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Parte Prima
L’ETICA PROTESTANTE E LO SPIRITO DEL
CAPITALISMO di MAX WEBER
1
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
1.1 «BERUF»
La parola tedesca Beruf esprime una posizione occupata nella vita,
un ambito di lavoro preciso e circoscritto, insomma una professione
nella quale echeggia una rappresentazione religiosa, ovvero un
compito assegnato da Dio. La ricerca linguistica di Weber riscontra
parziali e imprecise corrispondenze nell’ebraico (mela ‘kah), nel
greco antico (κάματος) e nel latino (vocatio) che tuttavia non
rispecchiano l’aspetto religioso e al tempo stesso etico del vocabolo
tedesco.
In italiano, dalla bibbia Vulgata, il termine è stato reso
dapprima con «chiamamento» e conseguentemente con «vocazione»,
ma com’è evidente, entrambi i termini non chiariscono il senso
esteriore ovvero intramondano dell’attività lavorativa, restituendone
solo l’aspetto religioso.1
Questo termine viene impiegato da Lutero per tradurre la
«κλησις» di S. Paolo ossia la «chiamata alla salute eterna da parte di
Dio» che ne rende l’effetto religioso. Il significato mondano della
vocazione è reso dalla traduzione dei moniti contenuti nel testo
biblico Siracide, dove Lutero traduce con Beruf l’espressione πόνος
che significherebbe fatica, senza alcuna valorizzazione religiosa. La
connessione tra due usi così distinti della stessa parola è evidente
nella traduzione luterana dei Corinzi e la sua diffusione in testi non
religiosi, così come l’accentuazione dei significati da parte dei
calvinisti testimoniano il successo del concetto già nel XVI secolo.2
Lutero produce questo concetto sin dagli inizi del suo
percorso riformatore e da ciò scaturisce il significato protestante di
Beruf: l’esistenza monacale è svuotata dei suoi valori dinanzi a Dio
in quanto sottrae l’individuo dai doveri mondani nei confronti dei
quali è egoista e insensibile. Allora la maniera protestante di essere
graditi a Dio consisterebbe semplicemente nel compiere i doveri
quotidiani derivanti dalla posizione occupata, dalla propria
1 M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo,BUR Rizzoli 2013, Milano,
p.136
2 Ivi, p. 140
professione, che più chiaramente ora possiamo definire anche
vocazione.
Appare evidente insomma il contrasto tra ascesi monacale cattolica e
ascesi intramondana protestante e che questa seconda sia stata una
delle opere più significative della Riforma è già per Weber quasi un
luogo comune.3
Sarebbe superficiale e illecito tuttavia riscontrare in Lutero
stesso e nelle sue intenzioni lo «spirito capitalistico» che è oggetto
d’indagine. La Riforma ha inteso sottolineare esclusivamente il peso
morale e il premio religioso per il lavoro intramondano inteso nei
termini di una professione regolare e ordinata. Per Lutero il Beruf
assume un significato adattivo e d’accettazione del compito
assegnato da Dio. Significato che per Weber si predica
nell’ubbidienza all’autorità e nell’accettazione della situazione
esistenziale data.4
L’accezione luterana è perciò problematica nella ricerca
weberiana e si assume come punto di partenza derivante di una
prassi elaborata in seguito dalle altre sette puritane e dal calvinismo.
Tuttavia per nessun riformatore è mai stato centrale un piano di
riforma etica, questo si può piuttosto considerare una conseguenza
imprevista e non voluta di ricerche religiose e spirituali attorno al
tema della salvezza dell’anima.5
Allora lo studio di Weber si configura innanzitutto come
un’indagine illustrativa delle modalità con cui le «idee» si attivino
nella storia. Ciò avviene per mezzo di affinità elettive che rigettano
la determinazione Riforma-Capitalismo in quanto è evidente che
forme capitalistiche la anticipavano. Il punto sta nell’identificare se
determinati aspetti religiosi hanno partecipato qualitativamente e
quantitativamente all’espansione e configurazione dello «spirito
capitalistico» nel mondo occidentale.6
3 Ivi, p. 103
4 Ivi, p. 108
5 Ivi, p. 112
6 Ivi, p. 114
1.2 LO «SPIRITO» DEL CAPITALISMO
Cosa intende Max Weber per «spirito del capitalismo»?
Operativamente si riferisce ad un “individuo storico” ossia di un
“complesso di nessi presenti nella realtà storica” unificati nella
totalità di un concetto.7
Tuttavia l’oggetto non può essere immediatamente
incasellato in una definizione concettuale. È necessaria anzitutto una
“illustrazione provvisoria” che dia conto degli elementi singoli e che
soltanto a suo termine possa dare un risultato adeguato al punto di
vista dell’indagine a venire.8
Può essere utile partire da un polo per arrivare al suo opposto:
il tradizionalismo è per Max Weber, quel comportamento che
descrive l’uomo come un essere che per natura non vuole
guadagnare denaro e sempre più denaro, bensì vivere
semplicemente, vivere come è abituato a vivere, e guadagnare tanto
quanto è necessario. Richiamando Sombart9, Weber identifica il
tradizionalismo in un sistema economico della soddisfazione dei
bisogni equiparando il concetto di «bisogno» al «bisogno
tradizionale».
Tradizionalismo e capitalismo non sono sistemi che si
escludono a vicenda: è possibile incontrare un carattere
tradizionalistico anche in aziende condotte privatamente al fine di
generare profitti tramite l’elaborazione e vendita di lavorati. Invero
ad una forma capitalista dell’impresa può corrispondere uno spirito
tradizionale di gestione. Il rapporto tra forma e spirito sta in una
relazione adeguata, ma non necessaria.10
Altrimenti sono riconoscibili aziende tradizionali condotte
con uno spirito capitalistico, e qui Weber fa l’esempio di Benjamin
Franklin il quale era colmo di «spirito capitalistico» nonostante la
sua stamperia fosse un’azienda di forma tradizionale, praticamente
artigianale.11
7 Ivi, p. 70
8 Ivi, p. 71
9 Sombart, Der moderne Kapitalismus,vol. I, 1902, p. 62 citato in M. Weber, L’Etica
Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 87
10 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 87
11 Ivi, p. 88
In “Necessari suggerimenti a coloro che vorrebbero
arricchirsi” del 1736 ad opera proprio di Franklin, Weber trova e
identifica una peculiare filosofia di vita. Una filosofia dell’avarizia,
articolata in precetti morali e virtuosi in senso utilitaristico che
assurge infine ad una vera e propria etica a cui uniformare la vita.
Violare quest’etica non sarebbe per Franklin una follia, ma una
negligenza nei confronti dei propri doveri: l’uomo onesto è
moralmente tenuto ad incrementare il proprio capitale. Vediamo
alcune proposizioni che seppur estrapolate dal testo (1736) sono
indici dello «spirito» capitalistico moderno e occidentale:
«Il tempo è denaro»;
«Il credito è denaro»;
«Il denaro ha natura feconda e fruttuosa, [non metterlo a frutto]
uccide tutto quello che si sarebbe potuto produrre con esso»;
«Chi paga puntualmente è il padrone della borsa di tutti»;
«Apparire come un uomo sia preciso e sia onesto aumenta il tuo
credito».12
Il punto focale di quest’etica, il guadagno reiterato di denaro,
è svuotato di ogni fine edonistico e appare finalizzato a se stesso.
