Marco Tullio Cicerone - Letteratura latinaRoberto Testa
Letteratura latina : la figura di Marco Tullio Cicerone. "Vita, morte e miracoli". Vita, pensiero politico e filosofico, punti di forza, retorica, ars oratoria. (4° Liceo) - Roberto Testa, IV^ H Liceo Scientifico "Leonardo" - Giarre (Ct)
schematizzazione riassuntiva della vita e dell'opera ab urbe condita. tratte dal libro "corso integrato di LETTERATURA LATINA. 3. L'età di Augusto" di Conte e Pianezzola.
by Spano
Recensione del libro Una Cronaca di Giancarlo Lunati a cura di Elisa Ruggeri, partecipante del Master in Risorse Umane e Organizzazione di ISTUD nell'ambito del Project Work in cui i partecipanti hanno recensito alcuni libri di management, organizzazione e narrativa.
Marco Tullio Cicerone - Letteratura latinaRoberto Testa
Letteratura latina : la figura di Marco Tullio Cicerone. "Vita, morte e miracoli". Vita, pensiero politico e filosofico, punti di forza, retorica, ars oratoria. (4° Liceo) - Roberto Testa, IV^ H Liceo Scientifico "Leonardo" - Giarre (Ct)
schematizzazione riassuntiva della vita e dell'opera ab urbe condita. tratte dal libro "corso integrato di LETTERATURA LATINA. 3. L'età di Augusto" di Conte e Pianezzola.
by Spano
Recensione del libro Una Cronaca di Giancarlo Lunati a cura di Elisa Ruggeri, partecipante del Master in Risorse Umane e Organizzazione di ISTUD nell'ambito del Project Work in cui i partecipanti hanno recensito alcuni libri di management, organizzazione e narrativa.
Paolo Coen: Lezioni calabresi e abruzzesi - # 3 la memoria dell’anticopaolo coen
Lesson # 3 in a short course of art history given at the University of Calabria in 2014-2015 and at the University of Teramo in 2016-2017. The lesson - and so the whole course - is addressed to students having poor cognitions of art and and art history.
UNO SPUNTO PER UN’EVASIONE COSTRUTTIVA DALL’INCUBO
In questo ozio forzato, qualche forma di evasione, anche frivola, penso sia salutare, però, tanto meglio, se la mente viene attratta da un impegno più importante e costruttivo.
Mi piacerebbe interessare soprattutto gli studenti ed i loro insegnanti, che stanno provando a lavorare a distanza, sul programma scolastico, ma potrebbero approfittare del molto tempo disponibile, per affrontare un tema non previsto, ma di grande importanza ed attualità.
Sono appassionato di storia culturale della resistenza, non come divagazione astratta, ma come chiave di lettura indispensabile per ragionare, con un minimo di competenza storica, su temi che ci stanno fortemente disorientando; autoritarismo, sovranismo, negazionismo ecc.
Questo mio documento vuole essere solo uno stimolo, un punto di partenza, per una rilettura della resistenza, come esperienza culturale di massa.
Nato nel 47, offro il contributo di una testimonianza personale, dove metto a confronto la predicazione ufficiale con i riscontri acquisiti nella mia convivenza con persone dell’entourage del comandante partigiano, Masaccio.
La liberazione fu anche una guerra politica tra le fazioni partigiane, aspra, ma molto sotterranea ed ambigua.
La catechesi storica mascherò, sotto cerotti disposti maldestramente, ferite purulente, perché mai pulite e disinfettate.
Sopra queste piaghe, ancora putrescenti, ci pavoneggiamo con la nostra bianca camicia della democrazia.
The document discusses different types of houses around the world. In Italy, the most popular housing types are flats, single-family homes, and chalets. Flats are apartments located in buildings, while detached houses and chalets are standalone structures, with chalets specifically found in mountainous areas. In England, the most common house types are detached houses, semi-detached houses, bungalows, flats, terraced houses, and cottages. In the USA, popular housing includes single-family homes, condominiums or apartments, and ranch-style houses.
2. Where Caesar Must Die
Welcome everyone, we are the class 2I and we are glad to present our interdisciplinary
project: «Where Caesar Must Die».
We worked together in groups and each group analyzed a different topics.
We tackled each topic by taking the perspective of all our highschool subjects, from
Latin to History and even Science. Our objective was to provide a deep understanding
of Caesar’s time and his impact on society.
All groups will present their work and discuss their findings.
3. Group One
The first group will present to us the translation and analysis of several Latin works
written during Caesar’s ruling. These allow us to get a deeper understanding of this
fascinating period.
Following this initial discussion, they will also explain to us how Romans practiced
astronomy at that time and how they studied the stars and constellations.
4. Group Two
The second group will present an investigation to the everyday life of Romans during
the time of Caesar’s ruling.
The final part of Group Two’s presentation will be about what Romans ate and the
nutritional values of their typical meals.
5. Group Three
The final group will introduce us to famous figures contemporaneous to Caesar who
distinguished themselves through philosophy, science, and politics.
This group will also explain to us, as our last topic in this project, the history of water
studies and the importance of water management at that time.
6. GRUPPO 1
La lingua della Roma Cesariana
Aiello Marianna
Andò Edoardo
Cracchiolo Alice
Crisci Gabriele
D’Arrigo Federica
Di Guardo Roberto
Gemmellaro Paola
Gullotta Laura
Lo Savio Simone
Russo Ruben
7. LA LINGUA DELLA ROMA CESARIANA
Avendo analizzato i vari aspetti della vita quotidiana nella Roma cesariana (78 a.C./44 a.C.), ci soffermeremo
anche sull’aspetto linguistico della civiltà romana in quello specifico periodo della sua storia.
La lingua latina presentava delle suddivisioni interne che la portarono a differenziarsi in:
LATINO ARISTOCRATICO – parlato e scritto dal popolo colto;
LATINO POPOLARE – parlato dalla plebe.
Inoltre, vi è una distinzione tra i vari autori latini, in base al registro da essi utilizzato, ovvero in base al tipo di
latino in cui scrissero le loro opere.
Le differenze tra gli stili non derivavano dalla diversa estrazione sociale degli autori, ma soprattutto dai
differenti argomenti trattati nelle opere e dal differente pubblico a cui esse erano destinate.
8. GLI AUTORI DEL PERIODO CESARIANO
Abbiamo scelto di analizzare diversi autori relativi a Cesare, raggruppandoli in gruppi relativi a diversi
periodi delle vita (e post-mortem) di Cesare:
PRIMA del COMANDO (102 a.C./78 a.C.)
Abbiamo analizzato Catone (latino aristocratico) e Catullo (latino popolare);
DURANTE il COMANDO (78 a.C./44 a.C.)
Abbiamo preso in esame lo stesso Cesare e Cicerone (latino aristocratico);
DOPO la MORTE (post 44 a.C.)
Abbiamo esaminato le opere di storici quali Livio e Svetonio.
Gaius Iulius Caesar
9. MARCO PORCIO CATONE UTICENSE
Marco Porcio Catone (95 - 46 a.C.), detto il Giovane o Uticense, fu uno dei più strenui avversari di
Cesare durante la guerra civile.
Se non si tiene conto dell’accusa, non verificata, di ebrius ( = ubriacone) mossagli da Giulio Cesare,
l’Uticense è descritto persino dalle fonti a lui ostili come una figura di somma rettitudine,
personaggio incorruttibile e imparziale, e molto scomodo per gli avversari.
CATONE e lo STOICISMO
Catone fu assiduo seguace della filosofia stoica, filosofia che ha come obiettivo il dominio delle passioni
e la tranquillità dell’animo.
La BATTAGLIA di TAPSO e il SUICIDIO
Catone Uticense viene ricordato, oltre che per la sua tenacia per essersi ribellato alla presa di potere di
Cesare, per aver preferito il suicidio piuttosto che l’arresto dopo la battaglia di Tapso (46 a.C.).
Egli infatti, suicidandosi, non dovette assistere al tradimento degli antichi valori repubblicani di Roma,
sempre da lui difesi e sostenuti.
In accordo con la filosofia stoicista, la morte non era per lui un male, ma uno strumento di liberazione
(dal momento che ogni altra via era preclusa).
Il suicidio di Catone
10. Gli SCRITTI su CATONE
La fonte principale delle informazioni sulle azioni politiche di Catone fu Sallustio, in particolare, con opere
quali:
“Bellum Catilinae” ( = “La guerra di Catilina”);
“De Catilinae Coniuratione” ( = “La congiura di Catilina”).
Riportiamo come esempio il capitolo 54 del “De Catilinae Coniuratione” di Sallustio, con la sua traduzione in
italiano:
Testo originale (latino)
Igitur iis genus aetas eloquentia prope aequalia fuere, magnitudo animi par, item gloria, sed alia alii.
Caesar beneficiis ac munificentia magnus habebatur, integritate vitae Cato. Ille mansuetudine et
misericordia clarus factus, huic seueritas dignitatem addiderat. Caesar dando subleuando ignoscendo,
Cato nihil largiendo gloriam adeptus est. In altero miseris perfugium erat, in altero malis pernicies. Illius
facilitas, huius constantia laudabatur. Postremo Caesar in animum induxerat laborare, vigilare; negotiis
amicorum intentus sua neglegere, nihil denegare quod dono dignum esset; sibi magnum imperium,
exercitum, bellum novum exoptabat, ubi virtus enitescere posset. At Catoni studium modestiae, decoris,
sed maxime seueritatis erat; non divitiis cum divite neque factione cum factioso, sed cum strenuo virtute,
cum modesto pudore, cum innocente abstinentia certabat; esse quam videri bonus malebat: ita, quo
minus petebat gloriam, eo magis illum assequebatur.
11. Testo tradotto (italiano)
Dunque, essi, furono pressoché uguali per età, nascita e eloquenza, pari per grandezza d'animo, parimenti
per fama ma era diversa per ciascuno dei due. Cesare era considerato grande per i suoi privilegi e la sua
generosità, Catone per la sua integrità di vita. Quello fu reso famoso dalla mitezza e generosità, a questo
aveva aggiunto dignità il rigore morale. Cesare conseguì la gloria con la prodigalità, con il soccorso
prestato ad altri, con il perdono, Catone non elargendo niente. Nell'uno c'era rifugio per i miseri, nell'altro
la rovina per i malvagi. Di quello era lodata la condiscendenza, dell'altro la tenacia. Insomma, Cesare si era
proposto di lavorare, vegliare e di trascurare i propri interessi per gli affari degli amici, non rifiutava niente
che fosse adatto per essere dato in dono. Per sé desiderava un grande potere, un esercito, una nuova
guerra in cui il suo valore avesse la possibilità di risplendere. Catone, invece, aveva amore per la modestia,
la dignità e la severità. Non lottava col ricco per la ricchezza, né col fazioso per gli intrighi; ma con il
valoroso per la virtù, con il modesto per il pudore, coll'onesto per l'integrità. Preferiva essere retto più che
sembrarlo, così che egli quanto meno inseguiva la fama, tanto più se la guadagnava.
Marcus Porcius Cato Uticensis
12. GAIO VALERIO CATULLO
Gaio Valerio Catullo (84 - 54 a.C.) è stato un poeta latino noto per l'intensità delle passioni amorose
espresse nelle sue opere, per la prima volta nella letteratura latina. Trasferitosi nella capitale cominciò
a frequentare ambienti politici, intellettuali e mondani, conoscendo personaggi influenti dell'epoca ed
avendo rapporti, non molto lusinghieri, con Cesare e Cicerone.
