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MASSIMILIANO CACCAMO
                                      Responsabile CO.ME - Competenze metodologiche per lo sviluppo
                                      della cultura organizzativa




                                      Rifondare la formazione
                                      aziendale
                                      Dalla riscoperta delle Best Practice alla scoperta del-
                                      le Metacompetenze


                                      A - Le best practice della formazione
                                      Che ci sia in atto da tempo una crisi quantitativa (investimenti
                                      progressivamente decrescenti) e qualitativa (prodotti preva-
                                      lentemente all’insegna delle mode del momento e programmi
                                      di “fast education” che lasciano il più delle volte il tempo che
                                      trovano) è un fatto noto. Una crisi fra l’altro aggravata dalla
                                      crisi economica più generale che sta attraversando il sistema
                                      paese ma che viene da molto più lontano.
                                      Anche da cause, per così dire, endogene; tra queste, alcune
                                      fondamentali “buone pratiche” il cui utilizzo è andato perden-
                                      dosi nel tempo.
                                      Sono “saperi” e modalità operative ben conosciute da chi ha
                                      avuto la fortuna di cominciare il suo percorso formativo den-
                                      tro aziende come Pirelli, Fiat, Unilever, Rinascente, Hewlett
                                      Packard negli anni 80. Oppure di chi ha avuto altrettanta for-
                                      tuna nel frequentare i percorsi di Formazione Formatori AIF,
                                      ISTUD, ISPER, IPSOA negli stessi anni.
                                      Non ho la pretesa di aver ricordato tutte le aree di eccellenza di
                                      quel periodo. Né quella di approfondire tutte le best practice
                                      disponibili.
                                      Mi limiterò alle più importanti.
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     PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
Best practice n. 1: cosa significa fare formazione?
        Su cosa significa fare   Sembra una domanda semplice. Ma basta una rapida overview
formazione in questi anni le    delle scelte fatte dalle aziende italiane in questi anni per capire
  idee sembrano essere assai    che proprio su questa domanda le idee sembrano essere assai
   confuse e contraddittorie.   confuse e contraddittorie.

                                Cominciamo da cosa “non è formazione”. Come indicavo an-
                                che in un precedente contributo per ISPER (Personale e La-
                                voro N. 498, aprile 2007).
                                Cominciamo dunque col dire cosa non è la formazione, o me-
                                glio a cosa la formazione non serve, considerando che in que-
                                sto elenco sono comprese, al contrario e purtroppo, le motiva-
                                zioni al fare formazione (talora anche esplicite) addotte dai
                                responsabili HR o Formazione o anche dai DG/AD di molte
                                aziende italiane.




                                Qualche breve parola di commento nel caso queste afferma-
                                zioni non sembrino di tutta evidenza.

                                - Non si fa (o non si dovrebbe fare) formazione per “tirare
                                  su il morale alla gente” nei momenti di crisi, quando sono
                                  finiti i soldi per la meritocrazia o quando le “analisi del cli-
                                  ma” segnalano “nuvoloso tendente a pioggia” (o peggio).
                                  O almeno non si dovrebbe fare senza che il collegamen-
                                  to fra il sintomo (clima organizzativo pessimo) e la cura
                                  (formazione) trovi giustificazione in un accertato deficit di
                                  competenza.

                                - Non si fa (o non si dovrebbe fare) formazione per “tenere
                                  impegnato” il personale ormai espulso dal processo pro-
                                  duttivo, di cui non si sa cosa farsene e in cui non esiste,
                                  già a priori, un disegno credibile di riqualificazione e riu-
                                                                                                     15
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tilizzo in altri job. Al contrario vediamo ogni tanto in giro
                                          “cimiteri degli elefanti” a cui si propinano giornate sulla
                                          motivazione, la comunicazione, l’orientamento al cliente
                                          ecc. In qualche caso attorno a questi soggetti si crea ad-
                                          dirittura un “centro di formazione” di cui i soggetti me-
                                          desimi diventano docenti (potete immaginare con quale
                                          entusiasmo).

                                      - Non si fa (o non si dovrebbe fare) formazione per veicola-
                                        re in modo unidirezionale i messaggi del vertice aziendale.
                                        Queste comunicazioni possono essere affidate alle “comu-
                                        nicazioni di servizio”, cartacee, via mail o attraverso riu-
                                        nioni a ciò predisposte, senza scomodare la formazione.
                                        Che può rientrare in gioco solo quando si parli dello svi-
                                        luppo di nuove competenze che da queste comunicazioni
                                        possono discendere.

                                      - Non si fa (o non si dovrebbe fare) formazione unicamente
                                        per accaparrarsi qualche finanziamento nazionale od eu-
                                        ropeo attorno al quale inventarsi programmi improbabili
                                        con destinatari altrettanto improbabili. Perché nell’unico
                                        modo regolare di fare le cose prima si identificano dei bi-
                                        sogni e dei target, poi si definisce un programma e infine, se
                                        è proprio necessario, si cerca una linea di credito esterna
                                        che finanzi il programma. Il viceversa è possibile soltanto
                                        nel mondo di duplex (che, per i meno giovani non amanti
                                        di superman, era un mondo in cui tutto andava all’incon-
                                        trario).

