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OEBALUS
Studi sulla Campania nell'Antichità
13, 2018
ROMA
nei 100 anni di
OEBALUS
Studi sulla Campania nell'Antichità
13, 2018
Pubblicazione annuale. Registrazione del Tribunale di Napoli, n. 68 del 22 settembre 2006.
DIRETTORE RESPONSABILE
Felice Senatore
COMITATO DI REDAZIONE
Vincenzo Bellelli - Maurizio Bugno - Domenico Camardo - Eduardo Federico
Alessandro Pagliara - Carlo Rescigno - Mario Russo - Eliodoro Savino - Gianluca Soricelli
COMITATO SCIENTIFICO
Claude Albore Livadie - Rosalba Antonini - Dominique Briquel - Giuseppe Camodeca
Renata Cantilena - Luca Cerchiai - Michael Crawford - Francesco De Angelis -
Natalie de Haan - Jens-Arne Dickmann - Massimo Poetto
Henrik Mouritsen - Fabrizio Pesando - Felix Pirson - Paolo Poccetti
Giovanna Rocca - Heikki Solin - Timo Sironen - Gianluca Tagliamonte
OEBALUS - Associazione Culturale
Via S. Costanzo, 8 - 80073 Capri (NA)
Grafica e impaginazione: Felice Senatore
© 2018 SCIENZE E LETTERE S.r.l.
Via Piave, 7 - 00187 Roma - Tel. 064817656 - Fax 0648912574.
www.scienzeelettere.com - email: info@scienzeelettere.com
ISSN 1970-6421
ISBN 9788866871507
INDICE
GIUSEPPE CAMODECA, Herculaneum: nuovi dati sull’élite e sulla popolazione
cittadinadallariedizionedelleTabulaeHerculanenses
LUIGI VECCHIO, Veliagraecaurbs
MARIO RUSSO, I cosiddetti ‘leoni di Sorrento’: dalla Valle del Sarno, a Roma,
a PianodiSorrento
UMBERTO SOLDOVIERI, Nota minima su due iscrizioni funerarie di Nuceria
AlfaternadallaCollezioneFienga
ANIELLO PARMA, Il cursus di un comes della famiglia imperiale e altre
iscrizioniinediteda Allifae
LORENZO VOLLARO, Su due iscrizioni muliebri da Beneventum al Museo
ProvincialedelSannio
GIOVANNI DE ALTERIIS, Un evento catastrofico a Pithekoussai. Le evidenze di
geologiamarina
FELICE SENATORE, Pithekoussai: Strabone e la storia geologica dell’isola. In
margineaunarecentescopertadigeologiamarina
CARLO DE SIMONE, Etrusco*herama«statua»<grecoἑρμᾶς(:lat.herma)
FELICE SENATORE, Koilivai e uJpovnomoi. Canali sottomarini e vulcanesimo tra
l'Etna,leEolieePithekoussai
LUCA DI FRANCO, Memorie d’archivio su una colonna d’alabastro. Nuovi
elementidallevilleromane diCapri
GERVASIO ILLIANO, Una villa romana a Capo Miseno. Dati preliminari e
riflessionisu proprietarievillenelgolfodiNapoli
GIOVANNI COLONNA,GraffitiineditidaTeano
MARIO NOTOMISTA,VenereadHerculaneum:iluoghi,ilcultoeleimmagini
HEIKKI SOLIN E PAOLA CARUSO, InventaetrepertaepigraphicaBeneventana
HELGA DI GIUSEPPE,IlVequos Esquelinosegliartigianicampania Roma
LUCA CERCHIAI,Eroti,Sireneel’equipaggiodiOdisseo
ALFONSO MELE,TraAusoni,EtrushieSanniti:NuceriaedHyria
Abstracts
39
7p.
133
153
75
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377
401
341
Helga Di Giuseppe
Il Vequos Esquelinos e gli artigiani campani a Roma
Discutere di artigiani della Roma medio-repubblicana a più di quarant’anni
dalla famosa mostra e dall’omonimo convegno1
, in cui trattarono temi fonda-
mentali Filippo Coarelli, Jean-Paul Morel e Mario Torelli, è impresa che affron-
to non senza imbarazzo. La difficoltà del compito risiede non solo nel doversi
confrontare con studiosi che posero allora le basi della discussione inerente la
produzione, il commercio e le forze sociali in gioco in maniera magistrale, sfrut-
tando al massimo il potenziale informativo delle fonti a disposizione, ma anche
nel fatto che un argomento di questo genere può essere trattato soprattutto su
base epigrafica e la maggior parte della documentazione relativa alle attività
artigianali e commerciali in nostro possesso per Roma proviene da epigrafi fune-
rarie e sacre tarde, databili a partire dai decenni finali del II e soprattutto I secolo
a.C. È in questa fase, infatti, che artigiani, tabernarii e mercanti hanno conqui-
stato una piena visibilità nella società antica e uno spazio ben preciso in cui ope-
rare: firme e geografie delle botteghe sono piuttosto note dalle fonti epigrafiche
e letterarie. Di gran lunga inferiori, invece, sono i documenti che possono farsi
risalire alla Roma medio-repubblicana. Non per questo comunque bisogna sco-
raggiarsi e, anzi, cercheremo di far parlare le testimonianze più recenti anche per
le fasi più antiche, laddove ci troveremo di fronte ad attività così redditizie da
poter supporre che siano state custodite per generazioni all’interno delle stesse
famiglie.
Lontanissimi sono ormai i tempi in cui si sosteneva in base a una teoria di
Max Weber che Roma era una “città parassita”, non in grado di produrre, incen-
trata esclusivamente su servizi e consumi2
. Al contrario, Roma si comporta co-
me tutte le città d’Italia: è pienamente produttiva in ogni periodo storico, come
recenti convegni, ad esempio, sul periodo repubblicano, tardo antico e medieva-
le3
hanno dimostrato e anzi, in alcuni periodi storici, sembra addirittura essere
un centro d’eccellenza che fa scuola, attirando i migliori maestri d’arte. Aurarii,
brattiarii, eborarii, fabri eborarii, fabri tignarii, frumentarii, gemmarii, fullo-
1
Roma medio-repubblicana.
2
Si ricorda l’annoso dibattito tra gli studiosi nella divisione delle città in “città parassita” e
“città produttiva”: Finley 1984, Coarelli 1990, p. 182.
3
Biella et alii 2017; Molinari et alii 2015.
342 HELGA DI GIUSEPPE
nes, holitores, lanarii, lanii, margaritarii, mellarii, mercatores bovarii, olearii,
pistores, purpurarii, salsamentarii, sutores, thurarii, ungentarii, vascularii e
vestiarii, alcune delle attività documentate a Roma in età tardo-repubblicana, per
le quali bisogna chiedersi quali – e in che misura – fossero già praticate tra il IV
e il III sec. a.C., periodo cruciale per la storia della città da molti punti di vista,
compreso quello artigianale.
L’episodio più traumatico della storia di Roma, il sacco gallico, di cui co-
minciamo a riconoscere anche le tracce archeologiche4
, stimolò un’intensa sta-
gione di risistemazione urbanistica con conseguente movimento delle maestran-
ze, necessarie alla realizzazione di case, templi, arredi, strade e infrastrutture
varie; inoltre, le leggi Liciniae Sextiae che equipararono la plebe ai patrizi, por-
tando alla nascita della classe patrizio-plebea, generarono nuove esigenze, in
particolare la necessità molto più allargata rispetto al periodo arcaico di accedere
a beni di lusso e di prestigio attraverso categorie di manufatti che ora risultano
molto più alla portata di una fascia sociale allargata. Faccio riferimento al pano-
rama delle ceramiche fini figurate e decorate che ora sono dominate dalla cera-
mica a figure rosse, a vernice nera o a vernice nera sovraddipinta, per fare esem-
pi a me cari, in questa fase molto più capillarmente diffuse di quanto non fossero
stati in precedenza i corrispettivi bucchero e ceramiche figurate in genere5
.
Il fermento artigianale di Roma a giudicare dalla gran quantità di dati archeo-
logici raccolta negli ultimi quarant’anni di ricerca si esprime fortemente nel
campo della realizzazione della coroplastica, dell’opus doliare, della ceramica,
della lavorazione dei metalli, vili e preziosi, dei tessuti, della pietra, della produ-
zione delle immagini, degli ossi, non ancora in quello dei pavimenti, della lavo-
razione del marmo, del vetro e delle pelli, acquisizioni dei periodi successivi.
Tuttavia, se siamo ormai certi che Roma sia stata una città produttiva a tutti
gli effetti, in grado di esportare manufatti anche di pregio e di fare scuola d’arte
tale da generare nell’artigiano l’orgoglio della propria categoria6
, non siamo an-
cora pienamente in grado di ricostruire una ricca geografia dei luoghi di produ-
zione basata sul rinvenimento diretto delle officine che pure dovevano pullulare
in città se pensiamo alla gran quantità di templi che sorsero entro e presso le
mura e alle necropoli che necessitavano di approvvigionamento di vasellame e
strumentario vario. A oggi, ad esempio, non è stato rinvenuto, o almeno non ne è
4
Vd. da ultimo Delfino 2009[2011], Delfino, Braione, Calcagnile 2014 con bibliografia prece-
dente; Di Giuseppe 2010.
5
Si vedano gli esperimenti effettuati sulla distribuzione di queste classi nell’area del Tiber Val-
ley Project: Di Giuseppe, Bousquet, Zampini 2009; Di Giuseppe 2018, pp. 76-80, 99-100.
6
Nonnis 2015; Nonnis 2016.
IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 343
stata data notizia, nemmeno uno degli ateliers des petites estampillés, officine
che producevano un tipo di ceramica a vernice nera, così definita e inquadrata da
J.-P. Morel per essere caratterizzata da una decorazione interna stampigliata con
motivi fitomorfi, zoomorfi, geometrici e figurati, diffusa in tutto il Mediterra-
neo7
. Eppure non abbiamo dubbi sul fatto che Roma sia stata una delle tante
città nel Lazio che abbia ospitato tali officine. Ce lo dice l’osservazione empiri-
ca dei dati. Le ingenti quantità di questa ceramica, che rinveniamo in giacitura
primaria e secondaria nelle stratigrafie di epoca medio- e tardo-repubblicana,
l’originalità di alcune decorazioni rispetto ad altre, la qualità dell’argilla di gran
lunga superiore rispetto a quella che si documenta nel resto del Lazio e la qualità
della vernice, spesso caratterizzata da una sfumatura verde tipica di un certo ‘sa-
per fare’ delle maestranze romane8
. Ma c’è dell’altro. Oggi sappiamo dove an-
dare a cercare le officine ceramiche pur in assenza di fornaci che, per via della
loro deperibilità, hanno in generale poche possibilità di lasciare tracce, ancor
meno in una città in continua ristrutturazione e accrescimento quale è Roma. Le
fornaci dell’ateliers des petites estampillés vanno cercate a Roma, come nel re-
sto d’Italia, prevalentemente nei pressi dei luoghi di culto, dove sono segnalate
da indicatori indiretti, quali scarti di fornaci, punzoni e distanziatori per vasi da
usarsi all’interno delle fornaci, tipici dei metodi di impilamento in fase di cottura
di epoca medio-repubblicana. Ho avuto modo di dimostrarlo con una ricerca che
ha coinvolto l’intero territorio italico e che ha avuto come oggetto il rapporto tra
centro di produzione e contesto9
. Anche qui l’indagine non è stata facile, trattan-
dosi di fare un’archeologia del ‘brutto’ e del ‘fallimento’ dell’attività del figulo.
L’archeologo tende a non valorizzare scorie e scarti di cottura e a non darne no-
tizia rispetto agli oggetti più eclatanti e non mi è difficile immaginare che questi
‘orrori’ nel tempo non siano stati nemmeno raccolti o siano stati dimenticati sul
fondo delle cassette. Tuttavia qualche notizia trapela: distanziatori per fornaci,
scorie di lavorazione, scarti di cottura, semilavorati d’osso, matrici, elementi di
fornaci e strumenti di lavorazione dell’argilla, quindi indicatori indiretti di offi-
cine ceramiche e metallurgiche, vengono menzionati in vari scavi del Palatino,
come quelli in area sud-occidentale10
e delle sue pendici nord-orientali11
e nord-
7
Morel 1969.
8
Di Giuseppe 2012, p. 69.
9
Di Giuseppe 2012.
10
Falzone, Rossi 2009, p. 437; Rossi 2013, p. 45.
11
Vengono menzionati cinquanta distanziatori in ceramica depurata, recanti sigle degli artigia-
ni, chiaramente usati per distanziare nelle fornaci forme aperte e chiuse, oltre a scarti di cottura,
matrici per arule, lisciatoi per argilla e tegole e blocchetti di argilla concotta riconducibili a condotti
per fornaci: Ferrandes 2016, pp. 95-96; Ferrandes 2017, pp. 29-47. Dalla stessa area provengono
anche tracce della lavorazione degli ossi: Soranna 2017, pp. 82-85.
344 HELGA DI GIUSEPPE
occidentali12
o nei pressi del Portico degli Dei Consenti13
o sul Campidoglio14
:
in tutti i casi siamo in contesto di area sacra (fig. 1). In queste zone centrali di
Roma non mancava l’acqua (lo Spinon noto dalle fonti?15
) e non mancava
l’argilla come lo stesso toponimo Argiletum ricordato dagli autori antichi (Varr.,
De l.l., 5.50.157; Serv., In Aen., 8, 345) sta a testimoniare. Non sarà un caso che
Rom
Fig. 1. Roma. Pianta della distribuzione delle officine di epoca medio-repubblicana individuate grazie
alle fonti letterarie, epigrafiche e archeologiche. 1. Santuario alle pendici sud-occidentali della Velia. 2.
Via per il Foro. 3. Curiae Veteres. 4. Domus delle pendici nord-orientali del Palatino. 5. Domus Regis
Sacrorum. 6. Palatino, area sacra sud-occidentale. 7. Portico presso il Portico degli Dei Consenti. 8.
Quartiere residenziale arcaico delle pendici sud-orientali del Campidoglio (Foro di Cesare). 9. Esquilino
via dello Statuto/via Merulana. 10. Esquilino via Pellegrino Rossi/via dello Statuto. 11. Esquilino, area
sud delle Sette Sale. 12. Piccolo Aventino (da Ferrandes 2017, fig. 14).
12
Informazione di Sheila Cherubini che ringrazio.
13
Colini 1941, p. 93, fig. 5 n.
14
Bison 2017, p. 64.
