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SOMMARIO........................
EDITORIALE
Crisi Venezuela.
Se ne esce solo con dialogo democratico
di Eugenio Marino
QUI ITALIA PAG. 3
Referendum trivelle, come si è votato all’estero
di Alfredo Orlando
DAL PARLAMENTO PAG. 5
Italia e Canada: un legame che si rafforza
di Francesca La Marca
QUI NEW YORK PAG. 7
Governo attento alle prospettive e al futuro
di Silvana Mangione
QUI CANADA PAG. 9
Progresso democratico e interculturalità
di Michel Maletto e Giueppe Continiello
OLTRE IL BORDO DEL PIATTO PAG. 10
Ambasciatori in Missione Italia
di Carla Ciarlantini-Krick
ANALISI E COMMENTI PAG. 12
Il dilemma shakesperiano: stay or leave
di Roberto Stasi
Cosa ci dice il voto nel Regno Unito
di Domenico Cerabona
Il futuro di Lady Burma
di Ugo Papi
DEMOCRATICI NEL MONDO PAG. 17
Giustizia: risultati positivi ma tanto lavoro da fare
di Jacopo Coletto
ANALISI E COMMENTI PAG. 19
Chernobyl trent’anni dopo
di Cono Giardullo
Migration compact: proposte che guardano lontano
di Roberto Serra
NEWS PAG. 24
Lo scorso 3 maggio nella sede del PD Nazionale abbiamo avuto un in-
contro informale con una delegazione venezuelana, della quale face-
vano parte, tra gli altri, il padre di Leopoldo Lopez, l’oppositore del
governo Maduro condannato a 13 anni di carcere per aver organizzato
una manifestazione di piazza poi finita con atti di violenza, e Vanessa
Ledezma figlia del sindaco di Caracas, arrestato nel 2015 e tuttora in
carcere. All’incontro erano presenti diversi parlamentari del PD e della
maggioranza di governo eletti all’estero ed è stato un momento impor-
tante per acquisire nuove informazioni sulla delicatissima situazione del
Paese sudamericano, attraversato da una crisi politica, economica e so-
ciale profonda con ripercussioni molto gravi sulla popolazione. Basti pen-
sare che alle lunghe file davanti ai supermercati, alle proteste
spontanee, ai black out elettrici a volte programmati a volte no, si è ag-
giunta una nuova gravissima emergenza, quella sanitaria, che ha messo
in ginocchio medici e pazienti. La carenza di risorse non permette più
agli ospedali venezuelani di curare correttamente i malati non solo per-
ché mancano i medicinali e non vengono assicurati i rifornimenti, ma
anche per l’assenza del materiale sanitario di base nei presidi medici.
Oltre alla situazione economica e sociale, gli ospiti venezuelani hanno
sottolineato con preoccupazione il fatto che in Venezuela oggi vi siano
ben 83 prigionieri che si trovano in carcere per atti che derivano anche
da azioni o manifestazioni politiche.
Vanessa Ledezma, che oggi vive in Italia, ma da anni sostiene le inizia-
tive a favore di una maggiore democrazia nel suo Paese d’origine, ha
sostenuto che “il Venezuela sta sprofondando nel caos non solo per la
recessione e l’inflazione che è arrivata al 720%, ma anche perché si è
in presenza di una vera emergenza democratica”.
I parlamentari italiani presenti, deputati e senatori, hanno espresso la
propria solidarietà al popolo venezuelano e preoccupazione per ciò che
sta vivendo la grande comunità italiana di emigranti, le cui condizioni
economiche e sociali sono fortemente deteriorate. Particolare atten-
zione è stata posta sulle restrizioni alle libertà civili ed economiche, alla
vicenda di diversi leader dell’opposizione (alcuni dei quali in carcere in
attesa di processo) e si è richiamato il rispetto dei trattati internazionali
sottoscritti proprio in materia di diritti umani, insieme alla necessità di
evitare manifestazioni di violenza anche da parte dell’opposizione.
Da parte mia ho sottolineato che da molti anni siamo impegnati ad aiu-
tare il Venezuela nel percorso di democratizzazione e più volte siamo in-
tervenuti, anche in ambito internazionale, per richiamare tutte le parti
Crisi venezuela. Se ne esce
solo con dialogo democratico
ANNO VI / N°4 - Maggio 2016
a cura dell’ufficio PD Italiani nel mondo
itmondo@partitodemocratico.it
Chiuso in redazione il 25 maggio 2016
EUGENIO MARINO
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al rispetto delle pratiche democratiche, della costitu-
zione venezuelana e dei diritti civili e umani. E non
solo in Venezuela. Continueremo a farlo ovunque ve
ne sia bisogno e in ogni circostanza. Ho però ricordato
che non va radicalizzato lo scontro tra le parti politi-
che, ognuna delle quali ha meriti e colpe sia nel cam-
mino democratico che nella radicalizzazione dello
scontro e nella violenza, ma va piuttosto favorito il dia-
logo tra le parti e il reciproco riconoscimento demo-
cratico, perché solo trovando punti di incontro tra
Governo e Assemblea si riuscirà ad evitare che il Ve-
nezuela precipiti in una crisi ancora peggiore. Crisi
che ricadrà prima di tutto sui cittadini più deboli, che
invece vanno sempre tutelati e, in buona parte, anche
sulla nostra ampia comunità italiana e italodiscen-
dente.
In Venezuela, oggi, vi sono rischi e opportunità impor-
tanti. Vi è stato un progresso democratico segnato da
gravi ferite su entrambi i fronti, ma pur sempre un pro-
gresso democratico che ha portato l’opposizione a
Maduro a ottenere un’ampia maggioranza parlamen-
tare in elezioni gestite sì dal Governo, ma in modo re-
golare. E il cui risultato è stato accettato dallo stesso
Maduro. Questa è la strada giusta e gli attori politici
su questa strada devono continuare, contendendosi
la leadership del governo e del Paese sulla proposta
economica, politica e sociale e non sul braccio di ferro
tendente a proporre un falso scontro tra dittatura e
democrazia o a una contesa tra la continuazione del
chavismo e un ritorno a metodi e politiche precedenti
il chavismo. Il futuro del Venezuela, dunque, sta nelle
proposte politiche che la sua classe dirigente di ogni
ambito saprà darsi e sul rispetto reciproco di queste
parti e della democrazia.
VENEZUELA:
I NUMERI DELLA CRISI
Secondo fonti governative l’inflazione
nel 2015 è stata del 141,5%. La
Banca Mondiale e il Fondo Monetario
Internazionale sostengono però che
l’inflazione supera l’800% ed è desti-
nata ad aumentare. La contrazione
del PIL è stimata a -7,1%
Negli ultimi 17 anni il reddito petroli-
fero del Venezuela è stato cinque volte
superiore a quello dei 40 anni prece-
denti: 430 miliardi di dollari. Nello
stesso arco di tempo il debito pubblico
è passato da 30 miliardi di dollari a
220 miliardi di dollari.
Nel 2015 la capitale del Venezuela è
diventata la città più pericolosa del
mondo, con un tasso di omicidi supe-
riore a quello di San Pedro Sula, in
Honduras, che deteneva da quattro
anni il triste record mondiale in mate-
ria di morti violente.
La crisi energetica ha modificato la
vita delle persone. La grave siccità ha
reso inservibili le centrali idroelettriche
che assicurano oltre l’80% dell’ener-
gia del paese. Per ridurre il consumo
di elettricità, gli uffici pubblici sono
chiusi il venerdì, così come le scuole.
L’energia è razionata in tutte le regioni
del paese e, tra le altre misure, il go-
verno ha ordinato ai centri commer-
ciali di ridurre gli orari di apertura.
mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
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Referendum trivelle,
come si è votato all’estero
La morte di Regeni: istituzioni europee e stampa schierate con l’Italia
Il voto sulle trivelle
Al referendum abrogativo del 17 aprile sulle trivelle
- non valido perché non è stato raggiunto il quorum
del 50 per cento più uno degli aventi diritto - ha par-
tecipato il 19,73% degli Italiani che vivono al-
l’estero. La percentuale di votanti in Italia è stata
invece del 32,15%, comunque fra le più basse ri-
spetto ad altri referendum abrogativi. Il primo dei
quali fu quello sul divorzio che si svolse nel 1974 e
che, vincendo il no, confermò la legge: l’affluenza
fu dell’87,7%, la più alta nella storia della nostra
Repubblica.
Da allora la partecipazione è via via diminuita, man-
tenendosi alta nelle prime consultazioni (81% nel
1978 sul finanziamento pubblico ai partiti), calando
sempre più fino al 1997, anno a partire dal quale
non si è più raggiunto il quorum, tranne che nel
2011, quando i cittadini furono chiamati a votare
per la gestione pubblica del settore idrico. In quel-
l’occasione andò a votare il 54,82% degli aventi di-
ritto e la norma che affidava ai privati la gestione
dell’acqua pubblica venne abrogata.
Da quando fu loro concesso il voto, la diminuzione
costante della partecipazione ai referendum ha ri-
guardato anche gli Italiani residenti all’estero. Ma
va sottolineato un dato significativo: la forbice fra
partecipanti alle elezioni politiche e quelli che
vanno a votare in occasione dei referendum è più
alta in Italia che nei paesi dove votano i nostri con-
nazionali: segno che questi manifestano una chiara
volontà di essere protagonisti nelle scelte che si
compiono nella Patria d’ origine.
Dei 3.951.455 italiani residenti all’estero, gli aventi
diritto che hanno votato sono stati 779.848. Questi
i risultati scaturiti dalle urne: 511.846 sì (73,18%),
187.635 no (26,82%), 13.297 schede bianche
(1,70%), 66.716 schede nulle (8,55%), 354 schede
contestate e non assegnate (0,04%).
Ecco, per aree geografiche, le percentuali di af-
fluenza: in Europa ha votato il 19,30% degli aventi
diritto; in America meridionale il 21,56%; in America
settentrionale e centrale il 17,83%; in Africa, Asia,
Oceania e Antartide il 16,48%.
Di seguito, le percentuali dei votanti nei maggiori
paesi esteri. Europa: Regno Unito 20,88; Germania
16,07; Francia 19,53; Svizzera 24,07; Belgio 19,18;
Austria 24,91; Spagna 16,48; Paesi Bassi 18,18;
Lussemburgo 22,33; Federazione Russa 21,01;
Finlandia 28,11.
America Settentrionale e Centrale: USA 16,52; Ca-
nada 19,29; Messico 20,97.
America Meridionale: Argentina 24,52; Brasile
23,35; Bolivia 35,55; Venezuela 7,23; Cile 8,21;
Colombia 26,14.
Africa, Asia, Oceania, Antartide: Australia 17,16;
Sud Africa 7,15; Tunisia 18,74.
Caso Regeni: vasto fronte
a sostegno della posizione italiana
La mobilitazione perché si conosca la verità “vera”
sull’uccisione al Cairo del ricercatore italiano Giulio
Regeni, trovato morto il 3 marzo dopo avere subito
atroci torture, è straordinaria: dalle istituzioni eu-
ropee alla politica, dalla stampa straniera, oltre ov-
viamente a quella italiana, al mondo dello sport e
della musica, è stato un coro unanime di solidarietà
e di sostegno alla posizione del nostro governo, che
ha fin dall’inizio respinto la versione di comodo del
presidente egiziano Al Sisi, secondo cui i servizi mi-
litari del suo paese non c’entrano nulla con la morte
di Regeni, la cui uccisione sarebbe stata opera, a
suo dire, di “gente malvagia”.
La battaglia perché si arrivi alla verità è stata fatta
propria anche dal nostro Presidente della Repub-
blica. “Non dimenticare la sua passione e la sua
vita orribilmente spezzata”, ha esortato Sergio Mat-
tarella.
Il Parlamento europeo è intervenuto chiedendo che
sulla vicenda si faccia piena luce, mentre la presi-
denza della Commissione Diritti umani , acco-
gliendo la richiesta di due europarlamentari del Pd,
Antonio Panzeri e Patrizia Toia, ha convocato a Stra-
sburgo i genitori di Giulio. E si è mosso anche il mi-
nistero degli Affari Esteri britannico, che ha
sollecitato il Cairo a svolgere “una indagine che
contempli ogni possibile scenario sulle responsabi-
lità” della morte di Regeni.
Del caso ha dato conto, fra gli altri organi di stampa,
il New York Times, che in un editoriale ha dura-
mente criticato i Paesi che continuano a mantenere
ALFREDO ORLANDO
mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
QUIITALIA
SEGUE PAGINA 4
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
relazioni diplomatiche e commerciali con l’Egitto.
“Gli abusi dei diritti umani in Egitto sotto il presi-
dente Abdel Fattah Al Sisi hanno raggiunto nuovi
picchi, e nonostante ciò i governi occidentali che
commerciano con l’Egitto e lo armano hanno conti-
nuato a fare affari come se niente fosse accaduto,
sostenendo che sono in ballo la sicurezza regionale
e gli interessi economici”, ha scritto il quotidiano. E
non è tutto.
Gli abusi, ha aggiunto, dovrebbero indurre quei
Paesi che hanno rapporti con l’Egitto a ritirare i pro-
pri ambasciatori, così come ha fatto l’Italia. E ha de-
finito “vergognoso” il comportamento della Francia,
il cui presidente Hollande è andato al Cairo a fir-
mare un contratto miliardario per la fornitura di
armi.
Della morte di Regeni e delle terribili torture subite,
si è occupato l’ufficio di corrispondenza del Cairo
dell’Agenzia di stampa Reuters. Secondo alcune
fonti della polizia e dei servizi segreti, ascoltate
dalla Reuters, il giorno in cui scomparve, Giulio fu
fermato da alcuni agenti e consegnato ai servizi di
sicurezza. Rivelazioni che hanno procurato all’ uffi-
cio della Reuters una denuncia penale.
Peggio è andata ad Ahmed Abdallah - presidente
della Commissione egiziana per i Diritti e le Libertà,
e consulente della famiglia Regeni nella battaglia
per la ricerca della verità su quanto successo a Giu-
lio - arrestato con le seguenti accuse: appartenenza
a un gruppo terroristico, partecipazione a manife-
stazioni di piazza non autorizzate e istigazione alla
violenza con l’obiettivo di rovesciare il governo e il
presidente Al Sisi. Tutto ciò, guarda caso, dopo che
Abdallah aveva denunciato, in un rapporto al “Con-
siglio nazionale per i Diritti umani”, le centinaia di
casi di sequestri di persone vittime di “ torture e
trattamenti disumani da parte di agenti della Sicu-
rezza Nazionale per costringerli, in taluni casi, a
confessare reati che non hanno commesso”.
La Federazione Europea Giornalisti (EFJ) ha poi fatto
propria, approvandola, una mozione della Federa-
zione nazionale della Stampa Italiana (FNSI) che
chiede “verità e giustizia per Giulio”.
Il cambio di cavallo di Silvio Berlusconi
sul candidato sindaco a Roma
La notte porta consiglio. E porta pure Alfio Marchini.
Già, perché è successo in un incontro notturno che
l’ex Cavaliere, essendosi convinto che sarebbe
stato più conveniente puntare sulla candidatura
dell’imprenditore romano, ha chiesto a Guido Ber-
tolaso di ritirarsi dalla corsa alla poltrona di sindaco
di Roma e di renderlo noto lui stesso con un comu-
nicato. L’ex capo della Protezione civile (fatto scen-
dere in campo proprio da Berlusconi) ha provato a
resistere, rinfacciando tra l’altro al suo interlocu-
tore di averlo mandato allo sbaraglio.
Alla fine ha dovuto arrendersi. Sono però passate
molte ore prima che annunciasse di avere deciso di
accomodarsi “in panchina”. Forse sperava che un
altro giro di valzer berlusconiano lo rimettesse in
campo.
A spingere Berlusconi al cambio di cavallo sareb-
bero stati i malumori di molti esponenti di Forza Ita-
lia che non vedevano di buon occhio Bertolaso, ma
soprattutto gli ultimi sondaggi che ne pronostica-
vano la sconfitta. Una sconfitta, ha temuto l’ex Ca-
valiere, che avrebbe potuto avere gravi
conseguenze sulla tenuta del partito, già provato da
defezioni e da caduta di consensi.
Ora però per Marchini si pone un problema, consi-
derato che sui manifesti con i quali ha invaso Roma
c’è una grande scritta: “Liberi dai partiti”. Ciò ha
provocato l’ironia del candidato democratico Ro-
berto Giachetti: “Esprimo tutta la mia solidarietà a
Marchini che ora dovrà rivedere lo slogan sui suoi
manifesti visto che sopra c’è scritto Liberi dai par-
titi”. E in effetti, sia pure in caduta libera, Forza Ita-
lia è pur sempre un partito.
Nessuna ironia ma solo una furiosa reazione, in-
vece, da parte del leader leghista Matteo Salvini
che nella capitale appoggia la candidatura di Gior-
gia Meloni (candidata dell’estrema destra): “Berlu-
sconi ha perso la bussola, ormai cambia idea ogni
giorno. Dopo quello che è successo a Roma nulla è
più scontato alle Politiche.
O ci si mette d’accordo su tutti i punti di un pro-
gramma o sarà un problema”. Toni e contenuti che
rivelano una minaccia più che un avvertimento e
che rendono problematica una intesa fra i due, fino
a poco tempo fa alleati.
DA PAGINA 3
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Italia e Canada:
un legame che si rafforza
Incontri con realtà produttive, parlamentari, università e comunità italiane
N
ei giorni 20-22 aprile ho avuto il piacere di par-
tecipare ad una serie di incontri programmati
nell’ambito della visita ufficiale del sottosegre-
tario Benedetto della Vedova in Canada. Sono stati
tre giorni intensi di approfondimenti su tutta una
serie di questioni: dalla politica internazionale alla
lotta al terrorismo, dalla crisi dei migranti in Europa
alle politiche da mettere in campo per la loro acco-
glienza, dalle relazioni politiche a quelle più specifi-
catamente economiche tra Italia e Canada, dal ruolo
della comunità italo-canadese a quello delle imprese
e dei ricercatori italiani nella promozione del Sistema
Paese.
Si è trattato di un proficuo giro di incontri con inter-
locutori istituzionali, uomini d’affari e rappresentanti
di comunità che ha consentito di verificare il buono
stato di salute dei rapporti tra Italia e Canada, di ri-
levare gli aspetti di eccellenza e le buone pratiche e
di precisare gli impegni sui quali concentrare gli sforzi
nell’immediato futuro. Per me, in particolare, è stata
un’utile occasione di ricognizione di situazioni e pro-
blemi di cui, naturalmente, terrò debito conto nello
sviluppo della mia attività parlamentare.
La visita del sottosegretario Della Vedova è iniziata
da Ottawa. Nella capitale canadese il rappresentante
del governo italiano ha incontrato il Ministro degli
esteri del governo guidato da Justin Trudeau, Sté-
phane Dion, i responsabili per gli affari esteri del Par-
tito Neodemocratico On. Hélène Laverdière e del
Partito Conservatore On. Tony Clement. Della Vedova
ha avuto inoltre un colloquio con il Parliamentary Se-
cretary presso il Ministero della Giustizia e con l’As-
sistant Deputy Minister presso il Ministero della
Pubblica Sicurezza. A questi appuntamenti istituzio-
nali hanno fatto seguito quelli con i rappresentanti
della comunità italo-canadese organizzati e promossi
dall’Ambasciatore d’Italia a Ottawa Gian Lorenzo Cor-
nado.
Il primo appuntamento si è tenuto presso la nostra
Ambasciata con parlamentari federali italo-canadesi
ed esponenti della comunità italiana della capitale,
tra cui diversi ricercatori italiani. In quest’occasione
si è discusso di come rafforzare i legami tra i Paesi,
anche alla luce del cambiamento di governo in Ca-
nada, della considerazione che l’Italia ha per il Ca-
nada di oggi, degli scambi a livello parlamentare.
Positivo anche l’incontro con i rappresentati delle
aziende italiane. Si è parlato dei rapporti commerciali
tra i due paesi e di come rafforzarli, dell’attiva pre-
senza in Canada di alcune grandi imprese come ENI,
Finmeccanica, Fincantieri, la cui testimonianza è
stata portata direttamente dai rappresentanti delle
aziende presenti all’incontro.
Sempre ad Ottawa, il 21 aprile, ho partecipato alla
Conferenza di Benedetto Della Vedova organizzata
dal Think-tank CIGI (Centre for International Gover-
nance and Innovation) insieme al IDRC (International
Development Research Centre) e la Carlton Univer-
sity di Ottawa. Titolo dell’incontro “Brexit, refugees
and security: the EU at the crossroads”. Un’occa-
sione molto importante in cui il sottosegretario ha il-
lustrato ad una platea di studiosi e di ricercatori la
delicatissima questione della gestione dei migranti
e dei rifugiati nell’attuale scenario di emergenza in-
ternazionale e il ruolo che l’Italia svolge nel contesto
europeo. Benedetto Della Vedova, in margine al con-
vegno, ha espresso il suo apprezzamento per il ruolo
positivo del governo canadese in questo ambito con
la decisione di accogliere 25.000 profughi siriani, in-
vitando la stessa comunità italo-canadese a contri-
buire attivamente agli sforzi canadesi.
Nella seconda tappa del viaggio, Toronto, il sottose-
gretario Della Vedova ha voluto incontrare i rappre-
sentanti della comunità italo-canadese, dimostrando
non soltanto una grande sensibilità ma ribadendo
l’attenzione che il governo pone nei confronti degli
italiani all’estero anche per il ruolo che questi pos-
sono svolgere nella promozione dell’Italia e nel raf-
forzamento dei rapporti bilaterali.
Nella capitale dell’Ontario, si sono tenuti due appun-
tamenti. Il primo con l’ambasciatore e il console per
affrontare in maniera più specifica le questioni di
maggiore interesse per la nostra comunità. La di-
scussione, infatti, si è concentrata sui temi della cit-
tadinanza, dei rapporti bilaterali Italia-Canada,
dell’Express Entry System, che presenta per gli ita-
liani aspetti di evidente problematicità, della promo-
zione della lingua e della cultura italiane e degli
investimenti del nostro paese in questo settore, della
valorizzazione della rete associativa e di quella per
DALPARLAMENTO
FRANCESCA LA MARCA
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
la promozione del Sistema Italia, del sostegno neces-
sario per valorizzare esperienze culturali di grande
impatto, come ad esempio l’Italian Film Festival, un
evento ormai consolidato dell’estate culturale di To-
ronto. Da parte dei presenti è stata sottolineata la
necessità di mantenere vivo il legame con l’Italia at-
traverso azioni permanenti e innovative. Benedetto
Della Vedova ha riconosciuto la straordinaria qualità,
prima ancora della quantità, della comunità italo-ca-
nadese che rappresenta senza dubbio un’occasione
di sviluppo ulteriore delle relazioni economiche e cul-
turali tra i due Paesi. Nel corso del dibattito, ho avuto
modo di ricordare i risultati positivi raggiunti finora
dal governo Renzi senza tacere tuttavia su quanto
ancora rimane da fare. Si tratta non soltanto di evi-
tare nuovi tagli ai capitoli di spesa che riguardano di-
rettamente le politiche per le nostre comunità, ma di
rafforzare la consapevolezza dell’Italia, e dei suoi
rappresentanti istituzionali, sul fatto che gli italiani
all’estero sono una risorsa su cui vale la pena inve-
stire.
Queste considerazioni sono state ulteriormente ap-
profondite dal sottosegretario anche nel corso del
suo ultimo incontro a Toronto con la business com-
munity italo-canadese e con i dirigenti di imprese ita-
liane operanti in Canada. Della Vedova, ricordando
come l’interscambio commerciale con l’Italia sia cre-
sciuto lo scorso anno del 7%, ha sottolineato che
l’Italia deve investire nel mercato nord-americano per
far crescere le sue esportazioni ma anche per at-
trarre investimenti. Nel suo intervento ha ricono-
sciuto gli sforzi degli italiani e italo-canadesi per con-
solidare la crescita dei rapporti commerciali tra l’Ita-
lia e il Canada e guadagnare credibilità e mercato.
All’appuntamento era presente anche una missione
economica a sostegno delle esportazioni di prodotti
agroalimentari in Canada, organizzata dalla Camera
di commercio di Sondrio in collaborazione con la Ca-
mera di commercio italiana dell’Ontario (ICCO) e il
Consolato Generale d’Italia a Toronto. La delega-
zione valtellinese, guidata dal Segretario Generale
Marco Bonat, ha promosso il progetto denominato
“La Valtellina a Toronto” che ha avuto il merito di far
incontrare le aziende italiane con una selezione di
potenziali buyer del settore agroalimentare dell’On-
tario.