                                      - Non si fa (o non si dovrebbe fare) formazione come prete-
                                        sto per stilare una pagella dei buoni e dei cattivi che stan-
                                        no in aula. Perché questa sarebbe una specie di valutazio-
                                        ne del potenziale “coperta”. E perché oltretutto sarebbe
                                        un’idiozia: non si capisce perché un consulente dovrebbe
                                        capire in poche ore quello che i capi dei partecipanti non
                                        avrebbero capito in anni di gestione.

 La formazione fa una cosa            Insomma la formazione fa una cosa sola: sviluppa competen-
 sola: sviluppa competenze.           ze. E in ciò si affianca all’esperienza sul campo nel dare soste-
                                      gno alla crescita professionale (o manageriale) delle risorse
                                      umane.
                                      Può fare anche dell’altro, indirettamente (nel caso appena ci-
                                      tato) o direttamente con programmi ad hoc. Ovverossia, soste-
                                      nere lo sviluppo più generale delle organizzazioni, migliorare
                                      la cultura organizzativa, migliorare la diffusione e lo sviluppo
                                      del know-how. Punto. Ed è dunque solo all’interno e intorno
                                      alla parola competenza che si gioca questa partita. E la defi-
16
     PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
nizione corretta di questa parola costituisce la seconda best
practice di cui voglio parlare.

Best practice n. 2: cosa sono le competenze
Questa parola (competenza) viene utilizzata dentro e fuori le
aziende centinaia di volte al giorno. Molto spesso a sproposito.
Da un punto di vista tecnico la competenza è un costrutto, più
che un concetto. Ovverossia, risulta dalla sommatoria di più
dimensioni, come riportato nella figura qui sotto.




Se andate a chiedere all’uomo della strada una definizione
della “persona competente”, nel novanta per cento dei casi vi
risponderà “uno che sa”, oppure “uno che sa fare”.
In ciò cogliendo correttamente due dimensioni della compe-
tenza, le conoscenze e le capacità. Senza addentrarci troppo
nelle sottocategorie (conoscenze di base, intermedie, avan-
zate; capacità operative, di problem solving, ecc.) dobbiamo
integrare queste due dimensioni con la terza che, normal-
mente, non appare così intuitiva ai non addetti ai lavori: i
comportamenti. Anche se la volessimo reinserire nel novero
delle capacità (capacità comportamentali) resta in ogni caso
una dimensione importante perché recupera tutta l’area che
potremmo definire dell’intelligenza sociale. Che assume poi
colorature differenti se la applichiamo, ad esempio, ai com-
portamenti organizzativi.
La seconda operazione che farebbe intuitivamente l’uomo del-
la strada sarebbe poi quella di chiedervi: “Scusi, ma competen-
te in che?”. Anche qui cogliendo intuitivamente una variabile
a tutti nota, ovverossia quella del campo o settore disciplinare
e/o applicativo della competenza. Dall’industria ai servizi, dal-
                                                                     17
                         PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
la produzione al marketing, dalla matematica alla letteratura
                                      straniera, l’elenco delle possibili competenze sarebbe presso-
                                      ché infinito.
                                      A questo punto della nostra breve storia della competenza, po-
                                      tremmo sintetizzare dicendo che una persona competente è una
                                      persona che conosce approfonditamente una certa disciplina e la
                                      sa applicare a situazioni in cui è richiesto un certo tipo di applica-
                                      zione.
                                      La parola “situazioni” ci ricorda però immediatamente che
                                      esistono contesti applicativi diversi per lo stesso tipo di com-
                                      petenza. Due persone possono avere lo stesso curriculum studi
                                      nel marketing e poi trovarsi a lavorare in Benetton e in Fiat.
                                      In un caso si troveranno ad avere a che fare con marketing di
                                      largo consumo, nel secondo con marketing industriale. Sempre
                                      marketing, ma le competenze richieste sono in parte diverse.
                                      Ma anche nello stesso settore le differenze non finiscono. Se
                                      andassimo a vedere cosa significa fare marketing in Oviesse e
                                      in Rinascente, vedremmo che nello stesso settore e all’interno
                                      della medesima disciplina avvengono prassi assai diverse.
                                      Ma non è ancora finita.
                                      Potremmo notare senza difficoltà che anche due colleghi con
                                      lo stesso curriculum studi, che lavorano nella stessa azienda e
                                      nello stesso settore “si muovono “ in modo diverso. E maga-
                                      ri uno lo riteniamo “più competente” dell’altro, anche se con
                                      l’altro condivide la stessa identica esperienza.
                                      E questo avviene per un unico motivo. Perché all’interno della
                                      parola competenza ricomprendiamo anche fattori individuali.
                                      Caratteristiche intrinseche all’individuo come l’intelligenza, il
                                      livello di motivazione, l’autostima, il coraggio, ed altro che, più
                                      in là nel nostro discorso, ricomprenderemo nella categoria del-
                                      le “metacompetenze”.
        Se vogliamo costruire         La best practice n. 2 può essere riassunta dunque così. Se vo-
       competenze, dobbiamo           gliamo fare il mestiere della formazione, ovverossia costruire
    avere attenzione non solo         competenze, dobbiamo avere attenzione non solo agli aspetti
  agli aspetti di contenuto ma        di contenuto (discipline, materie) ma anche agli aspetti atti-
 anche agli aspetti attinenti ai      nenti ai differenti contesti applicativi (ambiente socioecono-
 differenti contesti applicativi      mico, differenti prassi e culture per ciascuna specifica orga-
         e, infine, alla persona       nizzazione) e, infine, alla persona come individuo, con le sue
   come individuo, con le sue         caratteristiche uniche e distintive.
       caratteristiche uniche e       Come vedremo fra breve questo, che diventa immediatamente
                      distintive.     un presupposto fondante una progettazione formativa di qua-
                                      lità, richiede di conseguenza al progettista una competenza
                                      tecnico metodologica non banale.