L’attività lucrativa non è affatto indirizzata alla soddisfazione di
piaceri mondani, alla felicità o utilità del singolo, ma giunge ad
essere lo scopo se non il significato della vita dell’uomo. Il
guadagno economico (legale) nella modernità è frutto e espressione
dell’abilità nella professione. Questa abilità, perseguita come un
dovere, è caratteristica dell’etica sociale della civiltà capitalistica.
Nell’ottica weberiana è costitutiva: questa maniera di vivere e di
concepire la professione, adatta alla natura peculiare del capitalismo,
è sorta non in individui singoli e isolati bensì in gruppi umani
precedentemente allo sviluppo del capitalismo stesso e per
meccanismi di selezione economica ha raggiunto la misura
moderna.13
Lo «spirito capitalistico» ha dovuto lottare una dura lotta
contro un mondo di forze nemiche tradizionali per arrivare ad
affermarsi nello «sviluppo capitalistico». La sua esistenza è perciò
logicamente anteriore al fenomeno di massa della modernità e si
distingue in maniera netta da quello «spirito» precapitalistico
12 B. Franklin, Necessary hintsto those that would be rich, 1736 citato in Et pr pg 72
13 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 78
identificabile nell’impulso al profitto comune a molte epoche e zone
del pianeta. L’avidità del mandarino cinese, del patrizio dell’antica
Roma (auri sacra fames) o dei moderni agrari può esprimersi
addirittura più intensamente, ma sicuramente meno
scrupolosamente. Lo scrupolo, il sentirsi moralmente obbligati verso
il lavoro, la temperanza e moderazione che accrescono insolitamente
l’efficienza e superano la routine tradizionalistica conseguono da
un’educazione spirituale.14
Dove questo «spirito» si risveglia e si realizza, esso crea le
riserve pecuniarie come mezzi della sua azione e non il contrario,
conduce il suo possessore con lucidità ed energia ad attivarsi verso il
guadagno - sotto la categoria della vocazione - nei confronti del
quale il singolo si sente obbligato. Si può allora «razionalizzare»
l’esistenza da punti di vista diversi e soprattutto in direzioni
diversissime. Il razionalismo è un concetto storico che comprende in
sé un mondo di antitesi e perciò non deve stupire che una condotta di
vita assolutamente razionale si sia originata da un elemento
irrazionale: la vocazione.
14 Ivi, p. 86
2
L’ETICA PROFESSIONALE DEL CAPITALISMO
ASCETICO
2.1 I FONDAMENTI RELIGIOSI DELL’ASCESI INTRAMONDANA
I movimenti religiosi che hanno assunto un indirizzo ascetico, senza
distinguere fra i programmi e i dogmi ecclesiastici, si posso inserire
più in generale all’interno di quel movimento chiamato
«puritanesimo». Al suo interno i dissensi dogmatici si sono
combinati in maniera molteplice dando origine a basi dogmatiche
anche molto differenti che eppure hanno generato un comune effetto
pratico sulla condotta etica dei credenti.
Sembrerebbe possibile allora soprassedere alle specificazione
teologiche delle dottrine protestanti, ma questo non permetterebbe di
chiarire quegli impulsi psicologici creati da ciascuna peculiare fede
religiosa. Perciò Weber presenta quattro confessioni protestanti
identificate in maniera ideal-tipica, con il contenuto di pensiero
pienamente sviluppato e nettamente separati, come nella realtà
storica accadeva di incontrare solo nelle forme più coerenti.15
Calvinismo: intendiamo non il pensiero di calvino, ma il
movimento con la sua forma già assunta alla fine del XVII secolo. In
genere si ritiene che il suo dogma più importante16 sia stata la
dottrina della predestinazione degli eletti, ma si può conferirgli tanta
importanza solo tramite di un giudizio di attribuzione storica che
necessita di tenere in considerazione gli effetti esercitati sulla storia
della civiltà. Il contenuto di questa dottrina deriva dagli articoli
fideistici della «Confessione di Westminster» del 1647 riguardanti il
libero arbitrio e l’eterno decreto di Dio.
15 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 160
16 Ivi, p. 160
“L’uomo, con la sua caduta nello stato di peccato, ha
perduto interamente ogni capacità di volere alcunché di
spiritualmente buono e tale da comportare la beatitudine, tanto che
un uomo per natura è interamente deviato dal bene e morto nel
peccato […]”;
“Dio, con la sua decisione ha predestinato alcuni uomini […] alla
vita eterna, e altri ne ha predestinati alla morte eterna. Quelli che
sono predestinati alla vita Dio, prima che fosse posto il fondamento
del mondo, li ha eletti, in Cristo, allo splendore eterno, secondo il
suo disegno eterno […] non perché indotto dalla previsione della
fede o delle opere buone […] ma tutto a maggior gloria della sua
grazia sovrana […] a magnificazione della sua giustizia sovrana.”17
L’immenso dono della grazie non può essere dovuto ad un
intervento della creatura tramite prestazioni terrene o qualità della
fede, il decreto arcano e orribile di Dio è l’unica fonte della salvezza.
L’uomo esiste esclusivamente in funzione di Dio e della sua
autoglorificazione maestosa, Dio eternamente bea una parte degli
uomini e ne danna un’altra senza che l’influenza umana contribuisca
alle sue decisioni libere e stabilite fin dall’eternità. Da questo stato in
cui la grazia non può né essere conseguita né perduta deriva un
sentimento di isolamento del singolo individuo destinato a percorrere
la vita terrena verso un destino già stabilito. Nessun predicatore,
nessun sacramento, nessuna Chiesa e nessun Dio aiutano l’uomo, ma
egli deve rispettare quest’ultimi in quanto creati da Dio a sua
maggior gloria.
Tantomeno sono utili gli aspetti sensibili e sensuali della
religiosità cattolica: il rapporto è esclusivamente tra l’uomo e Dio
perciò, ad esempio, si esortano i fedeli ad astenersi da ogni fiducia
nell’aiuto degli uomini e nella loro amicizia, viene eliminata la
confessione privata - e quindi il suo effetto sentimentale di una colpa
scaricata, uno spirito rigenerato e nuovamente cosciente.
Dunque il lavoro del calvinista è orientato al solo scopo di
accrescere la gloria di Dio, l’opera sociale non si indirizza verso un
«amore del prossimo», ma verso l’ordine naturale delle cose,
oggettivo e impersonale. Un carattere veramente e propriamente
utilitario seppur estremamente individualista e religioso.18
Per un calvinista è inevitabile chiedersi: sono io un eletto?
Come posso io acquistare certezza di questa elezione?
17 Confessione di Fede Riformata di Westminster, 1647 citato in M. Weber, L’Etica
Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 162
18 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 170
Dovunque si afferma la dottrina della predestinazione, il
problema della ricerca di segni sicuri della propria salvezza non si
pone realmente, è quasi un dovere ritenere se stessi eletti, dubitarne
sarebbe cedere ad un assalto del diavolo. Significherebbe cedere
sicurezza di sé, sintomo di una fede insufficiente ovvero di
un’insufficiente azione della grazia.
