Il restauro della Madonna del Cardellino (Raffaello)
600 lezione
1. Il Seicento
Il Cinquecento
si conclude con il fenomeno del Manierismo:
la forma prende il sopravvento sul contenuto.
Dopo la fine del Concilio di Trento
la Chiesa cattolica
promuove tutte le forme d’arte.
2. Il Manierismo
L’esperienza artistica che conclude
il Cinquecento prende il nome di
Manierismo.
Si tratta dell’opera di alcuni pittori
(il Pontormo, il Parmigianino,
Rosso Fiorentino, Arcimboldi...)
che, prendendo l’avvio soprattutto
dalle ultime opere di Michelangelo
(in particolare, ad esempio, dalle
sibille della Cappella Sistina),
propongono un utilizzo originale
della composizione, della forma e
dei colori rinascimentali.
Jacopo Carrucci, detto il Pontormo,
Visitazione, circa 1528-1529.
Olio su tavola, 2,02x1,56 m.
Carmignano (Firenze), Pieve di San Michele
3. Lo schema piramidale usato nel
Rinascimento viene accentuato
verticalmente;
le forme si allungano e si contorcono;
i colori sono forti, privi di chiaroscuro
e tendenzialmente poco naturalistici;
le espressioni dei volti sono
drammatiche.
Rispetto a questi caratteri formali il
contenuto delle opere passa in secondo
piano.
Jacopo Carrucci, detto il Pontormo,
Deposizione, circa 1526-1528.
Olio su tavola, 3,13x1,92 m.
Firenze, Chiesa di Santa Felicita
4. Lo schema piramidale usato nel
Rinascimento viene accentuato
verticalmente;
le forme si allungano e si contorcono;
i colori sono forti, privi di chiaroscuro
e tendenzialmente poco naturalistici;
le espressioni dei volti sono
drammatiche.
Rispetto a questi caratteri formali il
contenuto delle opere passa in secondo
piano.
Giovan Battista di Jacopo, detto il Rosso Fiorentino,
Deposizione, circa 1521.
Olio su tavola, 3,33x1,96 m.
Volterra (Pisa), Pinacoteca
5.
6.
7.
8. L’esperienza seicentesca dei Carracci assume una rilievo nuovo e
particolarissimo nella storia dell’arte italiana ed europea.
Intorno al 1585 si riuniscono per fondare quella che si può definire
la prima scuola privata di pittura dell’Età Moderna.
Fu inizialmente chiamata Accademia del Naturale
in quanto la sua finalità principale era quella di promuovere
negli allievi la riproduzione dal vero.
In seguito venne detta Accademia dei Desiderosi,
“… per lo desiderio ch’era in tutti d’imparare …”
e infine Accademia degli Incamminati,
allo scopo di sottolineare l’impegnativo percorso di maturazione
artistica al quale ogni allievo era chiamato.
L’Accademia degli incamminati
Ludovico (1555-1619), Agostino (1557-1602) e Annibale (1560-1609) Carracci
9. I Carracci sono bolognesi di nascita, eclettici come formazione, si
riallacciano alla tradizione classica di Raffaello e Michelangelo,
alla tradizione veneziana del colore, ma hanno anche presente
l’esperienza di Caravaggio e di altri pittori lombardi ed emiliani
del periodo.
Nella loro scuola la formazione di un artista deve svilupparsi non
solo a livello pratico, con la semplice acquisizione delle necessarie
abilità tecniche, ma anche a livello teorico, maturando conoscenze
culturali il più possibile ampie, eterogenee e approfondite.
Questa esperienza costituirà il prototipo di numerosissime altre
accademie che, nel corso del ‘600, fioriranno un po’in tutta Italia,
al fine di favorire le attività artistiche e culturali.
L’Accademia degli incamminati
Ludovico (1555-1619), Agostino (1557-1602) e Annibale (1560-1609) Carracci
10. Si fa comprendere, attraverso un uso quasi scientifico del disegno,
che ogni realizzazione pittorica deve essere preceduta da una
profonda e rigorosa fase di studio durante la quale vengono presi
in esame anche tutti i problemi connessi al significato che l’opera
deve assumere e al messaggio che deve lanciare.