                                      Best practice n. 3: come si progetta la formazione

                                      Se lasciamo da parte le operazioni di “copia/incolla” da pro-
                                      grammi già confezionati da altri che appartengono alla “bassa
18
     PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
cucina formativa” di molte organizzazioni e si giustificano vuoi
con la mancanza di competenze progettuali, vuoi per il degra-
do, a ruota libera, che ha attraversato il nostro mestiere negli
ultimi anni, i veri mali endemici della formazione sono due:
- la delega progettuale piena ai cosiddetti “esperti di conte-
  nuto”;
- il “modismo”.

Riprenderemo fra breve questi problemi dopo aver inserito
i canoni di un processo formativo virtuoso che contempla tre
parti in sequenza:

1. Il finding competence process, che si sostanzia nell’attività
   più conosciuta col nome di analisi dei bisogni;

2. Il making competence process, che si sostanzia nelle attivi-
   tà più conosciute col nome di progettazione ed erogazione
   della formazione;

3. L’acting competence process, che si sostanzia nelle attività
   di applicazione “on the job” delle competenze apprese per
   il tramite della formazione.




Lo schema riproduce nel dettaglio il processo formativo rispet-
to al quale noi faremo solo qualche importante considerazione
a livello macro.
- La fase di Analisi dei bisogni non è un optional. Lo dico per-
  ché si assiste ormai a prassi consolidate nelle quali si eroga-
  no programmi preconfezionati sulla base di corrispondenze
  più o meno attendibili fra target e contenuti. Per intenderci:
                                                                     19
                         PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
“hanno bisogno di un corso di comunicazione”. E si passa
                                           immediatamente all’erogazione di un corso (preferibilmen-
                                           te “instant”) sulla comunicazione senza aver minimamente
                                           sondato l’interesse/bisogno dei partecipanti né le N. possi-
                                           bili alternative progettuali disponibili.

                                       - La progettazione deve esplorare le alternative sul tappeto
                                         avendo come faro il rapporto con gli obiettivi organizzativi e
                                         didattici. Meno interessanti sono le abitudini progettuali ed
                                         erogative dei docenti che devono piegarsi al progetto e non
                                         viceversa; ancora meno interessante è la moda del momen-
                                         to (Outdoor? Teatro? Coaching?) se non sembra coerente
                                         con detti obiettivi.

                                       - I criteri di valutazione vanno concordati a priori con com-
                                         mittenza e utenza, altrimenti alla fine si valuterà sulla base
                                         di “sensazioni” e per di più disomogenee.

                                       - La valutazione deve accompagnare tutto il processo forma-
                                         tivo e non comparire solo alla fine “a babbo morto” (come
                                         si dice in Emilia).

                                       B - Dalle competenze alle metacompetenze
                                       Se riprendiamo lo schema della competenza vediamo come le
                                       metacompetenze si collochino nella parte bassa e sommersa
                                       della piramide, quella che ha più a che vedere con le variabili
                                       individuali.




          Se le “Best Practice”
costituiscono la “cassetta degli
 attrezzi”, le metacompetenze
   sono l’olio e la benzina del
                       motore.