Il lavoro professionale indefesso allora è caldamente raccomandato
perché considerato il mezzo più eminente per raggiungere quella
sicurezza di sé.19 L’opera buona non è mezzo per la salvezza, né un
suo segno sicuro, resta un mezzo tecnico per liberarsi di un’angoscia
profonda nei confronti del proprio destino. Il calvinista crea e
controlla la certezza della sua propria beatitudine tramite un
autocontrollo sistematico di sé stesso, egli è perennemente in
dubbio: «eletto o dannato?». L’agire etico di questo credente è la più
intensa forma di considerazione religiosa tra quelle considerate da
Weber, la tensione del calvinista conduce a erigere a sistema la
santità d’opera ovvero una razionalità ascetica puramente
intramondana.20
Il monachesimo, ascetismo in fuga dalla vita quotidiana, è
sostanzialmente abolito e le forze che prima lo animavano sono ora
riversate all’interno del mondo professionale, dall’aristocrazia
spirituale dei monaci si passa all’aristocrazia spirituale dei santi nel
mondo, predestinati da Dio dall’eternità. Ciò significa che la
cristianizzazione abbraccia l’intera esistenza e ingenera una
metodicità della condotta di vita etica nei termini di autocontrollo e
pianificazione dell’esistenza.
La dottrina calvinista è solo una delle varianti puritane, ma la
sua forte coerenza interna ed efficacia psicologica la rendono, per
Weber, il movimento ascetico esemplare per lo studio della genesi
dello «spirito» del capitalismo.
Pietismo: Il pensiero della comprova, della certitudo salutis
ovvero della certezza della salvezza è punto di partenza di quest’altra
corrente ascetica, il pietismo. Sviluppatosi dal calvinismo, il
pietismo si caratterizza per una precisa osservazione dei precetti
biblici (precisismo), la formazione di conventicole, il pensiero della
«nullità dell’esistenza creaturale» e la ricerca sentimentale della
comprova. È proprio l’aspetto sentimentale che distingue fortemente
19 Ivi, p. 173
20 Ivi, p. 181
calvinismo e pietismo: il sentimento ha la caratteristica di
intensificarsi ed affievolirsi nel tempo creando una religiosità
isterica, talvolta fiacca – e quindi un sentimento di «lontananza» da
Dio – e talvolta estatica. Ciò appare in netto contrasto con
l’autocontrollo calvinista, e tuttavia rappresenta un effetto estremo
del sentimento pietista. L’effetto pratico dei principi pietistici è un
controllo ancora più stretto della condotta della vita nella
professione, una visione ancora più religiosa dell’etica
professionale.21 I pietisti allargano il campo dell’ascetismo
intramondano, essi conducono un’intera vita metodicamente curata e
controllata, non solo il suo aspetto professionale.
L’intensità della razionalizzazione risulta comunque inferiore
rispetto al calvinismo, questo perché da un lato la preoccupazione
sentimentale indirizzava verso il presente immediato il pensiero
della comprova. Dall’altro lato la sicurezza di sé tipica dei calvinisti
è sostituita con quel sentimento di umiltà (o nullità) che non genera
lo stesso impulso di sforzarsi a pianificare razionalmente per
conoscere la propria beatitudine, qui troviamo la necessità intima di
sentire la conciliazione e la comunione con Dio.22
Praticamente, dice Weber, se dal calvinismo può nascere un
imprenditore capitalista attivo e affine al duro senso giuridico, dalle
virtù coltivate dal pietismo può nascere un impiegato, un operaio,
industriali ligi e professionalmente seri.23
Metodismo: Un’altra corrente ascetica seppur sentimentale, e
altrettanto in contrasto con alcuni principi calvinistici è quella data
dal pietismo anglo-americano che assume da subito il nome di
metodismo. Non stupisce allora che il fine di raggiungere «certitudo
salutis» è perseguito tramite una condotta di vita sistematicamente
metodica. Anche qui la comprova è sentita tramite un’immediata
testimonianza dello spirito, ma giunge solitamente verso la fine
dell’esistenza, quando il peccato non ha più potere sul metodista.
L’esistenza metodica deve raggiungere il sentimento dello stato di
grazia, ma il sentimento e la sua ricerca generano un’eccitazione
occasionale che non pregiudica la condotta razionale. Così il
metodismo si avvicina, negli effetti pratici, al calvinismo molto più
che al pietismo germanico.24
21 Ivi, p. 192
22 Ivi, p. 198
23 Ivi, p. 199
24 Ivi, p. 203
Pietismo e Metodismo, per il loro carattere tardivo e per il
contenuto del loro pensiero, sono considerati da Weber secondari e
lasciati da parte nella successiva discussione dell’idea del Beruf, alla
quale non hanno contribuito in maniera innovativa.25
Battismo e sette: esponenti autonomi dell’ascesi protestanti
sono il battismo e le sette che ne sono derivate: battisti in senso
stretto, mennoniti e quaccheri. Queste correnti poggiano su principi
eterogenei rispetto alla dottrina riformata, uno dei fondamentali è
quello della chiesa dei credenti. La chiesa non è più intesa come una
fondazione terrena con finalità ultraterrene, un’istituzione che
comprende la totalità dei credenti, per costoro la chiesa è la
comunità di coloro che personalmente credono e sono rinati26, una
«setta» in altre parole, con le sue caratteristiche esclusive nei
confronti di Stato e non appartenenti. E queste sette tendevano a
isolarsi dal mondo dei non credenti, seguendo rigorosamente una
vita conforme alla Bibbia e controllata strettamente secondo il
modello degli apostoli. Il carattere metodico di queste sette è
finalizzato al superamento degli impulsi e dell’irrazionalità, delle
passioni e della soggettività dinanzi a Dio. La prassi esistenziale
sfocia in condotte sobrie, quiete e coscienziose indirizzate verso
l’ascesi laica intesa come percorso d’attesa verso la chiamata.27
La fedeltà alla professione è intesa dal fedele come una
conseguenza naturale e inevitabile dell’esistenza all’interno del
mondo. Gli appartenenti a queste comunità si astenevano dal
ricoprire incarichi statali e dal prestare giuramenti per incarichi
pubblici, la carica ascetica dunque, secondo Max Weber, si riversa
nell’attività lucrativa.28 Se il Beruf nel primo caso pare meno forte
della vocazione calvinista, la vita professionale apolitica ingenera
conseguenze sullo sviluppo di aspetti importanti dello «spirito»
capitalistico che vedremo solo più avanti.
Ripercorrendo le correnti descritte un punto cardine del
discorso che appare in ognuna è la concezione dello «stato di grazia»
religioso. Lo «stato di grazia» è una sorta di status che libera l’uomo
dal pensiero della condanna, il suo possesso non può per i riformati
25 Ivi, p. 204
26 Ivi, p. 205
27 Ivi, p. 209
28 Ivi, p. 211
essere raggiunto da dispositivi magico-sacramentali, da opere pie o
dalla confessione. L’unico mezzo è la comprova, raggiungibile
perseguendo una condotta di vita controllata metodicamente ed
ascetica, una prestazione non eccezionale come nel caso dei monaci,
ma indispensabile per chiunque volesse essere certo – o sentire – la
propria salvezza. L’ascesi cristiana viene sul mercato della vita29
chiudendosi alle spalle la porta del convento e imprende a pervadere
la vita quotidiana mondana di metodicità e razionalità nel mondo,
ma non per il mondo.
