2. Università degli Studi di Salerno
OBIETTIVO DELLA LEZIONE:
Acquisizione delle conoscenze di base per
l’identificazione di strategie e metodologie
didattiche in grado di supportare il
processo di insegnamento-apprendimento
in presenza di studenti che presentano
disturbi dello spettro autistico.
3. Università degli Studi di Salerno
Autismo
Disturbo pervasivo dello sviluppo che
incide su tre dimensioni fondamentali
della persona:
- l’interazione sociale
- la comunicazione
- il repertorio comportamentale
Cottini, Rosati, 2008
4. Università degli Studi di Salerno
Cenni storici
Il termine autismo fu utilizzato per la prima volta nel 1911
dallo psichiatra Eugen Bleuler per indicare uno dei sintomi
più comuni della schizofrenia nell’adulto.
Una delle caratteristiche riscontrabili nei soggetti
schizofrenici era infatti un’alterazione della relazione
reciproca tra mondo interno e mondo esterno, per cui la vita
interiore assumeva una preponderanza patologica definita
autismo:
“Chiamiamo autismo il distacco dalla realtà e la predominanza della
vita interiore” (Bleuler, 1911, p. 29).
5. Università degli Studi di Salerno
Cenni storici
Nel 1943 lo psichiatra americano Leo Kanner (1943)
descrisse per la prima volta la sindrome autistica,
distinguendola dalla generica categoria del ritardo mentale in
cui era inquadrata prima di allora.
Il medico, infatti, espose i casi di undici bambini, di età
compresa tra i due e i dieci anni che, già dal primo anno di
vita, mostravano i segni di un comportamento atipico:
alterazione dei rapporti interpersonali, indifferenza
all’ambiente circostante e tendenza all’isolamento, tendenza a
mantenere invariate le abitudini quotidiane, comportamenti
ripetitivi, stereotipie, anormalità nel linguaggio ed ecolalia.
Hollander et al.,2011
6. Università degli Studi di Salerno
Cenni storici
Parallelamente agli studi di Kanner, anche se in maniera del
tutto indipendente da quest’ultimo, un altro pioniere
dell’autismo, Hans Asperger, nel 1944 pubblicava i suoi studi
su alcuni casi di soggetti che riteneva avessero fin dalla
nascita disturbi caratteristici.
Negli anni successivi alle descrizioni fornite da Kanner e
Asperger, molti altri studiosi tentarono di indagare le cause
della sindrome.
7. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche
Lo psicoanalista austriaco Bruno Bettelheim, ad esempio,
ipotizzò che una delle cause principali del disturbo autistico
era da attribuire alla freddezza emotiva delle madri.
Lo studioso parlò infatti di «madri-frigorifero», indicando
l’incapacità di alcune donne di stabilire una relazione efficace
con il proprio bambino (Bettelheim, 1967).
8. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche
La psicanalista britannica Frances Tustin avanzò l’ipotesi che
i fenomeni di “depressione post-partum” non fossero tipici
solo delle madri, ma che potessero verificarsi anche nei
bambini; questi ultimi, secondo la studiosa, tentano di
difendersi dalla sensazione di aver perduto, con il distacco
dalla madre, una parte vitale del proprio corpo. Questa
sensazione primitiva genererebbe i sintomi tipici
dell’autismo.
9. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche
Nel 1964 il neurologo statunitense Bernard Rimland,
rovesciò la teoria convenzionale della “madre-frigorifero”
affermando che alla base del disturbo sembrava esserci un
problema di natura biochimica nella formazione reticolare
del tronco cerebrale, per cui classificò l’autismo come
deviazione genetica inibente.
10. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche
Negli anni ’70 lo psicologo statunitense Carl H. Delacato,
oltre ad abbracciare l’ipotesi di natura genetica del problema,
si rese conto che gli atteggiamenti dei bambini autistici erano
identici a quelli manifestati da soggetti che presentavano
lesioni cerebrali. Ciò presupponeva dunque che i bambini
autistici non dovevano essere considerati degli psicotici, ma
soggetti che, a causa di danni cerebrali, presentavano gravi
problemi sensoriali.
11. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche
A partire dalla metà degli anni ’80, Alan Leslie, Simon Baron-
Cohen e Uta Frith ipotizzarono che all’origine dell’autismo ci
sia l’assenza di una teoria della mente, vale a dire della capacità
di orientarsi nel mondo interpersonale attraverso la
spontanea attribuzione al comportamento degli altri di stati
mentali, intenzionali, punti di vista.
Cecità mentale
Incapacità dei soggetti
autistici di mentalizzare,
ovvero di attribuire agli
altri degli stati mentali
Goussot, 2012
12. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche
L’ipotesi che ne derivò fu quella che il bambino autistico si
trova come in una sorta di «agnosia» degli stati intenzionali,
almeno di quelli complessi, che toglierebbe al soggetto
autistico la capacità di orientarsi nell’universo delle relazioni
sociali e di acquisire quelle abilità che consentono di
interagire con gli altri, mediante la capacità di immaginare
cosa gli altri pensino, desiderino e provino a livello emotivo.
La mente del bambino autistico sarebbe capace di
comprendere l’azione dell’altro solo nel suo senso manifesto,
ma raramente in quello implicito e sotteso (Frith, 2009).
13. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche
Il dibattito sull’eziologia dell’autismo è ancora oggi
molto acceso. Attualmente sembrano dominare le
ipotesi eziologiche di tipo neurobiologico.
Le neuroscienze, con la scoperta dei neuroni specchio,
hanno ipotizzato infatti che vi sarebbe una disfunzione
di questi ultimi alla base dei disturbi dello spettro
autistico.
Autismo come disturbo della consonanza
intenzionale, dovuto ad un
malfunzionamento dei meccanismi di
rispecchiamento sostenuti dalla
simulazione incarnata (Gallese 2003; 2006)
14. Università degli Studi di Salerno
Ipotesi eziologiche
Alcuni studiosi hanno inoltre proposto la tesi di un
iperfunzionamento percettivo nei soggetti autistici, per cui questi
ultimi non presenterebbero nessun deficit di
immagazzinamento semantico ma un iperdiscriminazione
visiva e uditiva (Mottron, 2006).
Ciò spiegherebbe il motivo per cui molti autistici mostrano
picchi di abilità sia sul piano cognitivo che in alcune aree
della memoria.
Goussot, 2012
15. Università degli Studi di Salerno
Classificazione nosografica dell’autismo
DSM-5, APA 2013
Il DSM, nella sua più recente edizione
(DSM 5) definisce i criteri diagnostici della
condizione autistica in termini di diade
sintomatologica, ovvero quando sono
presenti le seguenti manifestazioni cliniche:
“Persistent deficits in social communication and
social interaction across multiple contexts, as
manifested by the following, currently or by history
[….]
-Restricted, repetitive patterns of behavior,
interests, or activities, as manifested by at least two
of the following, currently or by history (examples
are illustrative, not exhaustive; see text) [….]”
16. Università degli Studi di Salerno
Classificazione nosografica dell’autismo
DSM-5, APA 2013
Disturbi pervasivi dello
sviluppo in cui rientrano il
Disturbo Autistico, il
disturbo di Asperger , il
Disturbo Generalizzato
dello Sviluppo NAS, la
Sindrome di Rett, il
Disturbo disintegrativo
dell’infanzia.
Disturbi dello spettro
autistico che
comprendono
il Disturbo Autistico, il
Disturbo di Asperger, il il
Disturbo disintegrativo
dell'infanzia e il Disturbo
pervasivo dello sviluppo
NAS.
