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Che cos’è l’Erasmus?
E cosa ti ha spinto a partecipare?
Mi chiamo Gloria e sono una studentessa di ventuno anni,
al quarto anno di Chimica e Tecnologia Farmaceutiche
dell’Università degli studi di Palermo. Vivo da quasi quattro
mesi in Spagna e frequenterò come studentessa Erasmus
la Universidad de Alcalá fino al prossimo giugno. Sono
giunta quasi a metà di questa mia esperienza all’estero
e posso ormai dire, con cognizione di causa, che non mi
pento della mia scelta. Sono entrata in contatto con questo
progetto tanti anni fa: fin da subito mi aveva colpita e avevo
iniziato a maturare l’idea di prenderne parte. I motivi a
favore di questa esperienza sono molteplici e nel tempo
hanno finito per oscurare del tutto i dubbi. Non appena
ne ho avuto l’occasione, sono partita con l’intenzione
di godermi appieno tutte le esperienze che questo
programma mi permetteva. Si tratta di un programma della
Comunità Europea che promuove opportunità di mobilità
e mira a migliorare le competenze dei giovani. Esistono
diverse attività all’interno dell’”Erasmus +”: quello a cui sto
prendendo parte è il progetto di mobilità per studenti: un
periodo di studio all’estero che si integra con il percorso
accademico. Materialmente questo progetto si occupa
di creare una rete tra i singoli stati e le loro strutture
accademiche, erogando fondi e selezionando progetti per
riuscire a rendere possibile questa esperienza.
In ambito lavorativo questa esperienza ti aiuterà?
É prima di tutto un’esperienza di vita, che ti permette di
imparare a relazionarti con luoghi e persone che non
conosci, oltre che con una cultura e una lingua diverse.
Sicuramente da questo punto di vista, essere stato uno
studente Erasmus ci presenta agli occhi di un futuro
datore di lavoro come una persona con un certo grado di
intraprendenza e sicuramente con tanta voglia di fare. Da
non trascurare è la conoscenza della lingua, una seconda
o terza lingua è comunque un requisito molto richiesto.
Oggi quasi ogni settore tende ad essere sempre di più
inserito in un panorama internazionale, e tutte le aziende
si trovano a dover interagire con clienti, fornitori e partner
stranieri. Un candidato che ha studiato e vissuto all’estero
sarà sicuramente un’ottima scelta in tal senso. Nell’ambito
scientifico-tecnologico, inoltre, va aggiunto un ultimo
fattore: questa esperienza mi sta permettendo di acquisire
una maggior esperienza di pratica in laboratorio che
accompagna praticamente ogni materia.
Quali sono le difficoltà che hai avuto in Erasmus?
Le difficoltà ci sono, e possono anche essere tante, però se
si ha veramente voglia di arrivare fino in fondo, sono tutte
risolvibili investendo un po’ di tempo. Al di là dei problemi
con la lingua, con l’alloggio, con l’università ospitante e le
varie pratiche relative all’Erasmus, l’unica vera difficoltà è
stata comprendere il sistema universitario molto diverso dal
nostro, la diversa organizzazione delle lezioni, dei progetti,
dei voti e soprattutto degli esami. Bisogna solo entrare
nella forma mentis di uno studente spagnolo e ovviamente
studiare.
Sofia VArrica III D
esperienza Erasmus
2
Studiare in un’altra lingua non è affatto impossibile,
anzi, personalmente, seguendo le lezioni in spagnolo, è
stato automatico non studiare in italiano. Un preconcetto
che molti hanno sull’Erasmus è che sia molto più facile
passare un esame che in Italia, quasi senza studiare.
Non è assolutamente vero, ci sono tantissime modalità di
valutazione a cui non siamo abituati, la formazione è molto
più orientata verso la pratica e gli argomenti trattati restano
in generale gli stessi. D’altra parte i professori comprendono
le difficoltà extra che si possono incontrare e cercano di
essere più disponibili.
Consiglieresti il progetto Erasmus?
Hai qualche consiglio in particolare?
Sì, lo consiglierei sempre. Fa abbastanza paura, ma è
veramente alla portata di tutti. Anche se non conoscete
bene la lingua del paese ospitante, nessuno vi penalizza
per questo, i professori sono molto comprensivi e avrete
assegnato un coordinatore pronto ad aiutarvi in qualsiasi
momento. Consiglio comunque di cercare di avere delle
conoscenze linguistiche buone prima della partenza perché
questo vi semplificherà molto i primi mesi.
Infine, mi sento di consigliare di non pensare assolutamente
alla media dei voti quando si sceglie di partire. Anche se
dovesse scendere, anche se le materie fossero difficili e le
difficoltà accademiche tante, non pensate solo allo studio.
Starete vivendo all’estero, non è come un normale anno di
vita, la quantità di stimoli, di esperienze, di responsabilità
che non puoi delegare, vi renderà incredibilmente vivi. Sì,
non è solo questione di crescere, maturare, è questione
di essere totalmente immersi in una realtà in cui vi è
permesso di fare questo, vi è permesso di esplorare quanto
volete, conoscere nuove persone e qualsiasi altra cosa
desideriate.
3
Galileo? Un impostore. La Nasa? È alla base del più grande
complotto di sempre, che coinvolge anche piloti e hostess. La
Terra è piatta, è evidente. E il Sole ci gira intorno.
Potrebbe sembrare uno di quei meme che si trovano sui social,
ma¬¬ non è così, infatti negli ultimi anni si sta sviluppando un
vero e proprio movimento che si dimostra molto attivo sui social
network, non mi stupirei infatti se qualcuno di voi mi venisse
a raccontare di aver trovato un commento sotto un video su
youtube che recita “ma ragazzi scusate l’off topic, ma vi siete
mai accorti che…” andando avanti con righe e righe di teorie
complottiste di un improvvisato scienziato e astronomo.
Secondo i terrapiattisti (o Flat-Earther in inglese) la Nasa e
compagnia bella propagandano falsità all’interno di un enorme
complotto teso a ingannare tutti gli abitanti della Terra. Per quale
scopo? Boh. Oltre agli astronauti, nella trama sono coinvolti
anche tutti i piloti e le compagnie aeree, che allungano il tragitto
del volo per tenere in piedi una balla che ormai non regge più.
Il pianeta è piatto, del resto. Lo si vede benissimo. Cosa può
contare più dell’evidenza? Le conseguenze di questa rivelazione
(come altro si può definire?) sono notevoli. Oltre a togliere ogni
credibilità al discorso scientifico, elimina il concetto di Sistema
Solare: “Non esiste, non c’è. Esiste la Terra e, sopra, ci sono due
astri che girano: il Sole e la Luna. Sono della stessa dimensione”.
Non solo: “La Terra ha una forma circolare: al centro c’è il
cosiddetto Polo Nord, mentre l’Antartide è una sorta di muro che
ne stabilisce la fine”.
Infine, non esiste nemmeno la gravità. “Non esiste, non ha
senso. Esistono solo la densità e la fluttuazione”. Del resto, “un
palloncino riempito di elio è in grado di sfuggire alla cosiddetta
forza di gravità, mentre la Luna no, anzi. Come si spiega?
Semplice, che non è vero”. È “un’invenzione necessaria per
far credere alle persone che tonnellate di acqua possono stare
su una palla che gira senza disperdersi in ogni direzione. È
possibile? Vi sembra possibile?”
Sempre per dare forza alle loro idee, i Flat-Earthers sostengono
che se la Terra fosse davvero una sfera gigante, gli oceani
scenderebbero di livello e i fiumi non potrebbero scorrere in
salita giacché la fisica naturale dell’acqua è quella di trovare e
mantenere il suo livello.
È un dato di fatto che i social network come Facebook ne hanno
alimentato la diffusione in particolare con la creazione di gruppi,
spesso chiusi o “segreti” dove spesso si discute di queste
tematiche con immagini e altro materiale reperito online. C’è
da dire però che spesso molte di queste comunità non sono da
prendere sul serio, in quanto sono create da semplici burloni,
in gergo web “troll”, che si divertono a postare online questa
tipologia di contenuti, con lo scopo a volte di prendere in giro gli
stessi cospirazionisti.
Non è il caso certamente di gruppi come La società della
Terra Piatta che conta oltre 2100 iscritti o di molti altri canali su
Youtube che “fanno sul serio” esponendo le loro teorie e “prove”
a sostegno di quella che per loro non è solo una semplice ipotesi,
ma una certezza.
Potrebbe sembrare una cosa divertente (perché, diciamocelo,
chi non riderebbe di fronte a certe teorie e alla convinzione con
la quale queste sono diffuse?) ma per certi versi è preoccupante
che nel ventunesimo secolo si discuta ancora a proposito della
Terra e della sua forma.
TERRAPIATTISTI FANTASTICI E DOVE TROVARLI
chiara schillaci v c
4
È possibile un mondo senza confini?
Guardo avanti e vedo confini. Guardo a destra e vedo
confini. Guardo a sinistra e vedo confini. I confini sono
dentro di me.
Riesco a distinguerli, ho la consapevolezza dei miei limiti: mi
sento una goccia d’olio immersa nell’acqua. Probabilmente
è proprio questo il primo passo: essere consapevoli di quello
che ci limita, riconoscendo l’oppressione che ci provoca nel
vivere in società.
Vedo un elastico che mi contiene, dentro al quale mi trovo
a mio agio perché è ciò che riconosco come mia zona di
comfort. È questo il confine: un elastico sempre in tensione
verso l’interno che comprime sempre di più il nostro “spazio
familiare”; per cui lo sforzo che dobbiamo fare è quello
di spingere l’elastico e procedere verso ciò che non è di
nostro comfort ma che in questo modo entrerà a farne
parte. Non possiamo non farlo perché la nostra zona di
comfort si restringerebbe sempre di più. Inoltre noto che il
nostro confine, se non messo sotto sforzo verso l’esterno,
riduce anche la sua elasticità, si inspessisce, si irrigidisce,
e diventa un muro invalicabile.
I confini ci isolano, ci tolgono la possibilità di vivere in
sinergia, in società, in collettività, e spezza i legami con
tutto ciò che dovrebbe essere in comune, tendendo a
far rientrare nel proprio muro anche quello che è di tutti;
“il confine indica un limite comune, una separazione tra
spazi contigui; è anche un modo per stabilire in via pacifica
il diritto di proprietà di ognuno in un territorio conteso”
(Piero Zanini, “Significati del confine-I limiti naturali, storici,
mentali”). Questo è il problema fondamentale dei confini:
l’isolamento e l’esclusività. Non dobbiamo essere gocce
d’olio nell’acqua, dobbiamo abbattere i confini.
Isolamento ed esclusività sono il principio della paura per
lo sconosciuto, per ciò che non rientra nel nostro territorio,
nella nostra zona di comfort: ci poniamo in difesa di quei
confini che ci limitano e in offesa di quello che è al di là;
dovremmo invertire la tendenza: difendere quello che è al
di là e attaccare i confini. Difendere i propri confini diventa
micidiale: gli elastici diventano muri e i muri degenerano in
fili spinati che feriscono noi e chi si avvicina.
Ci capita sempre più spesso di vedere violato il diritto alla
mobilità per la difesa dei confini statali: uomini e donne
si ritrovano a dover emigrare poiché nascono al di fuori
del confine della ricchezza o del potere politico del loro
Paese; emigrando vengono attorcigliati ad elastici che li
rispediscono indietro,
o a fili spinati che non permettono loro l’inclusione.
I confini inducono alla paura e la paura scatena l’odio. Non
a caso l’odio razziale è accompagnato quasi sempre da
un forte senso identitario. Il razzismo, o in generale l’odio
per il diverso, è dovuto al non tendere il nostro elastico, al
non includere “altro” tra i nostri confini: ma nulla è “altro” da
noi, tutto è come noi; tutto è contenuto da altri elastici, altri
confini.
Ma è possibile il buon vivere in collettività, in eterogeneità e
condivisione quando i confini ne limitano il raggiungimento?
Dobbiamo abbattere tutti i confini, tendere gli elastici tanto
da spezzarli e poterci unire al mondo intero. È possibile un
mondo senza confini?
Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) nasce a
Bologna nel 1979 in diretta continuità con i Tribunali
Russell sul Vietnam (1966-67) e sull’America Latina
(1973-76). Lelio Basso, che ne era stato membro
e relatore, propone la trasformazione di questi
celebri tribunali in un’istituzione permanente capace
di essere strumento e tribuna di riconoscimento,
visibilità e presa di parola per quei popoli vittime di
violazioni dei diritti fondamentali che la Dichiarazione
Universale dei Diritti dei Popoli, proclamata ad
Algeri nel 1976, aveva indicato come marginalizzati
dal diritto internazionale, sempre più garante degli
interessi dei detentori pubblici e privati dei poteri
politici ed economici. Il Tribunale Permanente dei
Popoli terrà a Palermo, dal 18 al 20 dicembre 2017,
la sessione su La frontiera meridionale dell’UE:
Mediterraneo –Italia.
Gocce d’olio nell’acqua.
Introspezione dei confini.
Gabriele rizzo V C
5
Se non siete particolarmente interessati al mondo dei batteri
parlare del loro “Sistema immunitario”, il CRISPR, potrebbe
sembrarvi inutile, se non addirittura noioso, ma esso in
realtà rappresenta un vero e proprio trampolino verso il
futuro dell’umanità. Tutto è cominciato nell’ormai lontano
1993, quando Francico Mojica si è accorto della presenza,
nei batteri, di alcune sequenze di DNA che si distinguevano
dalle altre e, dopo più di un decennio di studi, ha ipotizzato
che potessero far parte del sistema immunitario dei batteri.
Negli anni seguenti, la ricerca ha man mano confermato
le idee dello spagnolo, ma la vera svolta in questo campo
è stata portata da Feng Zhang del Broad Institute, che è
riuscito a sfruttare il CRISPR per modificare il DNAdi cellule
eucariote come quelle umane.
Francico Mojica Feng Zhang
Entrando nello specifico, il CRISPR (clustered regularly
interspaced short palindromic repeats) è una regione
del DNA dei batteri costituita dall’alternarsi di sequenze
palindromiche e sequenze spaziatrici; queste ultime
fungono da “archivio” per il batterio per riconoscere
infezioni batteriche e virali pregresse. La prima volta che
un virus entra in contatto con il batterio, infatti, le proteine
del sistema CRISPR attaccano il virus selezionando una
precisa sequenza del DNA, contenuta fra due sequenze
chiamate PAM, che verrà inserita nel DNA del batterio.
Così al futuro attacco del virus, il batterio, e in particolare
il sistema CRISPR, cercherà e troverà nel suo DNA la
sequenza archiviata del virus. Il CRISPR trascriverà questa
sequenza, che farà da RNA guida per le proteine del
CRISPR, in modo che andando verso il virus, esse possano
trovare una sequenza uguale nel DNA virale, romperà
la sequenza del DNA in quel preciso punto, silenziando
l’agente patogeno. Tutte le diverse proteine del sistema
CRISPR vengono chiamate CAS e ne esistono di diversi
tipi, ma la più utilizzata dai ricercatori è la Cas9, perché
svolge tutte le funzioni necessarie a indirizzare, tagliare e
silenziare il DNA.
Dato che il CRISPR agisce tagliando delle sequenze di
DNA, esso può essere sfruttato per modificare quest’ultimo
in ogni tipo di cellula, comprese quelle umane; infatti,
individuando il gene che vogliamo cambiare e facendolo
rimuovere dal CRISPR-Cas, lo possiamo sostituire con
un nuovo DNA “toppa” che si aggancia perfettamente
alle basi precedentemente tagliate. Tuttavia, se ci sono
regioni del genoma che sono altamente omologhe alla
sequenza di DNA presa di mira dal filamento-guida di
RNA, CRISPR-Cas9 potrebbe agire anche fuori dal suo
bersaglio inducendo mutazioni indesiderate; possono
anche esserci casi di “mosaicismo”, una condizione in cui
si presentano contemporaneamente cellule mutate e non.
Un sistema per risolvere questo problema è stato scoperto
in Italia e in particolare a Povo, dove ha sede il Centro per
la Biologia Integrata dell’Università di Trento. Qui lavora il
team di Anna Cereseto, che ha realizzato la versione più
precisa al mondo di questo sistema; questa, come spiega
la ricercatrice «È stata sviluppata sottoponendo Cas9 a una
evoluzione darwiniana in provetta, da qui il nome evoCas9.
