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72 puntoeffe
Nnel 1870 viene presentato in
Senato il progetto di “Codice
sanitario per il Regno d’Ita-
lia”, che stabilisce l’obbligo di un’unica
Farmacopea. Lo stesso anno, all’indo-
mani della presa di Roma, l’autorità
pubblica sopprime l’ospedale del Nobi-
le Collegio Romano. Gli Statuti degli an-
ni successivi non ne contemplano più
le funzioni di ospedale, conservandone
però lo spirito assistenziale corporativo
e sviluppando attività di beneficenza a
favore dei farmacisti bisognosi in stato
di infermità, oltre che delle vedove e dei
figli dei farmacisti poveri. Nel 1874, in
ogni municipio viene istituita una Com-
missione municipale di sanità e a ogni
Comune viene imposto di redigere un
“Regolamento di igiene”. Il 12 marzo
1876 tutta la complessa materia degli
studi di Farmacia viene ripresa e modi-
ficata in modo organico per tutte le uni-
versità, con un Regolamento che di-
spone che le Scuole di Farmacia confe-
riscano il diploma di abilitazione all’e-
sercizio della professione. Alcune
Scuole possono, su decreto reale, con-
ferire il diploma di laurea in Chimica e
farmacia; i corsi sono obbligatori e fan-
no parte delle facoltà di Scienze natura-
li, fisiche e matematiche e di Medicina
e chirurgia.
Il direttore è di stretta nomina regia, fra
i docenti della scuola, e dura in carica
tre anni e può essere riconfermato; il
corso dura quattro anni e per esservi
ammesso è necessario essere in pos-
sesso di un certificato di superamento
dell’esame del secondo e terzo corso li-
ceale presso un liceo regio o parificato
to distanti e di difficile accesso, potrà il
Prefetto, sentito il Consiglio provinciale
sanitario, concedere autorizzazione al
medico condotto di tenere presso di sé
un armadio farmaceutico». Si afferma,
dunque, il principio del libero esercizio
della farmacia, che viene a configurarsi
quale bene patrimoniale privato libera-
mente trasferibile anche a non farmaci-
sti e avviabile senza vincoli e limitazioni
territoriali, eccetto l’obbligo della dire-
zione responsabile di un farmacista
che, però, non necessariamente deve
essere il titolare o il proprietario. Tutto
ciò provoca nell’arco di un ventennio
un’elevatissima concentrazione di far-
macie nelle grandi città e il parallelo ab-
bandono dei centri a bassa densità di
popolazione.
Il 3 maggio 1892 viene pubblicata la
prima edizione della Farmacopea del
Regno d’Italia, a opera di una Commis-
sione costituita dai maggiori competen-
ti del tempo: Girolamo Cocconi, Alfonso
Corradi, Luigi de Cesaris (segretario),
Icilio Guareschi, Giacomo Moleschott
o aver compiuto gli esami presso un
istituto tecnico regio o parificato, oltre
all’esame di latino.
LIBERO ESERCIZIO
Il 22 dicembre 1888 il Regno d’Italia,
tentando un’armonizzazione non facile
delle legislazioni dei vari Stati, emana la
cosiddetta “Legge Crispi”, che istitui-
sce il Consiglio superiore di sanità, nel-
la cui composizione è prevista anche la
presenza di un farmacista, «nominato
per decreto reale sopra proposta del
ministro dell’Interno» con mandato
triennale e possibilità di essere rinomi-
nato. La Legge prevede, inoltre, la pre-
senza di un farmacista anche nel Con-
siglio provinciale di sanità, presieduto
dal prefetto, sempre con mandato
triennale e rieleggibilità. Si dispone an-
che che il medico provinciale «ispezio-
na le farmacie della provincia, assistito,
ove occorra, da un chimico e da un far-
macista». Infine la Legge dispone che
«nei Comuni ove manchi una farmacia
e quelle dei Comuni limitrofi siano mol-
C O M E E R A V A M O
Si conclude la carrellata
sui decenni inziali dell’Italia
unita. Tra liberalizzazioni
delle farmacie,
farmacopee ufficiali
e progressi farmacologici
DI RAIMONDO VILLANO
I primi passi
lo nei farmacisti-industriali maggiori:
per esempio Giovanni Battista Schiap-
parelli (1795-1863), che inizia la sua
attività a Torino nel 1824; Carlo Erba
(1811-1888), che produce farmaci a
Milano dal 1837; Lodovico Zambeletti
(1841-1890) che, sempre a Milano,
fonda il suo laboratorio chimico-farma-
ceutico nel 1866. Senza dimenticare, a
Firenze, Pietro e Carlo Malesi, e Loren-
zo Manetti; a Milano, Antonio e Battista
Cassia, e Onorato e Gian Antonio
Dompé; a Cupra Marittima, Nicola e
Clemente Ciccarelli; a Piacenza, Anto-
nio e Camillo Corvi. E altri ancora.
