della presente
legge, pari a 100 milioni di euro annui a decorrere
dall’anno 2013, si provvede mediante corrispon-
dente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del
bilancio triennale 2013-2015, nell’ambito del fondo
speciale di parte corrente dello stato di previsione
del Ministero dell’economia e delle finanze per l’an-
no 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l’ac-
cantonamento relativo al medesimo Ministero.
Il Ministro dell’economia e delle finanze è autoriz-
zato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti
variazioni di bilancio.
PROPOSTA DI LEGGE N. 1881
D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI
GNECCHI, ROBERTA AGOSTINI, CUPERLO,
INCERTI, MAESTRI, GIACOBBE, D’INCECCO,
GHIZZONI, BARUFFI, LUCIANO AGOSTINI, TUL-
LO, LODOLINI, RAMPI, MARIANI, COMINELLI,
ZAMPA, MAZZOLI, BIONDELLI, MARANTEL-
LI, ALBANELLA, FABBRI, BARGERO, MIOTTO,
MURER, TERROSI, CASELLATO, BERLINGHIE-
RI, VELO, SIMONI, CAROCCI, BRUNO BOSSIO,
ROSSOMANDO, COCCIA, NARDUOLO
Modifiche all’articolo 24 del decreto-legge 6 di-
cembre 2011, n. 201, convertito, con modifica-
zioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in
materia di accesso delle lavoratrici alla pensione di
vecchiaia, nonché concessione di contributi previ-
denziali figurativi per il riconoscimento dei lavori di
cura familiare
Presentata il 6 dicembre 2013
ONOREVOLI COLLEGHI! — L’Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) e l’Istituto nazionale della previ-
denza sociale (INPS) hanno pubblicato, il 2 agosto
2013, un’analisi impietosa delle differenze di ge-
nere tra i pensionati italiani e i dati che riguardano
le donne sono decisamente allarmanti. Emergono
una realtà femminile fragile e un’uguaglianza di ge-
nere ancora decisamente incompiuta, con oltre la
metà delle donne con meno di 1.000 euro al mese
di pensione (dati del 2011) contro un terzo degli
uomini e solo 204.000 donne titolari di pensioni
oltre i 3.000 euro mensili, contro oltre 650.000
uomini, 7,4 milioni di pensionati non arrivano a
1.000 euro al mese. Le disuguaglianze più mar-
cate si registrano al nord, per l’ovvia differenza tra
nord e sud di possibilità di lavoro e, come ben si
sa, la pensione è il riassunto della vita lavorativa.
Più donne pensionate ma più povere. Secondo i
dati dello studio diffuso dall’ISTAT e dall’INPS, nel
2011, degli oltre 23 milioni di trattamenti pensio-
nistici il 56,4 per cento è stato erogato a donne e
il 43,6 per cento a uomini. Ma le donne, pur rap-
presentando il 52,9 per cento dei pensionati (8,8
milioni su 16,7 milioni) e più della metà delle pen-
sioni, percepiscono solo il 43,9 per cento dei 266
miliardi di euro erogati (il 56,1 per cento è, infatti,
destinato agli uomini).
Ciò comporta che l’importo medio annuo del-
le prestazioni godute da un uomo ammonta a
14.460 euro, il 65,6 per cento in più di quello delle
pensioni di titolarità femminile, che si attesta ad
appena 8.732 euro.
Dipende evidentemente solo dalle diverse aspet-
tative di vita tra uomo e donna il fatto che le donne
pensionate sono più numerose degli uomini, oltre
che perché vivono in media più a lungo, perché
sopravvivono ai mariti e quindi aumenta il numero
di pensionate grazie alla pensione di reversibilità
del coniuge deceduto. Grazie a questo dato nu-
merico il divario economico di genere si riduce al
43,8 per cento se calcolato sul reddito pensioni-
stico, che risulta pari a 19.022 euro per gli uomini
e a 13.228 euro per le donne. Nella precedente
legislatura si è intervenuti più volte sul sistema pre-
videnziale e sono state in particolare le donne ad
essere più penalizzate. Il Governo Berlusconi nel
2009 ha innalzato a 65 anni l’accesso delle don-
ne alla pensione di vecchiaia nel settore pubblico,
utilizzando strumentalmente una sentenza della
Corte di giustizia dell’Unione europea.
Il risparmio previsto dall’innalzamento a 65 anni
dell’età di accesso alla pensione di vecchiaia delle
donne del pubblico impiego ammontava a circa
3,7 miliardi di euro a regime entro il 2020, desti-
nati a misure volte ad alleviare il carico di lavoro
non retribuito e, in particolare, la legge prevedeva
esplicitamente di dedicare i risparmi « ad interventi
dedicati a politiche sociali e familiari con particola-
re attenzione alla non autosufficienza e all’esigen-
za di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare
delle lavoratrici » (articolo 22-ter, comma 3, del
decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con mo-
dificazioni, dalla legge n. 102 del 2009). Tali fondi
in realtà sono stati utilizzati per altri scopi.
A novembre 2011 è arrivato il Governo tecnico e
con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, di
seguito « decreto salva Italia », ha innalzato repen-
tinamente l’età per l’accesso alla pensione di vec-
chiaia delle donne del settore privato, senza una
gradualità reale. Di seguito si riporta parte della re-
lazione tecnica (atto Camera n. 4829) relativa alla
pensione di vecchiaia delle lavoratrici del settore
privato: «In particolare, per quanto riguarda il pen-
sionamento di vecchiaia delle lavoratrici del settore
privato e, quindi, l’accelerazione dell’allineamento
del requisito alla generalità dei lavoratori per le di-
pendenti, le valutazioni tengono conto, nel breve
periodo, dei seguenti parametri:
numero dei soggetti interessati in relazione alla ma-
turazione dei requisiti minimi dal 1o gennaio 2012:
circa 110.000 l’anno in media nel primo triennio.
Di queste, circa 72.000 sono lavoratrici dipendenti
(di cui circa 68.000 maturano i requisiti nel 2012)
e 38.000 lavoratrici autonome, per una comples-
siva spesa media annua di circa 1.080 milioni di
euro. I risparmi sono valutati in termini differenziali
a quanto già previsto dalla normativa previgente;
importo medio (2013): circa 10.200 euro per le la-
voratrici dipendenti e circa 8.100 euro per le lavo-
ratrici autonome».
Tutti i risparmi sulle pensioni realizzati dal decreto
«salva Italia», sono stati utilizzati unicamente per
coprire il debito pubblico, come espressamente
dichiarato dall’allora Ministro Fornero all’Assem-
blea della Camera dei deputati nel luglio 2012, in
risposta all’interrogazione presentata dall’onore-
vole D’Antoni. Nessun risparmio sarà quindi utiliz-
zato per garantire le future generazioni, né tanto-
meno per l’occupazione femminile. La banca dati
dell’INPS ci offre la possibilità di verificare che le
pensioni di vecchiaia liquidate nel 2012 alle don-
ne del settore privato sono state circa 55.000, per
un importo pro capite mensile lordo di 698 euro
(19.000 pensioni di lavoratrici autonome per un
importo mensile medio di 597 euro).
Con la manovra «salva Italia» ad essere fortemente
penalizzate sono state le donne nate nel 1952, che
si sono ritrovate innalzato di due anni il requisito
per l’accesso alla pensione nell’arco di una notte,
dal 31 dicembre 2011 al 1o gennaio 2012, inne-
scando un meccanismo di rincorsa che comporta
un ritardo di accesso alla pensione di vecchiaia da
quattro a sei anni. È inaccettabile che una fascia
anagrafica paghi più di altre un tributo così elevato
al debito pubblico.
La scelta quasi obbligata delle donne di uscire dal
mercato del lavoro, per brevi o per lunghi periodi,
comporta un’ulteriore penalizzazione delle stes-
se donne, soprattutto per quanto attiene l’aspet-
to previdenziale. A differenza degli uomini, sono
molte di più le donne che arrivano alla pensione
di vecchiaia per la scarsità di contributi accumu-
lati nel corso degli anni e sono poche le donne
che maturano i requisiti per l’accesso al pensio-
namento per anzianità contributiva. Va considera-
to, inoltre, che erano ben 4,5 milioni le pensioni
integrate al trattamento minimo, con un importo
medio di integrazione di circa 3.100 euro annui
per pensione, come si rileva dai dati del Ministe-
ro dell’economia e delle finanze – Ragioneria dello
Stato, ultima rilevazione dell’anno 2005, mentre la
relazione annuale dell’INPS fornisce l’indicazione
sulle pensioni integrate ma non l’importo medio di
integrazione, un dato interessante per capire cosa
accadrà quando non ci sarà più l’integrazione. Nel
2011 erano quindi 4,5 milioni le pensioni integrate
al trattamento minimo e le donne sono titolari di
ben 3,5 milioni di queste. Si consideri, come già
rilevato, che per le pensioni liquidate con il sistema
contributivo non esisterà più l’integrazione al trat-
tamento minimo e ciò comporterà un ulteriore re-
ale peggioramento, per le donne in particolare. Le
pensioni integrate al minimo nel 2012 (dati INPS)
sono e sono prevalentemente destinate a donne
(81 per cento). Il nord registra una maggiore pre-
senza di trattamenti (circa il 44 per cento del tota-
le), con una quota relativamente più consistente
di pensioni di vecchiaia integrate (53 per cento).
Questo dimostra che le pensioni sono basse e che
l’integrazione al trattamento minimo è una misura
indispensabile per la sopravvivenza di chi lo perce-
pisce. Per queste ragioni con questa proposta di
legge si prevede anche l’abrogazione del comma
7 dell’articolo 24 del decreto «salva Italia», perché
penalizza pesantemente le donne, prevedendo
che qualora l’importo della pensione non superi di
1,5 volte l’assegno sociale il diritto a pensione si
sposti a 70 anni di età.
Negli altri Paesi europei, prescindendo dalla tutela
della gravidanza e della maternità che esiste ovun-
que, si nota che è presente un riconoscimento og-
gettivo alle donne attraverso periodi di contribu-
zione figurativa per la crescita dei figli. In Francia,
alle lavoratrici madri sono riconosciuti due anni di
contribuzione figurativa per ogni figlio e fino a tre
(a scelta tra madre e padre), oltre a un eventuale
supplemento di pensione (pari al 10 per cento in
più) per chi abbia avuto almeno tre figli. La Francia
è uno dei Paesi con tasso di fecondità più elevato
in Europa. In Grecia sono riconosciuti da uno a un
massimo di quattro anni di contribuzione figurati-
va, in relazione al numero di figli avuti. In Germania
sono previsti vari sostegni economici alla famiglia
legati ai figli che permettono maggiore possibili-
tà di scelta reale rispetto al lavoro e all’utilizzo dei
servizi.
Dati dell’Eurostat e della Commissione europea
(2006-2007) e dell’ISTAT (2008) attestano che in
media le donne italiane lavorano 60 ore la setti-
mana: sono in Europa quelle che lavorano di più.
Sulla somma incidono sia il lavoro retribuito svol-
to fuori casa che quello non retribuito prestato in
ambito familiare. Questo lavoro gratuito, che gli
indicatori economici non rilevano, tiene in piedi la
società la quale, però, restituisce alle donne assai
poco rispetto a quanto da loro riceve.
Oggi, infatti, mancano i servizi di assistenza per
l’infanzia e quelli per gli anziani.
Le donne in Italia si prendono cura della famiglia,
hanno spesso lavori precari, carriere intermittenti,
redditi più bassi, scarsa disponibilità di servizi so-
ciali e sono assenti nelle « stanze » che contano,
anche in quelle in cui si decide di mandarle in pen-
sione a 67 anni. Oggi le donne tra i 50 e 60 anni
hanno, nella gran parte dei casi, genitori ottanten-
ni che hanno bisogno di assistenza da parte della
famiglia.
I dati sull’occupazione femminile in Italia sono i
peggiori d’Europa: il 2009 ha visto interrompersi
il trend di crescita dell’occupazione femminile (15-
64 anni) che aveva contraddistinto i precedenti
anni, assestando il tasso di occupazione al 46,7
per cento, valore molto lontano sia dalla media eu-
ropea del 58,6 per cento che dall’obiettivo euro-
peo di raggiungere il 60 per cento di occupazione
femminile per il 2010 (Strategia di Lisbona 2000).
La crisi economica, sociale, culturale e ambienta-
le causata dalle politiche dei Governi che si sono
succeduti negli ultimi anni e aggravata dalle strate-
gie del Governo Monti e dalle manovre del Ministro
Fornero (permanenza al lavoro delle persone più
anziane, blocco del turn over, riforma del lavoro e
altro) ha peggiorato la situazione dell’occupazio-
ne giovanile, colpendo soprattutto le donne e, in
particolare, quelle con lavori temporanei. Le situa-
zioni di maggiore criticità si registrano fra le gio-
vani donne che, pur dotate sempre più spesso di
elevati livelli di istruzione, faticano più dei loro co-
etanei ad accedere al mercato del lavoro e per le
over cinquantenni, la cui partecipazione è lontana
dagli obiettivi di Lisbona non solo per la presenza
di modelli di discriminazione ancora vincenti, ma
anche per il sopraggiungere di nuove esigenze di
conciliazione legate all’assistenza di parenti anzia-
ni non più autosufficienti, a cui il sistema di welfare
pubblico fatica ad offrire risposte.
Benché occorra più tempo per valutare a pieno gli
effetti della riforma del Ministro Fornero, un primo
rapporto del novembre 2012 (SeCo-Statistiche e
comunicazioni obbligatorie) sui contratti di lavo-
ro intermittente (modificato dalla legge n. 92 del
2012) fa rilevare che le assunzioni sono diminuite
fortemente in tutte le aree (circa -30 per cento),
rispetto sia al trimestre precedente che al medesi-
mo trimestre dell’anno precedente (-70 per cento).
Di converso sono ovunque aumentate le cessa-
zioni (+40 per cento rispetto sia al trimestre che
all’anno precedente), di cui solo il 15 per cento
circa si è trasformato in un lavoro tempo indeter-
minato e quasi sempre part-time.
Secondo il Consiglio nazionale dell’economia e del
lavoro (CNEL) la situazione dell’occupazione fem-
minile si è aggravata proprio a causa della scarsità
di servizi sociali di supporto alle famiglie, dei cari-
chi di lavoro familiare, ancora appannaggio quasi
esclusivamente femminile, del « tetto di cristallo » e
delle retribuzioni inferiori rispetto a quelle maschi-
li, con riflessi conseguenti anche sulla situazione
pensionistica.
L’aumento dei costi e la scarsità dei servizi socia-
li a sostegno della prima infanzia, riconosciuti in
Europa come un forte fattore facilitante la crescita
del lavoro femminile, sono una delle prime cau-
se per cui le donne decidono di non lavorare o
di smettere di lavorare o di non tornare a lavorare
dopo la nascita del primo figlio. La probabilità di
non lavorare 18-21 mesi dopo la nascita di un fi-
glio è di quasi il 50 per cento. Ovviamente le don-
ne con un titolo di studio più alto rientrano al lavoro
dopo il parto e riescono a gestire meglio delle altre
i problemi legati alla conciliazione dei tempi di vita
e di lavoro. Un altro ostacolo al lavoro femminile
è il tempo dedicato alla cura della famiglia e del-
la casa, che risulta ancora a carico delle donne
per il 77 per cento (Rapporto sulle donne in Italia,
CNEL, 2010).
Un altro motivo per cui le donne non possono
iniziare o smettono di lavorare è quello di doversi
sostituire alle assistenti domiciliari (badanti), a cau-
sa dell’impossibilità delle famiglie di sostenerne le
spese, ma anche di dover supplire alla carenza dei
servizi sanitari, caricandosi non solo delle attivi-
tà tradizionali di cura ma anche di servizi nuovi e
complessi che vengono delegati dal sistema sani-
tario ai familiari, come l’assistenza ai malati cronici
(SLA, patologie psichiatriche, dipendenze, dialisi e
altro).
In questi casi le donne si vedono costrette ad ac-
cettare anche condizioni di pensionamento con
abbattimenti in termini economici fino al 30 per
cento (opzione contributiva prevista per le donne
a 57 anni di età e a 35 anni di contributi, fino al
2015). Tale disposizione non può che contribuire al
drammatico aumento della povertà per le donne,
con inevitabili ripercussioni su tutta la società. Non
a caso « l’opzione donna » viene utilizzata ora, da
quando non esiste più la possibilità di pensione di
vecchiaia a 60 anni e dal 1o gennaio 2012 essa
è l’unica possibilità di pensione, seppur penaliz-
zante: se, dal 2004 a oggi poche donne l’avevano
utilizzata, ora diventa l’unica salvezza.
Per contro, le donne che rimangono a lavorare
sono sottoposte a ritmi di vita frenetici per riusci-
re a coniugare impegni lavorativi e familiari e sono
obbligate a confrontarsi con sistemi di gestione
sempre più gerarchici, competitivi e punitivi, lon-
tani dalla loro formazione e dalle loro competenze
più orientate alla cooperazione, al lavoro orizzon-
tale e all’inclusione. Le lavoratrici, schiacciate da
tutte queste pressioni, soffrono di patologie psi-
chiche in misura prevalente e crescente rispetto
agli uomini, compreso lo stress lavoro correlato,
aggravato dal rischio psico-sociale connesso al
doppio o triplo carico di lavoro.