Il bilancio di questa missione è stato molto positivo
e ricco di spunti per il futuro. Come ha ribadito lo
stesso sottosegretario Della Vedova a conclusione
della sua missione, i rapporti tra Italia e Canada, già
storicamente forti, possono ulteriormente consoli-
darsi e rinnovarsi grazie anche alla forte intesa tra i
due primi ministri, Renzi e Trudeau, due giovani pre-
mier che condividono una comune visione del futuro
che non ignora i problemi ma cerca di superarli nel-
l’interesse comune.
DA PAGINA 5
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Governo attento alle prospettive
e al futuro
I risvolti incoraggianti della visita a New York del sottosegretario Amendola
M
aggio di momenti importanti al Consolato
Generale di New York. L’Ambasciatore d’Ita-
lia a Washington, Armando Varricchio,
chiede di incontrare la comunità, che conosce già dal
suo precedente incarico come attaché commerciale
alla stessa ambasciata che è stato chiamato a reg-
gere. Il suo saluto ricalca quanto ha detto presen-
tando le credenziali a Barack Obama, sottolineando
il solido legame di amicizia e comunanza di valori tra
Italia e USA, componente imprescindibile per accre-
scere il benessere dei nostri cittadini e promuovere
la pace, la democrazia e la difesa dei diritti. Ma ri-
porta anche la risposta di Obama, che ha ricordato
in termini amichevoli il recente incontro con il Presi-
dente Mattarella alla Casa Bianca e la stretta colla-
borazione con il Presidente del Consiglio Renzi sulle
più rilevanti questioni internazionali e dell’agenda
globale. Con evidente calore, rimarca poi il suo rap-
porto di affetto con la città di New York, piena di en-
ergia creativa, di vitalità imprenditoriale e artistica,
di presenze italiane ricche di significato. Un luogo -
assicura - dove cercherà di venire il più spesso pos-
sibile, anche perché in questo momento gode della
doppia presenza di un Sindaco, Bill de Blasio, e di un
Governatore, Andrew Cuomo, le cui radici sono soli-
damente piantate in Italia. Positivo anche l’intervento
della vice governatrice dello Stato di New York, Kathy
Hochul, che ha ricordato l’amore per l’Italia dello
Stato a maggiore concentrazione di italiani, che lo
hanno costruito e lo rendono vivo e vitale con le pro-
prie iniziative. Annunciando la prossima missione
economica promossa dal Governatore in Italia, sorri-
dendo, conferma: “qualunque cosa succeda il
prossimo Presidente degli USA sarà un newyorch-
ese”. Infatti, Trump e Sanders ci sono nati e Hillary
Clinton ne è diventata figlia adottiva. La Hochul si las-
cia scappare un “she” = lei, auspicando che gli USA
finalmente eleggano questa donna di grande espe-
rienza, in un momento storico in cui non si può
rischiare che alla Casa Bianca sieda una persona
che nulla sa di relazioni internazionali.
Non si fermano qui le visioni positive dei rapporti fra
l’Italia e le comunità sparse per il mondo. Non è un
mistero che l’Italia stia lavorando da mesi per l’ele-
zione di un membro italiano al Comitato di Sicurezza
delle Nazioni Unite e il sottosegretario agli esteri Vin-
cenzo Amendola, che ha fra le sue deleghe sia quella
per gli italiani all’estero che quella all’ONU, è venuto
a New York per partecipare ad una serie di incontri
sui temi della leadership, la pace, la lotta al terrori-
smo, la sicurezza e la protezione dei civili nei conflitti
che insanguinano il mondo.
Malgrado la frenesia del calendario di lavoro, il sot-
tosegretario ha dedicato un intero pomeriggio al dia-
logo con la comunità italiana dei tre Stati di New
York, New Jersey e Connecticut. Nell’introduzione del
suo discorso, Amendola ha raccontato l’emozione
provata nel parlare a nome dell’Italia nella Sala del
Consiglio di Sicurezza dicendo: “…ero cresciuto guar-
dandola in TV”, e ha fatto il punto sugli argomenti di-
scussi in preparazione alla presidenza italiana del
G7 nel 2017, primo fra tutti la situazione dei profughi
e dei migranti. La proposta italiana del Migration
Compact all’UE è stata ricevuta positivamente; l’Italia
continuerà a salvare le persone che fuggono dalla
guerra e dalla fame, sostenuta dalle forti posizioni
del Presidente Mattarella e di Papa Francesco sulla
necessità di proteggere i rifugiati. A proposito dei dik-
tat populistici sulla minaccia rappresentata dai mi-
granti e sulla provocazione di costruire dei mini-muri
(il vero muro era quello di Berlino ed è caduto quasi
trent’anni fa) Amendola ha citato il bell’aneddoto
della visita a Ellis Island con il Presidente Mattarella,
e della domanda sulla percentuale dei respingimenti
di immigrati nel momento dei massicci esodi dall’Eu-
ropa verso gli USA, alla quale la guida ha risposto:
“… circa il due per cento”. Al di là delle diatribe pro-
vocate dalla paura, il confronto in Parlamento deve
tendere verso il posizionamento di un’Italia aperta
all’ascolto. In questo processo New York è impor-
tante per la sua cultura della condivisione delle pre-
senze ed è favorita dalla presenza del Console
Genuardi che ha fatto un grande lavoro nei rapporti
con il Parlamento.
Passando ad un altro tema, quello della delega per
gli italiani all’estero, Amendola essendo stato lui
stesso emigrato in Austria per sei anni, ammette che
negli ultimi anni l’Italia è stata costretta a fare scelte
dolorose, come la chiusura di parecchi Consolati, fra
cui Newark. Con parole di fiducia il sottosegretario
QUINEWYORK
SILVANAMANGIONE*
SEGUE PAGINA 8
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
ha detto “Ora bisogna ricostruire i modi in cui fornire
servizi. Noi abbiamo il dovere di servire il popolo ita-
liano, anche all’estero per soddisfare le complesse
esigenze presentate dalle tante sfaccettature delle
nostre collettività”. Il CGIE ha già fatto alcune propo-
ste e dovrà approfondire l’analisi dei servizi neces-
sari – anche per la nuova emigrazione, che “va
accudita” – nel corso dell’assemblea straordinaria
di settembre, resa possibile dai mezzi da recuperare
in sede di assestamento di bilancio,
85 mila iscritti all’AIRE nella circoscrizione consolare
di NY sono una cifra importante. Nel 2017 dobbiamo
quindi introdurre una semplificazione del lavoro, in
linea con le modifiche alla Pubblica Amministrazione
e alla ristrutturazione del MAE. New York è una
chiave per la crescita dell’Italia, così come gli italiani
all’estero sono parte del Sistema Paese e della pro-
iezione dell’Italia verso il mondo, e costituiscono un
patrimonio umano, di lavoro e di ricchezza intellet-
tuale, accompagnato in troppi casi da dolori e soffe-
renze, di cui pure ci si debba fare carico per lenirle.
“La disaffezione che notate nel dibattito sugli italiani
all’estero non è causata da lontananza di destino,
ma da superficialità e scarsa conoscenza, fattori che
si superano con facilità”. Poi Amendola ha aperto la
platea alle domande che hanno toccato molti temi:
l’insegnamento dell’italiano; la riforma di Com.It.Es.
e CGIE dopo i risultati del referendum sulla modifica
costituzionale del Senato; l’utilità dei patronati; le pe-
culiarità negative del trattamento dei contrattisti in
USA; gli scambi High Tech e start up fra giovani ita-
liani e americani e fra l’Italia e gli USA; le visite alle
comunità anche fuori da Manhattan, nelle altre mu-
nicipalità di New York e negli Stati di New Jersey e
Connecticut. Risposte per tutti, puntuali, con l’assi-
curazione che in fase di assestamento di bilancio si
recupereranno anche i due milioni e mezzo tagliati
dai contributi alla diffusione dell’italiano all’estero,
che è un traino per l’economia e le esportazioni.
Nelle parole di Amendola anche la conferma del
ruolo dei patronati, che svolgono un servizio insosti-
tuibile in grandi Paesi con un numero esiguo di Con-
solati e un’attenzione alla riforma del secondo livello
di rappresentanza degli italiani all’estero, che dovrà
tenere conto della nuova configurazione del Senato
fermo restando che la presenza dei deputati eletti
all’estero è rimasta alla Camera, cioè nel ramo del
Parlamento che vota la fiducia al Governo, per ga-
rantire loro un peso politico paritario. Infine arriva la
promessa che in occasione della sua missione a giu-
gno e della sua partecipazione alla Convention de-
mocratica a luglio a Filadelfia, incontrerà gli
esponenti delle realtà italiane fuori da New York.
Finite le risposte, c’è stato il tempo per un po’ di
scambi informali, tra racconti di storie personali e
l’ascolto di suggerimenti. E poi via, per il successivo
evento di lavoro, solo apparentemente conviviale,
all’ONU.
Ci guardiamo fra noi. Il clima è cambiato. La mag-
giore capacità di ascolto e la concretezza di assun-
zione di impegni ci convincono. L’orizzonte sta
diventando molto più roseo, color aurora, non avviso
di tramonto.
* Vice segretario Generale Anglofoni del CGIE
DA PAGINA 7
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Progresso democratico
e interculturalità
Dall’esperienza degli emigrati italiani un patrimonio da preservare
C
’è un patrimonio italiano all’estero che deve
essere preservato. A Montréal lavoriamo pro-
prio in questa direzione, anche attraverso le
tante attività del Circolo PD cittadino, per cercare di
rendere questo patrimonio ancora più attuale, con-
solidandolo con fatti profondi e precisi, in un’ottica
di miglioramento di noi stessi e della società nella
quale viviamo.
Le azioni che compiamo nella nostra comunità
hanno un valore in quanto rappresentano un mo-
dello per le iniziative che verranno. Pensiamo a
quanto sia importante l‘individuazione di un’asso-
ciazione virtuosa per storia e per significato, l’impe-
gno per contribuire alla sua sopravvivenza
attraverso atti volti a darle maggiore visibilità come
interviste alla radio e articoli sui giornali, la sensi-
bilizzazione dei politici locali alle problematiche
dell’associazione stessa. Pensiamo a quanto sta
facendo il Circolo PD, dalle attività di autofinanzia-
mento dirette (le cene sociali, una al mese) a quelle
indirette (come la promozione di una sezione fem-
minile per poter accedere a finanziamenti dedicati,
oppure il collegamento con enti più strutturati che
può risolvere alcune problematiche organizzative e
di finanziamento).
Ci interessano le buone ragioni della nostra comu-
nità, per le quali ci impegniamo attraverso il circolo
del Partito Democratico. Un Circolo dinamico e con-
sapevole delle proprie responsabilità. Questa mili-
tanza, inoltre, sviluppa tra di noi e con gli altri una
solidarietà profonda che si consolida attorno a va-
lori comuni, valori volti a costruire una società più
giusta e, in fin dei conti, al progresso democratico.
L’interculturalità.
L’emigrazione è un fatto culturale complesso e ri-
guarda anche la dimensione delle idee, che ab-
biamo la pretesa non debbano essere ignorate
anche dagli Italiani, in quanto patrimonio morale,
di conoscenza ed etico del popolo italiano. In
quanto Italiani emigrati sappiamo bene, inoltre, di
avere un’esperienza e, quindi, una competenza pre-
ziosa: quella delle buone pratiche d’integrazione in
un Paese al quale abbiamo portato in dote ric-
chezza culturale e senso del lavoro solidale e re-
sponsabile.
Qui in Canada abbiamo appreso e continuiamo ad
apprendere che solo aprendosi alle altre culture si
vince la sfida dell’emigrazione. E in questa aper-
tura, abbiamo verificato che non ci si confonde con
gli altri, ma che grazie agli altri si preserva la propria
cultura e se ne delinea, assieme agli altri, una
nuova, comune a tutti.
Gli Italiani aprendosi all’America, al Canada e al
Québec non hanno perso nulla della propria iden-
tità. Quando si arriva in un Paese si parla italiano -
per restare a noi - in famiglia, al lavoro e quando si
è in società. In un secondo momento, si parla ita-
liano in famiglia e in società ma non più al lavoro,
dove si parla inglese o, come nel caso del Québec,
francese. La seconda generazione continua a par-
lare italiano in famiglia ma in ambito sociale e lavo-
rativo parla inglese e francese. Quest’esperienza è
ben nota agli Italiani, per averla già vissuta. Queste
tappe verso l’integrazione, che gli Italiani hanno
percorso senza perdere in identità e senza assimi-
larsi, gli Italiani possono indicarle ai nuovi arrivati e
all’Italia stessa che spesso sembra voler rifiutare il
tema.
Questo bagaglio di esperienza giova a quella parte
della società che invece dice: «un attimo, se c’è un
popolo che conosce bene l’emigrazione siamo pro-
prio noi, che siamo stati accolti in tutti i Paesi del
mondo e che abbiamo anche per questo il dovere
di accogliere».
Le tante italie che vivono all’estero possono aiutare
l’Italia a ricordarsi questa sua peculiare specificità.
Se siamo aperti alle differenze possiamo conti-
nuare a essere ciò che siamo o anche a stupirci di
essere migliori di quanto pensavamo di essere, pro-
prio come hanno imparato a fare gli Italiani che vi-
vono all’estero.
Michel Maletto
tesoriere del circolo PD di Montréal
Giuseppe Continiello
segretario del circolo PD cittadino
QUICANADA
Ambasciatori
inMissioneItalia
Vannocostruitilegamivirtuositraenogastronomia,culturaedeconomia
A
dare il via a questo mio contributo sono stati di-
versi episodi apparentemente scollegati tra di
loro e che invece avevano un “filo rosso” in co-
mune. Ad esempio:
da due o tre anni mi sono accorta della cre-
scente presenza nella grande distribuzione tede-
sca di prodotti alimentari italiani che anche solo
cinque anni fa erano pressoché sconosciuti o re-
peribili solo in pochissimi negozi molto specializ-
zati. Mozzarella di bufala DOP, ‘nduja, ravioli e tor-
tellini freschi, vini di decente qualità e dal nome
meno strapazzato di Chianti o Lambrusco, verdure
fresche qui poco comuni come carciofi o barba di
frate stanno conquistando un posto sempre più
ampio negli scaffali delle varie REWE, Kaufland e
perfino dei discounter come Lidl;
stanno cambiando i ristoranti italiani, non tutti
e non dovunque, ma stanno cambiando. Stanno
sparendo le tovaglie a scacchi bianchi e rossi e le
orripilanti vedute del Vesuvio col pennacchio, gli
spaghetti stracotti e sepolti sotto litri di sugo, le
insalate “all’italiana” fatte col prosciutto affumi-
cato e l’Emmental. Stanno invece comparendo i
risotti fatti come si deve, le carte dei vini che of-
frono Lugana e Teroldego e le oliere con la botti-
glietta non ricaricabile di olio EVO, spesso anche
biologico;
l’anno scorso Eataly ha aperto la filiale di Mo-
naco di Baviera, dopo quelle negli USA, negli Emi-
rati, in Giappone e in Turchia;
per finire, mi capita di leggere nei documenti di
una riunione europea un esempio di proposta
“fuori dagli schemi”: abbinare in un unico corso
l’insegnamento di lingua e cucina.
È stato proprio l’ultimo punto a rendere evidente il
fatto che tra cultura, cibo ed economia esista un le-
game molto più stretto di quanto non si pensi. O me-
glio: il legame tra cibo ed economia è abbastanza
evidente, ma su quello tra questi due temi e la cultura
raramente si riflette.
Se pensiamo alla Francia, quali sono le prime imma-
gini che ci vengono in mente? Parigi, il Louvre, i risto-
ranti superstellati, i quadri degli Impressionisti nei
quali spesso e volentieri spuntano le insegne di Chez
Maxim e dei locali famosi di Pigalle, lo champagne e
il patè. Cultura e buon cibo vanno a braccetto nel
creare l’immagine del paese e quell’immagine di-
venta anche un’arma commerciale. Quanto vino,
quanto champagne, quanto formaggio ha venduto la
Francia in tutto il mondo a prezzi quasi sempre alti o
altissimi? E perché gli acquirenti di tutto il mondo
sono stati e sono tuttora disposti a pagare quei prezzi,
anche se a volte sono un tantino esagerati? Non sarà
perché comprando una bottiglia di Beaujolais o una
fetta di Roquefort l’acquirente ha la sensazione di
comperare anche un pezzetto di Francia? Un pezzetto
dei manifesti di Toulouse-Lautrec? Una strofa di Mi-
lord?
La Francia è forse il caso più eclatante, ma ce ne sono
altri. Quanto ha contribuito al successo mondiale
della McDonald quella “american way of life” che i
film, la musica e la letteratura degli USA hanno espor-
tato in tutto il mondo? O l’indissolubile legame tra
Grecia e cultura classica all’esportazione di feta e olio
cretese?
Si potrebbe continuare, ma questi esempi sono suf-
ficienti a dimostrare che la cultura in senso lato – arti
figurative, musica, letteratura – può essere un formi-
dabile strumento di marketing di un paese.
Ed è vero anche il contrario: la “cattiva” cultura può
danneggiare pesantemente anche l’economia di un
paese. Non so se si potranno mai quantificare le oc-
casioni perdute per il fatto di essere visti più come la
patria della Mafia che come quella di Michelangelo.
Pur avendo una tradizione culinaria di tutto rispetto,
per quanti anni ci siamo concentrati sull’esportazione
di mosto per rinforzare i vini francesi, di vini di bassa
qualità e di pomodori pelati, buoni sì, ma che di sicuro
non aumentano la visibilità del Bel Paese?
Qualcosa di simile è avvenuto con la cultura. Una mia
amica, giornalista di cinema, lamentava il fatto che i
nostri festival del settore non hanno un comparto de-
dicato agli incontri commerciali, al contrario di quanto
fanno il Festival di Cannes e la Berlinale. Il risultato è
che i film presentati a Cannes e a Berlino trovano ra-
pidamente distributori per l’estero e i nostri restano
al palo. E il cinema è un potentissimo mezzo per far
conoscere un paese, basti pensare di nuovo agli USA.
Altro esempio: la cura delle relazioni con le istituzioni
culturali di altri paesi. Tre anni fa, lo Städel Museum,
OLTREILBORDODELPIATTO
CARLA
CIARLANTINI-KRICK
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
il più importante centro espositivo di Francoforte, or-
ganizzò una mostra su Botticelli. Per tutta la durata
dell’esposizione le file all’ingresso duravano ore. I vi-
sitatori vennero da tutto il paese per vederla. Siamo
stati noi a promuoverla? No, è stata la lungimiranza
e la straordinaria capacità manageriale di Max Hol-
lein, allora direttore del museo e famoso per aver sa-
puto convincere un’armata di sponsor a fare
cospicue donazioni, che gli hanno consentito di finan-
ziare il completo restauro della sede del museo, la co-
struzione di un’ala destinata all’arte moderna e
l’acquisto di nuove, importanti opere.
L’Italia invece si è limitata per troppo tempo a lasciare
che la sua immagine culturale venisse associata più
che altro a pochi luoghi ultracelebri come il Colosseo,
il Vaticano, Venezia e il Vesuvio. Per carità, non frain-
tendiamo: sono famosi perché se lo meritano. Però
sono anche carichi di cliché che nessuno ha fatto
nulla per correggere. In fondo ci andava bene puntare
sul turismo di massa sulla riviera romagnola (ma il
Tempio Malatestiano nel centro storico di Rimini non
lo visitava nessuno), sugli spaghetti ripassati al forno
e sul lambrusco nei bottiglioni da due litri. Però
adesso è arrivato il momento di cambiare in tutti e tre
i campi: cultura, eno-gastronomia ed economia.
Ho l’impressione che l’evoluzione, della quale la mo-
stra su Botticelli e l’arrivo della mozzarella DOP nei
supermercati sono incoraggianti segnali, sia il risul-
tato dell’iniziativa personale di singoli e aziende, sia
in Italia che all’estero, intraprendenti, lungimiranti e
anche un po’ anticonvenzionali, più che il risultato di
una strategia nazionale. Va bene, in tutti i campi i
primi a muoversi sono i pionieri, però poi deve arrivare
il resto del paese e soprattutto la sua classe dirigente.
Ora immagino che per molte persone la mia opinione
sul legame tra cultura, gastronomia ed economia sia
troppo materialistica, perché dopotutto la cultura ha
un valore più alto di quello puramente commerciale.
Questo è vero: non si può mettere il cartellino del
prezzo ai mosaici di Ravenna o ai versi dell’Ariosto.
Però è possibile e giusto farli conoscere ad un pub-
blico più vasto di quello che hanno avuto finora. Se
poi per farlo possono funzionare matrimoni non con-
venzionali come quello con il buon gusto alimentare
e se il risultato è anche positivo per la nostra econo-
mia, perché non farlo? Anche l’arte ha bisogno di
fondi. Tanti e il prima possibile.
DA PAGINA 10
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Il dilemma shakesperiano:
stay or leave
IlnuovosindacodiLondra,SadiqKhan,dicedistare
D
avvero Londra non finisce mai di sorpredere.
Questa volta lo fa conla politica,e conil messag-
gio di integrazione ed inclusione che il neo sin-
daco Sadiq Khan manda a tutta Europa e al mondo.
Tanto è stato detto sulla sua vita, sulle sue origini, sul
suo impegno come parlamentare, ministro ombra per
i trasporti e come avvocato per i diritti civili, anche sul
suo voto favorevole alle nozze gay, rappresentando un
Islam più laico, progressista e riformato. Queste sono
state le qualità del candidato Labour in una campagna
elettorale iniziata con le primarie della scorsa estate, in
cui Sadiq Khan ha faticato tanto per affermare la sua
nomination, anche con pezzi del partito scettici sulla
sua candidatura. Non facile anche per la sua distanza
da Corbyn, ma anche da quella blairiana del partito. Ha
dovuto faticare per mantenere quel profilo indipen-
dente e autonomo, che si è poi rivisto nella campagna
elettorale e nel suo slogan “un sindaco per tutti i londi-
nesi”.
La sua campagna è stata attenta ad un’affrancatura
dallaleadershipnazionale,dalleconteseinternealpar-
tito ed invece è stata una campagna elettorale locale,
fatta di visite a tutti i quartieri della città, di problemi
quotidiani dal costo della vita, ai trasporti, all’aria, al
traffico. Tutti aspetti, invece, che la campagna del suo
principaleavversarioZacGoldsmithhacompletamente
ignorato. A sorpresa, anche per la mitezza del perso-
naggio e della sua posizione politica, per certi versi
moltopiùliberaleemenoradicaledeisuoicolleghicon-
servatori, soprattutto in materia ambientale, Goldsmith
ha sviluppato una strategia elettorale del partito con-
servatore aggressiva, al limite dell’insulto razziale, più
attenta a vantaggi nazionali sul Governo che a conqui-
stare il governo della città. Una strategia della paura at-
tuata anche attraverso la stampa amica, soprattutto
quella distribuita ai pendolari, che ha prima sollevato
dubbisuisostegnielettoralidiKhannellasuacomunità
edinquellamussulmanadiLondra,poi,montandol’ac-
cusadiantisemitismo.Unacampagnacheperònonha
pagato, anzi. Nelle ultime settimane, gli elettori hanno
cominciato a spostarsi sul candidato laburista proprio
per la sua storia, per quella garanzia di rispetto della di-
versità e di assicurazione dell’inclusività, che i cittadini
diunacittàcosmopolitacomeLondrasiattendono,cer-
cano e vogliono. E’ proprio quello che è successo
quando la campagna elettorale locale si è incrociata
con il dibatitto sulla Brexit. La posizione del candidato
conservatore in sostegno della campagna per il Leave,
insiemealsindacouscente,BorisJohonson,haportato
molti elettori ha rivedere le proprie intenzioni di voto ed
andare sul candidato laburista. Grande impatto si è
avuto sugli elettori europei, che hanno così sopperito,
in un certo senso, all’impossibilità di votare per il refe-
rendum Brexit di giugno con la possibilità di scegliere
un sindaco pro o contro. Un tratto fortemente europeo
si è visto nella campagna elettorale condotta da Ivana
Bartoletti,primaedunicacandidataitalianaalconsiglio
comunale della città metropolitana di Londra per il La-
bour nel collegio Havering & Redbridge, est di Londra.
