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Lo speziale prima e il farmacista poi, per la funzione sociale della
professione, appaiono come i tipici rappresentanti della media borghesia
propensi ad accettare insieme alle innovazioni scientifiche anche le nuove
istanze politiche “rivoluzionarie”, fornendo in tal modo un
contributo al movimento risorgimentale.
Nell’Ottocento le farmacie non sono solo un luogo di preparazione
e vendita dei prodotti medicinali ma anche punti di socializzazione
e politicizzazione. I loro retrobottega servono sia per le
preparazioni magistrali sia per la preparazione culturale degli
intellettuali e dei cospiratori massoni e carbonari.
“Lo speziale teneva conversazione sull’uscio della bottega, al
fresco, col vicario e qualcheduno altro. Siccome sapeva di lettera,
leggeva la gazzetta e la faceva leggere agli altri e ci aveva anche
la storia della rivoluzione francese”. Questo ritratto che Giovanni
Verga (1840-1922) fornisce della figura dello speziale ne “I
Malavoglia” coglie bene il suo importante ruolo nel primo
Ottocento, simile nella realtà siciliana come in quella dell’intera
penisola.
L’atteggiamento progressista del “laico” farmacista emerge anche
dal suo costante impegno di usare i rimedi farmacologici per cura
del corpo, nelle sue componenti fisiche e intellettuali,
affiancandosi in questa impresa al medico e al maestro elementare.
Si forma in tal modo una triade - medico, farmacista, maestro -
che svolge un ruolo non secondario nell’evoluzione culturale,
Nell’Ottocento le farmacie non sono solo un In
questa opera lo affianca spesso una figura
“religiosa”, il prete, che preposto
primariamente alla cura dell’anima, non
disdegna d’accompagnare le direttive morali
con consigli igienici e distribuzione di
medicinali, per i quali, nei centri più piccoli, è
dotato di un vero e proprio “armadio
farmaceutico” che funge da piccola farmacia
ambulante.
Due farmacisti piemontesi, Carlo Giuseppe
Ferraris (1792-1859) e Giacomo Brunetti,
sono tra i principali protagonisti del primo
movimento insurrezionale della penisola
mentre Giuseppe Biglia (1803-1833) di
Mondovì, membro della Giovane Italia e poi
fucilato, è alla testa dei moti genovesi del 1831.
Non a torto, quindi, le farmacie vengono
guardate con sospetto dalla polizia.
Mentre in Europa il nichilismo terapeutico (il
medico fatta la diagnosi deve ritenere esaurito
il suo compito astenendosi dal prescrivere
farmaci) teorizzato dal clinico medico di
Vienna Joseph Skoda (1805-1881) lasciava il
posto a una sempre più razionale farmacologia
terapeutica basata sull’uso degli “estratti”
chimicamente puri delle piante medicinali, in Italia i
fisiologi Jakob Moleschott (1822-1893) e Moritz
Schiff (1823-1896) e il farmacologo Amaldo Cantani
(1837-1893) diventano i portabandiera di questo
“nuovo corso” medico-farmacologico.
L’esigenza di poter disporre di una produzione più
abbondante dei “principi attivi” puri estratti dalle
piante da un lato e la nuova “tecnologia terapeutica”
dei farmaci di sintesi è parte di quel più ampio
processo, iniziato sul finire del Settecento e tuttora in
corso, che è l’avvento della tecnologia in medicina.
Nell’Ottocento la nascita della clinica, con l’esigenza
di misurare e rendere il più oggettiva possibile la
malattia, comporta l’impiego crescente di “tecnologie
mediche”: il termometro per la temperatura; lo
stetoscopio per sentire i rumori patologici interni;
il cistoscopio, l’oftalmoscopio e il laringoscopio, che
consentono di vedere dentro la vescica, l’occhio e la
gola; i raggi X che permettono di “fotografare
l’invisibile”; lo sfigmomanometro che fornisce i
valori della pressione arteriosa;
l’elettrocardiogramma e l’elettroencefalogramma che
per la via intramuscolare o endovenosa; capsule o
compresse, in sostituzione delle pillole, meno
pratiche e di composizione più imprecisa, per la via
orale.
Nel 1820 è ottenuto da Pelletier e Caventou il
principio antimalarico Chinino, il primo e forse
l’unico chemioterapico specifico utilizzato
empiricamente prima della scoperta dell’agente
eziologico di una malattia infettiva.
Nel 1832 Robiquet estrae la codeina dall’oppio.
Sempre nel 1832 il farmacista-scienziato Giovanni
Semmola (1793-1865) con la pubblicazione del
Saggio chimico sulla preparazione, facoltà ed uso
dei medicamenti e nel 1854 pubblicando il Trattato
di farmacologia e terapia generale sottolinea la
necessità di studiare la costituzione fisica e chimica
dei rimedi in rapporto ai cambiamenti chimici che
essi inducono nei tessuti e negli umori.
Tra il 1833 e il 1838 il farmacista-scienziato
Giacomo Andrea Giacomini (1796-1849) pubblica
un Trattato filosofico sperimentale dei soccorsi
registrano la “voce” del cuore e il “linguaggio” del cervello. Anche la terapia medica esige nuove
forme di somministrazione per gli efficaci farmaci sintetici: siringhe metalliche o di vetro per la
via intramuscolare o endovenosa; capsule o compresse, sintetici: siringhe metalliche o di vetro
terapeutici in cui si sforza di superare l’empirismo facilone dei farmacisti e dei medici
contemporanei affermando l’importanza di una controprova nella valutazione dell’efficacia
terapeutica di un medicamento.