Non mancano dati statistici in grado di descrivere
il perdurante impatto dei tempi di lavoro (retribuito
o no) sulla vita quotidiana delle donne (madri e fi-
glie), con effetti sulle loro opportunità, sulla qualità
della vita percepita e sulla salute.
Dati epidemiologici rilevano che gli innegabili mi-
glioramenti delle condizioni di sopravvivenza sono
concentrati nelle fasce di età anziane (a 65 anni la
differenza di sopravvivenza tra gli anni novanta e
il 2009 è praticamente immutata per le donne). In
generale all’aumento dell’aspettativa di vita non
corrisponde un aumento dello stato di salute,
come riporta il Libro verde sul welfare e, soprat-
tutto in Italia, l’aspettativa di vita in buona salute
è drammaticamente crollata per le donne negli ul-
timi anni.
Molte patologie ad elevato impatto debilitan-
te sono femminili, si pensi all’artrite reumatoide,
all’osteoporosi, ai disturbi muscolo-scheletrici e
ad alcuni tumori, in generale sempre più frequen-
ti nonostante sia riconosciuto che le generazioni
coinvolte abbiano assunto stili di vita più salutari
degli uomini.
L’allungamento dell’età pensionabile e la diminu-
zione delle pensioni in termini economici, insieme
alla trasformazione degli ambienti di lavoro rende-
ranno la situazione delle donne insostenibile, sia
durante la fase lavorativa che dopo:
a) le donne sono costrette a lavorare in condizioni
di salute precarie;
b) le difficoltà che già normalmente ostacolano
una competizione alla pari sul posto di lavoro con
i colleghi maschi sono aumentate;
c) le possibilità di carriera sono minori e quindi le
pensioni sono più basse a fine lavoro;
d) le necessità di smettere di lavorare o di andare
in pensione con trattamenti minimi e quindi ad ele-
vato rischio di povertà sono superiori.
Inoltre si consideri che l’invecchiamento lavorativo
fa perdere competitività al sistema, che il prolun-
gamento dell’età pensionabile non consente l’in-
gresso dei giovani nel mondo del lavoro e che gli
anziani e i bambini sono sempre più senza servizi o
cure familiari e in condizioni economiche precarie.
Per i motivi esposti le donne lavoratrici del settore
pubblico e privato, come operaie, medici, infer-
miere, insegnanti o tec-niche, non possono esse-
re obbligate a lavorare oltre i 60 anni.
La riforma del Ministro Fornero non ha conside-
rato che proprio per raggiungere l’equità non è
possibile stabilire criteri uguali per tutti, laddove
si parta da condizioni discriminanti e da disuguali
opportunità socio-economiche tra maschi e fem-
mine: non dovrebbe essere difficile da capire.
Anche l’alibi di adeguamento agli standard eu-
ropei evidentemente non regge in considerazio-
ne della diversità del contesto socio-economico
(maggiori servizi, ammortizzatori e altro) e della
maggiore flessibilità nell’età pensionabile in altri
Paesi membri.
Si può, invece, impostare un sistema pensionisti-
co che contempli flessibilità e libertà di scelta in
modo da conciliare politiche di lavoro ed esigenze
personali, insieme a misure organizzative favore-
voli ad una maggiore flessibilità del lavoro.
Questi dati ci costringono a intervenire, purché
non si può rimanere spettatori di un’ingiustizia
così evidente, soprattutto sapendo che nella real-
tà della vita quotidiana sono le donne a lavorare di
più degli uomini e a reggere lo Stato sociale, so-
stituendosi spesso alla mancanza di servizi e ga-
rantendo il famoso welfare familiare su cui si basa
tutto il nostro sistema sociale. Lo Stato deve rico-
noscere alle donne, quale atto risarcitorio dovuto
per la mancata realizzazione di pari opportunità,
con l’assenza di servizi sul territorio e per il manca-
to superamento delle differenze retributive, misure
adeguate di miglioramento previdenziale.
Con questa proposta di legge s’intende quindi
raggiungere l’obiettivo di completare il quadro dei
progetti di legge presentati per favorire l’occupa-
zione femminile, occupandosi in particolare delle
pensioni delle donne, poiché esse sono sempre
troppo basse e ciò comporterà per moltissime
donne una pensione assolutamente insufficiente
per una possibilità di vita dignitosa.
Con l’articolo 1 viene sostituito il comma 6 dell’ar-
ticolo 24 del decreto «salva Italia» al fine di intro-
durre gradualità per l’accesso alla pensione di
vecchiaia delle lavoratrici dipendenti e autonome
del settore privato, eliminando quell’assurdo sca-
lone che costringe le donne a rincorrere il requisito
dell’età; sono abrogati anche i successivi commi
7, 8, 9 e il comma 15-bis, lettera b). Si riconosce il
diritto delle donne del pubblico impiego ad anda-
re in pensione a 64 anni dal 1o luglio 2013 al 31
dicembre 2017 e a 65 anni del 1o gennaio 2018,
come per gli altri settori. Si mantiene la differenza
perché, essendo stata aumentata l’età per la pen-
sione di vecchiaia delle donne del pubblico impie-
go già dal 1o gennaio 2010, chi aveva compiuto
60 anni nel 2009 aveva mantenuto il diritto e quin-
di proporre 64 anni, come già previsto dal citato
comma 15-bis per il settore privato, tiene conto
che ormai quasi tutte le donne interessate hanno
compiuto 64 anni (quindi è inutile la parificazione
agli altri settori) ma dà alla Ragioneria dello Stato
la possibilità di prevedere la copertura finanziaria
delle nuove disposizioni.
Con l’articolo 2 viene ribadito che lo Stato ricono-
sce il valore universale della maternità e dei lavori
di cura familiari quali attività indispensabili per la
vita della collettività e che lo Stato non ha garantito
alle donne reali pari opportunità, servizi adeguati e
la parificazione delle retribuzioni, prevedendo qua-
le atto risarcitorio dovuto misure a sostegno delle
donne che consistono in contribuzione figurativa
o, in alternativa, nell’anticipo all’accesso alla pen-
sione di vecchiaia. Allo stesso scopo si dispone
l’abrogazione della norma che impedisce la cumu-
labilità del riscatto dei periodi di assenza facoltati-
va collocati al di fuori del rapporto di lavoro con il
riscatto del periodo di corso legale di laurea.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
1. Il comma 6 dell’articolo 24 del decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modifi-
cazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, è
sostituito dal seguente:
«6. Relativamente ai soggetti di cui al comma 5, a
decorrere dal 1o gennaio 2012 i requisiti anagrafici
per l’accesso alla pensione di vecchiaia sono ride-
finiti nei seguenti termini:
a) per le lavoratrici dipendenti e per le lavoratri-
ci autonome la cui pensione è liquidata a carico
dell’AGO e delle forme sostitutive, esonerative ed
esclusive della medesima, nonché della gestione
separata di cui all’articolo 2, comma 26, della leg-
ge 8 agosto 1995, n. 335, il requisito anagrafico è
fissato in:
1) 61 anni a decorrere dal 1o gennaio 2012;
2) 62 anni dal 1o luglio 2013;
3) 63 anni dal 1o gennaio 2015;
4) 64 anni dal 1o luglio 2016;
5) 65 anni a decorrere dal 1o gennaio 2018;
b) in via transitoria, dal 1o luglio 2013 al 31 dicem-
bre 2017, in deroga alle disposizioni dell’articolo
22-ter del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto
2009, n. 102, e successive modificazioni, per le
lavoratrici del settore pubblico il requisito anagra-
fico è fissato in 64 anni. Dal 1o gennaio 2018 tale
requisito è incrementato di un anno».
2. All’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla
legge 22 dicembre 2011, n. 214, come da ultimo
modificato dal presente articolo, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) i commi 7, 8 e 9 sono abrogati;
b) il comma 15-bis è sostituito dal seguente:
«5-bis. In via eccezionale, i lavoratori dipenden-
ti del settore privato e del settore pubblico le cui
pensioni sono liquidate a carico dell’assicurazione
generale obbligatoria e delle forme esonerative e
sostitutive della medesima che abbiano maturato
un’anzianità contributiva di almeno 35 anni entro
il 31 dicembre 2012 i quali avrebbero maturato,
prima della data di entrata in vigore del presente
decreto, i requisiti per il trattamento pensionistico
entro il 31 dicembre 2012 ai sensi della tabella B
allegata alla legge 23 agosto 2004, s243, e suc-
cessive modificazioni, possono conseguire il trat-
tamento della pensione anticipata al compimento
di un’età anagrafica non inferiore a 64 anni».
ART. 2.
1. Lo Stato riconosce il valore universale della
maternità e dei lavori di cura familiare quali attivi-
tà necessarie e indispensabili per la vita della col-
lettività e prevede misure e agevolazioni in favore
delle donne volte a promuovere condizioni di pari
opportunità.
2. Alle madri, o ai padri in caso di totale assenza
della madre, sono riconosciuti:
a) due anni di contribuzione figurativa per ogni fi-
glio naturale o adottivo;
b) tre anni di contribuzione figurativa per ogni fi-
glio, in caso di disabilità grave riconosciuta ai sen-
si dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio
1992, n. 104.
3. In alternativa a quanto previsto dal comma 2, è
concesso ai soggetti di cui al medesimo comma:
a) l’anticipo dell’età di accesso alla pensione di
vecchiaia di due anni per ogni figlio naturale o
adottivo fino a un massimo di cinque anni di anti-
cipo, ferma restando l’età minima di 60 anni;
b) l’anticipo dell’età di accesso alla pensione
di vecchiaia di tre anni per ogni figlio naturale o
adottivo con disabilità grave riconosciuta ai sen-
si dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio
1992, n. 104, fino a un massimo di sei anni, ferma
restando l’età minima di 59 anni.
4. Sono valutati come possibilità di anticipo di età
per la pensione di vecchiaia, fino a un massimo di
tre anni e ferma restando l’età minima di 60 anni,
i periodi di assistenza a parenti disabili certificati ai
sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992,
n. 104.
5. Fatto salvo quanto previsto dai commi 2, 3 e 4,
sono riconosciuti alle donne, anche in assenza di
prole o di periodi dedicati all’assistenza a parenti
disabili certificati ai sensi dell’articolo 3 della legge
5 febbraio 1992, n. 104:
a) dodici mesi di contribuzione figurativa, fino a un
massimo di sessanta mesi, per ogni otto anni di
contribuzione derivante da lavoro effettivo, riscatto
o contribuzione volontaria, alle donne che lavora-
no e che risiedono nelle regioni del centro-nord;
b) quindici mesi di contribuzione figurativa, fino a
un massimo di settantacinque mesi, per ogni otto
anni di contribuzione derivante da lavoro effettivo,
riscatto o contribuzione volontaria, alle donne che
lavorano e che risiedono nelle regioni del sud.
6. Le agevolazioni di cui al comma 5 sono conces-
se in assenza di altri redditi personali, fatta salva
l’abitazione principale iscritta alla categoria cata-
stale A/1, A/8, A/9, e fino a concorrenza di un
reddito da pensione non superiore a due volte il
trattamento minimo.
7. L’articolo 14, comma 2, del decreto legislativo
30 dicembre 1992, n. 503, è abrogato.
PROPOSTA DI LEGGE N. 388
D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI
MURER, CENNI, VELO, GARAVINI, MOSCATT,
MARTELLA, BERLINGHIERI, CIMBRO, D’INCEC-
CO, BIONDELLI, MARCHI
Delega al Governo per l’introduzione di agevola-
zioni contributive per le lavoratrici madri nonché
modifiche agli articoli 4 della legge 8 marzo 2000,
n. 53, e 42 del testo unico di cui al decreto legi-
slativo 26 marzo 2001, n. 151, per l’elevazione del
limite massimo di durata dei congedi lavorativi per
gravi motivi familiari
Presentata il 21 marzo 2013
ONOREVOLI COLLEGHI! — Alcuni recenti prov-
vedimenti del Governo in ordine alla materia previ-
denziale sono stati volti al progressivo innalzamen-
to dei requisiti anagrafici per il diritto all’accesso
dei trattamenti pensionistici, con riferimento ai la-
voratori pubblici e privati, uomini e donne.
La riforma è stata decisa per due ragioni sostanzia-
li: da una parte, adeguare i requisiti anagrafici per
l’accesso al sistema pensionistico all’incremento
della speranza di vita accertato dall’Istituto nazio-
nale di statistica (ISTAT) e convalidato dall’Ufficio
statistico dell’Unione europea (EUROSTAT), con
riferimento ai cinque anni precedenti, e dall’altra,
garantire la sostenibilità economica di lungo perio-
do del sistema che, oltre all’aggancio automatico
dell’età pensionabile all’incremento della speranza
di vita, ha previsto il posticipo della decorrenza dei
trattamenti pensionistici (cosiddette « finestre ») e
un generale incremento dei requisiti pensionistici.
L’articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214
del 2011, ha attuato una revisione complessiva del
sistema pensionistico. In particolare, sono stati ri-
definiti i requisiti anagrafici per il pensionamento di
vecchiaia a decorrere dal 1° gennaio 2012 (comma
6), disponendo l’innalzamento a 66 anni di età del
limite minimo per accedere alla pensione di vec-
chiaia (sia per i lavoratori dipendenti sia per quelli
autonomi), nonché l’anticipazione della disciplina a
regime dell’innalzamento progressivo dell’età ana-
grafica delle lavoratrici dipendenti private al 2018
(in luogo del 2026). Più specificamente, sono stati
ridefiniti i requisiti anagrafici per l’accesso alla pen-
sione di vecchiaia nei seguenti termini:
a) 62 anni per le lavoratrici dipendenti private, la
cui pensione è liquidata a carico dell’assicurazione
generale obbligatori (AGO) e delle forme sostitutive
della medesima; tale requisito anagrafico viene ulte-
riormente innalzato a 63 anni e 6 mesi a decorrere
dal 1° gennaio 2014, a 65 anni a decorrere dal 1°
gennaio 2016; e a 66 anni a decorrere dal 1° gen-
naio 2018;
b) 63 anni e 6 mesi per le lavoratrici autonome la
cui pensione è liquidata a carico dell’AGO nonché
della gestione separata dall’Istituto nazionale della
previdenza sociale (INPS) di cui all’articolo 2, com-
ma 26, della legge n. 335 del 1995; tale requisito
anagrafico è fissato a 64 anni e 6 mesi a decorrere
dal 1° gennaio 2014, a 65 anni e 6 mesi a decorrere
dal 1° gennaio 2016, a 66 anni a decorrere dal 1°
gennaio 2018 e a 66 anni per i lavoratori dipenden-
ti privati e per i dipendenti pubblici (lavoratori e, ai
sensi dell’articolo 22-ter del decreto-legge 78 del
2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
102 del 2009, lavoratrici), la cui pensione è liquidata
a carico dell’AGO e delle forme sostitutive ed esclu-
sive della medesima.
Il successivo comma 10 innalza, a decorrere dal
1° gennaio 2012 e con riferimento ai soggetti la
cui pensione è liquidata a carico dell’AGO e del-
le forme sostitutive ed esclusive della medesima,
nonché della gestione separata dell’INPS, che
maturino i requisiti a partire dalla medesima data,
il limite massimo di 40 anni richiesto ai fini del rico-
noscimento del diritto al pensionamento in base al
solo requisito di anzianità contributiva a prescinde-
re dall’età anagrafica (cosiddetti «quarantesimi»).
Sulla base delle nuove disposizioni, l’accesso al
trattamento pensionistico è consentito esclusiva-
mente qualora risulti maturata un’anzianità contri-
butiva di:
a) nel 2012, 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41
anni e 1 mese per le donne;
b) nel 2013, 42 anni e 2 mesi per gli uomini e 41
anni e 2 mesi per le donne;
c) a decorrere dal 2014, 42 anni e 3 mesi per gli
uomini e 41 anni e 3 mesi per le donne.
In virtù di tale disposizione è soppressa, sempre
a decorrere dal 2012, la possibilità di accedere al
pensionamento anticipato con il sistema delle co-
siddette «quote» introdotto dalla legge n. 247 del
2007, con un’anzianità minima compresa tra 35 e
36 anni di contributi. Inoltre, si prevede l’applica-
zione di una riduzione percentuale del trattamen-
to pensionistico per ogni anno di pensionamento
anticipato rispetto all’età di 62 anni (pari all’1 per
cento, con elevazione al 2 per cento per ogni ulte-
riore anno di anticipo rispetto a 2 anni).
Con la riforma previdenziale, sul fronte del tratta-
mento delle pensioni per uomini e per donne, il Go-
verno ha accolto i rilievi dell’Unione europea sull’u-
guaglianza tra donne e uomini, predisponendo un
intervento legislativo che parifica l’età pensionabile
delle lavoratrici del lavoro pubblico a quella dei col-
leghi maschi, passando, gradualmente, alla mede-
sima età.