                                       Se le “Best Practice” costituiscono la “cassetta degli attrezzi”,
                                       le metacompetenze sono l’olio e la benzina del motore. L’olio
                                       per evitare l’usura. La benzina per generare la spinta necessa-
                                       ria al sorpasso.
20
      PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
1) Motivazione e Passione
                                    È difficile pensare di affrontare un lavoro qualsiasi senza un
                                    briciolo di motivazione. Ciononostante, per svariati motivi,
                                    molte persone non fanno il lavoro per il quale sarebbero mo-
                                    tivate. Parlando di formazione, le cause della “de-motivazione
                                    in ingresso” sono statisticamente meno rilevanti delle cause
                                    della de-motivazione ad ingresso avvenuto.
                                    È difficile che qualcuno si affacci alla professione di formatore
                                    dentro le aziende senza aver un interesse specifico. Difficile ma,
                                    naturalmente, non impossibile. È più facile invece entrare in posi-
                                    zioni organizzative che riguardano la formazione o, più in genera-
                                    le le HR, senza avere le altre metacompetenze che servirebbero.
         Nessun selezionatore è     Ed è reso facile dal fatto che nessun selezionatore che io conosca
       attrezzato per valutare la   è attrezzato per valutare la sussistenza di metacompetenze.
sussistenza di metacompetenze.      In realtà, parlando di assunzioni dall’esterno, vengono fatte
                                    entrare in azienda risorse misurate unicamente sul curriculum
                                    studi, sulla motivazione dichiarata, e su una discreta capacità
                                    di comunicazione e relazione. (Tutto questo nel presupposto
                                    che il selezionatore abbia sufficiente competenza… e ci sareb-
                                    be da aprire un capitolo a parte).
                                    Ma che ne sarà di questa motivazione iniziale quando si sco-
                                    prirà il ruolo assegnato al formatore e alla formazione, quando
                                    qualcuno chiederà al formatore di fare da esecutore organiz-
                                    zativo di programmi decisi da docenti selezionati, a loro vol-
                                    ta, da un livello superiore della piramide? Peggio ancora, cosa
                                    succederebbe della motivazione del giovane formatore una
                                    volta che constatasse che un certo programma è abborraccia-
                                    to, il gradimento dei partecipanti basso, ma “i docenti non si
                                    cambiano” perché in realtà sono scelti per ragioni diverse da
                                    quelle della “buona performance”?
                                    Le ragioni della passione suggerirebbero una risposta. Che sa-
                                    rebbe ancora insufficiente. Ma sarebbe un primo passo.


                                    2) Concretezza

           La passione senza        La passione senza concretezza non produrrebbe nulla di buo-
concretezza non produrrebbe         no. Non basta reagire. Non basta opporsi alle “cattive prati-
              nulla di buono.       che”. Occorre cioè la capacità di “fare le cose giuste” in rap-
                                    porto alla situazione che ci si trova ad affrontare. Ogni azienda
                                    ha la sua storia. Ogni azienda ha una “cosa giusta” che va fatta
                                    per aprire una breccia. E dev’essere una cosa molto concreta
                                    per il contesto in cui ci si trova ad operare.
                                    Nelle prime edizioni del percorso “inserimento e professio-
                                    nalizzazione” dedicato ai neolaureati della Pirelli negli anni
                                    80, sembrò giusto dedicare una settimana all’analisi di casi di
                                    riorganizzazione strategica del Gruppo. Questa era una par-
                                    te intellettualmente sfidante per il neolaureato ma generava
                                                                                                         21
                                                             PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
attese nei confronti dell’azienda. In altri termini alla fine del
                                      percorso i neo ingegneri si aspettavano di ricoprire un ruolo
                                      a valenza strategica. E invece avevano molta gavetta da fare,
                                      ivi incluso lo svolgimento di mansioni molto operative alle
                                      dipendenze di periti meccanici molto esperti che godevano
                                      molto nel “mettere sotto torchio” gli aspiranti direttori gene-
                                      rali. La “cosa concreta” che serviva, e che fu fatta, consistette
                                      nell’eliminare i casi di strategia a favore di autocasi dedicati al
                                      rapporto difficile coi diretti superiori. E ricordare che questa
                                      gavetta era parte ineludibile del percorso di crescita dell’inge-
                                      gnere Pirelli.
                                      Al di là di questo esempio va ricordato che:
                                      - la percezione di concretezza è soggettiva: ogni persona de-
                                        finisce “sensate” e “concrete” situazioni ed eventi rispetto
                                        alla propria concezione di sé e ai propri schemi cognitivi;
                                      - è un processo sociale: in un ambiente in cui non si crea inte-
                                        razione è difficile dare senso concreto alle cose;
                                      - è un processo guidato dalla plausibilità più che dalla accu-
                                        ratezza.
                                      Occorre concretezza nella scelta degli interlocutori con cui
                                      parlare, nella strada da prendere per arrivare al proprio obiet-
                                      tivo, persino nel modo di rappresentare un’idea.
                                      Ma passione e concretezza ancora non bastano per resistere
                                      alle condizioni avverse, occorre qualcosa in più.

                                      3) Resilienza
                                      La resilienza è un termine che la psicologia prende a prestito
                                      dalla metallurgia. E in metallurgia significa la proprietà che
                                      hanno alcuni metalli di resistere agli urti e ritornare allo stato
                                      originario senza incrinarsi né rompersi. Si compone di tre parti.