Unterritoriovasto,un’areaconfortissimaimmigrazione
mauncetomedioepopolareinglese,chenellaperiferia
della grande città sente maggiormente i problemi legati
alcarovita,aitrasportiedallasicurezza.Unasituazione
ditensionesocialeanchedovutaallapresenzadigrandi
comunità d’immigrazione. Una campagna pro europea
che ha accorciato, arrivando quasi ad annullarla, la di-
stanza con il candidato conservatore, che per poche
centinaia di voti ha vinto la competizione. Un vero pec-
cato, ma questo è anche un territorio dove l’Ukip, il par-
tito anti-europa e immigrazione del più noto Farange,
ha ottenuto l’8% dei voti, nella sua prima competizione
elettorale su Londra.
Quella di Ivana è davvero una vittoria mancata, ma la
sua candidatura, che è testimonianza concreta di
quanto necessaria e fruttuosa, per l’emigrazione e per
i Paesi di destinazione, sia la partecipazione politica
delle comunità europee residenti negli altri Paesi del-
l’Unione Europea. E’ una candidatura che deve raffor-
zare l’impegno politico delle nostre comunità all’estero,
ma che in una lettura più locale, qui nel Regno Unito,
deve far pensare a quanto lavoro il Labour deve ancora
compiere per recuperare il voto dei ceti più popolari e
trasmettere un vero messaggio di opportunità e positi-
vità nella permanenza del Regno Unito nell’Unione Eu-
ropea. Un’altracampagnaelettoralesiapreoggi,quella
sulla Brexit, dagli esiti ad oggi ancora incerti, ma nella
quale le voci come quella di Ivana dovranno essere di
piùepiùforti.Unasfidagiàquesta,inunPaesesempre
più rinchiuso su se stesso,nostalgico di unpassato glo-
rioso tanto lontano, ma con paure che crescono.
*segretario circolo PD Londra
ANALISIECOMMENTI
ROBERTOSTASI*
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DOMENICO
CERABONA*
Cosa ci dice il voto
nel Regno Unito
UnbuonrisultatomatanteincogniteperJeremyCorbyn
P
artiamo da un dato di realtà: il partito laburi-
sta, chiamato al primo vero test elettorale della
gestione Corbyn, ha ottenuto un buon risul-
tato. Diamo un po’ di numeri e poi facciamo qualche
analisi.
Si tenevano le elezioni in tutto il Regno Unito, questo
vuol dire: Irlanda del Nord (che meriterebbe un di-
scorso a sé e che quindi lascerei fuori dal quadro),
Scozia, Galles e in Inghilterra, dove si votava per il
governo locale e per il rinnovo di centinaia di comuni
tra cui grandi città come Liverpool, Manchester e,
soprattutto, Londra. Si sono tenute inoltre due ele-
zioni suppletive di altrettanti seggi parlamentari.
I dati nudi e crudi ci dicono che, in Inghilterra, il par-
tito laburista si afferma nuovamente come il primo
partito di governo locale, confermandosi alla guida
di ben 57 comuni inglesi (con una sola sconfitta ri-
spetto a 5 anni fa) a fronte di un partito conserva-
tore che ne controlla solamente 37.
Dico solamente, perché il peso relativo delle vittorie
laburiste è molto alto, considerando che i laburisti
conquistano quasi tutte le grandi città a partire da
Londra, che viene strappata ai conservatori dopo
otto anni.
Nel governo locale il partito laburista ottiene quasi
il doppio dei seggi eleggendo 1280 consiglieri con i
conservatori che si fermano a 755 E qui c’è il primo
dato significativo: i liberal democratici e l’Ukip di
Nigel Farage ottengono rispettivamente un migliora-
mento di +39 e +26 seggi, dimostrandoci che il si-
stema bipartitico – elemento fondamentale per il
funzionamento istituzionale britannico – è ormai ar-
rivato ad una fase di stallo, un tema importante se
poi al quadro aggiungiamo l’SNP scozzese di cui par-
leremo tra qualche riga.
In Galles il governo rimarrà laburista, con il partito
di Corbyn che perde un solo seggio nel parlamento
gallese nonostante la significativa crescita del par-
tito euroscettico di Farage che conquista ben 7 seggi
in più.
E arriviamo alle note dolenti per i laburisti, e cioè al
risultato scozzese. In Scozia il partito laburista arriva
terzo, dietro all’SNP di Nicola Sturgeon e al partito
conservatore. Il risultato non è certo una sorpresa:
un anno fa alle elezioni politiche l’SNP aveva spaz-
zato via dalla Scozia il partito laburista, conqui-
stando praticamente tutti i seggi che, storicamente,
erano appannaggio dei laburisti e che facevano
della Scozia una roccaforte rossa. Era difficile pen-
sare che, in appena otto mesi, Jeremy Corbyn po-
tesse invertire significativamente la rotta, tanto più
che a livello di governo locale l’SNP controlla il par-
lamento scozzese da più di dieci anni, ottenendo
oggi una storica terza rielezione.
Tanto più che il partito laburista scozzese ha una
propria leadership indipendente, con una Segreta-
ria, Kezia Dugdale, eletta prima dell’arrivo di Corbyn,
che al congresso del partito laburista del Regno
Unito ha appoggiato un’altra candidata: Yvette Coo-
per.
Voler dunque attribuire a Corbyn le responsabilità
del disastro scozzese pare una vera e propria forza-
tura. Anche perché va sottolineato che il partito
dell’SNP è un partito “radicale” che si pone alla si-
nistra del partito laburista: la chiave di lettura con
cui la Sturgeon ha conquistato la Scozia è stata pro-
prio quella di dipingere il partito laburista troppo col-
laborativo con le politiche di austerità del governo
Cameron.
Dunque viene difficile credere che per contrastare
l’SNP, che è aumentato in termini percentuali ma
che ha perso 6 seggi in parlamento rispetto a cinque
anni fa, sia necessario il ritorno ad una leadership
più moderata come alcuni analisti italiani ed inglesi
vorrebbero suggerire.
Per finire questo lungo elenco di consultazione elet-
torali, il partito laburista ha vinto le due elezioni sup-
pletive conquistando – o meglio, confermando –
due seggi parlamentari a Westminster.
A conferma del buon risultato elettorale vi sono le
proiezioni su base nazionale, che vedono il partito
laburista al 31%, con un sorpasso sui conservatori
che si fermano al 30%. A seguire le due altre realtà
del panorama britannico che entrambe fanno se-
gnare un ottimo risultato: i LibDem che, dopo il di-
sastro dell’anno scorso, fanno segnare un ottimo
15% e l’Ukip di Nigel Farage che si attesta ad un pre-
occupante – quantomeno per il sottoscritto – 12%.
Occorre però rimanere con i piedi per terra. Il quadro
è meno roseo di quanto possa apparire per il partito
ANALISIECOMMENTI
SEGUE PAGINA 14
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
laburista, perché la situazione drammatica in Scozia
rende alquanto difficile, per il momento, pensare di
poter conquistare la guida del Paese. Si votasse do-
mani infatti, i Conservatori rimarrebbero in vantag-
gio di 50 seggi conquistandone circa 300 (con un
arretramento di ben 30 seggi) a fronte del partito la-
burista che ne conquisterebbe 250 (con un miglio-
ramento di 20 seggi). Certo un significativo aumento
rispetto al risultato del 2015, ma comunque non
sufficiente per occupare il 10 di Downing street.
Per il partito laburista è dunque fondamentale ricon-
quistare qualcuno dei 54 seggi che sono stati vinti
nel 2015 dall’SNP scozzese, un compito difficile ma
al quale Corbyn non può sottrarsi se vuole avere
qualche speranza di governare il Regno Unito.
Il quadro elettorale non può lasciarci del tutto tran-
quilli sul futuro del referendum del 23 giugno su Bre-
xit. Il partito laburista è infatti l’unico partito che
faccia convintamente campagna per il no all’uscita
dall’Unione Europea e il 31% raccolto dal partito di
Corbyn non è chiaramente sufficiente ad assicurare
la vittoria.
Preoccupa infatti la crescita dell’Ukip di Farage che
ovviamente farà campagna per il sì a Brexit. Inoltre
il leader conservatore, il primo ministro Cameron,
pare in grande difficoltà nel paese e, soprattutto, nel
suo partito. Un partito che sul referendum sta con-
sumando una parte della corsa alla successione alla
leadership dei Tories, con l’ex sindaco di Londra, il
potentissimo Boris Johnson che sta facendo cam-
pagna per l’uscita dall’Europa, in aperta opposizione
al suo leader e premier con il preciso obiettivo di ru-
bargli la poltrona. Insomma la miscela rischia di es-
sere esplosiva e il risultato del referendum è tutto
meno che scontato.
In conclusione di questa lunga carrellata britannica,
non si può non parlare dello straordinario risultato
londinese. Occorre però uscire dalla retorica un po’
provinciale con cui è stata accolta la vittoria di Sadiq
Khan. Il neo eletto sindaco di Londra infatti non è
una meteora comparsa sul panorama britannico
con l’etichetta di figlio di immigrato. Khan è un espo-
nente di spicco del partito laburista ormai da diversi
anni.
Viene da molti dipinto come molto distante da Cor-
byn, anche se la realtà è che è stato uno dei 35 par-
lamentari che ha sottoscritto la sua candidatura:
senza il suo sostegno in parlamento, dunque, Je-
remy Corbyn non avrebbe potuto partecipare alla
fase congressuale “aperta” che poi, a sorpresa, lo
ha eletto con una vittoria schiacciante. Certo nella
seconda fase congressuale Khan ha appoggiato un
altro candidato, Andy Burnham, il quale tuttavia pro-
veniva a sua volta dall’ala “milibandiana” del partito
laburista, quella, per intenderci, post blairiana. È
quindi corretto affermare che le posizioni di Khan
siano più moderate rispetto a quelle dell’attuale lea-
der laburista, ma è certamente sbagliato dipingerli
come distanti anni luce. Tanto più che per la sua vit-
toria alle primarie, Khan ha potuto contare dell’ap-
poggio di molti sostenitori di Corbyn, cosa che
spesso viene omessa.
Nella sua campagna elettorale Khan ha dovuto af-
frontare forti attacchi razzisti, che lo dipingevano di
fatto come amico dei terroristi, principalmente per
le sue origini pakistane e musulmane. Per fortuna i
londinesi non si sono fatti irretire da questi attacchi
e hanno invece apprezzato il mix della proposta di
Khan: da un lato la promessa di essere un sindaco
con un grande occhio di riguardo per lo sviluppo
della piccola e media impresa e dall’altro una forte
attenzione alla giustizia sociale, in particolare con
una politica di housing sociale più avanzata e un tra-
sporto pubblico a prezzi calmierati. Questi ultimi
sono due temi fortemente sentiti dallo stesso Cor-
byn (londinese a sua volta) che, soprattutto dell’hou-
sing sociale, ha fatto uno dei punti di forza del suo
programma congressuale e della sua battaglia par-
lamentare.
I conservatori hanno cercato inoltre di trasformare
le elezioni londinesi in un referendum su Corbyn, nel
tentativo di “spaventare i moderati”. Anche questa
chiave di lettura è stata un fallimento, infatti il risul-
tato è stata una maggioranza schiacciante sia per
l’elezione del sindaco che per quella del consiglio
comunale.
Insomma il cammino da qui al 2020 per Jeremy Cor-
byn è ancora irto di ostacoli – anche e soprattutto
sul fronte interno, visto che molti dei suoi parlamen-
tari non vedono l’ora di contestare la sua leadership
– ma credo che il risultato di giovedì scorso fosse il
meglio che il leader laburista potesse aspettarsi.
* Responsabile culturale della Fondazione Giorgio
Amendola di Torino
Ha recentemente curato per Castelvecchi una pub-
blicazione su Jeremy Corbyn, “La rivoluzione gen-
tile“, in cui sono stati raccolti e tradotti alcuni
discorsi del leader laburista.
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Il futuro
di Lady Burma
LaBirmaniaelasualeaderallaprovadellademocrazia
L
a Birmania, o Myanmar che dir si voglia, ha defi-
nitivamente girato pagina. La lunga transizione
verso la democrazia, apertasi inaspettatamente
nel novembre del 2010 con la liberazione di Aung San
Suu Kyi, dopo più di un decennio di restrizione della
libertà e arresti domiciliari, si è definitivamente chiusa
con l’elezione del nuovo Presidente e la formazione di
un governo democratico. Il Presidente, Htin Kyaw, è
un fedelissimo della leader birmana, ancora impedita
ad assumere quel ruolo da una costituzione costruita
dalla giunta militare alcuni anni fa, con una clausola
odiosa ad personam che interdice la Presidenza a chi
è stato sposato con uno straniero o ha figli di altra na-
zionalità. Purtroppo la delicata transizione, con un par-
lamento ancora dominato dai militari, non ha
permesso il raggiungimento di un compromesso che
cancellasse la norma costituzionale. Così l’unico neo
della nuova fase democratica, rimane quello di un pre-
sidente che ha chiaramente dichiarato al momento
dell’insediamento, che la sua elezione era una vittoria
della “Lady”. Per conto suo la Nobel per la Pace si è
ritagliata il ruolo di Ministro degli Esteri, dell’educa-
zione, dell’energia, oltre che Consigliere di Stato. In-
somma, un super ministero che ne fa comunque la
più potente e autorevole personalità del suo paese,
cosa che creerà qualche imbarazzo alla diplomazia e
ai rigidi protocolli dei grandi della terra. Staremo a ve-
dere.
Ora per La Lega Nazionale per la Democrazia di Aung
San Suu Kyi non ci sono più alibi. Dopo le trionfali ele-
zioni del novembre scorso, deve dimostrare di saper
governare e indirizzare verso lo sviluppo e il benes-
sere, un paese dalle enormi potenzialità, frenate da
decenni di chiusura autarchica e feroci dittature mili-
tari. E’ giusto domandarsi, proprio ora, cosa abbia
spinto la Birmania dei militari a cedere il potere e ad
aprire il paese al mondo e alla libertà. La favola sem-
bra aver avuto un lieto fine, non solo per lo straordi-
nario coraggio dimostrato dalla “Lady” e dai tanti
uomini e donne del suo movimento, torturati, uccisi e
umiliati nelle galere birmane, ma anche per una deci-
sione inaspettata di almeno una parte dei generali al
potere. Quello birmano è un caso di studio interes-
sante per gli appassionati di geopolitica. La spinta de-
cisiva non è certo arrivata dalle sanzioni economiche,
pur giuste sul piano politico-ideale, imposte per anni
dai paesi occidentali. Sul piano economico infatti,
quelle sanzioni non hanno mai inciso in un paese iso-
lato dal resto del mondo da cinquanta anni di dittatura
militare. In fondo l’interscambio con l’occidente rap-
presentava solo il 7% del commercio estero birmano,
e negli ultimi trenta anni il vicino sud est asiatico, as-
sieme alla Cina e all’India, che circondano il paese
delle pagode, sono diventati il centro dello sviluppo
globale, e nessuno dei paesi asiatici ha mai aderito al
regime sanzionatorio. Piuttosto a giocare un ruolo di
primo piano sembrano essere stati due fattori decisivi.
Il primo è stato la presenza sempre più invadente della
Cina, cosà che ha creato negli anni passati un senti-
mento di diffidenza nei confronti del dragone da parte
della popolazione, ma ha agitato i sonni degli stessi
generali birmani, orgogliosi della loro indipendenza e
dotati di un alto tasso di xenofobia. Il secondo decisivo
fattore sembra essere stato l’apertura dell’ammini-
strazione Obama, che nella primavera del 2010, non
esitò a cambiare politica nei confronti della giunta, ab-
bandonando i toni duri del passato e incontrando l’al-
lora Primo Ministro generale Tein Sein (poi eletto
presidente nella transizione) in un vertice Asean. Lì
Obama si dichiarò pronto ad aiutare economicamente
e politicamente il Myanmar, se avesse favorito la tran-
sizione e liberato la “Signora”. Il motivo di tale offerta:
il contrasto all’espansionismo cinese, che dominando
la Birmania avrebbe trovato un facile sbocco nel-
l’Oceano Indiano. Certo, altri fattori hanno influito si-
curamente: la tenacia di Aung San Suu Kyi e del suo
movimento nello screditare agli occhi del mondo la
giunta militare, le pressioni di una diplomazia più soft,
alla ricerca di risultati concreti come quella dell’inviato
europeo Piero Fassino, sempre in lotta negli anni pas-
sati con i falchi dell’Europa del Nord, lo stesso deside-
rio di una nuova borghesia di Yangon, la capitale, che
dopo le timide aperture economiche degli anni no-
vanta, cominciava a scalpitare per cogliere le oppor-
tunità di sviluppo e di profitti che la globalizzazione
stava creando. Non bisogna dimenticare che quella
borghesia era legata a filo doppio ai generali e alle loro
famiglie e gli interessi economici coincidevano. Tutte
circostanze che hanno probabilmente spinto la Birma-
nia verso una pacifica e esemplare transizione demo-
ANALISIECOMMENTI
UGOPAPI*
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
cratica fino ai giorni nostri. Ma la nuova leadership ha
oggi di fronte una serie di importanti sfide: i conflitti
nelle zone di confine e con le minoranze etniche, che
rappresentano il quaranta per cento della popola-
zione, la povertà radicata e la necessità di migliorare
rapidamente infrastrutture decrepite e servizi educa-
tivi e sanitari a lungo trascurati, una burocrazia inges-
sata, e infine il rapporto con l’ancora potente esercito,
che ha nelle mani tre ruoli chiave dell’esecutivo: il Mi-
nistero dell’Interno, quello della Difesa e quello dei
rapporti con le minoranze. Inoltre all’esercito, la costi-
tuzione riserva un 25 % dei seggi del parlamento, ren-
dendo la mediazione sempre necessaria.
Il partito di Aung San Suu Kyi ha dichiarato a più ri-
prese di volere una vera riconciliazione nazionale e
l’incontro della leader con i vertici militari lascia ben
sperare. Non possiamo dimenticare che la “Lady” è fi-
glia del Generale Aung San, padre dell’indipendenza
birmana dopo il colonialismo inglese, e fondatore
dell’esercito. Questo aspetto, spesso trascurato in oc-
cidente, spiega in parte perché negli anni bui della dit-
tatura, Aung San Suu Kyi non sia stata in carcere né
abbia fatto la fine di tanti suoi confratelli , torturati e
uccisi nel corso degli anni. Il suo nome era troppo im-
portante e persino i generali hanno temuto le conse-
guenze interne, non solo internazionali, di un
trattamento “alla cilena” della allora giovane leader.
Inoltre l’esercito è oggi ancora una istituzione decisiva
nel risolvere positivamente la questione dei diritti delle
minoranze.
Qualunque decisione politica, dai cessate il fuoco già
in atto ad una vera e propria pacificazione, passano
per l’azione delle forze armate sul campo e dunque
un accordo rimane decisivo. Paradossalmente la vi-
cenda più intricata, quella della discriminata mino-
ranza Rohingya mussulmana ai confini con il
Bangladesh, può trovare una soluzione proprio se
l’esercito impone sul campo possibili soluzioni, a di-
spetto di un opinione pubblica decisamente anti mus-
sulmana e per nulla disposta ad assecondare le
aspirazioni politically correct dei media occidentali. Ri-
mane il problema di una Costituzione che per ora con-
segna troppo potere alle forze armate e che il nuovo
Presidente Htin Kyaw, si è impegnato a cambiare cer-
cando un non facile accordo con i militari. Per quanto
riguarda l’economia, Il Myanmar prevede una crescita
importante per il 2016 di oltre l’8 % Ma anni di cattiva
gestione e di isolamento si fanno sentire. La rete stra-
dale e ferroviaria è fatiscente e nelle città sono fre-
quenti le interruzioni di corrente. L’Asian Development
Bank stima in 60 miliardi di dollari le spese di moder-
nizzazione delle infrastrutture essenziali da qui al
2030. Gli ostacoli agli investimenti sono ancora molti
e le leggi da aggiornare richiederanno un duro lavoro
di revisione. Inoltre le leggi sul lavoro sono scarsa-
mente applicate e molto ci vorrà per raggiungere stan-
dard internazionali accettabili, con il lavoro minorile
dilagante, e un’ economia ancora dominata da cricche
legate alla vecchia giunta in regime di quasi monopo-
lio. Le leggi sulla libertà di stampa e sul diritto di scio-
pero sono recenti e vanno applicate e messe alla
prova. La Birmania è ora libera di scrivere il suo futuro,
solo il tempo ci dirà se la scommessa sarà definitiva-
mente vinta.
* Responsabile Asia del Dipartimento Esteri del PD
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Giustizia: risultati positivi
ma tanto lavoro da fare
L’incontroconilMinistroOrlandoalcircoloPddiNewYork
L
o scorso 20 aprile, il Circolo PD di New York ha
avuto l’occasione di incontrarsi con Andrea Or-
lando, ministro della Giustizia del governo Renzi.
A New York per partecipare a un incontro dell’ONU
sul problema della droga, il ministro ha incontrato il
circolo PD per rispondere alle nostre domande ed
esprimerci il proprio pensiero.
L’incontro è iniziato parlando del lavoro alla Giustizia
e di come la troppa aggressività, che porta a un ec-
cessivo numero di cause, sia uno dei problemi prin-
cipali sui quali si sta lavorando. Da 6 milioni di cause
del 2010 si è passati a 4,5 milioni, un passo impor-
tante ma non ancora sufficiente, perché il numero
sostenibile sarebbe di 3 milioni e 800mila. Anche i
tempi medi dei processi sono leggermente diminuiti,
6 mesi in meno rispetto al 2014.
Pur confortato da questi numeri, Orlando non si è na-
scosto dietro un dito, ammettendo che c’è ancora
molto lavoro da fare.
La riforma del processo civile sarà un’occasione di
migliorare ulteriormente la situazione: verrà creato il
tribunale della famiglia, e verrà potenziato il tribunale
delle imprese. Su quest’ultimo, il ministro ricorda
che, per molte cause che vedevano coinvolti investi-
menti esteri, il tribunale delle imprese riesce ad arri-
vare a sentenza abbastanza rapidamente (meno di
un anno per il primo grado), e questo è un dato che
dovrebbe incoraggiare l’arrivo di capitali stranieri
verso il nostro Paese.
Rispondendo a una domanda sullo stato attuale
della prescrizione, Orlando ha sottolineato come i
reati contro la Pubblica Amministrazione si prescri-
vano ora in 12 anni, e non più 6, grazie all’inaspri-
mento delle pene ottenuto con la legge Severino. Più
che sulla riforma della prescrizione, che comunque
va fatta, ci si dovrebbe focalizzare sulla disomoge-
neità con la quale la prescrizione incide nei processi
a seconda delle procure: in certe realtà il tasso di
prescrizione arriva al 20%, mentre in altre si attesta
su un ben più modesto 1%.
Queste discrepanze sono dovute al diverso numero
dei giudici in ciascuna procura, alla consistenza del
personale e ad altri fattori organizzativi: bisognerà
quindi intervenire sull’organizzazione, oltre che por-
tare a termine la riforma. Un altro punto sul quale si
potrebbe intervenire potrebbe essere l’introduzione
di un termine entro il quale un giudice debba deci-
dere cosa fare in un procedimento, se, cioè, archi-
viare o procedere.
Affrontando il tema dello stato delle carceri italiane,
anche in connessione con l’immigrazione, Orlando
ha chiarito come il rapporto fra numero di detenuti e
capacità delle nostre carceri sia migliorato negli ul-
timi anni. Due cose sulle quali si sta lavorando sono
l’affidamento dei tossicodipendenti a comunità, e i
rimpatri per i detenuti stranieri. Su quest’ultimo
punto, è opportuno citare che il rimpatrio non è pre-
visto per quei Paesi che non riconoscono la Carta dei
diritti dell’uomo. Per quel che riguarda gli altri Paesi,
il rimpatrio potrebbe a volte rivelarsi problematico,
perché è necessaria l’approvazione del giudice, e
inoltre può accadere che i Paesi riceventi (soprattutto
Romania e Albania) ostacolino il processo di rimpa-
trio, che per loro costituirebbe un costo.
