1. B&P Articles (Maggio 2019):
VOGLIAMO DIVENTARE
“EVOLUZIONARI”?
di Giuseppe De Feo
2. Baglietto & Partners Articles, Aprile 2019 Pagina: 2
VOGLIAMO DIVENTARE “EVOLUZIONARI”?
In quest’ultimo decennio, alcuni autori
hanno iniziato ad esplicitare in modo
diretto - e ricco della giusta enfasi - quello
che si potrebbe vedere come un nuovo
meta-modello organizzativo. Sempre più
spesso hanno posto sfide innovative e
dato risposte creative alla tematica del
cambiamento delle organizzazioni nei
contesti oggi sinteticamente qualificabili
come VUCA. Alle tensioni create in
economia e nella società, alle popolazioni
e alle persone, da un macrosistema
volatile, incerto, complesso e ambiguo,
purtroppo la maggioranza delle
organizzazioni - soprattutto nei contesti
business - non reagisce nel modo più
determinato e sano. Si deve considerare
che le organizzazioni profit-oriented
resistono fortemente, per cultura e per
“determinismo economico”, a prospettive
aperte, non gerarchiche, non orientate ad
obiettivi di breve termine, non orientate al
comando e controllo – a prescindere dai
formali, ripetitivi e ritualistici tributi nei
confronti di una leadership di volta in
volta diffusa o servant o inspirational.
Una ossessiva pratica
di orientamento ai
risultati, che non è
solo gestionale, ma si
fa anche sempre più
spesso valore, mito,
istituzione culturale
nella società più
allargata, rappresenta
il dominio di una
razionalità tecnica che
troppo spesso va
contro le esigenze
della persona umana.
Altro che “società liquida”, si può più
realisticamente parlare di società
monolitica solidificata intorno al mito
dell’efficienza a tutti i costi, nei fatti anche
in contrasto con l’efficacia, la
soddisfazione di tutti gli stakeholder, il
benessere e il buonsenso. Per
comprendere meglio ciò che intendo,
basterà considerare i frequenti paradossi
della stupidità in cui incappano le grandi
burocrazie meccanicistiche; o pensare ai
progetti in corso per il brain hacking,
promossi dai colossi di Internet, al cui
confronto le intuizioni orwelliani sono
solo una pallida anticipazione. Come
sappiamo, culture ossessivamente
dominate dalla ricerca dei risultati sono
paradossalmente in grado di far esprimere
una percentuale molto bassa del
potenziale umano, il 20 o 30% circa,
occupate come sono a massimizzare il
controllo, le procedure, i meccanismi di
filtro e di blocco, i sistemi di conformismo.
E in più funzionano per le persone alla
stessa stregua del ruolo giocato dalla
dopamina all’interno dei meccanismi
chimico-biologici del corpo umano: è una
“droga” che dà soddisfazione forte nel
breve tempo, esaurisce il suo effetto così
da richiedere nuove dosi continuative (si
pensi alla dipendenza da alcol e droghe,
favorita nel nostro organismo proprio da
questo neurotrasmettitore). Una
organizzazione sana, che sappia liberare il
potenziale delle persone, fondandosi sulla
loro libertà e creatività, favorisce un
processo simile a quello attivato
dall’ossitocina, un piacere sano,
appagante e duraturo che produce
l’energia necessaria a nuove sfide.
3. Baglietto & Partners Articles, Aprile 2019
accademiche (se ne parla da oltre 20
anni). Ciò che è innovativo è la
prospettiva radicale della dimensione
individuale all’interno di questa visione
del mondo: la nuova consapevolezza
dell’uomo favorisce e consente
l’affermarsi di modelli socio-organizzativi
aperti e di piena responsabilità diffusa. Il
ruolo delle aziende più consapevoli e dei
leader più attenti ai profili etici e
umanistici sarà quello di trovare una via
specifica e distintiva per coniugare queste
nuove concezioni dell’uomo e
dell’organizzazione e questi nuovi modi di
gestione – già realizzati, del resto, in molti
esempi pionieristici – con le esigenze e i
vincoli dei contesti competitivi.
Come elaborare creativamente questa
visione complessa di tutte le criticità che
ci sono di fronte, come la riflessione
anche nel campo del management ci
possa aiutare a realizzare il nostro
personale approdo in orizzonti più
gratificanti e rassicuranti degli attuali,
sono i temi che possiamo individuare a
questo punto.
Nel seguire il desiderio di illustrare un
nuovo modo di fare organizzazione,
coerente con le qualità “evoluzionarie”
della natura umana, in questa seconda
parte di questo testo voglio indicare una
delle possibili tracce di percorso per gli
individui e le organizzazioni.
Le più aggiornate riflessioni contro
corrente rispondono con un
atteggiamento critico radicale e
umanistico. In altre parole, non si
rivolgono solo alle aziende, né alle
organizzazioni in genere, ma collocano la
sfida del cambiamento anche al livello
della persona – valorizzando dunque una
prospettiva olistica, etica e umanistica,
oltre che economico-aziendale.
Viene identificato il perché organizzativo
e individuale quale leva per rifondare le
organizzazioni – mettendo in secondo
piano come semplicemente strumentali il
come e il cosa. Si sottolinea poi il valore
dell’empatia e della prospettiva:
la prima, dal duplice punto di vista
personale e sociale; la
seconda, nel senso di
indicare il valore di un
approccio globale e
potenzialmente infinito
ai temi della
competizione, come
crescita e
costante miglioramento di sé, piuttosto
che ridursi ad una visione ristretta di lotta
contro ogni singolo competitor.