Il provvedimento, giustificato dall’esigenza di rie-
quilibrio dei conti, non tiene del tutto conto di una
serie di specificità che investono, in particolare, le
donne nella loro storia lavorativa e personale e, in-
nanzitutto, del peso che deriva dalla mancanza di
una vera politica di pari opportunità che investa nei
servizi pubblici, che sostenga le donne nel mercato
del lavoro, che dia risposte al lavoro di cura, che al-
lievi le donne da un doppio lavoro obbligato in tutte
le fasi della vita e che le discrimina di fatto per tutta
la loro vita lavorativa, salvo saldare una parados-
sale «uguaglianza» quando si tratta della pensione.
Il medesimo discorso riguarda chi assiste familiari
disabili gravi, un lavoro di cura che riguarda spes-
so le donne ma, a volte, anche gli uomini.
In Italia ci sono milioni di persone non in grado di
svolgere gli atti quotidiani della vita in modo au-
tonomo o di non deambulare da soli eccetera, e
quindi rientranti in una condizione di disabilità gra-
ve (articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del
1992). Soggetti che vivono una condizione che in-
cide pesantemente sulla loro vita ma anche, alme-
no per chi ne ha una, sulle loro famiglie, che sono
la risorsa vera, dal momento che i servizi pubblici,
in questo senso, risentono di note carenze.
A considerare gli ultimi dati dell’ISTAT si rileva che
il 43 per cento delle donne italiane con età inferiore
ai 40 anni (ma ben il 55 per cento di quelle che ne
hanno meno di 30), se decidono di avere un figlio
non accedono alla maternità con tutti i diritti pre-
visti dalla legge: non ricadono infatti tra le lavora-
trici dipendenti a tempo indeterminato che sono il
« target » di riferimento della legge n. 53 del 2000.
Oggi le giovani donne accedono in modo precario
al mondo del lavoro, spesso con lavori autonomi,
ma si muovono anche in un contesto molto cam-
biato dal punto di vista culturale, fatto di maggiore
equilibrio nelle responsabilità di cura nelle coppie
e di consapevolezza di non voler essere messe di
fronte alla scelta di rinunciare al lavoro in presenza
di un figlio.
È necessario dunque un riconoscimento mirato –
materiale ma anche simbolico – del lavoro di cura,
ed è necessario intraprendere un percorso di rie-
quilibrio del sistema di welfare che allarghi i diritti
sociali e di cittadinanza a chi, senza distinzione tra
donne e uomini, presta attività di cura: la cura –
che è un’attività umana essenziale e ha un valore
irrinunciabile – deve entrare nella polis, ridisegnan-
do una nuova mappa del welfare.
Un sistema di welfare a carattere strutturale, reso
più urgente dall’attuale situazione di crisi, iniziando
dalle seguenti considerazioni.
La proposta del Governo di equiparazione dell’età
minima della pensione di vecchiaia delle donne, a
fronte della sentenza della Corte di giustizia dell’U-
nione europea sulla normativa italiana del pubblico
impiego, è accettabile solo se si accompagna a
una sostanziale riforma del welfare che tenga con-
to del lavoro di cura. La possibilità di anticipazione,
infatti, costituiva una sorta di « risarcimento », per
quanto generico e generalizzato, del ruolo di cura
ricoperto dalle donne nella società. Averla cancel-
lata contempla la necessità di individuare, comun-
que, una forma di riconoscimento per il lavoro di
cura stesso.
La nostra legislazione già prevede forme di rico-
noscimento per quelle categorie di lavoratori che
hanno un’attesa di vita ridotta come disabili e la-
voratori addetti a mansioni usuranti. Chi assiste in
famiglia persone con necessità di assistenza con-
tinuata risente oggettivamente della medesima «
usura » personale, nella propria esistenza, tale da
giustificare un riconoscimento. La presente propo-
sta di legge parte dal principio dell’indispensabi-
lità del riconoscimento della cura, a cui va dato
un corrispettivo materiale, che viene tradotto nel
cosiddetto « credito di cura », un credito contribu-
tivo ai fini pensionistici che riguarda la maternità e il
lavoro di cura. Un sistema di crediti che – secondo
la proposta di legge – riconosce alle lavoratrici ma-
dri un credito di due anni di contribuzione figura-
tiva, per ogni figlio, valido a tutti gli effetti di legge,
ai fini della maturazione del requisito di anzianità
contributiva.
Inoltre si prevede un riconoscimento per i lavora-
tori e le lavoratrici impegnati, nell’ambito familiare,
in un lavoro di cura verso familiari conviventi con
disabilità grave. La formula è quella di aumentare il
periodo di congedo straordinario, già previsto dal-
la normativa, da due a quattro anni. Un congedo
retribuito a tutti gli effetti e con rilevanza ai fini pen-
sionistici. Questa perequazione non solo va nella
direzione di riconoscere alle donne quel diritto al
riconoscimento di uno svantaggio oggettivo, rela-
tivo a tutto il lavoro svolto, non retribuito, relativo
alle responsabilità familiari, di cura e della mater-
nità, ma aiuta a riflettere anche sul fatto che, se è
vero che l’età media e l’aspettativa di vita si sono
innalzate, è anche vero che il lavoro di cura logora
fino al punto di diminuire la durata dell’esistenza
stessa.
Appare, quindi, necessario destinare a misure di
riconoscimento del lavoro di cura almeno una par-
te dei risparmi ottenuti con l’innalzamento dell’età
pensionabile.
La presente proposta di legge prevede, in confor-
mità a queste considerazioni, una delega al Gover-
no in ragione dell’estrema complessità del sistema
previdenziale, che ha bisogno di interventi di varia
natura su più provvedimenti che possono essere
attuati solo dopo un’analisi normativa e contabile
preventiva del Governo.
Per quanto riguarda la copertura finanziaria, non
risultando possibile procedere in sede di confe-
rimento della delega, a causa della complessità
della materia trattata, all’esatta determinazione
degli effetti finanziari derivanti dall’attuazione del-
le disposizioni delegate, secondo quanto previ-
sto dalla legge di contabilità e finanza pubblica
n. 196 del 2009, la quantificazione degli oneri è
rimessa alla fase di adozione del decreto legislati-
vo e l’individuazione dei relativi mezzi di copertura
è condizionata all’adozione di specifici provvedi-
menti legislativi. Al decreto legislativo deve essere
allegata una relazione tecnica che dia conto della
neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero
dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei
corrispondenti mezzi di copertura. Si prevede, in-
fatti, che qualora derivino nuovi e maggiori oneri a
carico della finanza pubblica, il decreto legislativo
sia emanato successivamente alla data di entrata
in vigore del provvedimento legislativo che stanzia
le occorrenti risorse finanziarie.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
(Delega al Governo per l’introduzione di un credito
contributivo ai fini pensionistici per le lavoratrici madri).
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge,
un decreto legislativo per l’introduzione di agevola-
zioni contributive alle lavoratrici madri, in conformità
al seguente principio e criterio direttivo: riconosci-
mento di un credito di due anni di contribuzione
figurativa, per ogni figlio, in favore delle lavoratrici
madri, valido a tutti gli effetti di legge ai fini della ma-
turazione del requisito di anzianità contributiva.
2. Lo schema del decreto legislativo di cui al com-
ma 1 è deliberato in via preliminare dal Consiglio
dei ministri, sentite le organizzazioni sindacali dei
lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rap-
presentative a livello nazionale.
3. Lo schema del decreto legislativo è trasmesso
alle Camere ai fini dell’espressione dei pareri da
parte delle Commissioni parlamentari competenti
per materia e per le conseguenze di carattere fi-
nanziario, che sono resi entro trenta giorni dalla
data di assegnazione dello stesso. Entro i trenta
giorni successivi all’espressione dei pareri, il Go-
verno, ove non intenda conformarsi alle condizioni
ivi eventualmente formulate con riferimento all’esi-
genza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto
comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere
i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di
informazione, per i pareri definitivi delle Commissio-
ni competenti, che sono espressi entro trenta giorni
dalla data di trasmissione.
4. Allo schema del decreto legislativo è allegata una
relazione tecnica che rende conto della neutralità
finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi
o maggiori oneri a carico della finanza pubblica da
esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di coper-
tura. Nell’ipotesi di nuovi o maggiori oneri, il decreto
legislativo può essere emanato solo successiva-
mente alla data di entrata in vigore del provvedi-
mento legislativo che stanzia le occorrenti risorse
finanziarie.
ART. 2.
(Modifiche agli articoli 4 della legge 8 marzo 2000,
n. 53, e 42 del testo unico di cui al decreto legisla-
tivo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di durata
del congedo straordinario per assistenza e lavoro di
cura in favore di familiari disabili conviventi).
Al comma 2 dell’articolo 4 della legge 8 marzo
2000, n. 53, le parole: «due anni» sono sostitui-
te dalle seguenti: «quattro anni». Al comma 5-bis
dell’articolo 42 del testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della ma-
ternità e della paternità, di cui al decreto legislativo
26 marzo 2001, n. 151, le parole: «due anni» sono
sostituite dalle seguenti: «quattro anni».
PROPOSTA DI LEGGE N. 1503
d’iniziativa del deputato DI SALVO
Anticipo dell’età dell’accesso alla pensione di vec-
chiaia in favore delle lavoratrici madri
Presentata il 7 agosto 2013
ONOREVOLI COLLEGHI! — Le conseguenze della
riforma cosiddetta « Monti-Fornero » delle pensioni
sono molto pesanti, soprattutto per le donne, a cau-
sa dell’incremento dell’età pensionabile a decorrere
già dal 2012 e dell’eliminazione della possibilità di
andare in pensione con il sistema delle «quote».
La legge interviene sulle lavoratrici allontanando il
periodo di pensionamento, per alcune di esse an-
che di un decennio. Per le lavoratrici che hanno
iniziato a lavorare dal 1o gennaio 1996, oltre l’in-
cremento dell’età pensionabile, è previsto l’innalza-
mento del requisito contributivo (da 5 a 20 anni) e
dell’importo minimo di pensione da maturare.
La presente proposta di legge intende favorire la
maternità e la salute delle donne madri stabilendo
misure previdenziali che consentono l’accesso an-
ticipato alla pensione o al godimento dell’assegno
sociale. La valorizzazione della maternità attraver-
so le misure proposte dà attuazione al principio
che la Costituzione reca all’articolo 31, ma – e lo si
vuole sottolineare – pone anche finalmente atten-
zione alla salute delle donne, tutelata dall’articolo
32 della Costituzione stessa, in considerazione
della gravosità di ogni gravidanza.
La proposta di legge è composta da un unico
articolo.
Il comma 1 stabilisce che, a scelta delle lavoratri-
ci, è riconosciuto uno tra i seguenti benefìci pre-
videnziali:
1) un anticipo di età rispetto al requisito di acces-
so alla pensione di vecchiaia, pari a un anno per
ogni figlio;
2) la determinazione di un trattamento pensionisti-
co maggiorato. La maggiorazione deriva dall’ap-
plicazione dei moltiplicatori di cui alla tabella A al-
legata alla legge 8 agosto 1993, n. 335: un anno
di lavoro in più in caso di uno o due figli, due anni
in più in caso di tre o quattro figli e tre anni in più in
caso di cinque o più figli.
Il comma 2 riconosce alle lavoratrici madri la co-
pertura contributiva figurativa per gli anni di antici-
po della pensione, specificando che tale beneficio
non è cumulabile con altri periodi di contribuzione
figurativa attribuiti in occasione della maternità, ma
lasciando alle lavoratrici la scelta tra essi.
Il comma 3 stabilisce che i benefìci sono ricono-
sciuti alle donne in ragione della maternità, indi-
pendentemente dal fatto che esse fossero oc-
cupate durante la gestazione o al momento del
parto o che avessero già versato in precedenza
dei contributi.
Allo stesso modo, il comma 4 stabilisce che il
requisito anagrafico per godere dell’assegno so-
ciale, che è una prestazione di carattere assisten-
ziale che prescinde del tutto dal versamento dei
contributi e che spetta ai soggetti che si trovano
in condizioni economiche disagiate e che hanno
situazioni reddituali particolari previste dalla legge,
è ridotto per le donne di un anno per ogni figlio.
Il comma 5 prevede le modalità di riconoscimento
dei benefìci, ponendo a carico degli enti previden-
ziali l’obbligo di informare le lavoratrici sugli stessi
benefìci.
Con riferimento ai costi derivanti dalla proposta
di legge, sono stanziati, a regime, 1.100 milioni di
euro annui, coperti mediante una corrispondente
riduzione delle tax expenditure, come disposto dai
commi 6 e 7.
Il calcolo dell’onere è derivato da dati dell’Istituto
nazionale di statistica (ISTAT), dai quali emerge che:
a) la media delle nascite in Italia è inferiore a
550.000 unità l’anno. Tra le donne italiane il nu-
mero di figli è passato da 1,32 figli per donna del
2008 a 1,3 figli per donna del 2011, ma anche tra
le donne straniere è sceso da 2,31 a 2,04;
b) l’occupazione femminile in Italia, alla fine del
2012, era pari al 47 per cento e, considerando la
popolazione, pari a 4 milioni e 900.000 lavoratrici;
c) il diritto all’assegno sociale, dal 1o gennaio
2013 matura al compimento di 65 anni e 3 mesi
di età. La misura massima dell’assegno spettante
è determinata dalla differenza tra il limite di reddito
previsto annualmente e il reddito dichiarato. In re-
lazione all’entità del reddito personale o coniugale,
l’assegno sociale può essere liquidato in misura
intera o ridotta;
d) l’importo mensile dell’assegno sociale è dato
dalla misura massima spettante, divisa per 13
mensilità.
L’importo dell’assegno sociale per l’anno 2013
è pari a 442,30 euro, pari a 5.749,90 euro annui.
Secondo i dati dell’ISTAT (2010) sono stati circa
800.000 le pensioni e gli assegni sociali erogati nel
2010, di cui 542.000 corrisposti a donne. L’importo
medio annuo è di 4.952 euro.
Il comma 8 abroga la lettera c) del comma 1 dell’ar-
ticolo 40 della legge n. 335 del 1995, recante misu-
re a favore delle lavoratrici madri, in parte corrispon-
denti a quelle disciplinate dalla proposta di legge.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
In attuazione degli articoli 31 e 32 della Costituzio-
ne, al fine di tutelare la maternità e la salute, fatto
salvo quanto previsto dalla legislazione vigente, è
riconosciuto alla lavoratrice, indipendentemente
dall’assenza o no dal lavoro al momento del verifi-
carsi della maternità, un anticipo di età rispetto al
requisito di accesso alla pensione di vecchiaia pari
a un anno per ogni figlio. In alternativa a tale anti-
cipo la lavoratrice può optare per la determinazio-
ne del trattamento pensionistico con applicazione
del moltiplicatore di cui alla tabella A allegata alla
legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modi-
ficazioni, relativo all’età di accesso al trattamento
pensionistico, maggiorato di un anno in caso di
uno o due figli, maggiorato di due anni in caso di
tre o quattro figli e maggiorato di tre anni in caso di
cinque o più figli.
È riconosciuta la contribuzione figurativa a coper-
tura dell’intero anno, nel settore pubblico e in quel-
lo privato, in caso di accesso anticipato alla pen-
sione ai sensi del comma 1. Il beneficio di cui al
presente comma non è cumulabile con altri periodi
di contribuzione figurativa riconosciuti in ragione
della maternità; in tale caso è data facoltà alla la-
voratrice di optare tra essi.
I benefìci di cui ai commi 1 e 2 sono riconosciuti
anche se la donna risulta inoccupata durante la
gestazione o al momento del parto e anche in as-
senza di precedenti versamenti contributivi.
Il requisito anagrafico per il riconoscimento dell’as-
segno sociale di cui all’articolo 3, commi 6 e 7,
della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive
modificazioni, è ridotto, per le donne, di un anno
per ogni figlio.
Per il riconoscimento dei benefìci previsti dalla
presente legge, la persona interessata presenta
richiesta, secondo modalità semplificate, anche
tramite un ente di patronato, all’ente previdenziale
interessato. Nelle comunicazioni inviate dagli enti
previdenziali alle lavoratrici è sempre riportata in
nota la comunicazione della possibilità di avvalersi
dei benefìci di cui al comma 1.
I regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale,
di cui all’allegato C-bis annesso al decreto-legge
6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sono ridotti, con
l’esclusione delle disposizioni a tutela dei redditi
di lavoro dipendente o autonomo, dei redditi da
pensione, della famiglia, della salute, delle perso-
ne economicamente o socialmente svantaggiate,
del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e
dell’ambiente, in misura da determinare risparmi
per una somma complessiva non inferiore a 500
milioni di euro per l’anno 2013 e a 1.100 milioni
di euro annui a decorrere dal 2014. Con uno o
più regolamenti adottati con decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’artico-
lo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.
400, sono stabilite le modalità per l’attuazione del
presente comma con riferimento ai singoli regimi
interessati.
A decorrere dall’anno 2013, le minori spese deri-
vanti dall’attuazione delle disposizioni del comma
6, accertate annualmente con decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze, sono trasferite agli
enti di previdenza a copertura degli oneri derivanti
dall’attuazione delle misure previste dalla presente
legge.
La lettera c) del comma 40 dell’articolo 1 della leg-
ge 8 agosto 1995, n. 335, è abrogata.