DSM IV (1994) DSM 5 (2013)
17. Università degli Studi di Salerno
Classificazione nosografica dell’autismo
DSM-5, APA 2013
Approccio categoriale Approccio dimensionale
DSM IV DSM 5
Triade sintomatologica:
1. Deficit nell’interazione
sociale
2. Deficit nella comunicazione
3. Deficit dell’immaginazione
con interessi
ristretti e stereotipati
Diade sintomatologica:
1. Deficit socio-comunicativo
(componente sociale)
2: Interessi ristretti e
comportamenti ripetitivi
(componente non sociale)
18. Università degli Studi di Salerno
LA DIADE SINTOMATOLOGICA DELL’AUTISMO
DEFICIT NELLA
COMUNICAZIONE SOCIALE
DEFICIT D’IMMAGINAZIONE
Le difficoltà nell’area della comunicazione e dell’interazione
sociale, che nel DSM IV erano considerate separatamente,
nel DSM V sono state accorpate in quanto riflettono un
unico deficit.
19. Università degli Studi di Salerno
Autismo
Continuum
di
condizioni
Disturbi
dello spettro
autistico
I diversi tipi di Autismo presentano confini troppo sfumati
che non consentono di definire un numero preciso di
quadri clinici chiaramente distinti. Per tale ragione, nel
DSM 5 non sono più indicati dei precisi «sottotipi» come
avveniva nelle classificazioni diagnostiche precedenti.
Cottini, Vivanti 2013
20. Università degli Studi di Salerno
PRINCIPALI
MANIFESTAZIONI
CLINICHE
Altre manifestazioni
Deficit di
«immaginazione»
Deficit sociale
Deficit
comunicativo
Ansia
Anomalie sensoriali
Deficit delle funzioni esecutive
Anomalie dell’attenzione
Cottini & Vivanti, 2013
21. Università degli Studi di Salerno
Deficit comunicativo
Problemi nella produzione linguistica
Difficoltà con la pragmatica della comunicazione ovvero nell’uso
del linguaggio nel contesto di un’interazione sociale.
Anomalie del linguaggio :
Inversione Pronominale
Ecolalia (ripetizione letterale di frasi sentite da altri)
Uso idiosincratico di parole e frasi
Articolazione atipica del linguaggio
Mancata varianza del registro: il volume della voce non viene
variato per dare intonazioni e significati particolari alle frasi.
Mancato uso della gestualità
Cottini, Vivanti 2013
22. Università degli Studi di Salerno
Deficit comunicativo
Problemi nella comprensione linguistica
Mancata comprensione del linguaggio
Interpretazione letterale del linguaggio
Mancata comprensione della gestualità
Cottini, Vivanti 2013
23. Università degli Studi di Salerno
Autismo e abilità sociali
Mancanza di
reciprocità
sociale
Deficit
sociale
Difficoltà nel
riconoscimento delle
interazioni sociali
Difficoltà
nell’interpretazione di tali
interazioni
Risposte inadeguate
Mancata motivazione a
rispondere
Deficit sociale
Cottini, Vivanti 2013
24. Università degli Studi di Salerno
Deficit sociale
DEFICIT
SOCIALE
Anomalie
nell’orientamento
e nell’attenzione
verso gli altri
«Comportamento
visivo» anomalo
Mancanza di
comportamenti
«pro-sociali»
Anomalie nella
capacità di
leggere il
comportamento
degli altri
Problemi nel fare
attenzione agli altri
Difficoltà nel capire
cosa fanno gli altri
Cottini, Vivanti, 2013
25. Università degli Studi di Salerno
Deficit di Immaginazione
In che cosa consiste?
Rigidità:
resistenza al
cambiamento
Ripetitività:
ristretto numero
di interessi
Cottini, Vivanti 2013
26. Università degli Studi di Salerno
Deficit di Immaginazione
Come si manifesta?
