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II Domenica di Quaresima Anno B
01 marzo 2015
“ facciamo tre tende”
Dal Vangelo secondo Mc 9,2-10
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li
condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti,
bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così
bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere
qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia».
Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una
nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è
il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi
attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno
ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto
dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse
dire risorgere dai morti.
II Mt 17,1-8; II Lc 9, 28-36;
5,37+
16,5
14,40
Mt 4,3
II Mt 17, 9-13;
1,34+
4,13+
“La tentazione non è finita”
Certo, per noi è tutto più semplice, dal momento che conosciamo già il finale… È come guardare un
film sapendo già come va a finire: perdi la passione, il pathos, quel coinvolgimento che ti immedesima
col protagonista facendoti sperimentare ciò che lui sperimenta. Sapere già il finale non ti coinvolge
emotivamente, tutto è più semplice anche da capire e da spiegare, nel momento in cui la scena ti
passa davanti. Per cui oggi, a noi, dopo duemila anni di Gesù Cristo, di quel Dio che non può
desiderare la sofferenza e il dolore, perché è il Dio della Vita – lo dicevamo due domeniche fa,
mentre Gesù sanava il lebbroso –, il film della vicenda dolorosa di Abramo sui monti di Moria non ci
coinvolge: sapendo già come andrà a finire, non ci costa più di tanto sentire una frase del tipo
“Prendi il tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco…e offrilo in olocausto su di un monte che io ti
indicherò”. Di certo, né Abramo né il malcapitato Isacco avevano letto Genesi 22: e vivere quel
momento accettando di fare secondo quanto Dio aveva detto loro è stata senza dubbio
un’esperienza che ha trasformato la loro vita, quei fatidici attimi nei quali perdi, in pochi minuti,
vent’anni di vita.
Lo dicevo all’inizio: facciamo alla svelta, noi, a parlare di “prova della fede”, per quanto riguarda
Abramo. Ma chissà cosa deve significare, per un padre, sentirsi dire che il suo figlio, l’unico, avuto in
tarda età e contro ogni speranza, il figlio promesso come capostipite di una lunga discendenza, deve
tornare a Dio, deve morire, perché è Dio che vuole così…Di fronte a una cosa del genere, la
tentazione più grande è quella di mandare letteralmente Dio a quel paese…Dio, e tutta la sua
discendenza! “Chissà cosa sarà mai saltato in mente a Dio!”, ci viene spontaneo dire. Forse, il testo
biblico ci aiuta a comprendere qualcosa dell’atteggiamento di Dio.
I biblisti ci dicono che il verbo “mettere alla prova” usato in questo brano di Genesi corrisponde al
verbo che gli evangelisti usano per descrivere le tentazioni di satana a Gesù, come abbiamo
ascoltato domenica scorsa. Dio, quindi, non sta “mettendo alla prova” Abramo, sta facendo molto di
più: lo sta “tentando”. Che cosa significa? Evidentemente, sta cercando una prova della grande fede
di Abramo, perché giustamente con la presenza di Isacco, Dio deve compiere la promessa di dare
ad Abramo una discendenza, di farlo capostipite del suo popolo. Per questo, vuole essere sicuro di ciò
che sta per fare, vuole vagliare la sua fede tentando di farlo crollare, giocando con lui a una specie
di scommessa: se sei capace di scommettere per me la vita di tuo figlio, vuole dire che io posso
davvero fidarmi di te e del popolo che da te nascerà, altrimenti il corso della storia cambia. Come
sarebbe stata, infatti, la storia della salvezza, se Abramo avesse detto di no a Dio, salvaguardando la
vita di Isacco? Sarebbe comunque nato da lui il popolo dell’alleanza?
Ma Abramo non cede alla tentazione di dire di no a Dio, cosa che sarebbe stata disonorevole per un
uomo di fede, ma profondamente giusta e umana; e accetta la scommessa, accetta di giocare con
Dio sulla vita del figlio, con la convinzione interiore che “Dio provvederà” a salvarlo (così risponde a
Isacco, quando questi gli chiede di che sarà il sacrificio). Del resto, non è la prima volta che Abramo
“gioca” con Dio sulle sorti del popolo e dell’umanità, l’ha già fatto “tirando” sul numero dei giusti
presenti a Sodoma e Gomorra. È interessante quello che sta per fare Dio con Abramo. Dio sa bene
che Abramo si fida di lui; ora però vuole di più, vuole sapere se egli può fidarsi di Abramo, e allora gli
chiede l’impossibile, l’uccisione del figlio. Abramo si trova di fronte a un duplice dramma: la morte del
figlio o la morte del popolo prima ancora che nasca, non c’è alternativa. Qui avviene la
trasformazione, la “trasfigurazione” di Abramo: la tentazione cui Dio lo sottopone trasforma Abramo
da uomo di fede a uomo di Dio, a uomo tanto vicino a Dio da giungere a ragionare come lui. Infatti,
Abramo fa lo stesso che fa Dio con lui: obbedendo alla richiesta di Dio, vuole verificare se può
veramente fidarsi di lui, e lo fa rischiando, accettando di far vedere a Dio che lui è fedele fino in
fondo. Come a dire: “Io ti faccio vedere che mi fido di te, però tu dimostrami che anche tu ti fidi di
me”. Questo gioco, questa sfida tra Dio e Abramo a colpi di “tentazioni” termina con due vincitori; la
sfida a colpi di tentazioni tra satana e Gesù, invece, termina con la sconfitta di satana, al quale, in
fondo, non importa nulla di verificare se può fidarsi di Gesù.