In generale, lo sviluppo della storia del-
la farmacia andrà sempre più dispie-
gandosi su tre principali direttrici: l’av-
vio di studi di livello elevato, la diffusio-
ne di società scientifiche specifiche,
l’allestimento di musei. Inoltre, la mate-
ria si ritroverà sempre più spesso inclu-
sa in programmi di studi superiori far-
maceutici, come disciplina indipen-
dente oppure associata ad altri ambiti
di ricerca, non solo inerenti la scienza
farmaceutica ma anche quelle sociali e
umanistiche.
(presidente), Camillo Tacconis e Dio-
scoride Vitali.
La Farmacopea diviene così il testo uffi-
ciale per la qualità e le caratteristiche
che devono possedere i farmaci; del
metodo per la loro preparazione e delle
norme sulla metodologia da seguire;
del divieto di sostituibilità dei compo-
nenti, cioè l’eliminazione dei qui pro
quo tipici dei vecchi Antidotari; nonché
della raccolta degli obblighi di legge
che il farmacista deve rispettare. Ma,
soprattutto, la Farmacopea elimina
l’empirismo e pone come principio ispi-
ratore il rigore scientifico. In questa pri-
ma edizione si riscontrano: l’obbligo
per il farmacista di detenere la Farma-
copea Ufficiale; il capitolato ufficiale dei
metodi di indagine; la raccolta delle ca-
ratteristiche dei vari farmaci (in partico-
lare le norme da seguire per alcune
preparazioni e caratteristiche di purez-
za delle sostanze). E poi i medicamenti
obbligatori: atropina, morfina, canfora,
cocaina, china, cloralio idrato, bella-
donna, derivati mercuriali. Nonostante
le disposizioni legislative che impongo-
no la pubblicazione ogni cinque anni
della Farmacopea aggiornata, tale ca-
denza non verrà sempre rispettata. Il
20 dicembre 1897, una circolare del
ministro della Pubblica istruzione di-
spone che il candidato alla laurea in
Farmacia «sappia fare con sicurezza le
prove analitiche dei medicamenti pre-
scritti dalla Farmacopea».
FARMACISTI IMPRENDITORI
Nella seconda metà dell’Ottocento la ri-
voluzione farmacologica determinata
dalla nascita dei farmaci di sintesi avvia
il processo di industrializzazione della
produzione. Una rivoluzione terapeuti-
ca nata in Germania e nella Svizzera te-
desca, contesti scientifico-economici
particolari: dediti alla tecnica e alla
meccanica, attenti alla sperimentazio-
ne e nelle cui università fisica, chimica
e fisiologia vengono sottoposte a un ac-
curato vaglio critico che le rinnova com-
pletamente. Inoltre, la possibilità di ac-
cedere facilmente a grandi capitali eco-
nomici favorisce l’iniziativa industriale.
Al nascere del Regno d’Italia l’industria
chimica è ancora agli albori. L’eco degli
eventi svizzeri e tedeschi giunge in ri-
tardo e assai atte-
nuata, per le arre-
trate condizioni
politico-economi-
che, ma anche
per la diversa tra-
dizione culturale
e scientifica. Nei
Paesi di lingua te-
desca l’industria
farmaceutica sor-
ge come conti-
nuazione o filiazione
di quella chimica dei coloranti, mentre
nei Paesi di lingua latina prende avvio
direttamente dai numerosi laboratori
farmaceutici che, nel corso dell’Otto-
cento, iniziano ad affiancare le botte-
ghe degli speziali. Se in Germania e in
Svizzera nascono commercianti-indu-
striali e chimici-imprenditori, in Italia e
in Francia emerge la figura del farmaci-
sta-imprenditore, che trasforma gra-
dualmente la propria “officina medici-
nale”, sita dietro la bottega, in stabili-
mento. Tre fattori determinano questa
evoluzione dalla farmacia-laboratorio
allo stabilimento farmaceutico: l’impor-
tanza attribuita ai rimedi vegetali, la pe-
culiarità della “cultura latina”, la forte
influenza della famiglia sull’impresa.