 Il formatore resiliente è uno
che ha coraggio a sufficienza
     per affrontare le insidie e
  le difficoltà che lo scenario
     organizzativo diffonde a
 piene mani sulla sua strada.




22
     PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
Insomma il formatore resiliente è uno che sa “piegarsi senza
spezzarsi” quando occorre. E ha coraggio a sufficienza per af-
frontare le insidie e le difficoltà che lo scenario organizzativo
diffonde a piene mani sulla sua strada. Un coraggio che si ali-
menta con la passione per fare questo mestiere. Una passione
che aiuta a sua volta ad essere “resilienti” quando occorre.

Conclusioni
Qualcuno si chiederà come si costruiscono le metacompetenze.
O addirittura se è possibile costruirle o non siano al contrario
“innate”. In verità è più facile selezionare persone che siano
già “portatori sani” di queste qualità. Ma non è impossibile
rinforzare queste caratteristiche attraverso la formazione. Ma
questo sforzo è oramai ineludibile in chi si occupa di formare i
formatori. Bisogna “prendere il toro per le corna”, sviluppare
anticorpi e annientare le tossine che sono alla radice del velo-
ce declino della formazione nelle nostre organizzazioni.




Perché queste tornino finalmente ad essere “learning organi-
zations”.




                                                                    23
                        PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009

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Rifondare La Formazione aziendale

