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pag. 1 Luca Romanelli – “Risonanze” di Essere o Vivere di F. Jullien
“Risonanze” di Essere o Vivere di F. Jullien
Sintesi della relazione al Complexity Literacy Meeting di Abano Terme, 2 Settembre 2023
di Luca Romanelli
Le polarità di Essere o Vivere (sintesi di Silvia Bona)
I - I preludi di Chopin
Il pensiero di Jullien ha aperto una prospettiva di
interpretazione per me inattesa sui 24 preludi di
Chopin. Prima mi era meno chiaro il loro fascino.
Siamo in pieno Romanticismo. Con Chopin entra in crisi
l’equilibrio formale della musica barocca e neoclassica,
che aveva raggiunto il suo culmine in Bach e Mozart.
Nella loro musica domina infatti la forma, possiamo
dire un “senso” (direbbe Jullien) musicale ordinatore,
eppure in grado di tenere insieme la ricchezza
inesauribile della loro fantasia creativa. La forma
integra il tema, le sue elaborazioni e le sue
corrispondenze con il tessuto armonico che lo sostiene,
all’interno di tonalità ben definite.
Gli “scarti” dal “senso” avvengono qui solo per
contenute deviazioni o sofisticati contrappunti, che si
allontanano solo per un attimo dal baricentro della
composizione, quasi a ribadirne l’indispensabile
necessità. Tutto è in chiaro, perfettamente luminoso
all’orecchio dell’ascoltatore.
Nei preludi di Chopin, invece, sento risuonare alcune
tensioni del libro di Jullien, in particolare quelle tra
senso e coerenza. La polarità di fondo che ritrovo è
quella tra la chiarezza del Logos e l’ineffabilità del Tao,
quel “fondo” inaccessibile al pensiero che pure genera
tutti i pensieri, ma che generandoli si “ritrae”,
lasciandoli nel limite della loro determinatezza,
nell’incapacità di cogliere l’unità profonda della realtà.
E’ la “cosa in sé” di Kant, l’Essere secondo Heidegger.
Questo in-contro (il termine richiama insieme unione
ed opposizione) tra Logos e Tao sembra manifestarsi
nel rapporto ora tormentato tra tema e gli altri
elementi formali: l’armonia, la tonalità, il tempo, il
timbro ed il colore. Il tema, pur sempre percepibile
nella sua struggente dolcezza, appare adesso come in
lotta, in tensione con quel “fondo” musicale che lo
genera e lo avvolge, quell’”Alterità” che a volte lo
asseconda ma spesso quasi lo aggredisce attraverso la
dissonanza prolungata, la sospensione repentina del
ritmo, l’intensità violenta e sovrastante
dell’accompagnamento. Il tema, il Logos musicale,
sembra emergere con fatica dal “fondo” e subito
tradire la propria evanescenza, il suo destino
provvisorio di esserne una delle possibili
manifestazioni, il “collassamento” della funzione
d’onda di tutti i possibili temi musicali. Ciò non ne
svilisce la bellezza, che anzi si carica di un’emozionante
inquietudine.
Scaturisce quindi una nuova forma di bellezza e di
estetica. Se Arte è tutto ciò che apre una finestra
sull’infinito, l’in-contro tra tema e forma nei preludi è
una di queste. Un incontro breve, sfuggente come
questi brani, a volte brevissimi, perché lo sguardo
sull’Altro è difficilmente sostenibile per la Ragione, la
pag. 2 Luca Romanelli – “Risonanze” di Essere o Vivere di F. Jullien
affatica, la sconcerta, la richiama alla pace
dell’assimilazione. Ascoltare i preludi diventa quindi un
modo di vivere questo “disagio” cogliendone la
pregnanza ed il genio che riesce così magistralmente a
mettere in tensione i due poli.
In questo senso si può quasi pensare che l’intuizione
lirica di Chopin abbia anticipato temi della futura
filosofia, da Nietsche al ‘900.
II - L’idea di impresa tra Oriente ed Occidente
Dopo oltre trent’anni di lavoro in azienda non potevo
fare a meno di “testare” Jullien anche in questo ambito.