15
V. Manacorda 2007, p. 200, nota 49.
IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 345
sempre in area centrale, precisamente nella zona che in futuro sarà occupata dal
Foro di Cesare, si impiantano officine metallurgiche e ceramiche per la produ-
zione di impasto sabbioso, indiziate purtroppo solo da indicatori indiretti che
immaginiamo, però, non abbiano ‘viaggiato’ molto dal luogo in cui sono stati
realizzati16
. Verso il Tevere è nota una zona inter figulos menzionata nella valle
del Circo (Varr., De l.l. 5.50.154). Spostandoci infine, in periferia, nei pressi
delle mura serviane e della Porta Esquilina non v’è dubbio che qui dovesse tro-
varsi uno dei ceramici della città, nella posizione, tra l’altro, più tipica per un
opificio, ovvero vicino a fonti di approvvigionamento idrico e di materiale com-
burente, vicino alle mura e a una delle porte di accesso alla città17
. Inoltre, luo-
ghi di culto e aree funerarie fornivano un bacino d’utenza privilegiato. Proprio
sull’Esquilino vengono ricordati da Festo un figulus in Esquilina regione (Fest.,
468L) e da Varrone una via in figlinis (Varr., De l.l. 5.50.3; Fest., 344M), sul cui
lato destro si trovava un sacrario, il quarto sacrarium degli Argei identificato
con l’heroon di Servio Tullio18
. La questione dell’identificazione della via in
figlinis è estremamente dibattuta in letteratura archeologica sia per quanto ri-
guarda il suo posizionamento sia per il significato del termine figlinae che per
alcuni andrebbe riferito a fornaci per tegole o vasellame, quindi a un ceramico
della città, per altri a forni in cui preparare pasti comuni per gli Argei, per altri a
un toponimo19
. Quel che appare certo è che in sta a indicare uno stato in luogo in
cui si trovavano più fornaci e che quindi la via in questione si trovava nel mezzo
di un’area popolata da botteghe di vasai. Proprio l’Esquilino è la zona che resti-
tuisce maggiori informazioni non solo a opera degli autori antichi ma anche delle
fonti archeologiche. Infatti, sotto l’angolo occidentale del convento dei Padri
Liguorini, in Villa Caserta, nel punto in cui via dello Statuto sbocca in via Meru-
lana, Lanciani rinvenne nel 1877 il noto scarico di fornace che “serpeggiava ir-
regolarmente attraverso le arcaiche tombe, penetrando per breve spazio nel suo-
lo vergine, quasi nel letto di un rigagnolo”20
. Lo scarico era composto da scarti
di cottura, pani d’argilla vetrificati, strumenti di lavorazione, matrici fittili per
terrecotte e arule, materiale votivo recanti varie firme di artigiani, pesi da telaio
di
16
Di Giuseppe 2010, p. 311, fig. 8, Di Giuseppe 2014, p. 107, fig. III.72; Bison 2017, p. 64.
Non stupirebbe del resto la vicinanza tra officine metallurgiche e ceramiche, essendo stata riscon-
trata l’interazione tra i due saperi fin dal VII-VI secolo a.C.: Lunardon et alii. 2018.
17
Di Giuseppe 2016, pp. 143, 146.
18
Coarelli 2001; Capanna, Amoroso 2006; Marroni 2010, p. 54.
19
Astolfi 1995; Häuber 2014, p. 369 con sintesi delle interpretazioni precedenti.
20
Lanciani 1887, p. 296.
346 HELGA DI GIUSEPPE
Fig. 2. Area delle figlinae nei pressi della Porta Esquilina in cui sono stati rinvenuti gli indicatori di
produzione ceramica (scarico Lanciani 1877, fornace di pianta di Lucio Mariani) (rielaborata da Häuber
2014, fig. 23 e fig. 155).
di grandi dimensioni21
. Inoltre, tra via Pellegrino Rossi e via dello Statuto, Paolo
Mariani realizza una mappa molto precisa della necropoli esquilina ivi rinvenuta
al centro della quale posiziona una fornace di cui non si fa menzione nel suo
testo22
(fig. 2). Dunque sia lo scarico di fornace di Lanciani sia la fornace di
Paolo Mariani si trovavano nel mezzo e nei pressi della necropoli esquilina. La
fornace, “la vena di scarico”, come la definisce Lanciani, la presenza di argilla
in zona hanno permesso di identificare qui un quartiere artigianale e di propen-
dere per l’ipotesi che la via in figlinis si trovasse proprio in questo triangolo
compreso tra via Merulana, via dello Statuto e via Pellegrino Rossi. Per le varie
proposte di identificazione che si sono succedute nel tempo si rimanda a C.
Häuber23
, la quale mette insieme tutti i dati a disposizione, comprese le osserva-
zioni di Massimo Pentiricci che ha identificato la vallecola dello scarico di cui
parla Lanciani24
e propone di individuare la via in un’antica strada rinvenutasot-
21
Lanciani 1887, p. 296; Cozzo 1928, p. 133; Ryberg 1940, p. 120; Steinby 1978, 1507; Pe-
tracca, Vigna 1985, p. 133; Coarelli 1990, pp. 184-185, Coarelli 1996, p. 40; Coarelli 2015, p. 120;
Manacorda 2007, p. 200; Häuber 2014, p. 370, fig. 155.
22
Häuber 2014, p. 370, fig. 155.
23
Per una storia della ricerca archeologica in zona e una sintesi delle varie posizioni degli stu-
diosi vd. Häuber 2014, pp. 367 ss.
24
Pentiricci in Barbera et alii. 2005, p. 319, nota 58.
IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 347
to la chiesa di S. Giuliano distrutta nel 1874, antecedente della via Merulana-
na/vicolo S. Matteo visibile in molte carte dell’epoca25
. Qui sarebbe anche una
grande depressione corrispondente a una cava di argilla usata verosimilmente
dai figuli che lavoravano agli impianti produttivi. Le firme documentate sui ri-
trovamenti sono una M graffita prima della cottura, C. Antonios, P. Aurelius, L.
Caponius e L. Valerius. Le più ricorrenti sono, però, quelle di C. Sextios V(ibi)
s(ervos), P. Sextios V(ibi) s(ervos) e P. Sextios V(ibi) f(ilios), databili tra metà
IV e metà III secolo a.C.26
, che Filippo Coarelli riconduce ipoteticamente ai fa-
mosi Sextii Laterani autori delle leggi Liciniae Sextiae, la cui principale fonte di
ricchezza doveva risiedere nella produzione dei fittili27
.
Da questi pochi dati possiamo inferire una serie di considerazioni. Nelle im-
mediate vicinanze delle mura, nei pressi della Porta Esquilina doveva trovarsi
una o più officine in cui operavano vari artigiani che dovevano utilizzare vero-
similmente gli stessi forni. La vicinanza alla Porta Esquilina favoriva l’arrivo
delle materie prime che comunque erano disponibili in loco come abbiamo visto.
La zona era ricca di un banco d’argilla, il legname poteva venire dal lucus Libi-
tinae o dal lucus Fagutalis28
, forse sfruttabili con opportuna profilassi in virtù
delle finalità sacre della produzione o da boschi immediatamente esterni alle
mura, l’acqua era presente attraverso abbondanti risorgive, come quella che lo
stesso Lanciani aveva intercettato. Le officine potevano servire alle esigenze
funerarie e rituali della necropoli esquilina nei pressi del lucus Libitinae e dei
luoghi di culto più vicini, cosa che avrebbe potuto giustificare anche il taglio
della legna nei boschi sacri. Un luogo di culto presso la porta Esquilina, del re-
sto, è ipotizzabile per la presenza di tracce di un deposito votivo29
. Alla produ-
zione per scopi rituali rimandano anche le arule, le terrecotte e i votivi iscritti su
cui torneremo, rinvenuti nel 1877 nello scarico di fornace. Qui interessa focaliz-
zare l’attenzione su uno degli artigiani che operò in zona, o comunque a Roma,
nel III secolo a.C., finora non sufficientemente valorizzato. Si tratta di un
Aerar(ios) che bolla vasi di ceramica a vernice nera rinvenuti nella necropoli
Esquilina – appartenenti alla serie votiva con Ercole in atto di libare30
(fig. 3).
25
Lombardi 1996, p. 65.
26
Le firme appaiono graffite in maniera estesa e abbreviata ben cinque volte su oggetti votivi,
su pesi e su dolia dello scarico di fornace: CIL XV, 6149-6150; Lanciani 1877, pp. 88-114; Mana-
corda 2007, p. 200.
27
Coarelli 1990, p. 185; Coarelli 2015, p. 120.
28
Sui luci dell’Esquilino Marroni 2010, pp. 38-39, 48, 54, 59.
29
La Rocca 1989, p. 315.
30
CIL I, 426; Dressel 1880, pp. 292 ss. Altre firme attestate su ceramica a vernice nera, , votivi,
lucerne e pesi da telaio della necropoli esquilina sono P. LELI, Q. AF, C.V., A con l’asta centrale
spezzata in due linee convergenti verso il basso interpretata dal Dressel come un nesso tra A, M e V.
348 HELGA DI GIUSEPPE
Sul termine si è variamente discusso e va
innanzitutto notata l’anomalia dell’assenza
del praenomen. David Nonnis nel suo cor-
pus di iscrizioni sull’instrumentum iscritto di
epoca repubblicana31
non lo riconosce come
antroponimo e dunque non lo cita, seguendo
Daniele Manacorda che ritiene si tratti di un
riferimento all’attività degli aerarii che po-
tevano costituirsi in collegio e che rimande-
rebbe quindi a un Ercole (ad o inter) ae-
rar(ios), ovvero collegato all’attività di arti-
giani del metallo32
. Dressel, invece, ipotizzò
fin da subito che si trattasse di un nomen33
,
cosa di cui anch’io sono convinta alla luce
della casistica della bollatura della ceramica
a vernice nera che riporta puntualmente i nomi degli artefici dei vasi34
. Ae-
rar(ios) è gentilizio derivante da antichi mestieri come tutti i gentilizi terminanti
in -arius, quali i Coriarii, i Minarii, gli Argentarii, i Samiarii, gli Aurarii per
fare alcuni esempi35
. Potrebbe cioè trattarsi di un discendente di individui che
avevano lavorato per una societas aerar(iarum fodinarum)36
, in altre parole in
miniere per l’estrazione del rame. Come nomen non è molto attestato ma abbia-
mo vari casi proprio a Roma37
e pochi in altre città38
su epigrafi databili tra la
tarda età repubblicana e la prima età imperiale. In due casi – Sex. Aerariu(s) /
Sex Sex. l. Nicephorus de vico Fannio: CIL VI, 7542 (100 a.C. / 1 a.C.); Sex(tus)
Aerarius Sex. Sex. ((muliebri)) l. Barnaeus: CIL VI, 11177 (1 d.C. / 100 d.C.) –
gli Aerarii risultano liberti dei Sextii, tra le principali firme – lo ricordiamo –
degli strumenti di produzione rinvenuti nello scarico di fornace dell’Esquilino e
31
Nonnis 2015.
32
Manacorda, Zanini 1997, p. 268, note 55 e 56.
33
Dressel 1880, p. 292.
34
Vd. Nonnis 2015.
35
Gatti, Onorati 1992, pp. 226-227; Per gli Aurarii Di Giuseppe 2017.
36
Stessa cosa per gli Argentarii esponenti di spicco di Carthago Nova, per i quali è stato possi-
bile dimostrare che erano discendenti di liberti che facevano parte di societas appaltatrici
dell’estrazione dell’argento: Diaz Ariño, Antolino Marín 2013.
37
Sex. Aerariu(s) / Sex Sex. l. Nicephorus de vico Fannio: CIL VI, 7542 (100 a.C. / 1 a.C.);
Sex(tus) Aerarius Sex. Sex. ((muliebri)) l. Barnaeus: CIL VI, 11177 (1 d.C. / 100 d.C.), questi due
ultimi entrambi liberti dei Sextii da cui ereditano anche il praenomen; Aerarius Chryseros: CIL VI,
200, 30712, 36747 (17 - 11 70 d.C. / 70 d.C.); Aerarius Soterius: CIL VI, 8799 (98 d.C. / 160 d.C.).
38
Mutina: C. A[erarius] A[---] e C. Aerarius Tertius: CIL XI, 873.
Fig. 3. Stampiglia su fondo interno di
ceramica a vernice nera con Ercole in
atto di libare e iscrizione di antroponimo:
Aerar(ios). III secolo a.C. (da Dressel
1880, p. 292).
IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 349
a cui si attribuisce ipoteticamente la titolarità di quelle officine39
. Verrebbe
spontaneo pensare che anche l’Aerarios di epoca medio-repubblicana fosse stato
un servo dei Sextii in seguito da questi liberato, conservando il nomen d’origine
e assumendo il gentilizio dei patroni quale praenomen. Interessante anche il det-
taglio di un Sext. Aerarius Nicephorus de vico Fannio a Roma, un distretto o una
strada che non sappiamo dove collocare40
. Tuttavia, la presenza degli Aerarii
sull’Esquilino, il loro stretto legame con i Sextii che firmano i manufatti delle
fornaci che qui operavano e, in tempi più recenti, il legame tra liberti dei Fannii
e un magister a Foro Esquilino41
, lasciano presumere che il vico Fannio si tro-
vasse sull’Esquilino, uno dei tanti quartieri di Roma, dove il legame tra individui
e attività produttive sembra perdurare per secoli. E se questo fosse confermato
l’Esquilino sarebbe una delle zone di Roma in cui doveva concentrarsi molto
verosimilmente l’attività degli aerarii42
.
Faccio infine presente che questa ceramica bollata con Ercole in libagione
potrebbe derivare da prototipi in metallo, a cui certa parte di ceramica a vernice
nera certamente si ispirava. Ma su questi aspetti torneremo con un altro caso
sempre a Roma.
Per concludere con l’Esquilino, la vocazione commerciale della zona si con-
serva anche in epoca tardo-repubblicana e primo-imperiale con il macellum Li-
viae e una piazza forense definita appunto Foro Esquilino che doveva trovarsi
all’interno e nelle immediate vicinanze della porta Esquilina nei pressi
dell’odierna chiesa di S. Vito. In questo foro operavano gli argentarii a testimo-
niare, alla luce di tutto quanto osservato, la possibile continuità funzionale
dell’area rispetto alla produzione e commercializzazione dei metalli43
.
Disiecta membra queste appena menzionate che nel complesso ci dicono che
le officine in città dovevano essere molteplici e organizzate in veri e propri ce-
ramici o in singoli stabilimenti nati in occasione della costruzione di templi e per
ottemperare in seguito alle esigenze rituali e cultuali. È ormai un luogo comune
che le attività produttive dovevano essere decentrate e ai margini della zona abi-
tata. Manifatture sorgevano ovunque: tanto al centro della città, quanto in perife-
ria, vicino alle mura urbane e alle porte: i Romani convivevano senza nessun
imbarazzo e in ogni periodo storico con il fuoco, il fumo, il rumore, gli effluvi
39
Nonnis 2015, pp. 408-409: C. Sextio(s) V.s. e P. Sextio(s) V. f.