2.2 ASCESI E SPIRITO CAPITALISTICO
Si può a questo punto trattare il puritanesimo come un fenomeno
unitario e prenderne come punto più coerente quella corrente inglese
del calvinismo nella quale troviamo un gran numero di scritti
teologici nati dalla prassi della cura delle anime. Tra essi Weber
mette in evidenza quelli di Richard Baxter, presbiteriano e apologeta
del sinodo di Westminster, che attraverso il Christian Directory e
L’eterna quiete dei santi ha promosso ampiamente la vita etico-
religiosa. In questi veri e propri compendi di teologia morale
troviamo giudizi fondamentali sulla ricchezza e sulla sua
acquisizione.30
“La ricchezza in quanto tale è un grande pericolo, le sue
tentazioni sono continue, il suo desiderio e la sua ricerca non sono
solo assurdi, rispetto al valore incomparabilmente superiore del
Regno di Dio, sono anche moralmente incresciosi.”31
Ciò che viene severamente condannato sono l’adagiarsi nel
possesso e il godimento della ricchezza che conducono all’ozio e
alla cupidigia ovvero alla deviazione dalla vita «santa». Il possesso è
increscioso per il suo implicito pericolo, ma l’agire è, come abbiamo
visto, necessario ad accrescere la gloria di Dio. Perciò perdere tempo
è, tra i peccati, uno dei più gravi. B. Franklin dirà: «il tempo è
denaro», ma ritornando verso un senso più spirituale, ogni ora persa
è un’ora sottratta al lavoro al servizio della gloria di Dio. Il lavoro è
29 Ivi, p. 214
30 Ivi, p. 216
31 Ivi, p. 216
lo scopo stesso della vita prescritto da Dio, dunque l’avversione al
lavoro è sintomo dell’assenza dello stato di grazia.
“Non si lavora solo per vivere, ma si vive per il lavoro, e se non si
ha più da lavorare si soffre o ci si addormenta”32.
Dio non pretende il lavoro in sé, ma il lavoro professionale-
razionale che è pervaso da quel carattere metodico-sistematico
dell’ascesi intramondana. E l’utilità di una professione si valuta sì
secondo criteri etici e utilitaristici, ma soprattutto attraverso il
profitto economico privato33 perché è Dio stesso che indica la strada
verso il guadagno, a sua maggior gloria. Il cristiano ha il dovere di
approfittarne, non farlo contrasterebbe lo scopo della propria
chiamata. Voler essere povero avrebbe lo stesso significato di voler
essere malato e peccherebbe oltretutto di pigrizia.
Così l’interpretazione provvidenziale delle opportunità di
profitto è la sublimazione etica dell’uomo d’affari.34
L’ascesi intramondana combatte con forza il godimento del
possesso, indica vie di restringimento del consumo (vestiti, cibarie,
leisures), in particolar modo quello di lusso. Eppure da quel
fondamentale impulso psicologico liberatorio nei confronti
dell’attività lucrativa – inibito nello «spirito» tradizionale – dandogli
addirittura la particolarità di essere voluta da Dio.
Come una forza “che vuole sempre il bene e crea sempre il
male”35 l’ascesi e i suoi limiti interni hanno generato esternamente
risultati quali la formazione di capitali e il loro investimento
produttivo, ma ancor più importante è la tendenza alla condotta di
vita borghese, economicamente razionale. Si battezza l’homo
oeconomicus moderno.
E così come l’intera storia degli ordini religiosi conventuali è
una continua storia di lotta col problema dell’azione secolarizzatrice
del possesso36, allora il susseguirsi delle correnti puritane tiene lo
stesso significato: è certo che questi ideali puritani non hanno retto a
una troppo ardua prova, che coloro che si arricchiscono sono anche
assai spesso pronti a rinnegare i vecchi ideali.
32 Plitt, Zinzerdorfs Theologie,vol. I, p. 428 citato in et pr p. 314 nota 219
33 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 221
34 Ivi, p. 222
35 Goethe, Faust, citato in M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013
p. 231
36 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 233
“Temo [che] dovunque si è moltiplicata la ricchezza, il
contenuto della religione si è impoverito in uguale misura. […] non
abbiamo il diritto di impedire alle persone di essere diligenti e
parsimoniose. Non possiamo fare a meno di esortare tutti i cristiani
a guadagnare quanto possono, e a risparmiare che cosa possono,
ossia a giungere al risultato di arricchire.”37
Spiega Wesley che quei movimenti religiosi hanno dispiegato
in virtù dell’educazione ascetica un’azione economica solamente
dopo che l’acme dell’entusiasmo puramente religioso era già stata
oltrepassata.38
Il retaggio lasciato dall’epoca religiosa, una coscienza
utilitaristica dell’attività lucrativa purché condotta in maniera legale
è ormai specificatamente un ethos professionale specificatamente
borghese.39 L’imprenditore ora può – o meglio deve – perseguire i
suoi interessi lucrativi purché in maniera legale e senza fare un uso
scandaloso dei suoi beni. Addirittura trova a sua disposizione operai
sobri e coscienziosi convinti che la distribuzione ineguale delle
ricchezze sia opera della volontà eterna e provvidenziale di Dio.
Weber ci dice che il puritano volle essere un professionista,
noi lo dobbiamo essere. Quando l’ascesi passa dalla dimensione
conventuale a quella intramondana, essa contribuisce al fondamento
dell’ordine economico moderno – legato ai presupposti tecnici ed
economici della produzione meccanica – che oggi determina con una
forza coattiva invincibile lo stile di vita di tutti gli individui che sono
nati entro questo grande ingranaggio40.
Per Baxter i santi puritani si preoccupavano dei beni esteriori
come di un «leggero mantello che si potrebbe sempre deporre», ma –
aggiunge Weber – il destino ha voluto che il mantello si
trasformasse in una gabbia di durissimo acciaio41. I beni esteriori
hanno acquistato potere sugli uomini, fino a diventare un potere
ineluttabile e lo «spirito» è fuggito dal mantello prima che si
indurisse in gabbia: il capitalismo non ha più alcun bisogno di questo
sostegno spirituale per riprodursi, e si poggia ormai su di una base
37 John Wesley, metodista inglese del XVIII secolo cit. in Leben Wesley di Southey citato in
M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 234
38 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 234
39 Ivi, p. 235
40 Ivi, p. 239
41 Ivi, p. 240
meccanica. Weber si chiede quali saranno gli uomini destinati a
vivere nella gabbia, se rinasceranno profezie e ideali o se, veri e
propri ultimi uomini42, saranno pietrificati nella meccanizzazione ed
inevitabilmente specialisti senza spirito ed edonisti senza cuore43
convinti di essere ascesi ad un livello di umanità mai prima
raggiunto.