Sin dal Medioevo i boticários portoghesi si ritrovano prevalentemente in due tipiche
corporazioni: la Bandeiras do Ofício de S. Miguel con funzioni prevalentemente professionali
e la Confrarias dos Santos Cosme e Damião con funzioni religiose.
Nel 1835 nacque la Sociedade Farmacêutica Lusitana che ebbe intensa attività di laboratorio e
di studio di farmacologia, bromatologia, igiene, chimica e pubblicò dapprima dal 1836 il Jornal
da Sociedade Farmacêutica de Lisboa e, poi, dal 1839 al
1933 il Jornal da Sociedade Farmacêutica Lusitana
(l’attuale Revista Portuguesa de Farmácia) constituendo
un’importante contributo alla scienza farmaceutica in
Portogallo. I primi trenta anni della Sociedade si
caratterizzarono per un grande interventismo in campo
politico-professionale: direttamente o indirettamente essa
influenzò le riforme e la produzione legislativa più
importante per la farmacia portoghese; la sua campagna per
la riforma degli studi e dell’esercizio farmaceutico fu
incisiva e produttiva; nel 1836 fu creato il corso
farmaceutico annesso alla Facoltà di Medicina di Coimbra
ed alla Scuola Medico-Chirurgica di Lisbona e Porto, nel
1837 fu creato il Conselho de Saúde Pública che centralizzò
tutta l’amministrazione sanitaria ed era composto da 5
medici e 2 farmacisti, oltre 5 altri membri.
terapeutici in cui si sforza di superare l’empirismo facilone dei farmacisti e dei medici
contemporanei affermando l’importanza di una controprova nella valutazione dell’efficacia
terapeutica di un medicamento.
Sin dal Medioevo i boticários portoghesi si ritrovano prevalentemente in due tipiche
corporazioni: la Bandeiras do Ofício de S. Miguel con funzioni prevalentemente professionali
e la Confrarias dos Santos Cosme e Damião con funzioni religiose.
Nel 1835 nacque la Sociedade Farmacêutica Lusitana che ebbe intensa attività di laboratorio e
di studio di farmacologia, bromatologia, igiene, chimica e pubblicò dapprima dal 1836 il Jornal
da Sociedade Farmacêutica de Lisboa e, poi, dal 1839 al Nel 1835 la Farmacopeia Geral
portoghese è sostituita dal Código Farmacêutico Lusitano di Agostinho Albano da Silveira
Pinto (1785-1852) che, dopo un po’ di tempo, è approvato come Farmacopea Ufficiale del
Brasile.
Nel 1836 nasce il Corso Superiore farmaceutico in Portogallo presso la Scuola di Farmacia
annessa alla Facoltà di Medicina dell’Università di Coimbra e alle Scuole Medico-Chirurgiche di
Lisbona e Porto.
Nel settore del commercio delle droghe
aromatiche ed officinali fu specificato il 16
marzo 1839 con le Real Patenti l’obbligo di
una certa competenza attraverso “un esame
sulla cognizione dei semplici e sul modo di
essiccarli e conservarli”.
Gli affari sanitari in Spagna a partire dal
1839 diventano responsabilità del Ministero
della Gobernazione.
In Turchia nel maggio 1839 il Sultano inaugurò
la Scuola Imperiale di Medicina e Farmacia,
struttura che, grazie al suo direttore Charles
Ambroise Bernard, si fece carico delle spese
degli allievi più meritevoli e li inviò a completare
gli studi in prestigiosi Atenei d’Europa.
In Italia a causa della frammentazione politico-
territoriale preunitaria, il processo di assimila
zione delle nuove idee scientifiche medico-
farmacologiche fu complesso e lento.
I Congressi degli scienziati, che si sono succeduti
regolarmente dal 1839 all’Unità, in un periodo
di difficili relazioni culturali non solo con i paesi
stranieri, ma anche con le città italiane vicine,
hanno rappresentato i primi convegni scientifici
dell’Italia, ma non ancora i primi congressi degli
italiani.
Si ignora la nuova medicina, la grande
fisiopatologia sperimentale franco-tedesca di
Rudolf Virchow (1821-1902) e di Claude Berard
(1813-1878), che studia in chiave cellulare e
fisico-chimica le strutture e le funzioni
dell’organismo sano e malato, e la microbiologia
di Louis Pasteur (1822-1895).
Non s’avverte la consapevolezzache la nuova farmacologia è la “chimica organica e fisiologica”
dei francesi Antoine François de Fourcroy (1755-1809) e François Magendie (1783-1855) e dei
tedeschi Justus von Liebig (1803-1873), Rudolf Buchheim (1820-1879) e Carl Binz (1832-
1912) che spiega l’interazione tra farmaco e organismo, rendendo
possibile prevedere gli effetti sul secondo del primo, che non è più il sem-
plice vegetale, ma il principio attivo da questi isolato e purificato: il chinino
dalla china, la morfina dall’oppio, la stricnina dalla noce vomica, la caffeina
dal caffè, la nicotina dal tabacco.