LE PROPOSTE DI LEGGE DEL PD SULLA FLESSIBILITÀ DEL SISTEMA PENSIONISTICO

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LE PROPOSTE DI LEGGE DEL PD SULLA FLESSIBILITÀ DEL SISTEMA PENSIONISTICO

  • 1. Le proposte di legge del PD sulla flessibilità del sistema pensionistico Scheda riassuntiva Testi delle Proposte di Legge del PD all’esame della Commissione Lavoro: 857 Damiano ed altri 2945 Damiano ed altri 530 Gnecchi ed altri 728 Gnecchi ed altri 1881 Gnecchi ed altri 388 Murer ed altri 1503 Di Salvo ed altri Locandina dell’iniziativa
  • 2. Si è riaperto il cantiere della previdenza per correg- gere le rigidità e le distorsioni provocate dalla rifor- ma Fornero del dicembre 2011. Alla Camera dei Deputati, in Commissione Lavoro, sono depositati numerosi disegni di legge di vari gruppi politici di maggioranza e opposizione, che hanno in comune, seppur in modo diverso, l’obiettivo di introdurre la cosiddetta flessibilità in uscita, cioè la possibilità di scegliere il momento del pensionamento, avendo naturalmente una base minima di età anagrafica e anzianità contributiva. Possiamo suddividere i vari disegni in quattro gruppi: 1) L’impianto centrale si può trovare nella Propo- sta di legge del Partito democratico (857 Damia- no ed altri) presentata all’inizio della legislatura, in base alla quale le lavoratrici e i lavoratori che abbia- no maturato un’anzianità contributiva di almeno 35 anni possono accedere al pensionamento flessibile al compimento del requisito minimo di 62 anni di età fino al requisito massimo di 70 anni di età. Alla quota calcolata con il sistema retributivo si applica la riduzione o la maggiorazione di cui alla tabella A, in relazione all’età di pensionamento effettivo e agli anni di contributi versati. Si va da una penalizzazione dell’8% con 62 anni ad un premio dell’8% a 70 anni. Sono previste due deroghe a tale sistema. Sono fatte salve, se più favorevoli, le disposizioni in ma- teria di accesso anticipato al pensionamento per FLESSIBILITA’  IN  USCITA       Si  è  riaperto  il  cantiere  della  previdenza  per  correggere  le  rigidità  e  le  distorsioni  provocate  dalla  riforma   Fornero  del  dicembre  2011.  Alla  Camera  dei  Deputati,  in  Commissione  Lavoro,  sono  depositati  numerosi   disegni  di  legge  di  vari  gruppi  politici  di  maggioranza  e  opposizione,  che  hanno  in  comune,  seppur  in  modo   diverso,  l’obiettivo  di  introdurre  la  cosiddetta  flessibilità  in  uscita,  cioè  la  possibilità  di  scegliere  il  momento   del   pensionamento,   avendo   naturalmente   una   base   minima   di   età   anagrafica   e   anzianità   contributiva.   Possiamo  suddividere  i  vari  disegni  in  quattro  gruppi:        1)  L’impianto  centrale  si  può  trovare  nella  Proposta  di  legge  del  Partito  democratico  (857  Damiano  ed   altri)   presentata   all’inizio   della   legislatura,   in   base   alla   quale     le   lavoratrici   e   i   lavoratori   che   abbiano   maturato   un'anzianità   contributiva   di   almeno   35   anni   possono   accedere   al   pensionamento   flessibile   al   compimento  del  requisito  minimo  di  62  anni  di  età  fino  al  requisito  massimo  di  70  anni  di  età.  Alla  quota   calcolata  con  il  sistema  retributivo  si  applica  la  riduzione  o  la  maggiorazione  di  cui  alla  tabella  A,  in  relazione   all'età  di  pensionamento  effettivo  e  agli  anni  di  contributi  versati.  Si  va  da  una  penalizzazione  dell’8%  con   62  anni  ad  un  premio  dell’8%  a  70  anni.   TABELLA A (Articolo 1, comma 2). Età di pensionamento effettivo Anni di contribuzione 35 36 37 38 39 40 62 -8 -7,7 -7,3 -6,9 -6 -3 63 -6 -5,7 -5,3 -4,9 -4 -2 64 -4 -3,7 -3,3 -2,9 -2 -1 65 -2 -1,7 -1,3 -0,9 -0,5 -0,3 66 0 0 0 0 0 0 67 2 2 2 2 2 2 68 4 4 4 4 4 4 69 6 6 6 6 6 6 70 8 8 8 8 8 8   Sono  previste  due  deroghe  a  tale  sistema.  Sono  fatte  salve,  se  più  favorevoli,  le  disposizioni  in  materia  di   accesso  anticipato  al  pensionamento  per  gli  addetti  alle  lavorazioni  particolarmente  faticose  e  pesanti  di  cui   al  decreto  legislativo  21  aprile  2011,  n.  67,(cosiddetti  lavori  usuranti),  nonché  le  disposizioni  in  materia  di   esclusione  dai  limiti  anagrafici  per  i  lavoratori  che  hanno  maturato  il  requisito  di  anzianità  contributiva  di   almeno   quarantuno   anni   (cosiddetti   lavoratori   precoci).   Questi   ultimi,al   raggiungimento   dei   41   anni   di   contributi,  possono  andare  in  pensione  senza  penalizzazioni,  a  prescindere  dall’età  anagrafica.   Su  tale  impianto  si  innestano  altre  due  proposte  di  legge  abbinate  nell’esame  in  Commissione  Lavoro  alla   proposta  Damiano  (C.  3002  Fedriga  ed  altri  e  C.  3144  Pizzolante  ed  altri).   gli addetti alle lavorazioni particolarmente fatico- se e pesanti di cui al decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67,(cosiddetti lavori usuranti), nonché le disposizioni in materia di esclusione dai limi- ti anagrafici per i lavoratori che hanno matura- to il requisito di anzianità contributiva di almeno quarantuno anni (cosiddetti lavoratori preco- ci). Questi ultimi, al raggiungimento dei 41 anni di contributi, possono andare in pensione senza penalizzazioni, a prescindere dall’età anagrafica. Su tale impianto si innestano altre due proposte di legge abbinate nell’esame in Commissione Lavoro alla proposta Damiano (C. 3002 Fedriga ed altri e C. 3144 Pizzolante ed altri). 2) Un secondo filone riguarda la cosiddetta “Quo- ta 100”, con le proposte del PD e della Lega. Il Partito Democratico (2945 Damiano ed altri) pre- vede che al raggiungimento di “Quota 100” come somma di età anagrafica e anzianità contributiva si possa usufruire della pensione senza penalizzazio- ni, fermo restando il requisito minimo di 62 anni di età e minimo 35 anni di contributi per lavoratori di- pendenti pubblici e privati. Per gli autonomi iscritti all’INPS la somma prevista è 101, con i requisiti minimi di 63 anni di età e 35 anni di contributi. La proposta della Lega (2955 Prataviera (ora al Misto) Fedriga ed altri) prevede che i lavoratori che ab- biano maturato un’anzianità contributiva di almeno 35 anni ovvero un’anzianità anagrafica di almeno 58 anni possono accedere al pensionamento al raggiungimento di quota 100 quale somma di età anagrafica e contributiva. 3) Un’altra proposta della Lega (Fedriga 2046) esprime l’opzione donna, che consente alle lavo- ratrici, in presenza di determinati requisiti anagra- fici e contributivi, di accedere anticipatamente alla pensione calcolata interamente secondo il sistema contributivo. 4) Numerosi disegni di legge si propongono di individuare una nuova disciplina legislativa per l’ac- cesso al pensionamento delle lavoratrici nonché di FLESSIBILITÀ IN USCITA
  • 3. valorizzare i lavori di cura e assistenza familiare riconoscendo specifiche agevolazioni, soprattutto nei confronti delle lavoratrici madri, sulle quali mag- giormente grava l’onere sociale dello svolgimento di tali attività (Misto minoranze linguistiche C.115 Gebhard ed altri, PD C. 388 Murer ed altri, PD C.530 Gnecchi ed altri, PD C.728 Gnecchi ed altri, PD C.1503 Di Salvo ed altri, Fratelli d’Italia C.1879 Cirielli ed altri, PD C.1881 Gnecchi ed altri, Per l’Italia Centro democratico C.2430 Fautilli ed al- tri, Per l’Italia Centro democratico C.2605 Sberna e Gigli, M5S C.314 Ciprini ed altri).
  • 4. PROPOSTA DI LEGGE N. 857 D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI DAMIANO, BARETTA, GNECCHI, LENZI, BELLA- NOVA, LUCIANO AGOSTINI, ALBANELLA, AN- TEZZA, ARLOTTI, BARGERO, BARUFFI, BOC- CUZZI, BONOMO, CARELLA, CARRA, CENNI, CENSORE, COVA, CRIVELLARI, D’INCECCO, FABBRI, CINZIA MARIA FONTANA, FRAGOMELI, GANDOLFI, GIACOBBE, GINOBLE, GOZI, GRE- GORI, GULLO, IACONO, INCERTI, LAFORGIA, LATTUCA, LAURICELLA, LODOLINI, MAESTRI, MAGORNO, MALISANI, MANFREDI, MARAN- TELLI, MARCHETTI, MARCHI, MARIANI, MARIANO, MOGNATO, MONGIELLO, MONTRO- NI, MURA, GIORGIO PICCOLO, SALVATORE PICCOLO, RAMPI, ROCCHI, GIOVANNA SANNA, SIMONI, TERROSI, TULLO, VENITTELLI, ZAP- PULLA Disposizioni per consentire la libertà di scelta nell’accesso dei lavoratori al trattamento pensio- nistico Presentata il 30 aprile 2013 ONOREVOLI COLLEGHI ! — La drammatica crisi economica che ha colpito il nostro Paese negli ulti- mi anni ha comportato il succedersi di una serie di gravi crisi occupazionali e reso ancora più incerto il futuro di milioni di lavoratrici e lavoratori. Le sicu- rezze relative al proprio futuro pensionistico, che hanno accompagnato le generazioni precedenti, non esistono più. Molto spesso l’attività lavorativa delle persone è frammentata, intervallata da pe- riodi di disoccupazione, solo nei migliori dei casi coperti da forme di ammortizzatori sociali. Le manovre pensionistiche del quadriennio 2008- 2011, spostando l’età di pensionamento molto in avanti e aumentando il numero di anni di contribu- ti necessari per il raggiungimento della pensione, hanno acuito lo stato di insicurezza e instabilità delle persone. La presente proposta di legge si pone l’obiettivo di ripristinare certezza nella possibilità di età di pen- sionamento effettivo di milioni di lavoratrici e lavo- ratori, restituendo loro quella serenità perduta nel corso degli ultimi anni, caratterizzati da un com- pleto stravolgimento del sistema previdenziale. Intendiamo, inoltre, garantire modalità omogenee di uscita dal mondo del lavoro a tutte le categorie di lavoratori, pubblici, privati e autonomi. Infatti, in un contesto di recessione così profondo e duraturo – che ha visto entrare in profonda difficoltà settori fino a pochi anni fa al riparo da ogni vento di crisi, quale il pubblico impiego, e che ha inferto colpi du- rissimi al mondo delle piccole imprese e del lavoro autonomo – riteniamo necessario prevedere forme di flessibilità di pensionamento, le quali, attraverso un sistema di penalizzazione e premialità in tema di assegno pensionistico, consenta alle lavoratrici e ai lavoratori di poter decidere, all’interno di un range variabile tra i 62 e i 70 anni di età, il momento della cessazione dell’attività lavorativa. Ciò contribuirà ad agevolare anche un ricambio generazionale, che le recenti riforme pensionisti- che hanno contribuito a disincentivare. Il comma 1 del singolo articolo di cui si compone la presente proposta di legge dispone che, dal 1o gennaio 2014, le lavoratrici e i lavoratori – pubbli- ci, privati e autonomi – tra i 62 e i 70 anni di età che abbiano maturato un’anzianità contributiva di almeno 35 anni possano accedere a forme di pen- sionamento flessibile, purché l’importo dell’asse- gno, secondo l’ordinamento previdenziale di ap- partenenza, sia almeno pari a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale. Il comma 2 prevede che la determinazione dell’im- porto della pensione si applichi considerando l’im- porto massimo conseguibile, secondo l’ordina- mento previdenziale di appartenenza di ciascuno, al quale viene applicata una riduzione o maggio- razione sulla quota di trattamento pensionistico calcolata con il sistema retributivo, a seconda che l’età di pensionamento sia inferiore o superiore ai 66 anni e degli anni di contributi versati. Il comma 3 stabilisce che le disposizioni dei commi precedenti non si applichino, se meno favorevoli, ai soggetti impiegati nei cosiddetti lavori « usuranti ». Inoltre per le lavoratrici e i lavoratori che abbiano maturato almeno 41 anni di anzianità contributiva è prevista la possibilità di pensionamento prescin- dendo dall’età anagrafica. Il comma 4, infine, stabilisce che, fino al 31 dicem- bre 2016, derogando dalla disciplina in materia, l’incremento dell’età pensionistica dovuto all’al- lungamento della speranza di vita sia determinato nella misura di tre mesi complessivi.