40
Lega 1999.
41
CIL VI, 2223 = ILS 6076a = AE 2004, 194.
42
La Lega individua altre due zone nell’aedes di Fortuna ad lacum Aretis e in località a Pulvi-
nare presso il Circo Massimo: Lega 1999, p. 163.
43
Coarelli 1995a, p. 298. Per le attestazioni degli argentarii a Foro Esquilino: CIL VI 9179 e
CIL VI 9180.
350 HELGA DI GIUSEPPE
mefitici di fulloniche e latrine e quant’altro di scomodo per una sensibilità mo-
derna potesse generare un’attività produttiva44
. E come poteva essere diversa-
mente del resto? I cantieri edili, la capillare diffusione dei templi e delle aree
funerarie richiedevano necessariamente l’allestimento degli opifici nei loro pres-
si al fine di evitare il disagio del traffico generato dall’approvvigionamento delle
materie prime e della distribuzione delle merci una volta realizzate.
Per dirla con M. Torelli, non v’è dubbio che Roma fosse una città dalla cultu-
ra variegata che andava al traino dell’arte etrusca che a sua volta dialogava for-
temente con l’elemento culturale greco e, in particolare, con quello campano e
cumano45
, argomenti su cui ci sentiamo di dover insistere. Proprio nel periodo
compreso tra il IV e il III secolo a.C. assistiamo a un gran movimento di artigia-
ni provenienti dal Suditalia, in particolare dall’area tarantina e ancor più dalla
Campania, artigiani che generano ugualmente un forte fenomeno di accultura-
zione leggibile sia nella diffusione di certe fogge ceramiche (sovraddipinte e
figurate) e di certe terrecotte architettoniche, sia nell’arte toreutica.
CHI ERANO GLI ARTIGIANI CHE OPERAVANO A ROMA?
L’arte della lavorazione dei metalli vili e preziosi a Roma affondava le sue
radici nelle origini stesse della città, come ventilato nelle fonti letterarie46
e in
virtù di questa lunga tradizione Roma dovette raggiungere presto vette di specia-
lizzazione molto elevate e ospitare forse anche una vera e propria scuola di me-
tallurghi se molti venivano qui a operare e molti sentivano il bisogno di ricorda-
re sui propri manufatti che erano stati realizzati a Roma, come se questo fornisse
all’oggetto un valore aggiunto che non avrebbe avuto se fabbricato altrove.
Non possiamo non ricordare a tal proposito la bellissima cista Ficoroni trova-
ta a Praeneste, commissionata da Dindia Macolnia per la figlia e realizzata da
Novios Plautios, artigiano di assai probabile origine campana, come lascia in-
tendere la formula onomastica47
(fig. 4, a). A questo documento eccezionale si
aggiunge ora la spada in ferro ageminato di tipo celtico, volutamente defunzio-
nalizzata tramite deformazione forzata. Rinvenuta a Fondo Decina a San Vittore
presso Cassino verosimilmente in un contesto sacro, la spada fu donata tra la
fine del IV e il III sec. a.C. da un individuo, di cui non conosciamo il nome, che
44
Vd. il caso della distribuzione delle fulloniche dentro la città di Roma in Di Giuseppe 2015.
45
Torelli 1989, p. 20. Su questi temi v. anche Coarelli 1990, pp. 177-181 e Ampolo 1990, pp.
587.
46
Bison 2017.
47
Dindia Macolnia fileai dedit / Novios Plautios med Romai fecid: CIL I³ 561; Dohrn 1972;
Rouveret 1994; Schneider 1994; Dupraz 2006.
IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 351
l’aveva fatta forgiare a Roma dall’armaiolo Trebio(s) Pomponio(s) uomo libero,
anch’egli di probabile origine campana48
(fig. 4, b). Non possiamo comunque
escludere che il donatore fosse lo stesso Trebio Pomponio che offriva gli oggetti
della sua arte alla divinità protettrice.
Una raffinata testa di Medusa, inoltre, realizzata in bronzo, doveva costituire
l’applique di un mobile o oggetto in legno e viene firmata dall’artigiano Caios
Ovios anch’egli uomo libero, di probabile origine campana a giudicare dalla dif-
fusione del gentilizio tra area pompeiana o meglio ancora capuana49
(fig. 4, c).
L’arrivo di artigiani campani a Roma e nel suo hinterland trova conforto non
solo nel dato epigrafico, ma soprattutto in quello archeologico. Già il Dressel nel
1877 a proposito delle arette e dei ritrovamenti della necropoli esquilina aveva
notato una profusione di stili campani nelle terrecotte, più forte di quanto non
fossero quelli etruschi50
. E diffuse erano le ceramiche di tipo caleno o nord-
campano in genere prodotte con argilla locale, evidente portato dello spostamen-
to di artigiani campani a Roma e dintorni51
. E come spieghiamo questa intensa
presenza di artigiani campani? È possibile che il legame privilegiato tra Roma e
i Campani sia tra le cause che favorirono l’intenso arrivo degli artigiani? Mi
chiedo anche in questo contesto politico e culturale se al gruppo di oggetti appe-
na citati non vada aggiunta anche la nota patera mesonphalica calena recante la
menzione di un vequos Esquelinos e se non sia da recuperare la prima ipotesi di
Mingazzini che interpretò quel vequos come un quartiere di Roma anziché di
Cales52
. Ricordo che stiamo parlando di una patera in ceramica a vernice nera di
provenienza ignota ora al museo di Napoli, decorata a rilievo con una bella teoria
di esseri alati che reca all’interno una scritta molto generosa per completezza53
:
K(aesos) Serponio(s) caleb(us) fec(it) vequo Esquelino c.s. (c.s. da sciogliersi
con cum sigillis, C. servos, cum suis o calenos sum? Le possibilità restano aperte)
La patera, che sembra derivare da un prototipo in metallo – forse in argento –
in base a un uso molto diffuso (fig. 5) già evidenziato dalla Richter per la cera-
mic
48
Tr(ebios) Pomponios C. [f. vel l.] / [m]e fecet Roma[i]: Nicosia et alii. 2012; Sacco et alii.
2013; Poccetti 2012[2013], pp. 41-42; Coarelli 2015; Nonnis 2015, p. 356; Bison 2017, pp. 70-71.
49
C. Ovios Ov. f.: CIL XI 6720, 20 = I2
545; Nonnis 2012, p. 27, I3; Nonnis 2015, p. 324.
50
Dressel 1877, p. 322.
51
Palombi 1992; Di Giuseppe 2012, pp. 66-67, Di Giuseppe 2016, p. 150; sul tema della mi-
grazione dei figuli campani e laziali vd. anche Di Giuseppe 2018, pp. 131-132.
52
Mingazzini 1958, pp. 224-226.
53
CIL I2
, 416 = Dessau 8567 = ILLRP 1217 = Pagenstecher 1902, p. 80, 121 tav. 13; Di Giu-
seppe 2012, pp. 49-52.
352 HELGA DI GIUSEPPE
mica calena54
, ha suscitato nel tempo un grande dibattito tra gli studiosi, in par-
ticolare F. Coarelli e L. Pedroni che hanno respinto l’ipotesi di Mingazzini per
sostenere che il vequos Esquelinos si trovasse a Cales55
. Coarelli, seguito da Pe-
dro
54
Richter 1959.
55
Coarelli 1995b, p. 177; Pedroni 2001, p. 110. Della stessa opinione Pesando 1999, pp. 238-239.
Fig. 4. Tre esempi di artigiani di probabile
origine campana che firmano oggetti di
lusso fatti a Roma: a. La cista Ficoroni:
Dindia Macolnia fileai dedit / Novios Plau-
tios med Romai fecid; b. La spada agemi-
nata: Tr(ebios) Pomponios C. [f.?] / [m]e
fecet Roma[i] (da Sacco et alii. 2013); c.
Applique di un mobile o oggetto in legno
raffigurante una testa di Medusa: C(aios)
Ovios Ov(i) f(ilios) fecit (da Nonnis 2015,
p. 324).
IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 353
Fig. 5. Esempi di ceramica a vernice nera calena accostabili a vasellame in argento: a. Patera in ceramica
a vernice nera con decorazione in rilievo e iscrizione: K(aesos) Serponio(s) caleb(us) fec(it) vequo Esque-
lino c.s. (da Rocco 1953, fig. 1); b. In alto patera in ceramica a vernice calena, in basso patera d’argento
con motivo analogo a rilievo (da Richter 1959, figg. 32 e 34); c. A sinistra patera in ceramica a vernice
calena, in mezzo e a destra patere in argento con decorazioni analoghe (da Richter 1959, figg. 45, 46 e
48).
droni, appoggiava la sua ipotesi sulla nota tradizione delle colonie di ripetere la
toponomastica di Roma, come è il caso di Ariminum, Pompeii, Paestum, Antio-
chia di Pisidia e Corinto56
, non tenendo conto che si tratta di una tradizione re-
cente risalente all’età augustea e che nulla sappiamo se questo costume fosse in
voga già in epoca medio-repubblicana. A sostegno di questa ‘prassi’ F. Coarelli
adduceva il rinvenimento di un’epigrafe di età imperiale nella città di Cales de-
dicata a un notabile locale da parte degli abitanti del vicus Palatius dal quale
56
Coarelli 1995b, pp. 177-178.
354 HELGA DI GIUSEPPE
forse il dedicante era originario57
, cosa che avrebbe dimostrato l’esistenza di vici
dalla denominazione simile a quelli dell’Urbe a Cales. Questo argomento però è
facilmente confutabile grazie alla persistenza del vicus Palatius in area extraur-
bana verso il limite occidentale dell’ager Calenus probabilmente lungo il trac-
ciato della via Falerna, come sembrerebbero dimostrare un documento riferibile
al 799 o 814, in cui viene menzionato un vicus qui Palaczu dicitur e un altro
dell’885 che cita un cespitem monasterii nostri quem habemus in Calinus ubi
Palaczu nominatur58
. Tra l’altro il termine vequos per indicare vicus rientra non
solo nella fraseologia latina arcaica ma è anche un hapax59
, il che in sé sembre-
rebbe un argomento per escludere che in età così risalente le colonie romane
riproducessero la toponomastica dell’Urbe.
La struttura della frase non permette di escludere che quel calebus sia un a-
blativo di provenienza piuttosto che di luogo secondo una formula che spesso
compare su questi vasi, come vedremo meglio più avanti. In altre parole, Kaesos
Serponios di Cales potrebbe voler ricordare che la patera – forse in argento – fu
fatta nel vicus Esquilinus, un vicus così importante e famoso per la produzione
metallica e ceramica da non aver bisogno che si specificasse che si trattava di un
quartiere o di una via di Roma, forse perché dire vequos Esquelinos poteva e-
quivalere a dire che il vaso era stato fatto a Roma, città in cui era usanza presso
gli artigiani vantarsi di aver lavorato o, ancora meglio, semplicemente perché il
vaso era stato realizzato a Roma, probabilmente per un contesto sacro e dunque
non era necessario specificare che il vicus era di Roma piuttosto che di altre cit-
tà. In assenza di dati sulla provenienza del vaso, solo eventuali analisi
dell’argilla potrebbero aiutare a dirimere la questione. Del resto anche in epoche
più recenti permane l’uso degli artigiani romani di specificare la zona di Roma
in cui avevano lavorato, come è il caso dei colini di metallo fabbricati dai vascu-
larii L. Cassius Ambrosius e M. Ulpius Euphrates in Circo Flaminio60
e rinve-
nuti a Vindobona (Vienna) e Durostorum (Ostrov in Bulgaria) (fig. 6). È possi-
bile che quei colini fossero stati fabbricati a Roma per un mercato romano per
cui non era necessario specificare la città e che solo in seconda battuta furono
portati in quei luoghi così distanti. Se al contrario fossero stati destinati
all’esportazione fin dall’inizio allora la menzione del solo quartiere al posto del-
la città acquisterebbe un significato particolare, ovvero un quartiere di Roma
così
57
CIL X, 4641 = Dessau 6301.
58
Federici 1925, vol. I, p. 341 e vol. II, p. 10; Guadagno 1993, pp. 431-432.
59
Tarpin 2002, pp. 8-9.
60
AE 1939, 277 e Bucovala 1972, p. 125, fig. 9; Manacorda 1990, p. 43; Bison 2017, p. 69.
IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 355
così famoso nel mondo
antico per la produzione
metallica da non richiedere
la menzione della città in
cui si trovava61
. In altre
parole sarebbe come dire
Murano, isola così famosa nel mondo per i vetri soffiati che non è necessario
dire che si trova a Venezia. Più difficile mi sembrerebbe spiegare che Kaesos
Serponios abbia voluto dire che il vaso era stato fatto nel vequos Esquelinos di
Cales! Perché non dire semplicemente che era stato fatto a Cales, come di altri
vasi si ricorda che erano stati fatti a Teano (Mini set Vibiis Beriis), ad Aquileia
(Sentia Secunda / fecit Aquileiae), a Suessa [C. Pactumeius C. f. Sues(sai o sa-
nus)], ad Ameria (C. Caslanius T.f.), a Volsinii (Vipa Luncane Patna e Vipie
Vethu) o a Ocricoli/Mevaniae (C. Popilio)62
? Aggiungo che in altre iscrizioni su
ceramiche a vernice nera di tipo caleno il concetto che si vuole esprimere è sem-
pre quello della provenienza calena dell’artigiano o del vaso. Sono stati rinvenu-
ti a Roma, Castiglioncello, Nursia, Caere, Vulci vasi recanti varianti testuali del-
lo stesso termine – calebus (calebos?) o calenos – riferibili all’origine calena63
.
Analisi autoptiche delle argille fatte su vasi caleni rinvenuti in area etrusca sono
state ricondotte a una provenienza locale64
, il che potrebbe essere una conferma
che quel calebus non sia uno stato in luogo, ma un ablativo di provenienza, in-
somma una variante testuale dell’etnico. Inoltre, mentre non abbiamo nessuna
certezza che esistesse un vicus denominato Esquilino a Cales, abbiamo indizi
61
Di Giacomo 2016, pp. 172-173.
62
Nonnis 2015, p. 484, nota 34.