L’idea di impresa capitalistica appare intimamente
legata al Logos occidentale. Malgrado la grande
evoluzione della cultura gestionale, essa rimane
sostanzialmente un’organizzazione il cui fine è
l’appropriazione e lo sfruttamento di un dominio del
reale (tipicamente una quota mercato al fine di trarre
profitto) attraverso la comprensione e modellizzazione
delle dinamiche esterne e l’adattamento della propria
struttura alle finalità di dominio.
La struttura e le regole di funzionamento dell’impresa,
come si intende dal termine strategia, traggono origine
dalla forma-esercito. La razionalità dell’Occidente
domina ogni funzione aziendale: il marketing costruisce
“tipi” di clientela con proprietà e regole di
comportamento definite (ad es. le “personas”) a cui si
fanno corrispondere assetti di risorse, procedure ed
attitudini comportamentali in grado di “estrarre valore”
dalla relazione.
La recente accresciuta importanza di valori come la
responsabilità ecologica e sociale (ESG) o il benessere
dei dipendenti possono essere ricondotti a forme di
adattamento ad un ambiente divenuto più
imprevedibile e complesso, dove i rischi di fallimento
provengono non solo dall’interazione con la clientela
ma anche dall’azione di altre forze. La tendenza attuale
a coinvolgere maggiormente i collaboratori o a co-
progettare e co-creare prodotti e servizi con clienti e
partner può essere interpretata anche come un
raffinato e vantaggioso meccanismo di scambio di
risorse e rafforzamento dei legami finalizzato a
maggiori efficacia ed efficienza.
Che tipo di risorsa possono allora essere le polarità di
Essere e Vivere?
Forse, esse possono aiutare a problematizzare alcuni
paradigmi consolidati del pensiero aziendalistico
occidentale, come proverò a descrivere sinteticamente
di seguito.
1. L’analisi del mercato e del settore
Queste analisi sono affidate normalmente a dei modelli
(si pensi a quello di Porter) che, come nella fisica
newtoniana, descrivono chiaramente le forze che
determinano lo stato e l’evoluzione del teatro in cui
l’azienda opera, identificando leve di azione e scenari
futuri a cui adattarsi.
Il pensiero cinese si contrappone a questa prospettiva:
non si ha più di fronte un mondo complicato ma pure
governato da una qualche forma di ordine. C’è invece
un mondo non “modellizzabile”, nel quale più che
catene causali troviamo “situazioni”, “fasci di
implicazioni illimitate”, “vettori di possibilità”; nel quale
le forze implicite contano più di quelle esplicite, i
cambiamenti importanti emergono improvvisamente e
violentemente dopo lunghe e silenziose incubazioni
(pensiamo alla guerra in Ucraina, alle pandemie e alle
loro conseguenze).
Occorre quindi percorrere strade nuove, in grado di
allenarci a cogliere queste forze e tendenze “effettive”
ma difficilmente traducibili nel nostro linguaggio
usuale. Occorre rinunciare alla tentazione di tracciare
concatenazioni causali e concentrarsi piuttosto sulle
“propensioni”, e le “fessure” della situazione. Come ci
ha ricordato Peppe Zollo durante il dibattito, si può
provare ad abitare gli spazi (apparentemente) vuoti
“tra” i soggetti e le forze in campo, concentrarsi sulle
relazioni e le co-implicazioni, sul dinamismo intrinseco
e continuo di ogni elemento. Un atteggiamento, quindi,
che forse ha a che fare più con l’arte che con l’economia
ma che la presuppone, per lasciarla però da parte, o
meglio “a lato”.
2. Il cliente target ed i ruoli aziendali
Le aziende tendono a modellizzare i profili dei clienti
target (ad es. attraverso le personas) in modo da
descriverne motivazioni e comportamenti e poterli
influenzare attraverso il marketing. Nella prospettiva
cinese, è invece impossibile definire il cliente se non
nella sua relazione con l’azienda e con gli altri attori. Le
relazioni sono quindi più importanti dei profili e delle
“personas”. La struttura prevale sulla sostanza, direbbe
Jullien. L’evento, gli eventi nei quali il cliente vive sono
più importanti della sua personalità, della sua
“ontologia”.