Riportiamo come esempi della produzione di Catullo i carmi 52, 93 e 54, con le relative traduzioni in
italiano.
Gaius Valerius Catullus
13. CARME 52 - “CHE SCHIFO LA POLITICA”
Testo originale (latino)
Quid est, Catulle? Quid moraris emori?
sella in curuli struma Nonius sedet,
per consulatum peierat Vatinius;
Quid est, Catulle? Quid moraris emori?
CARME 93 - “INDIFFERENTE A CESARE”
Testo originale (latino)
Nihil nimium studeo, Caesar,tibii velle placere,
Nec scire utrum sis albus an ater homo.
Testo tradotto (italiano)
Che c'è, Catullo? Che aspetti a morire?
Sulla sedia curule siede Nonio lo scrofoloso,
per il consolato spergiura Vatinio:
Che c'è, Catullo? Che aspetti a morire?
Testo tradotto (italiano)
Non mi sforzo troppo, per nulla, Cesare,
di volerti piacere,
né di sapere se tu sei un uomo bianco o nero.
14. CARME 54
Testo originale (latino)
Othonis caput oppido est pusillum, et Heri rustice semilauta crura, subtile et leve peditum Libonis,
si non omnia, disciplicere vellem tibi et Sufficio seni recocto…
irascere iterum meis iambis inmerentibus, unice imperator.
Testo tradotto (italiano)
La testa di Ottone è davvero piccolina, e le gambe di Erio mezzo lavate alla Campagnola, sottile e
leggera la scorreggia di Libone, se non volessi del tutto spiacere a te ed a Sufficio, vecchio
ringa… arrabbiati ancora i miei giambi innocenti, generale unico.
15. GAIO GIULIO CESARE
Tra gli autori della Roma cesariana che abbiamo preso
in considerazione, troviamo lo stesso Cesare, di cui
analizzeremo uno dei suoi più grandi scritti,
ovvero: il De bello Gallico.
In esso, il primo componimento in prosa, l’autore
racconta dettagliatamente la campagna di
conquista e pacificazione della Gallia Transalpina
di cui fu personalmente al comando come
proconsole negli anni tra il 58 ed il 50 a.C.. Per
questo motivo, il De bello Gallico viene definito
con il termine latino commentarii, che significa
“memoria, appunti”.
L'opera, infatti, non appartiene ad un preciso genere
letterario e, avvicinandosi alle caratteristiche di
un'autobiografia, viene considerata un "diario di
guerra" che lo stesso Cesare, dopo le vittorie in
Gallia, rese pubblico ed accessibile al popolo.
La composizione è ricca di riflessioni e retorica che
vengono esaltate dalla descrizione degli eventi
compiuta in terza persona.
16. Il “DE BELLO GALLICO”
LIBRO 1
Il primo libro del De Bello Gallico si apre con una breve descrizione della situazione
geografica della Gallia per poi proseguire con l’esaltazione dei popoli barbarici che più
frequentemente e violentemente mettevano in discussione la potenza di Roma
minacciando l’ordinamento sociale e militare di quest’ultima.
Testo originale
Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum
lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt. Gallos
ab Aquitanis Garumna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit. Horum omnium fortissimi sunt
Belgae, propterea quod a cultu atque humanitate provinciae longissime absunt, minimeque ad eos
mercatores saepe commeant atque ea quae ad effeminandos animos pertinent important,
proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt, quibuscum continenter bellum gerunt. Qua
de causa Helvetii quoque reliquos Gallos virtute praecedunt, quod fere cotidianis proeliis cum
Germanis contendunt, cum aut suis finibus eos prohibent aut ipsi in eorum finibus bellum gerunt.
Eorum una, pars, quam Gallos obtinere dictum est, initium capit a flumine Rhodano, continetur
Garumna flumine, Oceano, finibus Belgarum, attingit etiam ab Sequanis et Helvetiis flumen
Rhenum, vergit ad septentriones. Belgae ab extremis Galliae finibus oriuntur, pertinent ad
inferiorem partem fluminis Rheni, spectant in septentrionem et orientem solem. Aquitania a
Garumna flumine ad Pyrenaeos montes et eam partem Oceani quae est ad Hispaniam pertinet;
spectat inter occasum solis et septentriones.
17. Traduzione
La Gallia nel suo complesso è divisa in tre parti: una è abitata dai Belgi,una dagli Aquitani, la terza da
quelli che nella loro lingua si chiamano Celti,nella nostra Galli. Tutte queste popolazioni
differiscono tra loro nella lingua,nelle istituzioni e nelle leggi. Divide i Galli dagli Aquitani il fiume
Garonna,dai Belgi la Marna e la Senna. Di tutti questi i più valorosi sono i Belgi,perché sono i più
lontani dalla raffinatezza e dalla civiltà della provincia,e molto raramente i mercanti si recano da
loro a portarvi quei prodotti che servono ad effeminare gli animi, e sono i più vicini ai Germani che
abitano oltre Reno, con i quali sono ininterrottamente in guerra. Questa è la ragione per cui anche
gli Elvezi superano nel valore gli altri Galli, perché quasi ogni giorno combattono contro i Germani,
o tenendoli fuori dal proprio paese o portando essi la guerra nel loro paese. Quella parte che,
come ho detto, è abitata dai Galli, inizia dal fiume Rodano; è delimitata dal fiume
Garonna,dall’Oceano, dal paese dei Belgi; dalla parte dei Sequani e degli Elvezi tocca anche il
fiume Reno; si stende verso settentrione. Il paese dei Belgi comincia dalla parte estrema della
Gallia; tocca il corso inferiore del fiume Reno, si stende verso settentrione e oriente. L’Aquitania dal
fiume Garonna si estende fino a toccare i monti Pirenei e quella parte dell’Oceano che volge verso
la Spagna; si stende tra occidente e settentrione.
18. LIBRO 5 (paragrafo 14) – “I costumi dei Britanni”
In questo brano sono riportate poche e generiche informazioni sugli abitanti, che rispecchiano la
scarsità di notizie in possesso di Cesare: si sottolinea la differenza di civilizzazione degli
abitanti della costa e dell’interno e sulle rispettive abitudini sociali, riguardanti l’
organizzazione familiare, la società maschilista e la poliandria. Si ha, dunque, l’impressione
che queste informazioni siano più dei luoghi comuni sulla vita romana.
Testo originale
Ex his omnibus longe sunt humanissimi qui Cantium incolunt, quae regio est maritima omnis,
neque multum a Gallica differunt consuetudine. Interiores plerique frumenta non serunt, sed
lacte et carne vivunt pellibusque sunt vestiti. Omnes vero se Britanni vitro inficiunt, quod
caeruleum efficit colorem, atque hoc horridiores sunt in pugna aspectu; capilloque sunt
promisso atque omni parte corporis rasa praeter caput et labrum superius. Uxores habent
deni duodenique inter se communes et maxime fratres cum fratribus parentesque cum liberis;
sed qui sunt ex his nati, eorum habentur liberi, quo primum virgo quaeque deducta est.
19. Traduzione
Tra tutti i popoli della Britannia, i più civili in assoluto sono gli abitanti del Canzio, una regione completamente marittima
non molto dissimile per usi e costumi dalla Gallia. Gli abitanti dell’interno, per la maggior parte, non seminano grano,
ma si nutrono di latte e carne e si vestono di pelli. Tutti i Britanni, poi, si tingono col guado, che produce un colore
turchino, e perciò in battaglia il loro aspetto è ancor più terrificante; portano i capelli lunghi e si radono in ogni parte
del corpo, a eccezione della testa e del labbro superiore. Hanno le donne in comune, vivendo in gruppi di dieci o
dodici,soprattutto fratelli con fratelli e genitori con figli; se nascono dei bambini,sono considerati figli dell’uomo che
per primo si è unito alla donna.
LIBRO 6 (paragrafo 16) - “La pratica religiosa e i sacrifici umani” (estratto)
In questa sezione è riportata la concezione che i Britanni avevano delle battaglie e della morte in guerra
fortemente associata alla religione e alle pratiche religiose.
Testo originale
Natio est omnis Gallorum admodum dedita religionibus, atque ob eam causam, qui sunt adfecti gravioribus
morbis quique in proeliis periculisque versantur, aut pro victimis homines immolant aut se immolaturos
vovent administrisque ad ea sacrificia druidibus utuntur.
Traduzione
Tutta la popolazione dei Galli è molto dedita alle pratiche religiose e per quella ragione, coloro che sono
colpiti da malattie troppo gravi e che si trovano in guerra e in pericolo, o sacrificano uomini al posto
delle vittime o fanno voto che sacrificheranno se stessi e si servono dei druidi come esecutori per quei
sacrifici.
20. MARCO TULLIO CICERONE
Marco Tullio Cicerone, esponente di un’agiata famiglia dell’ordine equestre, fu una delle figure più
rilevanti di tutta l’antichità romana. La sua vastissima produzione letteraria, che comprende
orazioni politiche e scritti di filosofia e retorica, oltre a offrire un prezioso ritratto della
società romana negli ultimi anni della Repubblica, rimase come esempio per tutti gli autori
del I secolo a.C., tanto da poter essere considerata il modello della letteratura latina classica.
LO STILE di CICERONE
Lo stile di Cicerone costituisce un modello stilistico che andò progressivamente formandosi nel
corso dell’esperienza intellettuale dello stesso. Esso si può suddividere in due grandi fasi:
Il periodo giovanile, che si manifestava in un che di retorico e gonfio con presenza di
ripetizioni, più per una ricerca di effetti formali che per una necessità di argomentazione;
Il periodo adulto, iniziato con la perfetta maturazione delle sue più personali e specifiche
facoltà. In questo periodo Cicerone mette in rilevo la sua più viva sensibilità stilistica, che si
esprime impiegando indifferentemente bene i tre principali livelli (tripartita varietas): umile,
medio, alto. La caratteristica principale dello stile maturo di Cicerone è il dominio della
sintassi: egli adotta un periodo ampio, con geometrica distribuzione di coordinate e
subordinate attorno alla principale. Questo periodo ciceroniano è caratterizzato anche da un
certo adattamento ritmico.
21. Volendo paragonare lo stile di Cesare e di Cicerone, possiamo concludere che Cicerone usava
uno stile ipotattico, ricco di proposizioni subordinate, mentre Cesare utilizzava uno stile più
incisivo e rapido, ovvero uno etilene ipotattico, ricco quindi di coordinate. La loro prosa
letteraria però è unita da un carattere comune: è retta da pochi grandi centri sintattici e/o
unificata trama di nessi logici.
Gli SCRITTI di CICERONE
Abbiamo preso in considerazione un brano della produzione ciceroniana rientrante nello “stile
giovane”.
“PRO QUINTO LIGARIO” (stile giovane)
La ”Pro Quinto Ligario” (In difesa di Quinto Ligario) è un'orazione che venne pronunciata da
Cicerone sul finire del 46 a.C. al termine della guerra civile che aveva visto
contrapporsi Cesare e Pompeo.
L'obiettivo del retore era quello di salvare l'ex militante pompeiano Quinto Ligario dall'accusa di
perduellione (alto tradimento) mossagli da Quinto Tuberone.