Cas9 nasce nei batteri, la nostra intuizione è stata di
fare evolvere Cas9 in cellule non batteriche, i lieviti, che
sebbene semplici sono molto più vicine a quelle umane. Qui
l’abbiamo fatta diventare ciò che ci interessa: un cesello che
intarsia solo dove deve, un’arma di precisione che colpisce
in un punto e risparmia tutto il resto. Questo renderà il suo
impiego nella clinica finalmente sicuro». In pratica si tratta
di far evolvere le molecole in vitro e selezionare quelle più
precise con dei “trucchi del mestiere”; il team, infatti, ha
fatto in modo che le colonie di lievito dove il CRISPR agiva
correttamente diventassero di colore rosso. E così, afferma
Cereseto, “Abbiamo ottenuto una riduzione delle mutazioni
fuori bersaglio di quasi il 99 per cento. La nostra Cas9 è
la più specifica mai sviluppata, per quanto è dato sapere”.
CRISPR-Cas9Luca Giammanco, Davide Perinzano, Carlo Merendino,
Mario Grigoli, Roberta D’Accardio IV E
6
Per quanto riguarda applicazioni concrete del CRISPR, nel
2016 i genetisti giapponesi hanno condotto un esperimento
su alcuni vegetali, sequenziando il genoma di una pianta
ornamentale molto diffusa nel paese per modificarne il co-
lore dei fiori. Sulla carta l’esperimento sembrerebbe sempli-
ce: Kenta Watanabe e i suoi colleghi hanno usato le “forbici
molecolari” di CRISPR per disattivare il gene chiave per la
pigmentazione bluastra, ottenendo delle campane candide.
La tecnica di correzione genetica si è dimostrata efficiente,
selettiva e precisa: il 75% delle piante della prima genera-
zione ha prodotto fiori bianchi anziché blu.
Si è provato anche un secondo tipo di sperimentazione,
questa volta su animali: ricorrendo a CRISPR-Cas9 un
gruppo di ricercatori ha fatto nascere dei maiali il cui geno-
ma è privo dei retrovirus endogeni normalmente presenti
in essi. Si tratta di un significativo passo in avanti verso
l’uso di organi suini per i trapianti, dato che questi retrovi-
rus, che possono infettare le cellule umane, costituiscono
uno dei principali ostacoli al ricorso agli xenotrapianti. Nel
2015, inoltre, gli scienziati avevano già usato il CRISPR per
eliminare il virus dell’HIV dalle cellule viventi in campioni
da laboratorio, dimostrando la possibilità di eliminare attra-
verso questo innovativo metodo tutti i retrovirus esistenti
oggi, che minacciano la nostra salute. Un’altra importante
scoperta sta nella possibilità di sconfiggere grazie a Cas9 il
cancro: il nostro sistema immunitario potrebbe essere reso
un migliore cacciatore di cellule maligne, impedendo così
che un tumore si manifesti e si espanda; nel 2016 dei ricer-
catori cinesi hanno annunciato di aver sconfitto un cancro
ai polmoni grazie al metodo CRISPR. È inoltre possibile
che grazie a questo nuovo metodo di cura, malattie gene-
tiche come la Fibrosi Cistica o la Còrea di Huntington ven-
gano curate attraverso semplici iniezioni contenenti Cas9.
Questi risultati sono assolutamente importanti e significativi
per questo nuovo metodo di cura, che lascia presagire un
futuro più sano e privo di malattie.
È degno di nota, inoltre, il fatto che CRISPR-Cas9 faciliti
e velocizzi esponenzialmente la ricerca nel campo della
genetica. Questo sistema, infatti, ha dei costi di produzio-
ne fino a cento volte minori rispetto a quelli dei precedenti
«strumenti» per modificare il DNAe il tempo necessario per
condurre una sperimentazione con esso è di qualche setti-
mana: nulla in confronto al periodo minimo di un anno che
ci voleva in passato. Questo apre la strada ad uno sviluppo
nel campo della genetica che sarà sempre più veloce ed
economico, e ciò potrebbe portare a numerosissimi
vantaggi, sia quelli medici di cui abbiamo già discusso che
in infiniti altri settori come quello degli OGM. La cosa più
interessante, però, è sicuramente il fatto che CRISPR-Cas
possa cambiare radicalmente l’umanità: pensate a come
in futuro moltissime persone sarebbero disposte a pagare
per modificare il proprio DNA in modo da rallentare l’invec-
chiamento o, perché no, acquisire veri e propri superpo-
teri come la possibilità di resistere in ambienti estremi o
di respirare sott’acqua. Ricordiamo inoltre che tutti questi
«miglioramenti» ci serviranno sicuramente per facilitare l’e-
splorazione spaziale e per creare umani capaci di coloniz-
zare altri pianeti in cui oggi non saremmo in grado di vivere.
Insomma, se diciamo che il CRISPR-Cas9 potrebbe rap-
presentare la svolta per la nostra specie e che potrebbe
cambiare radicalmente il nostro concetto di “umanità” non
stiamo esagerando di certo.
7
In occasione del ventennale di Repubblica a Palermo, al Teatro
Massimo, si ha avuto l’occasione di conoscere personaggi rap-
presentativi nel mondo del giornalismo ed il mondo della Start
up. Per Start up si intende l’avvio di un’attività imprenditoriale
che richiede un periodo di tempo in cui l’attività si sviluppa nel
suo fine, ossia quello di produrre un prodotto innovativo e di di-
ventare una grande impresa.
Tra le startupper lì presenti, ha presentato il suo progettoAdriana
Santonocito, che ha mandato avanti con la sua collaboratrice
Enrica Arena, dove ha mostrato come i rifiuti possono essere
utili anche nella produzione di capi d’abbigliamento. Grazie alle
bucce d’arancia e altri rifiuti biodegradabili è riuscita a mandare
avanti la sua idea creando un nuovo tessuto tecnologico e bio-
degradabile totalmente innovativo.
Qualche anno prima è stata utilizzata la plastica per lo stesso
scopo da una fabbrica tessile, mentre nei laboratori di ricerca si
stanno realizzando nuove procedure per produrre energia con
l’uso dei rifiuti. Negli ultimi tempi è stato dimostrato come i rifiuti
possono rappresentare una risorsa, riutilizzandoli e dandogli una
nuova vita, perché al giorno d’oggi il metodo di smaltimento di
questi ultimi è un problema molto discusso.
Le generazioni di oggi sono caratterizzate da un progressivo
consumismo, dal continuo godere delle cose nuove e diverse e
dalle mode che dettano il regime della vita sociale ed economica
di ogni individuo. Su ciò si basano l’economia ed il guadagno
delle fabbriche produttrici mentre il pianeta soffoca sotto i rifiuti.
Ci si preoccupa più del possedere cose nuove, belle e diverse
piuttosto che delle cataste di spazzatura che s’innalzano e rico-
prono i confini delle città.
Lo smaltimento dei rifiuti è un problema sempre più diffuso, la
raccolta differenziata aiuta nel riutilizzo di alcuni materiali come
carta, vetro e plastica con la conseguente diminuzione della
quantità di rifiuti che giungono nelle discariche. L’accumulo di
questi, impossibili da riciclare, in fosse profonde nel terreno,
sta generando un conseguente inquinamento del terreno sot-
tostante. In un servizio televisivo di “Le Iene” è stato mostrato
come questi influiscono sul terreno, inquinando anche le falde
acquifere con cui vengono in contatto e impediscono di coltivare
nei territori vicini. Ma le conseguenze non sono relative solo al
terreno, si ripercuotono anche nei mari e nei fiumi. Rifiuti, oggetti
in plastica e in alluminio sono abbandonati sulle spiagge e, tra-
sportati dal vento
e dalle correnti, influiscono soprattutto sulla salute dell’ambiente
marino e della sua fauna.
Spesso la cronaca ci riferisce di pesci, che dopo aver ingerito
rifiuti plastici, come sacchetti e tappi di bottiglia sono morti sof-
focati. A causa dell’imponente quantità di rifiuti plastici in mare si
è persino originata un’isola galleggiante vicino le isole Hawaii, di
chilometri e chilometri quadrati, totalmente costituita da plastica,
trasportata e accumulata dalle correnti. A Napoli e a Palermo le
strade sono invase da rifiuti e i bambini sono costretti a vivere e
crescere in quartieri dove la spazzatura regna sovrana.
In tutte le parti del mondo ormai ci si rende conto che le conse-
guenze della grande quantità di rifiuti sono visibili ed è impossi-
bile trascurarle. Nulla resta nuovo e tutto può essere riutilizzato,
riparato e riciclato. I mercatini dell’usato sono un espediente per
il riutilizzo degli oggetti e sono diffusi in tutti il mondo, ed è inol-
tre un modo utile per liberare la propria casa ricavando qualche
soldo. In quest’epoca di consumismo il pianeta spera in un futuro
più ecosostenibile.
Il pianeta soffoca
LUCIA RAFFAELE IV D
8
La moda è un fenomeno sociale che consiste nell’affermarsi
di modelli estetici e comportamentali. La moda è sempre
esistita, risvegliata agli albori della civiltà dalla stessa vanità
dell’uomo. Oggi la si riconosce per lo più nell’abbigliamento,
sua espressione più naturale ed appariscente, giostrata da
abili stilisti.
Mentre fino a pochi decenni fa la moda guidava lo stile
di gente adulta dei ceti più abbienti e si trattava di una
moda irraggiungibile, inimitabile perfino nel taglio e di un
vestiario opulento e vistoso, al giorno d’oggi si è verificata
un’inversione di tendenza. Attualmente è la logica del
consumismo che inventa e distrugge la moda.
I giovani, abbagliati da nuove figure di influencer e fashion
blogger che si avvicendano su un palcoscenico del tutto
nuovo, sono i nuovi destinatari su cui la nuova tendenza ha
maggiore presa. Non sono più le grandi firme a detenere
il primato, bensì piuttosto giovani figure che si sono
affermate pian piano attraverso l’aiuto dei social network e
collaborazioni cin illustri marche.
Basti pensare all’influencer più di tendenza, Chiara Ferragni
ed al suo marchio “The Blonde Salad”. Ella ha dato avvio
alla sua fama attraverso attività legate alla moda ed a
piccoli ma proficui investimenti con l’ex fidanzato Riccardo
Pozzoli. La Ferragni ha creato il blog The Blonde Salad
nel 2009, scalando una rapida ascesa che le ha garantito
nel 2014 di fatturare otto milioni di dollari e nel 2015 più
di dieci. Nell’aprile 2015, Ferragni è diventata la prima
fashion blogger ad apparire su una copertina di Vogue.
Nel 2016 è stata nominata ambassador di Panten ed infine
il 6 dicembre 2017 è stata premiata a Roma come Top
Digital Premier e nella categoria Web Star italiane donne,
nell’ambito della prima ricerca sulla leadership digitale in
Italia. Dunque per via delle precedenti nominations ella è
attualmente seguita da dieci milioni di giovani follower ed in
particolare di ragazze che si lasciano ispirare ed influenzare
da qualsiasi abito, accessorio, paio di scarpe indossi, da
qualsiasi acconciatura porti.
Ma Chiara Ferragni è soltanto la prima di una lunga lista
di ispiratrici che sono diventate innumerevoli e sempre
più influenti attraverso Instagram. Instagram risulta infatti
essere il trampolino di lancio attraverso cui farsi conoscere
ed accrescere il numero di follower. Ci sono ragazze che
sorridono sempre, raccontando con identico entusiasmo
e tono iniziative benefiche, prodotti dimagranti, accessori
all’ultima moda. Tutto risulta essere “carinissimo, da
provare, super”. C’è un canone estetico dominante.
Le immagini sono pulite, luminose. Le pose si ripetono, gli
oggetti sono quasi sempre disposti in modo geometrico.
Ma qual è allora il segreto per cui un account ha milioni
di follower e un altro solo centinaia? Questo mondo, in
apparenza sempre perfetto e felice, è davvero un gioco
da ragazzi, o una disciplina che richiede impegno e
conoscenze? Le influencer vere, quelle che sono riuscite
a mettere a punto la combinazione perfetta e vincente tra
spontaneità e perseveranza, che vita fanno? Sicuramente
molto impegnata poiché l’impresa eccezionale di Instagram
on è solo conquistare la fama, ma mantenerla. O almeno
distinguersi nella miriade di stelle, a volte un po’ cadenti,
dei social.
Le super influencere insomma stanno diventando una parte
importante del mondo della moda e della cosmesi, sia con
le loro collezioni, sia guidando le vendite di marchi diversi.
E la loro presenza in prima fila alle sfilate di New York,
Londra, Milano, Parigi non è più una conquista, ma una
questione di economia.
Ieri stilisti, oggi influencer:
così cambiano i protagonisti dell’Alta Moda
Gaia Bonanno IV e
9
Mondo abile non per disabili.
“Essere in una scuola è un privilegio,
perché voi siete il futuro.”
Così apre l’incontro Simonetta Agnello Hornby, una scrit-
trice, ma prima di tutto un’avvocatessa nata a Palermo,
naturalizzata britannica. Sabato 10 Febbraio infatti, recan-
doci in aula magna abbiamo avuto, noi del Liceo Scientifi-
co Cannizzaro e altri ragazzi provenienti da altre scuole,
l’onore e il privilegio di conoscerla, ascoltarla ed imparare
dalle sue parole. Lei rappresenta di certo, insieme al suo
nuovo libro “Nessuno può volare”, una testimonianza di vita
davvero importante, da non sottovalutare e da maneggiare
con cura.
Simonetta Agnello nasce in Sicilia, migra negli Stati Uniti
d’America e una volta sposata con l’uomo da cui prende il
cognome Hornby, e ottenuto il titolo di avvocato minorile, si
stabilisce definitivamente a Londra. La scrittura arriva anni
dopo,”per caso” afferma lei, e si è rivelata un’esperienza
via via sempre più divertente e stimolante. Il libro, da cui si
è sviluppata una successiva discussione con i ragazzi, non
è possibile certo considerarlo un romanzo, ma neanche un
semplice testo narrativo, a cui ogni lettore potrebbe dedi-
carsi con totale tranquillità, bensì un grande messaggio di
speranza e solidarietà. Ciò che viene affermato in questo
libro provoca perplessità, dubbi, scuote l’animo del lettore,
il quale inizia a porsi degli interrogativi riguardo la società
tanto evoluta quanto indifferente davanti a chi, facendone
pur parte, viene escluso, dimenticato, sminuito per le diver-
sità.
La trama parla di Simonetta ragazzina, donna in carriera,
moglie e madre che si trova a stretto contatto, per tutta la
sua vita, con le disabilità, partendo dai parenti più lontani,
ad abitanti dello stesso paesino, fino ad arrivare al proprio
figlio, Giorgio. Lui, affetto dalla sclerosi multipla, è il se-
condo autore del libro che, per tal motivo, è definito dalla
stessa autrice un’autobiografia a quattro mani. Dunque ab-
biamo da un lato il punto di vista di una madre, cresciuta
con la consapevolezza che siamo tutti uguali ma diversi e
le “stranezze” sono caratteristiche di ogni individuo: essa
offre lo sguardo di colei che si trova al fianco di un disabile.
Dall’altro lato, invece, gli occhi di un uomo, che cambia con
il passare del tempo, fino a trovarsi su una sedia a rotelle, in
un mondo in cui essa non ha modo di circolare. La non cu-
ranza, l’indifferenza o anche la presunzione di sapere come
aiutare un disabile e poi rendersi conto che la realtà dei fatti
è ben diversa, sono di certo i punti critici dell’intero libro:
rappresentano lo sfogo, la rabbia, lo sconforto, la tristezza,
il disappunto e l’impossibilità di agire di una madre, asso-
ciati però all’amore, al supporto, al senso incondizionato di
protezione per un figlio.
“Qui non ci vogliono”. Queste furono le parole di Giorgio a
Napoli, quando vide che sui treni della metropolitana non
poteva salire autonomamente. Queste furono parole forti,
pesanti, espresse da un disabile per conto di tutti gli altri
disabili, che vivono una realtà triste, perché come afferma
Simonetta: “le istituzioni non fanno il loro dovere e noi ce
ne fottiamo”.