42 Che cosa è amore? Che cosa è creazione? Che cosa è nostalgia? Che cosa è stella? Così
chiede l'ultimo uomo e ammicca. […] Noi abbiamo inventato la felicità, dicono gli ultimi
uomini, e ammiccano. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra,Newton Compton 2014, p. 49
43 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013, p. 241

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L'etica protestante e lo spirito del capitalismo

  • 1. Parte Prima L’ETICA PROTESTANTE E LO SPIRITO DEL CAPITALISMO di MAX WEBER
  • 2. 1 CONSIDERAZIONI PRELIMINARI 1.1 «BERUF» La parola tedesca Beruf esprime una posizione occupata nella vita, un ambito di lavoro preciso e circoscritto, insomma una professione nella quale echeggia una rappresentazione religiosa, ovvero un compito assegnato da Dio. La ricerca linguistica di Weber riscontra parziali e imprecise corrispondenze nell’ebraico (mela ‘kah), nel greco antico (κάματος) e nel latino (vocatio) che tuttavia non rispecchiano l’aspetto religioso e al tempo stesso etico del vocabolo tedesco. In italiano, dalla bibbia Vulgata, il termine è stato reso dapprima con «chiamamento» e conseguentemente con «vocazione», ma com’è evidente, entrambi i termini non chiariscono il senso esteriore ovvero intramondano dell’attività lavorativa, restituendone solo l’aspetto religioso.1 Questo termine viene impiegato da Lutero per tradurre la «κλησις» di S. Paolo ossia la «chiamata alla salute eterna da parte di Dio» che ne rende l’effetto religioso. Il significato mondano della vocazione è reso dalla traduzione dei moniti contenuti nel testo biblico Siracide, dove Lutero traduce con Beruf l’espressione πόνος che significherebbe fatica, senza alcuna valorizzazione religiosa. La connessione tra due usi così distinti della stessa parola è evidente nella traduzione luterana dei Corinzi e la sua diffusione in testi non religiosi, così come l’accentuazione dei significati da parte dei calvinisti testimoniano il successo del concetto già nel XVI secolo.2 Lutero produce questo concetto sin dagli inizi del suo percorso riformatore e da ciò scaturisce il significato protestante di Beruf: l’esistenza monacale è svuotata dei suoi valori dinanzi a Dio in quanto sottrae l’individuo dai doveri mondani nei confronti dei quali è egoista e insensibile. Allora la maniera protestante di essere graditi a Dio consisterebbe semplicemente nel compiere i doveri quotidiani derivanti dalla posizione occupata, dalla propria 1 M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo,BUR Rizzoli 2013, Milano, p.136 2 Ivi, p. 140
  • 3. professione, che più chiaramente ora possiamo definire anche vocazione. Appare evidente insomma il contrasto tra ascesi monacale cattolica e ascesi intramondana protestante e che questa seconda sia stata una delle opere più significative della Riforma è già per Weber quasi un luogo comune.3 Sarebbe superficiale e illecito tuttavia riscontrare in Lutero stesso e nelle sue intenzioni lo «spirito capitalistico» che è oggetto d’indagine. La Riforma ha inteso sottolineare esclusivamente il peso morale e il premio religioso per il lavoro intramondano inteso nei termini di una professione regolare e ordinata. Per Lutero il Beruf assume un significato adattivo e d’accettazione del compito assegnato da Dio. Significato che per Weber si predica nell’ubbidienza all’autorità e nell’accettazione della situazione esistenziale data.4 L’accezione luterana è perciò problematica nella ricerca weberiana e si assume come punto di partenza derivante di una prassi elaborata in seguito dalle altre sette puritane e dal calvinismo. Tuttavia per nessun riformatore è mai stato centrale un piano di riforma etica, questo si può piuttosto considerare una conseguenza imprevista e non voluta di ricerche religiose e spirituali attorno al tema della salvezza dell’anima.5 Allora lo studio di Weber si configura innanzitutto come un’indagine illustrativa delle modalità con cui le «idee» si attivino nella storia. Ciò avviene per mezzo di affinità elettive che rigettano la determinazione Riforma-Capitalismo in quanto è evidente che forme capitalistiche la anticipavano. Il punto sta nell’identificare se determinati aspetti religiosi hanno partecipato qualitativamente e quantitativamente all’espansione e configurazione dello «spirito capitalistico» nel mondo occidentale.6 3 Ivi, p. 103 4 Ivi, p. 108 5 Ivi, p. 112 6 Ivi, p. 114
  • 4. 1.2 LO «SPIRITO» DEL CAPITALISMO Cosa intende Max Weber per «spirito del capitalismo»? Operativamente si riferisce ad un “individuo storico” ossia di un “complesso di nessi presenti nella realtà storica” unificati nella totalità di un concetto.7 Tuttavia l’oggetto non può essere immediatamente incasellato in una definizione concettuale. È necessaria anzitutto una “illustrazione provvisoria” che dia conto degli elementi singoli e che soltanto a suo termine possa dare un risultato adeguato al punto di vista dell’indagine a venire.8 Può essere utile partire da un polo per arrivare al suo opposto: il tradizionalismo è per Max Weber, quel comportamento che descrive l’uomo come un essere che per natura non vuole guadagnare denaro e sempre più denaro, bensì vivere semplicemente, vivere come è abituato a vivere, e guadagnare tanto quanto è necessario. Richiamando Sombart9, Weber identifica il tradizionalismo in un sistema economico della soddisfazione dei bisogni equiparando il concetto di «bisogno» al «bisogno tradizionale». Tradizionalismo e capitalismo non sono sistemi che si escludono a vicenda: è possibile incontrare un carattere tradizionalistico anche in aziende condotte privatamente al fine di generare profitti tramite l’elaborazione e vendita di lavorati. Invero ad una forma capitalista dell’impresa può corrispondere uno spirito tradizionale di gestione. Il rapporto tra forma e spirito sta in una relazione adeguata, ma non necessaria.10 Altrimenti sono riconoscibili aziende tradizionali condotte con uno spirito capitalistico, e qui Weber fa l’esempio di Benjamin Franklin il quale era colmo di «spirito capitalistico» nonostante la sua stamperia fosse un’azienda di forma tradizionale, praticamente artigianale.11 7 Ivi, p. 70 8 Ivi, p. 71 9 Sombart, Der moderne Kapitalismus,vol. I, 1902, p. 62 citato in M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 87 10 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 87 11 Ivi, p. 88