Considerazioni simili si possono fare relativamente ai
ruoli e alle funzioni dei collaboratori.
Nelle attività di conoscenza del mercato come pure in
quella organizzativa, il pensiero cinese ci invita a
pag. 3 Luca Romanelli – “Risonanze” di Essere o Vivere di F. Jullien
trattenere l’ansia classificatoria e lasciare invece spazio
a un rapporto senza mediazioni ed intuitivo con clienti
e collaboratori. Un rapporto di “connivenza”, in qualche
modo prossimo all’”intimità” dove, non dicendo, possa
emergere tutto quel “non detto” che spesso è decisivo
per le relazioni. “Essere lì”, dunque, e condividere
l’esperienza di acquisto o la fatica della vita lavorativa
senza subito giudicare e correggere. Lasciar
“maturare”, insomma, questo vissuto per liberarne
l’energia positiva al momento opportuno.
3. Il profitto e gli obiettivi aziendali
L’impresa occidentale è ossessionata dai suoi obiettivi
(profitto, quota di mercato, efficienza ecc.) che
vengono costantemente monitorati e comunicati ai
collaboratori, provocando spesso stress e
demotivazione, perché quasi mai il raggiungimento dei
target dipende dalla loro volontà e capacità. Nella
prospettiva cinese il raggiungimento degli obiettivi non
è ciò che veramente conta. Anzi, una volta raggiunti,
essi possono costituire una causa di morte dell’azienda
“per appagamento”.
Quello che conta invece è lo “slancio”, il processo di
sviluppo che è orientato all’obiettivo. Solo al suo
interno l’organizzazione tende a cogliere quei segnali
profondi, quelle “propensioni” e “incrinature” del
mondo che ne schiudono nuove possibilità. Nello
slancio si manifesta infatti quella “generosità feconda,
eccedente, ispirante-insolente, in cui effettivamente
consiste la virtù”.
Se si è ossessionati solo dagli obiettivi (come spesso
accade in azienda) la percezione di questi segnali viene
occlusa e si può perdere facilmente il contatto con la
realtà.
4. Missione, Visione e Strategia
Il linguaggio che l’impresa capitalista usa è sempre
chiaro e distinto. Anche quando “evoca” e “ispira”, esso
si riferisce ad un modello del mondo ben definito da
trasformare a proprio favore. Missione, visione e
strategie interpretano, a diversi livelli di generalità, tale
impostazione.
I vantaggi sembrano evidenti: costruire legami e
orientare comportamenti degli individui intorno a dei
valori, a una cultura aziendale (intesa come insieme di
presupposti per l’interpretazione della realtà e l’agire
insieme) e norme chiaramente comprensibili ed
assimilabili.
La prospettiva cinese sembra invece indicare che
l’impresa si conserva e cresce non tanto realizzando la
sua mission ma dimenticandola continuamente, “de-
coincidendo” da sé stessa. E’ quello che fa la vita: ogni
specie è solo un momento nella storia dell’evoluzione
ed il passaggio da una specie all’altra non è frutto di una
teleologia, ma della “situazione” nella quale individui
ed ambiente si trovano co-implicati.
5. Leadership, pianificazione, comunicazione,
motivazione
La nuova religione aziendale è oggi l’assertività:
presentarsi a collaboratori e clienti con solidi e
stringenti argomenti, politicamente corretti,
ammantati di rispetto e gentilezza. Il pensiero cinese
suggerisce altri approcci: alla libera iniziativa
dell’imprenditore, animata da ferrea volontà, si
contrappone l’idea di “disponibilità”, di azione intesa
come capacità di cogliere il “potenziale di situazione”,
interpretare i vettori di possibilità presenti in essa,
attivare gli “inneschi” che accompagnino gli eventi nella
direzione voluta, seguendone la propensione. Jullien
cita spesso L’Arte della Guerra, in cui il Generale vince
per queste capacità e non perché ha ben eseguito un
piano. Egli vince quasi “senza merito”, assecondando i
vuoti e i pieni dell’avversario, come nelle arti marziali.