Nel 1842 un Regolamento Protomedicale Sardo vincolava l’apertura di
una nuova farmacia, nelle località in cui già ne esisteva una, all’insuf-
ficienza ai bisogni della popolazione del servizio da essa espletato;
disponeva, poi, per mezzo di persona delegata dal Protome-
dico, il controllo dell’importazione di medicinali e droghe
per uso pubblico nel Regno; sanciva il divieto di sdogana
mento di medicinali e droghe nocive in importazione.
Nel 1845 in Francia il caso di una sposa dal nome Lafarge
che avvelenò il marito con l’arsenico incoraggiò lo Stato ad
emanare una legislazione sui veleni più rigorosa di quella in
uso dai tempi dell’Ancien Régime. Fu emanata una lista di 72
sostanze considerate velenose tra cui molti derivati dell’oppio.
Nel 1847 è realizzata da C. Mallaina e Q. Chiarlone la prima
opera spagnola dedicata alla Storia della Farmacia in Spagna.
L’insurrezione del 1848 ha come valoroso combattente Carlo Matteucci
(1811-1868) di Forlì, farmacista, fisico e professore universitario, futuro senatore e Ministro
della Pubblica Istruzione nell’Italia unita nel 1862.
Accanto a lui sono il farmacista modenese
Francesco Selmi (1817-1881) e l’insigne
farmacologo piacentino Dioscoride Vitali (1832-
1917), poi tra gli estensori della prima Farmacopea
Ufficiale italiana.
Verso la metà del XIX secolo, sotto la spinta di
europeizzazione voluta dal Sultano, in Turchia
apparvero nuove officine i cui proprietari erano
stranieri (tra le insegne: farmacia ungherese,
farmacia Pasteur, farmacia d’Inghilterra).
Durante il XIX secolo fiorì quello splendido
periodo della storia della farmacia che va sotto il
nome di positivismo.
Proprio per merito del farmacista, inoltre, in questo
secolo nasceva la scienza chiamata Farmacognosia
che aveva il compito di individuare nei semplici, da
sempre usati nella tradizione medico pratica, quella
aleatoria e fantomatica “forza vitale” sanante,
ritenuta frutto di intervento divino o di oscure
influenze astrologiche, e collocarla sotto una precisa
categoria di ordine chimico.
Gran parte delle farmacie diveniva una piccola
officina dove, con l’ausilio dei moderni mezzi e
della nuova mentalità sperimentale tipicamente positivista, il farmacista scopriva - sulla base di
indicazioni popolari e tradizionali - nuovi farmaci.
Da allora, ad esempio, si scoprirono più di duemila alcaloidi e altrettanti glucosidi, nonché
innumerevoli composti di svariata natura chimica con indicazioni terapeutiche clinicamente
sperimentate.
Nella seconda metà dell’Ottocento la rivoluzione farmacologica determinata dalla nascita dei
farmaci per sintesi chimica (non estratti di sostanze vegetali, animali o minerali, ma composti
“costruiti” artificialmente in laboratorio) avvia il processo di industrializzazione della produ-
zione farmaceutica, facendo del farmaco la specialità farmaceutica,
ovvero sia un ritrovato facilmente disponibile e innovativo per le sue
grandi capacità curative sia un oggetto di profitto economico e sotto
posto alle rigide regole del mercato commerciale.
Inizia in tal modo una nuova fase della farmacologia ottocentesca
che porta a un’autentica rivoluzione terapeutica nata nella Germania e
nella Svizzera tedesca, contesto scientifico-economico particolare: dedito
alla tecnica e alla meccanica, attento alla sperimentazione e nelle
cui università fisica, chimica e fisiologia vengono sottoposte a un
accurato vaglio critico che le rinnova completamente.
Inoltre, la possibilità di accedere facilmente a grandi capitali eco-
nomici favorisce l’iniziativa industriale. Sul piano culturale una
etica protestante derivata dalla dottrina calvinista, che porta gli
individui a dedicare il proprio tempo e le proprie energie ad atti-
vità meritorie come il lavoro, contribuisce a esaltare le doti
imprenditoriali dei commercianti svizzeri e tedeschi.
Complemento di questo spirito razionale è l’etica faustiana, il senso di supremazia sulla natura e
sulle cose, con la capacità di adattare i mezzi ai fini.
É qui che, favorita anche dalla nascita di nuovi coloranti sintetici per l’industria tessile e dalla
scoperta della loro capacità di interagire con gravi effetti tossici con l’organismo umano, si fa
strada l’idea che sia possibile ottenere prodotti farmaceutici per sintesi chimica, cioè costruiti
artificialmente in laboratorio. Bayer e Hoechst (1863), BASF (1865) e Schering (1871) in
Germania, CIBA & Geigy (1884), Sandoz (1886) e Hoffman-La Roche (1894) in Svizzera sono
le prime e principali fabbriche di coloranti che iniziano a pro-
durre farmaci destinati a divenire, in pochi decenni, la loro
principale produzione.
Fenacetina (Bayer, 1887), Antipirina e Piramidone
(Hoechst, 1884), Aspirina (Bayer, 1899) sono i primi veri
farmaci sintetici attivi sull’uomo, in grado di contrastare
efficacemente febbre e dolore.