Abitudini rigide
Linguaggio spontaneo
monotematico
Comportamenti motori
stereotipati (ad es. sbattere le
braccia ritmicamente, agitare
le dita davanti agli occhi
muovere ritmicamente il
busto avanti e indietro)
Cottini, Vivanti 2013
27. Università degli Studi di Salerno
Altre manifestazioni
Ansia e
regolazione
emotiva
Anomalie nelle manifestazioni
delle emozioni
Difficoltà nel riconoscere le
emozioni degli altri
Difficoltà ad adattare il
comportamento alle
circostanze
Cottini, Vivanti 2013
28. Università degli Studi di Salerno
Altre manifestazioni
Anomalie sensoriali
Le conseguenze di questo deficit di percezione
possono andare in due direzioni, generando
comportamenti volti a:
• Difendersi da sensazioni sensoriali
• Ricercare determinate sensazioni sensoriali
Cottini, Vivanti 2013
29. Università degli Studi di Salerno
Altre manifestazioni
Deficit delle funzioni esecutive
Difficoltà nella pianificazione del proprio
comportamento
Difficoltà nell’organizzazione del
comportamento
Difficoltà nel modificare il proprio
comportamento in base alle circostanze
Difficoltà nell’inibizione di risposte
«prepotenti»
Cottini, Vivanti 2013
30. Università degli Studi di Salerno
Altre manifestazioni
Anomalie dell’attenzione
Tempi di attenzione
brevi
Difficoltà nello
spostare l’attenzione
da uno stimolo ad un
altro
Preferenza verso i
dettagli
Carenza nell’uso
sociale
dell’attenzione
Cottini, Vivanti 2013
31. Università degli Studi di Salerno
Orientamenti educativi
Gli approcci e i metodi attualmente più utilizzati in ambito
educativo con soggetti che presentano disturbi dello spettro
autistico sono quelli di tipo cognitivo-comportamentale
(Goussot, 2013).
Di seguito, proponiamo tre strategie didattiche il cui obiettivo
è favorire l’acquisizione delle competenze sociali nei
soggetti autistici:
Responsive Teaching
Digital Storytelling
Video Modeling
32. Università degli Studi di Salerno
Orientamenti educativi
I bisogni educativi di un bambino con autismo nella sfera
sociale sono numerosi:
Apprendere le regole elementari per la partecipazione agli
scambi sociali e alle attività basate sulla collaborazione
Sviluppare la capacità di interpretare il comportamento
sociale degli altri
Apprendere le abilità relative alla tempistica delle
interazioni sociali
Sviluppare abilità di problem solving
33. Università degli Studi di Salerno
Strategie didattiche: il Responsive Teaching
Il Responsive Teaching (Insegnamento Responsivo)
è un intervento educativo precoce centrato sulla
relazione che agisce sui bisogni evolutivi e socio-
emozionali del bambino (Mahoney & MacDonald,
2007).
Questo tipo di intervento prevede
l’utilizzo di strategie che consentono agli
educatori di interagire in maniera più
“responsiva” con i bambini (Mahoney &
Perales, 2005).
34. Università degli Studi di Salerno
Il Responsive Teaching
L’Insegnamento Responsivo è volto a promuovere tre aspetti
del funzionamento evolutivo:
• aspetto cognitivo, relativo alla capacità dei bambini di
pensare, ragionare, risolvere problemi e apprendere nuove
informazioni;
• aspetto comunicativo, relativo alla capacità dei bambini di
trasmettere i loro sentimenti e le loro intenzioni, di trasmettere
i sentimenti e le intenzioni altrui attraverso il linguaggio
verbale e simbolico;
• aspetto sociale-emozionale, relativo alla capacità dei
bambini di impegnarsi in interazioni evolutive con genitori,
adulti e altri bambini
(Responsive Teaching National Outreach Project, 2006).
35. Università degli Studi di Salerno
Il Responsive Teaching
Il RT è incentrato sulla
relazione
Si propone di mostrare agli educatori come
essere reattivi (cioè in sintonia, attenti)
affermando e incoraggiando i
comportamenti naturali e l'interesse di ogni
bambino, motivandolo a mettere in atto
compiti di sviluppo. Non è dunque l'adulto
che avvia l'attività comportamentale, ma il
bambino.
36. Università degli Studi di Salerno
Il Responsive Teaching
Il Responsive Teaching comprende sessantasei strategie
didattiche e sedici comportamenti cardine. Si tratta di brevi e
semplici strategie, suggerimenti che gli educatori possono
utilizzare per monitorare e modificare il modo in cui
interagiscono con i propri allievi in qualsiasi momento e in
qualsiasi situazione. Queste strategie includono cinque
dimensioni interattive: reciprocità; contingenza; controllo
condiviso; affetto; adattamento.