  • 1. MASSIMILIANO CACCAMO Responsabile CO.ME - Competenze metodologiche per lo sviluppo della cultura organizzativa Rifondare la formazione aziendale Dalla riscoperta delle Best Practice alla scoperta del- le Metacompetenze A - Le best practice della formazione Che ci sia in atto da tempo una crisi quantitativa (investimenti progressivamente decrescenti) e qualitativa (prodotti preva- lentemente all’insegna delle mode del momento e programmi di “fast education” che lasciano il più delle volte il tempo che trovano) è un fatto noto. Una crisi fra l’altro aggravata dalla crisi economica più generale che sta attraversando il sistema paese ma che viene da molto più lontano. Anche da cause, per così dire, endogene; tra queste, alcune fondamentali “buone pratiche” il cui utilizzo è andato perden- dosi nel tempo. Sono “saperi” e modalità operative ben conosciute da chi ha avuto la fortuna di cominciare il suo percorso formativo den- tro aziende come Pirelli, Fiat, Unilever, Rinascente, Hewlett Packard negli anni 80. Oppure di chi ha avuto altrettanta for- tuna nel frequentare i percorsi di Formazione Formatori AIF, ISTUD, ISPER, IPSOA negli stessi anni. Non ho la pretesa di aver ricordato tutte le aree di eccellenza di quel periodo. Né quella di approfondire tutte le best practice disponibili. Mi limiterò alle più importanti. 14 PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
  • 2. Best practice n. 1: cosa significa fare formazione? Su cosa significa fare Sembra una domanda semplice. Ma basta una rapida overview formazione in questi anni le delle scelte fatte dalle aziende italiane in questi anni per capire idee sembrano essere assai che proprio su questa domanda le idee sembrano essere assai confuse e contraddittorie. confuse e contraddittorie. Cominciamo da cosa “non è formazione”. Come indicavo an- che in un precedente contributo per ISPER (Personale e La- voro N. 498, aprile 2007). Cominciamo dunque col dire cosa non è la formazione, o me- glio a cosa la formazione non serve, considerando che in que- sto elenco sono comprese, al contrario e purtroppo, le motiva- zioni al fare formazione (talora anche esplicite) addotte dai responsabili HR o Formazione o anche dai DG/AD di molte aziende italiane. Qualche breve parola di commento nel caso queste afferma- zioni non sembrino di tutta evidenza. - Non si fa (o non si dovrebbe fare) formazione per “tirare su il morale alla gente” nei momenti di crisi, quando sono finiti i soldi per la meritocrazia o quando le “analisi del cli- ma” segnalano “nuvoloso tendente a pioggia” (o peggio). O almeno non si dovrebbe fare senza che il collegamen- to fra il sintomo (clima organizzativo pessimo) e la cura (formazione) trovi giustificazione in un accertato deficit di competenza. - Non si fa (o non si dovrebbe fare) formazione per “tenere impegnato” il personale ormai espulso dal processo pro- duttivo, di cui non si sa cosa farsene e in cui non esiste, già a priori, un disegno credibile di riqualificazione e riu- 15 PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
  • 3. tilizzo in altri job. Al contrario vediamo ogni tanto in giro “cimiteri degli elefanti” a cui si propinano giornate sulla motivazione, la comunicazione, l’orientamento al cliente ecc. In qualche caso attorno a questi soggetti si crea ad- dirittura un “centro di formazione” di cui i soggetti me- desimi diventano docenti (potete immaginare con quale entusiasmo). - Non si fa (o non si dovrebbe fare) formazione per veicola- re in modo unidirezionale i messaggi del vertice aziendale. Queste comunicazioni possono essere affidate alle “comu- nicazioni di servizio”, cartacee, via mail o attraverso riu- nioni a ciò predisposte, senza scomodare la formazione. Che può rientrare in gioco solo quando si parli dello svi- luppo di nuove competenze che da queste comunicazioni possono discendere. - Non si fa (o non si dovrebbe fare) formazione unicamente per accaparrarsi qualche finanziamento nazionale od eu- ropeo attorno al quale inventarsi programmi improbabili con destinatari altrettanto improbabili. Perché nell’unico modo regolare di fare le cose prima si identificano dei bi- sogni e dei target, poi si definisce un programma e infine, se è proprio necessario, si cerca una linea di credito esterna che finanzi il programma. Il viceversa è possibile soltanto nel mondo di duplex (che, per i meno giovani non amanti di superman, era un mondo in cui tutto andava all’incon- trario). - Non si fa (o non si dovrebbe fare) formazione come prete- sto per stilare una pagella dei buoni e dei cattivi che stan- no in aula. Perché questa sarebbe una specie di valutazio- ne del potenziale “coperta”. E perché oltretutto sarebbe un’idiozia: non si capisce perché un consulente dovrebbe capire in poche ore quello che i capi dei partecipanti non avrebbero capito in anni di gestione. La formazione fa una cosa Insomma la formazione fa una cosa sola: sviluppa competen- sola: sviluppa competenze. ze. E in ciò si affianca all’esperienza sul campo nel dare soste- gno alla crescita professionale (o manageriale) delle risorse umane. Può fare anche dell’altro, indirettamente (nel caso appena ci- tato) o direttamente con programmi ad hoc. Ovverossia, soste- nere lo sviluppo più generale delle organizzazioni, migliorare la cultura organizzativa, migliorare la diffusione e lo sviluppo del know-how. Punto. Ed è dunque solo all’interno e intorno alla parola competenza che si gioca questa partita. E la defi- 16 PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