  • 5. In “Necessari suggerimenti a coloro che vorrebbero arricchirsi” del 1736 ad opera proprio di Franklin, Weber trova e identifica una peculiare filosofia di vita. Una filosofia dell’avarizia, articolata in precetti morali e virtuosi in senso utilitaristico che assurge infine ad una vera e propria etica a cui uniformare la vita. Violare quest’etica non sarebbe per Franklin una follia, ma una negligenza nei confronti dei propri doveri: l’uomo onesto è moralmente tenuto ad incrementare il proprio capitale. Vediamo alcune proposizioni che seppur estrapolate dal testo (1736) sono indici dello «spirito» capitalistico moderno e occidentale: «Il tempo è denaro»; «Il credito è denaro»; «Il denaro ha natura feconda e fruttuosa, [non metterlo a frutto] uccide tutto quello che si sarebbe potuto produrre con esso»; «Chi paga puntualmente è il padrone della borsa di tutti»; «Apparire come un uomo sia preciso e sia onesto aumenta il tuo credito».12 Il punto focale di quest’etica, il guadagno reiterato di denaro, è svuotato di ogni fine edonistico e appare finalizzato a se stesso. L’attività lucrativa non è affatto indirizzata alla soddisfazione di piaceri mondani, alla felicità o utilità del singolo, ma giunge ad essere lo scopo se non il significato della vita dell’uomo. Il guadagno economico (legale) nella modernità è frutto e espressione dell’abilità nella professione. Questa abilità, perseguita come un dovere, è caratteristica dell’etica sociale della civiltà capitalistica. Nell’ottica weberiana è costitutiva: questa maniera di vivere e di concepire la professione, adatta alla natura peculiare del capitalismo, è sorta non in individui singoli e isolati bensì in gruppi umani precedentemente allo sviluppo del capitalismo stesso e per meccanismi di selezione economica ha raggiunto la misura moderna.13 Lo «spirito capitalistico» ha dovuto lottare una dura lotta contro un mondo di forze nemiche tradizionali per arrivare ad affermarsi nello «sviluppo capitalistico». La sua esistenza è perciò logicamente anteriore al fenomeno di massa della modernità e si distingue in maniera netta da quello «spirito» precapitalistico 12 B. Franklin, Necessary hintsto those that would be rich, 1736 citato in Et pr pg 72 13 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 78
  • 6. identificabile nell’impulso al profitto comune a molte epoche e zone del pianeta. L’avidità del mandarino cinese, del patrizio dell’antica Roma (auri sacra fames) o dei moderni agrari può esprimersi addirittura più intensamente, ma sicuramente meno scrupolosamente. Lo scrupolo, il sentirsi moralmente obbligati verso il lavoro, la temperanza e moderazione che accrescono insolitamente l’efficienza e superano la routine tradizionalistica conseguono da un’educazione spirituale.14 Dove questo «spirito» si risveglia e si realizza, esso crea le riserve pecuniarie come mezzi della sua azione e non il contrario, conduce il suo possessore con lucidità ed energia ad attivarsi verso il guadagno - sotto la categoria della vocazione - nei confronti del quale il singolo si sente obbligato. Si può allora «razionalizzare» l’esistenza da punti di vista diversi e soprattutto in direzioni diversissime. Il razionalismo è un concetto storico che comprende in sé un mondo di antitesi e perciò non deve stupire che una condotta di vita assolutamente razionale si sia originata da un elemento irrazionale: la vocazione. 14 Ivi, p. 86
  • 7. 2 L’ETICA PROFESSIONALE DEL CAPITALISMO ASCETICO 2.1 I FONDAMENTI RELIGIOSI DELL’ASCESI INTRAMONDANA I movimenti religiosi che hanno assunto un indirizzo ascetico, senza distinguere fra i programmi e i dogmi ecclesiastici, si posso inserire più in generale all’interno di quel movimento chiamato «puritanesimo». Al suo interno i dissensi dogmatici si sono combinati in maniera molteplice dando origine a basi dogmatiche anche molto differenti che eppure hanno generato un comune effetto pratico sulla condotta etica dei credenti. Sembrerebbe possibile allora soprassedere alle specificazione teologiche delle dottrine protestanti, ma questo non permetterebbe di chiarire quegli impulsi psicologici creati da ciascuna peculiare fede religiosa. Perciò Weber presenta quattro confessioni protestanti identificate in maniera ideal-tipica, con il contenuto di pensiero pienamente sviluppato e nettamente separati, come nella realtà storica accadeva di incontrare solo nelle forme più coerenti.15 Calvinismo: intendiamo non il pensiero di calvino, ma il movimento con la sua forma già assunta alla fine del XVII secolo. In genere si ritiene che il suo dogma più importante16 sia stata la dottrina della predestinazione degli eletti, ma si può conferirgli tanta importanza solo tramite di un giudizio di attribuzione storica che necessita di tenere in considerazione gli effetti esercitati sulla storia della civiltà. Il contenuto di questa dottrina deriva dagli articoli fideistici della «Confessione di Westminster» del 1647 riguardanti il libero arbitrio e l’eterno decreto di Dio. 15 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 160 16 Ivi, p. 160
  • 8. “L’uomo, con la sua caduta nello stato di peccato, ha perduto interamente ogni capacità di volere alcunché di spiritualmente buono e tale da comportare la beatitudine, tanto che un uomo per natura è interamente deviato dal bene e morto nel peccato […]”; “Dio, con la sua decisione ha predestinato alcuni uomini […] alla vita eterna, e altri ne ha predestinati alla morte eterna. Quelli che sono predestinati alla vita Dio, prima che fosse posto il fondamento del mondo, li ha eletti, in Cristo, allo splendore eterno, secondo il suo disegno eterno […] non perché indotto dalla previsione della fede o delle opere buone […] ma tutto a maggior gloria della sua grazia sovrana […] a magnificazione della sua giustizia sovrana.”17 L’immenso dono della grazie non può essere dovuto ad un intervento della creatura tramite prestazioni terrene o qualità della fede, il decreto arcano e orribile di Dio è l’unica fonte della salvezza. L’uomo esiste esclusivamente in funzione di Dio e della sua autoglorificazione maestosa, Dio eternamente bea una parte degli uomini e ne danna un’altra senza che l’influenza umana contribuisca alle sue decisioni libere e stabilite fin dall’eternità. Da questo stato in cui la grazia non può né essere conseguita né perduta deriva un sentimento di isolamento del singolo individuo destinato a percorrere la vita terrena verso un destino già stabilito. Nessun predicatore, nessun sacramento, nessuna Chiesa e nessun Dio aiutano l’uomo, ma egli deve rispettare quest’ultimi in quanto creati da Dio a sua maggior gloria. Tantomeno sono utili gli aspetti sensibili e sensuali della religiosità cattolica: il rapporto è esclusivamente tra l’uomo e Dio perciò, ad esempio, si esortano i fedeli ad astenersi da ogni fiducia nell’aiuto degli uomini e nella loro amicizia, viene eliminata la confessione privata - e quindi il suo effetto sentimentale di una colpa scaricata, uno spirito rigenerato e nuovamente cosciente. Dunque il lavoro del calvinista è orientato al solo scopo di accrescere la gloria di Dio, l’opera sociale non si indirizza verso un «amore del prossimo», ma verso l’ordine naturale delle cose, oggettivo e impersonale. Un carattere veramente e propriamente utilitario seppur estremamente individualista e religioso.18 Per un calvinista è inevitabile chiedersi: sono io un eletto? Come posso io acquistare certezza di questa elezione? 17 Confessione di Fede Riformata di Westminster, 1647 citato in M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 162 18 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 170