37. Università degli Studi di Salerno
Il Responsive Teaching
• coinvolgere il bambino nelle diverse routineReciprocità
• capacità del genitore di cogliere in maniera sensibile i
segnali del bambino e di rispondervi costantemente e
tempestivamente in maniera intenzionale
Contingenza
• capacità del genitore di strutturare l’ambiente e
l’attenzione del bambino offrendo delle facilitazioniControllo
Affetto
Adattamento
• capacità del genitore di associare il proprio interesse,
stile interattivo e richiesta adeguata al livello
evolutivo mostrato dal bambino
• esprime il livello di coinvolgimento emotivo, la
capacità di provare piacere, mostrare accettazione e
calore verso il proprio bambino
38. Università degli Studi di Salerno
Il Responsive Teaching
I sedici comportamenti cardine sono:
Area
cognitiva
Area
comunicativa
Area socio-
emozionale
gioco sociale, iniziativa, esplorazione,
pratica e problem solving
attività aggiuntiva, attenzione, vocalizzazione,
comunicazione intenzionale e conversazione
fiducia, empatia, operazione, autodisciplina,
autocontrollo e autostima
39. Università degli Studi di Salerno
Social skills
L’utilizzo del Digital Storytelling promuove i
processi di insegnamento-apprendimento delle
abilità sociali e comunicative che risultano carenti nei
soggetti autistici
Strategie didattiche: il Digital Storytelling
40. Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling
L’utilizzo della narrazione digitale si configura come
metodologia didattica efficace e flessibile per la
creazione di storie che supportino l’insegnamento
delle abilità sociali, innalzando i livelli di
motivazione, attenzione e rinforzo.
(Chen & McGrath, 2003; Delano & Snell, 2006).
41. Università degli Studi di Salerno
I soggetti autistici:
Presentano modalità comunicative differenti
Prediligono un ambiente stabile e non amano le sorprese
Hanno bisogno di sapere cosa stanno facendo e perché,
altrimenti perdono interesse
Non amano gli stimoli emotivi poiché non li comprendono
Generalmente preferiscono le immagini al testo
Lavorano meglio in ambienti strutturati
La ripetizione delle attività ne favorisce l’apprendimento
Necessitano di pause
Amano utilizzare il computer
Chatzara et al., 2012
42. Università degli Studi di Salerno
I vantaggi del computer
in relazione alle
caratteristiche dei
soggetti autistici:
È uno strumento prevedibile, controllabile e stabile
Non ha comportamenti emotivi che spesso disturbano i
soggetti autistici
Consente l’espressione verbale e non verbale
Crea meno ansia e timore nel momento della correzione di
un errore
Favorisce la ripetizione di un’attività e il rinforzo
dell’apprendimento pregresso
È semplice usarlo una volta apprese le conoscenze di base
I programmi possono essere personalizzati e adattati alle
esigenze individuali
Chatzara et al., 2012
43. Università degli Studi di Salerno
Attraverso l’uso di uno strumento
come il computer, dunque, il Digital
Storytelling consente di acquisire e
sviluppare abilità e conoscenze in
maniera strutturata
I diversi mezzi di comunicazione
usati nel DS (scrittura, voce,
immagine, suono) favoriscono
nuove modalità di presentazione
che promuovono l’interazione
sociale e la comunicazione
Il Digital Storytelling
44. Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling
La
narrativa
Il nostro modo più naturale di
organizzare l’esperienza e la
conoscenza
Bruner, 1996
45. Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling : definizione
Il digital storytelling è una nuova forma
comunicativa e rappresenta un dispositivo che
traduce e trasforma i racconti, li mette in
scena e in movimento attraverso parole,
immagini e suoni.