63
Vd. i casi Retus Gabinio. C.s. calebus fecit.e; Retus Gabinius. C.s. calebus fecit (Castiglion-
cello): Pagenstecher 1909, n. 43e, 133a-c = Pedroni 2001, p. 68, n. 8; L. Canoleios L.f. fecit calenos
o calenus (Nursia, Caere, Tarquinii): Pagenstecher 1909, n. 129, 141, 124, 114c, 115, 117, 123,
133g, 134c, 135b, 142, 143 = Pedroni 2001, p. 66, n. 5; C. Cabinio. (L.f.) T.n. caleno. (Roma, Ca-
les, Caere): Pagenstecher 1909, n. 9a-b, 133d-f = Pedroni 2001, p. 67, n. 6. Si ricorda anche il ter-
mine suessanus per la provenienza da Suessa: C. Pact(umeius) C.f. Sues(sanus) (Teanum Sidici-
num): Johannowsky 1963, p. 140. Vd. anche Poccetti 2012[2013], p. 45; Nonnis 2015, p. 484, nota 34.
64
Sanesi Mastrocinque 1982, p. 79, nota 24; Morel 1994.
Fig. 6. Colini in bronzo con l’i-
scrizione dei vascularii L. Cassius
Ambrosius e M. Ulpius Euphrates
in Circo Flaminio rinvenuti a Vin-
dobona (Vienna) e Durostorum
(Ostrov in Bulgaria) (da Di Gia-
como 2016, p. 172, fig. 126).
356 HELGA DI GIUSEPPE
vari a Roma, dove conosciamo una regione Esquilina, e un magister vici a Foro
esquilinus (CIL VI 2223), foro Esquilino noto in Appiano (I, 7, 58) e in fonti
epigrafiche, in cui si concentravano le attività degli argentarii (CIL VI 9179-
9180), come sopra accennato, variamente collocato dagli studiosi fuori o dentro
porta Esquilina. Quindi l’ipotesi di lavoro che vorrei proporre è che il vequos
Esquelinos citato sulla patera mesonphalica sia da collocare a Roma piuttosto
che a Cales e che fosse una via o un quartiere chiaramente situato sull’Esquilino,
in cui si concentravano le attività di produzione e vendita dei metalli strettamen-
te collegate a quelle del vasellame ceramico, attività che sembrerebbero perma-
nere nel tempo in zona come testimoniato dalle fonti epigrafiche e come è usua-
le per le vocazioni funzionali di alcune zone di Roma. Ma questa resta al mo-
mento una mia suggestione che trova conforto solo nella casistica appena ana-
lizzata ancora troppo povera per essere dirimente.
Restando sul tema della produzione metallica, Roma doveva rappresentare
un centro d’eccellenza anche nel campo della lavorazione dei preziosi, come le
numerosissime testimonianze epigrafiche inerenti la Sacra via, nel cuore della
Roma repubblicana attestano65
. I documenti che fanno riferimento alla raccolta,
fusione, lavorazione e assemblaggio dei metalli preziosi risalgono per lo più a
epoca tardo-repubblicana e imperiale, ma non è inverosimile pensare che alme-
no a partire dal III sec. a.C. le prime attività inerenti i metalli preziosi iniziassero
a concentrarsi lungo la Sacra via. Lo lascia intuire un blocco in travertino con
fregio dorico, tra i più antichi documenti menzionanti la presenza di artigiani di
preziosi in quest’area (fig. 7). Il blocco è stato rinvenuto in una fossa di spolia-
zione di epoca augustea negli scavi diretti da A. Carandini alle pendici setten-
trionali del Palatino ed è databile intorno alla metà/seconda metà del II sec. a.C.
Per ragioni di spazio e perché l’epigrafe è stata già pubblicata eviterò di ripro-
porre il lungo percorso di ricerca che mi ha portato a formulare lo scioglimento
dell’epigrafe e mi limiterò in questa sede a sottolineare alcuni passaggi funzio-
nali al tema che stiamo affrontando66
.
Si tratta di uno dei 7 blocchi che doveva costituire un piccolo monumento
circolare di poco più di 1 m di diametro, sormontato forse da colonnine, a for-
mare una sorta di piccola tholos, sul modello di quella del santuario di Praeneste
per intenderci, decorato con un fregio dorico abbastanza comune. L’iscrizione
che doveva continuare su almeno altri due o tre blocchi riporta da una parte il
nom
65
Panciera 2006a, Panciera 2006b; Di Giacomo 2016, pp. 163-166.
66
Brevi note sull’epigrafe sono presenti in Papi 2002 e Nonnis 2015, pp. 128-129 e 223-224.
L’edizione integrale, invece, si deve a chi scrive: Di Giuseppe 2017.
IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 357
Fig. 7. Roma, pendici settentrionali del Palatino. In alto blocco di travertino decorato con fregio dorico e
finto bugnato recante parte di due iscrizioni (Inv. 423137; cat. gen. 12/00669288): specchio destro:
magistri / Sal. Aurarius / St. Folcini(os) M. f.; specchio sinistro gemari / lani. In basso. Ricostruzione (da
Di Giuseppe 2017, figg. 1, 9, 12).
nome di due magistri – Salvios Aurarios e Statios Folcinios M(arci) filios – di
un grande collegium che possiamo supporre raggruppasse più categorie di arti-
giani operanti in questa zona, tra i quali sono arrivati a noi, solo gli ultimi due
dell’elenco: i lanii e i gemarii, ovvero i macellai e i produttori di gemme, pietre
preziose da incastonare negli anelli, nei vasi o negli oggetti d’arredo in genere.
Entrambi erano uomini liberi e sembrano avere a che fare con la produzione
e lavorazione dei metalli preziosi. Nel primo caso ce lo dice il nomen – Aurarios
– che appartiene al gruppo dei gentilizi derivati da un’attività produttiva, al pari
358 HELGA DI GIUSEPPE
dei Minarii, Argentarii, Corarii, Aerarii67
. L’aurarius era addetto alla doratura a
foglia di vasi e statue in argento e bronzo, lavoro strettamente collegato con il
brattiarius che lo riforniva delle foglie d’oro. Potrebbe però anche trattarsi di un
discendente di un liberto che era parte di associazioni di mestiere o società di
appaltatori delle miniere d’oro, a cui il termine aurarius sembrerebbe legato68
.
Folcinios invece, di probabile origine etrusca, forse di Tarquinia, doveva u-
gualmente avere a che fare con la lavorazione dei metalli preziosi. Un M. Fulci-
nius (RE, cit., col. 211 nr. 4.) proprietario di fondi nell’agro tarquiniese era atti-
vo a Roma come banchiere nel I sec. a.C. e il liberto C. Fulcinius Hermeros era
brattiarius a Roma in età flavia, ovvero realizzava sottili foglie d’oro da applica-
re su statue e vasi. Il collegamento è interessante perché potrebbe testimoniare
che l’attività della lavorazione dei metalli doveva essere così redditizia da per-
durare per generazioni69
. Un altro esempio è offerto dalla famiglia dei Septicii
che operano lungo la Sacra via nel campo dell’oro per generazioni70
. L’arte del-
la lavorazione dell’oro era estremamente articolata e poteva essere anche molto
frammentata in varie specializzazioni tra chi recuperava la materia prima, la
fondeva, la batteva, la lavorava per la realizzazione di anelli, vasi, corone, sta-
tue. Ben tredici artigiani sono noti per la Sacra via. A questi ora si aggiungono i
gemmari della nostra epigrafe che dovevano lavorare in simbiosi con gli anula-
rii, le cui officine sono state ipotizzate nei pressi del Lacus Iuturnae, dal quale
provengono molti scarti di lavorazione e che dovevano trovarsi sotto le Scale
grecae altrimenti e significativamente denominate anulariae71
. Ancora in questa
fase dovevano operare lungo la Sacra via i macellai forse in rapporto topografi-
co contiguo con i gemmari che vengono menzionati per ultimi.
Per concludere quello che propongo è che il blocco con fregio dorico facesse
parte di un altare/donario forse dedicato a Fortuna o altra divinità, realizzato dai
magistri di un grande collegium che doveva raggruppare più collegi di artigiani
operanti in questa zona.
67
Gatti, Onorati 1992, p. 226. Schulze propone varie soluzioni per il gentilizio Aurarius tra cui
quella di inserirlo nei nomina terminanti in -arius pertinenti a schiavi manomessi di societate:
Schulze 1904, pp. 415-416.
68
Di Giuseppe 2017, p. 472.
69
Di Giuseppe 2017, p. 473.
70
Di Giacomo 2012, p. 39.
71
Di Giuseppe 2017, p. 474.
IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 359
CONCLUSIONI
Trattare l’insieme delle attività produttive a Roma in epoca medio-repub-
blicana è impresa quasi impossibile in assenza di fonti letterarie e ancora troppo
pochi dati epigrafici. Più agevole è l’impresa se guardiamo alle fonti archeologi-
che in relazione al contesto di rinvenimento e soprattutto agli indicatori indiretti
quali scarti di cottura, di fusione, distanziatori per fornaci, elementi di fornaci
stesse, lisciatoi per argilla, matrici, crogioli, elementi questi di cui fortunatamen-
te cominciano a darsi notizie permettendoci di iniziare a costruire una geografia
della produzione. Sgomberato il campo da vecchi luoghi comuni per i quali Ro-
ma era una città parassita invece che produttiva e che le attività produttive in
genere si trovano solo nelle aree periferiche, abbiamo visto come questo impor-
tante centro produceva in epoca medio-repubblicana ovunque, in periferia e al
centro della città, soprattutto nei pressi dei luoghi di culto, grandi attori delle
attività economiche forse in virtù della capacità di possedere e gestire le materie
prime, le comburenti e le fonti idriche. Ceramiche, terrecotte architettoniche,
metalli, ossi, tessuti sono certamente tra le attività principali praticate per soddi-
sfare le attività cultuali, rituali e funerarie in primis delle aree sacre e poi anche
della vita civile. I pochi indizi a disposizione permettono di individuare nel-
l’attività metallurgica una delle eccellenze di Roma, una vocazione che la città
conserverà a lungo nel tempo. Inoltre, le fonti epigrafiche rimandano tutte ad
artigiani di origine campana presenti a Roma, dove avevano botteghe per la pro-
duzione di vasellame, armi e oggetti di lusso in genere. È possibile che siano
stati essi stessi a portare l’arte della manipolazione metallica a Roma, ma a Ro-
ma trovarono la loro fortuna e a Roma si sentirono orgogliosi di esercitare la
loro arte.
360 HELGA DI GIUSEPPE
ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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366 HELGA DI GIUSEPPE

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Helga di giuseppe_il_vequos_esquelinos_e

  • 1.
  • 2. OEBALUS Studi sulla Campania nell'Antichità 13, 2018 ROMA nei 100 anni di
  • 3. OEBALUS Studi sulla Campania nell'Antichità 13, 2018 Pubblicazione annuale. Registrazione del Tribunale di Napoli, n. 68 del 22 settembre 2006. DIRETTORE RESPONSABILE Felice Senatore COMITATO DI REDAZIONE Vincenzo Bellelli - Maurizio Bugno - Domenico Camardo - Eduardo Federico Alessandro Pagliara - Carlo Rescigno - Mario Russo - Eliodoro Savino - Gianluca Soricelli COMITATO SCIENTIFICO Claude Albore Livadie - Rosalba Antonini - Dominique Briquel - Giuseppe Camodeca Renata Cantilena - Luca Cerchiai - Michael Crawford - Francesco De Angelis - Natalie de Haan - Jens-Arne Dickmann - Massimo Poetto Henrik Mouritsen - Fabrizio Pesando - Felix Pirson - Paolo Poccetti Giovanna Rocca - Heikki Solin - Timo Sironen - Gianluca Tagliamonte OEBALUS - Associazione Culturale Via S. Costanzo, 8 - 80073 Capri (NA) Grafica e impaginazione: Felice Senatore © 2018 SCIENZE E LETTERE S.r.l. Via Piave, 7 - 00187 Roma - Tel. 064817656 - Fax 0648912574. www.scienzeelettere.com - email: info@scienzeelettere.com ISSN 1970-6421 ISBN 9788866871507
  • 4. INDICE GIUSEPPE CAMODECA, Herculaneum: nuovi dati sull’élite e sulla popolazione cittadinadallariedizionedelleTabulaeHerculanenses LUIGI VECCHIO, Veliagraecaurbs MARIO RUSSO, I cosiddetti ‘leoni di Sorrento’: dalla Valle del Sarno, a Roma, a PianodiSorrento UMBERTO SOLDOVIERI, Nota minima su due iscrizioni funerarie di Nuceria AlfaternadallaCollezioneFienga ANIELLO PARMA, Il cursus di un comes della famiglia imperiale e altre iscrizioniinediteda Allifae LORENZO VOLLARO, Su due iscrizioni muliebri da Beneventum al Museo ProvincialedelSannio GIOVANNI DE ALTERIIS, Un evento catastrofico a Pithekoussai. Le evidenze di geologiamarina FELICE SENATORE, Pithekoussai: Strabone e la storia geologica dell’isola. In margineaunarecentescopertadigeologiamarina CARLO DE SIMONE, Etrusco*herama«statua»<grecoἑρμᾶς(:lat.herma) FELICE SENATORE, Koilivai e uJpovnomoi. Canali sottomarini e vulcanesimo tra l'Etna,leEolieePithekoussai LUCA DI FRANCO, Memorie d’archivio su una colonna d’alabastro. Nuovi elementidallevilleromane diCapri GERVASIO ILLIANO, Una villa romana a Capo Miseno. Dati preliminari e riflessionisu proprietarievillenelgolfodiNapoli GIOVANNI COLONNA,GraffitiineditidaTeano MARIO NOTOMISTA,VenereadHerculaneum:iluoghi,ilcultoeleimmagini HEIKKI SOLIN E PAOLA CARUSO, InventaetrepertaepigraphicaBeneventana HELGA DI GIUSEPPE,IlVequos Esquelinosegliartigianicampania Roma LUCA CERCHIAI,Eroti,Sireneel’equipaggiodiOdisseo ALFONSO MELE,TraAusoni,EtrushieSanniti:NuceriaedHyria Abstracts 39 7p. 133 153 75 163 177 237 61 191 263 277 329 87 281 367 377 401 341
  • 5.