Secondo le direttive del Concilio di Trento, riprese con convinzione
anche dal cardinale bolognese Gabriele Paleotti,
“…le immagini penetreranno dentro di noi con molta più violenza
che le parole …” e proprio per questo occorre che il pittore, o
l’artista, abbia una cultura ed una sensibilità tali da saper
realizzare opere aventi “… effetto guidato … a persuadere il
popolo e a tirarlo ad abbracciare alcune cose pertinenti alla
religione …”
L’Accademia degli incamminati
Ludovico (1555-1619), Agostino (1557-1602) e Annibale (1560-1609) Carracci
11. I Vescovi con ogni diligenza insegnino che
attraverso le storie dei misteri della nostra redenzione,
raffigurate nei quadri o in altre rappresentazioni,
il popolo viene istruito e confermato
nel ricordare e rimeditare assiduamente
gli articoli di fede; […]
da tutte le sacre immagini si ricava grande frutta,
non solo perché si ricordano al popolo i benefici e i doni
che gli sono stati fatti da Cristo,
ma anche perché vengono posti sotto gli occhi dei fedeli
i miracoli che Dio compie attraverso i Santi e gli esempi salutari,
sicché ne ringrazino Dio e regolino la loro vita e i loro costumi
ad imitazione dei Santi
e siano spinti ad adorare ed amare Dio e a coltivare la pietà.
Se dunque qualcuno insegnerà a credere qualcosa di contrario a
tali decreti, sia anatema.
Decreto del Concilio di Trento (1545-1563)
12. Annibale Carracci (1560-1609)
Venere e Cupido (1592 ca.) Tela.
Modena, Galleria Estense.
L’opera riprende di
scorcio la posa
dell’Aurora
scolpita a Firenze
da Michelangelo
per le Tombe Medicee,
ma la monumentalità
che Annibale
conferisce alla figura è
ingentilita da una
femminilità morbida
che rammenta
Correggio e Raffaello
nella Farnesina.
13. Annibale Carracci (1560-1609)
Giove e Giunone (1597 ca.) Affresco, particolare. Roma, Palazzo Farnese.
Il dipinto fa parte del fregio che corre alla base della volta a botte della galleria dove sono affrescate le
scene principali. Nei riquadri della finta cornice sono rappresentate le vicende di quattro celebri coppie
mitologiche di amanti che dovrebbero esemplificare l’idea dell’amore profano. Evidenti le suggestioni
classiche: da una parte le figure raffaellesche della Loggia di Psiche alla Farnesina, dall’altra si ispira al
celebre gruppo scultoreo del Laocoonte scoperto a Roma nel 1506, e già replicato nel 1520 dallo scultore
fiorentino Baccio Bandinelli. Nella testa di Giove qui raffigurata si riconosce appunto l’ispirazione a quella
ellenistica di Laocoonte.
14. Annibale Carracci (1560-1609)
Apollo e Marsia (1597 ca.) Affresco. Roma, Palazzo Farnese.
L’impostazione della
decorazione con il
medaglione al centro, i
telamoni in falso marmo
o stucco ai lati e gli
ignudi seduti al di sotto,
riprende chiaramente i
motivi sperimentati da
Michelangelo nella volta
della Cappella Sistina.
Gli episodi mitologici
rappresentati sono in
gran parte tratti dalle
Metamorfosi di Ovidio.
L’immagine di Marsia
scuoiato da Apollo che lo
aveva superato in una
contesa musicale
richiama il tema della
vendetta divina, già
affrontato da Raffaello
negli affreschi del soffitto
della Stanza della
Segnatura.
15. Annibale Carracci (1560-1609)
Paesaggio con la Fuga in Egitto (1604 ca.) Tela. Roma, Galleria Doria Pamphilj.
La celebre lunetta costituisce un caposaldo per lo sviluppo della pittura di paesaggio nel ‘600 a Roma.