Il senso di accettazione nei confronti dei disabili non è evi-
dentemente in ognuno di noi, piuttosto spesso li nascon-
diamo, come nascondiamo le brutture. Siamo in continua
evoluzione, scopriamo sempre nuove cure, alle volte anche
nuove malattie e un gran numero di persone si muovono
per aiutare, dal punto di vista medico, giuridico e legislativo;
ma nel quotidiano ci siamo mai chiesti se, anche tra noi
ragazzi, ci sia un senso di accettazione?
Simonetta Agnello Hornby:
Nessuno può volare.
Giulia Gambino IV e
10
È normale e spontaneo pensare che un disabile sia un es-
sere umano, con diritti e doveri, con pregi e difetti e non
invece un essere da racchiudere in una bolla, consideran-
doli talmente fragili da assu-
mere una forma di protezione
estrema, creando un isola-
mento.
Un libro e una donna che
hanno portato una ventata di
energia disarmante e una vo-
glia di agire per sostenere ed
aiutare: chi, spesso e volen-
tieri, non viene ascoltato; chi
è ghettizzato come diverso
per una disabilità di qualsia-
si genere; chi ha sempre gli
occhi addosso per strada; chi
anche però per strada non
circola in maniera¬ dignitosa.
Ciò che è di sicuro arrivato
dalle sue parole è stata la forza, la determinazione di una
donna che ancora oggi, alla veneranda età di 72 anni, non
si arrende, non smette di far valere le proprie idee, speran-
do che un giorno il messaggio che lei, con questo libro, ha
voluto trasmettere, venga raccolto e diffuso. Non possiamo
aspettarci che siano gli altri a lavorare per noi, attendere
che qualcosa possa cambiare. Il nostro mondo è ricco di
novità, di spettacoli naturali, di attrazioni di ogni genere, per
tutti i gusti e non è davvero un pec-
cato che colui che appare diverso,
non possa viverselo? Non indugia-
mo di fronte ad un problema, bensì
agiamo, affinché esso non si possa
più ripresentare in futuro e se un
ascensore, un marciapiede, un ba-
gno pubblico, un treno, una scuola,
una scala mobile non sono adatti a
tutti… beh, credo insieme a Simo-
netta che sia arrivato il momento di
smettere di ignorare ed iniziare a
cambiare le cose, perché tutto ciò
non è di certo utopico, ma la realtà
a cui si dovrebbe maggiormente e
normalmente ambire.
“Perché la vita è bella e se si aiutano gli altri si vive bene,
meglio.”
11
Durante le fasi iniziali della seconda guerra mondiale, dopo
che il predecessore Chamberlain mostrandosi incapace
di gestire la minaccia nazista si era sollevato dall’incarico,
a Londra viene assegnato l’incarico di Primo ministro a
Winston Churchill, che si trova a dover gestire il nuovo
pericolo incombente.
Siamo nel maggio del 1940 nei giorni dell’assedio di
Dunkerque, il politico conservatore appena nominato
premier, deve subito prendere una decisione fondamentale
per le sorti del suo Paese: negoziare la pace con la
Germania o combattere senza arrendersi. Churchill non
è inizialmente appoggiato né dal parlamento inglese né
dal re Giorgio IV per i suoi precedenti fallimenti a Gallipoli,
che non gli consentono di avviare l’operazione “Dynamo”.
Tuttavia egli non demorde e grazie al suo spirito patriottico
e combattivo riesce, parlando direttamente al popolo
britannico, ad organizzare una manovra di salvataggio per
le truppe accerchiate sulle spiagge di Dunkerque.
Sono questi gli eventi di cui narra “L’ora più buia”, un
film diretto da Joe Wright, con Gary Oldman nei panni di
Winston Churchill affiancato da Kristin Scott Thomas nel
ruolo della moglie Clementine.
Il Winston Churchill di Gary Oldman si presenta come un
personaggio estremamente scorbutico e testardo, convinto
con fermezza di essere l’unico nel giusto, accettando
l’enorme responsabilità di portare il suo paese alla guerra
piuttosto che lasciare l’intera Europa occidentale in balia
dell’ingente potenza militare nazista. Churchill non fu la
prima scelta del parlamento, a causa della sua precedente
sconfitta a Gallipoli, tuttavia era ciò di cui l’Inghilterra
aveva bisogno. Il film racconta la personalità complessa
e affascinante di quest’uomo, attraverso uno spaccato del
momento fondamentale della sua vita: quando il destino lo
chiamò contro la volontà di molti, per portare sulle spalle
tutto il peso della storia. Un uomo che avrebbe avuto il
coraggio di rischiare, diventando così un eroe romantico.
Lo impari a conoscere come uno spirito libero fuori dagli
schemi, brusco e impetuoso, amante del whisky e dei sigari,
cocciuto al punto di seguire le idee fino al possibile sfacelo,
ironico e carismatico come pochi. Anche nei momenti più
cupi e solitari della sua carriera politica il Primo Ministro
ha saputo reagire, ha saputo come riprendere in mano la
situazione al fine di portare il suo paese alla tanto sperata
“vittoria”. L’impegno sentito da parte di Churchill per il suo
paese lo ha reso un uomo di grande valore e spessore, che
non si è mai affranto di fronte agli ostacoli, senza mai darsi
per vinto. Ciò che ha fatto di lui un vincitore è stato l’essere
un sognatore che non ha mai smesso di arrendersi. Le
sue imprese saranno sempre motivo d’ispirazione per i più
ostinati e testardi.
“Non si può ragionare con una tigre quando si ha la testa
dentro la sua bocca” sono queste le parole dell’unico
cittadino inglese che si oppose ai tedeschi, resistendo
laddove tutti volevano trattare.
All’interno dell’opera vengono messi in risalto anche
personaggi di secondo piano: la sua segreteria, cui presta il
viso Lily James; sua moglie Clementine (figura chiave della
vita di Churchill) grazie alla bravura di un’attrice del calibro
di Kristin Scott Thomas; per non parlare della maestria con
cui ci raggiungono dallo schermo i profili umani e storici di
uomini come Re Giorgio, Chamberlain, Halifax, al centro di
quel vortice politico che il film restituisce allo spettatore con
grazia, originalità e intelligenza.
“Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai
fatale, è il coraggio di continuare che conta”
L’ORA PIU’ BUIA
mario grigoli, davide perinzano, carlo merendino iv e
12
Dario Marianelli compone musiche sempre calzanti che
riescono ad accompagnare e ad immergere lo spettatore
nell’atmosfera cupa e solenne che domina il film. La
fotografia a cura di Bruno Delbonnel, plurinominato agli
oscar, è pulita e inspirata con inquadrature talvolta molto
particolari. La solida sceneggiatura è la punta di diamante
della pellicola, Anthony McCarten, già autore di “La Teoria
del Tutto” e dell’atteso “Bohemian Rhapsody”, ci regala un
ritratto eccezionale del carismatico leader inglese fornendo,
al tempo stesso, un’interessante lettura dei conflitti politici
dell’epoca. I dialoghi mai banali riescono sempre a catturare
lo spettatore creando un’empatia con i personaggi,
il tono è solenne carico di significato, a volte piccole
battute sarcastiche nascondono profonde insicurezze
dei personaggi. All’interno del film inoltre vengono inseriti
gli oramai celebri discorsi del primo ministro inglese.
Discorsi interpretati magistralmente da un Gary Oldman
scatenato, che borbotta, trema e ruggisce caratterizzando
il personaggio in maniera davvero straordinaria (questo
aspetto purtroppo nella versione italiana della pellicola
viene a mancare a causa del, seppure ottimo, doppiaggio).
La sua interpretazione gli è valsa la vittoria come miglior
attore.
Una volta usciti dalla sala dopo la visione dell’ora più buia la
domanda che accomuna tutti gli spettatori è “cosa sarebbe
successo se Churchill non avesse perseverato nelle sue
idee?”. Il ritratto che il film ne delinea è quello di un eroe
con sigaro e cappello che grazie alla sua forza d’animo ha
contribuito, in gran parte, al mondo come lo conosciamo
oggi. Un eroe che come armi utilizza la dialettica e la
retorica, ed è su quest’ultima che Joe Wright si concentra,
infatti L’ora più buia può essere considerato un film retorico,
con i suoi lunghi dialoghi taglienti e la sua attenzione
maniacale al tono, al volume e alla durata stessa delle frasi
pronunciate, nonché alle scenografie e agli ambienti, che
lo rendono decisamente più che una tela bianca al servizio
dell’interpretazione (incredibile) di Gary Oldman come molti
affermano.Alcune scene sono di una potenza comunicativa
straordinaria, le inquadrature, i monologhi scanditi da pause
e sospiri, le musiche, riescono a trasmettere alla perfezione
la voglia di combattere senza arrendersi. Esempio eclatante
ne è la scena nella camera dei lord dove i parlamentari
incitati da Churchill urlano “mai!” di fronte a una possibile
resa dell’Inghilterra, stessa risposta che aveva ottenuto
dal popolo nella scena precedente, lì allo spettatore scorre
un brivido lungo la schiena e vorrebbe urlare anche lui a
squarcia gola “mai!”. L’ora più buia è un film che merita di
essere visto e che probabilmente entrerà a far parte dei
vostri film preferiti.
13
Film onirico, intenso e ammaliante. Denuncia, ricordo, fiaba
e simbolismo: ingredienti di un film fuori dagli schemi, che
riporta alla memoria il clamoroso e turpe omicidio Giuseppe
di Matteo. Una fiaba dark, in cui però, nonostante l’effe-
ratezza della mafia, prevalga l’amore dei due protagonisti,
Luna e Giuseppe, che fra sogni e realtà, lascia intravedere,
se pur fievole, un raggio di speranza, vissuto dalla volontà
di denuncia di Luna, personaggio forte quanto fragile. Ogni
personaggio ricalca i tipici protagonisti delle fiabe Grimm,
i simbolismi spesso legati a una sfera animale e sempre
ricorrenti . Una storia piena di fantasmi presenti e passati,
una denuncia al passato quanto al presente. Denuncia non
solo alla mafia, ma a coloro che ne permettono lo svilup-
po, consapevoli dell’orrore ma inerti e ignavi. Un’accusa
deliberata all’omertà, alla deliberata collaborazione con
la mafia, la mafia che opprime e tiranneggia. La stessa
che tormenta i siciliani da anni, da decenni o forse sareb-
be più consono dire da secoli, che ne elimina la libertà, di
qualunque forma, sotto qualunque aspetto. Oppressione e
inerzia evocata dalle parole dei genitori di Luna; evocata
dall’omertà dei Carabinieri, dall’omertà di tutti i compaesani
di Luna, che nel vederla distribuire i volantini con scritto:
“scomparso Giuseppe Di Matteo”, si vede apparire nel loro
volto un misto di pietà e terrore; nei tentativi vani della ma-
dre di Luna nel farla desistere da questo amore che, se
pur sincero e puro, rimane impossibile. A cui si contrappo-
ne fortemente le volontà di sapere di Luna e la sua amica,
che combattono e trasgrediscono, con la speranza di po-
ter cambiare qualcosa, di poter finalmente combattere una
mafia che opprime da troppo i siciliani, forse finalmente,
ormai troppo stanchi di non possedere più nemmeno il di-
ritto di respirare. È passato solo poco più di un anno dalla
sentenza di Cassazione del Maxiprocesso, qualcosa sta
cambiando, non solo nella politica e nella magistratura ma
soprattutto nella cultura. Cambiamento che possiamo lim-
pidamente identificare negli occhi di Luna e dei suoi amici, i
rappresentanti dei nuovi ideali di libertà che animeranno la
Sicilia e l’Italia in quegli anni successivi le morti di due dei
più grandi eroi italiani. È inoltre lo stesso anno dell’arresto
di Salvatore Riina, il capo dei capi, fatto emblematico dell’i-
nizio della fine degli anni di terrore e inizio anche del dete-
rioramento della criminalità organizzata siciliana. Forse è
realmente l’inizio della fine, una fine che ancora si estende
ancora oggi, e cher siamo chiamati tutti a favorire e di cui
ancora non riusciamo a vederne una reale conclusione, ma
non possiamo vedere adesso, anzi perseverare in questa
battaglia, questo ci ricorda il film, e riporta alla memoria le
bellissime parole di Giovanni Falcone: “La mafia non è af-
fatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani
ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna ren-
dersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto
grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da
inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le
forze migliori delle istituzioni.”
Sotto l’aspetto tecnico: riprese eccezionali e ambientazioni
fiabesche e suggestive della Sicilia, fra i Nebrodi e Selinun-
te; colonne sonore coinvolgenti e una recitazione in con-
tinuo progredimento e oltremodo intrigante. Il simbolismo
espresso anche con riprese d’effetto in terza persona, iden-
tificate come sguardi dei portatori principali del simbolismo:
gli animali. La civetta e il cavallo, i due animali più ricorrenti,
simboleggiano rispettivamente saggezza e libertà. Inoltre
il cavallo rende Giuseppe un cavaliere fiabesco in modo
inequivocabile e inevitabile. Dall’altra parte la civetta svolge
il ruolo di aiutante fantastico delle fiabe e a volte perfino da
narratrice.
Ringraziamento speciale a Julia Jedlikowska, interprete
di Luna, nostra compagna di 2ºC, per la coinvolgente
recitazione.
sicilian ghost story
Giuseppe Aurelio Miserendino iii C
14
intervista al professore Zanca
Matteo carollo, fabrizio serafini iv e
Nome
-Antonio Zanca;
Età
-50 trattabili;
Età desiderata?
-25;
Età reale?
-“silenzio”
Professione
-Professore di matematica e fisica;
Matematica o fisica?
-Preferisco la fisica;
Argomento della fisica preferito
-Direi l’elettromagnetismo;
A che età ha iniziato a insegnare?
-A venticinque anni;
È difficile imparare ad insegnare? Vede
l’insegnamento come un dono naturale?
-In parte è un dono naturale, in parte con il
tempo si affina la professione;
L’aspetto che le piace di più del suo lavoro?
-Il rapporto con i ragazzi;
L’aspetto che le piace di meno?
-Lo stipendo, indubbiamente;
L’aneddoto più divertente da quando
insegna?
-In realtà i ricordi li cancello, però in generale
mi diverto molto quando riesco a coinvolgere
la classe;
La sua esperienza più brutta da quando
insegna?
-Anche questa l’ho provata a cancellare;
Due parole sulla Professoressa Santomarco
che ha “commissionato” questa intervista
-So che gestisce il giornalino da diversi anni e
che presta la sua opera per questo, certamente
ciò è lodevole, io non avrei la pazienza;
Qual è l’atteggiamento ideale che un
professore deve assumere nei confronti
della classe?
-Innanzitutto deve padroneggiare la materia
ed avere chiare le cose perché, come diceva
Catone “rem tene verba sequentur”, se tu hai
i concetti le parole vengono in conseguenza,
ma soprattutto deve guardare negli occhi gli
alunni dato che l’insegnamento deve essere un
dialogo, bisogna sempre comprendere cosa gli
studenti hanno appreso e quello che possono
rendere;
Il suo anno preferito del percorso liceale?
-Il quarto anno perché è un anno nel quale
i ragazzi hanno una certa maturità e sono
scarichi dalle tensioni verso gli esami e verso
l’iscrizione alla facoltà;
Il suo modo di punire un alunno?
-In realtà io credo che i professori non
dovrebbero dare punizioni agli alunni quindi io
tendo a non infliggerne;
Il suo modo di lodare un alunno?
-Solitamente gli alunni da me lodati lo
capiscono perché, come tutte le persone, certe
volte ho simpatie e loro se ne accorgono;
Ci parli della sua esperienza con la ZTL
Palermitana.
-Immaginavo quest’intervista vertesse sulla
scuola… Sono mio malgrado costretto a
rispondervi.
Ritengo che la ZTL sia necessaria e in tutte
le maggiori città c’è e quindi è un male
necessario;
Perché è un male?
-È un male perché comunque comporta un
esborso da parte dei cittadini, ovvero bisogna
pagare di più per poter circolare
Lei in particolare è stato colpito da questo
“male”?
-Io ho intuito l’esistenza di percorsi alternativi,
che mi consentono di arrivare da casa mia
fino a scuola, almeno spero siano veramente
alternativi, poi non so;
Su una scala da uno a dieci, quanto “ci sta
odiando”, a causa di quest’intervista?
-No, non vi odio affatto, su una scala da uno a
dieci direi zero.
Che cosa si dovrebbe migliorare in questa
scuola?