Orlando si è soffermato sulle pene alternative, la cui
percentuale è in costante aumento: a oggi sono 40
mila i casi di detenuti che stanno scontando pene di
questo tipo, per esempio agli arresti domiciliari, o con
l’affidamento ai servizi sociali o in comunità. Oltre a
sgravare il nostro sistema carcerario, le pene alter-
native hanno un ulteriore vantaggio: il tasso di reci-
diva è in media più basso, attestandosi intorno al
25%, contro il 55% di chi sconta la pena in carcere.
Un altro tema toccato è quello delle frodi, e delle nor-
mative che le puniscono.
È la tutela delle vittime che va potenziata, sia durante
che dopo il processo. Alcuni modi per tutelare le vit-
time potrebbero essere un serio risarcimento del
danno, l’aiuto nel pagamento delle spese giudiziali
e, non ultimo, la creazione di occasioni di contatto
fra il reo e la vittima.
Quest’ultima soluzione, in particolare, potrebbe
avere il beneficio di mettere il reo davanti all’entità
concreta del danno arrecato: ciò genererebbe con-
sapevolezza e potrebbe diminuire i casi di recidiva.
Inoltre, il fatto che la vittima sappia della condanna
del colpevole aumenterebbe la fiducia nel nostro si-
stema della giustizia.
Ma approfittando della presenza del ministro, come
non parlare di un tema così attuale come le riforme
DEMOCRATICINELMONDO
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
costituzionali? Orlando non si tira certo indietro: l’Ita-
lia è finalmente un Paese che si muove dopo tanto
immobilismo. A suo parere, le riforme oggetto del re-
ferendum che si terrà in autunno andrebbero spie-
gate nel merito, in modo che gli elettori le abbiano
chiare in mente e votino con cognizione di causa. Il
rischio che si potrebbe correre se queste riforme non
dovessero essere approvate sarebbe una caduta ver-
ticale nella fiducia verso le istituzioni, che genere-
rebbe scenari problematici.
Per il ministro, il referendum del prossimo autunno
non dovrebbe rappresentare un voto pro o contro il
capo del Governo, ma si deve fare lo sforzo di con-
centrarsi sul merito delle riforme. Una replica sorge
spontanea: non è stato forse Renzi stesso a dichia-
rare, più volte e con toni molti chiari, di lasciare il suo
incarico in caso di esito negativo? L’auspicio del mi-
nistro, se letto alla luce di questa dichiarazione, ri-
sulta quantomeno singolare. Ma secondo Orlando la
famosa frase di Renzi “se perdo me ne vado” è solo
dettato dalla consapevolezza di chi ha preso un im-
pegno e lo vive con realismo.
Restando sul tema del nostro scalpitante presidente
del Consiglio, è stato chiesto al ministro che cosa
manca a Renzi per essere un grande? Pur ricordando
di non aver votato per Renzi al Congresso del PD, Or-
lando ha posto l’accento sulle azioni di Renzi, rifiu-
tando l’accusa che si segua un’agenda di destra: se
confrontati con le misure prese da altri leader euro-
pei, le decisioni di Renzi in termini di immigrazione,
politica estera, flessibilità del lavoro, non possono es-
sere definite di destra. Può darsi che sia stato il pa-
norama europeo a cambiare, ma in ogni caso,
secondo Orlando, siamo sulla strada giusta.
Ciò detto, forse non sono tutte rose e fiori: il linguag-
gio del partito è cambiato e questa novità sembra di-
sorientare molte persone. Il partito pare
disorganizzato, soprattutto data la mancanza di luo-
ghi dove poter condurre dibattiti interni. Ci si affida
forse troppo ai social media, e il risultato è un’ato-
mizzazione della politica che
rende più difficile la costru-
zione di un comune sentire. A
volte, le campagne elettorali
sono effettuate dai singoli, con
lo scopo di garantirsi le prefe-
renze e la visione di partito
passa troppo spesso in se-
condo piano.
Orlando auspica un’evoluzione
della forma-partito, soprattutto
ora che la Rete ha cambiato le
carte in tavola. Si parla del-
l’esempio di Napoli: il ministro
non invoca un commissaria-
mento del partito, ma auspica
la partecipazione dei cittadini,
non solamente con le primarie.
La speranza sarebbe quella di
creare nuove piattaforme per
stimolare un dibattito politico.
In questo contesto, i circoli do-
vrebbero essere una fucina di
idee, senza limitarsi solamente
alla discussione di idee già
viste sui giornali.
L’incontro è stato partecipato e
molto apprezzato, alcuni dei presenti, forse stanchi
di sentire le solite dichiarazioni di certi esponenti del
PD, spesso smaccatamente “pro” o “contro” la poli-
tica del partito, sono stati colpiti da questo uomo po-
litico non solo capace di vedere sia i pregi che i limiti
del gruppo dirigente, ma anche di indicare una
strada per migliorare le cose in modo costruttivo.
Speriamo di averlo presto nuovamente nostro ospite
in occasione della sua prossima visita dalle nostre
parti.
di Jacopo Coletto, circolo PD New York
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Chernobyl
trent’anni dopo
Ricordi e speranze del più grande disastro nucleare della storia
A
fine aprile, mentre l’Italia celebrava i 30 anni
dell’Internet day, ossia la prima connessione del
nostro paese in rete, in Ucraina si ricordavano i
morti, ma soprattutto si rivangavano le polemiche di
quello che è stato il più grande disastro nucleare della
storia umana.
Il 26 aprile 1986, un errore umano, dovuto anche a
falle tecniche di progettazione della centrale, scatenò
un massiccio sovraccarico energetico che condusse
a una serie di esplosioni nel quarto reattore della cen-
trale nucleare di Chernobyl, nell’allora repubblica so-
vietica di Ucraina.
L’incidente produsse nell’immediato trenta morti, ma
costrinse all’evacuazione di oltre 200mila persone,
mentre le autorità sovietiche stabilivano una “zona di
esclusione”, dunque inabitabile, grande quanto tutto
il Lussemburgo e che si estendeva con un raggio di
30 km intorno alla centrale. Lo scoppio provocò la fu-
sione del nocciolo del reattore, scarsamente protetto,
e l’esplosione (non nucleare) del reattore stesso e il
rilascio nell’ambiente di ingenti quantità di materiale
radioattivo. Le due esplosioni produssero una pioggia
di detriti fortemente radioattivi, mentre la nube radio-
attiva cominciò a diffondersi nei cieli di tutta Europa.
L’incidente fu classificato al livello 7°, il più alto della
scala INES, la classificazione internazionale che defi-
nisce la gravità degli incidenti di tipo nucleare o radio-
logico, sviluppata dall’agenzia internazionale per
l’energia atomica. Tale primato è stato raggiunto solo
dall’incidente di Fukushima in Giappone nel 2011, ma
che risultò nello sversamento di una minore quantità
di materiale radioattivo.
I ritardi sovietici e i divieti sanitari in Italia
Secondo l’ex leader sovietico Mikhail Gorbachev, la
tragedia di Chernobyl rappresenta uno dei principali
colpi mortali inferti alla decadente Unione Sovietica.
In effetti, l’incidente fu gestito particolarmente male
dalle autorità di Mosca, che lanciarono l’ordine di eva-
cuazione soltanto 36 ore dopo lo scoppio del reattore,
pertanto ne fu sottolineata l’irresponsabilità nella ge-
stione dell’emergenza, compresa la negligenza nel di-
ramare l’allarme. Anche a Roma, una settimana più
tardi, migliaia di persone definitesi gli “Amici della
Terra” manifestarono dinanzi l’ambasciata sovietica
di Roma, indossando maschere e guanti di plastica e
protestando con cartelli contro l’atomo e la disinfor-
mazione circolante in Unione Sovietica.
Gran parte delle ammissioni sovietiche avvenne solo
in seguito a ripetute pressioni diplomatiche. Nei paesi
scandinavi, infatti, fin dal 26 aprile furono registrati
elevati livelli di radioattività nell’atmosfera. Il primo
flash dell’agenzia TASS fu rilasciato alle ore 21 del 28
aprile da parte “del consiglio dei ministri dell’URSS”.
L’agenzia del Cremlino annunciava: “Un incidente si è
prodotto nella centrale nucleare di Chernobyl, uno dei
reattori atomici è rimasto danneggiato, vengono prese
misure per liquidare le conseguenze del guasto, ai col-
piti viene prestato aiuto, è stata costituita una com-
missione d’inchiesta governativa”. Già il
riconoscimento di “colpiti” e la formazione di una com-
missione d’inchiesta lasciavano presagire la gravità
della situazione. Gli eroi di questa tragedia furono i co-
siddetti “liquidatori”, ossia i circa 600mila civili e sol-
dati sovietici che furono radunati attraverso tutto il
territorio sovietico per eliminare gli effetti dell’inci-
dente, e che lavorarono nel sito a fasi alterne fino alla
dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Nel 1991, il Parlamento ucraino votò una legge che
diede diritto ad alcuni benefici economici e a pensioni
speciali per i liquidatori, come riparazione per il tempo
trascorso nella “zona di esclusione” e le malattie con-
tratte. Nel frattempo, in Italia la notizia fu riportata dai
maggiori quotidiani solo il 29 aprile. I giornalisti, al pari
del governo, rimasero in bilico tra l’assunzione di un
atteggiamento catastrofista e i richiami alla calma. Si
comprese subito che la nube radioattiva avrebbe sor-
volato i cieli di mezza Europa, compresi quelli italiani.
Il Ministro della Sanità, il 2 maggio impose il divieto di
vendita per 15 giorni delle “verdure a foglia” (insalata,
spinaci, ecc.) e vietò la somministrazione di latte fre-
sco ai bambini al di sotto dei dieci anni di età e alle
donne in stato di gravidanza. Altri divieti del “decalogo”
di quei giorni prevedevano di non bere acqua piovana
o di non far pascolare il bestiame nei campi. Molti ita-
liani, però, vennero confusi dal successivo annuncio
del ministro che mutò i divieti in semplici suggerimenti,
per allinearsi agli annunci meno catastrofisti rilasciati
dal ministro della Protezione civile. La disputa sui di-
vieti terminò solo con l’annunciò televisivo, il 24 mag-
ANALISIECOMMENTI
CONOGIARDULLO*
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gio, da parte del Presidente del Consiglio Craxi che co-
municò al paese di poter tornare a consumare tutti gli
alimenti in maniera regolare.
A distanza di trent’anni,
come l’Ucraina fronteggia la tragedia?
Davanti al memoriale agli eroi di Chernobyl a Kiev, le
più alte cariche dello Stato hanno deposto dei fiori il
26 aprile scorso. L’Ucraina ha deciso di togliere il se-
greto di Stato da 49 documenti secretati, in cui si sot-
tolinea l’impreparazione delle autorità sovietiche a far
fronte a tale tipo di incidente.
Nei trent’anni trascorsi, si sono succedute numerose
inchieste di esperti indipendenti nell’area contami-
nata da Chernobyl. Citando solo le fonti più autorevoli,
le Nazioni Unite fissano il bilancio delle vittime a circa
4mila. Altri esperti stimano che i decessi legati in qual-
che modo allo scoppio possano aggirarsi entro i 30 e
i 60mila, mentre Greenpeace parla addirittura di
90mila vittime. Un altro grave problema è quello dei
nuovi nati nella zona ad alto rischio, che soffrono
quasi tutti di patologie alla tiroide, problemi cardiova-
scolari o all’apparato digerente.
Nonostante gli effetti devastanti, e la grande eco in-
ternazionale suscitata, il terzo reattore della centrale
ucraina fu chiuso solo nel 2000, a seguito di consi-
stenti pressioni della comunità internazionale. In
Ucraina rimangono attive 15 centrali nucleari, per for-
tuna nessuna vicino alle regioni in conflitto del Don-
bass, nell’est del paese. Ma Chernobyl, si è anche
trasformata nel luna park degli orrori, dove ogni anno
circa 10mila turisti usufruiscono dei servizi di tour ope-
rator locali per un tuffo nel passato nei luoghi spettrali
intorno alla centrale.
In mezzo a tanta tragedia, però, l’impegno della co-
munità internazionale è stato esemplare. Il G7 del
1997 creò il Fondo di Protezione di Chernobyl (Cher-
nobyl Shelter Fund) che oggi raccoglie sotto l’ammini-
strazione della Banca europea di ricostruzione e
sviluppo circa 2,5 miliardi di euro, frutto delle dona-
zioni di 45 paesi, tra cui l’Italia. Il progetto senza dub-
bio più celebre del Fondo è il gigantesco sarcofago
rivestito d’acciaio (New Safe Confinement), costato fi-
nora 1,5 miliardi di euro e che racchiuderà il sito del
reattore esploso ed eviterà ulteriori fuoriuscite di ma-
teriale radioattivo per i prossimi 100 anni. Questa ma-
stodontica opera di ingegneria, che sta venendo alla
luce direttamente sul sito dell’incidente, utilizza ma-
teriali trasportati dall’Italia e poi assemblati dalle so-
cietà appaltatrici locali sotto la supervisione delle
aziende francesi Bouygues e Vinci. Inoltre, il fondo in
futuro sarà utilizzato anche per il possibile smantella-
mento della struttura contaminata.
Numerose conferenze si sono succedute per soste-
nere tali iniziative, l’ultima delle quali si è tenuta a Lon-
dra nel 2015. Un mondo senza rischi legati all’uso
dell’energia nucleare è forse ancora un miraggio, ma
il messaggio di speranza più bello e forse anche
l’unico di questa tragedia è proprio l’impegno profuso
dalla comunità internazionale nell’assistere l’Ucraina
in uno sforzo economico e tecnologico che nessun
paese avrebbe potuto affrontare da solo, per un futuro
degno delle aspettative delle generazioni venture.
* Esperto OSCE: Organization for Security
and Co-operation in Europe
mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
DA PAGINA 19
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
Migration compact:
proposte che guardano lontano
Luci e ombre del documento presentato dall’Italia all’Unione Europea
Il Migration Compact è il documento “non-ufficiale”
(non-paper) presentato il 15 aprile 2016 dal Governo
italiano all’Unione Europea. Più precisamente indiriz-
zato al Presidente della Commissione Europea Jun-
cker, al Presidente di turno del Consiglio dell’UE,
l’olandese Rutte e al Presidente del Consiglio Europeo
Tusk.
Da un punto di vista della forma, il documento ha un
impianto leggero, fruibile e persino didascalico: inizia
con una introduzione circa il grande fenomeno migra-
torio di questi giorni; propone un beve passaggio su
ciò che l’UE ha già fatto per fronteggiare e gestire que-
sto fenomeno indicando anche alcuni limiti circa ciò
che è stato fatto (Lessons learned), per poi passare
al paragrafo 3. E’ questa la parte più squisitamente
propositiva che è suddivisa in: a) ciò che l’UE po-
trebbe offrire (The EU may offer); b) ciò che l’UE po-
trebbe chiedere ai paesi terzi coinvolti nella gestione
dei flussi migratori (The EU may ask) e c) come finan-
ziare le misure proposte. Il documento, infine, si
chiude con un postilla dedicata specificamente alla
Libia.
Il Migration Compact, a mio avviso, ha tre meriti prin-
cipali. Il primo è quello di essere un documento di re-
spiro veramente europeo e transnazionale. L’analisi
del fenomeno migratorio, l’individuazione di specifi-
che e forti criticità e le proposte avanzate sono inse-
rite in una prospettiva squisitamente europea. Non si
parla di Italia o di interessi italiani. Il Governo, nella
presentazione del documento, si è collocato in quella
dimensione sovra-nazionale ed europea che spesso
viene evocata dagli europeisti più convinti perché
troppo assente nell’Europa degli egoismi nazionali.
L’assunzione di questa prospettiva conduce inevita-
bilmente ad assumere una prospettiva e ad avanzare
proposte globali. Ed è appunto il caso del Migration
Compact. Per cui si chiede all’Europa di essere attore
unitario su di uno scenario mondiale, con una visione
strategica globale e transnazionale.
Tutto questo costituisce, nel quadro del dibattito eu-
ropeo, un innegabile salto di qualità. L’altro merito è
l’aver chiaramente detto che se non assumiamo fi-
nalmente una nuova prospettiva e una nuova co-
scienza sull’Africa e sui grandi rivolgimenti di questo
continente, non ne usciremo più.
Come ben specificato nella breve introduzione, il fe-
nomeno migratorio è destinato a durare decenni. Tale
fenomeno trova le sue origini principalmente in Africa
e, in particolare, in situazioni altamente critiche come
quelle della Libia, della Nigeria, del Corno d’Africa e
del Darfur. Guerre, carestie, cambiamenti climatici,
povertà diffusa e cronica spingono le persone resi-
denti in queste aree ad andarsene e a migrare verso
il Vecchio Continente.
Un terzo merito del Migration Compact è quello di es-
sere un documento che prova a guardare lontano. Sia
nella sua parte analitica che in quella propositiva, si
invita l’Europa ad assumere strategie di medio e
lungo termine, anziché ripiegare su soluzioni, spesso
tra loro disarmoniche, tese a gestire il presente e
l’emergenza. Il documento suggerisce, al contrario, di
adottare strategie tese a gestire il futuro per rendere
il fenomeno migratorio una opportunità di cambia-
mento e sviluppo per l’Europa stessa, e non solo un
problema.
Il documento tuttavia presenta anche alcuni limiti. Nel
passaggio, estremamente interessante e suggestivo,
che fa riferimento alla necessità di mappare i possibili
stati terzi con cui avviare le forme di cooperazione ne-
cessaria a co-gestire i flussi migratori, non viene fatto
alcun cenno alle situazioni politiche e alla qualità
della democrazia di quei paesi.
Collaborare con paesi dove non vengono applicati gli
standard minimi di rispetto dei diritti umani potrebbe
rivelarsi un’arma a doppio taglio. Coloro – individui e
organizzazioni – che in quei paesi lottano per una
maggiore libertà, contro la corruzione e per una mag-
giore umanizzazione della dimensione sociale e poli-
tica, potrebbero vedere nell’Europa un nemico
indiretto in quanto partner del governo in carica.
Un altro limite è la genericità della proposta che, pa-
radossalmente, potrebbe apparire la più concreta del-
l’intero documento. E cioè l’emissione di obbligazioni
europee (Euro-bonds) per finanziare i costi delle pro-
poste.
Questo passaggio è ben al di là dall’essere chiaro:
quando si menzionano gli “EU-Africa bonds” non si
chiarisce chi e come, in Europa, fornirà le garanzie
necessarie. Si legge solo un breve e generico passag-
gio sulle sinergia con la BEI (Banca Europea per gli In-
ANALISIECOMMENTI
ROBERTOSERRA*
SEGUE PAGINA 22
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
vestimenti) e “altre organizzazioni finanziarie europee
e internazionali”. Circa gli Euro-bonds – concetto
chiaro a tutti - non viene però chiarito quale o quali
sono i soggetti emettitori dei titoli.
Il dato certo è che l’emissione di obbligazioni com-
porta, di per sé, un accrescimento del debito pub-
blico. In questo caso del debito pubblico europeo
preso nel suo insieme. Se, da un lato, è pienamente
europeo proporre l’emissione di obbligazioni europee
(e non nazionali), dall’altro lato sappiamo che, per
come è conformata oggi l’UE e il suo bilancio, tale pro-
posta non è attuabile. Non parliamo, poi, della totale
assenza, nelle quattro pagine del documento, di qual-
siasi cifra (pur approssimativa) e budget.
A mio avviso, i tedeschi e la loro riluttanza a questa
misura c’entrano fino ad un certo punto.
Infine un ultimo limite, è che il documento è troppo
istituzionale e poco o nulla non-governativo. Siamo
tutti d’accordo sul fatto che sono anzitutto i governi,
le istituzioni europee e i governi dei paesi terzi ad es-
sere chiamati in causa circa la gestione dei flussi
umani. Ma c’è un universo di ONG, di volontari, di as-
sociazioni di volontariato che da anni operano –
spesso nelle situazioni più difficili e di trincea – per
umanizzare e, in qualche modo, contenere il feno-
meno migratorio.
Strano che non si faccia alcun cenno ai tanti cittadini
europei che da “eroi silenziosi” operano con e ac-
canto alle persone che emigrano, ai loro bisogni, alle
loro richieste. In Europa come nei paesi di prove-
nienza. L’Europa, intesa come soggetto unico chia-
mata a fronteggiare un fenomeno gobale come quello
dello spostamento di grandi flussi umani, è composta
anche da loro e dal loro quotidiano lavoro. E dal loro
esempio umano.
*PD Lussemburgo
DA PAGINA 21
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mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
OTTIMI RISULTATI
PER l’AGROALIMENTARE
ITALIANO ALL’ESTERO
L’Italia nel 2015 ha raggiunto il record storico delle
esportazioni agroalimentari con un giro d’affari di
36,8 miliardi, un valore che è praticamente raddop-
piato negli ultimi dieci anni (+74%). A trainare il fe-
nomeno, secondo un rapporto della Coldiretti, è
stato soprattutto il vino che fa registrare un aumento
dell’80 per cento nel decennio per raggiungere nel
2015 un valore delle esportazioni di 5,4 miliardi che
lo colloca al primo posto tra i prodotti della tavola
Made in Italy all’estero. Al secondo posto si posi-
ziona l’ortofrutta fresca con un valore stimato in 4,4
miliardi nel 2015, ma con una crescita ridotta e pari
al 55%, mentre al terzo posto sul podio sale la pasta
che raggiunge i 2,4 miliardi per effetto di una cre-
scita del 82% nel decennio. Nella top five ci sono
anche i formaggi che hanno raggiunto un export sti-
mato a 2,3 miliardi con un balzo del 95% in dieci
anni, mentre la classica “pummarola” fa salire la
voce pomodori trasformati a 1,5 miliardi (+88% nel
decennio). A determinare l’ottima performance
dell’agroalimentare italiano sono stati anche l’olio
di oliva e i salumi. Circa un prodotto alimentare ita-
liano esportato su cinque è “Doc” con il valore delle
esportazioni realizzato grazie a specialità a denomi-
nazione di origine.
VOLA IL MADE IN ITALY
NEL MONDO: 122 MLD
DI EURO IL SALDO COMMERCIALE
DEL 2015
Il saldo commerciale del 2015 dei prodotti “made in
Italy“ è stato di ben 122,4 miliardi di euro. A riferirlo
è la CGIA di Mestre che parla di un vero e proprio
successo delle nostre specializzazioni produttive nel
mondo che sono costituite soprattutto da quattro
grandi aree merceologiche: l’automazione mecca-
nica, l’abbigliamento-moda, l’arredo-casa e l’alimen-
tare-bevande. Un risultato, quello del 2015,
comunque in linea con gli esiti toccati negli ultimi
anni. Se nel 2009 il saldo positivo era sceso a 88,4
miliardi, da quel momento in poi si sono registrati
solo numeri positivi per arrivare al picco massimo
nel 2015, con 122,4 miliardi di euro. Negativo, in-
vece, il punteggio ottenuto da altri prodotti: compu-
ter, chimica- farmaceutica, prodotti metallurgici,
tabacco e legno-carta hanno riportato tutti un saldo
negativo. Dall’analisi dei singoli comparti manifat-
turieri del made in Italy emerge lo straordinario ri-
sultato ottenuto dai macchinari (motori, turbine,
pompe, compressori, rubinetteria, utensili, apparec-
chi da sollevamento, forni, bruciatori, etc.). Nel 2015
il saldo commerciale è stato positivo e pari a 49,8
miliardi di euro.Seguono il tessile-abbigliamento-
calzature con 17,6 miliardi, i prodotti in metallo (im-
ballaggi leggeri, fili metallici, catene, molle,
bulloneria, bidoni, contenitori in acciaio, etc.) con
11,1 miliardi, i mobili con 7,2 miliardi, gli apparecchi
elettrici (lavatrici, frigoriferi, lavastoviglie, lavasciuga,
congelatori, accumulatori elettrici, apparecchiature
di cablaggio, batterie di pile, generatori, etc.) con 6,5
miliardi e altri materiali non metalliferi (vetro, porcel-
lana, ceramica, refrattari, cemento, etc.) con 6,4 mi-
liardi di euro.
Il made in Italy è ancora prodotto prevalentemente
dalle piccole e medie imprese italiane che, grazie
alla flessibilità, all’elevata specializzazione produt-
tiva, alla cultura del buon gusto e del saper fare
hanno conquistato il mondo in settori, come quello
delle macchine, dove la ricerca, l’innovazione e la
qualità del ciclo produttivo sono requisiti indispen-
sabili per competere sul mercato. Quali sono i Paesi
in cui sono più apprezzati i prodotti made in Italy? Il
nostro principale partner commerciale è la Germa-
nia, con merci esportati per un valore di 30,3 mi-
liardi di euro. Seguono la Francia (27,7 miliardi), gli
Stati Uniti (24,6 miliardi), il Regno Unito (14,8 mi-
liardi), la Spagna (11,2 miliardi) e la Svizzera (11 mi-
liardi di euro). Si segnalano infine aumenti di vendita
molto significativi negli Emirati Arabi (+15,4 per
cento), negli Stati Uniti (+15,2 per cento) e in Spa-
gna (+10 per cento).
VACANZE:
PER GLI ITALIANI FORMENTERA
AL TOP DELLE PREFERENZE
TripAdvisor nel suo Summer Vacation Value Report
2016, ha svelando la top 10 delle destinazioni estive
per i viaggiatori italiani in base all’interesse di pre-
notazione e i costi medi per una settimana di sog-
giorno. Se l’anno scorso era Londra la destinazione
più ricercata per le vacanze estive dai viaggiatori ita-
liani, quest’anno al top delle preferenze sale For-
mentera. Il fascino dell’isola delle Baleari supera
così grandi città come Londra (quest’anno al quinto
posto), New York che ottiene la seconda posizione
e Roma che, si attesta in sesta posizione. Sono sei
le destinazioni marittime ambite: San Vito Lo Capo,
Villasimius , Gallipoli, San Teodoro, Barcellona e
Porto Cesareo.
Un altro trend che emerge dalla classifica delle mete
più ricercate per l’estate è che gli italiani sognano
l’Italia: tra le 10 destinazioni che compongono la
classifica ben 6 infatti sono italiane. Per quanto ri-
guarda i costi, sul podio delle località con il prezzo
medio più basso troviamo Roma (Euro 1.415), se-
guita da Barcellona (Euro
1.536) e San Vito Lo Capo (Euro 1.575).
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Pd mondo maggio2016_

  • 1. SOMMARIO........................ EDITORIALE Crisi Venezuela. Se ne esce solo con dialogo democratico di Eugenio Marino QUI ITALIA PAG. 3 Referendum trivelle, come si è votato all’estero di Alfredo Orlando DAL PARLAMENTO PAG. 5 Italia e Canada: un legame che si rafforza di Francesca La Marca QUI NEW YORK PAG. 7 Governo attento alle prospettive e al futuro di Silvana Mangione QUI CANADA PAG. 9 Progresso democratico e interculturalità di Michel Maletto e Giueppe Continiello OLTRE IL BORDO DEL PIATTO PAG. 10 Ambasciatori in Missione Italia di Carla Ciarlantini-Krick ANALISI E COMMENTI PAG. 12 Il dilemma shakesperiano: stay or leave di Roberto Stasi Cosa ci dice il voto nel Regno Unito di Domenico Cerabona Il futuro di Lady Burma di Ugo Papi DEMOCRATICI NEL MONDO PAG. 17 Giustizia: risultati positivi ma tanto lavoro da fare di Jacopo Coletto ANALISI E COMMENTI PAG. 19 Chernobyl trent’anni dopo di Cono Giardullo Migration compact: proposte che guardano lontano di Roberto Serra NEWS PAG. 24 Lo scorso 3 maggio nella sede del PD Nazionale abbiamo avuto un in- contro informale con una delegazione venezuelana, della quale face- vano parte, tra gli altri, il padre di Leopoldo Lopez, l’oppositore del governo Maduro condannato a 13 anni di carcere per aver organizzato una manifestazione di piazza poi finita con atti di violenza, e Vanessa Ledezma figlia del sindaco di Caracas, arrestato nel 2015 e tuttora in carcere. All’incontro erano presenti diversi parlamentari del PD e della maggioranza di governo eletti all’estero ed è stato un momento impor- tante per acquisire nuove informazioni sulla delicatissima situazione del Paese sudamericano, attraversato da una crisi politica, economica e so- ciale profonda con ripercussioni molto gravi sulla popolazione. Basti pen- sare che alle lunghe file davanti ai supermercati, alle proteste spontanee, ai black out elettrici a volte programmati a volte no, si è ag- giunta una nuova gravissima emergenza, quella sanitaria, che ha messo in ginocchio medici e pazienti. La carenza di risorse non permette più agli ospedali venezuelani di curare correttamente i malati non solo per- ché mancano i medicinali e non vengono assicurati i rifornimenti, ma anche per l’assenza del materiale sanitario di base nei presidi medici. Oltre alla situazione economica e sociale, gli ospiti venezuelani hanno sottolineato con preoccupazione il fatto che in Venezuela oggi vi siano ben 83 prigionieri che si trovano in carcere per atti che derivano anche da azioni o manifestazioni politiche. Vanessa Ledezma, che oggi vive in Italia, ma da anni sostiene le inizia- tive a favore di una maggiore democrazia nel suo Paese d’origine, ha sostenuto che “il Venezuela sta sprofondando nel caos non solo per la recessione e l’inflazione che è arrivata al 720%, ma anche perché si è in presenza di una vera emergenza democratica”. I parlamentari italiani presenti, deputati e senatori, hanno espresso la propria solidarietà al popolo venezuelano e preoccupazione per ciò che sta vivendo la grande comunità italiana di emigranti, le cui condizioni economiche e sociali sono fortemente deteriorate. Particolare atten- zione è stata posta sulle restrizioni alle libertà civili ed economiche, alla vicenda di diversi leader dell’opposizione (alcuni dei quali in carcere in attesa di processo) e si è richiamato il rispetto dei trattati internazionali sottoscritti proprio in materia di diritti umani, insieme alla necessità di evitare manifestazioni di violenza anche da parte dell’opposizione. Da parte mia ho sottolineato che da molti anni siamo impegnati ad aiu- tare il Venezuela nel percorso di democratizzazione e più volte siamo in- tervenuti, anche in ambito internazionale, per richiamare tutte le parti Crisi venezuela. Se ne esce solo con dialogo democratico ANNO VI / N°4 - Maggio 2016 a cura dell’ufficio PD Italiani nel mondo itmondo@partitodemocratico.it Chiuso in redazione il 25 maggio 2016 EUGENIO MARINO SEGUE PAGINA 2
  • 2. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 al rispetto delle pratiche democratiche, della costitu- zione venezuelana e dei diritti civili e umani. E non solo in Venezuela. Continueremo a farlo ovunque ve ne sia bisogno e in ogni circostanza. Ho però ricordato che non va radicalizzato lo scontro tra le parti politi- che, ognuna delle quali ha meriti e colpe sia nel cam- mino democratico che nella radicalizzazione dello scontro e nella violenza, ma va piuttosto favorito il dia- logo tra le parti e il reciproco riconoscimento demo- cratico, perché solo trovando punti di incontro tra Governo e Assemblea si riuscirà ad evitare che il Ve- nezuela precipiti in una crisi ancora peggiore. Crisi che ricadrà prima di tutto sui cittadini più deboli, che invece vanno sempre tutelati e, in buona parte, anche sulla nostra ampia comunità italiana e italodiscen- dente. In Venezuela, oggi, vi sono rischi e opportunità impor- tanti. Vi è stato un progresso democratico segnato da gravi ferite su entrambi i fronti, ma pur sempre un pro- gresso democratico che ha portato l’opposizione a Maduro a ottenere un’ampia maggioranza parlamen- tare in elezioni gestite sì dal Governo, ma in modo re- golare. E il cui risultato è stato accettato dallo stesso Maduro. Questa è la strada giusta e gli attori politici su questa strada devono continuare, contendendosi la leadership del governo e del Paese sulla proposta economica, politica e sociale e non sul braccio di ferro tendente a proporre un falso scontro tra dittatura e democrazia o a una contesa tra la continuazione del chavismo e un ritorno a metodi e politiche precedenti il chavismo. Il futuro del Venezuela, dunque, sta nelle proposte politiche che la sua classe dirigente di ogni ambito saprà darsi e sul rispetto reciproco di queste parti e della democrazia. VENEZUELA: I NUMERI DELLA CRISI Secondo fonti governative l’inflazione nel 2015 è stata del 141,5%. La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale sostengono però che l’inflazione supera l’800% ed è desti- nata ad aumentare. La contrazione del PIL è stimata a -7,1% Negli ultimi 17 anni il reddito petroli- fero del Venezuela è stato cinque volte superiore a quello dei 40 anni prece- denti: 430 miliardi di dollari. Nello stesso arco di tempo il debito pubblico è passato da 30 miliardi di dollari a 220 miliardi di dollari. Nel 2015 la capitale del Venezuela è diventata la città più pericolosa del mondo, con un tasso di omicidi supe- riore a quello di San Pedro Sula, in Honduras, che deteneva da quattro anni il triste record mondiale in mate- ria di morti violente. La crisi energetica ha modificato la vita delle persone. La grave siccità ha reso inservibili le centrali idroelettriche che assicurano oltre l’80% dell’ener- gia del paese. Per ridurre il consumo di elettricità, gli uffici pubblici sono chiusi il venerdì, così come le scuole. L’energia è razionata in tutte le regioni del paese e, tra le altre misure, il go- verno ha ordinato ai centri commer- ciali di ridurre gli orari di apertura. mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 2
  • 3. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 Referendum trivelle, come si è votato all’estero La morte di Regeni: istituzioni europee e stampa schierate con l’Italia Il voto sulle trivelle Al referendum abrogativo del 17 aprile sulle trivelle - non valido perché non è stato raggiunto il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto - ha par- tecipato il 19,73% degli Italiani che vivono al- l’estero. La percentuale di votanti in Italia è stata invece del 32,15%, comunque fra le più basse ri- spetto ad altri referendum abrogativi. Il primo dei quali fu quello sul divorzio che si svolse nel 1974 e che, vincendo il no, confermò la legge: l’affluenza fu dell’87,7%, la più alta nella storia della nostra Repubblica. Da allora la partecipazione è via via diminuita, man- tenendosi alta nelle prime consultazioni (81% nel 1978 sul finanziamento pubblico ai partiti), calando sempre più fino al 1997, anno a partire dal quale non si è più raggiunto il quorum, tranne che nel 2011, quando i cittadini furono chiamati a votare per la gestione pubblica del settore idrico. In quel- l’occasione andò a votare il 54,82% degli aventi di- ritto e la norma che affidava ai privati la gestione dell’acqua pubblica venne abrogata. Da quando fu loro concesso il voto, la diminuzione costante della partecipazione ai referendum ha ri- guardato anche gli Italiani residenti all’estero. Ma va sottolineato un dato significativo: la forbice fra partecipanti alle elezioni politiche e quelli che vanno a votare in occasione dei referendum è più alta in Italia che nei paesi dove votano i nostri con- nazionali: segno che questi manifestano una chiara volontà di essere protagonisti nelle scelte che si compiono nella Patria d’ origine. Dei 3.951.455 italiani residenti all’estero, gli aventi diritto che hanno votato sono stati 779.848. Questi i risultati scaturiti dalle urne: 511.846 sì (73,18%), 187.635 no (26,82%), 13.297 schede bianche (1,70%), 66.716 schede nulle (8,55%), 354 schede contestate e non assegnate (0,04%). Ecco, per aree geografiche, le percentuali di af- fluenza: in Europa ha votato il 19,30% degli aventi diritto; in America meridionale il 21,56%; in America settentrionale e centrale il 17,83%; in Africa, Asia, Oceania e Antartide il 16,48%. Di seguito, le percentuali dei votanti nei maggiori paesi esteri. Europa: Regno Unito 20,88; Germania 16,07; Francia 19,53; Svizzera 24,07; Belgio 19,18; Austria 24,91; Spagna 16,48; Paesi Bassi 18,18; Lussemburgo 22,33; Federazione Russa 21,01; Finlandia 28,11. America Settentrionale e Centrale: USA 16,52; Ca- nada 19,29; Messico 20,97. America Meridionale: Argentina 24,52; Brasile 23,35; Bolivia 35,55; Venezuela 7,23; Cile 8,21; Colombia 26,14. Africa, Asia, Oceania, Antartide: Australia 17,16; Sud Africa 7,15; Tunisia 18,74. Caso Regeni: vasto fronte a sostegno della posizione italiana La mobilitazione perché si conosca la verità “vera” sull’uccisione al Cairo del ricercatore italiano Giulio Regeni, trovato morto il 3 marzo dopo avere subito atroci torture, è straordinaria: dalle istituzioni eu- ropee alla politica, dalla stampa straniera, oltre ov- viamente a quella italiana, al mondo dello sport e della musica, è stato un coro unanime di solidarietà e di sostegno alla posizione del nostro governo, che ha fin dall’inizio respinto la versione di comodo del presidente egiziano Al Sisi, secondo cui i servizi mi- litari del suo paese non c’entrano nulla con la morte di Regeni, la cui uccisione sarebbe stata opera, a suo dire, di “gente malvagia”. La battaglia perché si arrivi alla verità è stata fatta propria anche dal nostro Presidente della Repub- blica. “Non dimenticare la sua passione e la sua vita orribilmente spezzata”, ha esortato Sergio Mat- tarella. Il Parlamento europeo è intervenuto chiedendo che sulla vicenda si faccia piena luce, mentre la presi- denza della Commissione Diritti umani , acco- gliendo la richiesta di due europarlamentari del Pd, Antonio Panzeri e Patrizia Toia, ha convocato a Stra- sburgo i genitori di Giulio. E si è mosso anche il mi- nistero degli Affari Esteri britannico, che ha sollecitato il Cairo a svolgere “una indagine che contempli ogni possibile scenario sulle responsabi- lità” della morte di Regeni. Del caso ha dato conto, fra gli altri organi di stampa, il New York Times, che in un editoriale ha dura- mente criticato i Paesi che continuano a mantenere ALFREDO ORLANDO mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO QUIITALIA SEGUE PAGINA 4
  • 4. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO relazioni diplomatiche e commerciali con l’Egitto. “Gli abusi dei diritti umani in Egitto sotto il presi- dente Abdel Fattah Al Sisi hanno raggiunto nuovi picchi, e nonostante ciò i governi occidentali che commerciano con l’Egitto e lo armano hanno conti- nuato a fare affari come se niente fosse accaduto, sostenendo che sono in ballo la sicurezza regionale e gli interessi economici”, ha scritto il quotidiano. E non è tutto. Gli abusi, ha aggiunto, dovrebbero indurre quei Paesi che hanno rapporti con l’Egitto a ritirare i pro- pri ambasciatori, così come ha fatto l’Italia. E ha de- finito “vergognoso” il comportamento della Francia, il cui presidente Hollande è andato al Cairo a fir- mare un contratto miliardario per la fornitura di armi. Della morte di Regeni e delle terribili torture subite, si è occupato l’ufficio di corrispondenza del Cairo dell’Agenzia di stampa Reuters. Secondo alcune fonti della polizia e dei servizi segreti, ascoltate dalla Reuters, il giorno in cui scomparve, Giulio fu fermato da alcuni agenti e consegnato ai servizi di sicurezza. Rivelazioni che hanno procurato all’ uffi- cio della Reuters una denuncia penale. Peggio è andata ad Ahmed Abdallah - presidente della Commissione egiziana per i Diritti e le Libertà, e consulente della famiglia Regeni nella battaglia per la ricerca della verità su quanto successo a Giu- lio - arrestato con le seguenti accuse: appartenenza a un gruppo terroristico, partecipazione a manife- stazioni di piazza non autorizzate e istigazione alla violenza con l’obiettivo di rovesciare il governo e il presidente Al Sisi. Tutto ciò, guarda caso, dopo che Abdallah aveva denunciato, in un rapporto al “Con- siglio nazionale per i Diritti umani”, le centinaia di casi di sequestri di persone vittime di “ torture e trattamenti disumani da parte di agenti della Sicu- rezza Nazionale per costringerli, in taluni casi, a confessare reati che non hanno commesso”. La Federazione Europea Giornalisti (EFJ) ha poi fatto propria, approvandola, una mozione della Federa- zione nazionale della Stampa Italiana (FNSI) che chiede “verità e giustizia per Giulio”. Il cambio di cavallo di Silvio Berlusconi sul candidato sindaco a Roma La notte porta consiglio. E porta pure Alfio Marchini. Già, perché è successo in un incontro notturno che l’ex Cavaliere, essendosi convinto che sarebbe stato più conveniente puntare sulla candidatura dell’imprenditore romano, ha chiesto a Guido Ber- tolaso di ritirarsi dalla corsa alla poltrona di sindaco di Roma e di renderlo noto lui stesso con un comu- nicato. L’ex capo della Protezione civile (fatto scen- dere in campo proprio da Berlusconi) ha provato a resistere, rinfacciando tra l’altro al suo interlocu- tore di averlo mandato allo sbaraglio. Alla fine ha dovuto arrendersi. Sono però passate molte ore prima che annunciasse di avere deciso di accomodarsi “in panchina”. Forse sperava che un altro giro di valzer berlusconiano lo rimettesse in campo. A spingere Berlusconi al cambio di cavallo sareb- bero stati i malumori di molti esponenti di Forza Ita- lia che non vedevano di buon occhio Bertolaso, ma soprattutto gli ultimi sondaggi che ne pronostica- vano la sconfitta. Una sconfitta, ha temuto l’ex Ca- valiere, che avrebbe potuto avere gravi conseguenze sulla tenuta del partito, già provato da defezioni e da caduta di consensi. Ora però per Marchini si pone un problema, consi- derato che sui manifesti con i quali ha invaso Roma c’è una grande scritta: “Liberi dai partiti”. Ciò ha provocato l’ironia del candidato democratico Ro- berto Giachetti: “Esprimo tutta la mia solidarietà a Marchini che ora dovrà rivedere lo slogan sui suoi manifesti visto che sopra c’è scritto Liberi dai par- titi”. E in effetti, sia pure in caduta libera, Forza Ita- lia è pur sempre un partito. Nessuna ironia ma solo una furiosa reazione, in- vece, da parte del leader leghista Matteo Salvini che nella capitale appoggia la candidatura di Gior- gia Meloni (candidata dell’estrema destra): “Berlu- sconi ha perso la bussola, ormai cambia idea ogni giorno. Dopo quello che è successo a Roma nulla è più scontato alle Politiche. O ci si mette d’accordo su tutti i punti di un pro- gramma o sarà un problema”. Toni e contenuti che rivelano una minaccia più che un avvertimento e che rendono problematica una intesa fra i due, fino a poco tempo fa alleati. DA PAGINA 3
  • 5. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Italia e Canada: un legame che si rafforza Incontri con realtà produttive, parlamentari, università e comunità italiane N ei giorni 20-22 aprile ho avuto il piacere di par- tecipare ad una serie di incontri programmati nell’ambito della visita ufficiale del sottosegre- tario Benedetto della Vedova in Canada. Sono stati tre giorni intensi di approfondimenti su tutta una serie di questioni: dalla politica internazionale alla lotta al terrorismo, dalla crisi dei migranti in Europa alle politiche da mettere in campo per la loro acco- glienza, dalle relazioni politiche a quelle più specifi- catamente economiche tra Italia e Canada, dal ruolo della comunità italo-canadese a quello delle imprese e dei ricercatori italiani nella promozione del Sistema Paese. Si è trattato di un proficuo giro di incontri con inter- locutori istituzionali, uomini d’affari e rappresentanti di comunità che ha consentito di verificare il buono stato di salute dei rapporti tra Italia e Canada, di ri- levare gli aspetti di eccellenza e le buone pratiche e di precisare gli impegni sui quali concentrare gli sforzi nell’immediato futuro. Per me, in particolare, è stata un’utile occasione di ricognizione di situazioni e pro- blemi di cui, naturalmente, terrò debito conto nello sviluppo della mia attività parlamentare. La visita del sottosegretario Della Vedova è iniziata da Ottawa. Nella capitale canadese il rappresentante del governo italiano ha incontrato il Ministro degli esteri del governo guidato da Justin Trudeau, Sté- phane Dion, i responsabili per gli affari esteri del Par- tito Neodemocratico On. Hélène Laverdière e del Partito Conservatore On. Tony Clement. Della Vedova ha avuto inoltre un colloquio con il Parliamentary Se- cretary presso il Ministero della Giustizia e con l’As- sistant Deputy Minister presso il Ministero della Pubblica Sicurezza. A questi appuntamenti istituzio- nali hanno fatto seguito quelli con i rappresentanti della comunità italo-canadese organizzati e promossi dall’Ambasciatore d’Italia a Ottawa Gian Lorenzo Cor- nado. Il primo appuntamento si è tenuto presso la nostra Ambasciata con parlamentari federali italo-canadesi ed esponenti della comunità italiana della capitale, tra cui diversi ricercatori italiani. In quest’occasione si è discusso di come rafforzare i legami tra i Paesi, anche alla luce del cambiamento di governo in Ca- nada, della considerazione che l’Italia ha per il Ca- nada di oggi, degli scambi a livello parlamentare. Positivo anche l’incontro con i rappresentati delle aziende italiane. Si è parlato dei rapporti commerciali tra i due paesi e di come rafforzarli, dell’attiva pre- senza in Canada di alcune grandi imprese come ENI, Finmeccanica, Fincantieri, la cui testimonianza è stata portata direttamente dai rappresentanti delle aziende presenti all’incontro. Sempre ad Ottawa, il 21 aprile, ho partecipato alla Conferenza di Benedetto Della Vedova organizzata dal Think-tank CIGI (Centre for International Gover- nance and Innovation) insieme al IDRC (International Development Research Centre) e la Carlton Univer- sity di Ottawa. Titolo dell’incontro “Brexit, refugees and security: the EU at the crossroads”. Un’occa- sione molto importante in cui il sottosegretario ha il- lustrato ad una platea di studiosi e di ricercatori la delicatissima questione della gestione dei migranti e dei rifugiati nell’attuale scenario di emergenza in- ternazionale e il ruolo che l’Italia svolge nel contesto europeo. Benedetto Della Vedova, in margine al con- vegno, ha espresso il suo apprezzamento per il ruolo positivo del governo canadese in questo ambito con la decisione di accogliere 25.000 profughi siriani, in- vitando la stessa comunità italo-canadese a contri- buire attivamente agli sforzi canadesi. Nella seconda tappa del viaggio, Toronto, il sottose- gretario Della Vedova ha voluto incontrare i rappre- sentanti della comunità italo-canadese, dimostrando non soltanto una grande sensibilità ma ribadendo l’attenzione che il governo pone nei confronti degli italiani all’estero anche per il ruolo che questi pos- sono svolgere nella promozione dell’Italia e nel raf- forzamento dei rapporti bilaterali. Nella capitale dell’Ontario, si sono tenuti due appun- tamenti. Il primo con l’ambasciatore e il console per affrontare in maniera più specifica le questioni di maggiore interesse per la nostra comunità. La di- scussione, infatti, si è concentrata sui temi della cit- tadinanza, dei rapporti bilaterali Italia-Canada, dell’Express Entry System, che presenta per gli ita- liani aspetti di evidente problematicità, della promo- zione della lingua e della cultura italiane e degli investimenti del nostro paese in questo settore, della valorizzazione della rete associativa e di quella per DALPARLAMENTO FRANCESCA LA MARCA SEGUE PAGINA 6
  • 6. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO la promozione del Sistema Italia, del sostegno neces- sario per valorizzare esperienze culturali di grande impatto, come ad esempio l’Italian Film Festival, un evento ormai consolidato dell’estate culturale di To- ronto. Da parte dei presenti è stata sottolineata la necessità di mantenere vivo il legame con l’Italia at- traverso azioni permanenti e innovative. Benedetto Della Vedova ha riconosciuto la straordinaria qualità, prima ancora della quantità, della comunità italo-ca- nadese che rappresenta senza dubbio un’occasione di sviluppo ulteriore delle relazioni economiche e cul- turali tra i due Paesi. Nel corso del dibattito, ho avuto modo di ricordare i risultati positivi raggiunti finora dal governo Renzi senza tacere tuttavia su quanto ancora rimane da fare. Si tratta non soltanto di evi- tare nuovi tagli ai capitoli di spesa che riguardano di- rettamente le politiche per le nostre comunità, ma di rafforzare la consapevolezza dell’Italia, e dei suoi rappresentanti istituzionali, sul fatto che gli italiani all’estero sono una risorsa su cui vale la pena inve- stire. Queste considerazioni sono state ulteriormente ap- profondite dal sottosegretario anche nel corso del suo ultimo incontro a Toronto con la business com- munity italo-canadese e con i dirigenti di imprese ita- liane operanti in Canada. Della Vedova, ricordando come l’interscambio commerciale con l’Italia sia cre- sciuto lo scorso anno del 7%, ha sottolineato che l’Italia deve investire nel mercato nord-americano per far crescere le sue esportazioni ma anche per at- trarre investimenti. Nel suo intervento ha ricono- sciuto gli sforzi degli italiani e italo-canadesi per con- solidare la crescita dei rapporti commerciali tra l’Ita- lia e il Canada e guadagnare credibilità e mercato. All’appuntamento era presente anche una missione economica a sostegno delle esportazioni di prodotti agroalimentari in Canada, organizzata dalla Camera di commercio di Sondrio in collaborazione con la Ca- mera di commercio italiana dell’Ontario (ICCO) e il Consolato Generale d’Italia a Toronto. La delega- zione valtellinese, guidata dal Segretario Generale Marco Bonat, ha promosso il progetto denominato “La Valtellina a Toronto” che ha avuto il merito di far incontrare le aziende italiane con una selezione di potenziali buyer del settore agroalimentare dell’On- tario. Il bilancio di questa missione è stato molto positivo e ricco di spunti per il futuro. Come ha ribadito lo stesso sottosegretario Della Vedova a conclusione della sua missione, i rapporti tra Italia e Canada, già storicamente forti, possono ulteriormente consoli- darsi e rinnovarsi grazie anche alla forte intesa tra i due primi ministri, Renzi e Trudeau, due giovani pre- mier che condividono una comune visione del futuro che non ignora i problemi ma cerca di superarli nel- l’interesse comune. DA PAGINA 5
  • 7. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Governo attento alle prospettive e al futuro I risvolti incoraggianti della visita a New York del sottosegretario Amendola M aggio di momenti importanti al Consolato Generale di New York. L’Ambasciatore d’Ita- lia a Washington, Armando Varricchio, chiede di incontrare la comunità, che conosce già dal suo precedente incarico come attaché commerciale alla stessa ambasciata che è stato chiamato a reg- gere. Il suo saluto ricalca quanto ha detto presen- tando le credenziali a Barack Obama, sottolineando il solido legame di amicizia e comunanza di valori tra Italia e USA, componente imprescindibile per accre- scere il benessere dei nostri cittadini e promuovere la pace, la democrazia e la difesa dei diritti. Ma ri- porta anche la risposta di Obama, che ha ricordato in termini amichevoli il recente incontro con il Presi- dente Mattarella alla Casa Bianca e la stretta colla- borazione con il Presidente del Consiglio Renzi sulle più rilevanti questioni internazionali e dell’agenda globale. Con evidente calore, rimarca poi il suo rap- porto di affetto con la città di New York, piena di en- ergia creativa, di vitalità imprenditoriale e artistica, di presenze italiane ricche di significato. Un luogo - assicura - dove cercherà di venire il più spesso pos- sibile, anche perché in questo momento gode della doppia presenza di un Sindaco, Bill de Blasio, e di un Governatore, Andrew Cuomo, le cui radici sono soli- damente piantate in Italia. Positivo anche l’intervento della vice governatrice dello Stato di New York, Kathy Hochul, che ha ricordato l’amore per l’Italia dello Stato a maggiore concentrazione di italiani, che lo hanno costruito e lo rendono vivo e vitale con le pro- prie iniziative. Annunciando la prossima missione economica promossa dal Governatore in Italia, sorri- dendo, conferma: “qualunque cosa succeda il prossimo Presidente degli USA sarà un newyorch- ese”. Infatti, Trump e Sanders ci sono nati e Hillary Clinton ne è diventata figlia adottiva. La Hochul si las- cia scappare un “she” = lei, auspicando che gli USA finalmente eleggano questa donna di grande espe- rienza, in un momento storico in cui non si può rischiare che alla Casa Bianca sieda una persona che nulla sa di relazioni internazionali. Non si fermano qui le visioni positive dei rapporti fra l’Italia e le comunità sparse per il mondo. Non è un mistero che l’Italia stia lavorando da mesi per l’ele- zione di un membro italiano al Comitato di Sicurezza delle Nazioni Unite e il sottosegretario agli esteri Vin- cenzo Amendola, che ha fra le sue deleghe sia quella per gli italiani all’estero che quella all’ONU, è venuto a New York per partecipare ad una serie di incontri sui temi della leadership, la pace, la lotta al terrori- smo, la sicurezza e la protezione dei civili nei conflitti che insanguinano il mondo. Malgrado la frenesia del calendario di lavoro, il sot- tosegretario ha dedicato un intero pomeriggio al dia- logo con la comunità italiana dei tre Stati di New York, New Jersey e Connecticut. Nell’introduzione del suo discorso, Amendola ha raccontato l’emozione provata nel parlare a nome dell’Italia nella Sala del Consiglio di Sicurezza dicendo: “…ero cresciuto guar- dandola in TV”, e ha fatto il punto sugli argomenti di- scussi in preparazione alla presidenza italiana del G7 nel 2017, primo fra tutti la situazione dei profughi e dei migranti. La proposta italiana del Migration Compact all’UE è stata ricevuta positivamente; l’Italia continuerà a salvare le persone che fuggono dalla guerra e dalla fame, sostenuta dalle forti posizioni del Presidente Mattarella e di Papa Francesco sulla necessità di proteggere i rifugiati. A proposito dei dik- tat populistici sulla minaccia rappresentata dai mi- granti e sulla provocazione di costruire dei mini-muri (il vero muro era quello di Berlino ed è caduto quasi trent’anni fa) Amendola ha citato il bell’aneddoto della visita a Ellis Island con il Presidente Mattarella, e della domanda sulla percentuale dei respingimenti di immigrati nel momento dei massicci esodi dall’Eu- ropa verso gli USA, alla quale la guida ha risposto: “… circa il due per cento”. Al di là delle diatribe pro- vocate dalla paura, il confronto in Parlamento deve tendere verso il posizionamento di un’Italia aperta all’ascolto. In questo processo New York è impor- tante per la sua cultura della condivisione delle pre- senze ed è favorita dalla presenza del Console Genuardi che ha fatto un grande lavoro nei rapporti con il Parlamento. Passando ad un altro tema, quello della delega per gli italiani all’estero, Amendola essendo stato lui stesso emigrato in Austria per sei anni, ammette che negli ultimi anni l’Italia è stata costretta a fare scelte dolorose, come la chiusura di parecchi Consolati, fra cui Newark. Con parole di fiducia il sottosegretario QUINEWYORK SILVANAMANGIONE* SEGUE PAGINA 8
  • 8. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO ha detto “Ora bisogna ricostruire i modi in cui fornire servizi. Noi abbiamo il dovere di servire il popolo ita- liano, anche all’estero per soddisfare le complesse esigenze presentate dalle tante sfaccettature delle nostre collettività”. Il CGIE ha già fatto alcune propo- ste e dovrà approfondire l’analisi dei servizi neces- sari – anche per la nuova emigrazione, che “va accudita” – nel corso dell’assemblea straordinaria di settembre, resa possibile dai mezzi da recuperare in sede di assestamento di bilancio, 85 mila iscritti all’AIRE nella circoscrizione consolare di NY sono una cifra importante. Nel 2017 dobbiamo quindi introdurre una semplificazione del lavoro, in linea con le modifiche alla Pubblica Amministrazione e alla ristrutturazione del MAE. New York è una chiave per la crescita dell’Italia, così come gli italiani all’estero sono parte del Sistema Paese e della pro- iezione dell’Italia verso il mondo, e costituiscono un patrimonio umano, di lavoro e di ricchezza intellet- tuale, accompagnato in troppi casi da dolori e soffe- renze, di cui pure ci si debba fare carico per lenirle. “La disaffezione che notate nel dibattito sugli italiani all’estero non è causata da lontananza di destino, ma da superficialità e scarsa conoscenza, fattori che si superano con facilità”. Poi Amendola ha aperto la platea alle domande che hanno toccato molti temi: l’insegnamento dell’italiano; la riforma di Com.It.Es. e CGIE dopo i risultati del referendum sulla modifica costituzionale del Senato; l’utilità dei patronati; le pe- culiarità negative del trattamento dei contrattisti in USA; gli scambi High Tech e start up fra giovani ita- liani e americani e fra l’Italia e gli USA; le visite alle comunità anche fuori da Manhattan, nelle altre mu- nicipalità di New York e negli Stati di New Jersey e Connecticut. Risposte per tutti, puntuali, con l’assi- curazione che in fase di assestamento di bilancio si recupereranno anche i due milioni e mezzo tagliati dai contributi alla diffusione dell’italiano all’estero, che è un traino per l’economia e le esportazioni. Nelle parole di Amendola anche la conferma del ruolo dei patronati, che svolgono un servizio insosti- tuibile in grandi Paesi con un numero esiguo di Con- solati e un’attenzione alla riforma del secondo livello di rappresentanza degli italiani all’estero, che dovrà tenere conto della nuova configurazione del Senato fermo restando che la presenza dei deputati eletti all’estero è rimasta alla Camera, cioè nel ramo del Parlamento che vota la fiducia al Governo, per ga- rantire loro un peso politico paritario. Infine arriva la promessa che in occasione della sua missione a giu- gno e della sua partecipazione alla Convention de- mocratica a luglio a Filadelfia, incontrerà gli esponenti delle realtà italiane fuori da New York. Finite le risposte, c’è stato il tempo per un po’ di scambi informali, tra racconti di storie personali e l’ascolto di suggerimenti. E poi via, per il successivo evento di lavoro, solo apparentemente conviviale, all’ONU. Ci guardiamo fra noi. Il clima è cambiato. La mag- giore capacità di ascolto e la concretezza di assun- zione di impegni ci convincono. L’orizzonte sta diventando molto più roseo, color aurora, non avviso di tramonto. * Vice segretario Generale Anglofoni del CGIE DA PAGINA 7
  • 9. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Progresso democratico e interculturalità Dall’esperienza degli emigrati italiani un patrimonio da preservare C ’è un patrimonio italiano all’estero che deve essere preservato. A Montréal lavoriamo pro- prio in questa direzione, anche attraverso le tante attività del Circolo PD cittadino, per cercare di rendere questo patrimonio ancora più attuale, con- solidandolo con fatti profondi e precisi, in un’ottica di miglioramento di noi stessi e della società nella quale viviamo. Le azioni che compiamo nella nostra comunità hanno un valore in quanto rappresentano un mo- dello per le iniziative che verranno. Pensiamo a quanto sia importante l‘individuazione di un’asso- ciazione virtuosa per storia e per significato, l’impe- gno per contribuire alla sua sopravvivenza attraverso atti volti a darle maggiore visibilità come interviste alla radio e articoli sui giornali, la sensi- bilizzazione dei politici locali alle problematiche dell’associazione stessa. Pensiamo a quanto sta facendo il Circolo PD, dalle attività di autofinanzia- mento dirette (le cene sociali, una al mese) a quelle indirette (come la promozione di una sezione fem- minile per poter accedere a finanziamenti dedicati, oppure il collegamento con enti più strutturati che può risolvere alcune problematiche organizzative e di finanziamento). Ci interessano le buone ragioni della nostra comu- nità, per le quali ci impegniamo attraverso il circolo del Partito Democratico. Un Circolo dinamico e con- sapevole delle proprie responsabilità. Questa mili- tanza, inoltre, sviluppa tra di noi e con gli altri una solidarietà profonda che si consolida attorno a va- lori comuni, valori volti a costruire una società più giusta e, in fin dei conti, al progresso democratico. L’interculturalità. L’emigrazione è un fatto culturale complesso e ri- guarda anche la dimensione delle idee, che ab- biamo la pretesa non debbano essere ignorate anche dagli Italiani, in quanto patrimonio morale, di conoscenza ed etico del popolo italiano. In quanto Italiani emigrati sappiamo bene, inoltre, di avere un’esperienza e, quindi, una competenza pre- ziosa: quella delle buone pratiche d’integrazione in un Paese al quale abbiamo portato in dote ric- chezza culturale e senso del lavoro solidale e re- sponsabile. Qui in Canada abbiamo appreso e continuiamo ad apprendere che solo aprendosi alle altre culture si vince la sfida dell’emigrazione. E in questa aper- tura, abbiamo verificato che non ci si confonde con gli altri, ma che grazie agli altri si preserva la propria cultura e se ne delinea, assieme agli altri, una nuova, comune a tutti. Gli Italiani aprendosi all’America, al Canada e al Québec non hanno perso nulla della propria iden- tità. Quando si arriva in un Paese si parla italiano - per restare a noi - in famiglia, al lavoro e quando si è in società. In un secondo momento, si parla ita- liano in famiglia e in società ma non più al lavoro, dove si parla inglese o, come nel caso del Québec, francese. La seconda generazione continua a par- lare italiano in famiglia ma in ambito sociale e lavo- rativo parla inglese e francese. Quest’esperienza è ben nota agli Italiani, per averla già vissuta. Queste tappe verso l’integrazione, che gli Italiani hanno percorso senza perdere in identità e senza assimi- larsi, gli Italiani possono indicarle ai nuovi arrivati e all’Italia stessa che spesso sembra voler rifiutare il tema. Questo bagaglio di esperienza giova a quella parte della società che invece dice: «un attimo, se c’è un popolo che conosce bene l’emigrazione siamo pro- prio noi, che siamo stati accolti in tutti i Paesi del mondo e che abbiamo anche per questo il dovere di accogliere». Le tante italie che vivono all’estero possono aiutare l’Italia a ricordarsi questa sua peculiare specificità. Se siamo aperti alle differenze possiamo conti- nuare a essere ciò che siamo o anche a stupirci di essere migliori di quanto pensavamo di essere, pro- prio come hanno imparato a fare gli Italiani che vi- vono all’estero. Michel Maletto tesoriere del circolo PD di Montréal Giuseppe Continiello segretario del circolo PD cittadino QUICANADA
  • 10. Ambasciatori inMissioneItalia Vannocostruitilegamivirtuositraenogastronomia,culturaedeconomia A dare il via a questo mio contributo sono stati di- versi episodi apparentemente scollegati tra di loro e che invece avevano un “filo rosso” in co- mune. Ad esempio: da due o tre anni mi sono accorta della cre- scente presenza nella grande distribuzione tede- sca di prodotti alimentari italiani che anche solo cinque anni fa erano pressoché sconosciuti o re- peribili solo in pochissimi negozi molto specializ- zati. Mozzarella di bufala DOP, ‘nduja, ravioli e tor- tellini freschi, vini di decente qualità e dal nome meno strapazzato di Chianti o Lambrusco, verdure fresche qui poco comuni come carciofi o barba di frate stanno conquistando un posto sempre più ampio negli scaffali delle varie REWE, Kaufland e perfino dei discounter come Lidl; stanno cambiando i ristoranti italiani, non tutti e non dovunque, ma stanno cambiando. Stanno sparendo le tovaglie a scacchi bianchi e rossi e le orripilanti vedute del Vesuvio col pennacchio, gli spaghetti stracotti e sepolti sotto litri di sugo, le insalate “all’italiana” fatte col prosciutto affumi- cato e l’Emmental. Stanno invece comparendo i risotti fatti come si deve, le carte dei vini che of- frono Lugana e Teroldego e le oliere con la botti- glietta non ricaricabile di olio EVO, spesso anche biologico; l’anno scorso Eataly ha aperto la filiale di Mo- naco di Baviera, dopo quelle negli USA, negli Emi- rati, in Giappone e in Turchia; per finire, mi capita di leggere nei documenti di una riunione europea un esempio di proposta “fuori dagli schemi”: abbinare in un unico corso l’insegnamento di lingua e cucina. È stato proprio l’ultimo punto a rendere evidente il fatto che tra cultura, cibo ed economia esista un le- game molto più stretto di quanto non si pensi. O me- glio: il legame tra cibo ed economia è abbastanza evidente, ma su quello tra questi due temi e la cultura raramente si riflette. Se pensiamo alla Francia, quali sono le prime imma- gini che ci vengono in mente? Parigi, il Louvre, i risto- ranti superstellati, i quadri degli Impressionisti nei quali spesso e volentieri spuntano le insegne di Chez Maxim e dei locali famosi di Pigalle, lo champagne e il patè. Cultura e buon cibo vanno a braccetto nel creare l’immagine del paese e quell’immagine di- venta anche un’arma commerciale. Quanto vino, quanto champagne, quanto formaggio ha venduto la Francia in tutto il mondo a prezzi quasi sempre alti o altissimi? E perché gli acquirenti di tutto il mondo sono stati e sono tuttora disposti a pagare quei prezzi, anche se a volte sono un tantino esagerati? Non sarà perché comprando una bottiglia di Beaujolais o una fetta di Roquefort l’acquirente ha la sensazione di comperare anche un pezzetto di Francia? Un pezzetto dei manifesti di Toulouse-Lautrec? Una strofa di Mi- lord? La Francia è forse il caso più eclatante, ma ce ne sono altri. Quanto ha contribuito al successo mondiale della McDonald quella “american way of life” che i film, la musica e la letteratura degli USA hanno espor- tato in tutto il mondo? O l’indissolubile legame tra Grecia e cultura classica all’esportazione di feta e olio cretese? Si potrebbe continuare, ma questi esempi sono suf- ficienti a dimostrare che la cultura in senso lato – arti figurative, musica, letteratura – può essere un formi- dabile strumento di marketing di un paese. Ed è vero anche il contrario: la “cattiva” cultura può danneggiare pesantemente anche l’economia di un paese. Non so se si potranno mai quantificare le oc- casioni perdute per il fatto di essere visti più come la patria della Mafia che come quella di Michelangelo. Pur avendo una tradizione culinaria di tutto rispetto, per quanti anni ci siamo concentrati sull’esportazione di mosto per rinforzare i vini francesi, di vini di bassa qualità e di pomodori pelati, buoni sì, ma che di sicuro non aumentano la visibilità del Bel Paese? Qualcosa di simile è avvenuto con la cultura. Una mia amica, giornalista di cinema, lamentava il fatto che i nostri festival del settore non hanno un comparto de- dicato agli incontri commerciali, al contrario di quanto fanno il Festival di Cannes e la Berlinale. Il risultato è che i film presentati a Cannes e a Berlino trovano ra- pidamente distributori per l’estero e i nostri restano al palo. E il cinema è un potentissimo mezzo per far conoscere un paese, basti pensare di nuovo agli USA. Altro esempio: la cura delle relazioni con le istituzioni culturali di altri paesi. Tre anni fa, lo Städel Museum, OLTREILBORDODELPIATTO CARLA CIARLANTINI-KRICK SEGUE PAGINA 11 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO
  • 11. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO il più importante centro espositivo di Francoforte, or- ganizzò una mostra su Botticelli. Per tutta la durata dell’esposizione le file all’ingresso duravano ore. I vi- sitatori vennero da tutto il paese per vederla. Siamo stati noi a promuoverla? No, è stata la lungimiranza e la straordinaria capacità manageriale di Max Hol- lein, allora direttore del museo e famoso per aver sa- puto convincere un’armata di sponsor a fare cospicue donazioni, che gli hanno consentito di finan- ziare il completo restauro della sede del museo, la co- struzione di un’ala destinata all’arte moderna e l’acquisto di nuove, importanti opere. L’Italia invece si è limitata per troppo tempo a lasciare che la sua immagine culturale venisse associata più che altro a pochi luoghi ultracelebri come il Colosseo, il Vaticano, Venezia e il Vesuvio. Per carità, non frain- tendiamo: sono famosi perché se lo meritano. Però sono anche carichi di cliché che nessuno ha fatto nulla per correggere. In fondo ci andava bene puntare sul turismo di massa sulla riviera romagnola (ma il Tempio Malatestiano nel centro storico di Rimini non lo visitava nessuno), sugli spaghetti ripassati al forno e sul lambrusco nei bottiglioni da due litri. Però adesso è arrivato il momento di cambiare in tutti e tre i campi: cultura, eno-gastronomia ed economia. Ho l’impressione che l’evoluzione, della quale la mo- stra su Botticelli e l’arrivo della mozzarella DOP nei supermercati sono incoraggianti segnali, sia il risul- tato dell’iniziativa personale di singoli e aziende, sia in Italia che all’estero, intraprendenti, lungimiranti e anche un po’ anticonvenzionali, più che il risultato di una strategia nazionale. Va bene, in tutti i campi i primi a muoversi sono i pionieri, però poi deve arrivare il resto del paese e soprattutto la sua classe dirigente. Ora immagino che per molte persone la mia opinione sul legame tra cultura, gastronomia ed economia sia troppo materialistica, perché dopotutto la cultura ha un valore più alto di quello puramente commerciale. Questo è vero: non si può mettere il cartellino del prezzo ai mosaici di Ravenna o ai versi dell’Ariosto. Però è possibile e giusto farli conoscere ad un pub- blico più vasto di quello che hanno avuto finora. Se poi per farlo possono funzionare matrimoni non con- venzionali come quello con il buon gusto alimentare e se il risultato è anche positivo per la nostra econo- mia, perché non farlo? Anche l’arte ha bisogno di fondi. Tanti e il prima possibile. DA PAGINA 10
  • 12. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Il dilemma shakesperiano: stay or leave IlnuovosindacodiLondra,SadiqKhan,dicedistare D avvero Londra non finisce mai di sorpredere. Questa volta lo fa conla politica,e conil messag- gio di integrazione ed inclusione che il neo sin- daco Sadiq Khan manda a tutta Europa e al mondo. Tanto è stato detto sulla sua vita, sulle sue origini, sul suo impegno come parlamentare, ministro ombra per i trasporti e come avvocato per i diritti civili, anche sul suo voto favorevole alle nozze gay, rappresentando un Islam più laico, progressista e riformato. Queste sono state le qualità del candidato Labour in una campagna elettorale iniziata con le primarie della scorsa estate, in cui Sadiq Khan ha faticato tanto per affermare la sua nomination, anche con pezzi del partito scettici sulla sua candidatura. Non facile anche per la sua distanza da Corbyn, ma anche da quella blairiana del partito. Ha dovuto faticare per mantenere quel profilo indipen- dente e autonomo, che si è poi rivisto nella campagna elettorale e nel suo slogan “un sindaco per tutti i londi- nesi”. La sua campagna è stata attenta ad un’affrancatura dallaleadershipnazionale,dalleconteseinternealpar- tito ed invece è stata una campagna elettorale locale, fatta di visite a tutti i quartieri della città, di problemi quotidiani dal costo della vita, ai trasporti, all’aria, al traffico. Tutti aspetti, invece, che la campagna del suo principaleavversarioZacGoldsmithhacompletamente ignorato. A sorpresa, anche per la mitezza del perso- naggio e della sua posizione politica, per certi versi moltopiùliberaleemenoradicaledeisuoicolleghicon- servatori, soprattutto in materia ambientale, Goldsmith ha sviluppato una strategia elettorale del partito con- servatore aggressiva, al limite dell’insulto razziale, più attenta a vantaggi nazionali sul Governo che a conqui- stare il governo della città. Una strategia della paura at- tuata anche attraverso la stampa amica, soprattutto quella distribuita ai pendolari, che ha prima sollevato dubbisuisostegnielettoralidiKhannellasuacomunità edinquellamussulmanadiLondra,poi,montandol’ac- cusadiantisemitismo.Unacampagnacheperònonha pagato, anzi. Nelle ultime settimane, gli elettori hanno cominciato a spostarsi sul candidato laburista proprio per la sua storia, per quella garanzia di rispetto della di- versità e di assicurazione dell’inclusività, che i cittadini diunacittàcosmopolitacomeLondrasiattendono,cer- cano e vogliono. E’ proprio quello che è successo quando la campagna elettorale locale si è incrociata con il dibatitto sulla Brexit. La posizione del candidato conservatore in sostegno della campagna per il Leave, insiemealsindacouscente,BorisJohonson,haportato molti elettori ha rivedere le proprie intenzioni di voto ed andare sul candidato laburista. Grande impatto si è avuto sugli elettori europei, che hanno così sopperito, in un certo senso, all’impossibilità di votare per il refe- rendum Brexit di giugno con la possibilità di scegliere un sindaco pro o contro. Un tratto fortemente europeo si è visto nella campagna elettorale condotta da Ivana Bartoletti,primaedunicacandidataitalianaalconsiglio comunale della città metropolitana di Londra per il La- bour nel collegio Havering & Redbridge, est di Londra. Unterritoriovasto,un’areaconfortissimaimmigrazione mauncetomedioepopolareinglese,chenellaperiferia della grande città sente maggiormente i problemi legati alcarovita,aitrasportiedallasicurezza.Unasituazione ditensionesocialeanchedovutaallapresenzadigrandi comunità d’immigrazione. Una campagna pro europea che ha accorciato, arrivando quasi ad annullarla, la di- stanza con il candidato conservatore, che per poche centinaia di voti ha vinto la competizione. Un vero pec- cato, ma questo è anche un territorio dove l’Ukip, il par- tito anti-europa e immigrazione del più noto Farange, ha ottenuto l’8% dei voti, nella sua prima competizione elettorale su Londra. Quella di Ivana è davvero una vittoria mancata, ma la sua candidatura, che è testimonianza concreta di quanto necessaria e fruttuosa, per l’emigrazione e per i Paesi di destinazione, sia la partecipazione politica delle comunità europee residenti negli altri Paesi del- l’Unione Europea. E’ una candidatura che deve raffor- zare l’impegno politico delle nostre comunità all’estero, ma che in una lettura più locale, qui nel Regno Unito, deve far pensare a quanto lavoro il Labour deve ancora compiere per recuperare il voto dei ceti più popolari e trasmettere un vero messaggio di opportunità e positi- vità nella permanenza del Regno Unito nell’Unione Eu- ropea. Un’altracampagnaelettoralesiapreoggi,quella sulla Brexit, dagli esiti ad oggi ancora incerti, ma nella quale le voci come quella di Ivana dovranno essere di piùepiùforti.Unasfidagiàquesta,inunPaesesempre più rinchiuso su se stesso,nostalgico di unpassato glo- rioso tanto lontano, ma con paure che crescono. *segretario circolo PD Londra ANALISIECOMMENTI ROBERTOSTASI*
  • 13. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DOMENICO CERABONA* Cosa ci dice il voto nel Regno Unito UnbuonrisultatomatanteincogniteperJeremyCorbyn P artiamo da un dato di realtà: il partito laburi- sta, chiamato al primo vero test elettorale della gestione Corbyn, ha ottenuto un buon risul- tato. Diamo un po’ di numeri e poi facciamo qualche analisi. Si tenevano le elezioni in tutto il Regno Unito, questo vuol dire: Irlanda del Nord (che meriterebbe un di- scorso a sé e che quindi lascerei fuori dal quadro), Scozia, Galles e in Inghilterra, dove si votava per il governo locale e per il rinnovo di centinaia di comuni tra cui grandi città come Liverpool, Manchester e, soprattutto, Londra. Si sono tenute inoltre due ele- zioni suppletive di altrettanti seggi parlamentari. I dati nudi e crudi ci dicono che, in Inghilterra, il par- tito laburista si afferma nuovamente come il primo partito di governo locale, confermandosi alla guida di ben 57 comuni inglesi (con una sola sconfitta ri- spetto a 5 anni fa) a fronte di un partito conserva- tore che ne controlla solamente 37. Dico solamente, perché il peso relativo delle vittorie laburiste è molto alto, considerando che i laburisti conquistano quasi tutte le grandi città a partire da Londra, che viene strappata ai conservatori dopo otto anni. Nel governo locale il partito laburista ottiene quasi il doppio dei seggi eleggendo 1280 consiglieri con i conservatori che si fermano a 755 E qui c’è il primo dato significativo: i liberal democratici e l’Ukip di Nigel Farage ottengono rispettivamente un migliora- mento di +39 e +26 seggi, dimostrandoci che il si- stema bipartitico – elemento fondamentale per il funzionamento istituzionale britannico – è ormai ar- rivato ad una fase di stallo, un tema importante se poi al quadro aggiungiamo l’SNP scozzese di cui par- leremo tra qualche riga. In Galles il governo rimarrà laburista, con il partito di Corbyn che perde un solo seggio nel parlamento gallese nonostante la significativa crescita del par- tito euroscettico di Farage che conquista ben 7 seggi in più. E arriviamo alle note dolenti per i laburisti, e cioè al risultato scozzese. In Scozia il partito laburista arriva terzo, dietro all’SNP di Nicola Sturgeon e al partito conservatore. Il risultato non è certo una sorpresa: un anno fa alle elezioni politiche l’SNP aveva spaz- zato via dalla Scozia il partito laburista, conqui- stando praticamente tutti i seggi che, storicamente, erano appannaggio dei laburisti e che facevano della Scozia una roccaforte rossa. Era difficile pen- sare che, in appena otto mesi, Jeremy Corbyn po- tesse invertire significativamente la rotta, tanto più che a livello di governo locale l’SNP controlla il par- lamento scozzese da più di dieci anni, ottenendo oggi una storica terza rielezione. Tanto più che il partito laburista scozzese ha una propria leadership indipendente, con una Segreta- ria, Kezia Dugdale, eletta prima dell’arrivo di Corbyn, che al congresso del partito laburista del Regno Unito ha appoggiato un’altra candidata: Yvette Coo- per. Voler dunque attribuire a Corbyn le responsabilità del disastro scozzese pare una vera e propria forza- tura. Anche perché va sottolineato che il partito dell’SNP è un partito “radicale” che si pone alla si- nistra del partito laburista: la chiave di lettura con cui la Sturgeon ha conquistato la Scozia è stata pro- prio quella di dipingere il partito laburista troppo col- laborativo con le politiche di austerità del governo Cameron. Dunque viene difficile credere che per contrastare l’SNP, che è aumentato in termini percentuali ma che ha perso 6 seggi in parlamento rispetto a cinque anni fa, sia necessario il ritorno ad una leadership più moderata come alcuni analisti italiani ed inglesi vorrebbero suggerire. Per finire questo lungo elenco di consultazione elet- torali, il partito laburista ha vinto le due elezioni sup- pletive conquistando – o meglio, confermando – due seggi parlamentari a Westminster. A conferma del buon risultato elettorale vi sono le proiezioni su base nazionale, che vedono il partito laburista al 31%, con un sorpasso sui conservatori che si fermano al 30%. A seguire le due altre realtà del panorama britannico che entrambe fanno se- gnare un ottimo risultato: i LibDem che, dopo il di- sastro dell’anno scorso, fanno segnare un ottimo 15% e l’Ukip di Nigel Farage che si attesta ad un pre- occupante – quantomeno per il sottoscritto – 12%. Occorre però rimanere con i piedi per terra. Il quadro è meno roseo di quanto possa apparire per il partito ANALISIECOMMENTI SEGUE PAGINA 14
  • 14. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO laburista, perché la situazione drammatica in Scozia rende alquanto difficile, per il momento, pensare di poter conquistare la guida del Paese. Si votasse do- mani infatti, i Conservatori rimarrebbero in vantag- gio di 50 seggi conquistandone circa 300 (con un arretramento di ben 30 seggi) a fronte del partito la- burista che ne conquisterebbe 250 (con un miglio- ramento di 20 seggi). Certo un significativo aumento rispetto al risultato del 2015, ma comunque non sufficiente per occupare il 10 di Downing street. Per il partito laburista è dunque fondamentale ricon- quistare qualcuno dei 54 seggi che sono stati vinti nel 2015 dall’SNP scozzese, un compito difficile ma al quale Corbyn non può sottrarsi se vuole avere qualche speranza di governare il Regno Unito. Il quadro elettorale non può lasciarci del tutto tran- quilli sul futuro del referendum del 23 giugno su Bre- xit. Il partito laburista è infatti l’unico partito che faccia convintamente campagna per il no all’uscita dall’Unione Europea e il 31% raccolto dal partito di Corbyn non è chiaramente sufficiente ad assicurare la vittoria. Preoccupa infatti la crescita dell’Ukip di Farage che ovviamente farà campagna per il sì a Brexit. Inoltre il leader conservatore, il primo ministro Cameron, pare in grande difficoltà nel paese e, soprattutto, nel suo partito. Un partito che sul referendum sta con- sumando una parte della corsa alla successione alla leadership dei Tories, con l’ex sindaco di Londra, il potentissimo Boris Johnson che sta facendo cam- pagna per l’uscita dall’Europa, in aperta opposizione al suo leader e premier con il preciso obiettivo di ru- bargli la poltrona. Insomma la miscela rischia di es- sere esplosiva e il risultato del referendum è tutto meno che scontato. In conclusione di questa lunga carrellata britannica, non si può non parlare dello straordinario risultato londinese. Occorre però uscire dalla retorica un po’ provinciale con cui è stata accolta la vittoria di Sadiq Khan. Il neo eletto sindaco di Londra infatti non è una meteora comparsa sul panorama britannico con l’etichetta di figlio di immigrato. Khan è un espo- nente di spicco del partito laburista ormai da diversi anni. Viene da molti dipinto come molto distante da Cor- byn, anche se la realtà è che è stato uno dei 35 par- lamentari che ha sottoscritto la sua candidatura: senza il suo sostegno in parlamento, dunque, Je- remy Corbyn non avrebbe potuto partecipare alla fase congressuale “aperta” che poi, a sorpresa, lo ha eletto con una vittoria schiacciante. Certo nella seconda fase congressuale Khan ha appoggiato un altro candidato, Andy Burnham, il quale tuttavia pro- veniva a sua volta dall’ala “milibandiana” del partito laburista, quella, per intenderci, post blairiana. È quindi corretto affermare che le posizioni di Khan siano più moderate rispetto a quelle dell’attuale lea- der laburista, ma è certamente sbagliato dipingerli come distanti anni luce. Tanto più che per la sua vit- toria alle primarie, Khan ha potuto contare dell’ap- poggio di molti sostenitori di Corbyn, cosa che spesso viene omessa. Nella sua campagna elettorale Khan ha dovuto af- frontare forti attacchi razzisti, che lo dipingevano di fatto come amico dei terroristi, principalmente per le sue origini pakistane e musulmane. Per fortuna i londinesi non si sono fatti irretire da questi attacchi e hanno invece apprezzato il mix della proposta di Khan: da un lato la promessa di essere un sindaco con un grande occhio di riguardo per lo sviluppo della piccola e media impresa e dall’altro una forte attenzione alla giustizia sociale, in particolare con una politica di housing sociale più avanzata e un tra- sporto pubblico a prezzi calmierati. Questi ultimi sono due temi fortemente sentiti dallo stesso Cor- byn (londinese a sua volta) che, soprattutto dell’hou- sing sociale, ha fatto uno dei punti di forza del suo programma congressuale e della sua battaglia par- lamentare. I conservatori hanno cercato inoltre di trasformare le elezioni londinesi in un referendum su Corbyn, nel tentativo di “spaventare i moderati”. Anche questa chiave di lettura è stata un fallimento, infatti il risul- tato è stata una maggioranza schiacciante sia per l’elezione del sindaco che per quella del consiglio comunale. Insomma il cammino da qui al 2020 per Jeremy Cor- byn è ancora irto di ostacoli – anche e soprattutto sul fronte interno, visto che molti dei suoi parlamen- tari non vedono l’ora di contestare la sua leadership – ma credo che il risultato di giovedì scorso fosse il meglio che il leader laburista potesse aspettarsi. * Responsabile culturale della Fondazione Giorgio Amendola di Torino Ha recentemente curato per Castelvecchi una pub- blicazione su Jeremy Corbyn, “La rivoluzione gen- tile“, in cui sono stati raccolti e tradotti alcuni discorsi del leader laburista. DA PAGINA 13
  • 15. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Il futuro di Lady Burma LaBirmaniaelasualeaderallaprovadellademocrazia L a Birmania, o Myanmar che dir si voglia, ha defi- nitivamente girato pagina. La lunga transizione verso la democrazia, apertasi inaspettatamente nel novembre del 2010 con la liberazione di Aung San Suu Kyi, dopo più di un decennio di restrizione della libertà e arresti domiciliari, si è definitivamente chiusa con l’elezione del nuovo Presidente e la formazione di un governo democratico. Il Presidente, Htin Kyaw, è un fedelissimo della leader birmana, ancora impedita ad assumere quel ruolo da una costituzione costruita dalla giunta militare alcuni anni fa, con una clausola odiosa ad personam che interdice la Presidenza a chi è stato sposato con uno straniero o ha figli di altra na- zionalità. Purtroppo la delicata transizione, con un par- lamento ancora dominato dai militari, non ha permesso il raggiungimento di un compromesso che cancellasse la norma costituzionale. Così l’unico neo della nuova fase democratica, rimane quello di un pre- sidente che ha chiaramente dichiarato al momento dell’insediamento, che la sua elezione era una vittoria della “Lady”. Per conto suo la Nobel per la Pace si è ritagliata il ruolo di Ministro degli Esteri, dell’educa- zione, dell’energia, oltre che Consigliere di Stato. In- somma, un super ministero che ne fa comunque la più potente e autorevole personalità del suo paese, cosa che creerà qualche imbarazzo alla diplomazia e ai rigidi protocolli dei grandi della terra. Staremo a ve- dere. Ora per La Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi non ci sono più alibi. Dopo le trionfali ele- zioni del novembre scorso, deve dimostrare di saper governare e indirizzare verso lo sviluppo e il benes- sere, un paese dalle enormi potenzialità, frenate da decenni di chiusura autarchica e feroci dittature mili- tari. E’ giusto domandarsi, proprio ora, cosa abbia spinto la Birmania dei militari a cedere il potere e ad aprire il paese al mondo e alla libertà. La favola sem- bra aver avuto un lieto fine, non solo per lo straordi- nario coraggio dimostrato dalla “Lady” e dai tanti uomini e donne del suo movimento, torturati, uccisi e umiliati nelle galere birmane, ma anche per una deci- sione inaspettata di almeno una parte dei generali al potere. Quello birmano è un caso di studio interes- sante per gli appassionati di geopolitica. La spinta de- cisiva non è certo arrivata dalle sanzioni economiche, pur giuste sul piano politico-ideale, imposte per anni dai paesi occidentali. Sul piano economico infatti, quelle sanzioni non hanno mai inciso in un paese iso- lato dal resto del mondo da cinquanta anni di dittatura militare. In fondo l’interscambio con l’occidente rap- presentava solo il 7% del commercio estero birmano, e negli ultimi trenta anni il vicino sud est asiatico, as- sieme alla Cina e all’India, che circondano il paese delle pagode, sono diventati il centro dello sviluppo globale, e nessuno dei paesi asiatici ha mai aderito al regime sanzionatorio. Piuttosto a giocare un ruolo di primo piano sembrano essere stati due fattori decisivi. Il primo è stato la presenza sempre più invadente della Cina, cosà che ha creato negli anni passati un senti- mento di diffidenza nei confronti del dragone da parte della popolazione, ma ha agitato i sonni degli stessi generali birmani, orgogliosi della loro indipendenza e dotati di un alto tasso di xenofobia. Il secondo decisivo fattore sembra essere stato l’apertura dell’ammini- strazione Obama, che nella primavera del 2010, non esitò a cambiare politica nei confronti della giunta, ab- bandonando i toni duri del passato e incontrando l’al- lora Primo Ministro generale Tein Sein (poi eletto presidente nella transizione) in un vertice Asean. Lì Obama si dichiarò pronto ad aiutare economicamente e politicamente il Myanmar, se avesse favorito la tran- sizione e liberato la “Signora”. Il motivo di tale offerta: il contrasto all’espansionismo cinese, che dominando la Birmania avrebbe trovato un facile sbocco nel- l’Oceano Indiano. Certo, altri fattori hanno influito si- curamente: la tenacia di Aung San Suu Kyi e del suo movimento nello screditare agli occhi del mondo la giunta militare, le pressioni di una diplomazia più soft, alla ricerca di risultati concreti come quella dell’inviato europeo Piero Fassino, sempre in lotta negli anni pas- sati con i falchi dell’Europa del Nord, lo stesso deside- rio di una nuova borghesia di Yangon, la capitale, che dopo le timide aperture economiche degli anni no- vanta, cominciava a scalpitare per cogliere le oppor- tunità di sviluppo e di profitti che la globalizzazione stava creando. Non bisogna dimenticare che quella borghesia era legata a filo doppio ai generali e alle loro famiglie e gli interessi economici coincidevano. Tutte circostanze che hanno probabilmente spinto la Birma- nia verso una pacifica e esemplare transizione demo- ANALISIECOMMENTI UGOPAPI* SEGUE PAGINA 16
  • 16. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO cratica fino ai giorni nostri. Ma la nuova leadership ha oggi di fronte una serie di importanti sfide: i conflitti nelle zone di confine e con le minoranze etniche, che rappresentano il quaranta per cento della popola- zione, la povertà radicata e la necessità di migliorare rapidamente infrastrutture decrepite e servizi educa- tivi e sanitari a lungo trascurati, una burocrazia inges- sata, e infine il rapporto con l’ancora potente esercito, che ha nelle mani tre ruoli chiave dell’esecutivo: il Mi- nistero dell’Interno, quello della Difesa e quello dei rapporti con le minoranze. Inoltre all’esercito, la costi- tuzione riserva un 25 % dei seggi del parlamento, ren- dendo la mediazione sempre necessaria. Il partito di Aung San Suu Kyi ha dichiarato a più ri- prese di volere una vera riconciliazione nazionale e l’incontro della leader con i vertici militari lascia ben sperare. Non possiamo dimenticare che la “Lady” è fi- glia del Generale Aung San, padre dell’indipendenza birmana dopo il colonialismo inglese, e fondatore dell’esercito. Questo aspetto, spesso trascurato in oc- cidente, spiega in parte perché negli anni bui della dit- tatura, Aung San Suu Kyi non sia stata in carcere né abbia fatto la fine di tanti suoi confratelli , torturati e uccisi nel corso degli anni. Il suo nome era troppo im- portante e persino i generali hanno temuto le conse- guenze interne, non solo internazionali, di un trattamento “alla cilena” della allora giovane leader. Inoltre l’esercito è oggi ancora una istituzione decisiva nel risolvere positivamente la questione dei diritti delle minoranze. Qualunque decisione politica, dai cessate il fuoco già in atto ad una vera e propria pacificazione, passano per l’azione delle forze armate sul campo e dunque un accordo rimane decisivo. Paradossalmente la vi- cenda più intricata, quella della discriminata mino- ranza Rohingya mussulmana ai confini con il Bangladesh, può trovare una soluzione proprio se l’esercito impone sul campo possibili soluzioni, a di- spetto di un opinione pubblica decisamente anti mus- sulmana e per nulla disposta ad assecondare le aspirazioni politically correct dei media occidentali. Ri- mane il problema di una Costituzione che per ora con- segna troppo potere alle forze armate e che il nuovo Presidente Htin Kyaw, si è impegnato a cambiare cer- cando un non facile accordo con i militari. Per quanto riguarda l’economia, Il Myanmar prevede una crescita importante per il 2016 di oltre l’8 % Ma anni di cattiva gestione e di isolamento si fanno sentire. La rete stra- dale e ferroviaria è fatiscente e nelle città sono fre- quenti le interruzioni di corrente. L’Asian Development Bank stima in 60 miliardi di dollari le spese di moder- nizzazione delle infrastrutture essenziali da qui al 2030. Gli ostacoli agli investimenti sono ancora molti e le leggi da aggiornare richiederanno un duro lavoro di revisione. Inoltre le leggi sul lavoro sono scarsa- mente applicate e molto ci vorrà per raggiungere stan- dard internazionali accettabili, con il lavoro minorile dilagante, e un’ economia ancora dominata da cricche legate alla vecchia giunta in regime di quasi monopo- lio. Le leggi sulla libertà di stampa e sul diritto di scio- pero sono recenti e vanno applicate e messe alla prova. La Birmania è ora libera di scrivere il suo futuro, solo il tempo ci dirà se la scommessa sarà definitiva- mente vinta. * Responsabile Asia del Dipartimento Esteri del PD DA PAGINA 15
  • 17. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Giustizia: risultati positivi ma tanto lavoro da fare L’incontroconilMinistroOrlandoalcircoloPddiNewYork L o scorso 20 aprile, il Circolo PD di New York ha avuto l’occasione di incontrarsi con Andrea Or- lando, ministro della Giustizia del governo Renzi. A New York per partecipare a un incontro dell’ONU sul problema della droga, il ministro ha incontrato il circolo PD per rispondere alle nostre domande ed esprimerci il proprio pensiero. L’incontro è iniziato parlando del lavoro alla Giustizia e di come la troppa aggressività, che porta a un ec- cessivo numero di cause, sia uno dei problemi prin- cipali sui quali si sta lavorando. Da 6 milioni di cause del 2010 si è passati a 4,5 milioni, un passo impor- tante ma non ancora sufficiente, perché il numero sostenibile sarebbe di 3 milioni e 800mila. Anche i tempi medi dei processi sono leggermente diminuiti, 6 mesi in meno rispetto al 2014. Pur confortato da questi numeri, Orlando non si è na- scosto dietro un dito, ammettendo che c’è ancora molto lavoro da fare. La riforma del processo civile sarà un’occasione di migliorare ulteriormente la situazione: verrà creato il tribunale della famiglia, e verrà potenziato il tribunale delle imprese. Su quest’ultimo, il ministro ricorda che, per molte cause che vedevano coinvolti investi- menti esteri, il tribunale delle imprese riesce ad arri- vare a sentenza abbastanza rapidamente (meno di un anno per il primo grado), e questo è un dato che dovrebbe incoraggiare l’arrivo di capitali stranieri verso il nostro Paese. Rispondendo a una domanda sullo stato attuale della prescrizione, Orlando ha sottolineato come i reati contro la Pubblica Amministrazione si prescri- vano ora in 12 anni, e non più 6, grazie all’inaspri- mento delle pene ottenuto con la legge Severino. Più che sulla riforma della prescrizione, che comunque va fatta, ci si dovrebbe focalizzare sulla disomoge- neità con la quale la prescrizione incide nei processi a seconda delle procure: in certe realtà il tasso di prescrizione arriva al 20%, mentre in altre si attesta su un ben più modesto 1%. Queste discrepanze sono dovute al diverso numero dei giudici in ciascuna procura, alla consistenza del personale e ad altri fattori organizzativi: bisognerà quindi intervenire sull’organizzazione, oltre che por- tare a termine la riforma. Un altro punto sul quale si potrebbe intervenire potrebbe essere l’introduzione di un termine entro il quale un giudice debba deci- dere cosa fare in un procedimento, se, cioè, archi- viare o procedere. Affrontando il tema dello stato delle carceri italiane, anche in connessione con l’immigrazione, Orlando ha chiarito come il rapporto fra numero di detenuti e capacità delle nostre carceri sia migliorato negli ul- timi anni. Due cose sulle quali si sta lavorando sono l’affidamento dei tossicodipendenti a comunità, e i rimpatri per i detenuti stranieri. Su quest’ultimo punto, è opportuno citare che il rimpatrio non è pre- visto per quei Paesi che non riconoscono la Carta dei diritti dell’uomo. Per quel che riguarda gli altri Paesi, il rimpatrio potrebbe a volte rivelarsi problematico, perché è necessaria l’approvazione del giudice, e inoltre può accadere che i Paesi riceventi (soprattutto Romania e Albania) ostacolino il processo di rimpa- trio, che per loro costituirebbe un costo. Orlando si è soffermato sulle pene alternative, la cui percentuale è in costante aumento: a oggi sono 40 mila i casi di detenuti che stanno scontando pene di questo tipo, per esempio agli arresti domiciliari, o con l’affidamento ai servizi sociali o in comunità. Oltre a sgravare il nostro sistema carcerario, le pene alter- native hanno un ulteriore vantaggio: il tasso di reci- diva è in media più basso, attestandosi intorno al 25%, contro il 55% di chi sconta la pena in carcere. Un altro tema toccato è quello delle frodi, e delle nor- mative che le puniscono. È la tutela delle vittime che va potenziata, sia durante che dopo il processo. Alcuni modi per tutelare le vit- time potrebbero essere un serio risarcimento del danno, l’aiuto nel pagamento delle spese giudiziali e, non ultimo, la creazione di occasioni di contatto fra il reo e la vittima. Quest’ultima soluzione, in particolare, potrebbe avere il beneficio di mettere il reo davanti all’entità concreta del danno arrecato: ciò genererebbe con- sapevolezza e potrebbe diminuire i casi di recidiva. Inoltre, il fatto che la vittima sappia della condanna del colpevole aumenterebbe la fiducia nel nostro si- stema della giustizia. Ma approfittando della presenza del ministro, come non parlare di un tema così attuale come le riforme DEMOCRATICINELMONDO SEGUE PAGINA 18