La tela proviene dalla cappella di palazzo Aldobrandini al Corso dove completava la decorazione insieme ad
altri cinque quadri della medesima forma. La sua originaria collocazione spiega già di per sé la novità della
composizione: invece di concentrare l’attenzione sull’episodio sacro, Carracci disperde il racconto
evangelico in un paesaggio fluviale dai dolci declivi.
In tal modo l’artista restituisce all’evento tutta la fragranza della quotidianità.
16. Ludovico Carracci (1555-1619)
Rinaldo e Armida (1602 ca.) Tela.
Napoli, Museo Nazionale Capodimonte.
L’opera appartiene al soggiorno romano di
Ludovico, chiamato da Annibale e da lui
stimolato sul terreno della classicità.
Questa tela è una sorta di eccezione nella
produzione di Ludovico.
Egli si impegnerà in una pittura religiosa
e devota.
17. Ludovico Carracci (1555-1619)
Predica del Battista (1589 ca.) Tela,
particolare. Bologna, Pinacoteca
Nazionale.
L’opera mostra quella conversione
al chiaroscuro e alle vivaci lumeggiature
già palesate
nella ben nota
“Conversione di San Paolo”
conservata nella medesima piancoteca.
Il dinamismo dela composizioe
è affidato allo scorcio dal basso
e all’insistere sulle diagonali
che paiono segnare
la direzione della luce.
18. Agli inizi del Seicento si manifesta in tutta Europa un
mutamento del gusto, ma più ancora delle concezioni
artistiche, che si è soliti chiamare Barocco.
La parola Barocco, coniata in senso negativo dai critici
illuministi della fine del Settecento, ci aiuta a comprendere
l’originalità di questo stile.
Essa deriva dal medioevale baroco
(cioè ragionamento pedantesco e contorto)
e dalla parola portoghese barocco,
(aggettivo che viene usato ancora oggi
per definire una perla non del tutto rotonda).
Il Barocco
19. Essa risponde al desiderio tutto
umano di aspirare a condizioni
più elevate, di nobilitarsi, di
accedere ad un mondo più ricco,
più bello di quello in cui si vive
normalmente.
Le chiese, le volte, i soffitti,
persino le piazze esprimono questa
tensione rendendolo
sperimentabile a tutti, al nobile
come all’uomo del popolo.
Come l’arte del Cinquecento rappresentava l’armonia del creato, la misura e la
proporzione delle cose,
così l’arte barocca rappresenta la fantasia, la grandiosità delle cose e della natura che
suscitano meraviglia.
Guarino Guarini,
Cupola si San Lorenzo, Torino
20. Pensiamo alla forma perfetta per la classicità rinascimentale,
il cerchio, con l’equidistanza di tutti i punti dal centro;
esso viene sostituito dall’ellisse
che, con i suoi due centri, crea continue variazioni di misure.
Pietro e
Gian Lorenzo
Bernini,
Fontana della
Barcaccia,
1629.
Roma,
Piazza di Spagna
21. Oppure consideriamo le maestose
facciate delle chiese e dei palazzi.
Un artista barocco come il
Borromini pensa di muovere queste
superfici creando una forma
assolutamente nuova, curva ed
ondulata con sporgenze e rientranze
che creano un fantasiosi gioco di
luce e di ombra.
Francesco Borromini,
San Carlo alle Quattro Fontane. Roma
22. Come già lo stile gotico, anche lo stile barocco, pur con evidenti differenze, si
diffonde in tutta Europa.
Inoltre il Barocco diviene la grande arte coloniale dell’America del Sud,
portata da Spagnoli e Portoghesi.
Con la fine del Concilio di Trento la Chiesa cattolica celebra una ritrovata
sicurezza dopo le dolorose vicende della Riforma protestante, dando avvio ad una
serie di opere di pittura, scultura, architettura e soprattutto di urbanistica.
Una urbanistica non basata su un progetto di precisione geometrica, come quella
delle città ideali del Rinascimento, ma fondata sull’esperienza diretta della
vita e delle necessità urbane.
Anche i re ed i principi non sono da meno del Papato e promuovono la
costruzione di palazzi, piazze, giardini.
23. In questa fioritura artistica
caratterizzata dalla volontà di meravigliare
e di colpire il sentimento del popolo
emergono due tipi di sensibilità:
naturalistica
(con protagonista la luce)
che non dimentica il continuo dramma dell’uomo;
celebrativo-scenografica
(con protagonista la forma aperta ed il movimento)
che privilegia la fantasia e la grandiosità.
24. Michelangelo Merisi
detto il Caravaggio (157 1-1610),
l’esponente principale di questo
nuovo naturalismo,
indaga la realtà,
rifiutando qualsiasi abbellimento,
nella certezza che nel visibile è presente il sacro.
La luce con il suo grande contrasto con l’oscurità circostante è
l’elemento espressivo fondamentale.
Siamo di fronte ad un realismo che spesso non solo meraviglia, ma
addirittura infastidisce i contemporanei che per questo rifiutano a volte
le sue opere.
La sensibilità naturalistica
25. Grande è l’influenza del linguaggio di Caravaggio in
Italia
(i Caravaggeschi, la Scuola Napoletana...)
ed in Europa
(Rembrandt e Vermeer in Olanda,
Francisco de Zurbaran in Spagna,
Georges de La Tour in Francia...).
La sensibilità naturalistica
26. 1571. Nasce a Caravaggio in provincia di Bergamo (o forse a Milano).
1576. Rimasto orfano vive a Milano e probabilmente frequenta la bottega del pittore
Simone Peterzano.
1589-1606. Si trasferisce a Roma. Dipinge in questo periodo molte opere tra cui
l’Incredulità di san Tommaso .
1606. Scappa da Roma, ricercato per un omicidio avvenuto in una rissa, e si rifugia
prima nel Lazio e dopo a Napoli.
1608. Raggiunge l’isola di Malta. Dopo essere stato fatto cavaliere, viene imprigionato
per gravi offese a uno di loro. Riesce però a evadere e arriva in Sicilia.
1609. Vive a Messina e poi a Palermo. Sperando di tornare presto a Roma, ritorna a
Napoli dove viene sfregiato al volto da un sicario.
1610. Sulla strada per Roma si ferma a Porto Ercole, presidio spagnolo, dove viene
arrestato per errore.
Qui muore ammalato di malaria.
Caravaggio: una esplosione di realismo
27. Se una cosa non era vera, se non era reale non lo interessava.
Da questo punto di vista Michelangelo Merisi detto il Caravaggio non era tipo da
far concessioni.
Lombardo di nascita, era approdato a Roma quando aveva circa vent'anni: a
spingerlo nella capitale una qualche malefatta commessa nella sua terra.
A Roma aveva uno zio prete, che si preoccupò di trovargli una sistemazione presso
un monsignore di curia, Pandolfo Pucci.
Mesi duri, quei mesi del 1592, in una città diventata rifugio per i tanti disperati che
non riuscivano a ricavare il minimo vitale dalla campagna. Anche il Caravaggio se
la passava magra. Per mangiare doveva arrangiarsi con un'insalata che faceva «da
antipasto, pasto e pospasto». Uscito dal tunnel, il pittore avrebbe ricordato quel suo
primo benefattore con il nomignolo di "monsignor insalata".
Caravaggio: una esplosione di realismo
28. Il secondo benefattore fu invece un oste milanese, un certo
"Tarquinio".
Aveva l'osteria al Monte di Brianza, proprio dietro piazza Navona.
Qui i piatti dovevano certamente essere un po' meno magri.
Caravaggio per guadagnarseli dipinge: e siccome lui, pittore
"sbarbato" (così viene definito in un atto giudiziario, il primo di una
lunga serie, del 1593), si rifiuta di inventare i suoi soggetti, ecco
comparire sulle tele il Ragazzo che monda la pera, o il Ragazzo con il
cesto di frutta (oggi alla Galleria Borghese di Roma).
Tutte immagini vere, colte certamente nel retro dell'osteria.
Vere persino nei particolari infinitesimali della polverina che fa
opaca la pelle dell'uva non ancora lavata.
Caravaggio: una esplosione di realismo
29. E’un’opera giovanile e lo si può
ben comprendere dalla spalla
destra troppo contratta che però
non compromette la
composizione.
Perfettamente inscritto
all’interno di uno schema
triangolare, il fanciullo, le cui
fattezze ricordano quelle del
giovane artista, offre al pubblico
un trionfo di colori che
accendono di luce le poche tinte
dell’insieme.
Caravaggio (1571-1610) Ragazzo con il canestro di frutta, 1591.
Tela. Roma, Galleria Borghese.
30. Il dipinto è un autoritratto che mostra
il pittore all’indomani di una malattia
che gli era costata il ricovero presso
l’ospedale della Consolazione a Roma.
Che il giovane ritratto sia stato
sofferente lo si evince dal colorito , dal
viso smunto e dalle labbra secche.
Non sono stati semplici gli esordi a
Roma, proima di approdare al palazzo
del cardinale Del Monte.
Mangiare insalata tutte le sere nella
locanda di Pandolfo Pucci non ha
certo giovato alla sua salute.
Tuttavia, la scelta simbolica di
presentarsi come Bacco, dio della
vita, allude alla propria volontà di
resurrezione.
Caravaggio (1571-1610) Bacchino malato, 1593-94. Tela.
Roma, Galleria Borghese.
31. Per un pittore con la testa fatta così, mettersi a creare soggetti
religiosi doveva risultare un problema.
Attorno a sé vedeva quadri sacri che erano frutto d'invenzioni o di
idealizzazioni dei suoi colleghi, oppure che si rattrappivano nelle
forme stereotipate imposte dal legittimo giro di vite del Concilio di
Trento. Niente di meno interessante per uno come il Caravaggio.
Il quale, invece, l'occasione per dipingere il suo primo soggetto
religioso se la trovò davanti, senza che l'avesse neppure cercata.
La storia è così curiosa che merita di essere raccontata.
Caravaggio: una esplosione di realismo
32. La Roma di quegli anni era una città popolata da un gran numero di
prostitute.
Una circostanza che non faceva scandalo più di tanto neppure alla
Chiesa, la quale raccomandava loro di frequentare le messe
«deputategli a posta» nelle chiese di san Rocco e di Sant'Ambrogio e
di astenersi dall'attività il venerdì, il sabato e naturalmente «nelli
giorni di festa». Tra queste c'era una certa Anna Bianchini «dai
capelli rosci e lunghi». Figlia di un'altra cortigiana, toscana,
probabilmente senese, era arrivata a Roma poco dopo Caravaggio
all'inizio del 1593.
Ora, fatto insolito e stupefacente, questa Anna Bianchini covava un
desiderio nel cuore: possedere un quadro che rappresentasse la
Maddalena. Come siano andate le cose non è dato sapere, ma certo i
fatti documentati lo possono suggerire. Caravaggio nel 1596 dipinge
una Maddalena, suo primo soggetto religioso. E a far da modella chi
troviamo? Proprio Anna Bianchini.
Caravaggio: una esplosione di realismo
33. È il quadro famoso
conservato oggi alla
galleria Doria Pamphilj di
Roma:
la Maddalena se ne sta
sola, seduta in mezzo alla
stanza, la testa china con i
capelli scomposti e i gioielli
abbandonati sul pavimento.
Rispetto alle Maddalene
che la pittura ci aveva
sempre mostrato qui c'è
qualcosa di nuovo e di
assolutamente diverso:
Caravaggio (1571-1610) Maddalena
34. niente più plateali gesti di
autopunizione, ma
l'atteggiamento umanissimo
di una persona che si sente
peccatrice e che chiede,
oltre al perdono, una
Presenza vera accanto a sé.
Come scrisse un poeta
amico del pittore «questa
immagine poteva
commuovere Dio».
Caravaggio (1571-1610) Maddalena
35. Caravaggio dipinse il
quadro ed è facile
immaginare che, come ogni
sua opera, anche questa
finisse nelle mani del
cardinal Del Monte, per il
quale il pittore in quegli
anni lavorava.
E la povera Anna
Bianchini?
La ritroviamo due anni
dopo, citata in giudizio per
aver sottratto un quadro ad
un certo Ludovico
Bianchetti.