-Io credo che questo liceo sia uno dei migliori
d’Italia, e probabilmente il miglior scientifico
di Palermo, ci sarebbe molto da migliorare
in generale nella scuola italiana, ad esempio
personalmente sarei favorevole ad un
modello di istruzione di stampo anglosassone
nel quale vi sono materie obbligatorie e
facoltative;
Come nasce la passione per la fisica?
-In realtà mi sono accorto nel corso degli anni
che quando studio la fisica sto bene, quando
leggo di fisica passo, a pari livello con il
tennis, le mie migliori ore di tempo libero.
Queste due sono le mie attività preferite;
Chi è il suo tennista preferito?
Roger Federer;
Gioca a tennis da tanto tempo?
Ho cominciato da ragazzino, ma ho iniziato
a giocare con costanza solo dopo essermi
laureato;
E invece, segue il calcio?
No, non lo seguo affatto;
Simpatizza qualche squadra di serie A?
Come non avere simpatie per il Palermo;
Professore, il Palermo è in serie B.
-Come dicevo, non seguo molto il calcio
Quanto velocemente passa il tempo
stando con noi ragazzi?
Il tempo vola, voi domani mattina vi
sveglierete pensando di essere ragazzi e in
realtà avrete la mia età, lo dicono un po’ tutti
gli adulti ma è terribilmente vero;
Un messaggio alla 4F?
-Fate i buoni;
Un messaggio alla 4E?
-Fate i cattivi;
Il soprannome che gli alunni le danno?
Non ne ho idea;
Il soprannome che vorrebbe avere?
Lo zio.
Chi è realmente la persona tanto temuta che siede dietro la cattedra? Cosa si nasconde dietro il segreto mondo di un professore che,
sia per timore che per rispetto, non abbiamo mai avuto il coraggio di esplorare?
La risposta alle vostre curiosità la trovate qui, in questa piccola ma intensa intervista al professore Zanca che si racconta.
15
-Com’è nata la tua passione per la musica?
Da bambino ascoltavo praticamente tutto. È stata mia
sorella ad avvicinarmi al mondo del rap, facendomi
ascoltare canzoni di Caparezza.
La passione per la musica c’è sempre stata poiché
suonavo, i primi rapper che ho iniziato a seguire sono
stati Salmo e Babaman e successivamente Gemitaiz
e Madman.
-Perché hai scelto in particolare il genere Rap?
Ho scelto il rap poiché è un genere che rende liberi.
Ogni persona può quindi esprimere tutto ciò che vuole
e tutto quello che immagina, in un mondo dove le
convenzioni non permettono di dire tutto ciò che pensi.
-Cosatihaspintoaportareavantiquestapassione?
La possibilità appunto di poter dire la mia e anche la
passione musicale, poiché in primis il Rap è musica. E
anche perché voglio spaccare.
-Quali sono i temi da te trattati e che messaggio
vuoi mandare ai tuoi coetanei?
I temi che tratto riguardano essenzialmente la società.
Cerco di esprimere i miei pensieri, mi lamento di quello
che non mi sta bene e dei problemi che esistono.
Problemi che riguardano appunto la società ma
anche riguardo ai miei coetanei. Inoltre vi è una certa
introspezione, ovvero quello che mi passa per la testa
durante la giornata, stati d’animo e molto altro. Tutto
ciò varia da testo a testo ovviamente.
I miei coetanei la pensano come me, quindi vorrei
indirizzare il messaggio a persone più piccole e
soprattutto più grandi di me. Messaggio che è visibile
nelle mie canzoni; spero inoltre che i miei testi aiutino
a risollevarsi a chi ne ha bisogno o semplicemente far
riflettere.
-Cosa ne pensi di questo nuovo sottogenere che si
sta affermando con il nome di “Trap”?
La Trap è un ritmo nuovo, e sicuramente c’è bisogno
di innovazione perché non si può rimanere sempre allo
stesso punto. Penso che il 99% dei “Trapper” parlino
sempre delle stesse tematiche come ad esempio soldi,
droga e altri fattori inutili per un testo che dovrebbe
esprimere qualcosa.
Nascono quindi molto spesso delle canzoni che non
hanno senso e che servono esclusivamente a creare
un pubblico di soli bambini che sono attratti dalla droga,
dal loro stile di vita e da tutto ciò che non possono
avere o che sia sbagliato.
Tu pensi quindi che esista una “Trap di qualità” e una
di “scarsa qualità”? Si penso che esista la “Trap di
qualità”, come ad esempio Vegas jones.
C’è chi riempie i testi di argomenti sensati ma anche
chi non mette nulla in un intero disco.
Intervista a TORRE
Mario Labruzzo, Carlo merendino IV E
16
-Com’è nata la tua passione per la musica?
La mia passione per la musica è nata da bambino,
mio padre suonava la chitarra e io stavo ad ascoltarlo
ore ed ore. Poi da ragazzino, alle medie, ho iniziato a
suonare e quindi posso dire che la musica ha sempre
fatto parte della mia vita. Mi ha fatto provare molte
emozioni e penso che debba essere presente in tutte
le persone.
-Perché hai scelto in particolare il genere Rap?
Perché il Rap è un genere che sin da piccolo mi ha
appassionato. Alle medie giravo con il primo iPod ed
Eminem, Tupac e 50 Cent nelle orecchie. Nel primo
anno di Liceo ho approcciato il genere “Old School”
conoscendo in particolare Stokka & Mad Buddy che
sono due pilastri dell’Old School palermitana e mi sono
interessato a questo genere e volevo provare anch’io
ad essere come i miei “idoli”, iniziando così a fare Rap,
per divertimento e non per avere un riscontro futuro a
livello monetario.
-Cosa ti ha spinto a portare avanti questa tua
passione?
Proprio perché suonavo sin da piccolo ha aiutato
molto e inoltre perché ho notato che ciò che facevo
piaceva alla gente. Il sostegno delle altre persone mi
ha convinto che potevo andare avanti e potevo creare
un percorso musicale e dunque condividere la mia
passione con gli altri.
-Quali sono i temi da te trattati e che messaggio
vuoi mandare ai tuoi coetanei?
Non ho temi particolari. Tutto ciò che mi gira per la testa
lo metto in un pezzo, come ad esempio il primo pezzo
che ho pubblicato era un piccolo sfogo di un bambino
frustato che ha bisogno di sfogare la sua rabbia verso
gli altri, l’altro riassume in circa tre minuti la storia della
mia vita e invece il prossimo pezzo che uscirà, piccolo
spoiler, sarà una piccola critica alla scena moderna
riguardo ai ragazzini “Trapper” che scrivono delle cose
nei testi che poi in realtà non appartengono alla loro
vita. Io sono dunque contrario a scrivere un pezzo
contenente argomenti che non ti appartengono.
-Cosa ne pensi di questo nuovo sottogenere che si
sta affermando con il nome di “Trap”?
Ad essere sincero ascolto Trap da poco e penso che
non bisogna distinguere genere e genere ma bensì
musica fatta bene e musica fatta male. Come anche
nella famosa Old School che tutti amano e vorrebbero
che tornasse vi erano persone che meritavano e altre
invece no. Quindi anche nella Trap vi è musica fatta
ad un livello alto e altra ad un livello basso. Una cosa
che critico della Trap come ho detto riguardo al mio
prossimo pezzo è il fatto di scrivere cose nei testi che
non appartengono alla propria vita e di cui ne parli
solo per essere “figo” e farsi riconoscere creando un
personaggio che è delinquente, gira con le armi, fa uso
di droghe, sfrutta ragazze; quando in realtà non è vero,
essendo un ragazzino che non ha mai visto né toccato
una pistola, si fa due tiri di sigaretta e “collassa” e
cerca quindi di essere alternativo e fuori dagli schemi,
non riuscendoci.
Intervista a puzz1
Mario Labruzzo, Carlo merendino IV E
17
Ovunque si legge che Palermo è diventata “capitale
italiana della cultura 2018”. L’Italia infatti ha puntato
i riflettori sul capoluogo siciliano, terra delle mille
anime che l’hanno conquistata e vissuta. Come mai
proprio la “capitale del pane ca’ meusa” e della lotta
alla mafia, ha ottenuto questo riconoscimento? Ce
lo spiega il celebre quotidiano inglese The Guardian
che ha inserito Palermo tra i “gioielli da visitare nelle
vacanze 2018”: «Una pietra commemorativa in
mostra nel palazzo della Zisa registra la sepoltura dei
resti di una nobildonna in quattro lingue: latino, greco,
arabo ed ebraico». In 3000 anni, la città è stata un
miscuglio eterogeneo di popoli e culture che hanno
reso il capoluogo Siciliano un mosaico di etnie, un
modello che si intreccia anche di influenze spagnole,
normanne, borboniche e britanniche. Ciò in gran
parte è stato favorito dalla conformazione stessa
del territorio, non è un caso il nome “Panormos” che
deriva dall’unione di due parole greche, Pan (tutto) ed
Hòrmos (porto): questo nome è dovuto alla posizione
della città, che si trovava alla convergenza di due
fiumi, il Kemonia e il Papireto , i quali, circondandola,
creavano un enorme (per l’epoca) approdo naturale.
Oltre a questo la città, come tutte le città fenicie,
basava la sua economia sul commercio marittimo.
Così negli anni il suo bagaglio artistico-culturale
è cresciuto, portandola ad essere essa stessa
un museo en plein air di opere architettoniche di
immensa bellezza. Per quest’anno la città si sta
preparando ad accogliere i milioni di turisti, affamati
di cultura e bellezze artistiche, che la invaderanno. Il
sindaco Leoluca Orlando ha in mente diversi progetti
a tal proposito, tra cui: la realizzazione di un sistema
di prenotazione dei servizi turistici, in grado non solo
di proporre soluzioni tradizionali (trasporto, vitto,
alloggio e itinerario) ma anche di valorizzare i prodotti
del territorio diventando un vero e proprio portale di
marketing territoriale e la riorganizzazione funzionale
degli spazi culturali, secondo il criterio dei “Poli”:
Il primo polo, quello centrale sarà il “Polo Teatrale
cittadino” (che comprende fra gli altri il Montevergini,
il Garibaldi, la Sala De Seta, lo Spasimo); il secondo
sarà il “Polo Espositivo” (GAM, Palazzo Ziino, ZAC,
Ecomuseo del Mare), il terzo il Polo Archivistico-
Bibliotecario (Biblioteca Comunale, Archivio
Storico) e infine il Polo Etno-Antropologico (Museo
Pitrè, Palazzo Tarallo). Inoltre verranno valorizzati,
attraverso eventi, tutti quei luoghi che costituiscono i
“punti forti” del patrimonio architettonico palermitano.
Tra questi ci sono i Cantieri culturali della Zisa, il
Teatro Massimo, Palazzo Sant’Elia, il Complesso
dello Spasimo, Palazzo Branciforte e infine il
Complesso di Sant’Anna alla Misericordia. Anche
un’organizzazione importante come l’UNESCO, in
particolare la sezione di Palermo, sta contribuendo
ad innalzare il valore del patrimonio culturale della
città.«Palermo ha bisogno della cittadinanza attiva
come paladini della cultura, ognuno deve sentire
propria questa città diventando ambasciatore del
genius loci», sostiene la presidente del club per
UNESCO di Palermo Cinzia Suriano,che crede
molto nel contributo dei giovani per la rinascita di
un’economia culturale. Ma la vera domanda è: i
palermitani sono pronti a riconoscere nella loro città
la “capitale della cultura italiana 2018”? Sembra
che molti cittadini siano indifferenti alla questione,
forse perché girando gli angoli di alcune strade del
centro ci si ritrova sommersi dall’immondizia, oppure
si incappa in perenni cantieri per opere pubbliche
di interesse primario. Difatti la città è ancora molto
indietro al livello di sostenibilità rispetto ad altre
città europee: i mezzi di trasporto pubblico non
funzionano, ci sono ancora troppe vetture private
e poche biciclette. E sui social network gli attivisti
di “Retake Palermo” commentano la notizia così:
«Spesso i sono proprio i palermitani i nemici di se
stessi. A noi spetta solo acquisire la consapevolezza
del patrimonio che abbiamo tra le mani ed esserne i
custodi ogni giorno».
Capitale della cultura non si diventa per caso.
salvatore cirrincione v e
18
Luca Giammanco iv e
I miei occhi sono ormai stanchi di vedere continuamente questi ambienti, accecanti nella loro
penombra, eppure so bene che non potrei non essere qui, io appartengo a questo luogo. Intorno a
me corpi che ormai hanno perso la loro personalità, oltraggiati da ogni tipo di tortura, mi rivolgono
sguardi esausti ma carichi d’ira e disprezzo; è incredibile come l’odio sia l’unica cosa che rimane
in quei contenitori di carne ormai svuotati di ogni emozione, resi umani solo dal più animale dei
nostri sentimenti. Proverei quasi pena per questi esseri, se non sapessi cosa hanno fatto, quanto
dolore hanno generato, il numero di innocenti che hanno donato prematuramente a Colei che coglie,
una volta maturi, i frutti della Vita; è questo desiderio di giustizia che mi permette di continuare e
sopportare il mio lavoro ora che il Regime è stato costretto a sostituire tutti gli altri Inquisitori con
degli automi. Tutti gli altri, viscidi codardi, provavano addirittura pena per quei mostri e questo
li rendeva ancora peggiori dei prigionieri, vermi incapaci di prendere una posizione. A volte, lo
ammetto, anche io ho qualche crisi: la notte sogno di essere torturato e mi sveglio con un grido
straziante ancora in gola, le guance solcate da torrenti di lacrime; di solito dopo qualche minuto
riesco a fermare il pianto, ma continuo a tremare in preda al panico, con l’equivalente di un tamburo
nel petto e gli occhi ancora umidi come tristi paludi di disperazione. Ci vogliono ore perché mi calmi,
continuo a farmi del male, Inquisitore di me stesso, mi ripeto che ciò che faccio è la cosa giusta e
questo mi rende ogni volta più determinato.
Questa notte sono crollato di nuovo, ma ormai sono quasi contento che mi succeda, divento
più forte e quasi riesco a prendere spunto dagli incubi per inventare nuovi metodi di tortura. “Sei
sempre più simile ad un automa” questa frase mi rimbomba nella testa mentre attraverso i freddi
corridoi della prigione e guardo i Colpevoli, invitante merce che attira lo sguardo; ne scelgo uno e
decido che sarà il mio giocattolo per il resto della giornata, lui inizialmente mi guarda speranzoso: è
raro vedere un altro umano aprire la porta della propria cella. Il desiderio di cancellare quel briciolo
di emozione mi assale e comincio a trascinarlo verso la stanza 101 e lì lo spingo in una scatola
appena più grande di lui e chiudo il coperchio; comincia a urlare sin da subito, mi diverte quando
sono pure claustrofobici, così mi godo la scena prima di cominciare ad aspirare l’aria dentro il
contenitore, lasciandone abbastanza per farlo respirare ancora per poco tempo. Dopo una trentina
di secondi lo sento dibattersi, così apro un po’ di più la valvola per continuare a giocare; vado avanti
così per un paio di minuti, poi una fitta atroce esplode nella mia testa e, senza capire il perché, libero
velocemente il povero uomo. Subito dopo degli Inquisitori sfondano la porta e mi bloccano, mentre
io nel frattempo, stordito dal fischio delle sirene, comincio a ricordare. Quando venne instaurato il
nuovo Regime chiunque avesse un briciolo di cultura fu additato come “Disertore” e perseguitato;
io ero, e sono, uno dei più deboli, mi hanno preso per primo e hanno cominciato a infliggermi
le peggiori torture, fino ad ottenere una pasta informe, estremamente duttile. Sono riusciti a
cancellare qualunque cosa non fosse odio verso di loro, poi l’hanno plasmato, addolcendolo con
false convinzioni, e incanalato verso i miei stessi compagni; non sono il glorioso ultimo Inquisitore
umano, il più forte, ma il Disertore più debole, l’esperimento meglio riuscito del Regime, che ha
ricevuto la Tortura definitiva, l’annientamento dell’Io. Ma non hanno tenuto conto della potenza
dei ricordi. Mi stanno portando verso una porta d’acciaio, io però sono tranquillo, so che non
riusciranno a strapparmi ciò che sono riuscito ad ottenere di nuovo; aprono la porta, mi mettono
degli elettrodi sul capo mentre urlo che no, questa volta non mi avranno, poi diventa tutto buio.