Marcus Tullius Cicero
22. Testo originale
Novum crimen, C. Caesar, et ante hanc diem non auditum propinquus meus ad te Q. Tubero
detulit, Q. Ligarium in Africa fuisse, idque C. Pansa, praestanti vir ingenio, fretus fortasse
familiaritate ea quae est ei tecum, ausus est confiteri. Itaque quo me vertam necio. Paratus
enim veneram, cum tu id neque per te scires neque audire aliunde potuisses, ut ignoratione
tua ad hominis miseri salutem abuterer. Sed quoniam diligentia inimici inuestigatum est quod
latebat, confitendum est, opinor, praesertim cum meus necessarius Pansa fecerit ut id
integrum iam non esset, omissaque controversia omnis oratio ad misericordiam tuam
conferenda est, qua plurimi sunt conservati, cum a te non liberationem culpae sed errati
veniam impetravissent.
Traduzione
Certo è una novità mai udita prima d'oggi, o Gaio Cesare, la denunzia che il mio parente Quinto
Tuberone ha sporto dinanzi a te. Quinto Ligario è stato in Africa; e Gaio Pansa, che è tutt'altro
che uno sciocco, fidando forse nell'amicizia da cui si sente legato a te, non ha esitato a
riconoscere che questo è vero. Sicché io non so dove rivolgermi. Pensando che tu non fossi a
diretta conoscenza di questo fatto e non avessi potuto apprenderlo da altri, ero venuto qui
pronto ad approfittare della tua ignoranza per salvare un disgraziato. Ma poiché, per lo zelo
del mio avversario, si è fatta luce su quanto era nascosto, penso proprio di dover riconoscere
anch'io, tanto più che l'ha fatto il mio intimo amico Pansa, che la questione è ormai
pregiudicata per me, e che, senza muovere contestazioni, ogni mia parola deve essere rivolta
ad ottenere la tua misericordia, da cui moltissimi sono stati salvati, avendo ottenuto non
l’assoluzione dalla colpa, ma il perdono del loro fallo.
23. CESARE “IURE CAESUS”
Sulla guida del capitolo “Iure Caesus” del libro “Giulio Cesare, il dittatore democratico” di Luciano
Canfora analizziamo un testo di Svetonio risalente all’epoca successiva alla morte di Cesare, che
risulta essere esaustivo e diretto riguardo alla questione di Cesare Iure Caesus, riassumendo quello
che anche altre fonti riportano (es. Livio, Periochae).
Cesare Iure Caesus: il cesaricidio giustificato dai
comportamenti arroganti e anticostituzionali di
Cesare nei suoi ultimi danni di vita
24. La DESCRIZIONE del “IURE CAESUS” (SVETONIO)
“Iure Caesus per abuso di dominatio in periodo imperiale”
Praegravant tamen cetera facta dictaque eius, ut et abusus dominatione et iure caesus existimetur. Non enim honores
modo nimios recepit: continuum consulatum, perpetuam dictaturam praefecturamque morum, insuper praenomen
Imperatoris, cognomen Patris patriae, statuam inter reges, suggestum in orchestra; sed et ampliora etiam humano
fastigio decerni sibi passus est: sedem auream in curia et pro tribunali, tensam et ferculum circensi pompa, templa,
aras, simulacra iuxta deos, pulvinar, flaminem, lupercos, appellationem mensis e suo nomine; ac nullos non
honores ad libidinem cepit et dedit. Tertium et quartum consulatum titulo tenus gessit contentus dictaturae
potestate decretae cum consulatibus simul atque utroque anno binos consules substituit sibi in ternos novissimos
menses, ita ut medio tempore comitia nulla habuerit praeter tribunorum et aedilium plebis praefectosque pro
praetoribus constituerit, qui apsente se res urbanas administrarent. Pridie autem Kalendas Ianuarias repentina
consulis morte cessantem honorem in paucas horas petenti dedit. Eadem licentia spreto patrio more magistratus in
pluris annos ordinavit, decem praetoriis viris consularia ornamenta tribuit, civitate donatos et quosdam e
semibarbaris Gallorum recepit in curiam. Praeterea monetae publicisque vectigalibus peculiares servos praeposuit.
Trium legionum, quas Alexandreae relinquebat, curam et imperium Rufioni liberti sui filio exoleto suo demandavit.
E’ con queste parole che Svetonio apre la lista di comportamenti inadeguati e sgarbi costituzionali che
caratterizzano gli ultimi mesi della vita di Cesare. Queste parole pronunciate da un autore che vive in piena
epoca imperiale risultano quanto mai dure e aspre.
Sembra piuttosto il giudizio di un contemporaneo per il quale non è solo prevedibile ma comprensibile che
l’abuso di dominatio porti a quella fine violenta.
“Giulio Cesare”- Luciano Canfora
25. Le CAUSE del “IURE CAESUS”
Assommò nella propria persona troppi onori, quali il consolato continuo, la dittatura perpetua, la
prefettura dei costumi, per di più, il praenomen di Imperator e il cognomen di Pater Patriae;
Sgarbi alla prassi costituzionale (aneddoto riguardante la vigilia delle candele);
Ricevette, restando seduto, l’intero senato ( quest’ ultimo gesto viene reputato da Svetonio come
“il gesto che gli fece attirare l’odio più grande e implacabile”).
Il cesaricidio
27. I romani e l'astronomia
La civiltà romana non diede mai un rilevante contributo allo sviluppo dell'astronomia. In effetti, le
fonti che ci sono pervenute dall'epoca romana riguardanti questa scienza sono poche e
spesso imprecise e meno accurate e sofisticate rispetto ai trattati di astronomia greci. Come
per molti altri aspetti relativi alla cultura e all'arte, Roma sfruttò le conoscenze e le
innovazioni delle civiltà precedenti, in questo caso prevalentemente dei greci. L'approccio
estremamente pratico dei romani, come sappiamo, li portò a trascurare alcuni aspetti della
cultura, dell'arte e, in questo caso, della scienza che erano, al contrario, estremamente cari ai
greci. Nel corso dei 1229 anni della storia romana furono essenzialmente solo due le figure
che si interessarono di astronomia: il re Numa Pompilio e il dictator protagonista del nostro
progetto: Gaio Giulio Cesare. Al primo si deve l'introduzione del calendario romano (o pre-
giuliano), mentre il secondo riformò quest'ultimo introducendo il calendario giuliano.
28. Il calendario romano (o pre-giuliano)
Al re Numa Pompilio si deve la riforma del calendario, basato sui cicli lunari, che passò da 10 a 12
mesi di 355 giorni. Egli aggiunse i mesi di gennaio (dedicato a Giano) e di febbraio che furono
posti alla fine dell'anno, dopo dicembre (l'anno iniziava con il mese di marzo, da notare
tuttora la persistenza di somiglianze dei nomi degli ultimi mesi dell'anno con i numeri:
settembre, ottobre, novembre, dicembre). Il calendario conteneva anche l'indicazione dei
giorni fasti e nefasti, durante i quali non era lecito prendere alcuna decisione pubblica. Anche
in questo caso, come per tutte le riforme più difficili, la tradizione racconta che il re seguì i
consigli della ninfa Egeria, sottolineando così il carattere sacrale di queste decisioni.
L'anno, così suddiviso da Numa, non coincideva però con il ciclo lunare, pertanto, ad annate
alterne, veniva aggiunto come ultimo mese il mercedonio, composto da 27 giorni, togliendo a
febbraio 4 o 5 giorni; era il collegio dei pontefici a decidere queste compensazioni, alle volte
anche sulla base di convenienze politiche.
29. Il calendario giuliano
Il calendario giuliano è un calendario solare, cioè
basato sul ciclo delle stagioni. Fu elaborato
dall‘astronomo greco Sosigene di Alessandria
e promulgato da Giulio Cesare (da cui prende
il nome), con la sua autorità di pontefice
massimo, nell'anno 46 a.C.. Nel calendario
giuliano si utilizzavano gli anni bisestili per
compensare il fatto che la durata dell‘anno
tropico (o anno solare) non era data da un
numero intero di giorni. Il giorno in più si
aggiungeva dopo il 24 febbraio. Negli anni
bisestili, con febbraio di 29 giorni, il giorno 24
(sexto die) si sarebbe dovuto chiamare
septimo die. Tuttavia, dato che septimo die
era il giorno 23,
non potendo chiamare il 24 septimo die lo
chiamarono bis sexto die. Da ciò deriva il
nome di "anno bisestile".
30. Le costellazioni romane
NAVIGAZIONE
I Romani appresero bene l'antica lezione di
orientamento marinaro astronomico fornita
loro dai Fenici e dai Greci. Così essi
utilizzarono le stelle per navigare lungo le
rotte del Mare nostrum. Ad esempio,
quando Pompeo, come afferma Lucano:
"scappando a seguito della sconfitta di
Farsalo, navigava da Alessandria verso la
Sirte, si orientava con le due Orse, tenendo a
sinistra la stella Canòpo". Per l'orientamento
nella navigazione nell'antichità furono usati
anche i venti. Tuttavia i venti spesso
trasportavano con loro estesi sistemi di
nuvole che coprivano il cielo, annullando la
visione astronomica e provocando violente
tempeste.
RELIGIONE, MITOLOGIA E SIMBOLISMO
L'astronomia era intesa come una scienza
fondamentale presso civiltà antiche quali i
Babilonesi, che davano grande importanza al
significato e alla posizione di varie
costellazioni. Presso i greci queste credenze
furono abbandonate e, pertanto, non
trasmesse alla civiltà romana. Infatti, i
romani non attribuivano grande importanza,
se non per scopi pratici, quali la navigazione,
all'astronomia e, dunque, alle costellazioni.
31. Il sistema solare romano
Al tempo dei romani, i pianeti conosciuti
all'interno del sistema solare erano solo:
Mercurio, Venere, la Terra (naturalmente),
Marte, Giove e Saturno. Ognuno di essi
rappresentava una divinità del Pantheon
romano. In base a ciò, le festività dedicate
alle divinità coincidevano con determinati
comportamenti adottati annualmente in
quel dato periodo dal pianeta
corrispondente al dio o alla dea da
onorare. Ogni divinità, e dunque ogni
pianeta, aveva una propria festività, ma le
più importanti per la tradizione romana
erano: i Saturnali, dedicati a Saturno e le
festività dedicate a Venere, in base ai moti
del pianeta.
32. GRUPPO 2
La vita quotidiana a Roma
Col Andrea
Dri Ludovica
Gerosa Claudio
Mancini Vittoria
Maugeri Leonardo
Pappalardo Giulia
Pizzone Guglielmo
Rapisarda Ettore
Stiro Alberto
Vigneri Chiara
33. Giornata tipica
La giornata dei romani iniziava di mattina presto sia per gli schiavi, che svolgevano
lavori specifici, sia per i padroni. Pur non conoscendo il sapone i romani erano
puliti e tenevano all’igiene, almeno nei bagni privati e nelle terme pubbliche era
così, e utilizzavano speciali pietre chiamate pomici e oli particolari per la cura della
pelle.
I romani dividevano la loro alimentazione in tre pasti: ientaculum, cena, vesperna
(i corrispondenti di colazione, pranzo e cena). La sera erano soliti organizzare feste
e banchetti.