Al nascere del Regno d’Italia l’industria chimica italiana era
ancora agli albori o quasi inesistente.
In Italia l’eco degli eventi svizzeri e tedeschi giunge in ritardo
e assai attenuato, per le arretrate condizioni politico-
economiche, ma anche per la sua diversa tradizione culturale e
scientifica. Nei Paesi di lingua tedesca l’industria farmaceutica
sorge come continuazione o filiazione di quella chimica dei
coloranti, nei Paesi di lingua latina prende avvio direttamente
dai numerosi laboratori farmaceutici che nell’Ottocento
iniziano ad affiancare le botteghe degli speziali.
Se in Germania e in Svizzera nascono commercianti-industriali e chimici-imprenditori, in Italia e
in Francia emerge la nuova figura del farmacista-imprenditore, che trasforma gradualmente
la propria “officina medicinale”, sita dietro la bottega, in stabilimento.
Tre fattori determinano questa evoluzione dalla farmacia-laboratorio allo stabilimento
farmaceutico: l’importanza attribuita ai rimedi vegetali, la peculiarità della “cultura latina”, la
forte influenza della famiglia sull’impresa.
In Italia, come in Francia, poi, i primi laboratori
farmaceutici in grado di preparare i nuovi medicinali, anche
in quantità importanti, nacquero con scarso o nullo supporto
finanziario dalla Farmacia e, quindi, ad opera di farmacisti
che, sensibili ai progressi della terapia, erano desiderosi di
realizzare i nuovi medicamenti che via via venivano
scoperti o sintetizzati.
Inoltre, l’italiano (come del resto il francese) è sovente un
piccolo imprenditore che agisce per proprio conto o al
massimo in nome di pochi altri, un conservatore che ama la
propria indipendenza, con una mentalità che trova
spiegazione nella forte influenza della famiglia
sull’impresa: una famiglia che non è solo unità sociale, ma
anche unità di produzione e struttura portante dell’attività
economica.
É evidente che un’impresa su base familiare non poteva pa
ragonarsi o competere con imprese che potevano contare su
un grande capitale, come le industrie svizzere o tedesche, condu-
conducono un’aggressiva politica commerciale. É evidente che un’impresa su base familiare non
poteva paragonarsi o competere con imprese che potevano contare su un grande capitale, come le
industrie svizzere o tedesche, conducendo un’aggressiva politica commerciale. Questi elementi si
ritrovano, con accentuazioni diverse, non solo nei farmacisti-industriali “maggiori” (come
Giovanni Battista Schiapparelli (1795-1863), che inizia la sua attività a Torino nel 1824, Carlo
Erba (1811-1888) che produce farmaci a Milano dal 1837 e Lodovico Zambeletti (1841-1890)
che, sempre a Milano, fonda il laboratorio chimico-farmaceutico nel 1866), ma anche in quelle
figure “minori” che pure sono protagoniste dei loro tempi per l’inventiva e l’iniziativa dimostrate:
a Firenze Pietro e Carlo Malesci o Lorenzo Manetti, a Milano Antonio e Battista Cassia od
Onorato e Gian Antonio Dompè, a Cupramarittima, nelle Marche, Nicola e Clemente
Ciccarelli, a Correggio Silvio Recordati a Piacenza Antonio e Camillo Corvi e così via.
La Spagna nel 1852 fu il primo Paese ad includere la Storia della Farmacia in corsi di studio
farmaceutici.
Nel 1853 il generale Lamarmora costituì il ruolo dei Farmacisti Militari che assunsero la
direzione e la gestione del disimpegno farmaceutico presso le farmacie di alcuni ospedali militari.
Contemporaneamente a Torino fu costituito il deposito di farmacia militare fornito di un
laboratorio chimico-farmaceutico incaricato di effettuare preparazioni per il Servizio Sanitario
Militare, inglobando anche il Laboratorio del Chinino con sede nei dintorni. Esso vanta come
peculiarità la produzione di prodotti non reperibili in commercio, i cosiddetti farmaci orfani,
come ad esempio il chinino in fiale, presente in tutte le farmacie militari e richiesto da diversi enti
pubblici.
Nel 1853 è realizzata dal francese A. Phillippe la prima opera francese dedicata alla Storia della
Farmacia in Francia.
In Romania lo Stato prima del 1859 aveva imposto l’uso della Farmacopea austriaca e della
Tariffa viennese.
All’epoca del regno di Isabel II in Spagna, per
Decreto Reale del 18 Aprile 1860 si
promulgano le Ordenanze di Farmacia nel cui
articolo 31 si stabiliva che con il titolo di
Farmacopea Spagnola si sarebbe pubblicato un
libro ufficiale “affinché si impieghi come
norma e modello obbligatorio nell’elaborazione
dei preparati galenici o di composizione non
definita, e di guida per i chimici o di
composizione definita”.
Dall’articolo 33 a1 41 si disponeva che la
redazione, stampa, e vendita della farmacopea
sarebbe stata competenza della Reale
Accademia di Medicina di Madrid mentre i
preparativi per la sua elaborazione si sarebbero
stati affidati ad una Commissione costituita da
quattro Accademici di Numero della suddetta
Accademia e quattro farmacisti (due
Cattedratici della Facoltà di Farmacia e due
proprietari di farmacia a Madrid).