  • 6. Helga Di Giuseppe Il Vequos Esquelinos e gli artigiani campani a Roma Discutere di artigiani della Roma medio-repubblicana a più di quarant’anni dalla famosa mostra e dall’omonimo convegno1 , in cui trattarono temi fonda- mentali Filippo Coarelli, Jean-Paul Morel e Mario Torelli, è impresa che affron- to non senza imbarazzo. La difficoltà del compito risiede non solo nel doversi confrontare con studiosi che posero allora le basi della discussione inerente la produzione, il commercio e le forze sociali in gioco in maniera magistrale, sfrut- tando al massimo il potenziale informativo delle fonti a disposizione, ma anche nel fatto che un argomento di questo genere può essere trattato soprattutto su base epigrafica e la maggior parte della documentazione relativa alle attività artigianali e commerciali in nostro possesso per Roma proviene da epigrafi fune- rarie e sacre tarde, databili a partire dai decenni finali del II e soprattutto I secolo a.C. È in questa fase, infatti, che artigiani, tabernarii e mercanti hanno conqui- stato una piena visibilità nella società antica e uno spazio ben preciso in cui ope- rare: firme e geografie delle botteghe sono piuttosto note dalle fonti epigrafiche e letterarie. Di gran lunga inferiori, invece, sono i documenti che possono farsi risalire alla Roma medio-repubblicana. Non per questo comunque bisogna sco- raggiarsi e, anzi, cercheremo di far parlare le testimonianze più recenti anche per le fasi più antiche, laddove ci troveremo di fronte ad attività così redditizie da poter supporre che siano state custodite per generazioni all’interno delle stesse famiglie. Lontanissimi sono ormai i tempi in cui si sosteneva in base a una teoria di Max Weber che Roma era una “città parassita”, non in grado di produrre, incen- trata esclusivamente su servizi e consumi2 . Al contrario, Roma si comporta co- me tutte le città d’Italia: è pienamente produttiva in ogni periodo storico, come recenti convegni, ad esempio, sul periodo repubblicano, tardo antico e medieva- le3 hanno dimostrato e anzi, in alcuni periodi storici, sembra addirittura essere un centro d’eccellenza che fa scuola, attirando i migliori maestri d’arte. Aurarii, brattiarii, eborarii, fabri eborarii, fabri tignarii, frumentarii, gemmarii, fullo- 1 Roma medio-repubblicana. 2 Si ricorda l’annoso dibattito tra gli studiosi nella divisione delle città in “città parassita” e “città produttiva”: Finley 1984, Coarelli 1990, p. 182. 3 Biella et alii 2017; Molinari et alii 2015.
  • 7. 342 HELGA DI GIUSEPPE nes, holitores, lanarii, lanii, margaritarii, mellarii, mercatores bovarii, olearii, pistores, purpurarii, salsamentarii, sutores, thurarii, ungentarii, vascularii e vestiarii, alcune delle attività documentate a Roma in età tardo-repubblicana, per le quali bisogna chiedersi quali – e in che misura – fossero già praticate tra il IV e il III sec. a.C., periodo cruciale per la storia della città da molti punti di vista, compreso quello artigianale. L’episodio più traumatico della storia di Roma, il sacco gallico, di cui co- minciamo a riconoscere anche le tracce archeologiche4 , stimolò un’intensa sta- gione di risistemazione urbanistica con conseguente movimento delle maestran- ze, necessarie alla realizzazione di case, templi, arredi, strade e infrastrutture varie; inoltre, le leggi Liciniae Sextiae che equipararono la plebe ai patrizi, por- tando alla nascita della classe patrizio-plebea, generarono nuove esigenze, in particolare la necessità molto più allargata rispetto al periodo arcaico di accedere a beni di lusso e di prestigio attraverso categorie di manufatti che ora risultano molto più alla portata di una fascia sociale allargata. Faccio riferimento al pano- rama delle ceramiche fini figurate e decorate che ora sono dominate dalla cera- mica a figure rosse, a vernice nera o a vernice nera sovraddipinta, per fare esem- pi a me cari, in questa fase molto più capillarmente diffuse di quanto non fossero stati in precedenza i corrispettivi bucchero e ceramiche figurate in genere5 . Il fermento artigianale di Roma a giudicare dalla gran quantità di dati archeo- logici raccolta negli ultimi quarant’anni di ricerca si esprime fortemente nel campo della realizzazione della coroplastica, dell’opus doliare, della ceramica, della lavorazione dei metalli, vili e preziosi, dei tessuti, della pietra, della produ- zione delle immagini, degli ossi, non ancora in quello dei pavimenti, della lavo- razione del marmo, del vetro e delle pelli, acquisizioni dei periodi successivi. Tuttavia, se siamo ormai certi che Roma sia stata una città produttiva a tutti gli effetti, in grado di esportare manufatti anche di pregio e di fare scuola d’arte tale da generare nell’artigiano l’orgoglio della propria categoria6 , non siamo an- cora pienamente in grado di ricostruire una ricca geografia dei luoghi di produ- zione basata sul rinvenimento diretto delle officine che pure dovevano pullulare in città se pensiamo alla gran quantità di templi che sorsero entro e presso le mura e alle necropoli che necessitavano di approvvigionamento di vasellame e strumentario vario. A oggi, ad esempio, non è stato rinvenuto, o almeno non ne è 4 Vd. da ultimo Delfino 2009[2011], Delfino, Braione, Calcagnile 2014 con bibliografia prece- dente; Di Giuseppe 2010. 5 Si vedano gli esperimenti effettuati sulla distribuzione di queste classi nell’area del Tiber Val- ley Project: Di Giuseppe, Bousquet, Zampini 2009; Di Giuseppe 2018, pp. 76-80, 99-100. 6 Nonnis 2015; Nonnis 2016.
  • 8. IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 343 stata data notizia, nemmeno uno degli ateliers des petites estampillés, officine che producevano un tipo di ceramica a vernice nera, così definita e inquadrata da J.-P. Morel per essere caratterizzata da una decorazione interna stampigliata con motivi fitomorfi, zoomorfi, geometrici e figurati, diffusa in tutto il Mediterra- neo7 . Eppure non abbiamo dubbi sul fatto che Roma sia stata una delle tante città nel Lazio che abbia ospitato tali officine. Ce lo dice l’osservazione empiri- ca dei dati. Le ingenti quantità di questa ceramica, che rinveniamo in giacitura primaria e secondaria nelle stratigrafie di epoca medio- e tardo-repubblicana, l’originalità di alcune decorazioni rispetto ad altre, la qualità dell’argilla di gran lunga superiore rispetto a quella che si documenta nel resto del Lazio e la qualità della vernice, spesso caratterizzata da una sfumatura verde tipica di un certo ‘sa- per fare’ delle maestranze romane8 . Ma c’è dell’altro. Oggi sappiamo dove an- dare a cercare le officine ceramiche pur in assenza di fornaci che, per via della loro deperibilità, hanno in generale poche possibilità di lasciare tracce, ancor meno in una città in continua ristrutturazione e accrescimento quale è Roma. Le fornaci dell’ateliers des petites estampillés vanno cercate a Roma, come nel re- sto d’Italia, prevalentemente nei pressi dei luoghi di culto, dove sono segnalate da indicatori indiretti, quali scarti di fornaci, punzoni e distanziatori per vasi da usarsi all’interno delle fornaci, tipici dei metodi di impilamento in fase di cottura di epoca medio-repubblicana. Ho avuto modo di dimostrarlo con una ricerca che ha coinvolto l’intero territorio italico e che ha avuto come oggetto il rapporto tra centro di produzione e contesto9 . Anche qui l’indagine non è stata facile, trattan- dosi di fare un’archeologia del ‘brutto’ e del ‘fallimento’ dell’attività del figulo. L’archeologo tende a non valorizzare scorie e scarti di cottura e a non darne no- tizia rispetto agli oggetti più eclatanti e non mi è difficile immaginare che questi ‘orrori’ nel tempo non siano stati nemmeno raccolti o siano stati dimenticati sul fondo delle cassette. Tuttavia qualche notizia trapela: distanziatori per fornaci, scorie di lavorazione, scarti di cottura, semilavorati d’osso, matrici, elementi di fornaci e strumenti di lavorazione dell’argilla, quindi indicatori indiretti di offi- cine ceramiche e metallurgiche, vengono menzionati in vari scavi del Palatino, come quelli in area sud-occidentale10 e delle sue pendici nord-orientali11 e nord- 7 Morel 1969. 8 Di Giuseppe 2012, p. 69. 9 Di Giuseppe 2012. 10 Falzone, Rossi 2009, p. 437; Rossi 2013, p. 45. 11 Vengono menzionati cinquanta distanziatori in ceramica depurata, recanti sigle degli artigia- ni, chiaramente usati per distanziare nelle fornaci forme aperte e chiuse, oltre a scarti di cottura, matrici per arule, lisciatoi per argilla e tegole e blocchetti di argilla concotta riconducibili a condotti per fornaci: Ferrandes 2016, pp. 95-96; Ferrandes 2017, pp. 29-47. Dalla stessa area provengono anche tracce della lavorazione degli ossi: Soranna 2017, pp. 82-85.
  • 9. 344 HELGA DI GIUSEPPE occidentali12 o nei pressi del Portico degli Dei Consenti13 o sul Campidoglio14 : in tutti i casi siamo in contesto di area sacra (fig. 1). In queste zone centrali di Roma non mancava l’acqua (lo Spinon noto dalle fonti?15 ) e non mancava l’argilla come lo stesso toponimo Argiletum ricordato dagli autori antichi (Varr., De l.l., 5.50.157; Serv., In Aen., 8, 345) sta a testimoniare. Non sarà un caso che Rom Fig. 1. Roma. Pianta della distribuzione delle officine di epoca medio-repubblicana individuate grazie alle fonti letterarie, epigrafiche e archeologiche. 1. Santuario alle pendici sud-occidentali della Velia. 2. Via per il Foro. 3. Curiae Veteres. 4. Domus delle pendici nord-orientali del Palatino. 5. Domus Regis Sacrorum. 6. Palatino, area sacra sud-occidentale. 7. Portico presso il Portico degli Dei Consenti. 8. Quartiere residenziale arcaico delle pendici sud-orientali del Campidoglio (Foro di Cesare). 9. Esquilino via dello Statuto/via Merulana. 10. Esquilino via Pellegrino Rossi/via dello Statuto. 11. Esquilino, area sud delle Sette Sale. 12. Piccolo Aventino (da Ferrandes 2017, fig. 14). 12 Informazione di Sheila Cherubini che ringrazio. 13 Colini 1941, p. 93, fig. 5 n. 14 Bison 2017, p. 64. 15 V. Manacorda 2007, p. 200, nota 49.
  • 10. IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 345 sempre in area centrale, precisamente nella zona che in futuro sarà occupata dal Foro di Cesare, si impiantano officine metallurgiche e ceramiche per la produ- zione di impasto sabbioso, indiziate purtroppo solo da indicatori indiretti che immaginiamo, però, non abbiano ‘viaggiato’ molto dal luogo in cui sono stati realizzati16 . Verso il Tevere è nota una zona inter figulos menzionata nella valle del Circo (Varr., De l.l. 5.50.154). Spostandoci infine, in periferia, nei pressi delle mura serviane e della Porta Esquilina non v’è dubbio che qui dovesse tro- varsi uno dei ceramici della città, nella posizione, tra l’altro, più tipica per un opificio, ovvero vicino a fonti di approvvigionamento idrico e di materiale com- burente, vicino alle mura e a una delle porte di accesso alla città17 . Inoltre, luo- ghi di culto e aree funerarie fornivano un bacino d’utenza privilegiato. Proprio sull’Esquilino vengono ricordati da Festo un figulus in Esquilina regione (Fest., 468L) e da Varrone una via in figlinis (Varr., De l.l. 5.50.3; Fest., 344M), sul cui lato destro si trovava un sacrario, il quarto sacrarium degli Argei identificato con l’heroon di Servio Tullio18 . La questione dell’identificazione della via in figlinis è estremamente dibattuta in letteratura archeologica sia per quanto ri- guarda il suo posizionamento sia per il significato del termine figlinae che per alcuni andrebbe riferito a fornaci per tegole o vasellame, quindi a un ceramico della città, per altri a forni in cui preparare pasti comuni per gli Argei, per altri a un toponimo19 . Quel che appare certo è che in sta a indicare uno stato in luogo in cui si trovavano più fornaci e che quindi la via in questione si trovava nel mezzo di un’area popolata da botteghe di vasai. Proprio l’Esquilino è la zona che resti- tuisce maggiori informazioni non solo a opera degli autori antichi ma anche delle fonti archeologiche. Infatti, sotto l’angolo occidentale del convento dei Padri Liguorini, in Villa Caserta, nel punto in cui via dello Statuto sbocca in via Meru- lana, Lanciani rinvenne nel 1877 il noto scarico di fornace che “serpeggiava ir- regolarmente attraverso le arcaiche tombe, penetrando per breve spazio nel suo- lo vergine, quasi nel letto di un rigagnolo”20 . Lo scarico era composto da scarti di cottura, pani d’argilla vetrificati, strumenti di lavorazione, matrici fittili per terrecotte e arule, materiale votivo recanti varie firme di artigiani, pesi da telaio di 16 Di Giuseppe 2010, p. 311, fig. 8, Di Giuseppe 2014, p. 107, fig. III.72; Bison 2017, p. 64. Non stupirebbe del resto la vicinanza tra officine metallurgiche e ceramiche, essendo stata riscon- trata l’interazione tra i due saperi fin dal VII-VI secolo a.C.: Lunardon et alii. 2018. 17 Di Giuseppe 2016, pp. 143, 146. 18 Coarelli 2001; Capanna, Amoroso 2006; Marroni 2010, p. 54. 19 Astolfi 1995; Häuber 2014, p. 369 con sintesi delle interpretazioni precedenti. 20 Lanciani 1887, p. 296.
  • 11. 346 HELGA DI GIUSEPPE Fig. 2. Area delle figlinae nei pressi della Porta Esquilina in cui sono stati rinvenuti gli indicatori di produzione ceramica (scarico Lanciani 1877, fornace di pianta di Lucio Mariani) (rielaborata da Häuber 2014, fig. 23 e fig. 155). di grandi dimensioni21 . Inoltre, tra via Pellegrino Rossi e via dello Statuto, Paolo Mariani realizza una mappa molto precisa della necropoli esquilina ivi rinvenuta al centro della quale posiziona una fornace di cui non si fa menzione nel suo testo22 (fig. 2). Dunque sia lo scarico di fornace di Lanciani sia la fornace di Paolo Mariani si trovavano nel mezzo e nei pressi della necropoli esquilina. La fornace, “la vena di scarico”, come la definisce Lanciani, la presenza di argilla in zona hanno permesso di identificare qui un quartiere artigianale e di propen- dere per l’ipotesi che la via in figlinis si trovasse proprio in questo triangolo compreso tra via Merulana, via dello Statuto e via Pellegrino Rossi. Per le varie proposte di identificazione che si sono succedute nel tempo si rimanda a C. Häuber23 , la quale mette insieme tutti i dati a disposizione, comprese le osserva- zioni di Massimo Pentiricci che ha identificato la vallecola dello scarico di cui parla Lanciani24 e propone di individuare la via in un’antica strada rinvenutasot- 21 Lanciani 1887, p. 296; Cozzo 1928, p. 133; Ryberg 1940, p. 120; Steinby 1978, 1507; Pe- tracca, Vigna 1985, p. 133; Coarelli 1990, pp. 184-185, Coarelli 1996, p. 40; Coarelli 2015, p. 120; Manacorda 2007, p. 200; Häuber 2014, p. 370, fig. 155. 22 Häuber 2014, p. 370, fig. 155. 23 Per una storia della ricerca archeologica in zona e una sintesi delle varie posizioni degli stu- diosi vd. Häuber 2014, pp. 367 ss. 24 Pentiricci in Barbera et alii. 2005, p. 319, nota 58.