Eppure esercita “la tenacia”, intesa come focus
sostenuto sulla situazione, ma senza ingabbiarsi nella
rigidità del piano.
Il pensiero cinese è quindi una rivolta contro i piani
aziendali, la cui arroganza spesso crea la resistenza che
li fa fallire.
Le imprese tendono inoltre all’uniformità, alla
“coesione”, all’”allineamento”, a soffocare le contro-
culture interne viste come sorgente di inefficienza e
confusione. Così facendo si impoveriscono e si
separano da quell’Originario generativo da cui dipende
invece la loro vita, che viene espulsa in nome della
“funzionalità” organizzativa. Si ergono così muri
disfunzionali di incomprensione e di frustrazione tra
persone e funzioni aziendali.
Secondo il pensiero cinese, al contrario, la via è quella
di trattare le “verità” delle sub-culture come “risorse”,
come possibile “smarcamento” dai punti di vista
scontati, senza reprimerle e imporre un unico “senso”
al discorso aziendale. Si tratta invece “co-haerere” le
diverse prospettive, tenerle insieme esplorandone la
tensione, senza voler a tutti costi ridurre la
contraddizione, ma allenandosi ad osservarla. Si tratta,
insomma, di alimentare una “biodiversità” che potrà
rivelarsi decisiva per la sopravvivenza dell’azienda,
similmente a ciò che si è scoperto in biologia, dove la
ridondanza di tratti e risorse si rivela decisiva per
l’evoluzione.
pag. 4 Luca Romanelli – “Risonanze” di Essere o Vivere di F. Jullien
La prospettiva cinese sfida anche i linguaggi ed i gerghi
aziendali, dominati dal mito della comunicazione
“chiara ed efficace”. Secondo Jullien, bisognerebbe
invece apprendere anche ad “ambiguare” (nel senso di
cogliere le relazioni tra significati che il linguaggio
ordinario e definitorio sopprime) le parole ed i concetti
consolidati e spesso logorati, per farne emergere
l’angustia, le relazioni di dipendenza con i loro opposti,
l’allusività ad altri possibili significati di cui magari è
difficile se non impossibile cogliere il senso; come pure
dis-assimilare i sinonimi, per far saltar fuori una qualche
possibile nuova maniera di vedere e fare le cose, creare
ancora una volta uno “scarto che apra biforcazioni
esplorative”, trovare “il filo da disbrogliare che
finalmente ci metta nel mezzo di una verità”.
“Le parole sono pietre”. Il modo di esprimersi in azienda
può diventare una camicia di forza e anche una forma
di dannosa repressione. Una riflessione sul linguaggio
può avere una grande forza liberante: si dovrebbe fare
poesia in azienda!
Allo stesso modo il parlare del leader dovrebbe essere
quasi un “non parlare” come quello del Saggio cinese.
“Le argomentazioni non convincono” scriveva Borges.
La parola deve essere invece “allusiva”. Ai piani
strategici o alle campagne di marketing martellanti si
sostituisce l’influenza, un pensiero inconfutabile
perché non logico, e che quindi non suscita
contrapposizione, “risuona”, entra “di sbieco”, fluisce
senza farsi notare per farsi potentemente “effettivo”
quando la situazione lo consente.
Nuove metafore per l’impresa
E’ difficile sintetizzare queste tracce per immaginare
un’idea di impresa che possa porsi “in tensione” con
quella attuale. Conviene pensare forse per metafore: a
quella dell’”esercito che va alla guerra”, affiancare, ad
esempio, la Parabola di Emmaus, dove i viandanti
acquistano lucidità (altro termine caro a Jullien) sugli
eventi solo dopo che Gesù (che pure ha già spiegato
loro il senso delle Scritture) spezza il pane con loro.
Razionalità e “disponibilità” (nel senso di Jullien)
insieme quindi, in un continuo in-contro.
Un’altra metafora potrebbe essere quella di Mentore,
figura che nell’Odissea tiene insieme la dolcezza e
fedeltà dell’amico e la forza guerriera ed intellettuale
della dea Atena, che a volte ne assume le spoglie.