34. I Pasti Principali
Il primo pasto che i romani consumavano era la prima colazione (ientaculum), che prevedeva
pane, formaggio, olive, frutta secca, latte e miele e, per i più poveri, solo il pane con latte o
vino;
– lo spuntino di mezzogiorno (prandium), spesso fatto in una delle
numerose tabernae o thermopolia. Nell’antica Roma, infatti, cucinare in casa era scomodo;
molti non avevano neppure una cucina, quindi la maggior parte dei Romani mangiava in locali
pubblici, osterie e taverne.
Il thermopolium offriva cibi caldi e bevande, da asporto o da consumare sul posto, come
focacce, salsicce, spiedini, pesce fritto, formaggio, olive, qualche verdura, frutta.
35. Fra le 15 e le 17, iniziava la cena (epulae vespertinae). La cena era il pasto principale della giornata. Per i
più ricchi durava almeno tre ore e prevedeva tre momenti:
-la gustatio, serie di antipasti (uova, insalata, funghi, olive, crostacei, salsicce, cetrioli, tartufi e salse varie)
accompagnati dal mulsum, cioè da vino misto a miele oppure annacquato;
-la prima mensa, costituita da varie portate (fercula) di pesce, uccelli (gru, pavone, fenicottero,
pappagallo), carni di manzo, agnello e maiale, oltre a tutti i tipi di cacciagione; vi erano poi carne di orso
e di ghiro.
-la secunda mensa, più o meno un “dessert”, a base di frutta fresca e secca, dolci al miele e, per
concludere, le mele.
Le famiglie ricche facevano il rito del banchetto (symposium o convivium).
Nella sala da pranzo, detta triclinium, si disponevano intorno alla tavola (mensa) tre lecti coperti con
tappeti e cuscini, su cui si sdraiavano gli ospiti. Gli schiavi servivano a tavola.
La parte finale del banchetto, detta comissatio, era caratterizzata da brindisi augurali agli ordini del “re
del banchetto”, da spettacoli e intrattenimenti di vario tipo come letture ad alta voce, esibizioni di attori,
acrobati, suonatori di cetra, cantanti, ballerine, spogliarelliste e mimi.
36. Abbigliamento maschile
L’abbigliamento rispondeva alle necessità del popolo romano. Vestirsi non significava
solo coprirsi e abbellirsi; questo rito indicava il proprio status sociale. L’indumento
tradizionale dell’uomo era la toga: il più delle volte era di lana o lino, sempre bianca e
drappeggiata intorno al corpo.
Si trattava di un capo molto scomodo e riservato alle occasioni speciali dove era
obbligatorio poiché dalle sue decorazioni si riconosceva lo status sociale di chi lo
indossava. La toga veniva rimpiazzata appena possibile dalla tunica, lunga fino alle
ginocchia e stretta in vita con una cintura. Quando il clima lo permetteva sopra la tunica
veniva indossato un mantello fermato su una spalla.
La toga restava, però, l’indumento principale: essa segnava anche il passaggio
dell’uomo dall’adolescenza alla virilità. Nel primo stadio s’indossava la toga
praetexta, bordata di porpora, mentre per il secondo si usava la toga virilis, quella
totalmente bianca.
37. Abbigliamento femminile
L’abbigliamento dell’universo femminile non era poi così diverso da quello
maschile in quanto a numero di capi, infatti, l’equivalente femminile della toga era
la stola, una veste lunga senza maniche che si indossava sopra alla tunica. E anche
le donne, come gli uomini, nel caso il clima lo richiedesse, indossavano un mantello
sopra la stola: la palla, che poteva anche coprire il capo. L’unica eccezione fatta
per le stoffe femminili era che potevano essere colorate.
39. Acconciature
Secondo i latini la bellezza di una donna dipendeva soprattutto dalla cura del volto
e dal modo di acconciare i capelli. Ogni epoca aveva la sua pettinatura alla moda.
All’inizio dell’età imperiale le chiome erano pettinate all’indietro, abbellite con
trecce e chignon. Un’acconciatura particolare era quella delle spose detta sex
crines. Fino ai primi decenni del II secolo le elaborate acconciature delle dame
erano trattenute da nastri o spilloni, che potevano anche essere cavi e contenere
veleni. Con l’età di Traiano le signore iniziarono a prediligere acconciature raccolte
sul retro in piccole trecce. Durante l’epoca adrianea vi fu un ritorno alle
acconciature più semplici. Spesso le dame romane avevano una parrucchiera
personale: l’ornatix. Esisteva il calamistrum, uno strumento in grado di arricciare i
capelli, molto usato insieme al pettine d’osso, agli spilloni e alle forbici.
Contrariamente ai pregiudizi anche gli uomini si interessavano delle loro
acconciature.
40. Giochi e sport
I principali sport erano: il pancrazio, la lotta, il pugilato, la corsa, il lancio del
giavellotto, il lancio del disco e il lancio del peso, che erano stati presi dal modello
greco. I principi dello sport romano non riflettevano la cultura greca in quanto il
vincitore riceveva un premio per aver dimostrato le sue doti fisiche morali.
Il popolo romano amava i giochi e fra questi vi erano le battaglie tra gladiatori, le
corse con i cavalli, con le bighe.
Erano più richieste le battaglie in quanto il popolo adorava gli scontri violenti.
Nel Colosseo venivano praticate battaglie con soldati, bestie e anche con navi.
41. Superstizione e pratiche magiche
I romani erano molto superstiziosi, questa caratteristica aveva facilitato il diffondersi di maghi,
chiromanti, interpreti di sogni. I vagabondi abbindolavano i passanti fingendosi depositari di
segreti e di poter raccontare il futuro inventando un oroscopo o interpretando delle sortes.
Tutti questi « ciarlatani» furono cacciati solo dopo la seconda guerra punica. Secondo Plinio la
magia era un miscuglio di medicina, religione e astrologia. Inizialmente - racconta Catone - i
rituali di magia venivano praticati per migliorare i raccolti e la salute. La magia veniva suddivisa
in bianca e nera e veniva utilizzata per risolvere problemi
Le donne raccoglievano ossa ed erbe per
realizzare pozioni magiche nonostante molte di
esse fossero inutili. Inizia a svilupparsi la figura
del mago-filosofo che non ha bisogno di filtri o
di segni, ma era direttamente a contatto con il
divino.
42. Mestieri
L’antica Roma era una società altamente produttiva. Le donne si occupavano
principalmente della casa e dei familiari mentre i lavori degli uomini erano vari.
La forza lavoro dell’Antica Roma produceva perlopiù in settori come l'artigianato e
l'edilizia.
Inoltre a Roma il commercio era una delle maggiori fonti di reddito.
Le donne si dedicavano alle faccende all'interno delle mura domestiche però
le nobili romane potevano utilizzare il loro tempo liberamente. Era molto diffuso il
lavoro di ‘prostituta’ che non aveva però alcuna connotazione negativa.
43. Esempi di mestieri tipici romani sono: falegnami, muratori e carpentieri.
A Roma era inoltre presente una fitta rete commerciale che si estendeva per tutto
l'Impero. Arrivavano quindi merci dall'oriente, come la seta (in figura, la via della
seta), le varie spezie, gli unguenti ed altro.
Per terminare, è importante sottolineare che la forza dell'economia romana sia stata
per secoli sostenuta dall'incessante lavoro degli schiavi (detenuti di guerra, ad
esempio).
44. Il ruolo della donna
Alla nascita la sorte della bambina era decisa dal padre. L’infanzia era molto breve
poiché il matrimonio avveniva all’età di appena 12 anni, le donne potevano uscire
solo con il capo coperto da un velo. La patria podestà non si esauriva con il
matrimonio, ma in seguito alla morte del padre le donne erano padrone di se
stesse nonostante nella legislazione fossero considerate prive di capacità giuridica.
La vita delle donne romane era segnata soprattutto dalla maternità, la mortalità
infantile era elevatissima e le fonti tramite i quali ci pervengono queste
informazioni sono indirette. Più figli aveva una donna, più la sua importanza
aumentava; a causa dei matrimoni che avvenivano in giovane età e la mancanza di
metodi contraccettivi le ragazze riportavano lesioni permanenti.
45. Amarsi a Roma
Nel pantheon come Dio che rappresentava l’amore c’era l’Eros greco, anche detto
cupido, si dice che lancia frecce ai cuori degli uomini. Il matrimonio per le ragazze
avveniva a circa 12 anni mentre i ragazzi avevano 14 anni; le unioni erano decise
dai genitori, che davano le loro figlie in sposa ad amici di famiglia (a volte c’erano
fino a 30 anni di differenza). Le relazioni erano rese più eccitanti da particolari
essenze profumate ed erano per lo più extra coniugali, molte nascevano a teatro.
Ovidio riteneva che non bisognasse impegnarsi troppo nelle conquiste poiché
«tutte aver si possono le donne» diceva. Per gli uomini il divorzio era facile,
bisognava solo trovare una buona scusa. Per le donne invece bisognava fare una
richiesta giustificata da seri maltrattamenti che doveva essere approvata dagli
amici e dal capo famiglia di lei. Le madri decidevano, oltre allo sposo, gli amanti
47. Il primo triumvirato
Pompeo ,nel 70 a.C., si candidò al consolato e, con una forzatura del sistema, venne eletto console insieme a
Crasso. I due ripristinarono i poteri dei tribuni della plebe, attuarono un'epurazione del Senato. Pompeo fu
generale di diverse campagne militari in Oriente come la guerra Mitridatica.
Crasso e Cesare facevano parte del partito popolare e a loro si avvicinò la figura di Pompeo.
Insieme nel 60 a.C., strinsero un accordo privato e segreto, un'alleanza politica che venne chiamata primo
triumvirato, per la spartizione del potere. Pompeo ricevette la conferma dei provvedimenti per l'organizzazione
dell'Asia e così Cesare e Crasso ebbero la strada aperta al consolato. Alla fine del consolato Cesare divenne
proconsole della Gallia e dell'Illirico. Mentre Cesare si trovava in Gallia a combattere e a vincere,
Pompeo cominciò a temerlo, e questo determinò lo scatenarsi di numerosi scontri tra i seguaci dei due triumviri.
Allora sembrò opportuno rinnovare gli accordi del triumvirato. Crasso, desideroso di ottenere una vittoria militare
che lo equiparasse a Pompeo e Cesare, attaccò i Parti ma venne sconfitto, catturato e ucciso.
48. LA GUERRA CIVILE
La morte di Crasso determinò la fine del primo triumvirato. Pompeo, temendo i successi di Cesare in Gallia, si avvicinò
sempre di più al Senato, che cominciò così a temere che il volesse prendere il potere con la forza, per questo gli
chiesero di smobilitare le legioni e rientrare a Roma come privato cittadino. Cesare chiese allora che Pompeo facesse
lo stesso ma non si arrivò ad un accordo e la situazione precipitò. Immediatamente Cesare passò con le sue legioni
il Rubicone dando inizio alla guerra civile. Non avendo avuto il tempo di organizzare un esercito Pompeo fuggì da
Roma. Prima di inseguire Pompeo, Cesare rafforzò la propria posizione in Italia ottenendo la carica di console.
Cominciò poi l'inseguimento di Pompeo e gli inflisse una sconfitta decisiva nel 48 a.C. a Farsalo. Quando fece
ritorno a Roma il suo potere era ormai incontrastato e riorganizzò lo stato.