Anche nella Spedizione dei Mille di Giuseppe
Garibaldi (1807-1882) che l’11 maggio 1860
sbarca a Marsala vi sono sette farmacisti:
cinque lombardi, un piemontese e un calabrese.

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R. VILLANO - Cenni di arte e storia della farmacia p. 5

  • 1. Lo speziale prima e il farmacista poi, per la funzione sociale della professione, appaiono come i tipici rappresentanti della media borghesia propensi ad accettare insieme alle innovazioni scientifiche anche le nuove istanze politiche “rivoluzionarie”, fornendo in tal modo un contributo al movimento risorgimentale. Nell’Ottocento le farmacie non sono solo un luogo di preparazione e vendita dei prodotti medicinali ma anche punti di socializzazione e politicizzazione. I loro retrobottega servono sia per le preparazioni magistrali sia per la preparazione culturale degli intellettuali e dei cospiratori massoni e carbonari. “Lo speziale teneva conversazione sull’uscio della bottega, al fresco, col vicario e qualcheduno altro. Siccome sapeva di lettera, leggeva la gazzetta e la faceva leggere agli altri e ci aveva anche la storia della rivoluzione francese”. Questo ritratto che Giovanni Verga (1840-1922) fornisce della figura dello speziale ne “I Malavoglia” coglie bene il suo importante ruolo nel primo Ottocento, simile nella realtà siciliana come in quella dell’intera penisola. L’atteggiamento progressista del “laico” farmacista emerge anche dal suo costante impegno di usare i rimedi farmacologici per cura del corpo, nelle sue componenti fisiche e intellettuali, affiancandosi in questa impresa al medico e al maestro elementare. Si forma in tal modo una triade - medico, farmacista, maestro - che svolge un ruolo non secondario nell’evoluzione culturale,
  • 2. Nell’Ottocento le farmacie non sono solo un In questa opera lo affianca spesso una figura “religiosa”, il prete, che preposto primariamente alla cura dell’anima, non disdegna d’accompagnare le direttive morali con consigli igienici e distribuzione di medicinali, per i quali, nei centri più piccoli, è dotato di un vero e proprio “armadio farmaceutico” che funge da piccola farmacia ambulante. Due farmacisti piemontesi, Carlo Giuseppe Ferraris (1792-1859) e Giacomo Brunetti, sono tra i principali protagonisti del primo movimento insurrezionale della penisola mentre Giuseppe Biglia (1803-1833) di Mondovì, membro della Giovane Italia e poi fucilato, è alla testa dei moti genovesi del 1831. Non a torto, quindi, le farmacie vengono guardate con sospetto dalla polizia. Mentre in Europa il nichilismo terapeutico (il medico fatta la diagnosi deve ritenere esaurito il suo compito astenendosi dal prescrivere farmaci) teorizzato dal clinico medico di Vienna Joseph Skoda (1805-1881) lasciava il
  • 3. posto a una sempre più razionale farmacologia terapeutica basata sull’uso degli “estratti” chimicamente puri delle piante medicinali, in Italia i fisiologi Jakob Moleschott (1822-1893) e Moritz Schiff (1823-1896) e il farmacologo Amaldo Cantani (1837-1893) diventano i portabandiera di questo “nuovo corso” medico-farmacologico. L’esigenza di poter disporre di una produzione più abbondante dei “principi attivi” puri estratti dalle piante da un lato e la nuova “tecnologia terapeutica” dei farmaci di sintesi è parte di quel più ampio processo, iniziato sul finire del Settecento e tuttora in corso, che è l’avvento della tecnologia in medicina. Nell’Ottocento la nascita della clinica, con l’esigenza di misurare e rendere il più oggettiva possibile la malattia, comporta l’impiego crescente di “tecnologie mediche”: il termometro per la temperatura; lo stetoscopio per sentire i rumori patologici interni; il cistoscopio, l’oftalmoscopio e il laringoscopio, che consentono di vedere dentro la vescica, l’occhio e la gola; i raggi X che permettono di “fotografare l’invisibile”; lo sfigmomanometro che fornisce i valori della pressione arteriosa; l’elettrocardiogramma e l’elettroencefalogramma che
  • 4. per la via intramuscolare o endovenosa; capsule o compresse, in sostituzione delle pillole, meno pratiche e di composizione più imprecisa, per la via orale. Nel 1820 è ottenuto da Pelletier e Caventou il principio antimalarico Chinino, il primo e forse l’unico chemioterapico specifico utilizzato empiricamente prima della scoperta dell’agente eziologico di una malattia infettiva. Nel 1832 Robiquet estrae la codeina dall’oppio. Sempre nel 1832 il farmacista-scienziato Giovanni Semmola (1793-1865) con la pubblicazione del Saggio chimico sulla preparazione, facoltà ed uso dei medicamenti e nel 1854 pubblicando il Trattato di farmacologia e terapia generale sottolinea la necessità di studiare la costituzione fisica e chimica dei rimedi in rapporto ai cambiamenti chimici che essi inducono nei tessuti e negli umori. Tra il 1833 e il 1838 il farmacista-scienziato Giacomo Andrea Giacomini (1796-1849) pubblica un Trattato filosofico sperimentale dei soccorsi registrano la “voce” del cuore e il “linguaggio” del cervello. Anche la terapia medica esige nuove forme di somministrazione per gli efficaci farmaci sintetici: siringhe metalliche o di vetro per la via intramuscolare o endovenosa; capsule o compresse, sintetici: siringhe metalliche o di vetro