L’impresa realmente efficace del nostro secolo,
attraversato da un’irriducibile complessità, si può allora
immaginare come quella sì capace di modellizzare e
organizzarsi efficientemente, ma INSIEME di “captare
l’immanenza” del suo ambiente attraverso sensibilità e
pratiche che la abilitano a coglierne gli aspetti più
reconditi ed impliciti.

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Complexity Literacy Meeting 2023 - Luca Romanelli - Risonanze di "Essere o Vivere"

  • 1. pag. 1 Luca Romanelli – “Risonanze” di Essere o Vivere di F. Jullien “Risonanze” di Essere o Vivere di F. Jullien Sintesi della relazione al Complexity Literacy Meeting di Abano Terme, 2 Settembre 2023 di Luca Romanelli Le polarità di Essere o Vivere (sintesi di Silvia Bona) I - I preludi di Chopin Il pensiero di Jullien ha aperto una prospettiva di interpretazione per me inattesa sui 24 preludi di Chopin. Prima mi era meno chiaro il loro fascino. Siamo in pieno Romanticismo. Con Chopin entra in crisi l’equilibrio formale della musica barocca e neoclassica, che aveva raggiunto il suo culmine in Bach e Mozart. Nella loro musica domina infatti la forma, possiamo dire un “senso” (direbbe Jullien) musicale ordinatore, eppure in grado di tenere insieme la ricchezza inesauribile della loro fantasia creativa. La forma integra il tema, le sue elaborazioni e le sue corrispondenze con il tessuto armonico che lo sostiene, all’interno di tonalità ben definite. Gli “scarti” dal “senso” avvengono qui solo per contenute deviazioni o sofisticati contrappunti, che si allontanano solo per un attimo dal baricentro della composizione, quasi a ribadirne l’indispensabile necessità. Tutto è in chiaro, perfettamente luminoso all’orecchio dell’ascoltatore. Nei preludi di Chopin, invece, sento risuonare alcune tensioni del libro di Jullien, in particolare quelle tra senso e coerenza. La polarità di fondo che ritrovo è quella tra la chiarezza del Logos e l’ineffabilità del Tao, quel “fondo” inaccessibile al pensiero che pure genera tutti i pensieri, ma che generandoli si “ritrae”, lasciandoli nel limite della loro determinatezza, nell’incapacità di cogliere l’unità profonda della realtà. E’ la “cosa in sé” di Kant, l’Essere secondo Heidegger. Questo in-contro (il termine richiama insieme unione ed opposizione) tra Logos e Tao sembra manifestarsi nel rapporto ora tormentato tra tema e gli altri elementi formali: l’armonia, la tonalità, il tempo, il timbro ed il colore. Il tema, pur sempre percepibile nella sua struggente dolcezza, appare adesso come in lotta, in tensione con quel “fondo” musicale che lo genera e lo avvolge, quell’”Alterità” che a volte lo asseconda ma spesso quasi lo aggredisce attraverso la dissonanza prolungata, la sospensione repentina del ritmo, l’intensità violenta e sovrastante dell’accompagnamento. Il tema, il Logos musicale, sembra emergere con fatica dal “fondo” e subito tradire la propria evanescenza, il suo destino provvisorio di esserne una delle possibili manifestazioni, il “collassamento” della funzione d’onda di tutti i possibili temi musicali. Ciò non ne svilisce la bellezza, che anzi si carica di un’emozionante inquietudine. Scaturisce quindi una nuova forma di bellezza e di estetica. Se Arte è tutto ciò che apre una finestra sull’infinito, l’in-contro tra tema e forma nei preludi è una di queste. Un incontro breve, sfuggente come questi brani, a volte brevissimi, perché lo sguardo sull’Altro è difficilmente sostenibile per la Ragione, la
  • 2. pag. 2 Luca Romanelli – “Risonanze” di Essere o Vivere di F. Jullien affatica, la sconcerta, la richiama alla pace dell’assimilazione. Ascoltare i preludi diventa quindi un modo di vivere questo “disagio” cogliendone la pregnanza ed il genio che riesce così magistralmente a mettere in tensione i due poli. In questo senso si può quasi pensare che l’intuizione lirica di Chopin abbia anticipato temi della futura filosofia, da Nietsche al ‘900. II - L’idea di impresa tra Oriente ed Occidente Dopo oltre trent’anni di lavoro in azienda non potevo fare a meno di “testare” Jullien anche in questo ambito. L’idea di impresa capitalistica appare intimamente legata al Logos occidentale. Malgrado la grande evoluzione della cultura gestionale, essa rimane sostanzialmente un’organizzazione il cui fine è l’appropriazione e lo sfruttamento di un dominio del reale (tipicamente una quota mercato al fine di trarre profitto) attraverso la comprensione e modellizzazione delle dinamiche esterne e l’adattamento della propria struttura alle finalità di dominio. La struttura e le regole di funzionamento dell’impresa, come si intende dal termine strategia, traggono origine dalla forma-esercito. La razionalità dell’Occidente domina ogni funzione aziendale: il marketing costruisce “tipi” di clientela con proprietà e regole di comportamento definite (ad es. le “personas”) a cui si fanno corrispondere assetti di risorse, procedure ed attitudini comportamentali in grado di “estrarre valore” dalla relazione. La recente accresciuta importanza di valori come la responsabilità ecologica e sociale (ESG) o il benessere dei dipendenti possono essere ricondotti a forme di adattamento ad un ambiente divenuto più imprevedibile e complesso, dove i rischi di fallimento provengono non solo dall’interazione con la clientela ma anche dall’azione di altre forze. La tendenza attuale a coinvolgere maggiormente i collaboratori o a co- progettare e co-creare prodotti e servizi con clienti e partner può essere interpretata anche come un raffinato e vantaggioso meccanismo di scambio di risorse e rafforzamento dei legami finalizzato a maggiori efficacia ed efficienza. Che tipo di risorsa possono allora essere le polarità di Essere e Vivere? Forse, esse possono aiutare a problematizzare alcuni paradigmi consolidati del pensiero aziendalistico occidentale, come proverò a descrivere sinteticamente di seguito. 1. L’analisi del mercato e del settore Queste analisi sono affidate normalmente a dei modelli (si pensi a quello di Porter) che, come nella fisica newtoniana, descrivono chiaramente le forze che determinano lo stato e l’evoluzione del teatro in cui l’azienda opera, identificando leve di azione e scenari futuri a cui adattarsi. Il pensiero cinese si contrappone a questa prospettiva: non si ha più di fronte un mondo complicato ma pure governato da una qualche forma di ordine. C’è invece un mondo non “modellizzabile”, nel quale più che catene causali troviamo “situazioni”, “fasci di implicazioni illimitate”, “vettori di possibilità”; nel quale le forze implicite contano più di quelle esplicite, i cambiamenti importanti emergono improvvisamente e violentemente dopo lunghe e silenziose incubazioni (pensiamo alla guerra in Ucraina, alle pandemie e alle loro conseguenze). Occorre quindi percorrere strade nuove, in grado di allenarci a cogliere queste forze e tendenze “effettive” ma difficilmente traducibili nel nostro linguaggio usuale. Occorre rinunciare alla tentazione di tracciare concatenazioni causali e concentrarsi piuttosto sulle “propensioni”, e le “fessure” della situazione. Come ci ha ricordato Peppe Zollo durante il dibattito, si può provare ad abitare gli spazi (apparentemente) vuoti “tra” i soggetti e le forze in campo, concentrarsi sulle relazioni e le co-implicazioni, sul dinamismo intrinseco e continuo di ogni elemento. Un atteggiamento, quindi, che forse ha a che fare più con l’arte che con l’economia ma che la presuppone, per lasciarla però da parte, o meglio “a lato”. 2. Il cliente target ed i ruoli aziendali Le aziende tendono a modellizzare i profili dei clienti target (ad es. attraverso le personas) in modo da descriverne motivazioni e comportamenti e poterli influenzare attraverso il marketing. Nella prospettiva cinese, è invece impossibile definire il cliente se non nella sua relazione con l’azienda e con gli altri attori. Le relazioni sono quindi più importanti dei profili e delle “personas”. La struttura prevale sulla sostanza, direbbe Jullien. L’evento, gli eventi nei quali il cliente vive sono più importanti della sua personalità, della sua “ontologia”. Considerazioni simili si possono fare relativamente ai ruoli e alle funzioni dei collaboratori. Nelle attività di conoscenza del mercato come pure in quella organizzativa, il pensiero cinese ci invita a
  • 3. pag. 3 Luca Romanelli – “Risonanze” di Essere o Vivere di F. Jullien trattenere l’ansia classificatoria e lasciare invece spazio a un rapporto senza mediazioni ed intuitivo con clienti e collaboratori. Un rapporto di “connivenza”, in qualche modo prossimo all’”intimità” dove, non dicendo, possa emergere tutto quel “non detto” che spesso è decisivo per le relazioni. “Essere lì”, dunque, e condividere l’esperienza di acquisto o la fatica della vita lavorativa senza subito giudicare e correggere. Lasciar “maturare”, insomma, questo vissuto per liberarne l’energia positiva al momento opportuno. 3. Il profitto e gli obiettivi aziendali L’impresa occidentale è ossessionata dai suoi obiettivi (profitto, quota di mercato, efficienza ecc.) che vengono costantemente monitorati e comunicati ai collaboratori, provocando spesso stress e demotivazione, perché quasi mai il raggiungimento dei target dipende dalla loro volontà e capacità. Nella prospettiva cinese il raggiungimento degli obiettivi non è ciò che veramente conta. Anzi, una volta raggiunti, essi possono costituire una causa di morte dell’azienda “per appagamento”. Quello che conta invece è lo “slancio”, il processo di sviluppo che è orientato all’obiettivo. Solo al suo interno l’organizzazione tende a cogliere quei segnali profondi, quelle “propensioni” e “incrinature” del mondo che ne schiudono nuove possibilità. Nello slancio si manifesta infatti quella “generosità feconda, eccedente, ispirante-insolente, in cui effettivamente consiste la virtù”. Se si è ossessionati solo dagli obiettivi (come spesso accade in azienda) la percezione di questi segnali viene occlusa e si può perdere facilmente il contatto con la realtà. 4. Missione, Visione e Strategia Il linguaggio che l’impresa capitalista usa è sempre chiaro e distinto. Anche quando “evoca” e “ispira”, esso si riferisce ad un modello del mondo ben definito da trasformare a proprio favore. Missione, visione e strategie interpretano, a diversi livelli di generalità, tale impostazione. I vantaggi sembrano evidenti: costruire legami e orientare comportamenti degli individui intorno a dei valori, a una cultura aziendale (intesa come insieme di presupposti per l’interpretazione della realtà e l’agire insieme) e norme chiaramente comprensibili ed assimilabili. La prospettiva cinese sembra invece indicare che l’impresa si conserva e cresce non tanto realizzando la sua mission ma dimenticandola continuamente, “de- coincidendo” da sé stessa. E’ quello che fa la vita: ogni specie è solo un momento nella storia dell’evoluzione ed il passaggio da una specie all’altra non è frutto di una teleologia, ma della “situazione” nella quale individui ed ambiente si trovano co-implicati. 5. Leadership, pianificazione, comunicazione, motivazione La nuova religione aziendale è oggi l’assertività: presentarsi a collaboratori e clienti con solidi e stringenti argomenti, politicamente corretti, ammantati di rispetto e gentilezza. Il pensiero cinese suggerisce altri approcci: alla libera iniziativa dell’imprenditore, animata da ferrea volontà, si contrappone l’idea di “disponibilità”, di azione intesa come capacità di cogliere il “potenziale di situazione”, interpretare i vettori di possibilità presenti in essa, attivare gli “inneschi” che accompagnino gli eventi nella direzione voluta, seguendone la propensione. Jullien cita spesso L’Arte della Guerra, in cui il Generale vince per queste capacità e non perché ha ben eseguito un piano. Egli vince quasi “senza merito”, assecondando i vuoti e i pieni dell’avversario, come nelle arti marziali. Eppure esercita “la tenacia”, intesa come focus sostenuto sulla situazione, ma senza ingabbiarsi nella rigidità del piano. Il pensiero cinese è quindi una rivolta contro i piani aziendali, la cui arroganza spesso crea la resistenza che li fa fallire. Le imprese tendono inoltre all’uniformità, alla “coesione”, all’”allineamento”, a soffocare le contro- culture interne viste come sorgente di inefficienza e confusione. Così facendo si impoveriscono e si separano da quell’Originario generativo da cui dipende invece la loro vita, che viene espulsa in nome della “funzionalità” organizzativa. Si ergono così muri disfunzionali di incomprensione e di frustrazione tra persone e funzioni aziendali. Secondo il pensiero cinese, al contrario, la via è quella di trattare le “verità” delle sub-culture come “risorse”, come possibile “smarcamento” dai punti di vista scontati, senza reprimerle e imporre un unico “senso” al discorso aziendale. Si tratta invece “co-haerere” le diverse prospettive, tenerle insieme esplorandone la tensione, senza voler a tutti costi ridurre la contraddizione, ma allenandosi ad osservarla. Si tratta, insomma, di alimentare una “biodiversità” che potrà rivelarsi decisiva per la sopravvivenza dell’azienda, similmente a ciò che si è scoperto in biologia, dove la ridondanza di tratti e risorse si rivela decisiva per l’evoluzione.
  • 4. pag. 4 Luca Romanelli – “Risonanze” di Essere o Vivere di F. Jullien La prospettiva cinese sfida anche i linguaggi ed i gerghi aziendali, dominati dal mito della comunicazione “chiara ed efficace”. Secondo Jullien, bisognerebbe invece apprendere anche ad “ambiguare” (nel senso di cogliere le relazioni tra significati che il linguaggio ordinario e definitorio sopprime) le parole ed i concetti consolidati e spesso logorati, per farne emergere l’angustia, le relazioni di dipendenza con i loro opposti, l’allusività ad altri possibili significati di cui magari è difficile se non impossibile cogliere il senso; come pure dis-assimilare i sinonimi, per far saltar fuori una qualche possibile nuova maniera di vedere e fare le cose, creare ancora una volta uno “scarto che apra biforcazioni esplorative”, trovare “il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità”. “Le parole sono pietre”. Il modo di esprimersi in azienda può diventare una camicia di forza e anche una forma di dannosa repressione. Una riflessione sul linguaggio può avere una grande forza liberante: si dovrebbe fare poesia in azienda! Allo stesso modo il parlare del leader dovrebbe essere quasi un “non parlare” come quello del Saggio cinese. “Le argomentazioni non convincono” scriveva Borges. La parola deve essere invece “allusiva”. Ai piani strategici o alle campagne di marketing martellanti si sostituisce l’influenza, un pensiero inconfutabile perché non logico, e che quindi non suscita contrapposizione, “risuona”, entra “di sbieco”, fluisce senza farsi notare per farsi potentemente “effettivo” quando la situazione lo consente. Nuove metafore per l’impresa E’ difficile sintetizzare queste tracce per immaginare un’idea di impresa che possa porsi “in tensione” con quella attuale. Conviene pensare forse per metafore: a quella dell’”esercito che va alla guerra”, affiancare, ad esempio, la Parabola di Emmaus, dove i viandanti acquistano lucidità (altro termine caro a Jullien) sugli eventi solo dopo che Gesù (che pure ha già spiegato loro il senso delle Scritture) spezza il pane con loro. Razionalità e “disponibilità” (nel senso di Jullien) insieme quindi, in un continuo in-contro. Un’altra metafora potrebbe essere quella di Mentore, figura che nell’Odissea tiene insieme la dolcezza e fedeltà dell’amico e la forza guerriera ed intellettuale della dea Atena, che a volte ne assume le spoglie. L’impresa realmente efficace del nostro secolo, attraversato da un’irriducibile complessità, si può allora immaginare come quella sì capace di modellizzare e organizzarsi efficientemente, ma INSIEME di “captare l’immanenza” del suo ambiente attraverso sensibilità e pratiche che la abilitano a coglierne gli aspetti più reconditi ed impliciti.