È affascinante la possibilità di leggere la
storia dell’evoluzione dei modelli
organizzativi attraverso i secoli, in
parallelo con la crescita sociale e di
consapevolezza dell’uomo, così come dei
paradigmi tecnologici e politici. Ciò per
arrivare ad affermare l’esigenza, oggi, di
un nuovo modello complessivo di
governo dell’economia e della società –
coerente con la crescita della nuova
consapevolezza dell’uomo. Gran parte di
queste argomentazioni, ed i numerosi
esempi pratici su cui si basano, ci
rimandano al concetto dei Self Managing
Team, nient’affatto nuovo nelle riflessioni
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staff, seguendo le loro spontanee capacità
di coordinamento e la legge dello scopo
profondo della loro organizzazione, che si
sono dati in pieno e reciproco accordo. Gli
esempi di realizzazioni concrete che
vengono forniti sono davvero
incoraggianti, e insieme mi rendono
convinto della necessità di una certa
“strutturazione della consapevolezza” e
della pratica di una precisa metodologia.
Qui sta il punto: gli individui - e
auspicabilmente le organizzazioni che
possono sostenerli - devono rendersi
conto del percorso da intraprendere per
realizzare qualsiasi cambiamento
personale (primo passo essenziale per i
cambiamenti agli ulteriori livelli sociali e
organizzativi). Il percorso è valido per tutti
i processi di apprendimento e,
necessariamente, per quelli di
cambiamento personale: lo si può
dividere in due blocchi logici. Il primo è
quello introspettivo, e consiste
nell’acquisizione di consapevolezza (di sé,
dell’interesse al cambiamento, di gap da
colmare o di mete da superare) e nella
cura del desiderio di un cambiamento
possibile (dell’impegno correlato).
I passi successivi sono quelli
dell’attivazione, articolata in conoscenze,
abilità e rinforzo. Le nuove conoscenze
sostengono il nostro cambiamento
ponendosi come il primo passo della
propria attivazione verso un nuovo stato
(un nuovo mondo ci si apre dinanzi!). Poi
seguono le abilità pratiche per rendere
credibile e concretizzabile il
cambiamento. Infine, dobbiamo ottenere
un rinforzo positivo dal nostro contesto
(personale, familiare, sociale, aziendale),
affinché la crescita non sia velleitaria e
autoreferenziale. Quando le persone
vivono intensamente in queste nuove
Ricordando la metafora dell’ossitocina,
l’ormone della felicità, teniamo presente
il meccanismo positivo del cosiddetto
flusso, attivo nei momenti della nostra
vita in cui le energie si liberano e scorrono
senza intoppi, e – presi in un’attività
gratificante – non ci rendiamo conto del
passare del tempo e produciamo liberi e
felici. Ciò evidentemente è possibile solo
se riusciamo ad equilibrare la tensione
delle sfide che ci si parano davanti con la
qualità e spessore delle nostre
conoscenze. E questo è un obiettivo che
dovrebbe essere preso in carico da
qualsiasi sistema educativo, istituzionale
o aziendale, così come da ognuno di noi,
allorché ci si voglia mettere alla guida dei
nostri processi di apprendimento e di
cambiamento. Di più, le riflessioni
contemporanee più critiche ritengono che
tale compito educativo-“evoluzionario”
sia compito dei nostri contenitori sociali,
in primo luogo le organizzazioni di lavoro;
ma - allo stesso tempo - non ripongono
eccessiva fiducia nelle attuali
configurazioni aziendali. Tanto che molti,
con visionario pragmatismo, propongono
le nuove forme di auto-organizzazione
nelle quali individui liberi lavorano
autonomi da regole sovraordinate e da
procedure decise da qualche distante
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configurazioni diventano capaci di
ascoltare e seguire lo scopo
“evoluzionario” delle stesse, che emana
spontaneamente da un assetto integrato
tra organizzazioni, persone, ambiente e
relazioni. Le persone possono così
produrre basandosi su un ricco capitale
sociale, fatto di fiducia, in se stessi, nei
colleghi e all’interno del sistema degli
stakeholder organizzativi.
Nei contesti basati sulla fiducia all’interno
di un paradigma di auto-organizzazione,
ciascuna persona comunica e riproduce il
sense making organizzativo. Ciascuno
diviene guida e follower in una relazione
di ricca reciprocità con i suoi colleghi.
Questo è il contesto nel quale il
potenziale di ogni singolo individuo e dei
gruppi può manifestarsi appieno e
produrre evoluzione costante,
cambiamento e crescita; a livello sociale e
economico-politico, si produce valore nel
rispetto del sistema sociale e
dell’ambiente. E tutto, evidentemente, ciò
può darci la misura del valore profondo
per tutti noi di queste configurazioni
future.
Alcune letture che mi hanno stimolato:
• Simon Sinek, Partire dal Perché, Franco
Angeli, 2014
• Yuval Noah Harari, 21 lezioni per il XXI
secolo, Bompiani, 2018
• Martin P. Seligman, Flourish - A new
understanding of happiness and well-
being, Nicholas Brealey Publishing,
2011
• Frederic Laloux, Reinventare le
organizzazioni, GueriniNEXT, 2016
• Jeff Hiatt, ADKAR - a model for change
in business, government and our
community, PROSCI, 2006
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