I miei occhi sono ormai stanchi di vedere continuamente questi ambienti, accecanti nella loro
penombra, eppure so bene che non potrei non essere qui, io appartengo a questo luogo.
19
REDAZIONE:
DOCENTE REFERENTE:
Prof.ssa Elena Santomarco
IMPAGINAZIONE E GRAFICA:
Mario Labruzzo IV E
CAPOREDATTORE:
Luca Giammanco IV E
CO-CAPOREDATTORE:
Chiara Schillaci V C
HANNO COLLABORATO:
Gaia Bonanno IV E
Matteo Carollo IV E
Salvatore Cirrincione V E
Roberta D’Accardio IV E
Giulia Gambino IV E
Mario Grigoli IV E
Carlo Merendino IV E
Giuseppe Aurelio Miserendino III C
Davide Perinzano IV E
Lucia Raffele IV D
Gabriele Rizzo V C
Fabrizio Serafini IV E
Sofia Varrica III M
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“Quando il tempo ci opprime, talvolta è un secondo a salvarci.
E’ il miracolo dell’attimo: essere, vedere o scattare una foto.
La foto è lì, si raccoglie come un ciottolo sulla spiaggia…
Oggi sappiamo che è l’attimo a salvarci…”
(Edouard Boubat)

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Obbiettivamente- Marzo 2018

  • 1.
  • 2. Che cos’è l’Erasmus? E cosa ti ha spinto a partecipare? Mi chiamo Gloria e sono una studentessa di ventuno anni, al quarto anno di Chimica e Tecnologia Farmaceutiche dell’Università degli studi di Palermo. Vivo da quasi quattro mesi in Spagna e frequenterò come studentessa Erasmus la Universidad de Alcalá fino al prossimo giugno. Sono giunta quasi a metà di questa mia esperienza all’estero e posso ormai dire, con cognizione di causa, che non mi pento della mia scelta. Sono entrata in contatto con questo progetto tanti anni fa: fin da subito mi aveva colpita e avevo iniziato a maturare l’idea di prenderne parte. I motivi a favore di questa esperienza sono molteplici e nel tempo hanno finito per oscurare del tutto i dubbi. Non appena ne ho avuto l’occasione, sono partita con l’intenzione di godermi appieno tutte le esperienze che questo programma mi permetteva. Si tratta di un programma della Comunità Europea che promuove opportunità di mobilità e mira a migliorare le competenze dei giovani. Esistono diverse attività all’interno dell’”Erasmus +”: quello a cui sto prendendo parte è il progetto di mobilità per studenti: un periodo di studio all’estero che si integra con il percorso accademico. Materialmente questo progetto si occupa di creare una rete tra i singoli stati e le loro strutture accademiche, erogando fondi e selezionando progetti per riuscire a rendere possibile questa esperienza. In ambito lavorativo questa esperienza ti aiuterà? É prima di tutto un’esperienza di vita, che ti permette di imparare a relazionarti con luoghi e persone che non conosci, oltre che con una cultura e una lingua diverse. Sicuramente da questo punto di vista, essere stato uno studente Erasmus ci presenta agli occhi di un futuro datore di lavoro come una persona con un certo grado di intraprendenza e sicuramente con tanta voglia di fare. Da non trascurare è la conoscenza della lingua, una seconda o terza lingua è comunque un requisito molto richiesto. Oggi quasi ogni settore tende ad essere sempre di più inserito in un panorama internazionale, e tutte le aziende si trovano a dover interagire con clienti, fornitori e partner stranieri. Un candidato che ha studiato e vissuto all’estero sarà sicuramente un’ottima scelta in tal senso. Nell’ambito scientifico-tecnologico, inoltre, va aggiunto un ultimo fattore: questa esperienza mi sta permettendo di acquisire una maggior esperienza di pratica in laboratorio che accompagna praticamente ogni materia. Quali sono le difficoltà che hai avuto in Erasmus? Le difficoltà ci sono, e possono anche essere tante, però se si ha veramente voglia di arrivare fino in fondo, sono tutte risolvibili investendo un po’ di tempo. Al di là dei problemi con la lingua, con l’alloggio, con l’università ospitante e le varie pratiche relative all’Erasmus, l’unica vera difficoltà è stata comprendere il sistema universitario molto diverso dal nostro, la diversa organizzazione delle lezioni, dei progetti, dei voti e soprattutto degli esami. Bisogna solo entrare nella forma mentis di uno studente spagnolo e ovviamente studiare. Sofia VArrica III D esperienza Erasmus 2
  • 3. Studiare in un’altra lingua non è affatto impossibile, anzi, personalmente, seguendo le lezioni in spagnolo, è stato automatico non studiare in italiano. Un preconcetto che molti hanno sull’Erasmus è che sia molto più facile passare un esame che in Italia, quasi senza studiare. Non è assolutamente vero, ci sono tantissime modalità di valutazione a cui non siamo abituati, la formazione è molto più orientata verso la pratica e gli argomenti trattati restano in generale gli stessi. D’altra parte i professori comprendono le difficoltà extra che si possono incontrare e cercano di essere più disponibili. Consiglieresti il progetto Erasmus? Hai qualche consiglio in particolare? Sì, lo consiglierei sempre. Fa abbastanza paura, ma è veramente alla portata di tutti. Anche se non conoscete bene la lingua del paese ospitante, nessuno vi penalizza per questo, i professori sono molto comprensivi e avrete assegnato un coordinatore pronto ad aiutarvi in qualsiasi momento. Consiglio comunque di cercare di avere delle conoscenze linguistiche buone prima della partenza perché questo vi semplificherà molto i primi mesi. Infine, mi sento di consigliare di non pensare assolutamente alla media dei voti quando si sceglie di partire. Anche se dovesse scendere, anche se le materie fossero difficili e le difficoltà accademiche tante, non pensate solo allo studio. Starete vivendo all’estero, non è come un normale anno di vita, la quantità di stimoli, di esperienze, di responsabilità che non puoi delegare, vi renderà incredibilmente vivi. Sì, non è solo questione di crescere, maturare, è questione di essere totalmente immersi in una realtà in cui vi è permesso di fare questo, vi è permesso di esplorare quanto volete, conoscere nuove persone e qualsiasi altra cosa desideriate. 3
  • 4. Galileo? Un impostore. La Nasa? È alla base del più grande complotto di sempre, che coinvolge anche piloti e hostess. La Terra è piatta, è evidente. E il Sole ci gira intorno. Potrebbe sembrare uno di quei meme che si trovano sui social, ma¬¬ non è così, infatti negli ultimi anni si sta sviluppando un vero e proprio movimento che si dimostra molto attivo sui social network, non mi stupirei infatti se qualcuno di voi mi venisse a raccontare di aver trovato un commento sotto un video su youtube che recita “ma ragazzi scusate l’off topic, ma vi siete mai accorti che…” andando avanti con righe e righe di teorie complottiste di un improvvisato scienziato e astronomo. Secondo i terrapiattisti (o Flat-Earther in inglese) la Nasa e compagnia bella propagandano falsità all’interno di un enorme complotto teso a ingannare tutti gli abitanti della Terra. Per quale scopo? Boh. Oltre agli astronauti, nella trama sono coinvolti anche tutti i piloti e le compagnie aeree, che allungano il tragitto del volo per tenere in piedi una balla che ormai non regge più. Il pianeta è piatto, del resto. Lo si vede benissimo. Cosa può contare più dell’evidenza? Le conseguenze di questa rivelazione (come altro si può definire?) sono notevoli. Oltre a togliere ogni credibilità al discorso scientifico, elimina il concetto di Sistema Solare: “Non esiste, non c’è. Esiste la Terra e, sopra, ci sono due astri che girano: il Sole e la Luna. Sono della stessa dimensione”. Non solo: “La Terra ha una forma circolare: al centro c’è il cosiddetto Polo Nord, mentre l’Antartide è una sorta di muro che ne stabilisce la fine”. Infine, non esiste nemmeno la gravità. “Non esiste, non ha senso. Esistono solo la densità e la fluttuazione”. Del resto, “un palloncino riempito di elio è in grado di sfuggire alla cosiddetta forza di gravità, mentre la Luna no, anzi. Come si spiega? Semplice, che non è vero”. È “un’invenzione necessaria per far credere alle persone che tonnellate di acqua possono stare su una palla che gira senza disperdersi in ogni direzione. È possibile? Vi sembra possibile?” Sempre per dare forza alle loro idee, i Flat-Earthers sostengono che se la Terra fosse davvero una sfera gigante, gli oceani scenderebbero di livello e i fiumi non potrebbero scorrere in salita giacché la fisica naturale dell’acqua è quella di trovare e mantenere il suo livello. È un dato di fatto che i social network come Facebook ne hanno alimentato la diffusione in particolare con la creazione di gruppi, spesso chiusi o “segreti” dove spesso si discute di queste tematiche con immagini e altro materiale reperito online. C’è da dire però che spesso molte di queste comunità non sono da prendere sul serio, in quanto sono create da semplici burloni, in gergo web “troll”, che si divertono a postare online questa tipologia di contenuti, con lo scopo a volte di prendere in giro gli stessi cospirazionisti. Non è il caso certamente di gruppi come La società della Terra Piatta che conta oltre 2100 iscritti o di molti altri canali su Youtube che “fanno sul serio” esponendo le loro teorie e “prove” a sostegno di quella che per loro non è solo una semplice ipotesi, ma una certezza. Potrebbe sembrare una cosa divertente (perché, diciamocelo, chi non riderebbe di fronte a certe teorie e alla convinzione con la quale queste sono diffuse?) ma per certi versi è preoccupante che nel ventunesimo secolo si discuta ancora a proposito della Terra e della sua forma. TERRAPIATTISTI FANTASTICI E DOVE TROVARLI chiara schillaci v c 4
  • 5. È possibile un mondo senza confini? Guardo avanti e vedo confini. Guardo a destra e vedo confini. Guardo a sinistra e vedo confini. I confini sono dentro di me. Riesco a distinguerli, ho la consapevolezza dei miei limiti: mi sento una goccia d’olio immersa nell’acqua. Probabilmente è proprio questo il primo passo: essere consapevoli di quello che ci limita, riconoscendo l’oppressione che ci provoca nel vivere in società. Vedo un elastico che mi contiene, dentro al quale mi trovo a mio agio perché è ciò che riconosco come mia zona di comfort. È questo il confine: un elastico sempre in tensione verso l’interno che comprime sempre di più il nostro “spazio familiare”; per cui lo sforzo che dobbiamo fare è quello di spingere l’elastico e procedere verso ciò che non è di nostro comfort ma che in questo modo entrerà a farne parte. Non possiamo non farlo perché la nostra zona di comfort si restringerebbe sempre di più. Inoltre noto che il nostro confine, se non messo sotto sforzo verso l’esterno, riduce anche la sua elasticità, si inspessisce, si irrigidisce, e diventa un muro invalicabile. I confini ci isolano, ci tolgono la possibilità di vivere in sinergia, in società, in collettività, e spezza i legami con tutto ciò che dovrebbe essere in comune, tendendo a far rientrare nel proprio muro anche quello che è di tutti; “il confine indica un limite comune, una separazione tra spazi contigui; è anche un modo per stabilire in via pacifica il diritto di proprietà di ognuno in un territorio conteso” (Piero Zanini, “Significati del confine-I limiti naturali, storici, mentali”). Questo è il problema fondamentale dei confini: l’isolamento e l’esclusività. Non dobbiamo essere gocce d’olio nell’acqua, dobbiamo abbattere i confini. Isolamento ed esclusività sono il principio della paura per lo sconosciuto, per ciò che non rientra nel nostro territorio, nella nostra zona di comfort: ci poniamo in difesa di quei confini che ci limitano e in offesa di quello che è al di là; dovremmo invertire la tendenza: difendere quello che è al di là e attaccare i confini. Difendere i propri confini diventa micidiale: gli elastici diventano muri e i muri degenerano in fili spinati che feriscono noi e chi si avvicina. Ci capita sempre più spesso di vedere violato il diritto alla mobilità per la difesa dei confini statali: uomini e donne si ritrovano a dover emigrare poiché nascono al di fuori del confine della ricchezza o del potere politico del loro Paese; emigrando vengono attorcigliati ad elastici che li rispediscono indietro, o a fili spinati che non permettono loro l’inclusione. I confini inducono alla paura e la paura scatena l’odio. Non a caso l’odio razziale è accompagnato quasi sempre da un forte senso identitario. Il razzismo, o in generale l’odio per il diverso, è dovuto al non tendere il nostro elastico, al non includere “altro” tra i nostri confini: ma nulla è “altro” da noi, tutto è come noi; tutto è contenuto da altri elastici, altri confini. Ma è possibile il buon vivere in collettività, in eterogeneità e condivisione quando i confini ne limitano il raggiungimento? Dobbiamo abbattere tutti i confini, tendere gli elastici tanto da spezzarli e poterci unire al mondo intero. È possibile un mondo senza confini? Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) nasce a Bologna nel 1979 in diretta continuità con i Tribunali Russell sul Vietnam (1966-67) e sull’America Latina (1973-76). Lelio Basso, che ne era stato membro e relatore, propone la trasformazione di questi celebri tribunali in un’istituzione permanente capace di essere strumento e tribuna di riconoscimento, visibilità e presa di parola per quei popoli vittime di violazioni dei diritti fondamentali che la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli, proclamata ad Algeri nel 1976, aveva indicato come marginalizzati dal diritto internazionale, sempre più garante degli interessi dei detentori pubblici e privati dei poteri politici ed economici. Il Tribunale Permanente dei Popoli terrà a Palermo, dal 18 al 20 dicembre 2017, la sessione su La frontiera meridionale dell’UE: Mediterraneo –Italia. Gocce d’olio nell’acqua. Introspezione dei confini. Gabriele rizzo V C 5
  • 6. Se non siete particolarmente interessati al mondo dei batteri parlare del loro “Sistema immunitario”, il CRISPR, potrebbe sembrarvi inutile, se non addirittura noioso, ma esso in realtà rappresenta un vero e proprio trampolino verso il futuro dell’umanità. Tutto è cominciato nell’ormai lontano 1993, quando Francico Mojica si è accorto della presenza, nei batteri, di alcune sequenze di DNA che si distinguevano dalle altre e, dopo più di un decennio di studi, ha ipotizzato che potessero far parte del sistema immunitario dei batteri. Negli anni seguenti, la ricerca ha man mano confermato le idee dello spagnolo, ma la vera svolta in questo campo è stata portata da Feng Zhang del Broad Institute, che è riuscito a sfruttare il CRISPR per modificare il DNAdi cellule eucariote come quelle umane. Francico Mojica Feng Zhang Entrando nello specifico, il CRISPR (clustered regularly interspaced short palindromic repeats) è una regione del DNA dei batteri costituita dall’alternarsi di sequenze palindromiche e sequenze spaziatrici; queste ultime fungono da “archivio” per il batterio per riconoscere infezioni batteriche e virali pregresse. La prima volta che un virus entra in contatto con il batterio, infatti, le proteine del sistema CRISPR attaccano il virus selezionando una precisa sequenza del DNA, contenuta fra due sequenze chiamate PAM, che verrà inserita nel DNA del batterio. Così al futuro attacco del virus, il batterio, e in particolare il sistema CRISPR, cercherà e troverà nel suo DNA la sequenza archiviata del virus. Il CRISPR trascriverà questa sequenza, che farà da RNA guida per le proteine del CRISPR, in modo che andando verso il virus, esse possano trovare una sequenza uguale nel DNA virale, romperà la sequenza del DNA in quel preciso punto, silenziando l’agente patogeno. Tutte le diverse proteine del sistema CRISPR vengono chiamate CAS e ne esistono di diversi tipi, ma la più utilizzata dai ricercatori è la Cas9, perché svolge tutte le funzioni necessarie a indirizzare, tagliare e silenziare il DNA. Dato che il CRISPR agisce tagliando delle sequenze di DNA, esso può essere sfruttato per modificare quest’ultimo in ogni tipo di cellula, comprese quelle umane; infatti, individuando il gene che vogliamo cambiare e facendolo rimuovere dal CRISPR-Cas, lo possiamo sostituire con un nuovo DNA “toppa” che si aggancia perfettamente alle basi precedentemente tagliate. Tuttavia, se ci sono regioni del genoma che sono altamente omologhe alla sequenza di DNA presa di mira dal filamento-guida di RNA, CRISPR-Cas9 potrebbe agire anche fuori dal suo bersaglio inducendo mutazioni indesiderate; possono anche esserci casi di “mosaicismo”, una condizione in cui si presentano contemporaneamente cellule mutate e non. Un sistema per risolvere questo problema è stato scoperto in Italia e in particolare a Povo, dove ha sede il Centro per la Biologia Integrata dell’Università di Trento. Qui lavora il team di Anna Cereseto, che ha realizzato la versione più precisa al mondo di questo sistema; questa, come spiega la ricercatrice «È stata sviluppata sottoponendo Cas9 a una evoluzione darwiniana in provetta, da qui il nome evoCas9. Cas9 nasce nei batteri, la nostra intuizione è stata di fare evolvere Cas9 in cellule non batteriche, i lieviti, che sebbene semplici sono molto più vicine a quelle umane. Qui l’abbiamo fatta diventare ciò che ci interessa: un cesello che intarsia solo dove deve, un’arma di precisione che colpisce in un punto e risparmia tutto il resto. Questo renderà il suo impiego nella clinica finalmente sicuro». In pratica si tratta di far evolvere le molecole in vitro e selezionare quelle più precise con dei “trucchi del mestiere”; il team, infatti, ha fatto in modo che le colonie di lievito dove il CRISPR agiva correttamente diventassero di colore rosso. E così, afferma Cereseto, “Abbiamo ottenuto una riduzione delle mutazioni fuori bersaglio di quasi il 99 per cento. La nostra Cas9 è la più specifica mai sviluppata, per quanto è dato sapere”. CRISPR-Cas9Luca Giammanco, Davide Perinzano, Carlo Merendino, Mario Grigoli, Roberta D’Accardio IV E 6