  • 5. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. 1. A decorrere dal 10 gennaio 2014, le lavoratrici e i lavoratori che abbiano maturato un’anzianità contributiva di almeno 35 anni possono accede- re al pensionamento flessibile al compimento del requisito minimo di 62 anni di età fino al requisi- to massimo di 70 anni di età, purché l’importo dell’assegno, secondo i rispettivi ordinamenti pre- videnziali di appartenenza, sia almeno pari a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale. 2. Ai fini della determinazione dell’importo della pensione si calcola per ciascuna lavoratrice o la- voratore l’importo massimo conseguibile a requisiti pieni secondo i rispettivi ordinamenti previdenziali di appartenenza. Alla quota calcolata con il siste- ma retributivo si applica la riduzione o la maggiora- zione di cui alla tabella A allegata alla presente leg- ge, in relazione all’età di pensionamento effettivo e agli anni di contributi versati, al fine di conseguire l’invarianza dei costi tra i due sistemi. 3. Sono fatte salve, se più favorevoli, le disposizioni in materia di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente fati- cose e pesanti di cui al decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67, nonché le disposizioni in materia di esclusione dai limiti anagrafici per i lavoratori che hanno maturato il requisito di anzianità contributi- va di almeno quarantuno anni. 4. In via transitoria, fino al 31 dicembre 2016, l’a- deguamento dei requisiti anagrafici e contributivi di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita è determinato nella misura di tre mesi complessivi, in deroga alla disciplina pre- vista dall’articolo 12 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modi- ficazioni. PROPOSTA DI LEGGE N. 2945 D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI DAMIANO, GNECCHI, ZAPPULLA, DI SALVO, GREGORI,MAESTRI, GIACOBBE, MICCOLI, CA- SELLATO,BARUFFI,GIORGIO PICCOLO, BOC- CUZZI, INCERTI, ALBANELLA, SIMONI, ARLOTTI Disposizioni per l’introduzione di elementi di fles- sibilità nell’accesso dei lavoratori al trattamento pensionistico Presentata il 10 marzo 2015 ONOREVOLI COLLEGHI! — La drammatica crisi economica che ha colpito il nostro Paese negli ulti- mi anni ha comportato il succedersi di una serie di gravi crisi occupazionali e reso ancora più incerto il futuro di milioni di lavoratrici e di lavoratori. I timi- di segnali di ripresa occupazionale registratisi ne- gli ultimi mesi (12,6 per cento nel gennaio 2015), com’è stato opportunamente osservato, non pos- sono indurre a facili ottimismi, stanti gli alti tassi di disoccupazione riferiti al 2014, pari al 12,7 per cento, che rappresenta il dato annuale massimo mai registrato dal 1977. Le sicurezze relative al proprio futuro pensionisti- co, che hanno accompagnato le generazioni pre- cedenti, non esistono più. Molto spesso l’attività lavorativa delle persone è frammentata, intervallata da periodi di disoccupa- zione, solo nei migliori dei casi coperti da forme di ammortizzatori sociali. Le manovre pensionistiche del quadriennio 2008- 2011, spostando l’età di pensionamento molto in avanti e aumentando il numero di anni di contribu- ti necessari per il raggiungimento della pensione, hanno acuito lo stato di insicurezza e di instabilità delle persone, con il paradosso di vedere trop- pi lavoratori perdere l’occupazione pur essendo lontani dalla pensione e, allo stesso tempo, con l’innalzamento progressivo dell’età pensionabile, giunta ormai oltre i 67 anni, e il sostanziale bloc- co del turnover, di fatto si impedisce l’ingresso dei giovani, perché è del tutto ovvio che se i genitori rimangono vincolati nel posto di lavoro fino a tarda età, i loro figli e nipoti troveranno con maggiore difficoltà un’occupazione. Più che opportunamente, lo stesso Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha riconosciuto che
  • 6. se non si introduce uno strumento di flessibilità nel sistema pensionistico si rischia di determinare un vero e proprio problema sociale. Laddove non si intervenisse, tale preoccupazione non potrebbe essere scongiurata se non a fronte di un’improvvisa e molto significativa impennata della produzione e del prodotto interno lordo, ipo- tesi che non trova riscontro in tutte le analisi pre- visionali, anche tenendo conto del meccanismo di incremento dell’età pensionabile previsto a legisla- zione vigente, in base al quale, ad esempio, dal 2016 l’aspettativa di vita aumenterà di altri 4 mesi. Da tale data si andrà in pensione di vecchiaia con 66 anni e 7 mesi e di anzianità con 42 anni e 10 mesi se uomini e con 41 anni e 10 mesi se donne, ovvero con soglie anagrafiche che non trovano ri- scontro nella gran parte degli Stati dell’Unione eu- ropea e con una dinamica di lungo termine della spesa pubblica per le pensioni migliore di quella di altri Paesi. Per tali ragioni, la presente proposta di legge si pone l’obiettivo di ripristinare certezza nella pos- sibilità di età di pensionamento effettivo delle la- voratrici e dei lavoratori, restituendo loro quella serenità perduta nel corso degli ultimi anni, ca- ratterizzati da un completo stravolgimento del si- stema previdenziale, attraverso la previsione di un ampio periodo di transizione all’interno del quale consentire l’accesso al trattamento pensionistico al conseguimento di determinati requisiti anagrafici e contributivi. In dettaglio, si propone di introdurre un sistema di flessibilità di uscita, a decorrere dal 1o gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2021, per i lavoratori che, fatta salva la conferma del requisito di anzia- nità contributiva non inferiore a trentacinque anni e di una soglia anagrafica non inferiore a 62 anni, possono conseguire, quale somma tra il requisito anagrafico e quello contributivo, la quota 100. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. In deroga a quanto disposto dall’articolo 24, com- ma 6, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 di- cembre 2011, n. 214, a decorrere dal 1o gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2021, il diritto al trat- tamento pensionistico per i lavoratori dipendenti e autonomi iscritti all’assicurazione obbligatoria e alle forme di essa sostitutive ed esclusive si con- segue, fermo restando il requisito di anzianità con- tributiva non inferiore a trentacinque anni, al per- fezionamento dei requisiti indicati nella tabella A allegata alla presente legge.Atti Parlamentari — 4 — Camera dei Deputati — 2945 Tabella A (Articolo 1, comma 1) Lavoratori dipendenti pubblici e privati Lavoratori autonomi iscritti all’INPS (1) Somma di età anagrafica e anzianità contributiva Età anagrafica minima per la maturazione del requisito indicato in colonna 1 (2) Somma di età anagrafica e di anzianità contributiva Età anagrafica minima per la maturazione del requisito indicato in colonna 2 100 62 101 63
  • 7. PROPOSTA DI LEGGE N. 530 D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI GNECCHI, CINZIA MARIA FONTANA, INCERTI, MAESTRI Disposizioni per la concessione di contributi previ- denziali figurativi e di incrementi del trattamento di pensione per il riconoscimento dei lavori di cura fa- miliare svolti dai genitori Presentata il 25 marzo 2013 ONOREVOLI COLLEGHI! — La presente proposta di legge si pone l’obiettivo di favorire l’occupazio- ne femminile e la natalità agendo in particolare sulle pensioni delle donne in primo luogo perché esse sono sempre troppo basse e, in secondo luogo perché con il calcolo contributivo per la determi- nazione della misura della pensione non sarà più prevista l’integrazione al trattamento minimo e ciò comporterà per moltissime donne una pensione assolutamente insufficiente per condurre una vita dignitosa: siamo pertanto di fronte al rischio reale, per le future donne anziane, di condizioni di vera povertà. Gli articoli 3 e 4 della Costituzione riconoscono i se- guenti princìpi fondamentali: articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È com- pito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di or- dine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese»; articolo 4: « La Repubblica riconosce a tutti i citta- dini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società ». L’Italia ha un buon livello di legislazione in favore del- la parità e contro la discriminazione fra i sessi, ma nonostante i buoni princìpi giuridici, sia nell’accesso al lavoro, sia in termini di occupazione in generale, ma soprattutto di progressione di carriera e di retri- buzioni, le disuguaglianze fra uomini e donne sono ancora notevoli. La pensione è la sintesi del percor- so lavorativo e dimostra in modo evidente la durata e la consistenza della contribuzione versata durante tutta la propria attività lavorativa. È risaputo che l’in- tegrazione al trattamento minimo è un fenomeno tipicamente femminile mentre le pensioni di anzia- nità un fenomeno tipicamente maschile. Purtroppo, anche verificando gli importi delle pensioni di nuova liquidazione si confermano i dati storici: mediamen- te le donne hanno pensioni che corrispondono alla metà dell’importo medio degli uomini. I motivi sono storicamente purtroppo sempre gli stessi: il percor- so lavorativo delle donne registra molte interruzioni, il lavoro spesso è a tempo parziale, la progressione in carriera è scarsa, le retribuzioni sono più basse. In compenso però la società gode di tanto lavoro gratuito svolto dalle donne. Le «baby pensionate» del settore pubblico hanno garantito per anni un’e- conomia di servizi parallela a quella istituzionale. I mille lavori invisibili delle donne hanno sostenuto, di fatto, il sistema di welfare. Purtroppo il lavoro in fa- miglia non viene rilevato dalle statistiche ufficiali e se non fossero le donne a occuparsi della pulizia della casa, della cura dei bambini e degli anziani e di tutte quelle mansioni invisibili, ma indispensabili, all’inter- no della famiglia, questi servizi dovrebbero essere acquistati sul mercato e quindi assumerebbero un preciso valore economico quantificabile (dal libro di Alberto Alesina e Andrea Ichino «L’Italia fatta in casa»). L’attuale sistema di servizi per la famiglia lascia vuoti che le donne, in modo particolare, si vedono co- strette a colmare, sostituendosi all’offerta dei servizi per la cura dei figli, degli anziani e dei disabili. Si pensi, infatti, che solo per quanto riguarda i servizi di supporto alla prima infanzia (da 0 a 3 anni di età), l’Italia offre una copertura in media del 10 per cento contro il 33 per cento richiesto dall’Unione europea. In tal senso la scelta delle donne di stare fuori dal mondo del lavoro o di ripiegare forzatamente sul part time o su altre forme di lavori atipici, che con- sentano loro di conciliare al meglio l’impegno del lavoro di cura, risulta quasi una decisione obbligata, che però sicuramente non corrisponde al proget- to di ideale lavorativo cui queste donne avrebbero aspirato. Se prendiamo a riferimento gli altri Paesi europei,
  • 8. prescindendo dalla tutela della gravidanza e della maternità (cioè il periodo a ridosso della nascita) che esiste in tutti i Paesi europei, si nota che è pre- sente una generosa forma di contribuzione figurati- va per la crescita dei figli. In Francia, alle lavoratrici madri sono riconosciuti due anni di contribuzione figurativa per ogni figlio e fino a tre anni (a scelta tra madre e padre), oltre ad un eventuale supplemen- to di pensione (pari al 10 per cento in più) per chi abbia avuto almeno tre figli. La Francia è uno dei Paesi con tasso di fecondità più elevato in Europa. In Grecia sono riconosciuti da uno ad un massimo di quattro anni di contribuzione figurativa, in relazio- ne al numero di figli avuti. In Germania sono previsti vari sostegni economici alla famiglia legati ai figli che permettono maggiore possibilità di scelta reale ri- spetto al lavoro e utilizzo dei servizi. La scelta quasi obbligata delle donne di assentarsi dal mercato del lavoro per brevi o per lunghi pe- riodi, comporta un’ulteriore penalizzazione soprat- tutto per quanto attiene all’aspetto previdenziale. A differenza degli uomini, sono molte di più le donne che arrivano alla pensione di vecchiaia per la scar- sità di contributi accumulati nel corso degli anni e sono poche le donne che maturano i requisiti per l’accesso al pensionamento per anzianità contribu- tiva. Tralasciando il settore del pubblico impiego, nel settore privato, ancora nel 2011, l’importo me- dio di una pensione di vecchiaia liquidato dall’Isti- tuto nazionale della previdenza sociale (INPS) alle donne arrivava a malapena a 640 euro lordi mensili. Va considerato, inoltre, che sono ben 4,5 milioni le pensioni integrate al trattamento minimo, con un importo medio di integrazione di circa 3.100 euro annui per pensione. Su 4,5 milioni di pensioni inte- grate, di ben 3,5 milioni sono titolari le donne (dati del Ministero dell’economia e delle finanze – Ragio- neria dello Stato, anno 2005). Si consideri, come già rilevato, che per le pensioni liquidate con il si- stema contributivo non esisterà più l’integrazione al trattamento minimo e ciò comporterà un ulteriore reale peggioramento, per le donne in particolare. Le pensioni integrate al minimo nel 2011 sono invece 3.856.033 prevalentemente destinate a donne (81 per cento). Il Nord registra una maggiore presenza di trattamenti (circa il 44 per cento del totale), con una quota relativamente più consistente di pensioni di vecchiaia integrate (53 per cento). Questo dimo- stra che le pensioni sono basse e che l’integrazione al trattamento minimo è una misura indispensabile per la sopravvivenza di chi lo percepisce. Il comma 40 dell’articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335 aveva previsto alcune agevolazioni proprio per attenuare la penalizzazione conseguen- te all’abolizione del trattamento minimo e all’au- mento del requisito anagrafico (all’epoca era pre- visto il passaggio da 55 a 60 anni per la pensione di vecchiaia) e di quello contributivo (da quindici a venti anni di contributi necessari), ma non sono si- curamente sufficienti. Va rilevato però che la legge 22 dicembre 2011, n. 214 (la manovra cosiddetta «salva Italia») ha ulteriormente aumentato, senza prevedere un’equa gradualità, l’età di accesso alla pensione di vecchiaia per le lavoratrici del settore privato. Mentre nel 1995 era stata prevista una mi- sura «compensativa» oltre alla gradualità, nel 2011 non è stato previsto nulla e non è possibile che una precisa fascia anagrafica di popolazione pa- ghi personalmente le conseguenze di questa scel- ta molto più di tutti gli altri e le donne in misura ancora maggiore. La presente proposta di legge intende pertanto migliorare almeno le intuizioni e le buone intenzioni compensative già previste dalla citata legge n. 335 del 1995, quella che possiamo considerare, insie- me alla normativa adottata nel 1992, la vera riforma previdenziale. La distribuzione per classi di anzianità contribu- tiva nel territorio nazionale delle pensioni dirette di vecchiaia e di invalidità erogate dall’INPS (circa 8.439.000 pensioni – 2003 su dati INPS), evidenzia che il 52 per cento delle pensioni erogate a donne è liquidato con una contribuzione fino a venti anni (in particolare fino a quindici anni il 25 per cento delle pensioni e da quindici a venti anni il 27 per cento delle pensioni femminili) e solo il 9,9 per cento del- le titolari donne raggiunge la fascia di contributi fra trentacinque e quaranta anni. Se alla precedente analisi si aggiunge la conside- razione che la donna è maggiormente esposta con l’invecchiamento a divenire invalida e non autosuf- ficiente, essendo la speranza di vita della donna pensionata senz’altro superiore a quella dell’uomo (la speranza di vita della donna è pari a 85,8 anni e quella dell’uomo è di 81,9 anni), si intuisce come questa generazione di popolazione femminile sia economicamente fragile e come sia sempre più esposta a un grave rischio di povertà e di indigen-
  • 9. za. Dunque, se questa è la situazione, per la quale è difficile prevedere sostanziali mutamenti nel breve e medio periodo, rispetto all’offerta di servizi per la cura dei figli, crediamo sia un atto dovuto nei confronti del- le donne e delle famiglie in generale dare un concreto riconoscimento da parte dello Stato al lavoro di cura prestato all’interno della famiglia. La presente proposta di legge intende quindi rag- giungere l’obiettivo di garantire soprattutto alle donne il raggiungimento di una pensione dignitosa a fronte dell’impegno per lavori di cura nell’ambito familiare. Con l’articolo 1 viene ribadito che lo Stato ricono- sce il valore universale della maternità e dei lavori di cura familiari svolti dai genitori quali attività indi- spensabili per la vita della collettività. Con l’articolo 2 si riconoscono periodi di contribu- zione figurativa per ogni figlio, naturale o adottivo, nonché un incremento del 10 per cento della pen- sione maturata per chi abbia avuto almeno due figli. Gli oneri relativi all’attuazione della legge sono posti a carico della fiscalità generale. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. Lo Stato riconosce il valore universale della ma- ternità e dei lavori di cura familiare svolti dai geni- tori quali attività necessarie e indispensabili per la vita della collettività. ART. 2. 1. Alle madri, o ai padri in caso di totale assenza della madre, sono riconosciuti: a) tre anni di contribuzione figurativa per ogni fi- glio naturale o adottivo; b) sei anni di contribuzione figurativa per ogni figlio, in caso di disabilità grave riconosciuta ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 feb- braio 1992, n. 104; c) quattro anni di contribuzione figurativa per ogni figlio, nel caso di lavoro a tempo parziale a in- tegrazione della contribuzione per raggiungere la misura che sarebbe spettata alla lavoratrice o al lavoratore qualora avesse avuto un rapporto di lavoro a tempo pieno; d) un’integrazione pari al 10 per cento del tratta- mento pensionistico maturato in favore di coloro che hanno avuto almeno due figli, naturali o adottivi. Gli oneri derivanti dall’attuazione del comma 1 sono posti a carico della fiscalità generale. PROPOSTA DI LEGGE N. 728 D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI GNECCHI, DAMIANO, LENZI, MADIA, BOBBA, BERRETTA, BELLANOVA, MORANI, MANZI, MO- RETTI, CULOTTA, INCERTI, MAESTRI, GIACOB- BE, BARUFFI, GIORGIO PICCOLO Norme in materia previdenziale in favore dei lavora- tori che assistono familiari gravemente disabili Presentata l’11 aprile 2013 ONOREVOLI COLLEGHI! — La presente proposta di legge nasce dall’esigenza di aiutare tutte le fami- glie alle prese con l’assistenza e la cura quotidiane di un familiare gravemente disabile. Se è pur vero che la legge 5 febbraio 1992, n. 104, sancisce il pieno rispetto della dignità umana e promuove i diritti di li- bertà e di autonomia delle persone disabili nonché la loro integrazione in tutti gli ambiti sociali, le difficoltà che incontrano le famiglie nell’assistenza di queste persone sono molteplici e non sempre i servizi offerti dall’assistenza pubblica sono sufficienti ad aiutare la famiglia nella gestione quotidiana del familiare disa- bile grave. Queste persone, se non vengono aiuta- te, non sono in grado di lavarsi, vestirsi, nutrirsi o partecipare alla vita sociale. Nella maggior parte dei casi il disabile in condizioni di gravità – e quando si parla di handicap grave questo non è mai un termi- ne generico ma presuppone sempre una speciale condizione, certificata in base a una visita collegiale, che comporta per il disabile l’impossibilità di comp- iere «gli atti quotidiani della vita» – dipende comple- tamente dal familiare che si occupa di lui. Questo perché, a tutt’oggi, la famiglia costituisce ancora il perno su cui ruotano l’assistenza e la cura della persona disabile. Infatti, nei nuclei familiari dove è presente un disabile grave, alla normale atti- vità lavorativa esterna necessaria al sostentamento familiare si devono aggiungere la cura e l’assistenza