Ohler, 2013
46. Università degli Studi di Salerno
Il CONCETTO DI DISPOSITIVO
I dispositivi didattici non sono
rappresentati esclusivamente da
strumentazioni tecnologiche ma anche da
apparati culturali, concettuali e normativi:
una strategia d’azione,
l’organizzazione dello spazio e del
tempo e le modalità con cui si intende far
interagire gli attori presenti nel sistema.
(Bonaiuti et alii., 2007)
47. Università degli Studi di Salerno
Il Digital Storytelling: funzione
La costruzione e la fruizione di storie digitali
consente di evidenziare «elementi di conoscenza»
complessi, favorendo apprendimenti significativi e
contestualizzati.
48. Università degli Studi di Salerno
1. CONNESSIONE - Le storie consentono di
connettere le proprie esperienze a quelle altrui e di
collegare le esperienze presenti con quelle passate.
2. COMMUNICAZIONE – Le storie consentono di
comunicare il proprio punto di vista e la propria
percezione.
3. COLLABORAZIONE - Le storie hanno una
funzione collaborativa, in quanto consentono di
collegare le storie dei singoli personaggi, le loro azioni
e i loro punti di vista e di trasmettere la cultura
Il Digital Storytelling
49. Università degli Studi di Salerno
ALCUNE
TIPOLOGIE DI
DIGITAL
STORIES
Storie personali
Storie che trasmettono informazioni e
che «istruiscono»
Storie sociali per descrivere una
situazione particolare, una persona,
un’abilità, un evento o un concetto in
termini di guide rilevanti o di risposte
sociali adeguate.
Il Digital Storytelling
50. Università degli Studi di Salerno
Secondo il Center of Digital Storytelling le storie
digitali devono contenere 7 elementi fondamentali:
1) Punto di vista
2) Sviluppo tematico
3) Contenuto emotivo
4) Voce narrante
5) Colonna sonora
6) Brevità
7) Ritmo
Il Digital Storytelling
http://www.storycenter.org
51. Università degli Studi di Salerno
IL RUOLO DEL DOCENTE
Guidare il processo
Accertarsi che il discente non
focalizzi la sua attenzione sul
media, ma sulla storia
Assicurarsi che gli obiettivi
educativi siano conseguibili
attraverso il racconto
52. Università degli Studi di Salerno
DOVE E CON QUALI STRUMENTI?
Classe o laboratorio
LIM COMPUTER FLASHCARDS
53. Università degli Studi di Salerno
MEDIA
Fumetto
Animazione bi- e tri-dimensionale
Flash cards
Video giochi
54. Università degli Studi di Salerno
PROCESSO
• BRAINSTORMING/SELEZIONE DELL’
ARGOMENTO / DRAFT
• CREAZIONE DELLO STORYBOARD
• PRODUZIONE
• PRESENTAZIONE DEL PRODOTTO
FINALE
FASI
55. Università degli Studi di Salerno
COME SCRIVERE UNO SCRIPT
• Bastano 250 parole, 12 immagini e di una durata di due minuti
• Non bisogna soffermarsi solo sugli aspetti digitali ma si deve
tener conto della valenza educativa dei contenuti
• Lo script è più delle parole
• La storia è una storia personale, che viene dal cuore, quindi
raccoglie emozioni. L’utilizzo della prima persona è molto
frequente.
• Il linguaggio utilizzato deve essere semplice e coinvolgente.
• La musica può creare l’umore e la predisposizione giusti, se
scelta con accuratezza
56. Università degli Studi di Salerno
Creare un Collage
I collage sono utili quando le immagini disponibli non possono
essere ingrandite per motivi di risoluzione o qualità della foto
ma anche come fine a se stessi per narrare una storia.
Esempio: ‘In viaggio con la famiglia’.
Gli alunni scelgono delle proprie foto e costruiscono un collage
per raccontare una giornata, utilizzando Microsoft
Powerpoint.
57. Università degli Studi di Salerno
• Lo storyboard è una
rappresentazione scritta e/o grafica
di tutti gli elementi che saranno
inclusi in una storia digitale.