  • 12. IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 347 to la chiesa di S. Giuliano distrutta nel 1874, antecedente della via Merulana- na/vicolo S. Matteo visibile in molte carte dell’epoca25 . Qui sarebbe anche una grande depressione corrispondente a una cava di argilla usata verosimilmente dai figuli che lavoravano agli impianti produttivi. Le firme documentate sui ri- trovamenti sono una M graffita prima della cottura, C. Antonios, P. Aurelius, L. Caponius e L. Valerius. Le più ricorrenti sono, però, quelle di C. Sextios V(ibi) s(ervos), P. Sextios V(ibi) s(ervos) e P. Sextios V(ibi) f(ilios), databili tra metà IV e metà III secolo a.C.26 , che Filippo Coarelli riconduce ipoteticamente ai fa- mosi Sextii Laterani autori delle leggi Liciniae Sextiae, la cui principale fonte di ricchezza doveva risiedere nella produzione dei fittili27 . Da questi pochi dati possiamo inferire una serie di considerazioni. Nelle im- mediate vicinanze delle mura, nei pressi della Porta Esquilina doveva trovarsi una o più officine in cui operavano vari artigiani che dovevano utilizzare vero- similmente gli stessi forni. La vicinanza alla Porta Esquilina favoriva l’arrivo delle materie prime che comunque erano disponibili in loco come abbiamo visto. La zona era ricca di un banco d’argilla, il legname poteva venire dal lucus Libi- tinae o dal lucus Fagutalis28 , forse sfruttabili con opportuna profilassi in virtù delle finalità sacre della produzione o da boschi immediatamente esterni alle mura, l’acqua era presente attraverso abbondanti risorgive, come quella che lo stesso Lanciani aveva intercettato. Le officine potevano servire alle esigenze funerarie e rituali della necropoli esquilina nei pressi del lucus Libitinae e dei luoghi di culto più vicini, cosa che avrebbe potuto giustificare anche il taglio della legna nei boschi sacri. Un luogo di culto presso la porta Esquilina, del re- sto, è ipotizzabile per la presenza di tracce di un deposito votivo29 . Alla produ- zione per scopi rituali rimandano anche le arule, le terrecotte e i votivi iscritti su cui torneremo, rinvenuti nel 1877 nello scarico di fornace. Qui interessa focaliz- zare l’attenzione su uno degli artigiani che operò in zona, o comunque a Roma, nel III secolo a.C., finora non sufficientemente valorizzato. Si tratta di un Aerar(ios) che bolla vasi di ceramica a vernice nera rinvenuti nella necropoli Esquilina – appartenenti alla serie votiva con Ercole in atto di libare30 (fig. 3). 25 Lombardi 1996, p. 65. 26 Le firme appaiono graffite in maniera estesa e abbreviata ben cinque volte su oggetti votivi, su pesi e su dolia dello scarico di fornace: CIL XV, 6149-6150; Lanciani 1877, pp. 88-114; Mana- corda 2007, p. 200. 27 Coarelli 1990, p. 185; Coarelli 2015, p. 120. 28 Sui luci dell’Esquilino Marroni 2010, pp. 38-39, 48, 54, 59. 29 La Rocca 1989, p. 315. 30 CIL I, 426; Dressel 1880, pp. 292 ss. Altre firme attestate su ceramica a vernice nera, , votivi, lucerne e pesi da telaio della necropoli esquilina sono P. LELI, Q. AF, C.V., A con l’asta centrale spezzata in due linee convergenti verso il basso interpretata dal Dressel come un nesso tra A, M e V.
  • 13. 348 HELGA DI GIUSEPPE Sul termine si è variamente discusso e va innanzitutto notata l’anomalia dell’assenza del praenomen. David Nonnis nel suo cor- pus di iscrizioni sull’instrumentum iscritto di epoca repubblicana31 non lo riconosce come antroponimo e dunque non lo cita, seguendo Daniele Manacorda che ritiene si tratti di un riferimento all’attività degli aerarii che po- tevano costituirsi in collegio e che rimande- rebbe quindi a un Ercole (ad o inter) ae- rar(ios), ovvero collegato all’attività di arti- giani del metallo32 . Dressel, invece, ipotizzò fin da subito che si trattasse di un nomen33 , cosa di cui anch’io sono convinta alla luce della casistica della bollatura della ceramica a vernice nera che riporta puntualmente i nomi degli artefici dei vasi34 . Ae- rar(ios) è gentilizio derivante da antichi mestieri come tutti i gentilizi terminanti in -arius, quali i Coriarii, i Minarii, gli Argentarii, i Samiarii, gli Aurarii per fare alcuni esempi35 . Potrebbe cioè trattarsi di un discendente di individui che avevano lavorato per una societas aerar(iarum fodinarum)36 , in altre parole in miniere per l’estrazione del rame. Come nomen non è molto attestato ma abbia- mo vari casi proprio a Roma37 e pochi in altre città38 su epigrafi databili tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale. In due casi – Sex. Aerariu(s) / Sex Sex. l. Nicephorus de vico Fannio: CIL VI, 7542 (100 a.C. / 1 a.C.); Sex(tus) Aerarius Sex. Sex. ((muliebri)) l. Barnaeus: CIL VI, 11177 (1 d.C. / 100 d.C.) – gli Aerarii risultano liberti dei Sextii, tra le principali firme – lo ricordiamo – degli strumenti di produzione rinvenuti nello scarico di fornace dell’Esquilino e 31 Nonnis 2015. 32 Manacorda, Zanini 1997, p. 268, note 55 e 56. 33 Dressel 1880, p. 292. 34 Vd. Nonnis 2015. 35 Gatti, Onorati 1992, pp. 226-227; Per gli Aurarii Di Giuseppe 2017. 36 Stessa cosa per gli Argentarii esponenti di spicco di Carthago Nova, per i quali è stato possi- bile dimostrare che erano discendenti di liberti che facevano parte di societas appaltatrici dell’estrazione dell’argento: Diaz Ariño, Antolino Marín 2013. 37 Sex. Aerariu(s) / Sex Sex. l. Nicephorus de vico Fannio: CIL VI, 7542 (100 a.C. / 1 a.C.); Sex(tus) Aerarius Sex. Sex. ((muliebri)) l. Barnaeus: CIL VI, 11177 (1 d.C. / 100 d.C.), questi due ultimi entrambi liberti dei Sextii da cui ereditano anche il praenomen; Aerarius Chryseros: CIL VI, 200, 30712, 36747 (17 - 11 70 d.C. / 70 d.C.); Aerarius Soterius: CIL VI, 8799 (98 d.C. / 160 d.C.). 38 Mutina: C. A[erarius] A[---] e C. Aerarius Tertius: CIL XI, 873. Fig. 3. Stampiglia su fondo interno di ceramica a vernice nera con Ercole in atto di libare e iscrizione di antroponimo: Aerar(ios). III secolo a.C. (da Dressel 1880, p. 292).
  • 14. IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 349 a cui si attribuisce ipoteticamente la titolarità di quelle officine39 . Verrebbe spontaneo pensare che anche l’Aerarios di epoca medio-repubblicana fosse stato un servo dei Sextii in seguito da questi liberato, conservando il nomen d’origine e assumendo il gentilizio dei patroni quale praenomen. Interessante anche il det- taglio di un Sext. Aerarius Nicephorus de vico Fannio a Roma, un distretto o una strada che non sappiamo dove collocare40 . Tuttavia, la presenza degli Aerarii sull’Esquilino, il loro stretto legame con i Sextii che firmano i manufatti delle fornaci che qui operavano e, in tempi più recenti, il legame tra liberti dei Fannii e un magister a Foro Esquilino41 , lasciano presumere che il vico Fannio si tro- vasse sull’Esquilino, uno dei tanti quartieri di Roma, dove il legame tra individui e attività produttive sembra perdurare per secoli. E se questo fosse confermato l’Esquilino sarebbe una delle zone di Roma in cui doveva concentrarsi molto verosimilmente l’attività degli aerarii42 . Faccio infine presente che questa ceramica bollata con Ercole in libagione potrebbe derivare da prototipi in metallo, a cui certa parte di ceramica a vernice nera certamente si ispirava. Ma su questi aspetti torneremo con un altro caso sempre a Roma. Per concludere con l’Esquilino, la vocazione commerciale della zona si con- serva anche in epoca tardo-repubblicana e primo-imperiale con il macellum Li- viae e una piazza forense definita appunto Foro Esquilino che doveva trovarsi all’interno e nelle immediate vicinanze della porta Esquilina nei pressi dell’odierna chiesa di S. Vito. In questo foro operavano gli argentarii a testimo- niare, alla luce di tutto quanto osservato, la possibile continuità funzionale dell’area rispetto alla produzione e commercializzazione dei metalli43 . Disiecta membra queste appena menzionate che nel complesso ci dicono che le officine in città dovevano essere molteplici e organizzate in veri e propri ce- ramici o in singoli stabilimenti nati in occasione della costruzione di templi e per ottemperare in seguito alle esigenze rituali e cultuali. È ormai un luogo comune che le attività produttive dovevano essere decentrate e ai margini della zona abi- tata. Manifatture sorgevano ovunque: tanto al centro della città, quanto in perife- ria, vicino alle mura urbane e alle porte: i Romani convivevano senza nessun imbarazzo e in ogni periodo storico con il fuoco, il fumo, il rumore, gli effluvi 39 Nonnis 2015, pp. 408-409: C. Sextio(s) V.s. e P. Sextio(s) V. f. 40 Lega 1999. 41 CIL VI, 2223 = ILS 6076a = AE 2004, 194. 42 La Lega individua altre due zone nell’aedes di Fortuna ad lacum Aretis e in località a Pulvi- nare presso il Circo Massimo: Lega 1999, p. 163. 43 Coarelli 1995a, p. 298. Per le attestazioni degli argentarii a Foro Esquilino: CIL VI 9179 e CIL VI 9180.
  • 15. 350 HELGA DI GIUSEPPE mefitici di fulloniche e latrine e quant’altro di scomodo per una sensibilità mo- derna potesse generare un’attività produttiva44 . E come poteva essere diversa- mente del resto? I cantieri edili, la capillare diffusione dei templi e delle aree funerarie richiedevano necessariamente l’allestimento degli opifici nei loro pres- si al fine di evitare il disagio del traffico generato dall’approvvigionamento delle materie prime e della distribuzione delle merci una volta realizzate. Per dirla con M. Torelli, non v’è dubbio che Roma fosse una città dalla cultu- ra variegata che andava al traino dell’arte etrusca che a sua volta dialogava for- temente con l’elemento culturale greco e, in particolare, con quello campano e cumano45 , argomenti su cui ci sentiamo di dover insistere. Proprio nel periodo compreso tra il IV e il III secolo a.C. assistiamo a un gran movimento di artigia- ni provenienti dal Suditalia, in particolare dall’area tarantina e ancor più dalla Campania, artigiani che generano ugualmente un forte fenomeno di accultura- zione leggibile sia nella diffusione di certe fogge ceramiche (sovraddipinte e figurate) e di certe terrecotte architettoniche, sia nell’arte toreutica. CHI ERANO GLI ARTIGIANI CHE OPERAVANO A ROMA? L’arte della lavorazione dei metalli vili e preziosi a Roma affondava le sue radici nelle origini stesse della città, come ventilato nelle fonti letterarie46 e in virtù di questa lunga tradizione Roma dovette raggiungere presto vette di specia- lizzazione molto elevate e ospitare forse anche una vera e propria scuola di me- tallurghi se molti venivano qui a operare e molti sentivano il bisogno di ricorda- re sui propri manufatti che erano stati realizzati a Roma, come se questo fornisse all’oggetto un valore aggiunto che non avrebbe avuto se fabbricato altrove. Non possiamo non ricordare a tal proposito la bellissima cista Ficoroni trova- ta a Praeneste, commissionata da Dindia Macolnia per la figlia e realizzata da Novios Plautios, artigiano di assai probabile origine campana, come lascia in- tendere la formula onomastica47 (fig. 4, a). A questo documento eccezionale si aggiunge ora la spada in ferro ageminato di tipo celtico, volutamente defunzio- nalizzata tramite deformazione forzata. Rinvenuta a Fondo Decina a San Vittore presso Cassino verosimilmente in un contesto sacro, la spada fu donata tra la fine del IV e il III sec. a.C. da un individuo, di cui non conosciamo il nome, che 44 Vd. il caso della distribuzione delle fulloniche dentro la città di Roma in Di Giuseppe 2015. 45 Torelli 1989, p. 20. Su questi temi v. anche Coarelli 1990, pp. 177-181 e Ampolo 1990, pp. 587. 46 Bison 2017. 47 Dindia Macolnia fileai dedit / Novios Plautios med Romai fecid: CIL I³ 561; Dohrn 1972; Rouveret 1994; Schneider 1994; Dupraz 2006.