  • 9. Dovunque si afferma la dottrina della predestinazione, il problema della ricerca di segni sicuri della propria salvezza non si pone realmente, è quasi un dovere ritenere se stessi eletti, dubitarne sarebbe cedere ad un assalto del diavolo. Significherebbe cedere sicurezza di sé, sintomo di una fede insufficiente ovvero di un’insufficiente azione della grazia. Il lavoro professionale indefesso allora è caldamente raccomandato perché considerato il mezzo più eminente per raggiungere quella sicurezza di sé.19 L’opera buona non è mezzo per la salvezza, né un suo segno sicuro, resta un mezzo tecnico per liberarsi di un’angoscia profonda nei confronti del proprio destino. Il calvinista crea e controlla la certezza della sua propria beatitudine tramite un autocontrollo sistematico di sé stesso, egli è perennemente in dubbio: «eletto o dannato?». L’agire etico di questo credente è la più intensa forma di considerazione religiosa tra quelle considerate da Weber, la tensione del calvinista conduce a erigere a sistema la santità d’opera ovvero una razionalità ascetica puramente intramondana.20 Il monachesimo, ascetismo in fuga dalla vita quotidiana, è sostanzialmente abolito e le forze che prima lo animavano sono ora riversate all’interno del mondo professionale, dall’aristocrazia spirituale dei monaci si passa all’aristocrazia spirituale dei santi nel mondo, predestinati da Dio dall’eternità. Ciò significa che la cristianizzazione abbraccia l’intera esistenza e ingenera una metodicità della condotta di vita etica nei termini di autocontrollo e pianificazione dell’esistenza. La dottrina calvinista è solo una delle varianti puritane, ma la sua forte coerenza interna ed efficacia psicologica la rendono, per Weber, il movimento ascetico esemplare per lo studio della genesi dello «spirito» del capitalismo. Pietismo: Il pensiero della comprova, della certitudo salutis ovvero della certezza della salvezza è punto di partenza di quest’altra corrente ascetica, il pietismo. Sviluppatosi dal calvinismo, il pietismo si caratterizza per una precisa osservazione dei precetti biblici (precisismo), la formazione di conventicole, il pensiero della «nullità dell’esistenza creaturale» e la ricerca sentimentale della comprova. È proprio l’aspetto sentimentale che distingue fortemente 19 Ivi, p. 173 20 Ivi, p. 181
  • 10. calvinismo e pietismo: il sentimento ha la caratteristica di intensificarsi ed affievolirsi nel tempo creando una religiosità isterica, talvolta fiacca – e quindi un sentimento di «lontananza» da Dio – e talvolta estatica. Ciò appare in netto contrasto con l’autocontrollo calvinista, e tuttavia rappresenta un effetto estremo del sentimento pietista. L’effetto pratico dei principi pietistici è un controllo ancora più stretto della condotta della vita nella professione, una visione ancora più religiosa dell’etica professionale.21 I pietisti allargano il campo dell’ascetismo intramondano, essi conducono un’intera vita metodicamente curata e controllata, non solo il suo aspetto professionale. L’intensità della razionalizzazione risulta comunque inferiore rispetto al calvinismo, questo perché da un lato la preoccupazione sentimentale indirizzava verso il presente immediato il pensiero della comprova. Dall’altro lato la sicurezza di sé tipica dei calvinisti è sostituita con quel sentimento di umiltà (o nullità) che non genera lo stesso impulso di sforzarsi a pianificare razionalmente per conoscere la propria beatitudine, qui troviamo la necessità intima di sentire la conciliazione e la comunione con Dio.22 Praticamente, dice Weber, se dal calvinismo può nascere un imprenditore capitalista attivo e affine al duro senso giuridico, dalle virtù coltivate dal pietismo può nascere un impiegato, un operaio, industriali ligi e professionalmente seri.23 Metodismo: Un’altra corrente ascetica seppur sentimentale, e altrettanto in contrasto con alcuni principi calvinistici è quella data dal pietismo anglo-americano che assume da subito il nome di metodismo. Non stupisce allora che il fine di raggiungere «certitudo salutis» è perseguito tramite una condotta di vita sistematicamente metodica. Anche qui la comprova è sentita tramite un’immediata testimonianza dello spirito, ma giunge solitamente verso la fine dell’esistenza, quando il peccato non ha più potere sul metodista. L’esistenza metodica deve raggiungere il sentimento dello stato di grazia, ma il sentimento e la sua ricerca generano un’eccitazione occasionale che non pregiudica la condotta razionale. Così il metodismo si avvicina, negli effetti pratici, al calvinismo molto più che al pietismo germanico.24 21 Ivi, p. 192 22 Ivi, p. 198 23 Ivi, p. 199 24 Ivi, p. 203
  • 11. Pietismo e Metodismo, per il loro carattere tardivo e per il contenuto del loro pensiero, sono considerati da Weber secondari e lasciati da parte nella successiva discussione dell’idea del Beruf, alla quale non hanno contribuito in maniera innovativa.25 Battismo e sette: esponenti autonomi dell’ascesi protestanti sono il battismo e le sette che ne sono derivate: battisti in senso stretto, mennoniti e quaccheri. Queste correnti poggiano su principi eterogenei rispetto alla dottrina riformata, uno dei fondamentali è quello della chiesa dei credenti. La chiesa non è più intesa come una fondazione terrena con finalità ultraterrene, un’istituzione che comprende la totalità dei credenti, per costoro la chiesa è la comunità di coloro che personalmente credono e sono rinati26, una «setta» in altre parole, con le sue caratteristiche esclusive nei confronti di Stato e non appartenenti. E queste sette tendevano a isolarsi dal mondo dei non credenti, seguendo rigorosamente una vita conforme alla Bibbia e controllata strettamente secondo il modello degli apostoli. Il carattere metodico di queste sette è finalizzato al superamento degli impulsi e dell’irrazionalità, delle passioni e della soggettività dinanzi a Dio. La prassi esistenziale sfocia in condotte sobrie, quiete e coscienziose indirizzate verso l’ascesi laica intesa come percorso d’attesa verso la chiamata.27 La fedeltà alla professione è intesa dal fedele come una conseguenza naturale e inevitabile dell’esistenza all’interno del mondo. Gli appartenenti a queste comunità si astenevano dal ricoprire incarichi statali e dal prestare giuramenti per incarichi pubblici, la carica ascetica dunque, secondo Max Weber, si riversa nell’attività lucrativa.28 Se il Beruf nel primo caso pare meno forte della vocazione calvinista, la vita professionale apolitica ingenera conseguenze sullo sviluppo di aspetti importanti dello «spirito» capitalistico che vedremo solo più avanti. Ripercorrendo le correnti descritte un punto cardine del discorso che appare in ognuna è la concezione dello «stato di grazia» religioso. Lo «stato di grazia» è una sorta di status che libera l’uomo dal pensiero della condanna, il suo possesso non può per i riformati 25 Ivi, p. 204 26 Ivi, p. 205 27 Ivi, p. 209 28 Ivi, p. 211