  • 5. terapeutici in cui si sforza di superare l’empirismo facilone dei farmacisti e dei medici contemporanei affermando l’importanza di una controprova nella valutazione dell’efficacia terapeutica di un medicamento. Sin dal Medioevo i boticários portoghesi si ritrovano prevalentemente in due tipiche corporazioni: la Bandeiras do Ofício de S. Miguel con funzioni prevalentemente professionali e la Confrarias dos Santos Cosme e Damião con funzioni religiose. Nel 1835 nacque la Sociedade Farmacêutica Lusitana che ebbe intensa attività di laboratorio e di studio di farmacologia, bromatologia, igiene, chimica e pubblicò dapprima dal 1836 il Jornal da Sociedade Farmacêutica de Lisboa e, poi, dal 1839 al 1933 il Jornal da Sociedade Farmacêutica Lusitana (l’attuale Revista Portuguesa de Farmácia) constituendo un’importante contributo alla scienza farmaceutica in Portogallo. I primi trenta anni della Sociedade si caratterizzarono per un grande interventismo in campo politico-professionale: direttamente o indirettamente essa influenzò le riforme e la produzione legislativa più importante per la farmacia portoghese; la sua campagna per la riforma degli studi e dell’esercizio farmaceutico fu incisiva e produttiva; nel 1836 fu creato il corso farmaceutico annesso alla Facoltà di Medicina di Coimbra ed alla Scuola Medico-Chirurgica di Lisbona e Porto, nel 1837 fu creato il Conselho de Saúde Pública che centralizzò tutta l’amministrazione sanitaria ed era composto da 5 medici e 2 farmacisti, oltre 5 altri membri.
  • 6. terapeutici in cui si sforza di superare l’empirismo facilone dei farmacisti e dei medici contemporanei affermando l’importanza di una controprova nella valutazione dell’efficacia terapeutica di un medicamento. Sin dal Medioevo i boticários portoghesi si ritrovano prevalentemente in due tipiche corporazioni: la Bandeiras do Ofício de S. Miguel con funzioni prevalentemente professionali e la Confrarias dos Santos Cosme e Damião con funzioni religiose. Nel 1835 nacque la Sociedade Farmacêutica Lusitana che ebbe intensa attività di laboratorio e di studio di farmacologia, bromatologia, igiene, chimica e pubblicò dapprima dal 1836 il Jornal da Sociedade Farmacêutica de Lisboa e, poi, dal 1839 al Nel 1835 la Farmacopeia Geral portoghese è sostituita dal Código Farmacêutico Lusitano di Agostinho Albano da Silveira Pinto (1785-1852) che, dopo un po’ di tempo, è approvato come Farmacopea Ufficiale del Brasile. Nel 1836 nasce il Corso Superiore farmaceutico in Portogallo presso la Scuola di Farmacia annessa alla Facoltà di Medicina dell’Università di Coimbra e alle Scuole Medico-Chirurgiche di Lisbona e Porto. Nel settore del commercio delle droghe aromatiche ed officinali fu specificato il 16 marzo 1839 con le Real Patenti l’obbligo di una certa competenza attraverso “un esame sulla cognizione dei semplici e sul modo di essiccarli e conservarli”. Gli affari sanitari in Spagna a partire dal 1839 diventano responsabilità del Ministero della Gobernazione.
  • 7. In Turchia nel maggio 1839 il Sultano inaugurò la Scuola Imperiale di Medicina e Farmacia, struttura che, grazie al suo direttore Charles Ambroise Bernard, si fece carico delle spese degli allievi più meritevoli e li inviò a completare gli studi in prestigiosi Atenei d’Europa. In Italia a causa della frammentazione politico- territoriale preunitaria, il processo di assimila zione delle nuove idee scientifiche medico- farmacologiche fu complesso e lento. I Congressi degli scienziati, che si sono succeduti regolarmente dal 1839 all’Unità, in un periodo di difficili relazioni culturali non solo con i paesi stranieri, ma anche con le città italiane vicine, hanno rappresentato i primi convegni scientifici dell’Italia, ma non ancora i primi congressi degli italiani. Si ignora la nuova medicina, la grande fisiopatologia sperimentale franco-tedesca di Rudolf Virchow (1821-1902) e di Claude Berard (1813-1878), che studia in chiave cellulare e fisico-chimica le strutture e le funzioni dell’organismo sano e malato, e la microbiologia di Louis Pasteur (1822-1895).