  • 16. IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 351 l’aveva fatta forgiare a Roma dall’armaiolo Trebio(s) Pomponio(s) uomo libero, anch’egli di probabile origine campana48 (fig. 4, b). Non possiamo comunque escludere che il donatore fosse lo stesso Trebio Pomponio che offriva gli oggetti della sua arte alla divinità protettrice. Una raffinata testa di Medusa, inoltre, realizzata in bronzo, doveva costituire l’applique di un mobile o oggetto in legno e viene firmata dall’artigiano Caios Ovios anch’egli uomo libero, di probabile origine campana a giudicare dalla dif- fusione del gentilizio tra area pompeiana o meglio ancora capuana49 (fig. 4, c). L’arrivo di artigiani campani a Roma e nel suo hinterland trova conforto non solo nel dato epigrafico, ma soprattutto in quello archeologico. Già il Dressel nel 1877 a proposito delle arette e dei ritrovamenti della necropoli esquilina aveva notato una profusione di stili campani nelle terrecotte, più forte di quanto non fossero quelli etruschi50 . E diffuse erano le ceramiche di tipo caleno o nord- campano in genere prodotte con argilla locale, evidente portato dello spostamen- to di artigiani campani a Roma e dintorni51 . E come spieghiamo questa intensa presenza di artigiani campani? È possibile che il legame privilegiato tra Roma e i Campani sia tra le cause che favorirono l’intenso arrivo degli artigiani? Mi chiedo anche in questo contesto politico e culturale se al gruppo di oggetti appe- na citati non vada aggiunta anche la nota patera mesonphalica calena recante la menzione di un vequos Esquelinos e se non sia da recuperare la prima ipotesi di Mingazzini che interpretò quel vequos come un quartiere di Roma anziché di Cales52 . Ricordo che stiamo parlando di una patera in ceramica a vernice nera di provenienza ignota ora al museo di Napoli, decorata a rilievo con una bella teoria di esseri alati che reca all’interno una scritta molto generosa per completezza53 : K(aesos) Serponio(s) caleb(us) fec(it) vequo Esquelino c.s. (c.s. da sciogliersi con cum sigillis, C. servos, cum suis o calenos sum? Le possibilità restano aperte) La patera, che sembra derivare da un prototipo in metallo – forse in argento – in base a un uso molto diffuso (fig. 5) già evidenziato dalla Richter per la cera- mic 48 Tr(ebios) Pomponios C. [f. vel l.] / [m]e fecet Roma[i]: Nicosia et alii. 2012; Sacco et alii. 2013; Poccetti 2012[2013], pp. 41-42; Coarelli 2015; Nonnis 2015, p. 356; Bison 2017, pp. 70-71. 49 C. Ovios Ov. f.: CIL XI 6720, 20 = I2 545; Nonnis 2012, p. 27, I3; Nonnis 2015, p. 324. 50 Dressel 1877, p. 322. 51 Palombi 1992; Di Giuseppe 2012, pp. 66-67, Di Giuseppe 2016, p. 150; sul tema della mi- grazione dei figuli campani e laziali vd. anche Di Giuseppe 2018, pp. 131-132. 52 Mingazzini 1958, pp. 224-226. 53 CIL I2 , 416 = Dessau 8567 = ILLRP 1217 = Pagenstecher 1902, p. 80, 121 tav. 13; Di Giu- seppe 2012, pp. 49-52.
  • 17. 352 HELGA DI GIUSEPPE mica calena54 , ha suscitato nel tempo un grande dibattito tra gli studiosi, in par- ticolare F. Coarelli e L. Pedroni che hanno respinto l’ipotesi di Mingazzini per sostenere che il vequos Esquelinos si trovasse a Cales55 . Coarelli, seguito da Pe- dro 54 Richter 1959. 55 Coarelli 1995b, p. 177; Pedroni 2001, p. 110. Della stessa opinione Pesando 1999, pp. 238-239. Fig. 4. Tre esempi di artigiani di probabile origine campana che firmano oggetti di lusso fatti a Roma: a. La cista Ficoroni: Dindia Macolnia fileai dedit / Novios Plau- tios med Romai fecid; b. La spada agemi- nata: Tr(ebios) Pomponios C. [f.?] / [m]e fecet Roma[i] (da Sacco et alii. 2013); c. Applique di un mobile o oggetto in legno raffigurante una testa di Medusa: C(aios) Ovios Ov(i) f(ilios) fecit (da Nonnis 2015, p. 324).
  • 18. IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 353 Fig. 5. Esempi di ceramica a vernice nera calena accostabili a vasellame in argento: a. Patera in ceramica a vernice nera con decorazione in rilievo e iscrizione: K(aesos) Serponio(s) caleb(us) fec(it) vequo Esque- lino c.s. (da Rocco 1953, fig. 1); b. In alto patera in ceramica a vernice calena, in basso patera d’argento con motivo analogo a rilievo (da Richter 1959, figg. 32 e 34); c. A sinistra patera in ceramica a vernice calena, in mezzo e a destra patere in argento con decorazioni analoghe (da Richter 1959, figg. 45, 46 e 48). droni, appoggiava la sua ipotesi sulla nota tradizione delle colonie di ripetere la toponomastica di Roma, come è il caso di Ariminum, Pompeii, Paestum, Antio- chia di Pisidia e Corinto56 , non tenendo conto che si tratta di una tradizione re- cente risalente all’età augustea e che nulla sappiamo se questo costume fosse in voga già in epoca medio-repubblicana. A sostegno di questa ‘prassi’ F. Coarelli adduceva il rinvenimento di un’epigrafe di età imperiale nella città di Cales de- dicata a un notabile locale da parte degli abitanti del vicus Palatius dal quale 56 Coarelli 1995b, pp. 177-178.
  • 19. 354 HELGA DI GIUSEPPE forse il dedicante era originario57 , cosa che avrebbe dimostrato l’esistenza di vici dalla denominazione simile a quelli dell’Urbe a Cales. Questo argomento però è facilmente confutabile grazie alla persistenza del vicus Palatius in area extraur- bana verso il limite occidentale dell’ager Calenus probabilmente lungo il trac- ciato della via Falerna, come sembrerebbero dimostrare un documento riferibile al 799 o 814, in cui viene menzionato un vicus qui Palaczu dicitur e un altro dell’885 che cita un cespitem monasterii nostri quem habemus in Calinus ubi Palaczu nominatur58 . Tra l’altro il termine vequos per indicare vicus rientra non solo nella fraseologia latina arcaica ma è anche un hapax59 , il che in sé sembre- rebbe un argomento per escludere che in età così risalente le colonie romane riproducessero la toponomastica dell’Urbe. La struttura della frase non permette di escludere che quel calebus sia un a- blativo di provenienza piuttosto che di luogo secondo una formula che spesso compare su questi vasi, come vedremo meglio più avanti. In altre parole, Kaesos Serponios di Cales potrebbe voler ricordare che la patera – forse in argento – fu fatta nel vicus Esquilinus, un vicus così importante e famoso per la produzione metallica e ceramica da non aver bisogno che si specificasse che si trattava di un quartiere o di una via di Roma, forse perché dire vequos Esquelinos poteva e- quivalere a dire che il vaso era stato fatto a Roma, città in cui era usanza presso gli artigiani vantarsi di aver lavorato o, ancora meglio, semplicemente perché il vaso era stato realizzato a Roma, probabilmente per un contesto sacro e dunque non era necessario specificare che il vicus era di Roma piuttosto che di altre cit- tà. In assenza di dati sulla provenienza del vaso, solo eventuali analisi dell’argilla potrebbero aiutare a dirimere la questione. Del resto anche in epoche più recenti permane l’uso degli artigiani romani di specificare la zona di Roma in cui avevano lavorato, come è il caso dei colini di metallo fabbricati dai vascu- larii L. Cassius Ambrosius e M. Ulpius Euphrates in Circo Flaminio60 e rinve- nuti a Vindobona (Vienna) e Durostorum (Ostrov in Bulgaria) (fig. 6). È possi- bile che quei colini fossero stati fabbricati a Roma per un mercato romano per cui non era necessario specificare la città e che solo in seconda battuta furono portati in quei luoghi così distanti. Se al contrario fossero stati destinati all’esportazione fin dall’inizio allora la menzione del solo quartiere al posto del- la città acquisterebbe un significato particolare, ovvero un quartiere di Roma così 57 CIL X, 4641 = Dessau 6301. 58 Federici 1925, vol. I, p. 341 e vol. II, p. 10; Guadagno 1993, pp. 431-432. 59 Tarpin 2002, pp. 8-9. 60 AE 1939, 277 e Bucovala 1972, p. 125, fig. 9; Manacorda 1990, p. 43; Bison 2017, p. 69.
  • 20. IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 355 così famoso nel mondo antico per la produzione metallica da non richiedere la menzione della città in cui si trovava61 . In altre parole sarebbe come dire Murano, isola così famosa nel mondo per i vetri soffiati che non è necessario dire che si trova a Venezia. Più difficile mi sembrerebbe spiegare che Kaesos Serponios abbia voluto dire che il vaso era stato fatto nel vequos Esquelinos di Cales! Perché non dire semplicemente che era stato fatto a Cales, come di altri vasi si ricorda che erano stati fatti a Teano (Mini set Vibiis Beriis), ad Aquileia (Sentia Secunda / fecit Aquileiae), a Suessa [C. Pactumeius C. f. Sues(sai o sa- nus)], ad Ameria (C. Caslanius T.f.), a Volsinii (Vipa Luncane Patna e Vipie Vethu) o a Ocricoli/Mevaniae (C. Popilio)62 ? Aggiungo che in altre iscrizioni su ceramiche a vernice nera di tipo caleno il concetto che si vuole esprimere è sem- pre quello della provenienza calena dell’artigiano o del vaso. Sono stati rinvenu- ti a Roma, Castiglioncello, Nursia, Caere, Vulci vasi recanti varianti testuali del- lo stesso termine – calebus (calebos?) o calenos – riferibili all’origine calena63 . Analisi autoptiche delle argille fatte su vasi caleni rinvenuti in area etrusca sono state ricondotte a una provenienza locale64 , il che potrebbe essere una conferma che quel calebus non sia uno stato in luogo, ma un ablativo di provenienza, in- somma una variante testuale dell’etnico. Inoltre, mentre non abbiamo nessuna certezza che esistesse un vicus denominato Esquilino a Cales, abbiamo indizi 61 Di Giacomo 2016, pp. 172-173. 62 Nonnis 2015, p. 484, nota 34. 63 Vd. i casi Retus Gabinio. C.s. calebus fecit.e; Retus Gabinius. C.s. calebus fecit (Castiglion- cello): Pagenstecher 1909, n. 43e, 133a-c = Pedroni 2001, p. 68, n. 8; L. Canoleios L.f. fecit calenos o calenus (Nursia, Caere, Tarquinii): Pagenstecher 1909, n. 129, 141, 124, 114c, 115, 117, 123, 133g, 134c, 135b, 142, 143 = Pedroni 2001, p. 66, n. 5; C. Cabinio. (L.f.) T.n. caleno. (Roma, Ca- les, Caere): Pagenstecher 1909, n. 9a-b, 133d-f = Pedroni 2001, p. 67, n. 6. Si ricorda anche il ter- mine suessanus per la provenienza da Suessa: C. Pact(umeius) C.f. Sues(sanus) (Teanum Sidici- num): Johannowsky 1963, p. 140. Vd. anche Poccetti 2012[2013], p. 45; Nonnis 2015, p. 484, nota 34. 64 Sanesi Mastrocinque 1982, p. 79, nota 24; Morel 1994. Fig. 6. Colini in bronzo con l’i- scrizione dei vascularii L. Cassius Ambrosius e M. Ulpius Euphrates in Circo Flaminio rinvenuti a Vin- dobona (Vienna) e Durostorum (Ostrov in Bulgaria) (da Di Gia- como 2016, p. 172, fig. 126).
  • 21. 356 HELGA DI GIUSEPPE vari a Roma, dove conosciamo una regione Esquilina, e un magister vici a Foro esquilinus (CIL VI 2223), foro Esquilino noto in Appiano (I, 7, 58) e in fonti epigrafiche, in cui si concentravano le attività degli argentarii (CIL VI 9179- 9180), come sopra accennato, variamente collocato dagli studiosi fuori o dentro porta Esquilina. Quindi l’ipotesi di lavoro che vorrei proporre è che il vequos Esquelinos citato sulla patera mesonphalica sia da collocare a Roma piuttosto che a Cales e che fosse una via o un quartiere chiaramente situato sull’Esquilino, in cui si concentravano le attività di produzione e vendita dei metalli strettamen- te collegate a quelle del vasellame ceramico, attività che sembrerebbero perma- nere nel tempo in zona come testimoniato dalle fonti epigrafiche e come è usua- le per le vocazioni funzionali di alcune zone di Roma. Ma questa resta al mo- mento una mia suggestione che trova conforto solo nella casistica appena ana- lizzata ancora troppo povera per essere dirimente. Restando sul tema della produzione metallica, Roma doveva rappresentare un centro d’eccellenza anche nel campo della lavorazione dei preziosi, come le numerosissime testimonianze epigrafiche inerenti la Sacra via, nel cuore della Roma repubblicana attestano65 . I documenti che fanno riferimento alla raccolta, fusione, lavorazione e assemblaggio dei metalli preziosi risalgono per lo più a epoca tardo-repubblicana e imperiale, ma non è inverosimile pensare che alme- no a partire dal III sec. a.C. le prime attività inerenti i metalli preziosi iniziassero a concentrarsi lungo la Sacra via. Lo lascia intuire un blocco in travertino con fregio dorico, tra i più antichi documenti menzionanti la presenza di artigiani di preziosi in quest’area (fig. 7). Il blocco è stato rinvenuto in una fossa di spolia- zione di epoca augustea negli scavi diretti da A. Carandini alle pendici setten- trionali del Palatino ed è databile intorno alla metà/seconda metà del II sec. a.C. Per ragioni di spazio e perché l’epigrafe è stata già pubblicata eviterò di ripro- porre il lungo percorso di ricerca che mi ha portato a formulare lo scioglimento dell’epigrafe e mi limiterò in questa sede a sottolineare alcuni passaggi funzio- nali al tema che stiamo affrontando66 . Si tratta di uno dei 7 blocchi che doveva costituire un piccolo monumento circolare di poco più di 1 m di diametro, sormontato forse da colonnine, a for- mare una sorta di piccola tholos, sul modello di quella del santuario di Praeneste per intenderci, decorato con un fregio dorico abbastanza comune. L’iscrizione che doveva continuare su almeno altri due o tre blocchi riporta da una parte il nom 65 Panciera 2006a, Panciera 2006b; Di Giacomo 2016, pp. 163-166. 66 Brevi note sull’epigrafe sono presenti in Papi 2002 e Nonnis 2015, pp. 128-129 e 223-224. L’edizione integrale, invece, si deve a chi scrive: Di Giuseppe 2017.