In Italia, come in Francia, i primi labo-
ratori farmaceutici in grado di prepara-
re i nuovi medicinali, anche in quantità
importanti, nascono a opera di farmaci-
sti desiderosi di realizzare i nuovi medi-
camenti che a mano a mano vengono
scoperti o sintetizzati. Si tratta sovente
di piccoli imprenditori che agiscono per
proprio conto o al massimo in nome di
pochi altri; conservatori che amano la
propria indipendenza, con una menta-
lità che trova spiegazione nella forte in-
fluenza della famiglia sull’impresa. Una
famiglia che non è solo unità sociale,
ma anche unità di produzione e struttu-
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È evidente, però, che un’impresa su
base familiare non può parago-
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R. Villano- Il farmacista nell'unità d'Italia (parte 2/2)

  • 1. 72 puntoeffe Nnel 1870 viene presentato in Senato il progetto di “Codice sanitario per il Regno d’Ita- lia”, che stabilisce l’obbligo di un’unica Farmacopea. Lo stesso anno, all’indo- mani della presa di Roma, l’autorità pubblica sopprime l’ospedale del Nobi- le Collegio Romano. Gli Statuti degli an- ni successivi non ne contemplano più le funzioni di ospedale, conservandone però lo spirito assistenziale corporativo e sviluppando attività di beneficenza a favore dei farmacisti bisognosi in stato di infermità, oltre che delle vedove e dei figli dei farmacisti poveri. Nel 1874, in ogni municipio viene istituita una Com- missione municipale di sanità e a ogni Comune viene imposto di redigere un “Regolamento di igiene”. Il 12 marzo 1876 tutta la complessa materia degli studi di Farmacia viene ripresa e modi- ficata in modo organico per tutte le uni- versità, con un Regolamento che di- spone che le Scuole di Farmacia confe- riscano il diploma di abilitazione all’e- sercizio della professione. Alcune Scuole possono, su decreto reale, con- ferire il diploma di laurea in Chimica e farmacia; i corsi sono obbligatori e fan- no parte delle facoltà di Scienze natura- li, fisiche e matematiche e di Medicina e chirurgia. Il direttore è di stretta nomina regia, fra i docenti della scuola, e dura in carica tre anni e può essere riconfermato; il corso dura quattro anni e per esservi ammesso è necessario essere in pos- sesso di un certificato di superamento dell’esame del secondo e terzo corso li- ceale presso un liceo regio o parificato to distanti e di difficile accesso, potrà il Prefetto, sentito il Consiglio provinciale sanitario, concedere autorizzazione al medico condotto di tenere presso di sé un armadio farmaceutico». Si afferma, dunque, il principio del libero esercizio della farmacia, che viene a configurarsi quale bene patrimoniale privato libera- mente trasferibile anche a non farmaci- sti e avviabile senza vincoli e limitazioni territoriali, eccetto l’obbligo della dire- zione responsabile di un farmacista che, però, non necessariamente deve essere il titolare o il proprietario. Tutto ciò provoca nell’arco di un ventennio un’elevatissima concentrazione di far- macie nelle grandi città e il parallelo ab- bandono dei centri a bassa densità di popolazione. Il 3 maggio 1892 viene pubblicata la prima edizione della Farmacopea del Regno d’Italia, a opera di una Commis- sione costituita dai maggiori competen- ti del tempo: Girolamo Cocconi, Alfonso Corradi, Luigi de Cesaris (segretario), Icilio Guareschi, Giacomo Moleschott o aver compiuto gli esami presso un istituto tecnico regio o parificato, oltre all’esame di latino. LIBERO ESERCIZIO Il 22 dicembre 1888 il Regno d’Italia, tentando un’armonizzazione non facile delle legislazioni dei vari Stati, emana la cosiddetta “Legge Crispi”, che istitui- sce il Consiglio superiore di sanità, nel- la cui composizione è prevista anche la presenza di un farmacista, «nominato per decreto reale sopra proposta del ministro dell’Interno» con mandato triennale e possibilità di essere rinomi- nato. La Legge prevede, inoltre, la pre- senza di un farmacista anche nel Con- siglio provinciale di sanità, presieduto dal prefetto, sempre con mandato triennale e rieleggibilità. Si dispone an- che che il medico provinciale «ispezio- na le farmacie della provincia, assistito, ove occorra, da un chimico e da un far- macista». Infine la Legge dispone che «nei Comuni ove manchi una farmacia e quelle dei Comuni limitrofi siano mol- C O M E E R A V A M O Si conclude la carrellata sui decenni inziali dell’Italia unita. Tra liberalizzazioni delle farmacie, farmacopee ufficiali e progressi farmacologici DI RAIMONDO VILLANO I primi passi