  • 10. quotidiane a colui che non è in grado di badare a se stesso. Com’è evidente, quindi, il nucleo fami- liare costituisce, a un tempo, la collettività e il luogo nel quale il disabile èassistito prevalentemente e in modo continuativo, con notevoli oneri economici, e non solo, a carico dei conviventi che se ne prendono cura. Del resto, molto spesso, la presa in carico del disabile da parte della famiglia è dettata non solo da ragioni puramente affettive, ma anche economiche, soprattutto per i nuclei familiari che non versano in condizioni economiche tali da potersi permettere l’aiuto di professionisti del settore o semplicemen- te un aiuto esterno anche non qualificato. Questo con l’andare del tempo provoca, sicuramente, il lo- goramento fisico e psichico delle persone a cui è affidata la cura del disabile. L’articolo 1, comma 1, della presente proposta di legge prevede la possi- bilità di anticipare l’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia di tre mesi per ogni anno dedicato alla cura e all’assistenza del familiare convivente disa- bile, fino a un massimo di cinque anni nonché il diritto alla pensione anticipata, indipendentemen- te dall’età anagrafica, a seguito del versamento di trenta anni di contributi previdenziali, di cui almeno cinque annualità versate nel periodo di costanza di assistenza al familiare convivente disabile. Inoltre, sempre all’articolo 1, al comma 2, si prevede, per il familiare lavoratore, una contribuzione figurativa di due mesi per ogni anno di contribuzione effettiva, per un massimo di cinque anni, purche´ anche que- sta sia versata in costanza di assistenza al familiare disabile. I benef`ıci previsti all’articolo 1 si applicano a condizione che, all’interno del nucleo familiare, non vi sia un componente maggiorenne che, pur abile al lavoro, non svolga alcuna attività lavorativa e indipendentemente dall’attività lavorativa svolta dal familiare lavoratore, purche´ questi sia stabilmente convivente con la persona disabile. All’articolo 2 si prevede una contribuzione figurativa per i genitori che, pur lavorando, prestano un’assi- stenza continua ai propri figli disabili. All’articolo 3 si prevede per il familiare che assiste la persona disabile e che non ha mai svolto un’attività lavorativa la possibilità di versare i contributi volon- tari fino al raggiungimento della contribuzione mini- ma per il diritto alle pensione, secondo le modalità previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro del personale domestico. L’articolo 4, infine, reca la copertura finanziaria. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. (Collocamento anticipato in quiescenza). 1. Alle lavoratrici e ai lavoratori che si dedicano al lavoro di cura e di assistenza di familiari disabili aventi una percentuale di invalidità uguale al 100 per cento, che assume connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 feb- braio 1992, n. 104, e che necessitano di assistenza continua poiche´ non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, ai sensi di quanto previsto dalla tabella di cui al decreto del Ministro della sanità 5 febbraio 1992, pubblicato nel supplemento ordi- nario alla Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 1992, sono riconosciuti, su richiesta: a) un anticipo di età per l’accesso alla pensione di vecchiaia di tre mesi per ogni anno dedicato al la- voro di cura, fino a un massimo di cinque anni di anticipo; b) il diritto alla pensione anticipata, indipendente- mente dall’età anagrafica, a seguito del versamento di trenta anni di contributi previdenziali, di cui alme- no cinque annualità versate nel periodo di costanza di assistenza al familiare convivente disabile grave. 2. Le lavoratrici e i lavoratori di cui al comma 1 han- no diritto, inoltre, ai fini della misura del trattamento pensionistico, a una contribuzione figurativa di due mesi per ogni anno di contribuzione effettiva, per un massimo di cinque anni, purche´ versata in co- stanza di assistenza al familiare convivente disabile grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. 3. I benefici di cui ai commi 1 e 2 del presente ar- ticolo al di fuori dell’ipotesi prevista dall’articolo 2, comma 1, della presente legge, possono essere godute da un solo familiare convivente per ciascu- na persona disabile grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, pre- sente all’interno del nucleo familiare, qualora all’in- terno dello stesso nucleo familiare non vi siano altri componenti maggiorenni che, pur abili al lavoro, non svolgono alcuna attività lavorativa. 4. Il beneficio di cui al comma 1 del presente ar- ticolo si applica alla lavoratrice o al lavoratore che presta assistenza al disabile grave ai sensi dell’ar-
  • 11. ticolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, indipendentemente dalla sua età anagrafica e dalla sua appartenenza al settore pubblico, al set- tore privato, alle libere professioni, al commercio o all’artigianato, al lavoro autonomo. 5. Ai fini della presente legge, per lavoratore o lavo- ratrice si intende uno solo dei parenti o degli affini entro il quarto grado della persona assistita, ovvero chi con quest’ultima convive stabilmente avendo la medesima residenza anagrafica, e che svolge un’attività lavorativa. ART. 2. (Norme in favore dei genitori di figli disabili gravi). A uno dei genitori che assiste stabilmente il figlio di- sabile grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è riconosciuta, oltre al diritto di cui all’articolo 1, comma 1, della presen- te legge, la possibilità di una contribuzione figurativa di un anno ogni cinque anni di contribuzione effetti- va, versata in costanza di assistenza al figlio disabile grave, a condizione che all’interno dello stesso nu- cleo familiare non vi siano altri componenti maggio- renni che, pur abili al lavoro, non svolgono alcuna attività lavorativa. Nel caso di assistenza congiunta da parte di en- trambi i genitori, l’agevolazione di cui al comma 1 è suddivisa al 50 per cento tra i medesimi. Qualora la presenza nel nucleo familiare di figli di- sabili gravi ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, sia superiore all’uni- tà, i benef`ıci previsti dalla presente legge spettano a entrambi i genitori. ART. 3. (Contribuzione volontaria e figurativa). Per coloro che si sono dedicati al lavoro di cura e di assistenza di soggetti disabili gravi ai sensi dell’ar- ticolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e che non hanno mai svolto un’attività lavo- rativa, è prevista la possibilità di versare i contributi volontari fino al raggiungimento della contribuzione minima per il diritto alla pensione, secondo le mo- dalità previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro del personale domestico. Per coloro che hanno dovuto lasciare la propria oc- cupazione lavorativa per assistere con carattere di continuità un familiare disabile grave ai sensi dell’ar- ticolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in possesso di almeno quindici anni di con- tribuzione al momento della cessazione dell’attività lavorativa, è riconosciuto il diritto a una contribuzio- ne figurativa di due mesi per ogni anno di assisten- za al familiare disabile grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, 104, per un massimo di cinque anni. ART. 4. (Copertura finanziaria). All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, pari a 100 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2013, si provvede mediante corrispon- dente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’an- no 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l’ac- cantonamento relativo al medesimo Ministero. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autoriz- zato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. PROPOSTA DI LEGGE N. 1881 D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI GNECCHI, ROBERTA AGOSTINI, CUPERLO, INCERTI, MAESTRI, GIACOBBE, D’INCECCO, GHIZZONI, BARUFFI, LUCIANO AGOSTINI, TUL- LO, LODOLINI, RAMPI, MARIANI, COMINELLI, ZAMPA, MAZZOLI, BIONDELLI, MARANTEL- LI, ALBANELLA, FABBRI, BARGERO, MIOTTO, MURER, TERROSI, CASELLATO, BERLINGHIE- RI, VELO, SIMONI, CAROCCI, BRUNO BOSSIO, ROSSOMANDO, COCCIA, NARDUOLO Modifiche all’articolo 24 del decreto-legge 6 di- cembre 2011, n. 201, convertito, con modifica- zioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di accesso delle lavoratrici alla pensione di vecchiaia, nonché concessione di contributi previ- denziali figurativi per il riconoscimento dei lavori di cura familiare Presentata il 6 dicembre 2013
  • 12. ONOREVOLI COLLEGHI! — L’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e l’Istituto nazionale della previ- denza sociale (INPS) hanno pubblicato, il 2 agosto 2013, un’analisi impietosa delle differenze di ge- nere tra i pensionati italiani e i dati che riguardano le donne sono decisamente allarmanti. Emergono una realtà femminile fragile e un’uguaglianza di ge- nere ancora decisamente incompiuta, con oltre la metà delle donne con meno di 1.000 euro al mese di pensione (dati del 2011) contro un terzo degli uomini e solo 204.000 donne titolari di pensioni oltre i 3.000 euro mensili, contro oltre 650.000 uomini, 7,4 milioni di pensionati non arrivano a 1.000 euro al mese. Le disuguaglianze più mar- cate si registrano al nord, per l’ovvia differenza tra nord e sud di possibilità di lavoro e, come ben si sa, la pensione è il riassunto della vita lavorativa. Più donne pensionate ma più povere. Secondo i dati dello studio diffuso dall’ISTAT e dall’INPS, nel 2011, degli oltre 23 milioni di trattamenti pensio- nistici il 56,4 per cento è stato erogato a donne e il 43,6 per cento a uomini. Ma le donne, pur rap- presentando il 52,9 per cento dei pensionati (8,8 milioni su 16,7 milioni) e più della metà delle pen- sioni, percepiscono solo il 43,9 per cento dei 266 miliardi di euro erogati (il 56,1 per cento è, infatti, destinato agli uomini). Ciò comporta che l’importo medio annuo del- le prestazioni godute da un uomo ammonta a 14.460 euro, il 65,6 per cento in più di quello delle pensioni di titolarità femminile, che si attesta ad appena 8.732 euro. Dipende evidentemente solo dalle diverse aspet- tative di vita tra uomo e donna il fatto che le donne pensionate sono più numerose degli uomini, oltre che perché vivono in media più a lungo, perché sopravvivono ai mariti e quindi aumenta il numero di pensionate grazie alla pensione di reversibilità del coniuge deceduto. Grazie a questo dato nu- merico il divario economico di genere si riduce al 43,8 per cento se calcolato sul reddito pensioni- stico, che risulta pari a 19.022 euro per gli uomini e a 13.228 euro per le donne. Nella precedente legislatura si è intervenuti più volte sul sistema pre- videnziale e sono state in particolare le donne ad essere più penalizzate. Il Governo Berlusconi nel 2009 ha innalzato a 65 anni l’accesso delle don- ne alla pensione di vecchiaia nel settore pubblico, utilizzando strumentalmente una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Il risparmio previsto dall’innalzamento a 65 anni dell’età di accesso alla pensione di vecchiaia delle donne del pubblico impiego ammontava a circa 3,7 miliardi di euro a regime entro il 2020, desti- nati a misure volte ad alleviare il carico di lavoro non retribuito e, in particolare, la legge prevedeva esplicitamente di dedicare i risparmi « ad interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particola- re attenzione alla non autosufficienza e all’esigen- za di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici » (articolo 22-ter, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con mo- dificazioni, dalla legge n. 102 del 2009). Tali fondi in realtà sono stati utilizzati per altri scopi. A novembre 2011 è arrivato il Governo tecnico e con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, di seguito « decreto salva Italia », ha innalzato repen- tinamente l’età per l’accesso alla pensione di vec- chiaia delle donne del settore privato, senza una gradualità reale. Di seguito si riporta parte della re- lazione tecnica (atto Camera n. 4829) relativa alla pensione di vecchiaia delle lavoratrici del settore privato: «In particolare, per quanto riguarda il pen- sionamento di vecchiaia delle lavoratrici del settore privato e, quindi, l’accelerazione dell’allineamento del requisito alla generalità dei lavoratori per le di- pendenti, le valutazioni tengono conto, nel breve periodo, dei seguenti parametri: numero dei soggetti interessati in relazione alla ma- turazione dei requisiti minimi dal 1o gennaio 2012: circa 110.000 l’anno in media nel primo triennio. Di queste, circa 72.000 sono lavoratrici dipendenti (di cui circa 68.000 maturano i requisiti nel 2012) e 38.000 lavoratrici autonome, per una comples- siva spesa media annua di circa 1.080 milioni di euro. I risparmi sono valutati in termini differenziali a quanto già previsto dalla normativa previgente; importo medio (2013): circa 10.200 euro per le la- voratrici dipendenti e circa 8.100 euro per le lavo- ratrici autonome». Tutti i risparmi sulle pensioni realizzati dal decreto «salva Italia», sono stati utilizzati unicamente per coprire il debito pubblico, come espressamente dichiarato dall’allora Ministro Fornero all’Assem- blea della Camera dei deputati nel luglio 2012, in risposta all’interrogazione presentata dall’onore-
  • 13. vole D’Antoni. Nessun risparmio sarà quindi utiliz- zato per garantire le future generazioni, né tanto- meno per l’occupazione femminile. La banca dati dell’INPS ci offre la possibilità di verificare che le pensioni di vecchiaia liquidate nel 2012 alle don- ne del settore privato sono state circa 55.000, per un importo pro capite mensile lordo di 698 euro (19.000 pensioni di lavoratrici autonome per un importo mensile medio di 597 euro). Con la manovra «salva Italia» ad essere fortemente penalizzate sono state le donne nate nel 1952, che si sono ritrovate innalzato di due anni il requisito per l’accesso alla pensione nell’arco di una notte, dal 31 dicembre 2011 al 1o gennaio 2012, inne- scando un meccanismo di rincorsa che comporta un ritardo di accesso alla pensione di vecchiaia da quattro a sei anni. È inaccettabile che una fascia anagrafica paghi più di altre un tributo così elevato al debito pubblico. La scelta quasi obbligata delle donne di uscire dal mercato del lavoro, per brevi o per lunghi periodi, comporta un’ulteriore penalizzazione delle stes- se donne, soprattutto per quanto attiene l’aspet- to previdenziale. A differenza degli uomini, sono molte di più le donne che arrivano alla pensione di vecchiaia per la scarsità di contributi accumu- lati nel corso degli anni e sono poche le donne che maturano i requisiti per l’accesso al pensio- namento per anzianità contributiva. Va considera- to, inoltre, che erano ben 4,5 milioni le pensioni integrate al trattamento minimo, con un importo medio di integrazione di circa 3.100 euro annui per pensione, come si rileva dai dati del Ministe- ro dell’economia e delle finanze – Ragioneria dello Stato, ultima rilevazione dell’anno 2005, mentre la relazione annuale dell’INPS fornisce l’indicazione sulle pensioni integrate ma non l’importo medio di integrazione, un dato interessante per capire cosa accadrà quando non ci sarà più l’integrazione. Nel 2011 erano quindi 4,5 milioni le pensioni integrate al trattamento minimo e le donne sono titolari di ben 3,5 milioni di queste. Si consideri, come già rilevato, che per le pensioni liquidate con il sistema contributivo non esisterà più l’integrazione al trat- tamento minimo e ciò comporterà un ulteriore re- ale peggioramento, per le donne in particolare. Le pensioni integrate al minimo nel 2012 (dati INPS) sono e sono prevalentemente destinate a donne (81 per cento). Il nord registra una maggiore pre- senza di trattamenti (circa il 44 per cento del tota- le), con una quota relativamente più consistente di pensioni di vecchiaia integrate (53 per cento). Questo dimostra che le pensioni sono basse e che l’integrazione al trattamento minimo è una misura indispensabile per la sopravvivenza di chi lo perce- pisce. Per queste ragioni con questa proposta di legge si prevede anche l’abrogazione del comma 7 dell’articolo 24 del decreto «salva Italia», perché penalizza pesantemente le donne, prevedendo che qualora l’importo della pensione non superi di 1,5 volte l’assegno sociale il diritto a pensione si sposti a 70 anni di età. Negli altri Paesi europei, prescindendo dalla tutela della gravidanza e della maternità che esiste ovun- que, si nota che è presente un riconoscimento og- gettivo alle donne attraverso periodi di contribu- zione figurativa per la crescita dei figli. In Francia, alle lavoratrici madri sono riconosciuti due anni di contribuzione figurativa per ogni figlio e fino a tre (a scelta tra madre e padre), oltre a un eventuale supplemento di pensione (pari al 10 per cento in più) per chi abbia avuto almeno tre figli. La Francia è uno dei Paesi con tasso di fecondità più elevato in Europa. In Grecia sono riconosciuti da uno a un massimo di quattro anni di contribuzione figurati- va, in relazione al numero di figli avuti. In Germania sono previsti vari sostegni economici alla famiglia legati ai figli che permettono maggiore possibili- tà di scelta reale rispetto al lavoro e all’utilizzo dei servizi. Dati dell’Eurostat e della Commissione europea (2006-2007) e dell’ISTAT (2008) attestano che in media le donne italiane lavorano 60 ore la setti- mana: sono in Europa quelle che lavorano di più. Sulla somma incidono sia il lavoro retribuito svol- to fuori casa che quello non retribuito prestato in ambito familiare. Questo lavoro gratuito, che gli indicatori economici non rilevano, tiene in piedi la società la quale, però, restituisce alle donne assai poco rispetto a quanto da loro riceve. Oggi, infatti, mancano i servizi di assistenza per l’infanzia e quelli per gli anziani. Le donne in Italia si prendono cura della famiglia, hanno spesso lavori precari, carriere intermittenti, redditi più bassi, scarsa disponibilità di servizi so- ciali e sono assenti nelle « stanze » che contano, anche in quelle in cui si decide di mandarle in pen- sione a 67 anni. Oggi le donne tra i 50 e 60 anni
  • 14. hanno, nella gran parte dei casi, genitori ottanten- ni che hanno bisogno di assistenza da parte della famiglia. I dati sull’occupazione femminile in Italia sono i peggiori d’Europa: il 2009 ha visto interrompersi il trend di crescita dell’occupazione femminile (15- 64 anni) che aveva contraddistinto i precedenti anni, assestando il tasso di occupazione al 46,7 per cento, valore molto lontano sia dalla media eu- ropea del 58,6 per cento che dall’obiettivo euro- peo di raggiungere il 60 per cento di occupazione femminile per il 2010 (Strategia di Lisbona 2000). La crisi economica, sociale, culturale e ambienta- le causata dalle politiche dei Governi che si sono succeduti negli ultimi anni e aggravata dalle strate- gie del Governo Monti e dalle manovre del Ministro Fornero (permanenza al lavoro delle persone più anziane, blocco del turn over, riforma del lavoro e altro) ha peggiorato la situazione dell’occupazio- ne giovanile, colpendo soprattutto le donne e, in particolare, quelle con lavori temporanei. Le situa- zioni di maggiore criticità si registrano fra le gio- vani donne che, pur dotate sempre più spesso di elevati livelli di istruzione, faticano più dei loro co- etanei ad accedere al mercato del lavoro e per le over cinquantenni, la cui partecipazione è lontana dagli obiettivi di Lisbona non solo per la presenza di modelli di discriminazione ancora vincenti, ma anche per il sopraggiungere di nuove esigenze di conciliazione legate all’assistenza di parenti anzia- ni non più autosufficienti, a cui il sistema di welfare pubblico fatica ad offrire risposte. Benché occorra più tempo per valutare a pieno gli effetti della riforma del Ministro Fornero, un primo rapporto del novembre 2012 (SeCo-Statistiche e comunicazioni obbligatorie) sui contratti di lavo- ro intermittente (modificato dalla legge n. 92 del 2012) fa rilevare che le assunzioni sono diminuite fortemente in tutte le aree (circa -30 per cento), rispetto sia al trimestre precedente che al medesi- mo trimestre dell’anno precedente (-70 per cento). Di converso sono ovunque aumentate le cessa- zioni (+40 per cento rispetto sia al trimestre che all’anno precedente), di cui solo il 15 per cento circa si è trasformato in un lavoro tempo indeter- minato e quasi sempre part-time. Secondo il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) la situazione dell’occupazione fem- minile si è aggravata proprio a causa della scarsità di servizi sociali di supporto alle famiglie, dei cari- chi di lavoro familiare, ancora appannaggio quasi esclusivamente femminile, del « tetto di cristallo » e delle retribuzioni inferiori rispetto a quelle maschi- li, con riflessi conseguenti anche sulla situazione pensionistica. L’aumento dei costi e la scarsità dei servizi socia- li a sostegno della prima infanzia, riconosciuti in Europa come un forte fattore facilitante la crescita del lavoro femminile, sono una delle prime cau- se per cui le donne decidono di non lavorare o di smettere di lavorare o di non tornare a lavorare dopo la nascita del primo figlio. La probabilità di non lavorare 18-21 mesi dopo la nascita di un fi- glio è di quasi il 50 per cento. Ovviamente le don- ne con un titolo di studio più alto rientrano al lavoro dopo il parto e riescono a gestire meglio delle altre i problemi legati alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Un altro ostacolo al lavoro femminile è il tempo dedicato alla cura della famiglia e del- la casa, che risulta ancora a carico delle donne per il 77 per cento (Rapporto sulle donne in Italia, CNEL, 2010). Un altro motivo per cui le donne non possono iniziare o smettono di lavorare è quello di doversi sostituire alle assistenti domiciliari (badanti), a cau- sa dell’impossibilità delle famiglie di sostenerne le spese, ma anche di dover supplire alla carenza dei servizi sanitari, caricandosi non solo delle attivi- tà tradizionali di cura ma anche di servizi nuovi e complessi che vengono delegati dal sistema sani- tario ai familiari, come l’assistenza ai malati cronici (SLA, patologie psichiatriche, dipendenze, dialisi e altro). In questi casi le donne si vedono costrette ad ac- cettare anche condizioni di pensionamento con abbattimenti in termini economici fino al 30 per cento (opzione contributiva prevista per le donne a 57 anni di età e a 35 anni di contributi, fino al 2015). Tale disposizione non può che contribuire al drammatico aumento della povertà per le donne, con inevitabili ripercussioni su tutta la società. Non a caso « l’opzione donna » viene utilizzata ora, da quando non esiste più la possibilità di pensione di vecchiaia a 60 anni e dal 1o gennaio 2012 essa è l’unica possibilità di pensione, seppur penaliz- zante: se, dal 2004 a oggi poche donne l’avevano utilizzata, ora diventa l’unica salvezza. Per contro, le donne che rimangono a lavorare
  • 15. sono sottoposte a ritmi di vita frenetici per riusci- re a coniugare impegni lavorativi e familiari e sono obbligate a confrontarsi con sistemi di gestione sempre più gerarchici, competitivi e punitivi, lon- tani dalla loro formazione e dalle loro competenze più orientate alla cooperazione, al lavoro orizzon- tale e all’inclusione. Le lavoratrici, schiacciate da tutte queste pressioni, soffrono di patologie psi- chiche in misura prevalente e crescente rispetto agli uomini, compreso lo stress lavoro correlato, aggravato dal rischio psico-sociale connesso al doppio o triplo carico di lavoro. Non mancano dati statistici in grado di descrivere il perdurante impatto dei tempi di lavoro (retribuito o no) sulla vita quotidiana delle donne (madri e fi- glie), con effetti sulle loro opportunità, sulla qualità della vita percepita e sulla salute. Dati epidemiologici rilevano che gli innegabili mi- glioramenti delle condizioni di sopravvivenza sono concentrati nelle fasce di età anziane (a 65 anni la differenza di sopravvivenza tra gli anni novanta e il 2009 è praticamente immutata per le donne). In generale all’aumento dell’aspettativa di vita non corrisponde un aumento dello stato di salute, come riporta il Libro verde sul welfare e, soprat- tutto in Italia, l’aspettativa di vita in buona salute è drammaticamente crollata per le donne negli ul- timi anni. Molte patologie ad elevato impatto debilitan- te sono femminili, si pensi all’artrite reumatoide, all’osteoporosi, ai disturbi muscolo-scheletrici e ad alcuni tumori, in generale sempre più frequen- ti nonostante sia riconosciuto che le generazioni coinvolte abbiano assunto stili di vita più salutari degli uomini. L’allungamento dell’età pensionabile e la diminu- zione delle pensioni in termini economici, insieme alla trasformazione degli ambienti di lavoro rende- ranno la situazione delle donne insostenibile, sia durante la fase lavorativa che dopo: a) le donne sono costrette a lavorare in condizioni di salute precarie; b) le difficoltà che già normalmente ostacolano una competizione alla pari sul posto di lavoro con i colleghi maschi sono aumentate; c) le possibilità di carriera sono minori e quindi le pensioni sono più basse a fine lavoro; d) le necessità di smettere di lavorare o di andare in pensione con trattamenti minimi e quindi ad ele- vato rischio di povertà sono superiori. Inoltre si consideri che l’invecchiamento lavorativo fa perdere competitività al sistema, che il prolun- gamento dell’età pensionabile non consente l’in- gresso dei giovani nel mondo del lavoro e che gli anziani e i bambini sono sempre più senza servizi o cure familiari e in condizioni economiche precarie. Per i motivi esposti le donne lavoratrici del settore pubblico e privato, come operaie, medici, infer- miere, insegnanti o tec-niche, non possono esse- re obbligate a lavorare oltre i 60 anni. La riforma del Ministro Fornero non ha conside- rato che proprio per raggiungere l’equità non è possibile stabilire criteri uguali per tutti, laddove si parta da condizioni discriminanti e da disuguali opportunità socio-economiche tra maschi e fem- mine: non dovrebbe essere difficile da capire. Anche l’alibi di adeguamento agli standard eu- ropei evidentemente non regge in considerazio- ne della diversità del contesto socio-economico (maggiori servizi, ammortizzatori e altro) e della maggiore flessibilità nell’età pensionabile in altri Paesi membri. Si può, invece, impostare un sistema pensionisti- co che contempli flessibilità e libertà di scelta in modo da conciliare politiche di lavoro ed esigenze personali, insieme a misure organizzative favore- voli ad una maggiore flessibilità del lavoro. Questi dati ci costringono a intervenire, purché non si può rimanere spettatori di un’ingiustizia così evidente, soprattutto sapendo che nella real- tà della vita quotidiana sono le donne a lavorare di più degli uomini e a reggere lo Stato sociale, so- stituendosi spesso alla mancanza di servizi e ga- rantendo il famoso welfare familiare su cui si basa tutto il nostro sistema sociale. Lo Stato deve rico- noscere alle donne, quale atto risarcitorio dovuto per la mancata realizzazione di pari opportunità, con l’assenza di servizi sul territorio e per il manca- to superamento delle differenze retributive, misure adeguate di miglioramento previdenziale. Con questa proposta di legge s’intende quindi raggiungere l’obiettivo di completare il quadro dei progetti di legge presentati per favorire l’occupa- zione femminile, occupandosi in particolare delle pensioni delle donne, poiché esse sono sempre
  • 16. troppo basse e ciò comporterà per moltissime donne una pensione assolutamente insufficiente per una possibilità di vita dignitosa. Con l’articolo 1 viene sostituito il comma 6 dell’ar- ticolo 24 del decreto «salva Italia» al fine di intro- durre gradualità per l’accesso alla pensione di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti e autonome del settore privato, eliminando quell’assurdo sca- lone che costringe le donne a rincorrere il requisito dell’età; sono abrogati anche i successivi commi 7, 8, 9 e il comma 15-bis, lettera b). Si riconosce il diritto delle donne del pubblico impiego ad anda- re in pensione a 64 anni dal 1o luglio 2013 al 31 dicembre 2017 e a 65 anni del 1o gennaio 2018, come per gli altri settori. Si mantiene la differenza perché, essendo stata aumentata l’età per la pen- sione di vecchiaia delle donne del pubblico impie- go già dal 1o gennaio 2010, chi aveva compiuto 60 anni nel 2009 aveva mantenuto il diritto e quin- di proporre 64 anni, come già previsto dal citato comma 15-bis per il settore privato, tiene conto che ormai quasi tutte le donne interessate hanno compiuto 64 anni (quindi è inutile la parificazione agli altri settori) ma dà alla Ragioneria dello Stato la possibilità di prevedere la copertura finanziaria delle nuove disposizioni. Con l’articolo 2 viene ribadito che lo Stato ricono- sce il valore universale della maternità e dei lavori di cura familiari quali attività indispensabili per la vita della collettività e che lo Stato non ha garantito alle donne reali pari opportunità, servizi adeguati e la parificazione delle retribuzioni, prevedendo qua- le atto risarcitorio dovuto misure a sostegno delle donne che consistono in contribuzione figurativa o, in alternativa, nell’anticipo all’accesso alla pen- sione di vecchiaia. Allo stesso scopo si dispone l’abrogazione della norma che impedisce la cumu- labilità del riscatto dei periodi di assenza facoltati- va collocati al di fuori del rapporto di lavoro con il riscatto del periodo di corso legale di laurea. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. 1. Il comma 6 dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modifi- cazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, è sostituito dal seguente: «6. Relativamente ai soggetti di cui al comma 5, a decorrere dal 1o gennaio 2012 i requisiti anagrafici per l’accesso alla pensione di vecchiaia sono ride- finiti nei seguenti termini: a) per le lavoratrici dipendenti e per le lavoratri- ci autonome la cui pensione è liquidata a carico dell’AGO e delle forme sostitutive, esonerative ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della leg- ge 8 agosto 1995, n. 335, il requisito anagrafico è fissato in: 1) 61 anni a decorrere dal 1o gennaio 2012; 2) 62 anni dal 1o luglio 2013; 3) 63 anni dal 1o gennaio 2015; 4) 64 anni dal 1o luglio 2016; 5) 65 anni a decorrere dal 1o gennaio 2018; b) in via transitoria, dal 1o luglio 2013 al 31 dicem- bre 2017, in deroga alle disposizioni dell’articolo 22-ter del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni, per le lavoratrici del settore pubblico il requisito anagra- fico è fissato in 64 anni. Dal 1o gennaio 2018 tale requisito è incrementato di un anno». 2. All’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come da ultimo modificato dal presente articolo, sono apportate le seguenti modificazioni: a) i commi 7, 8 e 9 sono abrogati; b) il comma 15-bis è sostituito dal seguente: «5-bis. In via eccezionale, i lavoratori dipenden- ti del settore privato e del settore pubblico le cui pensioni sono liquidate a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esonerative e sostitutive della medesima che abbiano maturato un’anzianità contributiva di almeno 35 anni entro il 31 dicembre 2012 i quali avrebbero maturato, prima della data di entrata in vigore del presente decreto, i requisiti per il trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2012 ai sensi della tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, s243, e suc- cessive modificazioni, possono conseguire il trat-
  • 17. tamento della pensione anticipata al compimento di un’età anagrafica non inferiore a 64 anni». ART. 2. 1. Lo Stato riconosce il valore universale della maternità e dei lavori di cura familiare quali attivi- tà necessarie e indispensabili per la vita della col- lettività e prevede misure e agevolazioni in favore delle donne volte a promuovere condizioni di pari opportunità. 2. Alle madri, o ai padri in caso di totale assenza della madre, sono riconosciuti: a) due anni di contribuzione figurativa per ogni fi- glio naturale o adottivo; b) tre anni di contribuzione figurativa per ogni fi- glio, in caso di disabilità grave riconosciuta ai sen- si dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. 3. In alternativa a quanto previsto dal comma 2, è concesso ai soggetti di cui al medesimo comma: a) l’anticipo dell’età di accesso alla pensione di vecchiaia di due anni per ogni figlio naturale o adottivo fino a un massimo di cinque anni di anti- cipo, ferma restando l’età minima di 60 anni; b) l’anticipo dell’età di accesso alla pensione di vecchiaia di tre anni per ogni figlio naturale o adottivo con disabilità grave riconosciuta ai sen- si dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, fino a un massimo di sei anni, ferma restando l’età minima di 59 anni. 4. Sono valutati come possibilità di anticipo di età per la pensione di vecchiaia, fino a un massimo di tre anni e ferma restando l’età minima di 60 anni, i periodi di assistenza a parenti disabili certificati ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104. 5. Fatto salvo quanto previsto dai commi 2, 3 e 4, sono riconosciuti alle donne, anche in assenza di prole o di periodi dedicati all’assistenza a parenti disabili certificati ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104: a) dodici mesi di contribuzione figurativa, fino a un massimo di sessanta mesi, per ogni otto anni di contribuzione derivante da lavoro effettivo, riscatto o contribuzione volontaria, alle donne che lavora- no e che risiedono nelle regioni del centro-nord; b) quindici mesi di contribuzione figurativa, fino a un massimo di settantacinque mesi, per ogni otto anni di contribuzione derivante da lavoro effettivo, riscatto o contribuzione volontaria, alle donne che lavorano e che risiedono nelle regioni del sud. 6. Le agevolazioni di cui al comma 5 sono conces- se in assenza di altri redditi personali, fatta salva l’abitazione principale iscritta alla categoria cata- stale A/1, A/8, A/9, e fino a concorrenza di un reddito da pensione non superiore a due volte il trattamento minimo. 7. L’articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, è abrogato. PROPOSTA DI LEGGE N. 388 D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI MURER, CENNI, VELO, GARAVINI, MOSCATT, MARTELLA, BERLINGHIERI, CIMBRO, D’INCEC- CO, BIONDELLI, MARCHI Delega al Governo per l’introduzione di agevola- zioni contributive per le lavoratrici madri nonché modifiche agli articoli 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, e 42 del testo unico di cui al decreto legi- slativo 26 marzo 2001, n. 151, per l’elevazione del limite massimo di durata dei congedi lavorativi per gravi motivi familiari Presentata il 21 marzo 2013 ONOREVOLI COLLEGHI! — Alcuni recenti prov- vedimenti del Governo in ordine alla materia previ- denziale sono stati volti al progressivo innalzamen- to dei requisiti anagrafici per il diritto all’accesso dei trattamenti pensionistici, con riferimento ai la- voratori pubblici e privati, uomini e donne. La riforma è stata decisa per due ragioni sostanzia- li: da una parte, adeguare i requisiti anagrafici per l’accesso al sistema pensionistico all’incremento della speranza di vita accertato dall’Istituto nazio- nale di statistica (ISTAT) e convalidato dall’Ufficio statistico dell’Unione europea (EUROSTAT), con riferimento ai cinque anni precedenti, e dall’altra,
  • 18. garantire la sostenibilità economica di lungo perio- do del sistema che, oltre all’aggancio automatico dell’età pensionabile all’incremento della speranza di vita, ha previsto il posticipo della decorrenza dei trattamenti pensionistici (cosiddette « finestre ») e un generale incremento dei requisiti pensionistici. L’articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha attuato una revisione complessiva del sistema pensionistico. In particolare, sono stati ri- definiti i requisiti anagrafici per il pensionamento di vecchiaia a decorrere dal 1° gennaio 2012 (comma 6), disponendo l’innalzamento a 66 anni di età del limite minimo per accedere alla pensione di vec- chiaia (sia per i lavoratori dipendenti sia per quelli autonomi), nonché l’anticipazione della disciplina a regime dell’innalzamento progressivo dell’età ana- grafica delle lavoratrici dipendenti private al 2018 (in luogo del 2026). Più specificamente, sono stati ridefiniti i requisiti anagrafici per l’accesso alla pen- sione di vecchiaia nei seguenti termini: a) 62 anni per le lavoratrici dipendenti private, la cui pensione è liquidata a carico dell’assicurazione generale obbligatori (AGO) e delle forme sostitutive della medesima; tale requisito anagrafico viene ulte- riormente innalzato a 63 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2014, a 65 anni a decorrere dal 1° gennaio 2016; e a 66 anni a decorrere dal 1° gen- naio 2018; b) 63 anni e 6 mesi per le lavoratrici autonome la cui pensione è liquidata a carico dell’AGO nonché della gestione separata dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) di cui all’articolo 2, com- ma 26, della legge n. 335 del 1995; tale requisito anagrafico è fissato a 64 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2014, a 65 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2016, a 66 anni a decorrere dal 1° gennaio 2018 e a 66 anni per i lavoratori dipenden- ti privati e per i dipendenti pubblici (lavoratori e, ai sensi dell’articolo 22-ter del decreto-legge 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, lavoratrici), la cui pensione è liquidata a carico dell’AGO e delle forme sostitutive ed esclu- sive della medesima. Il successivo comma 10 innalza, a decorrere dal 1° gennaio 2012 e con riferimento ai soggetti la cui pensione è liquidata a carico dell’AGO e del- le forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata dell’INPS, che maturino i requisiti a partire dalla medesima data, il limite massimo di 40 anni richiesto ai fini del rico- noscimento del diritto al pensionamento in base al solo requisito di anzianità contributiva a prescinde- re dall’età anagrafica (cosiddetti «quarantesimi»). Sulla base delle nuove disposizioni, l’accesso al trattamento pensionistico è consentito esclusiva- mente qualora risulti maturata un’anzianità contri- butiva di: a) nel 2012, 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne; b) nel 2013, 42 anni e 2 mesi per gli uomini e 41 anni e 2 mesi per le donne; c) a decorrere dal 2014, 42 anni e 3 mesi per gli uomini e 41 anni e 3 mesi per le donne. In virtù di tale disposizione è soppressa, sempre a decorrere dal 2012, la possibilità di accedere al pensionamento anticipato con il sistema delle co- siddette «quote» introdotto dalla legge n. 247 del 2007, con un’anzianità minima compresa tra 35 e 36 anni di contributi. Inoltre, si prevede l’applica- zione di una riduzione percentuale del trattamen- to pensionistico per ogni anno di pensionamento anticipato rispetto all’età di 62 anni (pari all’1 per cento, con elevazione al 2 per cento per ogni ulte- riore anno di anticipo rispetto a 2 anni). Con la riforma previdenziale, sul fronte del tratta- mento delle pensioni per uomini e per donne, il Go- verno ha accolto i rilievi dell’Unione europea sull’u- guaglianza tra donne e uomini, predisponendo un intervento legislativo che parifica l’età pensionabile delle lavoratrici del lavoro pubblico a quella dei col- leghi maschi, passando, gradualmente, alla mede- sima età. Il provvedimento, giustificato dall’esigenza di rie- quilibrio dei conti, non tiene del tutto conto di una serie di specificità che investono, in particolare, le donne nella loro storia lavorativa e personale e, in- nanzitutto, del peso che deriva dalla mancanza di una vera politica di pari opportunità che investa nei servizi pubblici, che sostenga le donne nel mercato del lavoro, che dia risposte al lavoro di cura, che al- lievi le donne da un doppio lavoro obbligato in tutte le fasi della vita e che le discrimina di fatto per tutta la loro vita lavorativa, salvo saldare una parados- sale «uguaglianza» quando si tratta della pensione.