Caravaggio (1571-1610) Maddalena
36. Naturalmente si trattava di
una Maddalena, con ogni
probabilità di una copia di
quella del Caravaggio, che
in quegli anni contava già un
notevole stuolo di imitatori.
Voleva, talmente voleva
quell'immagine - cui,
immaginiamo, aveva legato
una speranza anche per la
propria vita - da accettare il
rischio di passar per ladra.
Questa dunque è la storia
vera del primo quadro
religioso di Caravaggio.
Caravaggio (1571-1610) Maddalena
37. Il secondo ha una vicenda
senz'altro più tranquilla:
è la Fuga in Egitto, pure
conservata alla Doria
Pamphilj di Roma. Dove,
va ricordato, la Madonna
che, con tanta tenerezza,
china il suo capo a
proteggere il sonno del
bambino, ha ancora le
fattezze di Anna Bianchini.
Caravaggio (1571-1610) Fuga in Egitto. Tela.
Roma, Galleria Doria Pamphilj.
38. Caravaggio (1571-1610) Riposo nella fuga in Egitto,
1594-1596. Olio su tela. 1,30x11,60 cm.
Roma, Galleria Doria Pamphili
39. Caravaggio (1571-1610) Riposo nella fuga in Egitto,
particolare.
1594-1596. Olio su tela. 1,30x11,60 cm.
Roma, Galleria Doria Pamphili
41. L’Istante e l’Eterno
Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca.
Olio su tela. 3,22x3,40m
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
42. Trascorrono tre anni e il Caravaggio, ormai ventisettenne, ha la
grande occasione della sua vita.
Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca. Tela.
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
Grazie all'intercessione del cardinal
Del Monte, viene chiamato a
dipingere l'ultima cappella rimasta
incompiuta nella chiesa di San Luigi
dei Francesi.
È la cappella Contarelli.
Il tema era prefissato: raccontare la
storia di San Matteo, visto che la
cappella veniva decorata con il
lascito del cardinale Mathieu Cointrel
morto 15 anni prima.
Caravaggio, innovativo anche in
questo, rinuncia all'affresco e opta
per due grandi tele.
43. Trascorrono tre anni e il Caravaggio, ormai ventisettenne, ha la
grande occasione della sua vita.
Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca. Tela.
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
Grazie all'intercessione del cardinal
Del Monte, viene chiamato a
dipingere l'ultima cappella rimasta
incompiuta nella chiesa di San Luigi
dei Francesi.
È la cappella Contarelli.
Il tema era prefissato: raccontare la
storia di San Matteo, visto che la
cappella veniva decorata con il
lascito del cardinale Mathieu Cointrel
morto 15 anni prima.
Caravaggio, innovativo anche in
questo, rinuncia all'affresco e opta
per due grandi tele.
45. A sinistra dipinge la Vocazione, a destra il
Martirio.
Ma è proprio nel quadro di sinistra che
realizza il capolavoro inatteso che lascia
tutta Roma a bocca aperta.
Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca. Tela.
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
46. Anche in questo caso, com'è nella sua natura, Caravaggio parte dalla
realtà.
Come fonte ha quei due versetti del Vangelo di Matteo (particolare che
ricorre identico anche in Marco e Luca):
«Gesù vide, seduto al banco della dogana, un uomo chiamato Matteo.
E gli dice: "Seguimi". E quello alzatosi lo seguì».
Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca. Tela.
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
47. Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca. Tela.
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
Ma gli bastano: coglie la
dinamica umana che sta sotto
quella scarna descrizione
autobiografica dell'apostolo
evangelista.
Ricostruisce l'ambiente nudo e
buio della dogana di Cafarnao
dove Matteo, il pubblicano,
riscuoteva il dazio delle
carovane che, provenienti da
Damasco, puntavano lungo la
Via Maris, ai porti sul
Mediterraneo.
48. Una posizione di assoluto privilegio,
che gli garantiva potere e ricchezza:
come dimostra la descrizione nei
Vangeli della cena fastosa offerta da
Matteo-Levi in onore di Gesù, dopo la
sua chiamata.