  • 2. lo nei farmacisti-industriali maggiori: per esempio Giovanni Battista Schiap- parelli (1795-1863), che inizia la sua attività a Torino nel 1824; Carlo Erba (1811-1888), che produce farmaci a Milano dal 1837; Lodovico Zambeletti (1841-1890) che, sempre a Milano, fonda il suo laboratorio chimico-farma- ceutico nel 1866. Senza dimenticare, a Firenze, Pietro e Carlo Malesi, e Loren- zo Manetti; a Milano, Antonio e Battista Cassia, e Onorato e Gian Antonio Dompé; a Cupra Marittima, Nicola e Clemente Ciccarelli; a Piacenza, Anto- nio e Camillo Corvi. E altri ancora. In generale, lo sviluppo della storia del- la farmacia andrà sempre più dispie- gandosi su tre principali direttrici: l’av- vio di studi di livello elevato, la diffusio- ne di società scientifiche specifiche, l’allestimento di musei. Inoltre, la mate- ria si ritroverà sempre più spesso inclu- sa in programmi di studi superiori far- maceutici, come disciplina indipen- dente oppure associata ad altri ambiti di ricerca, non solo inerenti la scienza farmaceutica ma anche quelle sociali e umanistiche. (presidente), Camillo Tacconis e Dio- scoride Vitali. La Farmacopea diviene così il testo uffi- ciale per la qualità e le caratteristiche che devono possedere i farmaci; del metodo per la loro preparazione e delle norme sulla metodologia da seguire; del divieto di sostituibilità dei compo- nenti, cioè l’eliminazione dei qui pro quo tipici dei vecchi Antidotari; nonché della raccolta degli obblighi di legge che il farmacista deve rispettare. Ma, soprattutto, la Farmacopea elimina l’empirismo e pone come principio ispi- ratore il rigore scientifico. In questa pri- ma edizione si riscontrano: l’obbligo per il farmacista di detenere la Farma- copea Ufficiale; il capitolato ufficiale dei metodi di indagine; la raccolta delle ca- ratteristiche dei vari farmaci (in partico- lare le norme da seguire per alcune preparazioni e caratteristiche di purez- za delle sostanze). E poi i medicamenti obbligatori: atropina, morfina, canfora, cocaina, china, cloralio idrato, bella- donna, derivati mercuriali. Nonostante le disposizioni legislative che impongo- no la pubblicazione ogni cinque anni della Farmacopea aggiornata, tale ca- denza non verrà sempre rispettata. Il 20 dicembre 1897, una circolare del ministro della Pubblica istruzione di- spone che il candidato alla laurea in Farmacia «sappia fare con sicurezza le prove analitiche dei medicamenti pre- scritti dalla Farmacopea». FARMACISTI IMPRENDITORI Nella seconda metà dell’Ottocento la ri- voluzione farmacologica determinata dalla nascita dei farmaci di sintesi avvia il processo di industrializzazione della produzione. Una rivoluzione terapeuti- ca nata in Germania e nella Svizzera te- desca, contesti scientifico-economici particolari: dediti alla tecnica e alla meccanica, attenti alla sperimentazio- ne e nelle cui università fisica, chimica e fisiologia vengono sottoposte a un ac- curato vaglio critico che le rinnova com- pletamente. Inoltre, la possibilità di ac- cedere facilmente a grandi capitali eco- nomici favorisce l’iniziativa industriale. Al nascere del Regno d’Italia l’industria chimica è ancora agli albori. L’eco degli eventi svizzeri e tedeschi giunge in ri- tardo e assai atte- nuata, per le arre- trate condizioni politico-economi- che, ma anche per la diversa tra- dizione culturale e scientifica. Nei Paesi di lingua te- desca l’industria farmaceutica sor- ge come conti- nuazione o filiazione di quella chimica dei coloranti, mentre nei Paesi di lingua latina prende avvio direttamente dai numerosi laboratori farmaceutici che, nel corso dell’Otto- cento, iniziano ad affiancare le botte- ghe degli speziali. Se in Germania e in Svizzera nascono commercianti-indu- striali e chimici-imprenditori, in Italia e in Francia emerge la figura del farmaci- sta-imprenditore, che trasforma gra- dualmente la propria “officina medici- nale”, sita dietro la bottega, in stabili- mento. Tre fattori determinano questa evoluzione dalla farmacia-laboratorio allo stabilimento farmaceutico: l’impor- tanza attribuita ai rimedi vegetali, la pe- culiarità della “cultura latina”, la forte influenza della famiglia sull’impresa. In Italia, come in Francia, i primi labo- ratori farmaceutici in grado di prepara- re i nuovi medicinali, anche in quantità importanti, nascono a opera di farmaci- sti desiderosi di realizzare i nuovi medi- camenti che a mano a mano vengono scoperti o sintetizzati. Si tratta sovente di piccoli imprenditori che agiscono per proprio conto o al massimo in nome di pochi altri; conservatori che amano la propria indipendenza, con una menta- lità che trova spiegazione nella forte in- fluenza della famiglia sull’impresa. Una famiglia che non è solo unità sociale, ma anche unità di produzione e struttu- ra portante dell’attività economica. È evidente, però, che un’impresa su base familiare non può parago- narsi o competere con imprese che possono contare su grandi capitali, come le industrie svizze- re o tedesche, in grado di condur- re aggressive politiche commer- ciali. Questi elementi si ritrovano, con accentuazioni diverse, non so-