  • 8. Non s’avverte la consapevolezzache la nuova farmacologia è la “chimica organica e fisiologica” dei francesi Antoine François de Fourcroy (1755-1809) e François Magendie (1783-1855) e dei tedeschi Justus von Liebig (1803-1873), Rudolf Buchheim (1820-1879) e Carl Binz (1832- 1912) che spiega l’interazione tra farmaco e organismo, rendendo possibile prevedere gli effetti sul secondo del primo, che non è più il sem- plice vegetale, ma il principio attivo da questi isolato e purificato: il chinino dalla china, la morfina dall’oppio, la stricnina dalla noce vomica, la caffeina dal caffè, la nicotina dal tabacco. Nel 1842 un Regolamento Protomedicale Sardo vincolava l’apertura di una nuova farmacia, nelle località in cui già ne esisteva una, all’insuf- ficienza ai bisogni della popolazione del servizio da essa espletato; disponeva, poi, per mezzo di persona delegata dal Protome- dico, il controllo dell’importazione di medicinali e droghe per uso pubblico nel Regno; sanciva il divieto di sdogana mento di medicinali e droghe nocive in importazione. Nel 1845 in Francia il caso di una sposa dal nome Lafarge che avvelenò il marito con l’arsenico incoraggiò lo Stato ad emanare una legislazione sui veleni più rigorosa di quella in uso dai tempi dell’Ancien Régime. Fu emanata una lista di 72 sostanze considerate velenose tra cui molti derivati dell’oppio. Nel 1847 è realizzata da C. Mallaina e Q. Chiarlone la prima opera spagnola dedicata alla Storia della Farmacia in Spagna. L’insurrezione del 1848 ha come valoroso combattente Carlo Matteucci (1811-1868) di Forlì, farmacista, fisico e professore universitario, futuro senatore e Ministro
  • 9. della Pubblica Istruzione nell’Italia unita nel 1862. Accanto a lui sono il farmacista modenese Francesco Selmi (1817-1881) e l’insigne farmacologo piacentino Dioscoride Vitali (1832- 1917), poi tra gli estensori della prima Farmacopea Ufficiale italiana. Verso la metà del XIX secolo, sotto la spinta di europeizzazione voluta dal Sultano, in Turchia apparvero nuove officine i cui proprietari erano stranieri (tra le insegne: farmacia ungherese, farmacia Pasteur, farmacia d’Inghilterra). Durante il XIX secolo fiorì quello splendido periodo della storia della farmacia che va sotto il nome di positivismo. Proprio per merito del farmacista, inoltre, in questo secolo nasceva la scienza chiamata Farmacognosia che aveva il compito di individuare nei semplici, da sempre usati nella tradizione medico pratica, quella aleatoria e fantomatica “forza vitale” sanante, ritenuta frutto di intervento divino o di oscure influenze astrologiche, e collocarla sotto una precisa categoria di ordine chimico. Gran parte delle farmacie diveniva una piccola officina dove, con l’ausilio dei moderni mezzi e
  • 10. della nuova mentalità sperimentale tipicamente positivista, il farmacista scopriva - sulla base di indicazioni popolari e tradizionali - nuovi farmaci. Da allora, ad esempio, si scoprirono più di duemila alcaloidi e altrettanti glucosidi, nonché innumerevoli composti di svariata natura chimica con indicazioni terapeutiche clinicamente sperimentate. Nella seconda metà dell’Ottocento la rivoluzione farmacologica determinata dalla nascita dei farmaci per sintesi chimica (non estratti di sostanze vegetali, animali o minerali, ma composti “costruiti” artificialmente in laboratorio) avvia il processo di industrializzazione della produ- zione farmaceutica, facendo del farmaco la specialità farmaceutica, ovvero sia un ritrovato facilmente disponibile e innovativo per le sue grandi capacità curative sia un oggetto di profitto economico e sotto posto alle rigide regole del mercato commerciale. Inizia in tal modo una nuova fase della farmacologia ottocentesca che porta a un’autentica rivoluzione terapeutica nata nella Germania e nella Svizzera tedesca, contesto scientifico-economico particolare: dedito alla tecnica e alla meccanica, attento alla sperimentazione e nelle cui università fisica, chimica e fisiologia vengono sottoposte a un accurato vaglio critico che le rinnova completamente. Inoltre, la possibilità di accedere facilmente a grandi capitali eco- nomici favorisce l’iniziativa industriale. Sul piano culturale una etica protestante derivata dalla dottrina calvinista, che porta gli individui a dedicare il proprio tempo e le proprie energie ad atti- vità meritorie come il lavoro, contribuisce a esaltare le doti imprenditoriali dei commercianti svizzeri e tedeschi.
  • 11. Complemento di questo spirito razionale è l’etica faustiana, il senso di supremazia sulla natura e sulle cose, con la capacità di adattare i mezzi ai fini. É qui che, favorita anche dalla nascita di nuovi coloranti sintetici per l’industria tessile e dalla scoperta della loro capacità di interagire con gravi effetti tossici con l’organismo umano, si fa strada l’idea che sia possibile ottenere prodotti farmaceutici per sintesi chimica, cioè costruiti artificialmente in laboratorio. Bayer e Hoechst (1863), BASF (1865) e Schering (1871) in Germania, CIBA & Geigy (1884), Sandoz (1886) e Hoffman-La Roche (1894) in Svizzera sono le prime e principali fabbriche di coloranti che iniziano a pro- durre farmaci destinati a divenire, in pochi decenni, la loro principale produzione. Fenacetina (Bayer, 1887), Antipirina e Piramidone (Hoechst, 1884), Aspirina (Bayer, 1899) sono i primi veri farmaci sintetici attivi sull’uomo, in grado di contrastare efficacemente febbre e dolore. Al nascere del Regno d’Italia l’industria chimica italiana era ancora agli albori o quasi inesistente. In Italia l’eco degli eventi svizzeri e tedeschi giunge in ritardo e assai attenuato, per le arretrate condizioni politico- economiche, ma anche per la sua diversa tradizione culturale e scientifica. Nei Paesi di lingua tedesca l’industria farmaceutica sorge come continuazione o filiazione di quella chimica dei coloranti, nei Paesi di lingua latina prende avvio direttamente dai numerosi laboratori farmaceutici che nell’Ottocento iniziano ad affiancare le botteghe degli speziali.