LO STORYBOARD
www.storyboard that.com
59. Università degli Studi di Salerno
Strategie didattiche: ilVideo modeling
Modeling
(apprendimento
imitativo)
Mediante l’utilizzo della
tecnologia video, consente di
illustrare la modalità adeguata
di comportamento in
determinati contesti o la
corretta esecuzione di azioni
al fine di acquisire specifiche
abilità
60. Università degli Studi di Salerno
IlVideo modeling
Come
L’attività di video modeling prevede:
La registrazione di un breve
filmato, utilizzando come modello
dei compagni di classe o dei
familiari;
La visione individuale del filmato
da parte del bambino autistico;
L’imitazione dei comportamenti
osservati nel filmato
61. Università degli Studi di Salerno
IlVideo modeling
Perché
Il video modeling consente:
L’attivazione dell’attenzione relativamente al
comportamento da osservare;
La visione reiterata del filmato;
L’enfatizzazione del processamento delle
contenuto visivo;
La mancata interazione diretta tra il bambino
autistico ed il suo interlocutore, che potrebbe
rivelarsi fonte di stress
62. Università degli Studi di Salerno
Strategie didattiche: le storie sociali
«Una storia sociale è un breve racconto
scritto in formato specifico per l’allievo
con autismo, che descrive una situazione
particolare, una persona un’abilità, un
evento o un concetto in termini di guide
rilevanti o di risposte sociali adeguate.
Le storie sociali mirano ad aiutare il
bambino a comprendere le
situazioni sociali, attraverso
l’adozione di un approccio
metodologico centrato
sull’apprendimento visivo» (Cottini
& Vivanti, 2013, p.83).
63. Università degli Studi di Salerno
Strategie didattiche: le storie sociali
• Stabilire una
routineStorie
sociali
L’efficacia delle storie sociali è data da una
caratteristica che gli studenti autistici mostrano spesso,
ovvero quella di aderire rigidamente alle attività
routinarie. Per tale ragione, la storia può aiutare a
stabilire una regola o una routine che il bambino potrà
poi applicare alla situazione reale.
Cottini, Vivanti, 2013
67. Università degli Studi di Salerno
Riferimenti bibliografici
Hollader, E, Kolevzon, Alexander, M.D., Coyle Joseph T., M.D. (2011). Textbook of
Autism Spectrum Disorders. Washington: American Psychiatric Publishing
Goussot, A. (2012). Autismo: una sfida per la pedagogia speciale, Fano: Aras Edizioni
Cottini, L., Vivanti, G. (2013). Autismo. Come e cosa fare con bambini e ragazzi a
scuola. Firenze: Giunti Scuola.
Cottini, L., (2008). Per una didattica speciale di qualità. Dalla conoscenza del deficit all’intervento
inclusivo. Perugia: Morlacchi.
Ohler, J. (2013). Digital storytelling in the classroom: New media pathways to literacy, learning,
and creativity. Corwin Press.
Bruner, J. S. (1996). The culture of education. Cambridge, Mass.: Harvard University
Press. (Trad. ita. Milano: Feltrinelli 1997).
Frith, U., (2009). L’autismo: spiegazione di un enigma. Roma: Laterza.
68. Università degli Studi di Salerno
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Mahoney, G., Perales, F., (2005). A comparison of the impact of relationship-focused
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Bettelheim, B. (1967). Empty fortress. Simon and Schuster.
Karagiannidis, C., Politis, P., Karasavvidis, I. (eds.), Proceedings of the 8
th Pan-Hellenic Conference with International Participation «ICT in Education»
University of Thessaly, Volos, Greece, 28-30 September 2012
Chen, P., & McGrath, D. (2003). Moments of joy: Student engagement and
conceptual learning in the design of hypermedia documents. Journal of Research
on Technology in Education, 35, 402- 422.
Delano, M., & Snell, M. E. (2006). The effects of social stories on the social
engagement of children with autism. Journal of Positive Behavior Interventions, 8,
29-42.
69. Università degli Studi di Salerno
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Disorders, Fourth Edition, Text Revision (DSM-IV-TR). Washington, DC: American
Psychiatric Association.
American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental
Disorders (Fifth ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing.