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Simonetta Capetta matr. 315367
Tesina di Storia dell'Architettura
Anno accademico 2007-2008
Corso di Studi in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali
La tarsia prospettica
L'intarsio o tarsia lignea è un tipo di decorazione che si realizza accostando legni
diversi o altri materiali quali avorio, osso o madreperla tagliati sulla scorta di cartoni.
Diffusa già nel Trecento, tra il 1440 e il 1550 raggiunge il massimo della fioritura,
sviluppando quello che verrà definito da Andrè Chastel: il Cubismo del Rinascimento.
La tarsia è impiegata nella decorazione di cofanetti, cassoni nuziali, porte e mobili
d'arredo liturgico e per il rivestimento di sagrestie, cori e studioli.
Fig.1 – Baccio Pontelli - Tarsie - Urbino, Palazzo Ducale, Studiolo di Federico da Montefeltro
2
La tarsia prospettica pittorica è un intarsio piuttosto complesso e definibile come la
più alta espressione di rappresentazione lignea.
Il sistema assomiglia ad un mosaico di legni commessi insieme, che nel sapiente
accostamento dell'artista, danno vita a scorci prospettici raffiguranti città ideali e a
nature morte ; caratteristica che rese questa tecnica prescelta per arredare e ornare cori
di cattedrali e palazzi delle signorie più facoltose e illuminate del Rinascimento (vd.
studiolo di Urbino e Gubbio).
Le capacità indispensabili che l'artista doveva possedere consistevano nel conoscere
la geometria descrittiva, le regole della prospettiva, il disegno figurativo e di
conseguenza i chiaroscuri e i giochi d'ombre che occorrono per rendere un quadro,
anche se di legno, “vicino” all'effetto di rappresentazione pittorica.
Grazie all'applicazione della tintura dei legni e alla tecnica dell’ombreggiatura, gli
intarsiatori poterono creare quadri più complicati sviluppando e inserendo nuovi temi
naturalistici collocati in scorci prospettici di vedute urbane e paesaggistiche. La figura
di questi artisti venne così a discostarsi progressivamente da quella dell'artigiano per
avvicinarsi a figure di artisti tali da venire indicati nel Quattrocento con l'appellativo
di “maestri di prospettiva“.
Questi, spesso, oltre ad essere abilissimi artigiani, erano anche architetti e ingegneri,
come Giuliano e Benedetto da Maiano, Baccio D'Agnolo, Baccio Pontelli, i Canozzi
da Lendinara e altri, che conoscevano le regole della prospettiva e gli strumenti per la
lavorazione del legno, in quanto si servivano di questa materia per costruire i modellini
per i progetti di architettura. Le “Botteghe” più importanti del periodo
prerinascimentale infatti si presentavano come laboratori poliedrici dove si
praticavano tutte le Arti, senza quella differenziazione, che solamente con l'avvento
del periodo rinascimentale, la cultura intellettuale del tempo volle introdurre,
scindendole in Arti Minori e Arti Maggiori.
Per le tarsie più note, come lo studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino (fig.1),
che si presume intarsiato da Baccio Pontelli o le tarsie eseguite dai Canozzi da
Lendinara alla Basilica di S. Antonio a Padova, i cartoni erano preparati da pittori
celebri come: Piero della Francesca, Bramante, Francesco di Giorgio Martini,
Botticelli (fig 2a-2b). Nel Rinascimento, il connubio di forma tra i pittori che
realizzavano i cartoni studiati per le tarsie e i maestri lignari rinascimentali fu sempre
basato sul rispetto delle possibilità cromatiche del legno conoscendone i limiti. È per
questo che la tarsia rinascimentale divenne una forma d'arte nuova, perché fu usata per
i suoi giusti valori di rappresentazione, senza voler assomigliare alla pittura. La tarsia
non può dare un effetto dinamico al quadro ma statico.
Essa sembra ferma nel tempo ed è sicuramente, anche per questo, che forme
geometriche, scorci prospettici e nature morte si adattarono perfettamente a questo
proposito così da essere prescelti per le tarsie rinascimentali in quanto figlie delle
nuove formulazioni della prospettiva.
3
Fig.2b –
Dante Alighieri,
particolare – Botticelli
Fig.2a -
Francesco di Giovanni, detto il Francione e Giuliano da Maiano, tarsie lignee
su cartoni attribuiti al Botticelli
La prospettiva
Sulla scorta delle scoperte ottiche di Brunelleschi, dei concetti dell'Alberti (che nel
1463 con il ''De pictura'' aveva insegnato con grafici ed esempi pratici la
semplificazione delle regole della prospettiva) e con le successive sperimentazioni di
Piero della Francesca, ben presto nacque un nuovo modo di rappresentare. La tecnica
della tarsia si pose così all'incrocio di tutte le arti perché, per la sua realizzazione, si
comprese la necessità di conoscenza della prospettiva e della matematica, riscattando
per innovazione la posizione delle arti meccaniche nel confronto delle arti liberali.
Nell'ultimo terzo del Quattrocento1
si assistette ad un'abbondante presenza di vedute
urbane eseguite ad intarsio nei legni più svariati (fig.3).
Tali vedute illustrarono una realtà architettonica che in primis artigiani e committenti
avrebbero potuto vedere quotidianamente. 2
1
dopo il 1460 secondo gli studi di Andrè Chastel.
2
ne sono esempi vedute della piazza del Duomo di Cremona, il Battistero di Parma, il Santo di Padova.
4
Fig. 3
Cristoforo e Lorenzo
Canozi– veduta urbana,
tarsia lignea, Modena,
Duomo, Coro
Gli intarsiatori attinsero liberamente dal nuovo vocabolario architettonico formatosi
in quegli anni anche se, talvolta, con qualche imprecisione nella resa della
rappresentazione prospettica.
Espediente narrativo divenne così la volontà di ricreare un ambiente ora quotidiano
ora idealizzato che, unito alla ricerca di un effetto illusionistico della realtà, realizzasse
tale intento attraverso il lasciar intravedere scorci e vedute prospettiche che si
svelavano all'osservatore tra imposte spalancate, ad incorniciare la rappresentazione
entro schemi compositivi ricreati ad hoc dall'artista intarsiatore.
Il nuovo stile dell'intarsio venne ulteriormente arricchito da rese autonome di
architetture idealizzate di grandi paesaggi urbani rifacendosi ad una architettura
umanistica ideale della cerchia dell'Alberti mettendo le basi affinchè la tarsia si
rivelasse quale campo di sperimentazione ottimale per la realizzazione di prospettive.
'Questo lavoro ebbe origine primieramente nelle prospettive, perché quelle avevano
termine di canti vivi, che commettendo insieme i pezzi facevano il profilo, e pareva
tutto d'un pezzo il piano dell'opra loro, sebbene e' fosse stato di più di mille'- afferma
il Vasari.3
Così nel Quattrocento scienza e arte si identificarono in un unico rapporto di identità,
e l'intarsiatore rivestì il ruolo di artista sperimentatore che si serviva delle nuove
scoperte.
La tarsia divenne campo di applicazione della nascente teoria sulla prospettiva in un
connubio tale che formulazione teorica e arte si influenzarono reciprocamente.
A questo proposito Chastel afferma che: 'la decorazione intarsiata non sarebbe stata
accolta con favore da prelati canonici e principi se non avesse espresso una bellezza
moderna, se non avesse posseduto una sua dignità poetica. Essa aveva il potere di
seduzione della geometria e del trompe-l'oeil, due ricerche che nelle tendenza dell'ars
3
Vasari – Cap. XXXI. Del musaico di legname, cioè delle tarsie; e dell'istorie che si fanno di legni tinti e commessi a guisa
di pitture-Delle vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti
5
nova erano estremamente associate'4
.
Così, ben presto, la tarsia divenne terreno di
applicazione di leggi e curiosità matematiche, che
successivamente codificate nel 'De divina proportione'
porteranno alla scoperta dello spazio figurato
(profondità ovvero terza dimensione) insieme alla
valorizzazione degli effetti di inganno ottico ottenuti
con la giustapposizione di tessere di diverse specie
lignee.
Probabilmente proprio le tavolette prospettiche del
Brunelleschi e le scatole ottiche dell'Alberti
corrisposero a lungo alle numerose vedute urbane
intarsiate.
Il legno, inoltre, nei primi anni del Rinascimento, è il
materiale con cui si costruiscono le macchine di Scienza
(le macchine di Leonardo), gli strumenti per la musica
e la misurazione del tempo.
Così il legno della tarsia spesso rappresentò se stesso:
il liuto, gli stipiti lignei, le nicchie con sportelli semi
aperti insieme agli stessi strumenti del legnaiuolo.
Fig. 4
Raffigurazione del mazzocchio -
tarsia lignea
L'ornato di base della tarsia fu costituito da un motivo geometrico, una filettatura alla
greca, trecce, dadi o spirali a nastro spesso ottenuti con la tecnica a toppo che
iscrivevano le figure in una cornice ideale.
Altri elementi rappresentati furono: strumenti musicali, suppellettili liturgiche, cofani,
cassette, libri, utensili, poliedri sfaccettati e, simbolo della stereometria ed emblema
dei maestri della prospettiva, il mazzocchio (vd. fig.4)
L'abilità dell'artista intarsiatore, così come era avvenuto per i Canozi nella
realizzazione dei banconi della Sacrestia di Modena (1474-77), in questo caso unita
all'influsso di Piero della Francesca, fu in grado di realizzare una nuova visione degli
oggetti che, ruotando sul proprio asse, si prestarono ben presto a visioni nuove e
straordinariamente tridimensionali.
I Canozi ebbero il merito di intuire per primi l'idea di oggetti comuni che, fotografati
col nuovo metodo, potevano dar luogo ad un sistema di immagini.
Lo spazio diventò il vero protagonista nelle vedute, uno spazio di percorsi immaginari
tra le forme squadrate degli edifici, volumi perfetti ed insieme simboli di un ideale
umanesimo urbano (fig5a-5b).