  • 4. nizione corretta di questa parola costituisce la seconda best practice di cui voglio parlare. Best practice n. 2: cosa sono le competenze Questa parola (competenza) viene utilizzata dentro e fuori le aziende centinaia di volte al giorno. Molto spesso a sproposito. Da un punto di vista tecnico la competenza è un costrutto, più che un concetto. Ovverossia, risulta dalla sommatoria di più dimensioni, come riportato nella figura qui sotto. Se andate a chiedere all’uomo della strada una definizione della “persona competente”, nel novanta per cento dei casi vi risponderà “uno che sa”, oppure “uno che sa fare”. In ciò cogliendo correttamente due dimensioni della compe- tenza, le conoscenze e le capacità. Senza addentrarci troppo nelle sottocategorie (conoscenze di base, intermedie, avan- zate; capacità operative, di problem solving, ecc.) dobbiamo integrare queste due dimensioni con la terza che, normal- mente, non appare così intuitiva ai non addetti ai lavori: i comportamenti. Anche se la volessimo reinserire nel novero delle capacità (capacità comportamentali) resta in ogni caso una dimensione importante perché recupera tutta l’area che potremmo definire dell’intelligenza sociale. Che assume poi colorature differenti se la applichiamo, ad esempio, ai com- portamenti organizzativi. La seconda operazione che farebbe intuitivamente l’uomo del- la strada sarebbe poi quella di chiedervi: “Scusi, ma competen- te in che?”. Anche qui cogliendo intuitivamente una variabile a tutti nota, ovverossia quella del campo o settore disciplinare e/o applicativo della competenza. Dall’industria ai servizi, dal- 17 PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
  • 5. la produzione al marketing, dalla matematica alla letteratura straniera, l’elenco delle possibili competenze sarebbe presso- ché infinito. A questo punto della nostra breve storia della competenza, po- tremmo sintetizzare dicendo che una persona competente è una persona che conosce approfonditamente una certa disciplina e la sa applicare a situazioni in cui è richiesto un certo tipo di applica- zione. La parola “situazioni” ci ricorda però immediatamente che esistono contesti applicativi diversi per lo stesso tipo di com- petenza. Due persone possono avere lo stesso curriculum studi nel marketing e poi trovarsi a lavorare in Benetton e in Fiat. In un caso si troveranno ad avere a che fare con marketing di largo consumo, nel secondo con marketing industriale. Sempre marketing, ma le competenze richieste sono in parte diverse. Ma anche nello stesso settore le differenze non finiscono. Se andassimo a vedere cosa significa fare marketing in Oviesse e in Rinascente, vedremmo che nello stesso settore e all’interno della medesima disciplina avvengono prassi assai diverse. Ma non è ancora finita. Potremmo notare senza difficoltà che anche due colleghi con lo stesso curriculum studi, che lavorano nella stessa azienda e nello stesso settore “si muovono “ in modo diverso. E maga- ri uno lo riteniamo “più competente” dell’altro, anche se con l’altro condivide la stessa identica esperienza. E questo avviene per un unico motivo. Perché all’interno della parola competenza ricomprendiamo anche fattori individuali. Caratteristiche intrinseche all’individuo come l’intelligenza, il livello di motivazione, l’autostima, il coraggio, ed altro che, più in là nel nostro discorso, ricomprenderemo nella categoria del- le “metacompetenze”. Se vogliamo costruire La best practice n. 2 può essere riassunta dunque così. Se vo- competenze, dobbiamo gliamo fare il mestiere della formazione, ovverossia costruire avere attenzione non solo competenze, dobbiamo avere attenzione non solo agli aspetti agli aspetti di contenuto ma di contenuto (discipline, materie) ma anche agli aspetti atti- anche agli aspetti attinenti ai nenti ai differenti contesti applicativi (ambiente socioecono- differenti contesti applicativi mico, differenti prassi e culture per ciascuna specifica orga- e, infine, alla persona nizzazione) e, infine, alla persona come individuo, con le sue come individuo, con le sue caratteristiche uniche e distintive. caratteristiche uniche e Come vedremo fra breve questo, che diventa immediatamente distintive. un presupposto fondante una progettazione formativa di qua- lità, richiede di conseguenza al progettista una competenza tecnico metodologica non banale. Best practice n. 3: come si progetta la formazione Se lasciamo da parte le operazioni di “copia/incolla” da pro- grammi già confezionati da altri che appartengono alla “bassa 18 PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
  • 6. cucina formativa” di molte organizzazioni e si giustificano vuoi con la mancanza di competenze progettuali, vuoi per il degra- do, a ruota libera, che ha attraversato il nostro mestiere negli ultimi anni, i veri mali endemici della formazione sono due: - la delega progettuale piena ai cosiddetti “esperti di conte- nuto”; - il “modismo”. Riprenderemo fra breve questi problemi dopo aver inserito i canoni di un processo formativo virtuoso che contempla tre parti in sequenza: 1. Il finding competence process, che si sostanzia nell’attività più conosciuta col nome di analisi dei bisogni; 2. Il making competence process, che si sostanzia nelle attivi- tà più conosciute col nome di progettazione ed erogazione della formazione; 3. L’acting competence process, che si sostanzia nelle attività di applicazione “on the job” delle competenze apprese per il tramite della formazione. Lo schema riproduce nel dettaglio il processo formativo rispet- to al quale noi faremo solo qualche importante considerazione a livello macro. - La fase di Analisi dei bisogni non è un optional. Lo dico per- ché si assiste ormai a prassi consolidate nelle quali si eroga- no programmi preconfezionati sulla base di corrispondenze più o meno attendibili fra target e contenuti. Per intenderci: 19 PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
  • 7. “hanno bisogno di un corso di comunicazione”. E si passa immediatamente all’erogazione di un corso (preferibilmen- te “instant”) sulla comunicazione senza aver minimamente sondato l’interesse/bisogno dei partecipanti né le N. possi- bili alternative progettuali disponibili. - La progettazione deve esplorare le alternative sul tappeto avendo come faro il rapporto con gli obiettivi organizzativi e didattici. Meno interessanti sono le abitudini progettuali ed erogative dei docenti che devono piegarsi al progetto e non viceversa; ancora meno interessante è la moda del momen- to (Outdoor? Teatro? Coaching?) se non sembra coerente con detti obiettivi. - I criteri di valutazione vanno concordati a priori con com- mittenza e utenza, altrimenti alla fine si valuterà sulla base di “sensazioni” e per di più disomogenee. - La valutazione deve accompagnare tutto il processo forma- tivo e non comparire solo alla fine “a babbo morto” (come si dice in Emilia). B - Dalle competenze alle metacompetenze Se riprendiamo lo schema della competenza vediamo come le metacompetenze si collochino nella parte bassa e sommersa della piramide, quella che ha più a che vedere con le variabili individuali. Se le “Best Practice” costituiscono la “cassetta degli attrezzi”, le metacompetenze sono l’olio e la benzina del motore. Se le “Best Practice” costituiscono la “cassetta degli attrezzi”, le metacompetenze sono l’olio e la benzina del motore. L’olio per evitare l’usura. La benzina per generare la spinta necessa- ria al sorpasso. 20 PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