  • 22. IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 357 Fig. 7. Roma, pendici settentrionali del Palatino. In alto blocco di travertino decorato con fregio dorico e finto bugnato recante parte di due iscrizioni (Inv. 423137; cat. gen. 12/00669288): specchio destro: magistri / Sal. Aurarius / St. Folcini(os) M. f.; specchio sinistro gemari / lani. In basso. Ricostruzione (da Di Giuseppe 2017, figg. 1, 9, 12). nome di due magistri – Salvios Aurarios e Statios Folcinios M(arci) filios – di un grande collegium che possiamo supporre raggruppasse più categorie di arti- giani operanti in questa zona, tra i quali sono arrivati a noi, solo gli ultimi due dell’elenco: i lanii e i gemarii, ovvero i macellai e i produttori di gemme, pietre preziose da incastonare negli anelli, nei vasi o negli oggetti d’arredo in genere. Entrambi erano uomini liberi e sembrano avere a che fare con la produzione e lavorazione dei metalli preziosi. Nel primo caso ce lo dice il nomen – Aurarios – che appartiene al gruppo dei gentilizi derivati da un’attività produttiva, al pari
  • 23. 358 HELGA DI GIUSEPPE dei Minarii, Argentarii, Corarii, Aerarii67 . L’aurarius era addetto alla doratura a foglia di vasi e statue in argento e bronzo, lavoro strettamente collegato con il brattiarius che lo riforniva delle foglie d’oro. Potrebbe però anche trattarsi di un discendente di un liberto che era parte di associazioni di mestiere o società di appaltatori delle miniere d’oro, a cui il termine aurarius sembrerebbe legato68 . Folcinios invece, di probabile origine etrusca, forse di Tarquinia, doveva u- gualmente avere a che fare con la lavorazione dei metalli preziosi. Un M. Fulci- nius (RE, cit., col. 211 nr. 4.) proprietario di fondi nell’agro tarquiniese era atti- vo a Roma come banchiere nel I sec. a.C. e il liberto C. Fulcinius Hermeros era brattiarius a Roma in età flavia, ovvero realizzava sottili foglie d’oro da applica- re su statue e vasi. Il collegamento è interessante perché potrebbe testimoniare che l’attività della lavorazione dei metalli doveva essere così redditizia da per- durare per generazioni69 . Un altro esempio è offerto dalla famiglia dei Septicii che operano lungo la Sacra via nel campo dell’oro per generazioni70 . L’arte del- la lavorazione dell’oro era estremamente articolata e poteva essere anche molto frammentata in varie specializzazioni tra chi recuperava la materia prima, la fondeva, la batteva, la lavorava per la realizzazione di anelli, vasi, corone, sta- tue. Ben tredici artigiani sono noti per la Sacra via. A questi ora si aggiungono i gemmari della nostra epigrafe che dovevano lavorare in simbiosi con gli anula- rii, le cui officine sono state ipotizzate nei pressi del Lacus Iuturnae, dal quale provengono molti scarti di lavorazione e che dovevano trovarsi sotto le Scale grecae altrimenti e significativamente denominate anulariae71 . Ancora in questa fase dovevano operare lungo la Sacra via i macellai forse in rapporto topografi- co contiguo con i gemmari che vengono menzionati per ultimi. Per concludere quello che propongo è che il blocco con fregio dorico facesse parte di un altare/donario forse dedicato a Fortuna o altra divinità, realizzato dai magistri di un grande collegium che doveva raggruppare più collegi di artigiani operanti in questa zona. 67 Gatti, Onorati 1992, p. 226. Schulze propone varie soluzioni per il gentilizio Aurarius tra cui quella di inserirlo nei nomina terminanti in -arius pertinenti a schiavi manomessi di societate: Schulze 1904, pp. 415-416. 68 Di Giuseppe 2017, p. 472. 69 Di Giuseppe 2017, p. 473. 70 Di Giacomo 2012, p. 39. 71 Di Giuseppe 2017, p. 474.
  • 24. IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 359 CONCLUSIONI Trattare l’insieme delle attività produttive a Roma in epoca medio-repub- blicana è impresa quasi impossibile in assenza di fonti letterarie e ancora troppo pochi dati epigrafici. Più agevole è l’impresa se guardiamo alle fonti archeologi- che in relazione al contesto di rinvenimento e soprattutto agli indicatori indiretti quali scarti di cottura, di fusione, distanziatori per fornaci, elementi di fornaci stesse, lisciatoi per argilla, matrici, crogioli, elementi questi di cui fortunatamen- te cominciano a darsi notizie permettendoci di iniziare a costruire una geografia della produzione. Sgomberato il campo da vecchi luoghi comuni per i quali Ro- ma era una città parassita invece che produttiva e che le attività produttive in genere si trovano solo nelle aree periferiche, abbiamo visto come questo impor- tante centro produceva in epoca medio-repubblicana ovunque, in periferia e al centro della città, soprattutto nei pressi dei luoghi di culto, grandi attori delle attività economiche forse in virtù della capacità di possedere e gestire le materie prime, le comburenti e le fonti idriche. Ceramiche, terrecotte architettoniche, metalli, ossi, tessuti sono certamente tra le attività principali praticate per soddi- sfare le attività cultuali, rituali e funerarie in primis delle aree sacre e poi anche della vita civile. I pochi indizi a disposizione permettono di individuare nel- l’attività metallurgica una delle eccellenze di Roma, una vocazione che la città conserverà a lungo nel tempo. Inoltre, le fonti epigrafiche rimandano tutte ad artigiani di origine campana presenti a Roma, dove avevano botteghe per la pro- duzione di vasellame, armi e oggetti di lusso in genere. È possibile che siano stati essi stessi a portare l’arte della manipolazione metallica a Roma, ma a Ro- ma trovarono la loro fortuna e a Roma si sentirono orgogliosi di esercitare la loro arte.
  • 25. 360 HELGA DI GIUSEPPE ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE Ampolo 1990 C. Ampolo, ‘Roma e il mondo greco dal secolo VIII agli inizi del III a.C.’, in G. Pu- gliese Carratelli (a cura di), Roma e l’Italia radices imperii, Milano 1990, pp. 581-626. Astolfi, 1995 F. Astolfi, s.v. ‘Figlinae (in figlinis)’, LTUR II, 1995, pp. 252-253. Barbera et alii 2005 M.R. Barbera, M. Pentiricci, G. Schingo, L. Asor Rosa, M. Munzi, ‘Ritrovamenti ar- cheologici in piazza Vittorio Emanuele II’, BCAR CVI, 2005, pp. 302-337. Biella et alii 2017 M.C. Biella, R. Cascino, A.F. Ferrandes, M. Revello Lami (a cura di), Gli artigiani e la città. Officine e aree produttive tra VIII e III sec. a.C. nell’Italia centrale tirrenica, ScAnt 23.2, Roma 2017. Bison 2017 G. Bison, ‘I metalli a Roma fra i Tarquini e la media Repubblica: un’indagine preli- minare. Fonti, strutture, reperti’, in Biella et alii 2017, pp. 63-75. Bucovala 1972 M. Bucovala, ‘Vase romane de bronze de bronze desco perite la Dervent, judeţule Constanţa’, Pontica 5, 1972, pp. 117-136. Capanna, Amoroso 2006 M.C. Capanna, A. Amoroso, ‘Velia, Fagutal, Oppius. Il periodo arcaico e le case di Servio Tullio e Tarquinio il Superbo’, WorkACl 3, 2006, pp. 87-111. Coarelli 1990 F. Coarelli, ‘Cultura artistica e società’, in Storia di Roma II. L’impero mediterraneo. I. La repubblica imperiale, Torino 1990, pp. 159-185. Coarelli 1995a F. Coarelli, s.v. ‘Forum Esquilinum’, LTUR II, 1995a, p. 298. Coarelli 1995b F. Coarelli, ‘Vici di Ariminum’, Caesarodunum 29, 1995b, pp. 175-180. Coarelli 1996 F. Coarelli, ‘La cultura artistica a Roma in età repubblicana’, in Id., Revixit Ars. Arte e ideologia a Roma. Dai modelli ellenistici alla tradizione repubblicana, Roma 1996, pp. 15-84. Coarelli 2001 F. Coarelli, ‘Il sepolcro e la casa di Servio Tullio’, Eutopia 1, 2001, pp. 7-43. Coarelli 2015 F. Coarelli, ‘Le attività artigianali nella Roma di età imperiale. Fonti letterarie e fonti epigrafiche’, in Molinari et alii 2015, pp. 119-124. Colini 1941 A.M. Colini, ‘Pozzi e cisterne’, in BCom 69, 1941, pp. 71-99. Cozzo 1928 G. Cozzo, Ingegneria romana, Roma 1928. Delfino (2009)[2011] A. Delfino, ‘L’incendio gallico. Tra mito storiografico e realtà storica’, MedAnt 12 (2009)[2011], pp. 339-360.
  • 26. IL VEQUOS ESQUELINOS E GLI ARTIGIANI CAMPANI A ROMA 361 Delfino 2010 A. Delfino, ‘Le fasi archaiche e alto-repubblicane nell'area del Foro di Cesare’, in R. Meneghini (a cura di), Il Foro Di Cesare. Nuovi dati da scavi e studi recenti, Atti Convegno (Roma 17 dicembre 2008), ScAnt 16, 2010, pp. 285-302. Delfino, Braione, Calcagnile 2014 A. Delfino, E. Braione, L. Calcagnile, Forum Iulium. L'area del Foro di Cesare alla luce delle campagne di scavo 2005 - 2008. Le fasi arcaica, repubblicana e cesaria- no-augustea, (BAR International Series 2607), Oxford 2014. Diaz Ariño, Antolino Marín 2013 B. Diaz Ariño, J.A. Antolino Marín, ‘Los Argentarii y las societates mineras de la zona de Carthago Nova’, in J. López Vilar (ed.), Tarraco Biennal Actes 1er Congrés Internacional d’arqueologia i món antic, Govern i societat a la Hispània romana no- vetats epigràfiques. Homenatge a Géza Alföldy (Tarragona, 29-30 novembre - 1 di- cembre 2012), Tarragona 2013, pp. 115-120. Di Giacomo 2012 G. Di Giacomo, ‘Dalla fornitura alla lavorazione dell’oro: il caso degli Auli Septicii artifices’, in I. Baldini, A.L. Morelli (a cura di), Luoghi, artigiani e modi di produ- zione nell’oreficeria antica, (Ornamenta 4), Roma 2012, pp. 37-52. Di Giacomo 2016 G. Di Giacomo, Oro, pietre preziose e perle, Roma 2016. Di Giuseppe 2010 H. Di Giuseppe, ‘Incendio e bonifica prima del Foro di Cesare. Il contributo della ce- ramica’, in R. Meneghini (a cura di), Il Foro Di Cesare. Nuovi dati da scavi e studi recenti, Atti Convegno (Roma 17 dicembre 2008), ScAnt 16, 2010, pp. 273-290. Di Giuseppe 2012 H. Di Giuseppe, Black-Gloss Ware in Italy. Production management and local histo- ries, (BAR International Series 2335), Oxford 2012. Di Giuseppe 2014 H. Di Giuseppe, ‘Periodo 2. La ristrutturazione dell’area e i reperti ceramici (390/380-120 a.C.). I reperti ceramici’, in A. Delfino, Forum Iulium L'area del Foro di Cesare alla luce delle campagne di scavo 2005-2008 Le fasi arcaica, repubblicana e cesariano-augustea, (BAR International Series 2607), Oxford 2014, pp. 100-120. Di Giuseppe 2015 H. Di Giuseppe, ‘La produzione laniera a Roma tra tardo antico e medioevo: un caso di industria disattesa?’, in Molinari et alii 2015, pp. 243-252. Di Giuseppe 2016 H. Di Giuseppe, ‘La ceramica a vernice nera e l’economia del tempio’, in A. Russo, F. Guarneri (a cura di), Santuari Mediterranei tra Oriente e Occidente. Interazioni e contatti culturali, Atti del convegno internazionale (Civitavecchia, Roma 2014), Roma 2016, pp. 143-156. Di Giuseppe 2017 H. Di Giuseppe, ‘Lani e gemari nei pressi della Sacra via a Roma’, in A. Carandini, P. Carafa, D. Filippi, M.T. D’Alessio (a cura di), Santuario di Vesta, pendice del Pa- latino e Via Sacra. Scavi 1985-2016, Roma 2017, pp. 447-459. Di Giuseppe 2018 H. Di Giuseppe, Lungo il Tevere scorreva lento il tempo dei paesaggi dal XV al I se- colo a.C., (Solo e pensoso i più deserti campi vo mesurando a passi tardi e lenti 1), Roma 2018.
  • 27. 362 HELGA DI GIUSEPPE Di Giuseppe, Bousquet, Zampini 2009 H. Di Giuseppe, A. Bousquet, S. Zampini, ‘Produzione, circolazione e uso della ce- ramica lungo il Tevere in epoca repubblicana’, in H. Patterson, F. Coarelli (a cura di), Mercator Placidissimus: the Tiber Valley in Antiquity. New research in the upper and middle river valley, Proceedings of the Conference (the British School at Rome, 27-28 Feb. 2004), Roma 2009, pp. 587-619. Dohrn 1972 T. Dohrn, Die Ficoronische Ciste in der Villa Giulia in Rom, (Monumenta artis Ro- manae 11), Berlin 1972. Dressel 1880 H. Dressel, ‘La suppellettile dell’antichissima necropoli esquilina. Le stoviglie lette- rate’, AdI AnnInst 52, 1880, pp. 252-342. Dupraz 2006 E. Dupraz, 2006, ‘La ciste Ficoroni CIL I³ 561, le vers saturnien et le locatif singulier des thèmes en -a- en latin archaïque’, RPhil 80, 2006, pp. 285-303. Falzone, Rossi 2009 S. Falzone, F.M. Rossi, ‘L’area sud ovest del Palatino tra l’VIII e il VI secolo a.C. Il bucchero e la ceramica depurata come indicatori della produzione e della circolazio- ne di vasellame di uso domestico e sacrale’, in V. Jolivet, C. Pavolini, M.A. Tomei, R. Volpe (a cura di), SUBURBIUM II. Il Suburbio di Roma dalla fine dell’età monarchi- ca alla nascita del sistema delle ville (V-II sec. a.C.), Atti del Convegno Roma 16 novembre, 3 dicembre 2004, 17-18 febbraio 2005), Roma 2009, pp. 434-457. Federici 1925 V. Federici (a cura di), Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, Roma 1925. Ferrandes 2016 A.F. Ferrandes, ‘Sequenze stratigrafiche e facies ceramiche nello studio della città antica. Il caso delle pendici nord-orientali del Palatino tra IV e III secolo a.C.’, in A.F. Ferrandes, G. Pardini (a cura di), Le regole del gioco. Tracce Archeologi Rac- conti. Studi in onore di Clementina Panella, Roma 2016, pp. 77-112. Ferrandes 2017 A.F. Ferrandes, ‘Gli artigiani e Roma tra alta e media età repubblicana’, in Biella et alii 2017, pp. 21-53. Finley 1984 M.I. Finley, ‘The study of the ancient economy. Further thoughts’, Opus 3, 1984, pp. 5-11. Gatti, Onorati 1992 S. Gatti, M.T. Onorati, Praeneste medio-repubblicana: gentes ed attività produttive, in La necropoli di Praeneste. Periodi orientalizzante e medio repubblicano, Atti del II convegno di studi archeologici (Palestrina, 21-22 aprile 1990), Palestrina 1992, pp. 189-252. Guadagno 1993 G. Guadagno, ‘Pagi e vici della Campania’, in A. Calbi, A. Donati, G. Poma (a cura di), L’epigrafia del villaggio, Atti del Colloquio (Borghesi, Forlì 27-30 settembre 1990), Faenza 1993, pp. 407-444. Häuber 2014 C. Häuber, The eastern Part of the Mons Oppius in Rome. The Sanctuary of Isis et Serapis in Regio III, Temples of Minerva Medica, Fortuna Virgo and Dea Syria and Horti of Maecenas, Roma 2014.
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