4
si veda a qs proposito Andrè Chastel 'Marqueterie et perspective au XV siecle'
6
Fig. 5a – Artista dell'Italia Centrale - 'La città ideale' – Urbino- Galleria Nazionale
Fig. 5b – Artista fiorentino – Tarsia di città ideale
Il paesaggio si realizzava attraverso l'articolazione di forme nette mentre l'armatura
semplice delle ortogonali e delle linee di fuga determinava, attraverso il gioco delle
intersezioni, uno splendido ordito geometrico.
Si individuano raffigurazioni di oggetti e di città solitarie la cui rappresentazione non
fu considerata per se stessa ma in base a misure e rapporti spaziali definiti che
permasero a lungo immutati.
Fig.6a – Cristoforo Canozi – Ricostruzione di connessione prospettica dei dossali con i relativi pancali -
Parma - Sacrestia dei Consorziali
Accadeva di frequente, per la medesima bottega, che gli stessi modelli venissero
riutilizzavi varie volte attraverso replica o ribaltamento con vesti e chiavi prospettiche
sempre diverse.
Si partiva da figure geometriche che facilmente potevano disegnare altre figure
distribuite nello spazio per poi arrivare, attraverso il montaggio di scatole prospettiche,
alla realizzazione della terza dimensione. La visione prospettica con la scomposizione
della piramide visiva in sezioni proporzionali veniva marcata nella grafica proiettiva
7
delle linee incise sulla base lignea, poi tradotta nelle sagomature del commesso.
Così il tracciato prospettico veniva condizionato da leggi compositive che variavano a
seconda della geometria del pannello e che seguivano rapporti numerico-musicali
secondo una metrica ben precisa. L'identificazione degli elementi focali, dei razzi
centrici, dell'orizzonte prospettico apparve condizionata dalla posizione dei virtuali
osservatori che, allo schiudersi di falsi usci ed ante, accettavano l'inganno di una
prospettiva inversa in cui i punti di fuga non dimorano nello spazio figurato ma in
quello reale dell'osservatore come se in esso vi fosse immerso (vd ricostruzione
prospettica fig.6a).
Fig.6b – Cristoforo
Canozi – Tarsia -
Parma - Sacrestia dei
Consorziali – Dossale
Spesso, a tal proposito, i piani della rappresentazione risultavano essere tre,
accumunati da un unico punto di vista.
Il primo era costituito dagli sportelli semiaperti, il secondo dal posizionamento al
centro di una fontana o un pozzo mentre il terzo, sullo sfondo, da altre architetture o
da paesaggi collinari (fig.6b).
8
La tecnica
Grande importanza nella fase iniziale di realizzazione della del progetto della tarsia
prospettica era affidata alla realizzazione di un disegno prestabilito che veniva
chiamato cartone.
Il progetto per una tarsia non rappresentava un discorso solamente legato alla scelta
delle specie lignee che sarebbero state impiegate, ma disegnare un cartone e riuscire a
ottenere un buon risultato di raffigurazione di oggetti o vedute prospettiche
architettoniche, implicava in primis la conoscenza del disegno e delle regole principali
della prospettiva.
La prima operazione consisteva nel disegnare a matita su di una carta da spolvero lo
schizzo del disegno. Il cartone, oltre alle misure riportate del pannello serviva per
riprendere le sagome di ogni singola tessera da intarsiare. Nel cartone venivano
studiate e annotate tutte le indicazioni per creare il quadro, dall’ accostamento dei
colori per la scelta dei tipi di legno da impiegare al capire le parti da sottoporre alle
tecniche dell’ombreggiatura e della tintura.
La conoscenza dei tipi di legno ed il colore peculiare di ogni essenza da usare per la
tarsia era obbligatoria. Da qui uno studio preliminare dei vari tipi e colori di legni
andava considerato prima di cominciare un intarsio (fig. 7a-7b)
Altra importante decisione in fase progettuale consisteva nella scelta della provenienza
della luce. La direzione luminosa influenzava infatti la scelta dei tipi di legni, chiari e
scuri, da impiegare per ottenere la tridimensionalità degli oggetti da
rappresentare.Legni utilizzati nella tarsia rinascimentale erano: noce. pero, gelso,
cipresso, salice, bosso, betulla, acero, olmo, pino, fusaggine (legno chiaro detto anche
silio), quercia spesso annerita.
9
Fig.7a – Antonio degli Abbati -Tarsia prospettica Fig.7b –Tarsia prospettica -Rilievo specie lignee
La prima operazione nella fase di lavorazione consisteva nella scelta e nel taglio
delle tavole di legno per ottenere le listre occorrenti per la tarsia. Queste dovevano
avere uno spessore di almeno 3 mm.
Conseguente alla scelta del legno era anche l'ottenimento di particolari effetti grafici
attraverso la venatura a seconda delle direzioni del taglio, scelta che doveva essere
appropriata per la riuscita ottimale del motivo da figurare.
Si procedeva poi all'operazione di taglio dei modelli, in base alle sagome realizzate
nel cartone e successivamente alla rifinitura delle sagome per ritoccare e rendere
precise le tessere fra di loro.
Per completare la composizione le tessere potevano essere tinte o seguire altri
procedimenti.
Per far rendere una tarsia più assomigliante ad una quadro dipinto, infatti, era
necessario ottenere l'effetto delle ombre proprie di un oggetto, attraverso sistemi come
un graduale e progressivo passaggio di legni di diverso colore dal chiaro allo scuro, o
più semplicemente l'ombreggiare con la sabbia rovente la zona in ombra.
Per l'ombra portata si potevano usare più espedienti. Quello più comune consisteva
nello scegliere un legno di colore scuro, tagliarlo a seconda della forma dell'ombra e
inserirlo nella zona del cono d'ombra creato dall'oggetto.
Altra tecnica di estremo effetto riguardava la creazione di lumeggiature (le parti di
un'oggetto più esposte alla luce) e consisteva nell'inserire dei piccoli filetti di legno
chiaro, presumibilmente acero, riuscendo a far rendere mirabilmente l’effetto di luce.
I vari artisti sperimentarono vari metodi per la resa delle luci e delle ombre.
Nella realizzazione degli scuri Fra Giovanni da Verona ad esempio utilizzava ferri
10
roventi per ombreggiare dando un effetto graduale all'ombra, meno netto rispetto a
quello ottenuto con la sabbia arroventata.
Mentre i Canozi Da Lendinara sperimentarono invece un sistema di tintura del legno
mediante bollitura ovvero coloritura per immersione in olii penetrativi bollenti che
trovò la sua prima applicazione nel coro della Basilica del Santo a Padova (1462-69).
Per completare la realizzazione del quadro intarsiato venivano usate vari tipi di
tecniche di assemblaggio delle tessere tra cui:
- tarsia a toppo, trecce o giustapposizioni con tessere geometriche a disegno
semplificato spesso ripetute in serie;
- tarsia a buio con figure fitomorfe commesse a fusaggine (legno chiaro) con sviluppo
simmetrico su fondo uniforme più scuro (in genere noce);
- tarsia alla certosina, derivata da modelli arabi formata con geometrie a tessere
minutissime.
Una volta assemblate tra di loro le numerose tessere di impiallacci di specie legnose
diverse, il tutto veniva fissato su di un pannello realizzato per lo più in massello di
noce opportunamente inciso seguendo le linee del disegno da raffigurare.
Su questa guida grafica si incollavano tessere con colle a freddo, a base di caseina,
mentre per le rifiniture si utilizzavano colle a caldo di origine animale.
Il lavoro veniva concluso con lucidatura che esaltava la bellezza dei legni.
Fig.8
Antonio degli Abbati -Tarsia prospettica –
Padova – Museo Antoniano
Fig.9
Antonio degli Abbati -Tarsia prospettica –
Padova – Museo Antoniano
11
Storia
Intarsi di materiali preziosi su basi lignee furono praticati sin dall'antichità più remota,
in Oriente, Egitto, tra i Greci e i Romani.
L'origine della tarsia vera e propria viene fatta risalire al XIII sec, momento in cui se
ne trova una testimonianza con decorazione pittorica e rese cromatiche chiaroscurali.
A questo proposito si ha documentazione delle tarsie ormai perdute del coro di Siena
eseguite da Mannello Pasti nel 1259.
La tarsia non era conosciuta in tutta Italia, ma per tutto il '300, ha rappresentato una
vera e propria specialità locale delle maestranze senesi.
Successivamente tra il 1331 e il 1340 Vanni dell'Ammannato, anch'egli di origine
senese, fu intarsiatore nel coro del Duomo di Orvieto.
Tra i numerosi artefici toscani del primo Rinascimento troviamo Francione, Antonio
Manetti, Baccio Pontelli, Agnolo di Lazzaro e Giovanni Guidi, fratello di Masaccio.
Intarsiatori senesi, maestri nella tradizione di figura, hanno tenuto campo per un secolo
nella tarsia lignea tra inizi XIV e XV sec. fino a quando furono scalzati da fiorentini
ed emiliani seguaci delle teorie del Brunelleschi, a partire dal cantiere delle sacrestia
delle messe a Santa Maria del Fiore.
I lavori di costoro nella sacrestia di S. Maria del Fiore sperimentali nella tecnica
prospettica, subirono gli interventi dei celebri Giuliano e Benedetto da Maiano.
Come scrisse il Vasari nel capitolo sulla vita di Benedetto da Maiano: 'Benedetto da
Maiano scultore fiorentino, essendo ne' suoi primi anni intagliatore di legname, fu
tenuto in quello esercizio il più valente maestro che tenesse ferri in mano, e
particolarmente fu ottimo artefice in quel modo di fare che, come altrove si è detto, fu
introdotto al tempo di Filippo Brunelleschi e di Paulo Ucello, di comettere insieme
legni tinti di diversi colori e farne prospettive, fogliami e molte altre diverse fantasie5
.
La Sacrestia delle Messe a Firenze fu la prima risposta dell'invito del Brunelleschi ai
legnaiuoli Antonio Manetti e Agnolo di Lazzaro.
Si ipotizza a tal proposito che i cartoni per le tarsie furono realizzati dallo stesso
Brunelleschi che in quel periodo ebbe la supervisione e il coordinamento del Duomo.
Su questa ipotesi M. Haines dichiara: 'Nelle tarsie di Lazzaro i metodi approssimativi
tradiscono una certa ignoranza della prospettiva al di là dell'elementare principio del
punto di fuga e nemmeno questo è stato poi applicato sistematicamente nei
particolari'6
.
Più aderente alle regole prospettiche appare invece il lavoro di Antonio Manetti,
elemento che la stessa Haines collega all'intervento di Paolo Uccello che nel 1436
avrebbe lavorato in Duomo.
5
cfr. Vasari – vita di Benedetto da Maiano,scultore et architetto - Delle vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti
6
vd. M Haines 'La sacrestia delle messe del Duomo di Firenze, Firenze 1983.
12
L'evoluzione di un'arte nuova come quella della tarsia prospettica partì dall'epicentro
di Firenze per poi diventare ispirazione per le altre parti dell'Italia, le quali scelsero la
tarsia per rappresentare gli studioli umanistici e i cori delle cattedrali, della chiesa e
dei mecenati nel Rinascimento.
Francesco di Giovanni, detto il Francione 1428-1450 lavorò presso la sala dei Gigli a
Palazzo Vecchio.
Altri artisti tra i massimi esponenti del periodo furono: i Bencivenni, marchigiani di
Mercatello sul Metauro, Arduino da Baiso di Ferrara e i fratelli Canozi da Lendinara
che diventarono i più famosi maestri di prospettiva dell'area veneta, e a suo tempo
ebbero legami di lavoro e influenzarono Pier Antonio degli Abbati.
Questo tipo di tecnica ebbe il suo massimo fulgore fra il 1440 e 1540, periodo che fu
il più importante per l'arte della tarsia, grazie al suo impiego che, come abbiamo già
visto, si adattava perfettamente con gli studi e la teorizzazione della prospettiva e con
gusto dell'epoca.
A questo proposito Chastel individua come momento d'oro della tarsia prospettica il
cinquantennio dal 1470 al 1520 e lo fa coincidere con i capolavori di Santa Maria in
Organo a Verona e il corso senese di San Quirico d'Orcia in Toscana.
Successivamente si assistette ad un progressivo declino della funzione e del prestigio
di questa arte fino al momento in cui, attorno al terzo decennio del 500, gli artefici del
legno si conformano ad una altra arte, la pittura e con essa entrarono in competizione.
In un passo del Vasari appare chiara la volontà di far competere l'arte della tarsia con
la pittura inquadrandola all'interno di una gerarchia che la fa risultare ad essa inferiore,
per motivi che egli lega anche ad una minore durevolezza nel tempo. Intento che nel
tempo la porterà ad essere ascritta fra le arti minori.
Parlando dei maestri della tarsie infatti egli dice: 'hannolo fatto sempre persone che
hanno avuto più pacienza che disegno. E così s'è causato che molte opere vi si sono
fatte, e si sono in questa professione lavorate storie di figure, frutti et animali, che in
vero alcune cose sono vivissime, ma per essere cosa che tosto diventa nera e non
contrafà se non la pittura, essendo da meno di quella, e poco durabile per i tarli e per
il fuoco, è tenuto tempo buttato invano, ancora che e' sia pure lodevole e maestrevole'.7
7
Vasari – Cap. XXXI. Del musaico di legname, cioè delle tarsie; e dell'istorie che si fanno di legni tinti e commessi a guisa
di pitture-Delle vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti
13
Nel XVI secolo infine esaurite le teorie di essenzialità e perfezione della tarsia
prospettica si praticò la profusione descrittiva.
L'intento successivo degli intarsiatori diventò quello della narrazione, un 'horror
vacui', in cui le architetture e le nature morte diventarono solo un pretesto di partenza.
La tarsia, nata sull'eco di una sperimentazione, diventò ben presto vittima del suo
carattere speculativo quale terra di mezzo tra scienza, tecnica ed arte per cedere il
passo ad un'arte figurativa quale la pittura in grado di andare al di là di quello, che per
molti e per il Vasari stesso, appariva quale semplice esercizio prospettico.
14
I canozi da Lendinara
Fig.10 –
Cristoforo Canozi -
Tarsia -Parma
Cattedrale – Sacrestia
dei consorziali
''Non si dimentichi che nella storia di questa città e illustre provincia, sempre (dividiata) con
Ferrara e con Venezia, c’è anche un altro momento memorabile, che è quello dei primi
interpreti e traduttori delle grandi invenzioni prospettiche di Piero della Francesca, i fratelli
Canozzi, Cristoforo e Lorenzo, da Lendinara, i quali a Lendinara appunto avevano bottega e
hanno distribuito per tutta l’area del ducato estense e fino a Modena una quantità straordinaria
di cori lignei con intarsi meravigliosi, in cui si vede la prospettiva di Piero della Francesca
tradotta in uno spazio assoluto, puro, astratto, attraverso l’intarsio di legni di diversa
stagionatura. Sono anch’essi maestri di Lendinara, quindi due rilievi, due personalità di grande
rilievo nel ‘400 e una grande personalità nel ‘700 illustrano i prodotti locali della provincia di
Rovigo insieme a quelli di rapida importazione, importanti dipinti, da Venezia e da Ferrara”.
da un intervento di Vittorio Sgarbi
in occasione della mostra 'Le meraviglie della pittura tra Venezia e Ferrara, da Bellini a Dosso
a Tiepolo'
Originari di Lendinara, e figli di un certo Maestro Andrea, i due fratelli Canozi, detti
anche i Lendinaresi, sono ritenuti i più importanti maestri dell'intaglio tra la fine del
XV e gli inizi del XVI secolo.
I Canozi furono attivi a Ferrara presso la corte degli Estense, dove ebbero certamente
modo di conoscere Piero della Francesca.
Il grande maestro concesse ai Canozi illimitato diritto di riproduzione dei cartoni che
lo stesso Piero produceva o ispirava.
Spetta a Lorenzo, Cristoforo e Bernardino Canozi, l’introduzione della tecnica nella
tarsia di tingere il legno mediante bollitura, procedimento da loro inventato e applicato
per la prima volta nell'esecuzione del coro della Basilica del Santo a Padova.
Precedentemente, l’alternanza dei colori era ottenuta con impiego di legni chiari e
scuri, mentre le ombre venivano rese annerendo il legno con un ferro rovente. Tale
15
processo di bollitura insieme a coloranti per ottenere effetti ottici assicurava inoltre la
durata della conservazione del colore.
I Canozi divennero dei veri e propri punti di riferimento per la loro epoca e nei contratti
di committenza spesso ci si riferiva ai cori del Duomo di Modena e del Duomo di
Parma quali esempi di maestria.
Canozi Lorenzo
Marangone-intarsiatore, figlio del maestro d’ascia Andrea Nascimbene, originario di
San Felice di Modena il quale elesse Lendinara a stabile residenza.
Lorenzo, insieme al fratello minore Cristoforo con cui spesso collabora, è spesso
soprannominato “da Lendinara” centro ove peraltro la famiglia assunse il cognome di
“Canozi o Canozzi”.
Della fase giovanile ai Canozi si attribuisce la realizzazione dell’intaglio del
graticolato di Lendinara e l’intaglio dei dossali dei Frari a Venezia, ancora eseguiti in
adesione a repertori stilistici di ascendenza tardogotica.
Lorenzo, nato intorno al 1430, allievo di Piero della Francesca a Ferrara, lavorò
soprattutto a cori, coadiuvato dal fratello Cristoforo e dal figlio Giovanni Marco.
Oltre che intagliatore, Lorenzo fu miniatore e stampatore.
Attivo a Ferrara sin dal 1441, nel 1449 è per la prima volta citato, insieme al fratello,
come alunno-lavorante di Arduino da Baisio.
Arduino da Baiso che a Ferrara fu il maestro dei Canozi negli anni '40 del 400, lavorava
nella tarsia tra Emilia e Lombardia.
Entrambi i Canozi operarono tarsie nel celebre studiolo del duca Leonello d’Este nella
delizia di Belfiore e in tale contesto, seppure molto giovani, vengono citati nei
documenti dell'epoca, alla pari del grande maestro.
Lo studiolo di Belfiore, andato distrutto da un incendio, fu concepito sotto l'illuminato
principato di Leonello per dar lustro al ruolo di diplomatici dei signori di Ferrara. Il
principe improntò lo studiolo quale Museion, ovvero luogo di celebrazione delle
venerate figlie di Zeus e di Mnemosine e dei valori culturali ad esse legati. Un
Umanesimo anticheggiante quindi la cui parte preponderante dei dipinti era costituita
da un ciclo dedicato alle muse quali sagge ispiratrici della politica degli estense.
Nella realizzazione nei rivestimenti lignei di Belfiore, che prese l'avvio nel 1449,
Arduino raccoglie per la prima volta il seme brunelleschiano ed imposta la prospettiva
delle studiolo con le indicazioni di Piero della Francesca.
Il punto di fuga piuttosto basso di alcuni tra i dipinti identificati come appartenenti al
ciclo di Belfiore suggerirebbe inoltre che essi fossero posti nella parte superiore della
parete in una disposizione simile a quella dello studiolo di Urbino (fig1).
16
Tra il 1448 e il 1449 la stessa impostazione spaziale dello studiolo passa ai due fratelli
per i lavori dei dossali di Reggio Emilia che presentano una resa prospettica piuttosto
semplice da farli risultare ancora irrimediabilmente immobili. Anche la luce appare
elementare, gli oggetti sono o tutti illuminati o totalmente in ombra e spesso le
ombreggiature vengono ottenute con tagli di legni scuri.