  • 7. Per quanto riguarda applicazioni concrete del CRISPR, nel 2016 i genetisti giapponesi hanno condotto un esperimento su alcuni vegetali, sequenziando il genoma di una pianta ornamentale molto diffusa nel paese per modificarne il co- lore dei fiori. Sulla carta l’esperimento sembrerebbe sempli- ce: Kenta Watanabe e i suoi colleghi hanno usato le “forbici molecolari” di CRISPR per disattivare il gene chiave per la pigmentazione bluastra, ottenendo delle campane candide. La tecnica di correzione genetica si è dimostrata efficiente, selettiva e precisa: il 75% delle piante della prima genera- zione ha prodotto fiori bianchi anziché blu. Si è provato anche un secondo tipo di sperimentazione, questa volta su animali: ricorrendo a CRISPR-Cas9 un gruppo di ricercatori ha fatto nascere dei maiali il cui geno- ma è privo dei retrovirus endogeni normalmente presenti in essi. Si tratta di un significativo passo in avanti verso l’uso di organi suini per i trapianti, dato che questi retrovi- rus, che possono infettare le cellule umane, costituiscono uno dei principali ostacoli al ricorso agli xenotrapianti. Nel 2015, inoltre, gli scienziati avevano già usato il CRISPR per eliminare il virus dell’HIV dalle cellule viventi in campioni da laboratorio, dimostrando la possibilità di eliminare attra- verso questo innovativo metodo tutti i retrovirus esistenti oggi, che minacciano la nostra salute. Un’altra importante scoperta sta nella possibilità di sconfiggere grazie a Cas9 il cancro: il nostro sistema immunitario potrebbe essere reso un migliore cacciatore di cellule maligne, impedendo così che un tumore si manifesti e si espanda; nel 2016 dei ricer- catori cinesi hanno annunciato di aver sconfitto un cancro ai polmoni grazie al metodo CRISPR. È inoltre possibile che grazie a questo nuovo metodo di cura, malattie gene- tiche come la Fibrosi Cistica o la Còrea di Huntington ven- gano curate attraverso semplici iniezioni contenenti Cas9. Questi risultati sono assolutamente importanti e significativi per questo nuovo metodo di cura, che lascia presagire un futuro più sano e privo di malattie. È degno di nota, inoltre, il fatto che CRISPR-Cas9 faciliti e velocizzi esponenzialmente la ricerca nel campo della genetica. Questo sistema, infatti, ha dei costi di produzio- ne fino a cento volte minori rispetto a quelli dei precedenti «strumenti» per modificare il DNAe il tempo necessario per condurre una sperimentazione con esso è di qualche setti- mana: nulla in confronto al periodo minimo di un anno che ci voleva in passato. Questo apre la strada ad uno sviluppo nel campo della genetica che sarà sempre più veloce ed economico, e ciò potrebbe portare a numerosissimi vantaggi, sia quelli medici di cui abbiamo già discusso che in infiniti altri settori come quello degli OGM. La cosa più interessante, però, è sicuramente il fatto che CRISPR-Cas possa cambiare radicalmente l’umanità: pensate a come in futuro moltissime persone sarebbero disposte a pagare per modificare il proprio DNA in modo da rallentare l’invec- chiamento o, perché no, acquisire veri e propri superpo- teri come la possibilità di resistere in ambienti estremi o di respirare sott’acqua. Ricordiamo inoltre che tutti questi «miglioramenti» ci serviranno sicuramente per facilitare l’e- splorazione spaziale e per creare umani capaci di coloniz- zare altri pianeti in cui oggi non saremmo in grado di vivere. Insomma, se diciamo che il CRISPR-Cas9 potrebbe rap- presentare la svolta per la nostra specie e che potrebbe cambiare radicalmente il nostro concetto di “umanità” non stiamo esagerando di certo. 7
  • 8. In occasione del ventennale di Repubblica a Palermo, al Teatro Massimo, si ha avuto l’occasione di conoscere personaggi rap- presentativi nel mondo del giornalismo ed il mondo della Start up. Per Start up si intende l’avvio di un’attività imprenditoriale che richiede un periodo di tempo in cui l’attività si sviluppa nel suo fine, ossia quello di produrre un prodotto innovativo e di di- ventare una grande impresa. Tra le startupper lì presenti, ha presentato il suo progettoAdriana Santonocito, che ha mandato avanti con la sua collaboratrice Enrica Arena, dove ha mostrato come i rifiuti possono essere utili anche nella produzione di capi d’abbigliamento. Grazie alle bucce d’arancia e altri rifiuti biodegradabili è riuscita a mandare avanti la sua idea creando un nuovo tessuto tecnologico e bio- degradabile totalmente innovativo. Qualche anno prima è stata utilizzata la plastica per lo stesso scopo da una fabbrica tessile, mentre nei laboratori di ricerca si stanno realizzando nuove procedure per produrre energia con l’uso dei rifiuti. Negli ultimi tempi è stato dimostrato come i rifiuti possono rappresentare una risorsa, riutilizzandoli e dandogli una nuova vita, perché al giorno d’oggi il metodo di smaltimento di questi ultimi è un problema molto discusso. Le generazioni di oggi sono caratterizzate da un progressivo consumismo, dal continuo godere delle cose nuove e diverse e dalle mode che dettano il regime della vita sociale ed economica di ogni individuo. Su ciò si basano l’economia ed il guadagno delle fabbriche produttrici mentre il pianeta soffoca sotto i rifiuti. Ci si preoccupa più del possedere cose nuove, belle e diverse piuttosto che delle cataste di spazzatura che s’innalzano e rico- prono i confini delle città. Lo smaltimento dei rifiuti è un problema sempre più diffuso, la raccolta differenziata aiuta nel riutilizzo di alcuni materiali come carta, vetro e plastica con la conseguente diminuzione della quantità di rifiuti che giungono nelle discariche. L’accumulo di questi, impossibili da riciclare, in fosse profonde nel terreno, sta generando un conseguente inquinamento del terreno sot- tostante. In un servizio televisivo di “Le Iene” è stato mostrato come questi influiscono sul terreno, inquinando anche le falde acquifere con cui vengono in contatto e impediscono di coltivare nei territori vicini. Ma le conseguenze non sono relative solo al terreno, si ripercuotono anche nei mari e nei fiumi. Rifiuti, oggetti in plastica e in alluminio sono abbandonati sulle spiagge e, tra- sportati dal vento e dalle correnti, influiscono soprattutto sulla salute dell’ambiente marino e della sua fauna. Spesso la cronaca ci riferisce di pesci, che dopo aver ingerito rifiuti plastici, come sacchetti e tappi di bottiglia sono morti sof- focati. A causa dell’imponente quantità di rifiuti plastici in mare si è persino originata un’isola galleggiante vicino le isole Hawaii, di chilometri e chilometri quadrati, totalmente costituita da plastica, trasportata e accumulata dalle correnti. A Napoli e a Palermo le strade sono invase da rifiuti e i bambini sono costretti a vivere e crescere in quartieri dove la spazzatura regna sovrana. In tutte le parti del mondo ormai ci si rende conto che le conse- guenze della grande quantità di rifiuti sono visibili ed è impossi- bile trascurarle. Nulla resta nuovo e tutto può essere riutilizzato, riparato e riciclato. I mercatini dell’usato sono un espediente per il riutilizzo degli oggetti e sono diffusi in tutti il mondo, ed è inol- tre un modo utile per liberare la propria casa ricavando qualche soldo. In quest’epoca di consumismo il pianeta spera in un futuro più ecosostenibile. Il pianeta soffoca LUCIA RAFFAELE IV D 8
  • 9. La moda è un fenomeno sociale che consiste nell’affermarsi di modelli estetici e comportamentali. La moda è sempre esistita, risvegliata agli albori della civiltà dalla stessa vanità dell’uomo. Oggi la si riconosce per lo più nell’abbigliamento, sua espressione più naturale ed appariscente, giostrata da abili stilisti. Mentre fino a pochi decenni fa la moda guidava lo stile di gente adulta dei ceti più abbienti e si trattava di una moda irraggiungibile, inimitabile perfino nel taglio e di un vestiario opulento e vistoso, al giorno d’oggi si è verificata un’inversione di tendenza. Attualmente è la logica del consumismo che inventa e distrugge la moda. I giovani, abbagliati da nuove figure di influencer e fashion blogger che si avvicendano su un palcoscenico del tutto nuovo, sono i nuovi destinatari su cui la nuova tendenza ha maggiore presa. Non sono più le grandi firme a detenere il primato, bensì piuttosto giovani figure che si sono affermate pian piano attraverso l’aiuto dei social network e collaborazioni cin illustri marche. Basti pensare all’influencer più di tendenza, Chiara Ferragni ed al suo marchio “The Blonde Salad”. Ella ha dato avvio alla sua fama attraverso attività legate alla moda ed a piccoli ma proficui investimenti con l’ex fidanzato Riccardo Pozzoli. La Ferragni ha creato il blog The Blonde Salad nel 2009, scalando una rapida ascesa che le ha garantito nel 2014 di fatturare otto milioni di dollari e nel 2015 più di dieci. Nell’aprile 2015, Ferragni è diventata la prima fashion blogger ad apparire su una copertina di Vogue. Nel 2016 è stata nominata ambassador di Panten ed infine il 6 dicembre 2017 è stata premiata a Roma come Top Digital Premier e nella categoria Web Star italiane donne, nell’ambito della prima ricerca sulla leadership digitale in Italia. Dunque per via delle precedenti nominations ella è attualmente seguita da dieci milioni di giovani follower ed in particolare di ragazze che si lasciano ispirare ed influenzare da qualsiasi abito, accessorio, paio di scarpe indossi, da qualsiasi acconciatura porti. Ma Chiara Ferragni è soltanto la prima di una lunga lista di ispiratrici che sono diventate innumerevoli e sempre più influenti attraverso Instagram. Instagram risulta infatti essere il trampolino di lancio attraverso cui farsi conoscere ed accrescere il numero di follower. Ci sono ragazze che sorridono sempre, raccontando con identico entusiasmo e tono iniziative benefiche, prodotti dimagranti, accessori all’ultima moda. Tutto risulta essere “carinissimo, da provare, super”. C’è un canone estetico dominante. Le immagini sono pulite, luminose. Le pose si ripetono, gli oggetti sono quasi sempre disposti in modo geometrico. Ma qual è allora il segreto per cui un account ha milioni di follower e un altro solo centinaia? Questo mondo, in apparenza sempre perfetto e felice, è davvero un gioco da ragazzi, o una disciplina che richiede impegno e conoscenze? Le influencer vere, quelle che sono riuscite a mettere a punto la combinazione perfetta e vincente tra spontaneità e perseveranza, che vita fanno? Sicuramente molto impegnata poiché l’impresa eccezionale di Instagram on è solo conquistare la fama, ma mantenerla. O almeno distinguersi nella miriade di stelle, a volte un po’ cadenti, dei social. Le super influencere insomma stanno diventando una parte importante del mondo della moda e della cosmesi, sia con le loro collezioni, sia guidando le vendite di marchi diversi. E la loro presenza in prima fila alle sfilate di New York, Londra, Milano, Parigi non è più una conquista, ma una questione di economia. Ieri stilisti, oggi influencer: così cambiano i protagonisti dell’Alta Moda Gaia Bonanno IV e 9
  • 10. Mondo abile non per disabili. “Essere in una scuola è un privilegio, perché voi siete il futuro.” Così apre l’incontro Simonetta Agnello Hornby, una scrit- trice, ma prima di tutto un’avvocatessa nata a Palermo, naturalizzata britannica. Sabato 10 Febbraio infatti, recan- doci in aula magna abbiamo avuto, noi del Liceo Scientifi- co Cannizzaro e altri ragazzi provenienti da altre scuole, l’onore e il privilegio di conoscerla, ascoltarla ed imparare dalle sue parole. Lei rappresenta di certo, insieme al suo nuovo libro “Nessuno può volare”, una testimonianza di vita davvero importante, da non sottovalutare e da maneggiare con cura. Simonetta Agnello nasce in Sicilia, migra negli Stati Uniti d’America e una volta sposata con l’uomo da cui prende il cognome Hornby, e ottenuto il titolo di avvocato minorile, si stabilisce definitivamente a Londra. La scrittura arriva anni dopo,”per caso” afferma lei, e si è rivelata un’esperienza via via sempre più divertente e stimolante. Il libro, da cui si è sviluppata una successiva discussione con i ragazzi, non è possibile certo considerarlo un romanzo, ma neanche un semplice testo narrativo, a cui ogni lettore potrebbe dedi- carsi con totale tranquillità, bensì un grande messaggio di speranza e solidarietà. Ciò che viene affermato in questo libro provoca perplessità, dubbi, scuote l’animo del lettore, il quale inizia a porsi degli interrogativi riguardo la società tanto evoluta quanto indifferente davanti a chi, facendone pur parte, viene escluso, dimenticato, sminuito per le diver- sità. La trama parla di Simonetta ragazzina, donna in carriera, moglie e madre che si trova a stretto contatto, per tutta la sua vita, con le disabilità, partendo dai parenti più lontani, ad abitanti dello stesso paesino, fino ad arrivare al proprio figlio, Giorgio. Lui, affetto dalla sclerosi multipla, è il se- condo autore del libro che, per tal motivo, è definito dalla stessa autrice un’autobiografia a quattro mani. Dunque ab- biamo da un lato il punto di vista di una madre, cresciuta con la consapevolezza che siamo tutti uguali ma diversi e le “stranezze” sono caratteristiche di ogni individuo: essa offre lo sguardo di colei che si trova al fianco di un disabile. Dall’altro lato, invece, gli occhi di un uomo, che cambia con il passare del tempo, fino a trovarsi su una sedia a rotelle, in un mondo in cui essa non ha modo di circolare. La non cu- ranza, l’indifferenza o anche la presunzione di sapere come aiutare un disabile e poi rendersi conto che la realtà dei fatti è ben diversa, sono di certo i punti critici dell’intero libro: rappresentano lo sfogo, la rabbia, lo sconforto, la tristezza, il disappunto e l’impossibilità di agire di una madre, asso- ciati però all’amore, al supporto, al senso incondizionato di protezione per un figlio. “Qui non ci vogliono”. Queste furono le parole di Giorgio a Napoli, quando vide che sui treni della metropolitana non poteva salire autonomamente. Queste furono parole forti, pesanti, espresse da un disabile per conto di tutti gli altri disabili, che vivono una realtà triste, perché come afferma Simonetta: “le istituzioni non fanno il loro dovere e noi ce ne fottiamo”. Il senso di accettazione nei confronti dei disabili non è evi- dentemente in ognuno di noi, piuttosto spesso li nascon- diamo, come nascondiamo le brutture. Siamo in continua evoluzione, scopriamo sempre nuove cure, alle volte anche nuove malattie e un gran numero di persone si muovono per aiutare, dal punto di vista medico, giuridico e legislativo; ma nel quotidiano ci siamo mai chiesti se, anche tra noi ragazzi, ci sia un senso di accettazione? Simonetta Agnello Hornby: Nessuno può volare. Giulia Gambino IV e 10