E come dimostrano, nella tela di
Caravaggio, i vestiti appariscenti di
quelli che, attorno al "banco della
dogana", stanno contando i soldi
della giornata.
Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca. Tela.
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
49. Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca. Tela.
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
Certo,
quell'abbigliamento
contrasta di molto
con la tenuta
scarmigliata
di un altro
personaggio
della scena:
ha i piedi scalzi,
impugna un
bastone e
accompagna
quell'altro uomo
venuto a chiamare
a Sé Matteo.
50. Matteo ha lo sguardo di chi ha
già calato tutte le difese: in lui
c'è lo stupore per quella
chiamata assolutamente
inattesa.
Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca. Tela.
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
51. Indica se stesso con il dito,
come a voler esser sicuro che
quell'uomo cercasse proprio lui.
Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca. Tela.
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
52. Ma intanto i suoi occhi ci
dicono che quanto succede
attorno al tavolaccio, per lui,
da quell'istante, appartiene al
passato.
In quell'uomo ha colto qualcosa
che lo interessa di più, che
risponde di più al suo cuore.
Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca. Tela.
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
53. Caravaggio (1571-1610) Vocazione di San Matteo, 1599-1600 ca. Tela.
Roma, San Luigi de’Francesi, cappella Contarelli.
Il quadro stupì tutti (e stupisce
chiunque ancora oggi)
non perché Caravaggio avesse
inventato qualcosa di nuovo per
la pittura e per la spiritualità
del tempo. No:
lo stupore veniva e viene dalla
constatazione che in questo
quadro non c'è nessuna
invenzione.
Racconta quel fatto come quel
fatto, con ogni probabilità,
doveva essere accaduto, in un
giorno normale, con la luce del
sole che batteva sul muro della
dogana di Cafarnao.
54. Caravaggio (1571-1610)
La Vocazione di Matteo
determinò la consacrazione per
il lombardo ormai romano a
tutti gli effetti.
Quel suo attaccamento, anche
brutale, ai dati della realtà gli
avrebbe procurato molti
problemi, a cominciare proprio
dal quadro con Matteo e
l'Angelo, dipinto per l'altare
della stessa Cappella
Contarelli, e che gli venne
clamorosamente rifiutato.
Saint Matthew and the Angel,
1602. Destroyed.
55. Caravaggio (1571-1610)
La Vocazione di Matteo
determinò la consacrazione per
il lombardo ormai romano a
tutti gli effetti.
Quel suo attaccamento, anche
brutale, ai dati della realtà gli
avrebbe procurato molti
problemi, a cominciare proprio
dal quadro con Matteo e
l'Angelo, dipinto per l'altare
della stessa Cappella
Contarelli, e che gli venne
clamorosamente rifiutato.
Saint Matthew and the Angel,
1602. Destroyed.
56. Caravaggio (1571-1610) The incredulity of Saint Thomas,
1601-1602.
Potsdam, Neus Palais
Attaccamento alla realtà
Ma nessuna censura poté fermare,
qualche tempo dopo, un'altra immagine
creata da Caravaggio:
quella dell'apostolo Tommaso che mette la
mano nel costato di Gesù risorto.
57. Toccò davvero e davvero credette.
Una documentazione così fisica e
indiscutibile della resurrezione di
Gesù non si era vista forse neppure
nella stagione del romanico.
Sarà certamente anche per questo
che l'Incredulità di Tommaso è
stato probabilmente il quadro più
copiato della storia.
Gli esperti ne hanno contate ben
ventidue repliche.
La realtà colpisce il cuore degli
uomini molto più di ogni fantasia
spirituale.
Caravaggio (1571-1610)
The incredulity of Saint Thomas,
1601-1602.
Potsdam, Neus Palais
58. E’ qui sottintesa
un’acuta riflessione
sulla condizione umana
e sull’ambiguità di una
umanità falsa e
inaffidabile,
paragonabile a quella
che si riconosce nella
“Buona ventura”,
quadro coevo e
anch’esso acquistato
dal cardinale Dal
Monte.