I primi esperimenti emiliani in campo prospettico furono successivamente quelli
canoziani del 1457 nella chiesa di San Prospero a Reggio Emilia.
Tra il 1460/61 e il 1465 Lorenzo e Cristoforo lavorarono all’esecuzione degli stalli del
duomo di Modena, servendosi anche della collaborazione dell’intagliatore-intarsiatore
Pietro Antonio Abbati. Del lavoro del coro di Modena la novità fu rappresentata dalla
rappresentazione degli oggetti in prospettiva.
Altra opera importante furono le imposte dell'armadio delle reliquie della Sagrestia
della Basilica del Santo, a Padova e il dossale.
Il coro della chiesa del Santo a Padova (1462-69) fu il primo esempio tarsia urbana
con precisi riferimenti alla realtà topografica. Sono in tale rappresentazioni presenti
ancora alcuni arcaismi che legano i due fratelli alla tradizione rappresentata da
Arduino de Baiso ma l'abilità dei maestri, che scelsero decine di essenze arboree
diverse, conferì alle opere una resa pittorica di grande effetto. Legni usati nella
Basilica del Santo furono: noce, pioppo, acero, fusaggine, gelso, ontano, pero,
salice, legno negro (quercia affogata), sordo e bosso.
La tecnica di tingere il legno mediante bollitura fu introdotta per la prima volta tra il
1462 e il 1469, proprio nella realizzazione del coro della Basilica del Santo a Padova,
oggi in parte distrutto da un incendio settecentesco. Di quest'opera si conservano solo
due pannelli.
E' nel più importante santuario del Veneto e alla Cà Grande in Venezia che Lorenzo
evidenzia con forza l’adozione della lezione pierfrancescana, offrendo il primo
esempio di “veduta di città ideata” compiutamente codificato.
Lorenzo lascia definitivamente Ferrara nel 1463
Lorenzo morì nel 1477, il nipote Bernardino, figlio del fratello Cristoforo,
proseguendo l'opera del padre, lavorò a Parma Lucca e Pisa.
17
Canozi Cristoforo
Notizie dal 1448 - morto nel 1491.
Massimo tra i maestri di tarsia in Emilia, e' documentato dal 1449 al 1453 in relazione
alla decorazione dello studiolo fatto allestire da Leonello d'Este nel Palazzo di Belfiore
a Ferrara, dove collabora con il fratello Lorenzo sotto la direzione di Arduino da Baiso.
Tra gli ultimi lavori eseguiti dai Canozi in città
v’è memoria di un cassone in cipresso con
tarsie ad uccelletti e parti in intaglio eseguite
da Leonardo d’Alemagna,
Per la sua successiva attivita', fu fondamentale
l'incontro con Piero delle Francesca, avvenuto
proprio a Ferrara nel 1450, come documentano
le tarsie del coro, il bancone dei celebranti
nella sagrestia (1461-1465) e i Quattro
Evangelisti (1477) nel Duomo di Modena.
La personale amicizia che legò Cristoforo a
Piero della Francesca a Ferrara, ebbe
certamente molto influire sull’arte del Canozi
che ne assorbirono la lezione prospettica e
Cristoforo, sebbene inizialmente dedito
all’intaglio, dovette in seguito di preferenza
operare a intarsio.
Lascia Ferrara nel maggio del 1457 insieme a
Lorenzo per trasferirsi a Modena ove, tra il
1460/61 e il 1465 ultimarono nel Duomo
cittadino il coro intarsiato e intagliato
avvalendosi della collaborazione del modenese
Pietro Antonio degli Abbati.
Fig.11 - Cristoforo Canozi da Lendinara – Anconetta
lignea con 'La natività e l'eterno', Modena, Galleria
Estense
Quest’opera si segnala per l’applicazione di tarsie di già matura resa prospettica.
Le tarsie del coro della Sacrestia dei Consorziali di Modena, insieme al coro del
Duomo di Parma (per il quale improntò alcune tarsie ed eseguì banchi e armadi da
sagrestia) già in opera nel 1488, mostrano come l’arte lendinaresca avesse ormai
sviluppato una nuova capacità di formulazione lessicale, ove la problematicità
prospettica si emancipa da retaggi gotici per esprimere influenze toscane e padane che
nel loro insieme risultano di nuova tendenza e dove l'insegnamento della lezione
prospettica di Piero della Francesca, conosciuto durante il soggiorno ferrarese, domina
l’arte dei Canozi.
Nel 1463 un documento testimonia di ventisei stalli da coro eseguiti dai da Lendinara
in Modena e destinati a una non meglio precisata chiesa veneziana.
Cristoforo sarà poi attivo nel 1484 nella sacrestia di Villa Guinigi a Lucca e a Pisa,
18
dove eseguì tarsie. A Lucca Cristoforo offrì uno splendido riassunto dei temi del suo
repertorio iconografico urbano.
Benche' testimoniata dalle fonti, la sua attivita' di pittore e' certificata soltanto dalla
Madonna col Bambino (fig.11), ora nella Galleria Estense di Modena, firmata e datata
1482. L'anconetta della Popolare e il grande affresco con il Giudizio Universale in
Duomo dimostrano la progressiva maturazione stilistica di Cristoforo e ne avvalorano
la posizione di prestigio nella diffusione in ambito padano della cultura
pierfrancescana.
Viene inoltre citato dal Vasari nelle Vite: ''...Lorenzo da Lendinara, il quale fu tenuto in
Padova pittore eccellente e lavorò anco di terra alcune cose nella chiesa di S. Antonio, et alcuni
altri di non molto valore. ''8
Canozi Bernardino (XV-XVI secolo)
Intagliatore-intarsiatore attivo a Ferrara, a Modena e a Parma. Detto Bernardino da
Lendinara. E’ figlio di Cristoforo Canozi.
Nel 1488, insieme al padre Cristoforo e a Luchino Bianchino, realizza il coro nella
Sacrestia dei Consorziati del Duomo di Parma.
Nel 1501 iniziò i lavori, insieme a Pietro Rizzardi e a Sebastiano Rigoni per la
realizzazione del coro ligneo della cattedrale di Ferrara.
La costruzione dell’importante complesso si protrasse fino al 1525. In questo lavoro Bernardino
utilizzò con grande probabilità anche cartoni eseguiti dal padre, il famoso Cristoforo. Bernardino fu
definito a suo tempo “intarsiatore di prospettive”.
Fig.12a –
Bernardino Canozi -Tarsia del portico dei Benvenuti
Fig.12b –
Portico dei Benvenuti - Ferrara
8
Vasari – Vita di Andrea Mantegna, pittore mantovano - Delle vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti
19
- Ferrara- Duomo - Coro
Relativamente al problema tra astrazione e realismo delle tarsie prospettiche di
Bernardino il Quintavalle afferma, scegliendo senza esitazione il partito del realismo,
che Bernardino fornisce della Ferrara agli inizi del Cinquecento una veduta molto
preziosa e ribadisce questo suo convincimento quando riconosce nelle tarsie della
scuola lendinarese “a Parma come a Modena come a Padova, vedute reali della città,
vedute dei punti chiave, dei punti determinanti del tessuto architettonico”9
.
Ferretti allo stesso proposito invece osserva che almeno una delle tarsie ferraresi –
“quella dove è riprodotto lo scalone coperto di Pietro Benvenuti” (vd fig.12a-12b) – è
un inequivocabile riferimento a un reale manufatto architettonico della città''.
Considera inoltre riconoscibili come raffigurazioni di elementi ‘reali’ della città altre
due tarsie: quella in cui compare la torre con ponte levatoio del castello estense e
quella della quarta tarsia che rappresenta “un palazzo gentilizio tipico delle modifiche
urbanistiche rossettiane, in cotto con angolari in marmo chiaramente indicati e con
ampia loggia al piano nobile, sito nei pressi delle mura cittadine ... l’edificio ha una
sua realistica aderenza a un particolare momento durante il quale una fabbrica
medioevale possa esser stata ristrutturata con elementi che sono certamente
rossettiani (la loggia, lo zoccolo strombato con angolari in marmo)10
. Ferretti vede in
queste rappresentazioni più che vedute reali come elementi di rappresentazioni nelle
quali possono perfino figurare particolari realistici e assolutamente contemporanei allo
stato edilizio della città.
Canozi Daniele (XV-XVI secolo). Magister lignaminis, intarsiatore e intagliatore
attivo a Ferrara e a Modena. Figlio di Bernardino Canozi da Lendinara. Collaborò
con il padre nell’esecuzione del coro ligneo della cattedrale di Ferrara, iniziato nel
1501.
Daniele è documentato tra il 1507 e il 1512, anni in cui ritira personalmente le
spettanze dovute per tale impresa dal padre Bernardino.
Canozi Giovan Marco (XV-XVI secolo). Magister lignaminis, intarsiatore e
intagliatore. Figlio di Cristoforo Canozi, lavorò agli stalli di San Francesco alla Vigna,
purtroppo distrutti fin dal Cinquecento.
9
Quintavalle “Arte in Emilia”, 1965
10
Ferretti in “I maestri della Prospettiva”, Storia dell’arte italiana, vol.XI
20
Bibliografia
Rinascimento, da Brunelleschi a Michelangelo – Bompiani
Tarsie lignee della basilica di San Marco – Rizzoli
Pier Luigi Bagatin – Le pitture lignee di Lorenzo e Cristoforo da Lendinara - - Antilia - 2004
Pier Luigi Bagatin– L'arte dei canozi lendinaresi - Lint - 1987
Pier Luigi Bagatin– La tarsia rinascimentale - Centro Di - 1991
Graziano Manni – I signori della prospettiva - Cassa di risparmio di Mirandola
Michele Caffi – dei Canozi o Genesini lendinaresi - tip. P. Agnelli
Francesco Arcangeli – tarsie
Ferretti – I maestri della prospettiva in 'Storia dell'arte italiana -Forme e modelli - vol XI
Einaudi
Quintavalle, Arturo Carlo - Cristoforo da Lendinara - s.n. - 1959
A.Chastel – Alla scoperta delle tarsie in AAVV, in imago Urbis 1986 Milano
M.Haines – La sacrestia delle messe del Duomo di Firenze – 1983 Firenze
Vasari – Delle vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti

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Renaissance marquetry perspective in the studiolo of Federico da Montefeltro.