Spesso il Vangelo arriva dritto ad un punto, ad un concetto chiaro da spiazzare chi legge.
L’invito per questa II Domenica di Quaresima e non solo per questo giorno ma per tutta la
nostra esistenza, ci è direttamente rivolto da Dio: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!»
Vuole solo farlo crollare, vuole sconfiggerlo: non ci riuscì nel deserto, ci riproverà nel Getsemani e sul
Calvario, invitando Gesù a fuggire da quell’ora. Ne uscirà nuovamente sconfitto. Non così Abramo,
vincitore quanto Dio in questa sfida a colpi di tentazioni.
Abramo, dicevo, ne uscirà talmente trasfigurato che da quel momento in poi in sostanza sparisce di
scena, non parlerà più con Dio, nel libro della Genesi: non ce ne sarà più bisogno, la promessa è
compiuta. Anche Gesù esce trasfigurato dalla prova delle tentazioni, perché sa che la promessa è
compiuta, Dio si fida di lui e gli è fedele.
Ora tocca a noi uscire trasfigurati dalle prove della vita, dalla tentazione di rinchiudere Dio nei nostri
schemi, dalla tentazione di mettere Dio a dormire in una tenda per sentirci al sicuro con lui. Gesù oggi
ci mostra già il finale del film (la Trasfigurazione, di fatto, altro non è che un anticipo della
Resurrezione), ma non lo fa per farci perdere il pathos, la passione, l’entusiasmo, al contrario, lo fa
perché non ci perdiamo d’animo: evidentemente, sa bene che la nostra fede non è quella di
Abramo, e che la strada è ancora lunga.
(omelia di Don Alberto Brignoli)

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II Domenica di Quaresima

  • 1. II Domenica di Quaresima Anno B 01 marzo 2015 “ facciamo tre tende” Dal Vangelo secondo Mc 9,2-10 In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti. II Mt 17,1-8; II Lc 9, 28-36; 5,37+ 16,5 14,40 Mt 4,3 II Mt 17, 9-13; 1,34+ 4,13+
  • 2. “La tentazione non è finita” Certo, per noi è tutto più semplice, dal momento che conosciamo già il finale… È come guardare un film sapendo già come va a finire: perdi la passione, il pathos, quel coinvolgimento che ti immedesima col protagonista facendoti sperimentare ciò che lui sperimenta. Sapere già il finale non ti coinvolge emotivamente, tutto è più semplice anche da capire e da spiegare, nel momento in cui la scena ti passa davanti. Per cui oggi, a noi, dopo duemila anni di Gesù Cristo, di quel Dio che non può desiderare la sofferenza e il dolore, perché è il Dio della Vita – lo dicevamo due domeniche fa, mentre Gesù sanava il lebbroso –, il film della vicenda dolorosa di Abramo sui monti di Moria non ci coinvolge: sapendo già come andrà a finire, non ci costa più di tanto sentire una frase del tipo “Prendi il tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco…e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. Di certo, né Abramo né il malcapitato Isacco avevano letto Genesi 22: e vivere quel momento accettando di fare secondo quanto Dio aveva detto loro è stata senza dubbio un’esperienza che ha trasformato la loro vita, quei fatidici attimi nei quali perdi, in pochi minuti, vent’anni di vita. Lo dicevo all’inizio: facciamo alla svelta, noi, a parlare di “prova della fede”, per quanto riguarda Abramo. Ma chissà cosa deve significare, per un padre, sentirsi dire che il suo figlio, l’unico, avuto in tarda età e contro ogni speranza, il figlio promesso come capostipite di una lunga discendenza, deve tornare a Dio, deve morire, perché è Dio che vuole così…Di fronte a una cosa del genere, la tentazione più grande è quella di mandare letteralmente Dio a quel paese…Dio, e tutta la sua discendenza! “Chissà cosa sarà mai saltato in mente a Dio!”, ci viene spontaneo dire. Forse, il testo biblico ci aiuta a comprendere qualcosa dell’atteggiamento di Dio. I biblisti ci dicono che il verbo “mettere alla prova” usato in questo brano di Genesi corrisponde al verbo che gli evangelisti usano per descrivere le tentazioni di satana a Gesù, come abbiamo ascoltato domenica scorsa. Dio, quindi, non sta “mettendo alla