49. La moneta
A Giulio Cesare si deve la coniazione dell'
aureus nummus che valeva 25 denari. Era
una moneta più leggera e pratica delle
altre emissioni d'oro (coniate in piccole
quantità e circoscritte a un determinata
area)
IL
FISCO
Il tesoro della città di Roma era custodito nel
tempio di Saturno (aerarium saturni) ed era
formato dai profitti derivati dalle prese belliche,
dalle tasse pagate dai cittadini romani per
sostenere le spese di guerra e dalle rendite delle
imposte indirette che gravavano sulle merci in
transito. A questo si aggiungevano anche le
rendite derivate dai beni di proprietà dello stato.
Il fisco
50. Riforme politiche di Cesare
➲ Apre il Senato a nuovi ceti sociali (italici, provinciali e liberti).
➲ Aumenta il numero dei senatori da 600 a 900.
➲ Aumento il numero di membri delle altre magistrature.
51. Riforme sociali
➲ Limite ai canoni d'affitto.
➲ Limiti ai beneficiari della distribuzione di grano gratuito.
➲ Opere pubbliche contro la disoccupazione.
➲ Contadini liberi al posto degli schiavi.
➲ Limitazione degli abusi nelle province.
➲ Costruzione di nuovo colonie.
➲ Cittadinanza romana ai Galli.
➲ Riforma del calendario.
53. La concezione dell’arte per i romani
I romani ebbero da sempre con l’arte un rapporto molto problematico.
Questo è dovuto al fatto che questo popolo era interessato
maggiormente alle questioni concrete più che a quelle astratte. La loro
indole si era creata, sobria e dura, con secoli ininterrotti di guerre;
pertanto le discussioni artistiche e filosofiche erano considerate perdite di
tempo. Quelle che favorì l’avvicinamento del popolo romano all’arte fu la
grande concentrazione di ricchezze accumulate dalla spoliazione dei
popoli vinti. Anche se questi rapporti fra Roma ed arte nel tempo
miglioreranno e si avvicineranno sempre di più, questo popolo guerriero
proverà sempre disagio nel sentirsi esperto di arte.
54. L’arte romana si presentò soprattutto nelle forme che rientravano nelle regole
e nella tradizione.
L’interessa della comunità precedeva sempre quello del singolo cittadino.
L’arte venne infatti maggiormente impiegata nella realizzazione di:
•Grandi opere pubbliche per la comunità e lo Stato
•Architettura onoraria con funzione celebrativa
•Ritratti, che trasmettevano le fattezze degli antenati
Le varie forme dell’arte romana
55. Le opere pubbliche
Erano quelle opere di utilizzo comune e politico-militare. Per ognuna di queste opere i
romani crearono dei diversi stili architettonici del tutto caratteristici
56. Le strade
Avevano il compito fondamentale di mettere in contatto Roma con le altre città
Mediamente larghe 3 metri erano costituite da tre strati:
Acciottolato, strato inferiore che costituisce la base compatta e solida, impedendo che l’acqua ristagni
Strato intermedio costituito di sabbia e ghiaia
Lastricatura, ciottoli o lastre di pietra ben incastrati in uno strato di sabbia. Aveva una conformazione
convessa per far defluire l’acqua in seguito alle piogge.
57. I ponti
Costruire ponti, a Roma era considerato un atto sacro.
I ponti erano costituiti da 4 parti fondamentali:
Pile: erano scrutture verticali fondate all’interno del letto del fiume. Venivano protette da rostri e
potevano essere rafforzate da una contrafforte o da una finestra di scarico, che faceva defluire l’acqua
in caso di piena
Arcate: erano a tutto sesto
Spalle: erano le zone del ponte che poggiavano sulla terra ferma
Carreggiata: costituiva la parte percorribile del ponte, lastricata in pietra
58. Le terme
Le acque a Roma, oltre che per usi di prima necessità, venivano ampiamente utilizzate per le terme.
Contrariamente al nostro modo di intenderle, per i romani le terme erano bagni pubblici.
Erano circondate da mura di cinta e dotate di una grande spazio esterno porticato, per dare la
possibilità a chi le frequentava di intrattenersi a conversare.
Il blocco centrale era organizzato secondo un asse centrale, dove si succedevano quattro vasche:
natatoi, frigidarium, tepidarium e caldarium
Le stanze che circondavano queste vasche erano palestre e spogliatoi, posti anche loro in maniere
simmetrica
59. Gli acquedotti
Erano indispensabili per l’approvvigionamento idrico di Roma e delle provincie. Potevano
essere anche molto lunghi, fino a 70 km e erano spesso sostenuti da arate e robusti piloni
60. I templi
L’architettura dei templi è un misto fra la tradizione, dovuta alla paura che i romani avevano di tutto ciò che
riguarda il sacro, e l’innovazione per quanto riguarda i materiali di costruzione e l’utilizzo della tecnica
dell’arco.
si fece ricorso principalmente a tempi di tradizione greca ed etrusca come: il tempio circolare periptero, il
tempio prostilo e il tempio pesudoperiptero su crepidoma su alto podio. A questi modelli di templi però,
venne aggiunto un abside, ovvero uno spazio semicircolare opposto all’ingresso, che costituiva una
dilatazione della cella.
61. Le abitazioni: domus e insulae
Tanto erano monumentali le opere pubbliche, quanto invece non lo erano le abitazioni
private. Si distinguono due diversi tipi di abitazione:
•le domus, abitazioni dei ceti più ricchi
•le insule, che erano veri e propri condomini su più livelli
62. La domus
Circondata da mura, caratterizzate da poche
aperture, che la isolavano dai rumori della città, si
apriva con un ingresso chiamato vestibulum, da
cui mediante un corto corridoio chiamato fauces
si accedeva nell’atrium, luogo destinato alla
consumazione dei pasti durante l’inverno. Questo
spazio era aperto in alto e aveva un tetto
spiovente, il compluvium che convogliava l’acqua
piovana nell’impluvium, vasca che serviva per la
sua raccolta. Attorno a questo spazio erano
posizionati i cubicoli, ovvero le camere da letto.
Continuando il viaggio all’interno della domus,
troviamo il tablinum, camera di rappresentanza e
poi un altro spazio aperto che poteva essere un
hortus ovvero un giardino interno oppure un
peristylium, cioè un porticato. Attorno a
quest’ultimo spazio sorgevano le altre camere
della domus, fra cui il triclinium stanza da pranzo.
63. Le insulae
La domus appena descritta era
destinata solo agli abitanti più
ricchi. La maggior parte della
popolazione, infatti, viveva in
condomini con poche stanze e
piccoli cortili interni, che erano
però comuni per tutti gli abitanti
dell’insula. Venivano costruiti
espandendosi in altezza per
sfruttare al massimo gli spazi
urbani, questo causava però
maggiore instabilità strutturale,
per questo spesso venivano
costruite una addossata all’altra,
per renderle più solide con un
muro in comune.
Casa di Diana, Ostia
64. La pittura
Si tratta di un genere artistico trionfale utilizzato appunto per celebrare le vittorie dei grandi
comandanti e degli imperatori.
La pittura romana che noi conosciamo è tutta legata al genere dell’affresco. Con questa tecnica
il pittore dipinge sull’intonaco ancora fresco, per fare in modo che il colore aderisca meglio e
che quindi si mantenga più a lungo.
Si distinguono due diverse figure, il pictor parietalis e il pictor immaginarius. Il primo, dopo la
stesura di tutti i diversi strati di intonaco, quando l’ultimo, l’intonachino, è ancora fresco, traccia
a grandi linee le proporziono e i contorni delle figure che saranno poi il disegno. Il secondo,
invece, più importante ed esperto, basandosi sulle linee guida del primo, dipinge il vero e
proprio quadro.
La pittura romana si divide in quattro stili, che però differiscono per tipo di motivi, non per
periodo di utilizzo.
65. Primo stile o stile
strutturale
Secondo stile o stile
architettonico
Questo stile imita, tramite l’utilizzo di
stucco e colori, laste di marmo. Era però
molto più economico del marmo e
veniva infatti utilizzato per decorare le
case di chi era più povero
Dilata lo spazio della parete grazie all’uso
della prospettiva. I soggetti rappresentati
sono spesso arche, trabeazioni, timpano. Si
tratta spesso di visioni parziali di paesaggi,
porticati, città…a volte persiona
rappresentazioni di tempietti. Avevano
sempre proporzioni reali.
66. Terzo stile o stile della
parete reale
Quarto stile o stile
fantastico
I soggetti di architettura rappresentati, qui,
avevano proporzioni e dimensioni
completamente impossibili da realizzare nella
realtà. Troviamo infatti colonne sottilissime che
reggono fregi troppo pesanti, ovvero
composizioni per nulla equilibrate. Avviene
un’introduzione di nuovi colori, come l’azzurro
e il verde che si affiancano ai tradizionali nero e
rosso.
Vengono spesso rappresentate figure sospese.
Molto simile al terzo stile, presenta
proporzioni e disposizioni più
fantasiose e architetture teatrali.
70. I Valori nutrizionali degli alimenti consumati dai
romani durante la caena erano:
(per 100 g)
ALIMENTO CALORIE GRASSI
CARBOIDR
ARATI
PROTEINE
Pane 265 3,2g 49g 9g
Fagioli 335 1,3g 60,1g 23,03g
Formaggio 415 33g 1,3g 25g
Futta e
ortaggi
Dipendono
dal tripodi
alimento
Molto
ridotti
Molto
ridotti
Molto
ridotti
Olive 145 15,3g 3,84g 1,03g
71. I valori nutrizionali trovati mettono in evidenza il fatto che la
dieta romana fosse abbastanza equilibrata, anche per i più
poveri, essendo questi gli alimenti di base per ogni abitante
romano. Anche altri alimenti venivano consumati dai più
ricchi, come per esempio, carne, pesce, lardo che venivano
conditi con un salmoriglio molto ricco e particolare: il garum.
Conclusioni
72. GRUPPO 3
Personaggi illustri vissuti nel periodo
cesariano
Bianca Giulio
Bollo Alessandro
Ciccia Sofia
Fichera Luca
Foti Lorenzo
Leonardi Antonino
Nicosia Alessandro
Panebianco Carlo
Rossetti Ettore
Scaccianoce Carlo
Testa Giuseppe
73. Introduzione
Durante il periodo cesariano(101 a.C.- 44 a.C.) sono vissuti molteplici esponenti della
cultura romana, che prendevano parte alla vita politica e letterale.
Tra questi vi sono: Giulio Cesare, Gneo Pompeo Crasso, Marco Licinio Crasso, Giulia
Agrippina Augusta, Marco Tulio Cicerone, Marco Terenzio Varrone, Cornelio Nepote,
Gaio Valerio Catullo, Spartaco, Decimo Giunio Bruto Albino.
74. Giulio Cesare Gaio Giulio Cesare (Roma, 13 luglio 101
a.C. o 12 luglio 100 a.C. Roma, 15
marzo 44 a.C.) è stato un militare,
console e dittatore. E’ considerato uno
dei personaggi più importanti e
influenti della storia. Fu dittatore di
Roma alla fine del 49 a.C., nel 47 a.C.,
nel 46 a.C. con carica decennale e dal
44 a.C. come dittatore perpetuo e con
la conquista della Gallia estese il
dominio della res publica romana fino
all'oceano Atlantico e al Reno. Il primo
triumvirato (l'accordo privato per la
spartizione del potere con Gneo
Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso)
segnò l'inizio della sua ascesa. Nel 49
a.C., di ritorno dalla Gallia, guidò le sue
legioni attraverso il Rubicone,
pronunciando le celebri parole «Alea
iacta est», e scatenò la guerra civile,
con la quale divenne capo indiscusso di
Roma.