  • 1. 1 Simonetta Capetta matr. 315367 Tesina di Storia dell'Architettura Anno accademico 2007-2008 Corso di Studi in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali La tarsia prospettica L'intarsio o tarsia lignea è un tipo di decorazione che si realizza accostando legni diversi o altri materiali quali avorio, osso o madreperla tagliati sulla scorta di cartoni. Diffusa già nel Trecento, tra il 1440 e il 1550 raggiunge il massimo della fioritura, sviluppando quello che verrà definito da Andrè Chastel: il Cubismo del Rinascimento. La tarsia è impiegata nella decorazione di cofanetti, cassoni nuziali, porte e mobili d'arredo liturgico e per il rivestimento di sagrestie, cori e studioli. Fig.1 – Baccio Pontelli - Tarsie - Urbino, Palazzo Ducale, Studiolo di Federico da Montefeltro
  • 2. 2 La tarsia prospettica pittorica è un intarsio piuttosto complesso e definibile come la più alta espressione di rappresentazione lignea. Il sistema assomiglia ad un mosaico di legni commessi insieme, che nel sapiente accostamento dell'artista, danno vita a scorci prospettici raffiguranti città ideali e a nature morte ; caratteristica che rese questa tecnica prescelta per arredare e ornare cori di cattedrali e palazzi delle signorie più facoltose e illuminate del Rinascimento (vd. studiolo di Urbino e Gubbio). Le capacità indispensabili che l'artista doveva possedere consistevano nel conoscere la geometria descrittiva, le regole della prospettiva, il disegno figurativo e di conseguenza i chiaroscuri e i giochi d'ombre che occorrono per rendere un quadro, anche se di legno, “vicino” all'effetto di rappresentazione pittorica. Grazie all'applicazione della tintura dei legni e alla tecnica dell’ombreggiatura, gli intarsiatori poterono creare quadri più complicati sviluppando e inserendo nuovi temi naturalistici collocati in scorci prospettici di vedute urbane e paesaggistiche. La figura di questi artisti venne così a discostarsi progressivamente da quella dell'artigiano per avvicinarsi a figure di artisti tali da venire indicati nel Quattrocento con l'appellativo di “maestri di prospettiva“. Questi, spesso, oltre ad essere abilissimi artigiani, erano anche architetti e ingegneri, come Giuliano e Benedetto da Maiano, Baccio D'Agnolo, Baccio Pontelli, i Canozzi da Lendinara e altri, che conoscevano le regole della prospettiva e gli strumenti per la lavorazione del legno, in quanto si servivano di questa materia per costruire i modellini per i progetti di architettura. Le “Botteghe” più importanti del periodo prerinascimentale infatti si presentavano come laboratori poliedrici dove si praticavano tutte le Arti, senza quella differenziazione, che solamente con l'avvento del periodo rinascimentale, la cultura intellettuale del tempo volle introdurre, scindendole in Arti Minori e Arti Maggiori. Per le tarsie più note, come lo studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino (fig.1), che si presume intarsiato da Baccio Pontelli o le tarsie eseguite dai Canozzi da Lendinara alla Basilica di S. Antonio a Padova, i cartoni erano preparati da pittori celebri come: Piero della Francesca, Bramante, Francesco di Giorgio Martini, Botticelli (fig 2a-2b). Nel Rinascimento, il connubio di forma tra i pittori che realizzavano i cartoni studiati per le tarsie e i maestri lignari rinascimentali fu sempre basato sul rispetto delle possibilità cromatiche del legno conoscendone i limiti. È per questo che la tarsia rinascimentale divenne una forma d'arte nuova, perché fu usata per i suoi giusti valori di rappresentazione, senza voler assomigliare alla pittura. La tarsia non può dare un effetto dinamico al quadro ma statico. Essa sembra ferma nel tempo ed è sicuramente, anche per questo, che forme geometriche, scorci prospettici e nature morte si adattarono perfettamente a questo proposito così da essere prescelti per le tarsie rinascimentali in quanto figlie delle nuove formulazioni della prospettiva.
  • 3. 3 Fig.2b – Dante Alighieri, particolare – Botticelli Fig.2a - Francesco di Giovanni, detto il Francione e Giuliano da Maiano, tarsie lignee su cartoni attribuiti al Botticelli La prospettiva Sulla scorta delle scoperte ottiche di Brunelleschi, dei concetti dell'Alberti (che nel 1463 con il ''De pictura'' aveva insegnato con grafici ed esempi pratici la semplificazione delle regole della prospettiva) e con le successive sperimentazioni di Piero della Francesca, ben presto nacque un nuovo modo di rappresentare. La tecnica della tarsia si pose così all'incrocio di tutte le arti perché, per la sua realizzazione, si comprese la necessità di conoscenza della prospettiva e della matematica, riscattando per innovazione la posizione delle arti meccaniche nel confronto delle arti liberali. Nell'ultimo terzo del Quattrocento1 si assistette ad un'abbondante presenza di vedute urbane eseguite ad intarsio nei legni più svariati (fig.3). Tali vedute illustrarono una realtà architettonica che in primis artigiani e committenti avrebbero potuto vedere quotidianamente. 2 1 dopo il 1460 secondo gli studi di Andrè Chastel. 2 ne sono esempi vedute della piazza del Duomo di Cremona, il Battistero di Parma, il Santo di Padova.
  • 4. 4 Fig. 3 Cristoforo e Lorenzo Canozi– veduta urbana, tarsia lignea, Modena, Duomo, Coro Gli intarsiatori attinsero liberamente dal nuovo vocabolario architettonico formatosi in quegli anni anche se, talvolta, con qualche imprecisione nella resa della rappresentazione prospettica. Espediente narrativo divenne così la volontà di ricreare un ambiente ora quotidiano ora idealizzato che, unito alla ricerca di un effetto illusionistico della realtà, realizzasse tale intento attraverso il lasciar intravedere scorci e vedute prospettiche che si svelavano all'osservatore tra imposte spalancate, ad incorniciare la rappresentazione entro schemi compositivi ricreati ad hoc dall'artista intarsiatore. Il nuovo stile dell'intarsio venne ulteriormente arricchito da rese autonome di architetture idealizzate di grandi paesaggi urbani rifacendosi ad una architettura umanistica ideale della cerchia dell'Alberti mettendo le basi affinchè la tarsia si rivelasse quale campo di sperimentazione ottimale per la realizzazione di prospettive. 'Questo lavoro ebbe origine primieramente nelle prospettive, perché quelle avevano termine di canti vivi, che commettendo insieme i pezzi facevano il profilo, e pareva tutto d'un pezzo il piano dell'opra loro, sebbene e' fosse stato di più di mille'- afferma il Vasari.3 Così nel Quattrocento scienza e arte si identificarono in un unico rapporto di identità, e l'intarsiatore rivestì il ruolo di artista sperimentatore che si serviva delle nuove scoperte. La tarsia divenne campo di applicazione della nascente teoria sulla prospettiva in un connubio tale che formulazione teorica e arte si influenzarono reciprocamente. A questo proposito Chastel afferma che: 'la decorazione intarsiata non sarebbe stata accolta con favore da prelati canonici e principi se non avesse espresso una bellezza moderna, se non avesse posseduto una sua dignità poetica. Essa aveva il potere di seduzione della geometria e del trompe-l'oeil, due ricerche che nelle tendenza dell'ars 3 Vasari – Cap. XXXI. Del musaico di legname, cioè delle tarsie; e dell'istorie che si fanno di legni tinti e commessi a guisa di pitture-Delle vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti
  • 5. 5 nova erano estremamente associate'4 . Così, ben presto, la tarsia divenne terreno di applicazione di leggi e curiosità matematiche, che successivamente codificate nel 'De divina proportione' porteranno alla scoperta dello spazio figurato (profondità ovvero terza dimensione) insieme alla valorizzazione degli effetti di inganno ottico ottenuti con la giustapposizione di tessere di diverse specie lignee. Probabilmente proprio le tavolette prospettiche del Brunelleschi e le scatole ottiche dell'Alberti corrisposero a lungo alle numerose vedute urbane intarsiate. Il legno, inoltre, nei primi anni del Rinascimento, è il materiale con cui si costruiscono le macchine di Scienza (le macchine di Leonardo), gli strumenti per la musica e la misurazione del tempo. Così il legno della tarsia spesso rappresentò se stesso: il liuto, gli stipiti lignei, le nicchie con sportelli semi aperti insieme agli stessi strumenti del legnaiuolo. Fig. 4 Raffigurazione del mazzocchio - tarsia lignea L'ornato di base della tarsia fu costituito da un motivo geometrico, una filettatura alla greca, trecce, dadi o spirali a nastro spesso ottenuti con la tecnica a toppo che iscrivevano le figure in una cornice ideale. Altri elementi rappresentati furono: strumenti musicali, suppellettili liturgiche, cofani, cassette, libri, utensili, poliedri sfaccettati e, simbolo della stereometria ed emblema dei maestri della prospettiva, il mazzocchio (vd. fig.4) L'abilità dell'artista intarsiatore, così come era avvenuto per i Canozi nella realizzazione dei banconi della Sacrestia di Modena (1474-77), in questo caso unita all'influsso di Piero della Francesca, fu in grado di realizzare una nuova visione degli oggetti che, ruotando sul proprio asse, si prestarono ben presto a visioni nuove e straordinariamente tridimensionali. I Canozi ebbero il merito di intuire per primi l'idea di oggetti comuni che, fotografati col nuovo metodo, potevano dar luogo ad un sistema di immagini. Lo spazio diventò il vero protagonista nelle vedute, uno spazio di percorsi immaginari tra le forme squadrate degli edifici, volumi perfetti ed insieme simboli di un ideale umanesimo urbano (fig5a-5b). 4 si veda a qs proposito Andrè Chastel 'Marqueterie et perspective au XV siecle'
  • 6. 6 Fig. 5a – Artista dell'Italia Centrale - 'La città ideale' – Urbino- Galleria Nazionale Fig. 5b – Artista fiorentino – Tarsia di città ideale Il paesaggio si realizzava attraverso l'articolazione di forme nette mentre l'armatura semplice delle ortogonali e delle linee di fuga determinava, attraverso il gioco delle intersezioni, uno splendido ordito geometrico. Si individuano raffigurazioni di oggetti e di città solitarie la cui rappresentazione non fu considerata per se stessa ma in base a misure e rapporti spaziali definiti che permasero a lungo immutati. Fig.6a – Cristoforo Canozi – Ricostruzione di connessione prospettica dei dossali con i relativi pancali - Parma - Sacrestia dei Consorziali Accadeva di frequente, per la medesima bottega, che gli stessi modelli venissero riutilizzavi varie volte attraverso replica o ribaltamento con vesti e chiavi prospettiche sempre diverse. Si partiva da figure geometriche che facilmente potevano disegnare altre figure distribuite nello spazio per poi arrivare, attraverso il montaggio di scatole prospettiche, alla realizzazione della terza dimensione. La visione prospettica con la scomposizione della piramide visiva in sezioni proporzionali veniva marcata nella grafica proiettiva
  • 7. 7 delle linee incise sulla base lignea, poi tradotta nelle sagomature del commesso. Così il tracciato prospettico veniva condizionato da leggi compositive che variavano a seconda della geometria del pannello e che seguivano rapporti numerico-musicali secondo una metrica ben precisa. L'identificazione degli elementi focali, dei razzi centrici, dell'orizzonte prospettico apparve condizionata dalla posizione dei virtuali osservatori che, allo schiudersi di falsi usci ed ante, accettavano l'inganno di una prospettiva inversa in cui i punti di fuga non dimorano nello spazio figurato ma in quello reale dell'osservatore come se in esso vi fosse immerso (vd ricostruzione prospettica fig.6a). Fig.6b – Cristoforo Canozi – Tarsia - Parma - Sacrestia dei Consorziali – Dossale Spesso, a tal proposito, i piani della rappresentazione risultavano essere tre, accumunati da un unico punto di vista. Il primo era costituito dagli sportelli semiaperti, il secondo dal posizionamento al centro di una fontana o un pozzo mentre il terzo, sullo sfondo, da altre architetture o da paesaggi collinari (fig.6b).