  • 8. 1) Motivazione e Passione È difficile pensare di affrontare un lavoro qualsiasi senza un briciolo di motivazione. Ciononostante, per svariati motivi, molte persone non fanno il lavoro per il quale sarebbero mo- tivate. Parlando di formazione, le cause della “de-motivazione in ingresso” sono statisticamente meno rilevanti delle cause della de-motivazione ad ingresso avvenuto. È difficile che qualcuno si affacci alla professione di formatore dentro le aziende senza aver un interesse specifico. Difficile ma, naturalmente, non impossibile. È più facile invece entrare in posi- zioni organizzative che riguardano la formazione o, più in genera- le le HR, senza avere le altre metacompetenze che servirebbero. Nessun selezionatore è Ed è reso facile dal fatto che nessun selezionatore che io conosca attrezzato per valutare la è attrezzato per valutare la sussistenza di metacompetenze. sussistenza di metacompetenze. In realtà, parlando di assunzioni dall’esterno, vengono fatte entrare in azienda risorse misurate unicamente sul curriculum studi, sulla motivazione dichiarata, e su una discreta capacità di comunicazione e relazione. (Tutto questo nel presupposto che il selezionatore abbia sufficiente competenza… e ci sareb- be da aprire un capitolo a parte). Ma che ne sarà di questa motivazione iniziale quando si sco- prirà il ruolo assegnato al formatore e alla formazione, quando qualcuno chiederà al formatore di fare da esecutore organiz- zativo di programmi decisi da docenti selezionati, a loro vol- ta, da un livello superiore della piramide? Peggio ancora, cosa succederebbe della motivazione del giovane formatore una volta che constatasse che un certo programma è abborraccia- to, il gradimento dei partecipanti basso, ma “i docenti non si cambiano” perché in realtà sono scelti per ragioni diverse da quelle della “buona performance”? Le ragioni della passione suggerirebbero una risposta. Che sa- rebbe ancora insufficiente. Ma sarebbe un primo passo. 2) Concretezza La passione senza La passione senza concretezza non produrrebbe nulla di buo- concretezza non produrrebbe no. Non basta reagire. Non basta opporsi alle “cattive prati- nulla di buono. che”. Occorre cioè la capacità di “fare le cose giuste” in rap- porto alla situazione che ci si trova ad affrontare. Ogni azienda ha la sua storia. Ogni azienda ha una “cosa giusta” che va fatta per aprire una breccia. E dev’essere una cosa molto concreta per il contesto in cui ci si trova ad operare. Nelle prime edizioni del percorso “inserimento e professio- nalizzazione” dedicato ai neolaureati della Pirelli negli anni 80, sembrò giusto dedicare una settimana all’analisi di casi di riorganizzazione strategica del Gruppo. Questa era una par- te intellettualmente sfidante per il neolaureato ma generava 21 PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
  • 9. attese nei confronti dell’azienda. In altri termini alla fine del percorso i neo ingegneri si aspettavano di ricoprire un ruolo a valenza strategica. E invece avevano molta gavetta da fare, ivi incluso lo svolgimento di mansioni molto operative alle dipendenze di periti meccanici molto esperti che godevano molto nel “mettere sotto torchio” gli aspiranti direttori gene- rali. La “cosa concreta” che serviva, e che fu fatta, consistette nell’eliminare i casi di strategia a favore di autocasi dedicati al rapporto difficile coi diretti superiori. E ricordare che questa gavetta era parte ineludibile del percorso di crescita dell’inge- gnere Pirelli. Al di là di questo esempio va ricordato che: - la percezione di concretezza è soggettiva: ogni persona de- finisce “sensate” e “concrete” situazioni ed eventi rispetto alla propria concezione di sé e ai propri schemi cognitivi; - è un processo sociale: in un ambiente in cui non si crea inte- razione è difficile dare senso concreto alle cose; - è un processo guidato dalla plausibilità più che dalla accu- ratezza. Occorre concretezza nella scelta degli interlocutori con cui parlare, nella strada da prendere per arrivare al proprio obiet- tivo, persino nel modo di rappresentare un’idea. Ma passione e concretezza ancora non bastano per resistere alle condizioni avverse, occorre qualcosa in più. 3) Resilienza La resilienza è un termine che la psicologia prende a prestito dalla metallurgia. E in metallurgia significa la proprietà che hanno alcuni metalli di resistere agli urti e ritornare allo stato originario senza incrinarsi né rompersi. Si compone di tre parti. Il formatore resiliente è uno che ha coraggio a sufficienza per affrontare le insidie e le difficoltà che lo scenario organizzativo diffonde a piene mani sulla sua strada. 22 PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009
  • 10. Insomma il formatore resiliente è uno che sa “piegarsi senza spezzarsi” quando occorre. E ha coraggio a sufficienza per af- frontare le insidie e le difficoltà che lo scenario organizzativo diffonde a piene mani sulla sua strada. Un coraggio che si ali- menta con la passione per fare questo mestiere. Una passione che aiuta a sua volta ad essere “resilienti” quando occorre. Conclusioni Qualcuno si chiederà come si costruiscono le metacompetenze. O addirittura se è possibile costruirle o non siano al contrario “innate”. In verità è più facile selezionare persone che siano già “portatori sani” di queste qualità. Ma non è impossibile rinforzare queste caratteristiche attraverso la formazione. Ma questo sforzo è oramai ineludibile in chi si occupa di formare i formatori. Bisogna “prendere il toro per le corna”, sviluppare anticorpi e annientare le tossine che sono alla radice del velo- ce declino della formazione nelle nostre organizzazioni. Perché queste tornino finalmente ad essere “learning organi- zations”. 23 PERSONALE E LAVORO N. 514 - DICEMBRE 2009