75. Con l'assunzione della dittatura a vita diede inizio a un processo di radicale riforma
della società e del governo, riorganizzando e centralizzando la burocrazia
repubblicana. Il suo operato provocò la reazione dei conservatori, finché un gruppo
di senatori, capeggiati da Marco Giunio Bruto, Gaio Cassio Longino e Decimo
Bruto, cospirò contro di lui uccidendolo, alle Idi di marzo del 44 a.C. (15 marzo 44).
Nel 42 a.C., appena due anni dopo il suo assassinio, il Senato lo elevò a divinità; la
sua eredità fu raccolta da Ottaviano Augusto; le sue campagne militari più
importanti sono raccontate nei Commentarii de bello gallico.
76. Il padre di Cesare, suo omonimo, era stato pretore nel 92 a.C. e aveva probabilmente un
fratello, Sesto Giulio Cesare, che era stato console nel 91 a.C., e una sorella, Giulia, che aveva
sposato Gaio Mario intorno al 110 a.C. La madre era Aurelia Cotta, proveniente da una famiglia
di numerosi consoli. Il futuro dittatore ebbe due sorelle, entrambe di nome Giulia: Giulia
maggiore, probabilmente madre di due dei nipoti di Cesare, Lucio Pinario e Quinto Pedio,
menzionati insieme a Ottaviano nel suo testamento,[16] e Giulia minore, sposata con Marco
Azio Balbo, madre di Azia minore e di Azia maggiore, a sua volta madre di Ottaviano. La
famiglia viveva in una modesta casa della popolare e malfamata Suburra, dove il giovane Giulio
Cesare fu educato da Marco Antonio Gnifone, un illustre grammatico nativo della Gallia. Cesare
trascorse il suo periodo di formazione in un'epoca tormentata da gravi disordini. Mitridate VI,
re del Ponto, minacciava le province orientali; contemporaneamente, era in corso in Italia la
Guerra sociale e la città di Roma era divisa in due fazioni contrapposte: gli optimates,
favorevoli al potere aristocratico, e i populares o democratici, che sostenevano la possibilità di
rivolgersi direttamente all'elettorato. Pur se di nobili origini, fin dall'inizio della sua carriera
Cesare si schierò dalla parte dei populares, scelta sicuramente condizionata dalle convinzioni
dello zio Gaio Mario, capo dei populares e rivale di Lucio Cornelio Silla, sostenuto da
aristocrazia e Senato.
77. Marco Licinio Crasso
Marco Licinio Crasso (Roma, 114 a.C. o 115 a.C. – Carre, 53 a.C.) è stato un
politico e comandante militare della Repubblica romana, esponente della Gens
Licinia e figlio del ricco e nobile Publio Licinio Crasso Muciano. Vincitore di
Spartaco, formò il primo triumvirato assieme a Gneo Pompeo Magno e a Gaio
Giulio Cesare. Intrapresa una campagna militare in Oriente contro i Parti, morì
nella battaglia di Carre. Fu l'uomo più ricco del suo tempo, grazie alla fortuna
accumulata con l'acquisto dei beni dei proscritti di Silla. Sfuggito alle
persecuzioni di Gaio Mario e Lucio Cornelio Cinna, appoggiò Lucio Cornelio
Silla durante la guerra civile (83 - 82 a.C.) contribuendo in maniera decisiva alla
vittoria nella battaglia di Porta Collina (82 a.C.) guidando con successo l'ala
destra dell'esercito mentre l'ala sinistra comandata personalmente da Silla stava
rischiando la sconfitta. In questi anni svolse un'intensa attività di affarista e
soprattutto di speculatore di beni immobili. Nel 72 a.C. fu pretore.
78. Volendo accrescere ancor più la sua popolarità nella vita politica di Roma, nel 71 a.C., Crasso
ritenne un ottimo trampolino di lancio politico l'impresa che si preparava a compiere e vale a
dire il suo intervento nella terza guerra servile, al comando di otto legioni contro gli schiavi e i
gladiatori che si erano ribellati, capeggiati da Spartaco, gladiatore originario della Tracia, nella
città di Capua. Con una serie di rapide azioni, al comando di un esercito numeroso e ben
addestrato, riuscì in poco tempo a soffocare la rivolta servile, vincendo Spartaco in Lucania.
Dopo aver portato a termine con successo la campagna di repressione della rivolta servile,
Marco Licinio Crasso ritenne opportuno costruire un'alleanza insieme a Gneo Pompeo Magno;
i due divennero consoli nel 70 a.C. Entrambi, avevano minacciato il Senato di scatenare una
guerra civile in caso di mancata elezione al consolato. Marco Licinio Crasso, eletto censore nel
65 a.C. con Quinto Lutazio Catulo, nel 64 a.C. con Gaio Giulio Cesare chiese l'esilio per Lucio
Sergio Catilina, al contrario di quello che voleva Marco Tullio Cicerone, favorevole alla pena di
morte per i congiurati. Dopo aver revisionato la costituzione di Silla, nel 60 a.C. Crasso, insieme
a Pompeo, strinse alleanza con Giulio Cesare, impegnandosi a sostenerlo per l'elezione al
consolato nel 59 (cosiddetto primo triumvirato)
79. Gneo Pompeo Magno
Gneo Pompeo Magno (Picenum, 29 settembre106 a.C. – Pelusium, 29 settembre
48 a.C.) è stato un militare e politico romano, prima alleato e poi avversario di
Gaio Giulio Cesare. Abile generale e condottiero sagace ed esperto, Pompeo,
originario del Piceno e figlio di Gneo Pompeo Strabone, divenne famoso fin
dalla giovane età per una serie di brillanti vittorie durante la guerra civile
dell'83-82 a.C. divenendo il principale luogotenente di Lucio Cornelio Silla. Negli
anni seguenti divenne il personaggio politico più prestigioso e potente di Roma
grazie alle sue continue vittorie contro Marco Emilio Lepido, Quinto Sertorio, gli
schiavi di Spartaco, i pirati del Mediterraneo e Mitridate VI del Ponto. Alleatosi
inizialmente con Giulio Cesare e Marco Licinio Crasso nel primo triumvirato, in
seguito si affiancò alla fazione repubblicana e combatté la guerra civile contro
Cesare nel 49-48 a.C; sconfitto irrimediabilmente nella battaglia di Farsalo, fuggì
in Egitto dove venne ucciso a tradimento. Suo figlio, Sesto Pompeo, continuò la
guerra contro Gaio Giulio Cesare, ma anche lui fu sconfitto. Personaggio
discusso, altamente apprezzato da alcuni e fortemente criticato da altri, Gneo
Pompeo rimane una delle personalità più importanti della storia di Roma antica.
80. Giulia Agrippina Augusta
Nacque ad Ara Ubiorum, l'attuale città tedesca di Colonia, nell'accampamento
militare dove si trovavano il padre Germanico.Fortissimamente convinta
dell'importanza della propria stirpe, ambiziosa, dominatrice, ma anche accorta,
lungimirante, pregna di senso dello Stato, Agrippina fu una delle più significative
figure femminili dell'Impero romano, e l'unica che riuscì a conseguire uno status
effettivo comparabile a quello di un Principe-donna, ovvero di un'autentica
imperatrice.Fu isolata, umiliata, perseguitata ed infine fatta assassinare dal figlio
Nerone. Sulla storia e le gravi vicende della sua dinastia, Agrippina scrisse dei
Commentari, utilizzati da Tacito e Plinio il Vecchio come fonte storica.Fu la
fondatrice della moderna Colonia sul Reno (Colonia Agrippinense), sorta su un
pacifico patto di convivenza tra i veterani romani delle campagne germaniche
ed il popolo germanico degli Ubii, alleati dei Romani dai tempi di Giulio Cesare.
Nel 1993, la Città di Colonia ha eretto una statua ad Agrippina sulla facciata del
proprio Municipio.Il suo favore verso il mondo celtico fu confermato allorché
concesse la grazia al re britannico Carataco, giunto a Roma in catene.Ebbe dal
Senato di Roma il titolo di Augusta, che non corrispondeva a quello di
imperatrice nel senso moderno del termine, ma che era comunque un
riconoscimento di grande prestigio e pressoché unico, concesso a personalità di
particolare
81. Marco Terenzio Varrone
Marco Terenzio Varrone è stato uno scrittore, lettere e militare romano. Nasce a Rieti
nel 116 a.C. Nasce da una famiglia di nobili origini, fu educato da loro con molta
disciplina e severità. Compì gli studi presso i migliori maestri dell' epoca. Compì un
viaggio in Grecia. Dopo aver percorso le prime tappe del cursus honorum si avvicinó
molto a Pompeo ma soprattutto a Cesare. Allo scoppio della guerra civile propretore
in Spagna. Morì quasi novantenne nel 27 a.C. dopo aver scritto 620 libri suddivisi in
circa 70 opere. La sua vasta produzione di opere fu suddivisa da San Gerolamo,
secondo argomenti.
82. Marco Tullio Cicerone
Marco Tullio Cicerone è stato un avvocato, politico, scrittore, oratore e filosofo
romano.
Esponente di un'agiata famiglia dell'ordine equestre, Cicerone fu una delle figure
più rilevanti di tutta l'antichità romana. La sua vastissima produzione letteraria, che
va dalle orazioni politiche agli scritti di filosofia e retorica, oltre a offrire un prezioso
ritratto della società romana negli ultimi travagliati anni della repubblica, rimase
come esempio per tutti gli autori del I secolo a.C., tanto da poter essere
considerata il modello della letteratura latina classica.
83. Cornelio Nepote
Cornelio Nepote è stato uno storico e biografo romano. Nacque nel 100
a.C. circa a Hostilia (attuale Ostiglia), all'epoca un piccolo villaggio
della Gallia Cisalpina vicino al Po e non lontano da Verona, oggi situato
nella provincia di Mantova. Si trasferì forse nel 65 a.C. a Roma, dove
conobbe personalità della cultura del tempo come
Cicerone, Attico, Varrone e Catullo. A differenza di questi fu però estraneo
alla vita politica di quegli anni. Secondo la testimonianza di Plinio il
Vecchio, Cornelio Nepote morì, probabilmente a Roma, intorno al 27 a.C.,
"sotto il principato di Augusto". Una sua significativa opera sono
gli Exemplorum Libri, una raccolta di episodi aneddotici in cinque libri. Lo
stile di Cornelio Nepote si connota per essere piano e lineare. A differenza
di altri autori latini, infine, Nepote adopera frequentemente il comparativo
di minoranza: presso i Romani, infatti, si tendeva ad evidenziare più
l'abbondare di una qualità che la carenza. Lo stile essenziale di questo
autore ha fatto sì che, comunque, egli sia uno dei più tradotti da chi si
appresta a studiare il Latino, con Cesare, Fedro ed Eutropio.
84. Gaio Valerio Catullo
Gaio Valerio Catullo (in latino: Gaius Valerius Catullus; Verona, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.) è stato un
poeta romano. Il poeta veronese è noto per l'intensità delle passioni amorose espresse, per la prima
volta nella letteratura latina, nel suo Liber, in cui l'amore ha una parte preponderante, sia nei
componimenti più leCatullo stesso definì il suo libro expolitum (cioè "levigato") a riprova del fatto
che i suoi versi sono particolarmente elaborati e curati. Inoltre, al contrario della poesia epica,
l'opera catulliana intende evocare sentimenti ed emozioni profonde nel lettore. La raccolta dei
carmi catulliani, il Liber, dedicato a Cornelio Nepote, comprende 116 componimenti dei quali non
conosciamo la cronologia: l’ordine dei carmi, infatti, non fu curato dal poeta, ma da chi
evidentemente si occupò della pubblicazione del libro.