  • 12. essere raggiunto da dispositivi magico-sacramentali, da opere pie o dalla confessione. L’unico mezzo è la comprova, raggiungibile perseguendo una condotta di vita controllata metodicamente ed ascetica, una prestazione non eccezionale come nel caso dei monaci, ma indispensabile per chiunque volesse essere certo – o sentire – la propria salvezza. L’ascesi cristiana viene sul mercato della vita29 chiudendosi alle spalle la porta del convento e imprende a pervadere la vita quotidiana mondana di metodicità e razionalità nel mondo, ma non per il mondo. 2.2 ASCESI E SPIRITO CAPITALISTICO Si può a questo punto trattare il puritanesimo come un fenomeno unitario e prenderne come punto più coerente quella corrente inglese del calvinismo nella quale troviamo un gran numero di scritti teologici nati dalla prassi della cura delle anime. Tra essi Weber mette in evidenza quelli di Richard Baxter, presbiteriano e apologeta del sinodo di Westminster, che attraverso il Christian Directory e L’eterna quiete dei santi ha promosso ampiamente la vita etico- religiosa. In questi veri e propri compendi di teologia morale troviamo giudizi fondamentali sulla ricchezza e sulla sua acquisizione.30 “La ricchezza in quanto tale è un grande pericolo, le sue tentazioni sono continue, il suo desiderio e la sua ricerca non sono solo assurdi, rispetto al valore incomparabilmente superiore del Regno di Dio, sono anche moralmente incresciosi.”31 Ciò che viene severamente condannato sono l’adagiarsi nel possesso e il godimento della ricchezza che conducono all’ozio e alla cupidigia ovvero alla deviazione dalla vita «santa». Il possesso è increscioso per il suo implicito pericolo, ma l’agire è, come abbiamo visto, necessario ad accrescere la gloria di Dio. Perciò perdere tempo è, tra i peccati, uno dei più gravi. B. Franklin dirà: «il tempo è denaro», ma ritornando verso un senso più spirituale, ogni ora persa è un’ora sottratta al lavoro al servizio della gloria di Dio. Il lavoro è 29 Ivi, p. 214 30 Ivi, p. 216 31 Ivi, p. 216
  • 13. lo scopo stesso della vita prescritto da Dio, dunque l’avversione al lavoro è sintomo dell’assenza dello stato di grazia. “Non si lavora solo per vivere, ma si vive per il lavoro, e se non si ha più da lavorare si soffre o ci si addormenta”32. Dio non pretende il lavoro in sé, ma il lavoro professionale- razionale che è pervaso da quel carattere metodico-sistematico dell’ascesi intramondana. E l’utilità di una professione si valuta sì secondo criteri etici e utilitaristici, ma soprattutto attraverso il profitto economico privato33 perché è Dio stesso che indica la strada verso il guadagno, a sua maggior gloria. Il cristiano ha il dovere di approfittarne, non farlo contrasterebbe lo scopo della propria chiamata. Voler essere povero avrebbe lo stesso significato di voler essere malato e peccherebbe oltretutto di pigrizia. Così l’interpretazione provvidenziale delle opportunità di profitto è la sublimazione etica dell’uomo d’affari.34 L’ascesi intramondana combatte con forza il godimento del possesso, indica vie di restringimento del consumo (vestiti, cibarie, leisures), in particolar modo quello di lusso. Eppure da quel fondamentale impulso psicologico liberatorio nei confronti dell’attività lucrativa – inibito nello «spirito» tradizionale – dandogli addirittura la particolarità di essere voluta da Dio. Come una forza “che vuole sempre il bene e crea sempre il male”35 l’ascesi e i suoi limiti interni hanno generato esternamente risultati quali la formazione di capitali e il loro investimento produttivo, ma ancor più importante è la tendenza alla condotta di vita borghese, economicamente razionale. Si battezza l’homo oeconomicus moderno. E così come l’intera storia degli ordini religiosi conventuali è una continua storia di lotta col problema dell’azione secolarizzatrice del possesso36, allora il susseguirsi delle correnti puritane tiene lo stesso significato: è certo che questi ideali puritani non hanno retto a una troppo ardua prova, che coloro che si arricchiscono sono anche assai spesso pronti a rinnegare i vecchi ideali. 32 Plitt, Zinzerdorfs Theologie,vol. I, p. 428 citato in et pr p. 314 nota 219 33 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 221 34 Ivi, p. 222 35 Goethe, Faust, citato in M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 231 36 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 233
  • 14. “Temo [che] dovunque si è moltiplicata la ricchezza, il contenuto della religione si è impoverito in uguale misura. […] non abbiamo il diritto di impedire alle persone di essere diligenti e parsimoniose. Non possiamo fare a meno di esortare tutti i cristiani a guadagnare quanto possono, e a risparmiare che cosa possono, ossia a giungere al risultato di arricchire.”37 Spiega Wesley che quei movimenti religiosi hanno dispiegato in virtù dell’educazione ascetica un’azione economica solamente dopo che l’acme dell’entusiasmo puramente religioso era già stata oltrepassata.38 Il retaggio lasciato dall’epoca religiosa, una coscienza utilitaristica dell’attività lucrativa purché condotta in maniera legale è ormai specificatamente un ethos professionale specificatamente borghese.39 L’imprenditore ora può – o meglio deve – perseguire i suoi interessi lucrativi purché in maniera legale e senza fare un uso scandaloso dei suoi beni. Addirittura trova a sua disposizione operai sobri e coscienziosi convinti che la distribuzione ineguale delle ricchezze sia opera della volontà eterna e provvidenziale di Dio. Weber ci dice che il puritano volle essere un professionista, noi lo dobbiamo essere. Quando l’ascesi passa dalla dimensione conventuale a quella intramondana, essa contribuisce al fondamento dell’ordine economico moderno – legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica – che oggi determina con una forza coattiva invincibile lo stile di vita di tutti gli individui che sono nati entro questo grande ingranaggio40. Per Baxter i santi puritani si preoccupavano dei beni esteriori come di un «leggero mantello che si potrebbe sempre deporre», ma – aggiunge Weber – il destino ha voluto che il mantello si trasformasse in una gabbia di durissimo acciaio41. I beni esteriori hanno acquistato potere sugli uomini, fino a diventare un potere ineluttabile e lo «spirito» è fuggito dal mantello prima che si indurisse in gabbia: il capitalismo non ha più alcun bisogno di questo sostegno spirituale per riprodursi, e si poggia ormai su di una base 37 John Wesley, metodista inglese del XVIII secolo cit. in Leben Wesley di Southey citato in M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 234 38 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013 p. 234 39 Ivi, p. 235 40 Ivi, p. 239 41 Ivi, p. 240
  • 15. meccanica. Weber si chiede quali saranno gli uomini destinati a vivere nella gabbia, se rinasceranno profezie e ideali o se, veri e propri ultimi uomini42, saranno pietrificati nella meccanizzazione ed inevitabilmente specialisti senza spirito ed edonisti senza cuore43 convinti di essere ascesi ad un livello di umanità mai prima raggiunto. 42 Che cosa è amore? Che cosa è creazione? Che cosa è nostalgia? Che cosa è stella? Così chiede l'ultimo uomo e ammicca. […] Noi abbiamo inventato la felicità, dicono gli ultimi uomini, e ammiccano. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra,Newton Compton 2014, p. 49 43 M. Weber, L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo,2013, p. 241