  • 8. 8 La tecnica Grande importanza nella fase iniziale di realizzazione della del progetto della tarsia prospettica era affidata alla realizzazione di un disegno prestabilito che veniva chiamato cartone. Il progetto per una tarsia non rappresentava un discorso solamente legato alla scelta delle specie lignee che sarebbero state impiegate, ma disegnare un cartone e riuscire a ottenere un buon risultato di raffigurazione di oggetti o vedute prospettiche architettoniche, implicava in primis la conoscenza del disegno e delle regole principali della prospettiva. La prima operazione consisteva nel disegnare a matita su di una carta da spolvero lo schizzo del disegno. Il cartone, oltre alle misure riportate del pannello serviva per riprendere le sagome di ogni singola tessera da intarsiare. Nel cartone venivano studiate e annotate tutte le indicazioni per creare il quadro, dall’ accostamento dei colori per la scelta dei tipi di legno da impiegare al capire le parti da sottoporre alle tecniche dell’ombreggiatura e della tintura. La conoscenza dei tipi di legno ed il colore peculiare di ogni essenza da usare per la tarsia era obbligatoria. Da qui uno studio preliminare dei vari tipi e colori di legni andava considerato prima di cominciare un intarsio (fig. 7a-7b) Altra importante decisione in fase progettuale consisteva nella scelta della provenienza della luce. La direzione luminosa influenzava infatti la scelta dei tipi di legni, chiari e scuri, da impiegare per ottenere la tridimensionalità degli oggetti da rappresentare.Legni utilizzati nella tarsia rinascimentale erano: noce. pero, gelso, cipresso, salice, bosso, betulla, acero, olmo, pino, fusaggine (legno chiaro detto anche silio), quercia spesso annerita.
  • 9. 9 Fig.7a – Antonio degli Abbati -Tarsia prospettica Fig.7b –Tarsia prospettica -Rilievo specie lignee La prima operazione nella fase di lavorazione consisteva nella scelta e nel taglio delle tavole di legno per ottenere le listre occorrenti per la tarsia. Queste dovevano avere uno spessore di almeno 3 mm. Conseguente alla scelta del legno era anche l'ottenimento di particolari effetti grafici attraverso la venatura a seconda delle direzioni del taglio, scelta che doveva essere appropriata per la riuscita ottimale del motivo da figurare. Si procedeva poi all'operazione di taglio dei modelli, in base alle sagome realizzate nel cartone e successivamente alla rifinitura delle sagome per ritoccare e rendere precise le tessere fra di loro. Per completare la composizione le tessere potevano essere tinte o seguire altri procedimenti. Per far rendere una tarsia più assomigliante ad una quadro dipinto, infatti, era necessario ottenere l'effetto delle ombre proprie di un oggetto, attraverso sistemi come un graduale e progressivo passaggio di legni di diverso colore dal chiaro allo scuro, o più semplicemente l'ombreggiare con la sabbia rovente la zona in ombra. Per l'ombra portata si potevano usare più espedienti. Quello più comune consisteva nello scegliere un legno di colore scuro, tagliarlo a seconda della forma dell'ombra e inserirlo nella zona del cono d'ombra creato dall'oggetto. Altra tecnica di estremo effetto riguardava la creazione di lumeggiature (le parti di un'oggetto più esposte alla luce) e consisteva nell'inserire dei piccoli filetti di legno chiaro, presumibilmente acero, riuscendo a far rendere mirabilmente l’effetto di luce. I vari artisti sperimentarono vari metodi per la resa delle luci e delle ombre. Nella realizzazione degli scuri Fra Giovanni da Verona ad esempio utilizzava ferri
  • 10. 10 roventi per ombreggiare dando un effetto graduale all'ombra, meno netto rispetto a quello ottenuto con la sabbia arroventata. Mentre i Canozi Da Lendinara sperimentarono invece un sistema di tintura del legno mediante bollitura ovvero coloritura per immersione in olii penetrativi bollenti che trovò la sua prima applicazione nel coro della Basilica del Santo a Padova (1462-69). Per completare la realizzazione del quadro intarsiato venivano usate vari tipi di tecniche di assemblaggio delle tessere tra cui: - tarsia a toppo, trecce o giustapposizioni con tessere geometriche a disegno semplificato spesso ripetute in serie; - tarsia a buio con figure fitomorfe commesse a fusaggine (legno chiaro) con sviluppo simmetrico su fondo uniforme più scuro (in genere noce); - tarsia alla certosina, derivata da modelli arabi formata con geometrie a tessere minutissime. Una volta assemblate tra di loro le numerose tessere di impiallacci di specie legnose diverse, il tutto veniva fissato su di un pannello realizzato per lo più in massello di noce opportunamente inciso seguendo le linee del disegno da raffigurare. Su questa guida grafica si incollavano tessere con colle a freddo, a base di caseina, mentre per le rifiniture si utilizzavano colle a caldo di origine animale. Il lavoro veniva concluso con lucidatura che esaltava la bellezza dei legni. Fig.8 Antonio degli Abbati -Tarsia prospettica – Padova – Museo Antoniano Fig.9 Antonio degli Abbati -Tarsia prospettica – Padova – Museo Antoniano
  • 11. 11 Storia Intarsi di materiali preziosi su basi lignee furono praticati sin dall'antichità più remota, in Oriente, Egitto, tra i Greci e i Romani. L'origine della tarsia vera e propria viene fatta risalire al XIII sec, momento in cui se ne trova una testimonianza con decorazione pittorica e rese cromatiche chiaroscurali. A questo proposito si ha documentazione delle tarsie ormai perdute del coro di Siena eseguite da Mannello Pasti nel 1259. La tarsia non era conosciuta in tutta Italia, ma per tutto il '300, ha rappresentato una vera e propria specialità locale delle maestranze senesi. Successivamente tra il 1331 e il 1340 Vanni dell'Ammannato, anch'egli di origine senese, fu intarsiatore nel coro del Duomo di Orvieto. Tra i numerosi artefici toscani del primo Rinascimento troviamo Francione, Antonio Manetti, Baccio Pontelli, Agnolo di Lazzaro e Giovanni Guidi, fratello di Masaccio. Intarsiatori senesi, maestri nella tradizione di figura, hanno tenuto campo per un secolo nella tarsia lignea tra inizi XIV e XV sec. fino a quando furono scalzati da fiorentini ed emiliani seguaci delle teorie del Brunelleschi, a partire dal cantiere delle sacrestia delle messe a Santa Maria del Fiore. I lavori di costoro nella sacrestia di S. Maria del Fiore sperimentali nella tecnica prospettica, subirono gli interventi dei celebri Giuliano e Benedetto da Maiano. Come scrisse il Vasari nel capitolo sulla vita di Benedetto da Maiano: 'Benedetto da Maiano scultore fiorentino, essendo ne' suoi primi anni intagliatore di legname, fu tenuto in quello esercizio il più valente maestro che tenesse ferri in mano, e particolarmente fu ottimo artefice in quel modo di fare che, come altrove si è detto, fu introdotto al tempo di Filippo Brunelleschi e di Paulo Ucello, di comettere insieme legni tinti di diversi colori e farne prospettive, fogliami e molte altre diverse fantasie5 . La Sacrestia delle Messe a Firenze fu la prima risposta dell'invito del Brunelleschi ai legnaiuoli Antonio Manetti e Agnolo di Lazzaro. Si ipotizza a tal proposito che i cartoni per le tarsie furono realizzati dallo stesso Brunelleschi che in quel periodo ebbe la supervisione e il coordinamento del Duomo. Su questa ipotesi M. Haines dichiara: 'Nelle tarsie di Lazzaro i metodi approssimativi tradiscono una certa ignoranza della prospettiva al di là dell'elementare principio del punto di fuga e nemmeno questo è stato poi applicato sistematicamente nei particolari'6 . Più aderente alle regole prospettiche appare invece il lavoro di Antonio Manetti, elemento che la stessa Haines collega all'intervento di Paolo Uccello che nel 1436 avrebbe lavorato in Duomo. 5 cfr. Vasari – vita di Benedetto da Maiano,scultore et architetto - Delle vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti 6 vd. M Haines 'La sacrestia delle messe del Duomo di Firenze, Firenze 1983.