  • 12. Se in Germania e in Svizzera nascono commercianti-industriali e chimici-imprenditori, in Italia e in Francia emerge la nuova figura del farmacista-imprenditore, che trasforma gradualmente la propria “officina medicinale”, sita dietro la bottega, in stabilimento. Tre fattori determinano questa evoluzione dalla farmacia-laboratorio allo stabilimento farmaceutico: l’importanza attribuita ai rimedi vegetali, la peculiarità della “cultura latina”, la forte influenza della famiglia sull’impresa. In Italia, come in Francia, poi, i primi laboratori farmaceutici in grado di preparare i nuovi medicinali, anche in quantità importanti, nacquero con scarso o nullo supporto finanziario dalla Farmacia e, quindi, ad opera di farmacisti che, sensibili ai progressi della terapia, erano desiderosi di realizzare i nuovi medicamenti che via via venivano scoperti o sintetizzati. Inoltre, l’italiano (come del resto il francese) è sovente un piccolo imprenditore che agisce per proprio conto o al massimo in nome di pochi altri, un conservatore che ama la propria indipendenza, con una mentalità che trova spiegazione nella forte influenza della famiglia sull’impresa: una famiglia che non è solo unità sociale, ma anche unità di produzione e struttura portante dell’attività economica. É evidente che un’impresa su base familiare non poteva pa ragonarsi o competere con imprese che potevano contare su un grande capitale, come le industrie svizzere o tedesche, condu-
  • 13. conducono un’aggressiva politica commerciale. É evidente che un’impresa su base familiare non poteva paragonarsi o competere con imprese che potevano contare su un grande capitale, come le industrie svizzere o tedesche, conducendo un’aggressiva politica commerciale. Questi elementi si ritrovano, con accentuazioni diverse, non solo nei farmacisti-industriali “maggiori” (come Giovanni Battista Schiapparelli (1795-1863), che inizia la sua attività a Torino nel 1824, Carlo Erba (1811-1888) che produce farmaci a Milano dal 1837 e Lodovico Zambeletti (1841-1890) che, sempre a Milano, fonda il laboratorio chimico-farmaceutico nel 1866), ma anche in quelle figure “minori” che pure sono protagoniste dei loro tempi per l’inventiva e l’iniziativa dimostrate: a Firenze Pietro e Carlo Malesci o Lorenzo Manetti, a Milano Antonio e Battista Cassia od Onorato e Gian Antonio Dompè, a Cupramarittima, nelle Marche, Nicola e Clemente Ciccarelli, a Correggio Silvio Recordati a Piacenza Antonio e Camillo Corvi e così via. La Spagna nel 1852 fu il primo Paese ad includere la Storia della Farmacia in corsi di studio farmaceutici.
  • 14. Nel 1853 il generale Lamarmora costituì il ruolo dei Farmacisti Militari che assunsero la direzione e la gestione del disimpegno farmaceutico presso le farmacie di alcuni ospedali militari. Contemporaneamente a Torino fu costituito il deposito di farmacia militare fornito di un laboratorio chimico-farmaceutico incaricato di effettuare preparazioni per il Servizio Sanitario Militare, inglobando anche il Laboratorio del Chinino con sede nei dintorni. Esso vanta come peculiarità la produzione di prodotti non reperibili in commercio, i cosiddetti farmaci orfani, come ad esempio il chinino in fiale, presente in tutte le farmacie militari e richiesto da diversi enti pubblici. Nel 1853 è realizzata dal francese A. Phillippe la prima opera francese dedicata alla Storia della Farmacia in Francia. In Romania lo Stato prima del 1859 aveva imposto l’uso della Farmacopea austriaca e della Tariffa viennese.
  • 15. All’epoca del regno di Isabel II in Spagna, per Decreto Reale del 18 Aprile 1860 si promulgano le Ordenanze di Farmacia nel cui articolo 31 si stabiliva che con il titolo di Farmacopea Spagnola si sarebbe pubblicato un libro ufficiale “affinché si impieghi come norma e modello obbligatorio nell’elaborazione dei preparati galenici o di composizione non definita, e di guida per i chimici o di composizione definita”. Dall’articolo 33 a1 41 si disponeva che la redazione, stampa, e vendita della farmacopea sarebbe stata competenza della Reale Accademia di Medicina di Madrid mentre i preparativi per la sua elaborazione si sarebbero stati affidati ad una Commissione costituita da quattro Accademici di Numero della suddetta Accademia e quattro farmacisti (due Cattedratici della Facoltà di Farmacia e due proprietari di farmacia a Madrid). Anche nella Spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) che l’11 maggio 1860 sbarca a Marsala vi sono sette farmacisti: cinque lombardi, un piemontese e un calabrese.