prova” Abramo, sta facendo molto di più: lo sta “tentando”. Che cosa significa? Evidentemente, sta cercando una prova della grande fede di Abramo, perché giustamente con la presenza di Isacco, Dio deve compiere la promessa di dare ad Abramo una discendenza, di farlo capostipite del suo popolo. Per questo, vuole essere sicuro di ciò che sta per fare, vuole vagliare la sua fede tentando di farlo crollare, giocando con lui a una specie di scommessa: se sei capace di scommettere per me la vita di tuo figlio, vuole dire che io posso davvero fidarmi di te e del popolo che da te nascerà, altrimenti il corso della storia cambia. Come sarebbe stata, infatti, la storia della salvezza, se Abramo avesse detto di no a Dio, salvaguardando la vita di Isacco? Sarebbe comunque nato da lui il popolo dell’alleanza? Ma Abramo non cede alla tentazione di dire di no a Dio, cosa che sarebbe stata disonorevole per un uomo di fede, ma profondamente giusta e umana; e accetta la scommessa, accetta di giocare con Dio sulla vita del figlio, con la convinzione interiore che “Dio provvederà” a salvarlo (così risponde a Isacco, quando questi gli chiede di che sarà il sacrificio). Del resto, non è la prima volta che Abramo “gioca” con Dio sulle sorti del popolo e dell’umanità, l’ha già fatto “tirando” sul numero dei giusti presenti a Sodoma e Gomorra. È interessante quello che sta per fare Dio con Abramo. Dio sa bene che Abramo si fida di lui; ora però vuole di più, vuole sapere se egli può fidarsi di Abramo, e allora gli chiede l’impossibile, l’uccisione del figlio. Abramo si trova di fronte a un duplice dramma: la morte del figlio o la morte del popolo prima ancora che nasca, non c’è alternativa. Qui avviene la trasformazione, la “trasfigurazione” di Abramo: la tentazione cui Dio lo sottopone trasforma Abramo da uomo di fede a uomo di Dio, a uomo tanto vicino a Dio da giungere a ragionare come lui. Infatti, Abramo fa lo stesso che fa Dio con lui: obbedendo alla richiesta di Dio, vuole verificare se può veramente fidarsi di lui, e lo fa rischiando, accettando di far vedere a Dio che lui è fedele fino in fondo. Come a dire: “Io ti faccio vedere che mi fido di te, però tu dimostrami che anche tu ti fidi di me”. Questo gioco, questa sfida tra Dio e Abramo a colpi di “tentazioni” termina con due vincitori; la sfida a colpi di tentazioni tra satana e Gesù, invece, termina con la sconfitta di satana, al quale, in fondo, non importa nulla di verificare se può fidarsi di Gesù.
  • 3. Spesso il Vangelo arriva dritto ad un punto, ad un concetto chiaro da spiazzare chi legge. L’invito per questa II Domenica di Quaresima e non solo per questo giorno ma per tutta la nostra esistenza, ci è direttamente rivolto da Dio: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» Vuole solo farlo crollare, vuole sconfiggerlo: non ci riuscì nel deserto, ci riproverà nel Getsemani e sul Calvario, invitando Gesù a fuggire da quell’ora. Ne uscirà nuovamente sconfitto. Non così Abramo, vincitore quanto Dio in questa sfida a colpi di tentazioni. Abramo, dicevo, ne uscirà talmente trasfigurato che da quel momento in poi in sostanza sparisce di scena, non parlerà più con Dio, nel libro della Genesi: non ce ne sarà più bisogno, la promessa è compiuta. Anche Gesù esce trasfigurato dalla prova delle tentazioni, perché sa che la promessa è compiuta, Dio si fida di lui e gli è fedele. Ora tocca a noi uscire trasfigurati dalle prove della vita, dalla tentazione di rinchiudere Dio nei nostri schemi, dalla tentazione di mettere Dio a dormire in una tenda per sentirci al sicuro con lui. Gesù oggi ci mostra già il finale del film (la Trasfigurazione, di fatto, altro non è che un anticipo della Resurrezione), ma non lo fa per farci perdere il pathos, la passione, l’entusiasmo, al contrario, lo fa perché non ci perdiamo d’animo: evidentemente, sa bene che la nostra fede non è quella di Abramo, e che la strada è ancora lunga. (omelia di Don Alberto Brignoli)