  • 12. 12 L'evoluzione di un'arte nuova come quella della tarsia prospettica partì dall'epicentro di Firenze per poi diventare ispirazione per le altre parti dell'Italia, le quali scelsero la tarsia per rappresentare gli studioli umanistici e i cori delle cattedrali, della chiesa e dei mecenati nel Rinascimento. Francesco di Giovanni, detto il Francione 1428-1450 lavorò presso la sala dei Gigli a Palazzo Vecchio. Altri artisti tra i massimi esponenti del periodo furono: i Bencivenni, marchigiani di Mercatello sul Metauro, Arduino da Baiso di Ferrara e i fratelli Canozi da Lendinara che diventarono i più famosi maestri di prospettiva dell'area veneta, e a suo tempo ebbero legami di lavoro e influenzarono Pier Antonio degli Abbati. Questo tipo di tecnica ebbe il suo massimo fulgore fra il 1440 e 1540, periodo che fu il più importante per l'arte della tarsia, grazie al suo impiego che, come abbiamo già visto, si adattava perfettamente con gli studi e la teorizzazione della prospettiva e con gusto dell'epoca. A questo proposito Chastel individua come momento d'oro della tarsia prospettica il cinquantennio dal 1470 al 1520 e lo fa coincidere con i capolavori di Santa Maria in Organo a Verona e il corso senese di San Quirico d'Orcia in Toscana. Successivamente si assistette ad un progressivo declino della funzione e del prestigio di questa arte fino al momento in cui, attorno al terzo decennio del 500, gli artefici del legno si conformano ad una altra arte, la pittura e con essa entrarono in competizione. In un passo del Vasari appare chiara la volontà di far competere l'arte della tarsia con la pittura inquadrandola all'interno di una gerarchia che la fa risultare ad essa inferiore, per motivi che egli lega anche ad una minore durevolezza nel tempo. Intento che nel tempo la porterà ad essere ascritta fra le arti minori. Parlando dei maestri della tarsie infatti egli dice: 'hannolo fatto sempre persone che hanno avuto più pacienza che disegno. E così s'è causato che molte opere vi si sono fatte, e si sono in questa professione lavorate storie di figure, frutti et animali, che in vero alcune cose sono vivissime, ma per essere cosa che tosto diventa nera e non contrafà se non la pittura, essendo da meno di quella, e poco durabile per i tarli e per il fuoco, è tenuto tempo buttato invano, ancora che e' sia pure lodevole e maestrevole'.7 7 Vasari – Cap. XXXI. Del musaico di legname, cioè delle tarsie; e dell'istorie che si fanno di legni tinti e commessi a guisa di pitture-Delle vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti
  • 13. 13 Nel XVI secolo infine esaurite le teorie di essenzialità e perfezione della tarsia prospettica si praticò la profusione descrittiva. L'intento successivo degli intarsiatori diventò quello della narrazione, un 'horror vacui', in cui le architetture e le nature morte diventarono solo un pretesto di partenza. La tarsia, nata sull'eco di una sperimentazione, diventò ben presto vittima del suo carattere speculativo quale terra di mezzo tra scienza, tecnica ed arte per cedere il passo ad un'arte figurativa quale la pittura in grado di andare al di là di quello, che per molti e per il Vasari stesso, appariva quale semplice esercizio prospettico.
  • 14. 14 I canozi da Lendinara Fig.10 – Cristoforo Canozi - Tarsia -Parma Cattedrale – Sacrestia dei consorziali ''Non si dimentichi che nella storia di questa città e illustre provincia, sempre (dividiata) con Ferrara e con Venezia, c’è anche un altro momento memorabile, che è quello dei primi interpreti e traduttori delle grandi invenzioni prospettiche di Piero della Francesca, i fratelli Canozzi, Cristoforo e Lorenzo, da Lendinara, i quali a Lendinara appunto avevano bottega e hanno distribuito per tutta l’area del ducato estense e fino a Modena una quantità straordinaria di cori lignei con intarsi meravigliosi, in cui si vede la prospettiva di Piero della Francesca tradotta in uno spazio assoluto, puro, astratto, attraverso l’intarsio di legni di diversa stagionatura. Sono anch’essi maestri di Lendinara, quindi due rilievi, due personalità di grande rilievo nel ‘400 e una grande personalità nel ‘700 illustrano i prodotti locali della provincia di Rovigo insieme a quelli di rapida importazione, importanti dipinti, da Venezia e da Ferrara”. da un intervento di Vittorio Sgarbi in occasione della mostra 'Le meraviglie della pittura tra Venezia e Ferrara, da Bellini a Dosso a Tiepolo' Originari di Lendinara, e figli di un certo Maestro Andrea, i due fratelli Canozi, detti anche i Lendinaresi, sono ritenuti i più importanti maestri dell'intaglio tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo. I Canozi furono attivi a Ferrara presso la corte degli Estense, dove ebbero certamente modo di conoscere Piero della Francesca. Il grande maestro concesse ai Canozi illimitato diritto di riproduzione dei cartoni che lo stesso Piero produceva o ispirava. Spetta a Lorenzo, Cristoforo e Bernardino Canozi, l’introduzione della tecnica nella tarsia di tingere il legno mediante bollitura, procedimento da loro inventato e applicato per la prima volta nell'esecuzione del coro della Basilica del Santo a Padova. Precedentemente, l’alternanza dei colori era ottenuta con impiego di legni chiari e scuri, mentre le ombre venivano rese annerendo il legno con un ferro rovente. Tale
  • 15. 15 processo di bollitura insieme a coloranti per ottenere effetti ottici assicurava inoltre la durata della conservazione del colore. I Canozi divennero dei veri e propri punti di riferimento per la loro epoca e nei contratti di committenza spesso ci si riferiva ai cori del Duomo di Modena e del Duomo di Parma quali esempi di maestria. Canozi Lorenzo Marangone-intarsiatore, figlio del maestro d’ascia Andrea Nascimbene, originario di San Felice di Modena il quale elesse Lendinara a stabile residenza. Lorenzo, insieme al fratello minore Cristoforo con cui spesso collabora, è spesso soprannominato “da Lendinara” centro ove peraltro la famiglia assunse il cognome di “Canozi o Canozzi”. Della fase giovanile ai Canozi si attribuisce la realizzazione dell’intaglio del graticolato di Lendinara e l’intaglio dei dossali dei Frari a Venezia, ancora eseguiti in adesione a repertori stilistici di ascendenza tardogotica. Lorenzo, nato intorno al 1430, allievo di Piero della Francesca a Ferrara, lavorò soprattutto a cori, coadiuvato dal fratello Cristoforo e dal figlio Giovanni Marco. Oltre che intagliatore, Lorenzo fu miniatore e stampatore. Attivo a Ferrara sin dal 1441, nel 1449 è per la prima volta citato, insieme al fratello, come alunno-lavorante di Arduino da Baisio. Arduino da Baiso che a Ferrara fu il maestro dei Canozi negli anni '40 del 400, lavorava nella tarsia tra Emilia e Lombardia. Entrambi i Canozi operarono tarsie nel celebre studiolo del duca Leonello d’Este nella delizia di Belfiore e in tale contesto, seppure molto giovani, vengono citati nei documenti dell'epoca, alla pari del grande maestro. Lo studiolo di Belfiore, andato distrutto da un incendio, fu concepito sotto l'illuminato principato di Leonello per dar lustro al ruolo di diplomatici dei signori di Ferrara. Il principe improntò lo studiolo quale Museion, ovvero luogo di celebrazione delle venerate figlie di Zeus e di Mnemosine e dei valori culturali ad esse legati. Un Umanesimo anticheggiante quindi la cui parte preponderante dei dipinti era costituita da un ciclo dedicato alle muse quali sagge ispiratrici della politica degli estense. Nella realizzazione nei rivestimenti lignei di Belfiore, che prese l'avvio nel 1449, Arduino raccoglie per la prima volta il seme brunelleschiano ed imposta la prospettiva delle studiolo con le indicazioni di Piero della Francesca. Il punto di fuga piuttosto basso di alcuni tra i dipinti identificati come appartenenti al ciclo di Belfiore suggerirebbe inoltre che essi fossero posti nella parte superiore della parete in una disposizione simile a quella dello studiolo di Urbino (fig1).