I componimenti sono distribuiti in tre sezioni in base alla loro struttura metrica: i primi 60, le nugae
(inezie), sono i metri vari, in cui predominano argomenti legati all’esperienza personale del poeta,
quali l’amore, l’amicizia, le preferenze letterarie, gli avversari; i carmi 61-68, detti carmina docta,
sono in esametri e in distici elegiaci e hanno una notevole estensione, in cui l’apparato mitologico e
l’erudizione sono presenti in modo più massiccio e più chiaramente legato alle fonti alessandrine; i
componimenti dal 69 al 116 sono epigrammata in distici elegiaci, in cui ritornano gli argomenti
legati alla sfera privata del poeta.
85. Spartaco
Spartaco (Tracia, 109 a.C.circa – Valle del Sele oppure Petelia o
Petilia, 71 a.C.) è stato un gladiatore e condottiero trace che
capeggiò la rivolta di schiavi nota come terza guerra servile, la
più impegnativa di questo tipo che Roma dovette affrontare. Si
sa ben poco di preciso sulla sua giovinezza; è comunque certo
che nacque in Tracia, sulle rive del fiume Strimone (l'odierno
fiume Struma, in Bulgaria), tra il 111 ed il 109 a.C. circa, da una
famiglia di pastori facente parte della tribù dei Maedi.
Intraprese la professione del padre, ma, ridotto in miseria,
accettò di entrare nelle file dell'esercito romano, con cui
combatté in Macedonia col grado di milite ausiliario. Secondo
quanto riportato da Plutarco, Spartaco era sposato con una
sacerdotessa della sua tribù. In verità, c'è anche chi afferma
che, in realtà, Spartaco fosse il figlio di un proprietario terriero
campano che ottenne la cittadinanza romana subito dopo la
conclusione della guerra italica.
86. La ferrea disciplina romana ed il razzismo che dovette sopportare all'interno della milizia lo
convinsero, alla fine, a disertare e a tentare la fuga. Come riportato da Appiano di
Alessandria, egli venne ben presto catturato, giudicato disertore e condannato, secondo la
legge militare romana, alla riduzione in schiavitù. Appiano riporta anche la teoria secondo la
quale Spartaco non fu schiavizzato per diserzione, ma perché prigioniero di guerra in
quanto alleato, con la sua tribù, di Mitridate VI del Ponto. La conoscenza delle tattiche
legionarie romane dimostrata dal Trace nel corso della sua rivolta, però, ha fatto
propendere gli storici per Spartaco come ex-legionario ausiliario. In seguito, intorno al 75
a.C., fu destinato a fare il gladiatore; Spartaco, infatti, venne venduto a Lentulo Batiato, un
lanista che possedeva una scuola di gladiatori a Capua. Fu obbligato a combattere
all'interno dell'anfiteatro campano contro belve feroci e contro altri gladiatori, com'era in
uso a quel tempo, per divertire popolo e aristocrazia. La battaglia finale che vide la sconfitta
e la morte di Spartaco nel 71 a.C. si svolse, secondo Appiano[14] e Plutarco, presso Petelia
(forse odierna Strongoli), in Calabria, mentre, secondo lo storico tardo romano Paolo Orosio,
nei pressi delle sorgenti del fiume Sele site nel territorio di Caposele, cioè tra i territori
attuali dei comuni di Caposele e Quaglietta, nell'Alta Valle del Sele che a quel tempo faceva
parte della Lucania. In quest'area, nei decenni passati, ci sono stati ritrovamenti di armature,
corazze e spade di epoca romana.
87. La battaglia finale fu preceduta da numerosi e cruenti scontri; Plutarco narra che Spartaco,
prima di questa battaglia, uccise il suo cavallo, dicendo che se avesse vinto avrebbe avuto
tutti i cavalli che voleva, ma se avesse perso "non ne avrebbe più avuto bisogno". Durante lo
scontro decisivo, il Trace sarebbe andato personalmente alla ricerca di Crasso per affrontarlo
direttamente; egli non riuscì a trovarlo ma si batté con grande valore, uccidendo anche due
centurioni che lo avevano attaccato. Dalla narrazione di Plutarco risulta che Spartaco rimase
al centro della mischia mentre i ribelli erano ormai in rotta; circondato da un numero
soverchiante di legionari venne «massacrato di colpi» e morì combattendo fino alla fine. Il
suo corpo non sarebbe stato mai ritrovato. Leggende sulla morte di Spartaco. Secondo una
leggenda popolare, Spartaco non venne riconosciuto ma fu catturato e venne crocifisso
insieme agli altri prigionieri. Anche per Sallustio, che ne descrive la fine con toni
magniloquenti, morì sul campo di battaglia. Alcuni reparti del suo esercito fuggirono e si
dispersero sui monti circostanti. Crasso fece crocifiggere lungo la via Appia, da Capua a
Roma, una gran parte dei prigionieri, ma secondo Sallustio non Spartaco di cui il corpo non
fu più ritrovato, forse perché ormai irriconoscibile a causa dei colpi ricevuti.
88. Marco Bruto
Marco Giunio Bruto nacque nell'85 a.C da Servilia, che da qualche tempo manteneva
una relazione con Gaio Giulio Cesare
Il giovane Bruto studiò con grande zelo la filosofia, perfezionando la sua formazione -
com'era costume dei giovani nobili dell'epoca , grande influenza su di lui ebbe anche
lo stoicismo dello zio Catone Uticense, Fu inoltre studioso ed epitomatore di storia e
appassionato di poesia e arte. Scrisse tre trattati di argomento morale, Sulla virtù, Sulla
pazienza e Sui doveri.
Mentre il potere di Cesare si faceva sempre più autoritario. Una vasta congiura, partita
da un ristretto gruppo guidato da Cassio Longino, si era così allargata fino a
comprendere sessanta uomini , Bruto era stato inizialmente tenuto fuori dalla
congiura, ma il suo nome fu richiesto da quanti, indecisi se aderire alla congiura,
reclamavano una figura che garantisse la giustizia della loro impresa.
90. Cos’è l’acqua
L'acqua è un composto chimico di formula molecolare H₂O, in cui i due atomi di idrogeno sono legati all'atomo di ossigeno
tramite un legame covalente polare. L'acqua si presenta nei tre stati della materia: solido, liquido e aeriforme. È un ottimo
solvente, soprattutto per le biomolecole con le quali reagisce chimicamente e, al suo interno spesso vengono disciolte varie
sostanze.
È la base per lo sviluppo di forme viventi sulla Terra, sulla quale è presente il 71% circa di acqua.
Il nostro corpo è composto dal 65% di acqua, indispensabile per la nostra vita.
Densità: 1 g/cm³ Formula: H2O Massa molare: 18,01528 g/mol Punto di ebollizione: 100 °C Punto di fusione: 0 °C
ID IUPAC: ossido di didrogeno Grassi 0 g Sodio 5 mg
Carboidrati 0 g Fibra alimentare 0 g Proteine 0 g Calcio3 mg Ferro0 mg Magnesio1 mg
L'acqua ha svolto un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle prime civiltà antiche.
• Durante il periodo dell'impero romano, la popolazione beveva l'acqua proveniente dagli acquedotti, fatti costruire dagli
impetatori come riserve di acqua, e non dalle falde acquifere o da sorgenti sotterranee. A causa delle particelle che sono
disciolte nell'acqua, essa non è mai pura; infatti la popolazione si ammalava a causa dei batteri presenti in essa, che
andavano a disturbare la flora batterica del l'organismo. L'acqua per essere pura, deve essere ripulita dai batteri
microscopici,che si trovano al suo interno, e da tutti i reflui organici che produce l'inquinamento, derivato dagli scarichi
delle industrie nelle acque. L'acqua che beviamo noi oggi è pura, naturale, già purificata; ma può essere purificata
naturalmente, tramite processi chimici, o in modi più semplici come il processo di ebollizione dell'acqua che, facendo
evaporare tutte le sostanze di scarto, purifica l'acqua. Tutte le acque naturali, in particolare quelle sotterranee,
contengono un certo numero di microrganismi, sia autotrofi sia eterotrofi, rappresentati da batteri, alghe, funghi e
protozoi, che costituiscono la microflora autoctona delle acque, che svolgono la funzione principale di autodepurazione
dell'acqua, di cui sono responsabili.
L'acqua che si dovrebbe bere, è l'acqua minerale, proveniente dalle sorgenti delle montagne, poiché già depurata; e non quella
proveniente da acquedotti o fiumi, senza aver prima subito un processo di depurazione.
91. Il Tevere è il principale fiume dell'Italia centrale e peninsulare. È lungo 405 km ed é
il terzo fiume più lungo d' Italia dopo il Po e l'Adige. La sua sorgente si trova sulle
pendici del monte Fumaiolo nel confine tra Emilia Romagna, Marche e Toscana. Il
Tevere percorre la Toscana, dà vita al lago di Montedoglio, attraversa l'Umbria,
arriva nel Lazio, raggiunge e attraversa Roma fino a sfociare nel Mar Tirreno. I
principali affluenti sono il Nera e l'Aniene. Il fiume è sempre stato al centro
dell'attività di Roma e sin dal passato veniva usato per viaggiare e per il
commercio e su di esso venne costruito un porto. Il fiume per, fu anche dannoso
per la città, in particolare con la disastrosa inondazione del 28 dicembre 1870 che
provocò un innalzamento di circa 17 metri, raggiungendo perfino piazza di
Spagna. Il Tevere, fin dalla sua nascita, è stato l'anima di Roma, e già dalla
leggenda di Romolo e Remo è stato protagonista della storia della città, poiché i
due gemelli furono trovati proprio sul letto del fiume. Tutti gli insediamenti
"vedevano" il Tevere, ma dall'alto e non da vicino perché il Tevere è sempre stato
un fiume soggetto a piene improvvise. Il punto più importante nelle vicinanze del
fiume è l’Isola Tiberina, importante per i difensori e per i pescatori, che potevano
risalire velocemente; inoltre il primo ponte di Roma, il Ponte Sublicio, fu costruito
poco lontano dall’isola.
Il Tevere, nella cultura romana, era considerata una divinità.
Il Tevere
92. L'Aniene è un fiume del Lazio lungo 99 km, principale affluente di sinistra del Tevere dopo il fiume Nera.
Nasce sul confine tra Lazio e Abruzzo dai Simbruini tra le province di Roma e di Frosinone. Il fiume Aniene
genera da due rami principali: l'Aniene propriamente detto e il Simbrivio. L'Aniene propriamente detto, la
cui sorgente ha il nome di Capo Aniene è posta a 1200 m s.l.m. sul versante meridionale del Monte
Tarino. Il Simbrivio invece nasce a Vallepietra (RM) da una serie di sorgenti che scaturiscono dal Monte
Autore (1 853 m), dal Monte Tarinello e dal Monte Arsalone e confluisce da destra nell'Aniene
dopo Trevi(FR). Poco prima della confluenza con il Simbrivio, l'Aniene forma le Cascate di Trevi. Dopo
avere bagnato Subiaco la valle s'allarga e giunge ad Agosta, dove riceve tributi dai fiumi nei territori di
Arsoli e Mariano Equo. Dopo il maestoso salto della grande cascata di Tivoli, l'Aniene giunge nella pianura
romana raggiungendo il punto di confluenza con il Tevere a Roma nei pressi di ponte Salario.