  • 11. È normale e spontaneo pensare che un disabile sia un es- sere umano, con diritti e doveri, con pregi e difetti e non invece un essere da racchiudere in una bolla, consideran- doli talmente fragili da assu- mere una forma di protezione estrema, creando un isola- mento. Un libro e una donna che hanno portato una ventata di energia disarmante e una vo- glia di agire per sostenere ed aiutare: chi, spesso e volen- tieri, non viene ascoltato; chi è ghettizzato come diverso per una disabilità di qualsia- si genere; chi ha sempre gli occhi addosso per strada; chi anche però per strada non circola in maniera¬ dignitosa. Ciò che è di sicuro arrivato dalle sue parole è stata la forza, la determinazione di una donna che ancora oggi, alla veneranda età di 72 anni, non si arrende, non smette di far valere le proprie idee, speran- do che un giorno il messaggio che lei, con questo libro, ha voluto trasmettere, venga raccolto e diffuso. Non possiamo aspettarci che siano gli altri a lavorare per noi, attendere che qualcosa possa cambiare. Il nostro mondo è ricco di novità, di spettacoli naturali, di attrazioni di ogni genere, per tutti i gusti e non è davvero un pec- cato che colui che appare diverso, non possa viverselo? Non indugia- mo di fronte ad un problema, bensì agiamo, affinché esso non si possa più ripresentare in futuro e se un ascensore, un marciapiede, un ba- gno pubblico, un treno, una scuola, una scala mobile non sono adatti a tutti… beh, credo insieme a Simo- netta che sia arrivato il momento di smettere di ignorare ed iniziare a cambiare le cose, perché tutto ciò non è di certo utopico, ma la realtà a cui si dovrebbe maggiormente e normalmente ambire. “Perché la vita è bella e se si aiutano gli altri si vive bene, meglio.” 11
  • 12. Durante le fasi iniziali della seconda guerra mondiale, dopo che il predecessore Chamberlain mostrandosi incapace di gestire la minaccia nazista si era sollevato dall’incarico, a Londra viene assegnato l’incarico di Primo ministro a Winston Churchill, che si trova a dover gestire il nuovo pericolo incombente. Siamo nel maggio del 1940 nei giorni dell’assedio di Dunkerque, il politico conservatore appena nominato premier, deve subito prendere una decisione fondamentale per le sorti del suo Paese: negoziare la pace con la Germania o combattere senza arrendersi. Churchill non è inizialmente appoggiato né dal parlamento inglese né dal re Giorgio IV per i suoi precedenti fallimenti a Gallipoli, che non gli consentono di avviare l’operazione “Dynamo”. Tuttavia egli non demorde e grazie al suo spirito patriottico e combattivo riesce, parlando direttamente al popolo britannico, ad organizzare una manovra di salvataggio per le truppe accerchiate sulle spiagge di Dunkerque. Sono questi gli eventi di cui narra “L’ora più buia”, un film diretto da Joe Wright, con Gary Oldman nei panni di Winston Churchill affiancato da Kristin Scott Thomas nel ruolo della moglie Clementine. Il Winston Churchill di Gary Oldman si presenta come un personaggio estremamente scorbutico e testardo, convinto con fermezza di essere l’unico nel giusto, accettando l’enorme responsabilità di portare il suo paese alla guerra piuttosto che lasciare l’intera Europa occidentale in balia dell’ingente potenza militare nazista. Churchill non fu la prima scelta del parlamento, a causa della sua precedente sconfitta a Gallipoli, tuttavia era ciò di cui l’Inghilterra aveva bisogno. Il film racconta la personalità complessa e affascinante di quest’uomo, attraverso uno spaccato del momento fondamentale della sua vita: quando il destino lo chiamò contro la volontà di molti, per portare sulle spalle tutto il peso della storia. Un uomo che avrebbe avuto il coraggio di rischiare, diventando così un eroe romantico. Lo impari a conoscere come uno spirito libero fuori dagli schemi, brusco e impetuoso, amante del whisky e dei sigari, cocciuto al punto di seguire le idee fino al possibile sfacelo, ironico e carismatico come pochi. Anche nei momenti più cupi e solitari della sua carriera politica il Primo Ministro ha saputo reagire, ha saputo come riprendere in mano la situazione al fine di portare il suo paese alla tanto sperata “vittoria”. L’impegno sentito da parte di Churchill per il suo paese lo ha reso un uomo di grande valore e spessore, che non si è mai affranto di fronte agli ostacoli, senza mai darsi per vinto. Ciò che ha fatto di lui un vincitore è stato l’essere un sognatore che non ha mai smesso di arrendersi. Le sue imprese saranno sempre motivo d’ispirazione per i più ostinati e testardi. “Non si può ragionare con una tigre quando si ha la testa dentro la sua bocca” sono queste le parole dell’unico cittadino inglese che si oppose ai tedeschi, resistendo laddove tutti volevano trattare. All’interno dell’opera vengono messi in risalto anche personaggi di secondo piano: la sua segreteria, cui presta il viso Lily James; sua moglie Clementine (figura chiave della vita di Churchill) grazie alla bravura di un’attrice del calibro di Kristin Scott Thomas; per non parlare della maestria con cui ci raggiungono dallo schermo i profili umani e storici di uomini come Re Giorgio, Chamberlain, Halifax, al centro di quel vortice politico che il film restituisce allo spettatore con grazia, originalità e intelligenza. “Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale, è il coraggio di continuare che conta” L’ORA PIU’ BUIA mario grigoli, davide perinzano, carlo merendino iv e 12
  • 13. Dario Marianelli compone musiche sempre calzanti che riescono ad accompagnare e ad immergere lo spettatore nell’atmosfera cupa e solenne che domina il film. La fotografia a cura di Bruno Delbonnel, plurinominato agli oscar, è pulita e inspirata con inquadrature talvolta molto particolari. La solida sceneggiatura è la punta di diamante della pellicola, Anthony McCarten, già autore di “La Teoria del Tutto” e dell’atteso “Bohemian Rhapsody”, ci regala un ritratto eccezionale del carismatico leader inglese fornendo, al tempo stesso, un’interessante lettura dei conflitti politici dell’epoca. I dialoghi mai banali riescono sempre a catturare lo spettatore creando un’empatia con i personaggi, il tono è solenne carico di significato, a volte piccole battute sarcastiche nascondono profonde insicurezze dei personaggi. All’interno del film inoltre vengono inseriti gli oramai celebri discorsi del primo ministro inglese. Discorsi interpretati magistralmente da un Gary Oldman scatenato, che borbotta, trema e ruggisce caratterizzando il personaggio in maniera davvero straordinaria (questo aspetto purtroppo nella versione italiana della pellicola viene a mancare a causa del, seppure ottimo, doppiaggio). La sua interpretazione gli è valsa la vittoria come miglior attore. Una volta usciti dalla sala dopo la visione dell’ora più buia la domanda che accomuna tutti gli spettatori è “cosa sarebbe successo se Churchill non avesse perseverato nelle sue idee?”. Il ritratto che il film ne delinea è quello di un eroe con sigaro e cappello che grazie alla sua forza d’animo ha contribuito, in gran parte, al mondo come lo conosciamo oggi. Un eroe che come armi utilizza la dialettica e la retorica, ed è su quest’ultima che Joe Wright si concentra, infatti L’ora più buia può essere considerato un film retorico, con i suoi lunghi dialoghi taglienti e la sua attenzione maniacale al tono, al volume e alla durata stessa delle frasi pronunciate, nonché alle scenografie e agli ambienti, che lo rendono decisamente più che una tela bianca al servizio dell’interpretazione (incredibile) di Gary Oldman come molti affermano.Alcune scene sono di una potenza comunicativa straordinaria, le inquadrature, i monologhi scanditi da pause e sospiri, le musiche, riescono a trasmettere alla perfezione la voglia di combattere senza arrendersi. Esempio eclatante ne è la scena nella camera dei lord dove i parlamentari incitati da Churchill urlano “mai!” di fronte a una possibile resa dell’Inghilterra, stessa risposta che aveva ottenuto dal popolo nella scena precedente, lì allo spettatore scorre un brivido lungo la schiena e vorrebbe urlare anche lui a squarcia gola “mai!”. L’ora più buia è un film che merita di essere visto e che probabilmente entrerà a far parte dei vostri film preferiti. 13
  • 14. Film onirico, intenso e ammaliante. Denuncia, ricordo, fiaba e simbolismo: ingredienti di un film fuori dagli schemi, che riporta alla memoria il clamoroso e turpe omicidio Giuseppe di Matteo. Una fiaba dark, in cui però, nonostante l’effe- ratezza della mafia, prevalga l’amore dei due protagonisti, Luna e Giuseppe, che fra sogni e realtà, lascia intravedere, se pur fievole, un raggio di speranza, vissuto dalla volontà di denuncia di Luna, personaggio forte quanto fragile. Ogni personaggio ricalca i tipici protagonisti delle fiabe Grimm, i simbolismi spesso legati a una sfera animale e sempre ricorrenti . Una storia piena di fantasmi presenti e passati, una denuncia al passato quanto al presente. Denuncia non solo alla mafia, ma a coloro che ne permettono lo svilup- po, consapevoli dell’orrore ma inerti e ignavi. Un’accusa deliberata all’omertà, alla deliberata collaborazione con la mafia, la mafia che opprime e tiranneggia. La stessa che tormenta i siciliani da anni, da decenni o forse sareb- be più consono dire da secoli, che ne elimina la libertà, di qualunque forma, sotto qualunque aspetto. Oppressione e inerzia evocata dalle parole dei genitori di Luna; evocata dall’omertà dei Carabinieri, dall’omertà di tutti i compaesani di Luna, che nel vederla distribuire i volantini con scritto: “scomparso Giuseppe Di Matteo”, si vede apparire nel loro volto un misto di pietà e terrore; nei tentativi vani della ma- dre di Luna nel farla desistere da questo amore che, se pur sincero e puro, rimane impossibile. A cui si contrappo- ne fortemente le volontà di sapere di Luna e la sua amica, che combattono e trasgrediscono, con la speranza di po- ter cambiare qualcosa, di poter finalmente combattere una mafia che opprime da troppo i siciliani, forse finalmente, ormai troppo stanchi di non possedere più nemmeno il di- ritto di respirare. È passato solo poco più di un anno dalla sentenza di Cassazione del Maxiprocesso, qualcosa sta cambiando, non solo nella politica e nella magistratura ma soprattutto nella cultura. Cambiamento che possiamo lim- pidamente identificare negli occhi di Luna e dei suoi amici, i rappresentanti dei nuovi ideali di libertà che animeranno la Sicilia e l’Italia in quegli anni successivi le morti di due dei più grandi eroi italiani. È inoltre lo stesso anno dell’arresto di Salvatore Riina, il capo dei capi, fatto emblematico dell’i- nizio della fine degli anni di terrore e inizio anche del dete- rioramento della criminalità organizzata siciliana. Forse è realmente l’inizio della fine, una fine che ancora si estende ancora oggi, e cher siamo chiamati tutti a favorire e di cui ancora non riusciamo a vederne una reale conclusione, ma non possiamo vedere adesso, anzi perseverare in questa battaglia, questo ci ricorda il film, e riporta alla memoria le bellissime parole di Giovanni Falcone: “La mafia non è af- fatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna ren- dersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.” Sotto l’aspetto tecnico: riprese eccezionali e ambientazioni fiabesche e suggestive della Sicilia, fra i Nebrodi e Selinun- te; colonne sonore coinvolgenti e una recitazione in con- tinuo progredimento e oltremodo intrigante. Il simbolismo espresso anche con riprese d’effetto in terza persona, iden- tificate come sguardi dei portatori principali del simbolismo: gli animali. La civetta e il cavallo, i due animali più ricorrenti, simboleggiano rispettivamente saggezza e libertà. Inoltre il cavallo rende Giuseppe un cavaliere fiabesco in modo inequivocabile e inevitabile. Dall’altra parte la civetta svolge il ruolo di aiutante fantastico delle fiabe e a volte perfino da narratrice. Ringraziamento speciale a Julia Jedlikowska, interprete di Luna, nostra compagna di 2ºC, per la coinvolgente recitazione. sicilian ghost story Giuseppe Aurelio Miserendino iii C 14
  • 15. intervista al professore Zanca Matteo carollo, fabrizio serafini iv e Nome -Antonio Zanca; Età -50 trattabili; Età desiderata? -25; Età reale? -“silenzio” Professione -Professore di matematica e fisica; Matematica o fisica? -Preferisco la fisica; Argomento della fisica preferito -Direi l’elettromagnetismo; A che età ha iniziato a insegnare? -A venticinque anni; È difficile imparare ad insegnare? Vede l’insegnamento come un dono naturale? -In parte è un dono naturale, in parte con il tempo si affina la professione; L’aspetto che le piace di più del suo lavoro? -Il rapporto con i ragazzi; L’aspetto che le piace di meno? -Lo stipendo, indubbiamente; L’aneddoto più divertente da quando insegna? -In realtà i ricordi li cancello, però in generale mi diverto molto quando riesco a coinvolgere la classe; La sua esperienza più brutta da quando insegna? -Anche questa l’ho provata a cancellare; Due parole sulla Professoressa Santomarco che ha “commissionato” questa intervista -So che gestisce il giornalino da diversi anni e che presta la sua opera per questo, certamente ciò è lodevole, io non avrei la pazienza; Qual è l’atteggiamento ideale che un professore deve assumere nei confronti della classe? -Innanzitutto deve padroneggiare la materia ed avere chiare le cose perché, come diceva Catone “rem tene verba sequentur”, se tu hai i concetti le parole vengono in conseguenza, ma soprattutto deve guardare negli occhi gli alunni dato che l’insegnamento deve essere un dialogo, bisogna sempre comprendere cosa gli studenti hanno appreso e quello che possono rendere; Il suo anno preferito del percorso liceale? -Il quarto anno perché è un anno nel quale i ragazzi hanno una certa maturità e sono scarichi dalle tensioni verso gli esami e verso l’iscrizione alla facoltà; Il suo modo di punire un alunno? -In realtà io credo che i professori non dovrebbero dare punizioni agli alunni quindi io tendo a non infliggerne; Il suo modo di lodare un alunno? -Solitamente gli alunni da me lodati lo capiscono perché, come tutte le persone, certe volte ho simpatie e loro se ne accorgono; Ci parli della sua esperienza con la ZTL Palermitana. -Immaginavo quest’intervista vertesse sulla scuola… Sono mio malgrado costretto a rispondervi. Ritengo che la ZTL sia necessaria e in tutte le maggiori città c’è e quindi è un male necessario; Perché è un male? -È un male perché comunque comporta un esborso da parte dei cittadini, ovvero bisogna pagare di più per poter circolare Lei in particolare è stato colpito da questo “male”? -Io ho intuito l’esistenza di percorsi alternativi, che mi consentono di arrivare da casa mia fino a scuola, almeno spero siano veramente alternativi, poi non so; Su una scala da uno a dieci, quanto “ci sta odiando”, a causa di quest’intervista? -No, non vi odio affatto, su una scala da uno a dieci direi zero. Che cosa si dovrebbe migliorare in questa scuola? -Io credo che questo liceo sia uno dei migliori d’Italia, e probabilmente il miglior scientifico di Palermo, ci sarebbe molto da migliorare in generale nella scuola italiana, ad esempio personalmente sarei favorevole ad un modello di istruzione di stampo anglosassone nel quale vi sono materie obbligatorie e facoltative; Come nasce la passione per la fisica? -In realtà mi sono accorto nel corso degli anni che quando studio la fisica sto bene, quando leggo di fisica passo, a pari livello con il tennis, le mie migliori ore di tempo libero. Queste due sono le mie attività preferite; Chi è il suo tennista preferito? Roger Federer; Gioca a tennis da tanto tempo? Ho cominciato da ragazzino, ma ho iniziato a giocare con costanza solo dopo essermi laureato; E invece, segue il calcio? No, non lo seguo affatto; Simpatizza qualche squadra di serie A? Come non avere simpatie per il Palermo; Professore, il Palermo è in serie B. -Come dicevo, non seguo molto il calcio Quanto velocemente passa il tempo stando con noi ragazzi? Il tempo vola, voi domani mattina vi sveglierete pensando di essere ragazzi e in realtà avrete la mia età, lo dicono un po’ tutti gli adulti ma è terribilmente vero; Un messaggio alla 4F? -Fate i buoni; Un messaggio alla 4E? -Fate i cattivi; Il soprannome che gli alunni le danno? Non ne ho idea; Il soprannome che vorrebbe avere? Lo zio. Chi è realmente la persona tanto temuta che siede dietro la cattedra? Cosa si nasconde dietro il segreto mondo di un professore che, sia per timore che per rispetto, non abbiamo mai avuto il coraggio di esplorare? La risposta alle vostre curiosità la trovate qui, in questa piccola ma intensa intervista al professore Zanca che si racconta. 15