  • 19. Il medesimo discorso riguarda chi assiste familiari disabili gravi, un lavoro di cura che riguarda spes- so le donne ma, a volte, anche gli uomini. In Italia ci sono milioni di persone non in grado di svolgere gli atti quotidiani della vita in modo au- tonomo o di non deambulare da soli eccetera, e quindi rientranti in una condizione di disabilità gra- ve (articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992). Soggetti che vivono una condizione che in- cide pesantemente sulla loro vita ma anche, alme- no per chi ne ha una, sulle loro famiglie, che sono la risorsa vera, dal momento che i servizi pubblici, in questo senso, risentono di note carenze. A considerare gli ultimi dati dell’ISTAT si rileva che il 43 per cento delle donne italiane con età inferiore ai 40 anni (ma ben il 55 per cento di quelle che ne hanno meno di 30), se decidono di avere un figlio non accedono alla maternità con tutti i diritti pre- visti dalla legge: non ricadono infatti tra le lavora- trici dipendenti a tempo indeterminato che sono il « target » di riferimento della legge n. 53 del 2000. Oggi le giovani donne accedono in modo precario al mondo del lavoro, spesso con lavori autonomi, ma si muovono anche in un contesto molto cam- biato dal punto di vista culturale, fatto di maggiore equilibrio nelle responsabilità di cura nelle coppie e di consapevolezza di non voler essere messe di fronte alla scelta di rinunciare al lavoro in presenza di un figlio. È necessario dunque un riconoscimento mirato – materiale ma anche simbolico – del lavoro di cura, ed è necessario intraprendere un percorso di rie- quilibrio del sistema di welfare che allarghi i diritti sociali e di cittadinanza a chi, senza distinzione tra donne e uomini, presta attività di cura: la cura – che è un’attività umana essenziale e ha un valore irrinunciabile – deve entrare nella polis, ridisegnan- do una nuova mappa del welfare. Un sistema di welfare a carattere strutturale, reso più urgente dall’attuale situazione di crisi, iniziando dalle seguenti considerazioni. La proposta del Governo di equiparazione dell’età minima della pensione di vecchiaia delle donne, a fronte della sentenza della Corte di giustizia dell’U- nione europea sulla normativa italiana del pubblico impiego, è accettabile solo se si accompagna a una sostanziale riforma del welfare che tenga con- to del lavoro di cura. La possibilità di anticipazione, infatti, costituiva una sorta di « risarcimento », per quanto generico e generalizzato, del ruolo di cura ricoperto dalle donne nella società. Averla cancel- lata contempla la necessità di individuare, comun- que, una forma di riconoscimento per il lavoro di cura stesso. La nostra legislazione già prevede forme di rico- noscimento per quelle categorie di lavoratori che hanno un’attesa di vita ridotta come disabili e la- voratori addetti a mansioni usuranti. Chi assiste in famiglia persone con necessità di assistenza con- tinuata risente oggettivamente della medesima « usura » personale, nella propria esistenza, tale da giustificare un riconoscimento. La presente propo- sta di legge parte dal principio dell’indispensabi- lità del riconoscimento della cura, a cui va dato un corrispettivo materiale, che viene tradotto nel cosiddetto « credito di cura », un credito contribu- tivo ai fini pensionistici che riguarda la maternità e il lavoro di cura. Un sistema di crediti che – secondo la proposta di legge – riconosce alle lavoratrici ma- dri un credito di due anni di contribuzione figura- tiva, per ogni figlio, valido a tutti gli effetti di legge, ai fini della maturazione del requisito di anzianità contributiva. Inoltre si prevede un riconoscimento per i lavora- tori e le lavoratrici impegnati, nell’ambito familiare, in un lavoro di cura verso familiari conviventi con disabilità grave. La formula è quella di aumentare il periodo di congedo straordinario, già previsto dal- la normativa, da due a quattro anni. Un congedo retribuito a tutti gli effetti e con rilevanza ai fini pen- sionistici. Questa perequazione non solo va nella direzione di riconoscere alle donne quel diritto al riconoscimento di uno svantaggio oggettivo, rela- tivo a tutto il lavoro svolto, non retribuito, relativo alle responsabilità familiari, di cura e della mater- nità, ma aiuta a riflettere anche sul fatto che, se è vero che l’età media e l’aspettativa di vita si sono innalzate, è anche vero che il lavoro di cura logora fino al punto di diminuire la durata dell’esistenza stessa. Appare, quindi, necessario destinare a misure di riconoscimento del lavoro di cura almeno una par- te dei risparmi ottenuti con l’innalzamento dell’età pensionabile. La presente proposta di legge prevede, in confor- mità a queste considerazioni, una delega al Gover- no in ragione dell’estrema complessità del sistema previdenziale, che ha bisogno di interventi di varia
  • 20. natura su più provvedimenti che possono essere attuati solo dopo un’analisi normativa e contabile preventiva del Governo. Per quanto riguarda la copertura finanziaria, non risultando possibile procedere in sede di confe- rimento della delega, a causa della complessità della materia trattata, all’esatta determinazione degli effetti finanziari derivanti dall’attuazione del- le disposizioni delegate, secondo quanto previ- sto dalla legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009, la quantificazione degli oneri è rimessa alla fase di adozione del decreto legislati- vo e l’individuazione dei relativi mezzi di copertura è condizionata all’adozione di specifici provvedi- menti legislativi. Al decreto legislativo deve essere allegata una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. Si prevede, in- fatti, che qualora derivino nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il decreto legislativo sia emanato successivamente alla data di entrata in vigore del provvedimento legislativo che stanzia le occorrenti risorse finanziarie. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. (Delega al Governo per l’introduzione di un credito contributivo ai fini pensionistici per le lavoratrici madri). 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per l’introduzione di agevola- zioni contributive alle lavoratrici madri, in conformità al seguente principio e criterio direttivo: riconosci- mento di un credito di due anni di contribuzione figurativa, per ogni figlio, in favore delle lavoratrici madri, valido a tutti gli effetti di legge ai fini della ma- turazione del requisito di anzianità contributiva. 2. Lo schema del decreto legislativo di cui al com- ma 1 è deliberato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rap- presentative a livello nazionale. 3. Lo schema del decreto legislativo è trasmesso alle Camere ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere fi- nanziario, che sono resi entro trenta giorni dalla data di assegnazione dello stesso. Entro i trenta giorni successivi all’espressione dei pareri, il Go- verno, ove non intenda conformarsi alle condizioni ivi eventualmente formulate con riferimento all’esi- genza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissio- ni competenti, che sono espressi entro trenta giorni dalla data di trasmissione. 4. Allo schema del decreto legislativo è allegata una relazione tecnica che rende conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di coper- tura. Nell’ipotesi di nuovi o maggiori oneri, il decreto legislativo può essere emanato solo successiva- mente alla data di entrata in vigore del provvedi- mento legislativo che stanzia le occorrenti risorse finanziarie. ART. 2. (Modifiche agli articoli 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, e 42 del testo unico di cui al decreto legisla- tivo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di durata del congedo straordinario per assistenza e lavoro di cura in favore di familiari disabili conviventi). Al comma 2 dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, le parole: «due anni» sono sostitui- te dalle seguenti: «quattro anni». Al comma 5-bis dell’articolo 42 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della ma- ternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, le parole: «due anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattro anni».
  • 21. PROPOSTA DI LEGGE N. 1503 d’iniziativa del deputato DI SALVO Anticipo dell’età dell’accesso alla pensione di vec- chiaia in favore delle lavoratrici madri Presentata il 7 agosto 2013 ONOREVOLI COLLEGHI! — Le conseguenze della riforma cosiddetta « Monti-Fornero » delle pensioni sono molto pesanti, soprattutto per le donne, a cau- sa dell’incremento dell’età pensionabile a decorrere già dal 2012 e dell’eliminazione della possibilità di andare in pensione con il sistema delle «quote». La legge interviene sulle lavoratrici allontanando il periodo di pensionamento, per alcune di esse an- che di un decennio. Per le lavoratrici che hanno iniziato a lavorare dal 1o gennaio 1996, oltre l’in- cremento dell’età pensionabile, è previsto l’innalza- mento del requisito contributivo (da 5 a 20 anni) e dell’importo minimo di pensione da maturare. La presente proposta di legge intende favorire la maternità e la salute delle donne madri stabilendo misure previdenziali che consentono l’accesso an- ticipato alla pensione o al godimento dell’assegno sociale. La valorizzazione della maternità attraver- so le misure proposte dà attuazione al principio che la Costituzione reca all’articolo 31, ma – e lo si vuole sottolineare – pone anche finalmente atten- zione alla salute delle donne, tutelata dall’articolo 32 della Costituzione stessa, in considerazione della gravosità di ogni gravidanza. La proposta di legge è composta da un unico articolo. Il comma 1 stabilisce che, a scelta delle lavoratri- ci, è riconosciuto uno tra i seguenti benefìci pre- videnziali: 1) un anticipo di età rispetto al requisito di acces- so alla pensione di vecchiaia, pari a un anno per ogni figlio; 2) la determinazione di un trattamento pensionisti- co maggiorato. La maggiorazione deriva dall’ap- plicazione dei moltiplicatori di cui alla tabella A al- legata alla legge 8 agosto 1993, n. 335: un anno di lavoro in più in caso di uno o due figli, due anni in più in caso di tre o quattro figli e tre anni in più in caso di cinque o più figli. Il comma 2 riconosce alle lavoratrici madri la co- pertura contributiva figurativa per gli anni di antici- po della pensione, specificando che tale beneficio non è cumulabile con altri periodi di contribuzione figurativa attribuiti in occasione della maternità, ma lasciando alle lavoratrici la scelta tra essi. Il comma 3 stabilisce che i benefìci sono ricono- sciuti alle donne in ragione della maternità, indi- pendentemente dal fatto che esse fossero oc- cupate durante la gestazione o al momento del parto o che avessero già versato in precedenza dei contributi. Allo stesso modo, il comma 4 stabilisce che il requisito anagrafico per godere dell’assegno so- ciale, che è una prestazione di carattere assisten- ziale che prescinde del tutto dal versamento dei contributi e che spetta ai soggetti che si trovano in condizioni economiche disagiate e che hanno situazioni reddituali particolari previste dalla legge, è ridotto per le donne di un anno per ogni figlio. Il comma 5 prevede le modalità di riconoscimento dei benefìci, ponendo a carico degli enti previden- ziali l’obbligo di informare le lavoratrici sugli stessi benefìci. Con riferimento ai costi derivanti dalla proposta di legge, sono stanziati, a regime, 1.100 milioni di euro annui, coperti mediante una corrispondente riduzione delle tax expenditure, come disposto dai commi 6 e 7. Il calcolo dell’onere è derivato da dati dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), dai quali emerge che: a) la media delle nascite in Italia è inferiore a 550.000 unità l’anno. Tra le donne italiane il nu- mero di figli è passato da 1,32 figli per donna del 2008 a 1,3 figli per donna del 2011, ma anche tra le donne straniere è sceso da 2,31 a 2,04; b) l’occupazione femminile in Italia, alla fine del 2012, era pari al 47 per cento e, considerando la popolazione, pari a 4 milioni e 900.000 lavoratrici; c) il diritto all’assegno sociale, dal 1o gennaio 2013 matura al compimento di 65 anni e 3 mesi di età. La misura massima dell’assegno spettante è determinata dalla differenza tra il limite di reddito previsto annualmente e il reddito dichiarato. In re- lazione all’entità del reddito personale o coniugale, l’assegno sociale può essere liquidato in misura intera o ridotta;
  • 22. d) l’importo mensile dell’assegno sociale è dato dalla misura massima spettante, divisa per 13 mensilità. L’importo dell’assegno sociale per l’anno 2013 è pari a 442,30 euro, pari a 5.749,90 euro annui. Secondo i dati dell’ISTAT (2010) sono stati circa 800.000 le pensioni e gli assegni sociali erogati nel 2010, di cui 542.000 corrisposti a donne. L’importo medio annuo è di 4.952 euro. Il comma 8 abroga la lettera c) del comma 1 dell’ar- ticolo 40 della legge n. 335 del 1995, recante misu- re a favore delle lavoratrici madri, in parte corrispon- denti a quelle disciplinate dalla proposta di legge. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. In attuazione degli articoli 31 e 32 della Costituzio- ne, al fine di tutelare la maternità e la salute, fatto salvo quanto previsto dalla legislazione vigente, è riconosciuto alla lavoratrice, indipendentemente dall’assenza o no dal lavoro al momento del verifi- carsi della maternità, un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia pari a un anno per ogni figlio. In alternativa a tale anti- cipo la lavoratrice può optare per la determinazio- ne del trattamento pensionistico con applicazione del moltiplicatore di cui alla tabella A allegata alla legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modi- ficazioni, relativo all’età di accesso al trattamento pensionistico, maggiorato di un anno in caso di uno o due figli, maggiorato di due anni in caso di tre o quattro figli e maggiorato di tre anni in caso di cinque o più figli. È riconosciuta la contribuzione figurativa a coper- tura dell’intero anno, nel settore pubblico e in quel- lo privato, in caso di accesso anticipato alla pen- sione ai sensi del comma 1. Il beneficio di cui al presente comma non è cumulabile con altri periodi di contribuzione figurativa riconosciuti in ragione della maternità; in tale caso è data facoltà alla la- voratrice di optare tra essi. I benefìci di cui ai commi 1 e 2 sono riconosciuti anche se la donna risulta inoccupata durante la gestazione o al momento del parto e anche in as- senza di precedenti versamenti contributivi. Il requisito anagrafico per il riconoscimento dell’as- segno sociale di cui all’articolo 3, commi 6 e 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, è ridotto, per le donne, di un anno per ogni figlio. Per il riconoscimento dei benefìci previsti dalla presente legge, la persona interessata presenta richiesta, secondo modalità semplificate, anche tramite un ente di patronato, all’ente previdenziale interessato. Nelle comunicazioni inviate dagli enti previdenziali alle lavoratrici è sempre riportata in nota la comunicazione della possibilità di avvalersi dei benefìci di cui al comma 1. I regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale, di cui all’allegato C-bis annesso al decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sono ridotti, con l’esclusione delle disposizioni a tutela dei redditi di lavoro dipendente o autonomo, dei redditi da pensione, della famiglia, della salute, delle perso- ne economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell’ambiente, in misura da determinare risparmi per una somma complessiva non inferiore a 500 milioni di euro per l’anno 2013 e a 1.100 milioni di euro annui a decorrere dal 2014. Con uno o più regolamenti adottati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’artico- lo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le modalità per l’attuazione del presente comma con riferimento ai singoli regimi interessati. A decorrere dall’anno 2013, le minori spese deri- vanti dall’attuazione delle disposizioni del comma 6, accertate annualmente con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sono trasferite agli enti di previdenza a copertura degli oneri derivanti dall’attuazione delle misure previste dalla presente legge. La lettera c) del comma 40 dell’articolo 1 della leg- ge 8 agosto 1995, n. 335, è abrogata.