  • 18. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO costituzionali? Orlando non si tira certo indietro: l’Ita- lia è finalmente un Paese che si muove dopo tanto immobilismo. A suo parere, le riforme oggetto del re- ferendum che si terrà in autunno andrebbero spie- gate nel merito, in modo che gli elettori le abbiano chiare in mente e votino con cognizione di causa. Il rischio che si potrebbe correre se queste riforme non dovessero essere approvate sarebbe una caduta ver- ticale nella fiducia verso le istituzioni, che genere- rebbe scenari problematici. Per il ministro, il referendum del prossimo autunno non dovrebbe rappresentare un voto pro o contro il capo del Governo, ma si deve fare lo sforzo di con- centrarsi sul merito delle riforme. Una replica sorge spontanea: non è stato forse Renzi stesso a dichia- rare, più volte e con toni molti chiari, di lasciare il suo incarico in caso di esito negativo? L’auspicio del mi- nistro, se letto alla luce di questa dichiarazione, ri- sulta quantomeno singolare. Ma secondo Orlando la famosa frase di Renzi “se perdo me ne vado” è solo dettato dalla consapevolezza di chi ha preso un im- pegno e lo vive con realismo. Restando sul tema del nostro scalpitante presidente del Consiglio, è stato chiesto al ministro che cosa manca a Renzi per essere un grande? Pur ricordando di non aver votato per Renzi al Congresso del PD, Or- lando ha posto l’accento sulle azioni di Renzi, rifiu- tando l’accusa che si segua un’agenda di destra: se confrontati con le misure prese da altri leader euro- pei, le decisioni di Renzi in termini di immigrazione, politica estera, flessibilità del lavoro, non possono es- sere definite di destra. Può darsi che sia stato il pa- norama europeo a cambiare, ma in ogni caso, secondo Orlando, siamo sulla strada giusta. Ciò detto, forse non sono tutte rose e fiori: il linguag- gio del partito è cambiato e questa novità sembra di- sorientare molte persone. Il partito pare disorganizzato, soprattutto data la mancanza di luo- ghi dove poter condurre dibattiti interni. Ci si affida forse troppo ai social media, e il risultato è un’ato- mizzazione della politica che rende più difficile la costru- zione di un comune sentire. A volte, le campagne elettorali sono effettuate dai singoli, con lo scopo di garantirsi le prefe- renze e la visione di partito passa troppo spesso in se- condo piano. Orlando auspica un’evoluzione della forma-partito, soprattutto ora che la Rete ha cambiato le carte in tavola. Si parla del- l’esempio di Napoli: il ministro non invoca un commissaria- mento del partito, ma auspica la partecipazione dei cittadini, non solamente con le primarie. La speranza sarebbe quella di creare nuove piattaforme per stimolare un dibattito politico. In questo contesto, i circoli do- vrebbero essere una fucina di idee, senza limitarsi solamente alla discussione di idee già viste sui giornali. L’incontro è stato partecipato e molto apprezzato, alcuni dei presenti, forse stanchi di sentire le solite dichiarazioni di certi esponenti del PD, spesso smaccatamente “pro” o “contro” la poli- tica del partito, sono stati colpiti da questo uomo po- litico non solo capace di vedere sia i pregi che i limiti del gruppo dirigente, ma anche di indicare una strada per migliorare le cose in modo costruttivo. Speriamo di averlo presto nuovamente nostro ospite in occasione della sua prossima visita dalle nostre parti. di Jacopo Coletto, circolo PD New York DA PAGINA 17
  • 19. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Chernobyl trent’anni dopo Ricordi e speranze del più grande disastro nucleare della storia A fine aprile, mentre l’Italia celebrava i 30 anni dell’Internet day, ossia la prima connessione del nostro paese in rete, in Ucraina si ricordavano i morti, ma soprattutto si rivangavano le polemiche di quello che è stato il più grande disastro nucleare della storia umana. Il 26 aprile 1986, un errore umano, dovuto anche a falle tecniche di progettazione della centrale, scatenò un massiccio sovraccarico energetico che condusse a una serie di esplosioni nel quarto reattore della cen- trale nucleare di Chernobyl, nell’allora repubblica so- vietica di Ucraina. L’incidente produsse nell’immediato trenta morti, ma costrinse all’evacuazione di oltre 200mila persone, mentre le autorità sovietiche stabilivano una “zona di esclusione”, dunque inabitabile, grande quanto tutto il Lussemburgo e che si estendeva con un raggio di 30 km intorno alla centrale. Lo scoppio provocò la fu- sione del nocciolo del reattore, scarsamente protetto, e l’esplosione (non nucleare) del reattore stesso e il rilascio nell’ambiente di ingenti quantità di materiale radioattivo. Le due esplosioni produssero una pioggia di detriti fortemente radioattivi, mentre la nube radio- attiva cominciò a diffondersi nei cieli di tutta Europa. L’incidente fu classificato al livello 7°, il più alto della scala INES, la classificazione internazionale che defi- nisce la gravità degli incidenti di tipo nucleare o radio- logico, sviluppata dall’agenzia internazionale per l’energia atomica. Tale primato è stato raggiunto solo dall’incidente di Fukushima in Giappone nel 2011, ma che risultò nello sversamento di una minore quantità di materiale radioattivo. I ritardi sovietici e i divieti sanitari in Italia Secondo l’ex leader sovietico Mikhail Gorbachev, la tragedia di Chernobyl rappresenta uno dei principali colpi mortali inferti alla decadente Unione Sovietica. In effetti, l’incidente fu gestito particolarmente male dalle autorità di Mosca, che lanciarono l’ordine di eva- cuazione soltanto 36 ore dopo lo scoppio del reattore, pertanto ne fu sottolineata l’irresponsabilità nella ge- stione dell’emergenza, compresa la negligenza nel di- ramare l’allarme. Anche a Roma, una settimana più tardi, migliaia di persone definitesi gli “Amici della Terra” manifestarono dinanzi l’ambasciata sovietica di Roma, indossando maschere e guanti di plastica e protestando con cartelli contro l’atomo e la disinfor- mazione circolante in Unione Sovietica. Gran parte delle ammissioni sovietiche avvenne solo in seguito a ripetute pressioni diplomatiche. Nei paesi scandinavi, infatti, fin dal 26 aprile furono registrati elevati livelli di radioattività nell’atmosfera. Il primo flash dell’agenzia TASS fu rilasciato alle ore 21 del 28 aprile da parte “del consiglio dei ministri dell’URSS”. L’agenzia del Cremlino annunciava: “Un incidente si è prodotto nella centrale nucleare di Chernobyl, uno dei reattori atomici è rimasto danneggiato, vengono prese misure per liquidare le conseguenze del guasto, ai col- piti viene prestato aiuto, è stata costituita una com- missione d’inchiesta governativa”. Già il riconoscimento di “colpiti” e la formazione di una com- missione d’inchiesta lasciavano presagire la gravità della situazione. Gli eroi di questa tragedia furono i co- siddetti “liquidatori”, ossia i circa 600mila civili e sol- dati sovietici che furono radunati attraverso tutto il territorio sovietico per eliminare gli effetti dell’inci- dente, e che lavorarono nel sito a fasi alterne fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nel 1991, il Parlamento ucraino votò una legge che diede diritto ad alcuni benefici economici e a pensioni speciali per i liquidatori, come riparazione per il tempo trascorso nella “zona di esclusione” e le malattie con- tratte. Nel frattempo, in Italia la notizia fu riportata dai maggiori quotidiani solo il 29 aprile. I giornalisti, al pari del governo, rimasero in bilico tra l’assunzione di un atteggiamento catastrofista e i richiami alla calma. Si comprese subito che la nube radioattiva avrebbe sor- volato i cieli di mezza Europa, compresi quelli italiani. Il Ministro della Sanità, il 2 maggio impose il divieto di vendita per 15 giorni delle “verdure a foglia” (insalata, spinaci, ecc.) e vietò la somministrazione di latte fre- sco ai bambini al di sotto dei dieci anni di età e alle donne in stato di gravidanza. Altri divieti del “decalogo” di quei giorni prevedevano di non bere acqua piovana o di non far pascolare il bestiame nei campi. Molti ita- liani, però, vennero confusi dal successivo annuncio del ministro che mutò i divieti in semplici suggerimenti, per allinearsi agli annunci meno catastrofisti rilasciati dal ministro della Protezione civile. La disputa sui di- vieti terminò solo con l’annunciò televisivo, il 24 mag- ANALISIECOMMENTI CONOGIARDULLO* SEGUE PAGINA 18
  • 20. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 gio, da parte del Presidente del Consiglio Craxi che co- municò al paese di poter tornare a consumare tutti gli alimenti in maniera regolare. A distanza di trent’anni, come l’Ucraina fronteggia la tragedia? Davanti al memoriale agli eroi di Chernobyl a Kiev, le più alte cariche dello Stato hanno deposto dei fiori il 26 aprile scorso. L’Ucraina ha deciso di togliere il se- greto di Stato da 49 documenti secretati, in cui si sot- tolinea l’impreparazione delle autorità sovietiche a far fronte a tale tipo di incidente. Nei trent’anni trascorsi, si sono succedute numerose inchieste di esperti indipendenti nell’area contami- nata da Chernobyl. Citando solo le fonti più autorevoli, le Nazioni Unite fissano il bilancio delle vittime a circa 4mila. Altri esperti stimano che i decessi legati in qual- che modo allo scoppio possano aggirarsi entro i 30 e i 60mila, mentre Greenpeace parla addirittura di 90mila vittime. Un altro grave problema è quello dei nuovi nati nella zona ad alto rischio, che soffrono quasi tutti di patologie alla tiroide, problemi cardiova- scolari o all’apparato digerente. Nonostante gli effetti devastanti, e la grande eco in- ternazionale suscitata, il terzo reattore della centrale ucraina fu chiuso solo nel 2000, a seguito di consi- stenti pressioni della comunità internazionale. In Ucraina rimangono attive 15 centrali nucleari, per for- tuna nessuna vicino alle regioni in conflitto del Don- bass, nell’est del paese. Ma Chernobyl, si è anche trasformata nel luna park degli orrori, dove ogni anno circa 10mila turisti usufruiscono dei servizi di tour ope- rator locali per un tuffo nel passato nei luoghi spettrali intorno alla centrale. In mezzo a tanta tragedia, però, l’impegno della co- munità internazionale è stato esemplare. Il G7 del 1997 creò il Fondo di Protezione di Chernobyl (Cher- nobyl Shelter Fund) che oggi raccoglie sotto l’ammini- strazione della Banca europea di ricostruzione e sviluppo circa 2,5 miliardi di euro, frutto delle dona- zioni di 45 paesi, tra cui l’Italia. Il progetto senza dub- bio più celebre del Fondo è il gigantesco sarcofago rivestito d’acciaio (New Safe Confinement), costato fi- nora 1,5 miliardi di euro e che racchiuderà il sito del reattore esploso ed eviterà ulteriori fuoriuscite di ma- teriale radioattivo per i prossimi 100 anni. Questa ma- stodontica opera di ingegneria, che sta venendo alla luce direttamente sul sito dell’incidente, utilizza ma- teriali trasportati dall’Italia e poi assemblati dalle so- cietà appaltatrici locali sotto la supervisione delle aziende francesi Bouygues e Vinci. Inoltre, il fondo in futuro sarà utilizzato anche per il possibile smantella- mento della struttura contaminata. Numerose conferenze si sono succedute per soste- nere tali iniziative, l’ultima delle quali si è tenuta a Lon- dra nel 2015. Un mondo senza rischi legati all’uso dell’energia nucleare è forse ancora un miraggio, ma il messaggio di speranza più bello e forse anche l’unico di questa tragedia è proprio l’impegno profuso dalla comunità internazionale nell’assistere l’Ucraina in uno sforzo economico e tecnologico che nessun paese avrebbe potuto affrontare da solo, per un futuro degno delle aspettative delle generazioni venture. * Esperto OSCE: Organization for Security and Co-operation in Europe mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO DA PAGINA 19
  • 21. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO Migration compact: proposte che guardano lontano Luci e ombre del documento presentato dall’Italia all’Unione Europea Il Migration Compact è il documento “non-ufficiale” (non-paper) presentato il 15 aprile 2016 dal Governo italiano all’Unione Europea. Più precisamente indiriz- zato al Presidente della Commissione Europea Jun- cker, al Presidente di turno del Consiglio dell’UE, l’olandese Rutte e al Presidente del Consiglio Europeo Tusk. Da un punto di vista della forma, il documento ha un impianto leggero, fruibile e persino didascalico: inizia con una introduzione circa il grande fenomeno migra- torio di questi giorni; propone un beve passaggio su ciò che l’UE ha già fatto per fronteggiare e gestire que- sto fenomeno indicando anche alcuni limiti circa ciò che è stato fatto (Lessons learned), per poi passare al paragrafo 3. E’ questa la parte più squisitamente propositiva che è suddivisa in: a) ciò che l’UE po- trebbe offrire (The EU may offer); b) ciò che l’UE po- trebbe chiedere ai paesi terzi coinvolti nella gestione dei flussi migratori (The EU may ask) e c) come finan- ziare le misure proposte. Il documento, infine, si chiude con un postilla dedicata specificamente alla Libia. Il Migration Compact, a mio avviso, ha tre meriti prin- cipali. Il primo è quello di essere un documento di re- spiro veramente europeo e transnazionale. L’analisi del fenomeno migratorio, l’individuazione di specifi- che e forti criticità e le proposte avanzate sono inse- rite in una prospettiva squisitamente europea. Non si parla di Italia o di interessi italiani. Il Governo, nella presentazione del documento, si è collocato in quella dimensione sovra-nazionale ed europea che spesso viene evocata dagli europeisti più convinti perché troppo assente nell’Europa degli egoismi nazionali. L’assunzione di questa prospettiva conduce inevita- bilmente ad assumere una prospettiva e ad avanzare proposte globali. Ed è appunto il caso del Migration Compact. Per cui si chiede all’Europa di essere attore unitario su di uno scenario mondiale, con una visione strategica globale e transnazionale. Tutto questo costituisce, nel quadro del dibattito eu- ropeo, un innegabile salto di qualità. L’altro merito è l’aver chiaramente detto che se non assumiamo fi- nalmente una nuova prospettiva e una nuova co- scienza sull’Africa e sui grandi rivolgimenti di questo continente, non ne usciremo più. Come ben specificato nella breve introduzione, il fe- nomeno migratorio è destinato a durare decenni. Tale fenomeno trova le sue origini principalmente in Africa e, in particolare, in situazioni altamente critiche come quelle della Libia, della Nigeria, del Corno d’Africa e del Darfur. Guerre, carestie, cambiamenti climatici, povertà diffusa e cronica spingono le persone resi- denti in queste aree ad andarsene e a migrare verso il Vecchio Continente. Un terzo merito del Migration Compact è quello di es- sere un documento che prova a guardare lontano. Sia nella sua parte analitica che in quella propositiva, si invita l’Europa ad assumere strategie di medio e lungo termine, anziché ripiegare su soluzioni, spesso tra loro disarmoniche, tese a gestire il presente e l’emergenza. Il documento suggerisce, al contrario, di adottare strategie tese a gestire il futuro per rendere il fenomeno migratorio una opportunità di cambia- mento e sviluppo per l’Europa stessa, e non solo un problema. Il documento tuttavia presenta anche alcuni limiti. Nel passaggio, estremamente interessante e suggestivo, che fa riferimento alla necessità di mappare i possibili stati terzi con cui avviare le forme di cooperazione ne- cessaria a co-gestire i flussi migratori, non viene fatto alcun cenno alle situazioni politiche e alla qualità della democrazia di quei paesi. Collaborare con paesi dove non vengono applicati gli standard minimi di rispetto dei diritti umani potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Coloro – individui e organizzazioni – che in quei paesi lottano per una maggiore libertà, contro la corruzione e per una mag- giore umanizzazione della dimensione sociale e poli- tica, potrebbero vedere nell’Europa un nemico indiretto in quanto partner del governo in carica. Un altro limite è la genericità della proposta che, pa- radossalmente, potrebbe apparire la più concreta del- l’intero documento. E cioè l’emissione di obbligazioni europee (Euro-bonds) per finanziare i costi delle pro- poste. Questo passaggio è ben al di là dall’essere chiaro: quando si menzionano gli “EU-Africa bonds” non si chiarisce chi e come, in Europa, fornirà le garanzie necessarie. Si legge solo un breve e generico passag- gio sulle sinergia con la BEI (Banca Europea per gli In- ANALISIECOMMENTI ROBERTOSERRA* SEGUE PAGINA 22
  • 22. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO vestimenti) e “altre organizzazioni finanziarie europee e internazionali”. Circa gli Euro-bonds – concetto chiaro a tutti - non viene però chiarito quale o quali sono i soggetti emettitori dei titoli. Il dato certo è che l’emissione di obbligazioni com- porta, di per sé, un accrescimento del debito pub- blico. In questo caso del debito pubblico europeo preso nel suo insieme. Se, da un lato, è pienamente europeo proporre l’emissione di obbligazioni europee (e non nazionali), dall’altro lato sappiamo che, per come è conformata oggi l’UE e il suo bilancio, tale pro- posta non è attuabile. Non parliamo, poi, della totale assenza, nelle quattro pagine del documento, di qual- siasi cifra (pur approssimativa) e budget. A mio avviso, i tedeschi e la loro riluttanza a questa misura c’entrano fino ad un certo punto. Infine un ultimo limite, è che il documento è troppo istituzionale e poco o nulla non-governativo. Siamo tutti d’accordo sul fatto che sono anzitutto i governi, le istituzioni europee e i governi dei paesi terzi ad es- sere chiamati in causa circa la gestione dei flussi umani. Ma c’è un universo di ONG, di volontari, di as- sociazioni di volontariato che da anni operano – spesso nelle situazioni più difficili e di trincea – per umanizzare e, in qualche modo, contenere il feno- meno migratorio. Strano che non si faccia alcun cenno ai tanti cittadini europei che da “eroi silenziosi” operano con e ac- canto alle persone che emigrano, ai loro bisogni, alle loro richieste. In Europa come nei paesi di prove- nienza. L’Europa, intesa come soggetto unico chia- mata a fronteggiare un fenomeno gobale come quello dello spostamento di grandi flussi umani, è composta anche da loro e dal loro quotidiano lavoro. E dal loro esempio umano. *PD Lussemburgo DA PAGINA 21
  • 23. 123456789101112131415161718192021222324252627282930 mondo.......NOTIZIARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO OTTIMI RISULTATI PER l’AGROALIMENTARE ITALIANO ALL’ESTERO L’Italia nel 2015 ha raggiunto il record storico delle esportazioni agroalimentari con un giro d’affari di 36,8 miliardi, un valore che è praticamente raddop- piato negli ultimi dieci anni (+74%). A trainare il fe- nomeno, secondo un rapporto della Coldiretti, è stato soprattutto il vino che fa registrare un aumento dell’80 per cento nel decennio per raggiungere nel 2015 un valore delle esportazioni di 5,4 miliardi che lo colloca al primo posto tra i prodotti della tavola Made in Italy all’estero. Al secondo posto si posi- ziona l’ortofrutta fresca con un valore stimato in 4,4 miliardi nel 2015, ma con una crescita ridotta e pari al 55%, mentre al terzo posto sul podio sale la pasta che raggiunge i 2,4 miliardi per effetto di una cre- scita del 82% nel decennio. Nella top five ci sono anche i formaggi che hanno raggiunto un export sti- mato a 2,3 miliardi con un balzo del 95% in dieci anni, mentre la classica “pummarola” fa salire la voce pomodori trasformati a 1,5 miliardi (+88% nel decennio). A determinare l’ottima performance dell’agroalimentare italiano sono stati anche l’olio di oliva e i salumi. Circa un prodotto alimentare ita- liano esportato su cinque è “Doc” con il valore delle esportazioni realizzato grazie a specialità a denomi- nazione di origine. VOLA IL MADE IN ITALY NEL MONDO: 122 MLD DI EURO IL SALDO COMMERCIALE DEL 2015 Il saldo commerciale del 2015 dei prodotti “made in Italy“ è stato di ben 122,4 miliardi di euro. A riferirlo è la CGIA di Mestre che parla di un vero e proprio successo delle nostre specializzazioni produttive nel mondo che sono costituite soprattutto da quattro grandi aree merceologiche: l’automazione mecca- nica, l’abbigliamento-moda, l’arredo-casa e l’alimen- tare-bevande. Un risultato, quello del 2015, comunque in linea con gli esiti toccati negli ultimi anni. Se nel 2009 il saldo positivo era sceso a 88,4 miliardi, da quel momento in poi si sono registrati solo numeri positivi per arrivare al picco massimo nel 2015, con 122,4 miliardi di euro. Negativo, in- vece, il punteggio ottenuto da altri prodotti: compu- ter, chimica- farmaceutica, prodotti metallurgici, tabacco e legno-carta hanno riportato tutti un saldo negativo. Dall’analisi dei singoli comparti manifat- turieri del made in Italy emerge lo straordinario ri- sultato ottenuto dai macchinari (motori, turbine, pompe, compressori, rubinetteria, utensili, apparec- chi da sollevamento, forni, bruciatori, etc.). Nel 2015 il saldo commerciale è stato positivo e pari a 49,8 miliardi di euro.Seguono il tessile-abbigliamento- calzature con 17,6 miliardi, i prodotti in metallo (im- ballaggi leggeri, fili metallici, catene, molle, bulloneria, bidoni, contenitori in acciaio, etc.) con 11,1 miliardi, i mobili con 7,2 miliardi, gli apparecchi elettrici (lavatrici, frigoriferi, lavastoviglie, lavasciuga, congelatori, accumulatori elettrici, apparecchiature di cablaggio, batterie di pile, generatori, etc.) con 6,5 miliardi e altri materiali non metalliferi (vetro, porcel- lana, ceramica, refrattari, cemento, etc.) con 6,4 mi- liardi di euro. Il made in Italy è ancora prodotto prevalentemente dalle piccole e medie imprese italiane che, grazie alla flessibilità, all’elevata specializzazione produt- tiva, alla cultura del buon gusto e del saper fare hanno conquistato il mondo in settori, come quello delle macchine, dove la ricerca, l’innovazione e la qualità del ciclo produttivo sono requisiti indispen- sabili per competere sul mercato. Quali sono i Paesi in cui sono più apprezzati i prodotti made in Italy? Il nostro principale partner commerciale è la Germa- nia, con merci esportati per un valore di 30,3 mi- liardi di euro. Seguono la Francia (27,7 miliardi), gli Stati Uniti (24,6 miliardi), il Regno Unito (14,8 mi- liardi), la Spagna (11,2 miliardi) e la Svizzera (11 mi- liardi di euro). Si segnalano infine aumenti di vendita molto significativi negli Emirati Arabi (+15,4 per cento), negli Stati Uniti (+15,2 per cento) e in Spa- gna (+10 per cento). VACANZE: PER GLI ITALIANI FORMENTERA AL TOP DELLE PREFERENZE TripAdvisor nel suo Summer Vacation Value Report 2016, ha svelando la top 10 delle destinazioni estive per i viaggiatori italiani in base all’interesse di pre- notazione e i costi medi per una settimana di sog- giorno. Se l’anno scorso era Londra la destinazione più ricercata per le vacanze estive dai viaggiatori ita- liani, quest’anno al top delle preferenze sale For- mentera. Il fascino dell’isola delle Baleari supera così grandi città come Londra (quest’anno al quinto posto), New York che ottiene la seconda posizione e Roma che, si attesta in sesta posizione. Sono sei le destinazioni marittime ambite: San Vito Lo Capo, Villasimius , Gallipoli, San Teodoro, Barcellona e Porto Cesareo. Un altro trend che emerge dalla classifica delle mete più ricercate per l’estate è che gli italiani sognano l’Italia: tra le 10 destinazioni che compongono la classifica ben 6 infatti sono italiane. Per quanto ri- guarda i costi, sul podio delle località con il prezzo medio più basso troviamo Roma (Euro 1.415), se- guita da Barcellona (Euro 1.536) e San Vito Lo Capo (Euro 1.575). NEWSNEWSNEWSNEWS