  • 16. -Com’è nata la tua passione per la musica? Da bambino ascoltavo praticamente tutto. È stata mia sorella ad avvicinarmi al mondo del rap, facendomi ascoltare canzoni di Caparezza. La passione per la musica c’è sempre stata poiché suonavo, i primi rapper che ho iniziato a seguire sono stati Salmo e Babaman e successivamente Gemitaiz e Madman. -Perché hai scelto in particolare il genere Rap? Ho scelto il rap poiché è un genere che rende liberi. Ogni persona può quindi esprimere tutto ciò che vuole e tutto quello che immagina, in un mondo dove le convenzioni non permettono di dire tutto ciò che pensi. -Cosatihaspintoaportareavantiquestapassione? La possibilità appunto di poter dire la mia e anche la passione musicale, poiché in primis il Rap è musica. E anche perché voglio spaccare. -Quali sono i temi da te trattati e che messaggio vuoi mandare ai tuoi coetanei? I temi che tratto riguardano essenzialmente la società. Cerco di esprimere i miei pensieri, mi lamento di quello che non mi sta bene e dei problemi che esistono. Problemi che riguardano appunto la società ma anche riguardo ai miei coetanei. Inoltre vi è una certa introspezione, ovvero quello che mi passa per la testa durante la giornata, stati d’animo e molto altro. Tutto ciò varia da testo a testo ovviamente. I miei coetanei la pensano come me, quindi vorrei indirizzare il messaggio a persone più piccole e soprattutto più grandi di me. Messaggio che è visibile nelle mie canzoni; spero inoltre che i miei testi aiutino a risollevarsi a chi ne ha bisogno o semplicemente far riflettere. -Cosa ne pensi di questo nuovo sottogenere che si sta affermando con il nome di “Trap”? La Trap è un ritmo nuovo, e sicuramente c’è bisogno di innovazione perché non si può rimanere sempre allo stesso punto. Penso che il 99% dei “Trapper” parlino sempre delle stesse tematiche come ad esempio soldi, droga e altri fattori inutili per un testo che dovrebbe esprimere qualcosa. Nascono quindi molto spesso delle canzoni che non hanno senso e che servono esclusivamente a creare un pubblico di soli bambini che sono attratti dalla droga, dal loro stile di vita e da tutto ciò che non possono avere o che sia sbagliato. Tu pensi quindi che esista una “Trap di qualità” e una di “scarsa qualità”? Si penso che esista la “Trap di qualità”, come ad esempio Vegas jones. C’è chi riempie i testi di argomenti sensati ma anche chi non mette nulla in un intero disco. Intervista a TORRE Mario Labruzzo, Carlo merendino IV E 16
  • 17. -Com’è nata la tua passione per la musica? La mia passione per la musica è nata da bambino, mio padre suonava la chitarra e io stavo ad ascoltarlo ore ed ore. Poi da ragazzino, alle medie, ho iniziato a suonare e quindi posso dire che la musica ha sempre fatto parte della mia vita. Mi ha fatto provare molte emozioni e penso che debba essere presente in tutte le persone. -Perché hai scelto in particolare il genere Rap? Perché il Rap è un genere che sin da piccolo mi ha appassionato. Alle medie giravo con il primo iPod ed Eminem, Tupac e 50 Cent nelle orecchie. Nel primo anno di Liceo ho approcciato il genere “Old School” conoscendo in particolare Stokka & Mad Buddy che sono due pilastri dell’Old School palermitana e mi sono interessato a questo genere e volevo provare anch’io ad essere come i miei “idoli”, iniziando così a fare Rap, per divertimento e non per avere un riscontro futuro a livello monetario. -Cosa ti ha spinto a portare avanti questa tua passione? Proprio perché suonavo sin da piccolo ha aiutato molto e inoltre perché ho notato che ciò che facevo piaceva alla gente. Il sostegno delle altre persone mi ha convinto che potevo andare avanti e potevo creare un percorso musicale e dunque condividere la mia passione con gli altri. -Quali sono i temi da te trattati e che messaggio vuoi mandare ai tuoi coetanei? Non ho temi particolari. Tutto ciò che mi gira per la testa lo metto in un pezzo, come ad esempio il primo pezzo che ho pubblicato era un piccolo sfogo di un bambino frustato che ha bisogno di sfogare la sua rabbia verso gli altri, l’altro riassume in circa tre minuti la storia della mia vita e invece il prossimo pezzo che uscirà, piccolo spoiler, sarà una piccola critica alla scena moderna riguardo ai ragazzini “Trapper” che scrivono delle cose nei testi che poi in realtà non appartengono alla loro vita. Io sono dunque contrario a scrivere un pezzo contenente argomenti che non ti appartengono. -Cosa ne pensi di questo nuovo sottogenere che si sta affermando con il nome di “Trap”? Ad essere sincero ascolto Trap da poco e penso che non bisogna distinguere genere e genere ma bensì musica fatta bene e musica fatta male. Come anche nella famosa Old School che tutti amano e vorrebbero che tornasse vi erano persone che meritavano e altre invece no. Quindi anche nella Trap vi è musica fatta ad un livello alto e altra ad un livello basso. Una cosa che critico della Trap come ho detto riguardo al mio prossimo pezzo è il fatto di scrivere cose nei testi che non appartengono alla propria vita e di cui ne parli solo per essere “figo” e farsi riconoscere creando un personaggio che è delinquente, gira con le armi, fa uso di droghe, sfrutta ragazze; quando in realtà non è vero, essendo un ragazzino che non ha mai visto né toccato una pistola, si fa due tiri di sigaretta e “collassa” e cerca quindi di essere alternativo e fuori dagli schemi, non riuscendoci. Intervista a puzz1 Mario Labruzzo, Carlo merendino IV E 17
  • 18. Ovunque si legge che Palermo è diventata “capitale italiana della cultura 2018”. L’Italia infatti ha puntato i riflettori sul capoluogo siciliano, terra delle mille anime che l’hanno conquistata e vissuta. Come mai proprio la “capitale del pane ca’ meusa” e della lotta alla mafia, ha ottenuto questo riconoscimento? Ce lo spiega il celebre quotidiano inglese The Guardian che ha inserito Palermo tra i “gioielli da visitare nelle vacanze 2018”: «Una pietra commemorativa in mostra nel palazzo della Zisa registra la sepoltura dei resti di una nobildonna in quattro lingue: latino, greco, arabo ed ebraico». In 3000 anni, la città è stata un miscuglio eterogeneo di popoli e culture che hanno reso il capoluogo Siciliano un mosaico di etnie, un modello che si intreccia anche di influenze spagnole, normanne, borboniche e britanniche. Ciò in gran parte è stato favorito dalla conformazione stessa del territorio, non è un caso il nome “Panormos” che deriva dall’unione di due parole greche, Pan (tutto) ed Hòrmos (porto): questo nome è dovuto alla posizione della città, che si trovava alla convergenza di due fiumi, il Kemonia e il Papireto , i quali, circondandola, creavano un enorme (per l’epoca) approdo naturale. Oltre a questo la città, come tutte le città fenicie, basava la sua economia sul commercio marittimo. Così negli anni il suo bagaglio artistico-culturale è cresciuto, portandola ad essere essa stessa un museo en plein air di opere architettoniche di immensa bellezza. Per quest’anno la città si sta preparando ad accogliere i milioni di turisti, affamati di cultura e bellezze artistiche, che la invaderanno. Il sindaco Leoluca Orlando ha in mente diversi progetti a tal proposito, tra cui: la realizzazione di un sistema di prenotazione dei servizi turistici, in grado non solo di proporre soluzioni tradizionali (trasporto, vitto, alloggio e itinerario) ma anche di valorizzare i prodotti del territorio diventando un vero e proprio portale di marketing territoriale e la riorganizzazione funzionale degli spazi culturali, secondo il criterio dei “Poli”: Il primo polo, quello centrale sarà il “Polo Teatrale cittadino” (che comprende fra gli altri il Montevergini, il Garibaldi, la Sala De Seta, lo Spasimo); il secondo sarà il “Polo Espositivo” (GAM, Palazzo Ziino, ZAC, Ecomuseo del Mare), il terzo il Polo Archivistico- Bibliotecario (Biblioteca Comunale, Archivio Storico) e infine il Polo Etno-Antropologico (Museo Pitrè, Palazzo Tarallo). Inoltre verranno valorizzati, attraverso eventi, tutti quei luoghi che costituiscono i “punti forti” del patrimonio architettonico palermitano. Tra questi ci sono i Cantieri culturali della Zisa, il Teatro Massimo, Palazzo Sant’Elia, il Complesso dello Spasimo, Palazzo Branciforte e infine il Complesso di Sant’Anna alla Misericordia. Anche un’organizzazione importante come l’UNESCO, in particolare la sezione di Palermo, sta contribuendo ad innalzare il valore del patrimonio culturale della città.«Palermo ha bisogno della cittadinanza attiva come paladini della cultura, ognuno deve sentire propria questa città diventando ambasciatore del genius loci», sostiene la presidente del club per UNESCO di Palermo Cinzia Suriano,che crede molto nel contributo dei giovani per la rinascita di un’economia culturale. Ma la vera domanda è: i palermitani sono pronti a riconoscere nella loro città la “capitale della cultura italiana 2018”? Sembra che molti cittadini siano indifferenti alla questione, forse perché girando gli angoli di alcune strade del centro ci si ritrova sommersi dall’immondizia, oppure si incappa in perenni cantieri per opere pubbliche di interesse primario. Difatti la città è ancora molto indietro al livello di sostenibilità rispetto ad altre città europee: i mezzi di trasporto pubblico non funzionano, ci sono ancora troppe vetture private e poche biciclette. E sui social network gli attivisti di “Retake Palermo” commentano la notizia così: «Spesso i sono proprio i palermitani i nemici di se stessi. A noi spetta solo acquisire la consapevolezza del patrimonio che abbiamo tra le mani ed esserne i custodi ogni giorno». Capitale della cultura non si diventa per caso. salvatore cirrincione v e 18
  • 19. Luca Giammanco iv e I miei occhi sono ormai stanchi di vedere continuamente questi ambienti, accecanti nella loro penombra, eppure so bene che non potrei non essere qui, io appartengo a questo luogo. Intorno a me corpi che ormai hanno perso la loro personalità, oltraggiati da ogni tipo di tortura, mi rivolgono sguardi esausti ma carichi d’ira e disprezzo; è incredibile come l’odio sia l’unica cosa che rimane in quei contenitori di carne ormai svuotati di ogni emozione, resi umani solo dal più animale dei nostri sentimenti. Proverei quasi pena per questi esseri, se non sapessi cosa hanno fatto, quanto dolore hanno generato, il numero di innocenti che hanno donato prematuramente a Colei che coglie, una volta maturi, i frutti della Vita; è questo desiderio di giustizia che mi permette di continuare e sopportare il mio lavoro ora che il Regime è stato costretto a sostituire tutti gli altri Inquisitori con degli automi. Tutti gli altri, viscidi codardi, provavano addirittura pena per quei mostri e questo li rendeva ancora peggiori dei prigionieri, vermi incapaci di prendere una posizione. A volte, lo ammetto, anche io ho qualche crisi: la notte sogno di essere torturato e mi sveglio con un grido straziante ancora in gola, le guance solcate da torrenti di lacrime; di solito dopo qualche minuto riesco a fermare il pianto, ma continuo a tremare in preda al panico, con l’equivalente di un tamburo nel petto e gli occhi ancora umidi come tristi paludi di disperazione. Ci vogliono ore perché mi calmi, continuo a farmi del male, Inquisitore di me stesso, mi ripeto che ciò che faccio è la cosa giusta e questo mi rende ogni volta più determinato. Questa notte sono crollato di nuovo, ma ormai sono quasi contento che mi succeda, divento più forte e quasi riesco a prendere spunto dagli incubi per inventare nuovi metodi di tortura. “Sei sempre più simile ad un automa” questa frase mi rimbomba nella testa mentre attraverso i freddi corridoi della prigione e guardo i Colpevoli, invitante merce che attira lo sguardo; ne scelgo uno e decido che sarà il mio giocattolo per il resto della giornata, lui inizialmente mi guarda speranzoso: è raro vedere un altro umano aprire la porta della propria cella. Il desiderio di cancellare quel briciolo di emozione mi assale e comincio a trascinarlo verso la stanza 101 e lì lo spingo in una scatola appena più grande di lui e chiudo il coperchio; comincia a urlare sin da subito, mi diverte quando sono pure claustrofobici, così mi godo la scena prima di cominciare ad aspirare l’aria dentro il contenitore, lasciandone abbastanza per farlo respirare ancora per poco tempo. Dopo una trentina di secondi lo sento dibattersi, così apro un po’ di più la valvola per continuare a giocare; vado avanti così per un paio di minuti, poi una fitta atroce esplode nella mia testa e, senza capire il perché, libero velocemente il povero uomo. Subito dopo degli Inquisitori sfondano la porta e mi bloccano, mentre io nel frattempo, stordito dal fischio delle sirene, comincio a ricordare. Quando venne instaurato il nuovo Regime chiunque avesse un briciolo di cultura fu additato come “Disertore” e perseguitato; io ero, e sono, uno dei più deboli, mi hanno preso per primo e hanno cominciato a infliggermi le peggiori torture, fino ad ottenere una pasta informe, estremamente duttile. Sono riusciti a cancellare qualunque cosa non fosse odio verso di loro, poi l’hanno plasmato, addolcendolo con false convinzioni, e incanalato verso i miei stessi compagni; non sono il glorioso ultimo Inquisitore umano, il più forte, ma il Disertore più debole, l’esperimento meglio riuscito del Regime, che ha ricevuto la Tortura definitiva, l’annientamento dell’Io. Ma non hanno tenuto conto della potenza dei ricordi. Mi stanno portando verso una porta d’acciaio, io però sono tranquillo, so che non riusciranno a strapparmi ciò che sono riuscito ad ottenere di nuovo; aprono la porta, mi mettono degli elettrodi sul capo mentre urlo che no, questa volta non mi avranno, poi diventa tutto buio. I miei occhi sono ormai stanchi di vedere continuamente questi ambienti, accecanti nella loro penombra, eppure so bene che non potrei non essere qui, io appartengo a questo luogo. 19
  • 20. REDAZIONE: DOCENTE REFERENTE: Prof.ssa Elena Santomarco IMPAGINAZIONE E GRAFICA: Mario Labruzzo IV E CAPOREDATTORE: Luca Giammanco IV E CO-CAPOREDATTORE: Chiara Schillaci V C HANNO COLLABORATO: Gaia Bonanno IV E Matteo Carollo IV E Salvatore Cirrincione V E Roberta D’Accardio IV E Giulia Gambino IV E Mario Grigoli IV E Carlo Merendino IV E Giuseppe Aurelio Miserendino III C Davide Perinzano IV E Lucia Raffele IV D Gabriele Rizzo V C Fabrizio Serafini IV E Sofia Varrica III M SEGUICI SU FACEBOOK ! CERCA LA PAGINA: “ObbiettivaMente!” VUOI PARTECIPARE ANCHE TU? Invia un messaggio alla pagina, oppure contatta i caporedattori o qualcuno interno alla redazione. “Quando il tempo ci opprime, talvolta è un secondo a salvarci. E’ il miracolo dell’attimo: essere, vedere o scattare una foto. La foto è lì, si raccoglie come un ciottolo sulla spiaggia… Oggi sappiamo che è l’attimo a salvarci…” (Edouard Boubat)