  • 16. 16 Tra il 1448 e il 1449 la stessa impostazione spaziale dello studiolo passa ai due fratelli per i lavori dei dossali di Reggio Emilia che presentano una resa prospettica piuttosto semplice da farli risultare ancora irrimediabilmente immobili. Anche la luce appare elementare, gli oggetti sono o tutti illuminati o totalmente in ombra e spesso le ombreggiature vengono ottenute con tagli di legni scuri. I primi esperimenti emiliani in campo prospettico furono successivamente quelli canoziani del 1457 nella chiesa di San Prospero a Reggio Emilia. Tra il 1460/61 e il 1465 Lorenzo e Cristoforo lavorarono all’esecuzione degli stalli del duomo di Modena, servendosi anche della collaborazione dell’intagliatore-intarsiatore Pietro Antonio Abbati. Del lavoro del coro di Modena la novità fu rappresentata dalla rappresentazione degli oggetti in prospettiva. Altra opera importante furono le imposte dell'armadio delle reliquie della Sagrestia della Basilica del Santo, a Padova e il dossale. Il coro della chiesa del Santo a Padova (1462-69) fu il primo esempio tarsia urbana con precisi riferimenti alla realtà topografica. Sono in tale rappresentazioni presenti ancora alcuni arcaismi che legano i due fratelli alla tradizione rappresentata da Arduino de Baiso ma l'abilità dei maestri, che scelsero decine di essenze arboree diverse, conferì alle opere una resa pittorica di grande effetto. Legni usati nella Basilica del Santo furono: noce, pioppo, acero, fusaggine, gelso, ontano, pero, salice, legno negro (quercia affogata), sordo e bosso. La tecnica di tingere il legno mediante bollitura fu introdotta per la prima volta tra il 1462 e il 1469, proprio nella realizzazione del coro della Basilica del Santo a Padova, oggi in parte distrutto da un incendio settecentesco. Di quest'opera si conservano solo due pannelli. E' nel più importante santuario del Veneto e alla Cà Grande in Venezia che Lorenzo evidenzia con forza l’adozione della lezione pierfrancescana, offrendo il primo esempio di “veduta di città ideata” compiutamente codificato. Lorenzo lascia definitivamente Ferrara nel 1463 Lorenzo morì nel 1477, il nipote Bernardino, figlio del fratello Cristoforo, proseguendo l'opera del padre, lavorò a Parma Lucca e Pisa.
  • 17. 17 Canozi Cristoforo Notizie dal 1448 - morto nel 1491. Massimo tra i maestri di tarsia in Emilia, e' documentato dal 1449 al 1453 in relazione alla decorazione dello studiolo fatto allestire da Leonello d'Este nel Palazzo di Belfiore a Ferrara, dove collabora con il fratello Lorenzo sotto la direzione di Arduino da Baiso. Tra gli ultimi lavori eseguiti dai Canozi in città v’è memoria di un cassone in cipresso con tarsie ad uccelletti e parti in intaglio eseguite da Leonardo d’Alemagna, Per la sua successiva attivita', fu fondamentale l'incontro con Piero delle Francesca, avvenuto proprio a Ferrara nel 1450, come documentano le tarsie del coro, il bancone dei celebranti nella sagrestia (1461-1465) e i Quattro Evangelisti (1477) nel Duomo di Modena. La personale amicizia che legò Cristoforo a Piero della Francesca a Ferrara, ebbe certamente molto influire sull’arte del Canozi che ne assorbirono la lezione prospettica e Cristoforo, sebbene inizialmente dedito all’intaglio, dovette in seguito di preferenza operare a intarsio. Lascia Ferrara nel maggio del 1457 insieme a Lorenzo per trasferirsi a Modena ove, tra il 1460/61 e il 1465 ultimarono nel Duomo cittadino il coro intarsiato e intagliato avvalendosi della collaborazione del modenese Pietro Antonio degli Abbati. Fig.11 - Cristoforo Canozi da Lendinara – Anconetta lignea con 'La natività e l'eterno', Modena, Galleria Estense Quest’opera si segnala per l’applicazione di tarsie di già matura resa prospettica. Le tarsie del coro della Sacrestia dei Consorziali di Modena, insieme al coro del Duomo di Parma (per il quale improntò alcune tarsie ed eseguì banchi e armadi da sagrestia) già in opera nel 1488, mostrano come l’arte lendinaresca avesse ormai sviluppato una nuova capacità di formulazione lessicale, ove la problematicità prospettica si emancipa da retaggi gotici per esprimere influenze toscane e padane che nel loro insieme risultano di nuova tendenza e dove l'insegnamento della lezione prospettica di Piero della Francesca, conosciuto durante il soggiorno ferrarese, domina l’arte dei Canozi. Nel 1463 un documento testimonia di ventisei stalli da coro eseguiti dai da Lendinara in Modena e destinati a una non meglio precisata chiesa veneziana. Cristoforo sarà poi attivo nel 1484 nella sacrestia di Villa Guinigi a Lucca e a Pisa,
  • 18. 18 dove eseguì tarsie. A Lucca Cristoforo offrì uno splendido riassunto dei temi del suo repertorio iconografico urbano. Benche' testimoniata dalle fonti, la sua attivita' di pittore e' certificata soltanto dalla Madonna col Bambino (fig.11), ora nella Galleria Estense di Modena, firmata e datata 1482. L'anconetta della Popolare e il grande affresco con il Giudizio Universale in Duomo dimostrano la progressiva maturazione stilistica di Cristoforo e ne avvalorano la posizione di prestigio nella diffusione in ambito padano della cultura pierfrancescana. Viene inoltre citato dal Vasari nelle Vite: ''...Lorenzo da Lendinara, il quale fu tenuto in Padova pittore eccellente e lavorò anco di terra alcune cose nella chiesa di S. Antonio, et alcuni altri di non molto valore. ''8 Canozi Bernardino (XV-XVI secolo) Intagliatore-intarsiatore attivo a Ferrara, a Modena e a Parma. Detto Bernardino da Lendinara. E’ figlio di Cristoforo Canozi. Nel 1488, insieme al padre Cristoforo e a Luchino Bianchino, realizza il coro nella Sacrestia dei Consorziati del Duomo di Parma. Nel 1501 iniziò i lavori, insieme a Pietro Rizzardi e a Sebastiano Rigoni per la realizzazione del coro ligneo della cattedrale di Ferrara. La costruzione dell’importante complesso si protrasse fino al 1525. In questo lavoro Bernardino utilizzò con grande probabilità anche cartoni eseguiti dal padre, il famoso Cristoforo. Bernardino fu definito a suo tempo “intarsiatore di prospettive”. Fig.12a – Bernardino Canozi -Tarsia del portico dei Benvenuti Fig.12b – Portico dei Benvenuti - Ferrara 8 Vasari – Vita di Andrea Mantegna, pittore mantovano - Delle vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti
  • 19. 19 - Ferrara- Duomo - Coro Relativamente al problema tra astrazione e realismo delle tarsie prospettiche di Bernardino il Quintavalle afferma, scegliendo senza esitazione il partito del realismo, che Bernardino fornisce della Ferrara agli inizi del Cinquecento una veduta molto preziosa e ribadisce questo suo convincimento quando riconosce nelle tarsie della scuola lendinarese “a Parma come a Modena come a Padova, vedute reali della città, vedute dei punti chiave, dei punti determinanti del tessuto architettonico”9 . Ferretti allo stesso proposito invece osserva che almeno una delle tarsie ferraresi – “quella dove è riprodotto lo scalone coperto di Pietro Benvenuti” (vd fig.12a-12b) – è un inequivocabile riferimento a un reale manufatto architettonico della città''. Considera inoltre riconoscibili come raffigurazioni di elementi ‘reali’ della città altre due tarsie: quella in cui compare la torre con ponte levatoio del castello estense e quella della quarta tarsia che rappresenta “un palazzo gentilizio tipico delle modifiche urbanistiche rossettiane, in cotto con angolari in marmo chiaramente indicati e con ampia loggia al piano nobile, sito nei pressi delle mura cittadine ... l’edificio ha una sua realistica aderenza a un particolare momento durante il quale una fabbrica medioevale possa esser stata ristrutturata con elementi che sono certamente rossettiani (la loggia, lo zoccolo strombato con angolari in marmo)10 . Ferretti vede in queste rappresentazioni più che vedute reali come elementi di rappresentazioni nelle quali possono perfino figurare particolari realistici e assolutamente contemporanei allo stato edilizio della città. Canozi Daniele (XV-XVI secolo). Magister lignaminis, intarsiatore e intagliatore attivo a Ferrara e a Modena. Figlio di Bernardino Canozi da Lendinara. Collaborò con il padre nell’esecuzione del coro ligneo della cattedrale di Ferrara, iniziato nel 1501. Daniele è documentato tra il 1507 e il 1512, anni in cui ritira personalmente le spettanze dovute per tale impresa dal padre Bernardino. Canozi Giovan Marco (XV-XVI secolo). Magister lignaminis, intarsiatore e intagliatore. Figlio di Cristoforo Canozi, lavorò agli stalli di San Francesco alla Vigna, purtroppo distrutti fin dal Cinquecento. 9 Quintavalle “Arte in Emilia”, 1965 10 Ferretti in “I maestri della Prospettiva”, Storia dell’arte italiana, vol.XI
  • 20. 20 Bibliografia Rinascimento, da Brunelleschi a Michelangelo – Bompiani Tarsie lignee della basilica di San Marco – Rizzoli Pier Luigi Bagatin – Le pitture lignee di Lorenzo e Cristoforo da Lendinara - - Antilia - 2004 Pier Luigi Bagatin– L'arte dei canozi lendinaresi - Lint - 1987 Pier Luigi Bagatin– La tarsia rinascimentale - Centro Di - 1991 Graziano Manni – I signori della prospettiva - Cassa di risparmio di Mirandola Michele Caffi – dei Canozi o Genesini lendinaresi - tip. P. Agnelli Francesco Arcangeli – tarsie Ferretti – I maestri della prospettiva in 'Storia dell'arte italiana -Forme e modelli - vol XI Einaudi Quintavalle, Arturo Carlo - Cristoforo da Lendinara - s.n. - 1959 A.Chastel – Alla scoperta delle tarsie in AAVV, in imago Urbis 1986 Milano M.Haines – La sacrestia delle messe del Duomo di Firenze – 1983 Firenze Vasari – Delle vite dei più eccellenti pittori, scultori, architetti