L'abbondanza e la continuità delle acque che lo alimentano fanno dell'Aniene un fiume di buona portata,
che fu infatti utilizzato fin dall'antichità per alimentare acquedotti e per la produzione territoriale.
Due eccezionali "prodotti" dell'Aniene a Tivoli sono:
la Villa d'Este, i cui giochi d'acqua furono alimentati derivando l'acqua appunto dall'Aniene attraverso un
cunicolo artificiale;
la Villa Gregoriana, tipico esempio di giardino romantico.
L’Aniene
93. Il Nera è un fiume lungo 116 km, che nasce nelle Marche, precisamente dai monti
Sibillini, scorrendo per tutta l’Umbria e gettandosi sul Tevere, nella zona di Orte, del
quale è il maggiore affluente e ne costituisce i 2/3 dell’acqua contenuta. Riuscendo a
contenere molta acqua, è una risorsa energetica molto importante e contiene molti
impianti idroelettrici ed il più importante è quello di Galleto; inoltre la portata media
del Nera è paragonabile a quello dell’Arno.
Il Nera
94. La Storia degli Acquedotti
Nei 441 anni che seguirono la fondazione di Roma, i Romani s'accontentarono di usare le acque tratte dal
Tevere, dai pozzi e dalle sorgenti”, che però nel 312 a.C., non erano più sufficienti a coprire il maggior
fabbisogno dovuto allo sviluppo urbanistico ed all'incremento demografico.
Gli undici acquedotti di epoca romana che dal 312 a.C. vennero costruiti, portarono alla città una disponibilità
d'acqua pro capite pari a circa il doppio di quella attuale. La sorveglianza, la manutenzione e la distribuzione
delle acque venne affidata, per due secoli e mezzo, alla cura un po' disorganizzata di imprenditori privati, che
dovevano rendere conto del loro operato a magistrati che avevano altri compiti principali.
95. Solo con Agrippa, intorno al 30 a.C., venne creato un apposito servizio, poi perfezionato ed
istituzionalizzato da Augusto, che si occupava dell'approvvigionamento idrico cittadino e quindi del
controllo e manutenzione di tutti gli acquedotti. Furono gli Ostrogoti di Vitige, nell'assedio del 537, a
decretare la fine della storia degli acquedotti antichi; vennero tagliati per impedire l'approvvigionamento
della città, e d'altra parte Belisario, il generale difensore di Roma, ne chiuse gli sbocchi per evitare che gli
Ostrogoti li usassero come via di accesso. Qualcuno fu poi rimesso parzialmente in funzione, ma dal IX
secolo il crollo demografico e la penuria di risorse tecniche ed economiche fecero sì che nessuno si
occupasse più della manutenzione, i condotti non furono più utilizzabili ed i romani tornarono ad
attingere acqua dal fiume, dai pozzi e dalle sorgenti, come alle origini.
96. L’architettura
L`acquedotto e` l`esempio di architettura romana per eccellenza, infatti I romani non si
curavano dell`estetica, ma della funzionalita` pratica.
Queste enormi strutture servivano a trasportare l`acqua dalle sorgenti alle citta`. Il loro
funzionamento era piuttosto banale, infatti si servivano del pricipio della gravita` per il
trasporto dell`acqua ed e` per questo che tutti gli acquedotti era leggermente
pendenti.
Alcuni degli acquedotti che hanno resistito fino ai giorni nostril sono ancora utilizzati.
I Romani costruirono tantissimi acquedotti e molti sono a noi ignoti perche` sono
andati distrutti nel corso dei secoli.
97. Struttura acquedotti
Gli acquedotti erano costituiti da una serie di archi a tutto sesto che si prolungavano
per chilometri, infatti la loro stabilita` e durabilita` e` dovuta a questo ed e` anche per
questo che molti acquedotti hanno resistito fino ai giorni nostri.
98. I più importanti acquedotti romani
Acquedotto di Segovia:
È uno dei monumenti più importanti e meglio conservati tra quelli lasciati dagli antichi
romani nella penisola iberica. È uno dei simboli della città di Segovia come evidenziato
anche dalla sua presenza nello stemma cittadino.
Acquedotto Appio:
Fu il primo acquedotto costruito per il rifornimento idrico della città di Roma che ,fino
ad allora, si serviva delle acque del Tevere, dei pozzi e delle sorgenti.
99.
100. La Curia di Pompeo (in latino: Curia Pompeii), fu una delle numerose
aule di riunione della Roma repubblicana di grande significato
storico. Essa faceva parte del grande complesso del Teatro di
Pompeo, nel Campo Marzio.
101. La Curia Pompeii, luogo delle riunioni del senato, è nota soprattutto
per essere stata il luogo dell’uccisione di Cesare nel 44 a.C., e nel
quale si trovava la statua eroica di Pompeo, che lo ritraeva con il
globo nella mano destra. La statua, ritrovata nel XVI secolo, è
conservata a Palazzo Spada.
102.
103. La curia, edificata nel 106 a.C., rappresentava l’area sacra più importante
dell’età medio-tardo repubblicana. Essa era separata dal teatro da un
porticato e nella parte posteriore sorgevano 4 tempietti, di cui pianta
e struttura sono ancora parzialmente visibili.
104. Tra i vari autori della Roma repubblicana,la più dettagliata testimonianza scritta
è quella di Plutarco, il quale colloca la Curia, provvista di un’abside, su un lato
non specificato della porticus pompeiana; dalla lettura della testimonianza
risulta che la sala doveva essere libera, dal momento che Bruto avanzò senza
ostacoli all’interno di essa e che, di conseguenza, i gradini sui quali insistevano
gli scranni dei senatori erano situati in file parallele lungo le pareti dell’edificio .
Nell’abside ricavata su uno dei lati lunghi della costruzione era collocata la
statua di Pompeo, ai piedi della quale venne assalito Cesare.
105. La storia ci ha tramandato che Giulio Cesare fu pugnalato nella curia di
Pompeo, a Roma, nell’attuale area archeologica di Torre Argentina, mentre
presiedeva una riunione di senatori. Oggi, 2056 anni dopo, un’equipe del
Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC), guidata
dall’archeologo Antonio Monterosso,ha scoperto il punto esatto in cui fu
pugnalato il generale.
106. La chiave della scoperta è una struttura in cemento larga tre metri e alta più di
due, collocata dietro ordine di Augusto, figlio adottivo e successore di Giulio
Cesare, per condannare l’assassinio del padre.
Tale scoperta conferma che il generale fu pugnalato al centro della parte
inferiore della Curia di Pompeo, mentre presiedeva, seduto su una sedia, la
riunione del Senato.
107. Tale muro ingloba una nicchia, dalla quale spunta un pino. È la nicchia del
salone in cui era alloggiata la statua di Pompeo, ai piedi della quale cadde
Cesare. Muro e nicchia sono il retro della Curia di Pompeo, che per il resto si
estende sotto la strada.
108. Questa nicchia, al cui centro
oggi sorge un pino, si può
veder ancora oggi
nell’area di Largo
Argentina.
La nicchia prevedeva due
muri al lati che fanno
immaginare all’interno una
più stretta nicchia
semicircolare, entro la
quale è da ricostruire la
statua di
Pompeo/Nettuno,
dominatore dei mari, con
un tridente nella mano
sinistra e con il piede
destro poggiato sulla
prora di una nave rostrata.
109. Lungo il podio e su due lati c’erano i gradoni sui quali erano i banchi dei
senatori (subsellia). Sul fondo e a centro invece c’era un podio, di cui
restano tracce, ed è su questo podio, ai piedi della statua di Pompeo,
che Cesare è stato trafitto da 23 coltellate.
110. Troviamo testimonianza di tale statua anche nella “Vita di Cesare” di Plutarco,
dove leggiamo: “Cesare si accasciò contro il piedistallo su cui era la statua di
Pompeo. Fu inondato di sangue, sicché parve che Pompeo stesso guidasse
la punizione del rivale disteso ai suoi piedi”.
111. Testo in greco
Ἀλλὰ ταῦτα μὲν ἤδη που φέρει καὶ
τὸ αὐτόματον· ὁ δὲ δεξάμενος
τὸν φόνον ἐκεῖνον καὶ τὸν
ἀγῶνα χῶρος, εἰς ὃν ἡ
σύγκλητος ἠθροίσθη τότε,
Πομπηΐου μὲν εἰκόνα κειμένην
ἔχων, Πομπηΐου δ' ἀνάθημα
γεγονὼς τῶν
προσκεκοσμημένων τῷ θεάτρῳ,
παντάπασιν ἀπέφαινε δαίμονός
τινος ὑφηγουμένου καὶ
καλοῦντος ἐκεῖ τὴν πρᾶξιν
Traduzione in italiano
Ma questi fatti dopo tutto talvolta li
determina anche la casualità;
invece il luogo che accolse
quell'assassinio e l'attentato,
(luogo) nel quale allora si radunò
il senato, (luogo) che aveva
collocata una statua di Pompeo e
che costituiva un edificio di
Pompeo tra quelli costruiti a
ornamento per il teatro, indicava
assolutamente che il fatto si
verificò perché una divinità
condusse e richiamò lì l'azione.
112. Testo in greco
λέγεται δ' ὑπό τινων, ὡς ἄρα
πρὸς τοὺς ἄλλους
ἀπομαχόμενος καὶ διαφέρων
δεῦρο κἀκεῖ τὸ σῶμα καὶ
κεκραγώς, ὅτε Βροῦτον εἶδεν
ἐσπασμένον τὸ ξίφος,
ἐφειλκύσατο κατὰ τῆς κεφαλῆς
τὸ ἱμάτιον καὶ παρῆκεν
ἑαυτόν, εἴτ' ἀπὸ τύχης εἴθ'
ὑπὸ τῶν κτεινόντων ἀπωσθεὶς
πρὸς τὴν βάσιν ἐφ' ἧς ὁ
Πομπηΐου βέβηκεν ἀνδριάς.
Traduzione in italiano
E da parte di alcuni si dice che
allora difendendosi dagli
altri e spostandosi qua e là e
gridando, quando vide Bruto
che aveva sguainato la
spada, tirò la toga sulla testa
e si lasciò cadere, sia per
caso, sia spinto da coloro
che lo uccidevano, presso la
base su cui è collocata la
statua di Pompeo.
119. Con il programma Google Earth
abbiamo potuto perfettamente
sovrapporre una planimetria della
curia su l’immagine satellitare di
quest’ultima. Questo è stato
possibile utilizzando un’immagine
come overlay.
Per vedere la corrispondenza tra
un'immagine overlay e
l'immagine della mappa
sottostante, bisogna selezionare e
posizionare l'overlay nel
visualizzatore.
Terminato ciò, si può vedere una
perfetta sovrapposizione tra la
planimetria (quindi, l’overlay) e la
rappresentazione 3D della curia
data da Google Earth.
120.
121. In questo caso abbiamo preso come punto di riferimento il tempietto B;
e, come si può vedere, la pianta riproduce perfettamente le vere
dimensioni del tempio.