Caravaggio (1571-1610) I bari, 1594-95. Tela.
Forth Worth, Kimbell Art Museum.
L’opera è immediatamente successiva all’uscita di Caravaggio dalla
bottega del Cavalier d’Arpino, lasciata senza rimpianti probabilmente
per dissapori con il maestro.
59. E’qui sottintesa
un’acuta riflessione
sulla condizione
umana e
sull’ambiguità di una
umanità falsa e
inaffidabile,
paragonabile a
quella che si
riconosce nella
“Buona ventura”,
quadro coevo e
anch’esso acquistato
dal cardinale Dal
Monte.
Caravaggio (1571-1610)
La buona ventura,
1594. Olio su tela. 99x131 cm.
Parigi, Louvre.
60. Secondo la storia tramandata dalla Bibbia, Giuditta, con blandi e falsi ammiccamnenti, riesce a
introdursi nell’accampamento dei Filistei che stanno per attaccare Israele e poi nella tenda del
generale Oloferne. Trovatolo ubriaco, riverso sul letto, Giuditta non ha difficoltà a prendere la
sciabola e spiccicargli la testa dal collo. Caravaggio, come del resto avevano fatto Botticelli e
Donatello, ritrae drammaticamente la scena come se fosse accaduta ai suoi tempi e ne attualizza
il contesto.
Caravaggio (1571-1610)
Giuditta e Oloferne,
1595-96.
Olio su tela.
Roma, Galleria d’Arte Antica
Palazzo Barberini.
61. Realizzata, quasi a
trompe-l’oeil,
su un supporto di legno
ricoperto di tela.
L’artista ha voluto in primo
luogo mostrare il prodigio della
testa di Medusa appena recisa e
zampillante di vivido sangue.
A ben guardare, poi, la forma
rotonda e convessa dell’opera
rammenta il tipico scudo da
parata: l’artista allude quindi
allo scudo di Perseo, sul quale il
mitico eroe ha appiccicato a mò
di umbone la testa mozzata del
terribile mostro.
Caravaggio (1571-1610)
Medusa, 1600 ca. Tela su legno.
Firenze, Galleria degli Uffizi.
62. La scena si caratterizza per la calma e,
verrebbe da dire, per il premeditato
cinismo con cui si procede al martirio
del santo. Lentamente, i carnefici si
adoperano perché la croce, piantata a
rovescio (per rispetto nei confronti di
quella di Cristo), venga tirata su nel
miglior modo possibile, come se si
trattasse del palo di una tettoia o
dell’albero di una nave.
La loro indifferenza rende ancor più
crudele la scena sottolineata dalla
luce, vera protagonista dell’opera, che
rischiara l’unico volto degno di essere
visto: quello di Pietro.
Gli altri sono immersi nell’ombra
come le anime di uomini prigionieri
del peccato e della loro incapacità di
emozionarsi.
Caravaggio (1571-1610)
Crocefissione di San Pietro, 1601.
Olio su tela. 2,30x1,75 m.
Roma, Santa Maria del Popolo,
cappella Cerasi
63. Ma un angelo lo ferma e
un capro si offre al posto
d’Isacco.
Tutte le diagonali
compositive, costituite
dal braccio dell’angelo e
dalla mano del patriarca
che blocca la testa del
figlio, fanno convergere
lo sguardo su di un
punto preciso: la mano
col coltello posta sulla
linea mediana della tela,
sottolineata anche dalla
luce radente.
Allora, è tutto li,
nei gesti sospesi,
nel fare o nel non fare.
Caravaggio (1571-1610) Sacrificio d’Isacco, 1603 ca. Tela.
Firenze, Galleria degli Uffizi
Caravaggio sintetizza in una sola scena un dramma profondo e complesso, concentrandolo in
pochi gesti. Jahweh ha chiesto al vecchio Abramo di sacrificare il suo unico figlio Isacco. Il
patriarca non esita e si prepara ad esaudire la volontà di Dio.
64. Concepito nel clima spirituale dell’Oratorio
di san Filippo Neri, questo grande quadro,
dipinto per la chiesa di Santa Maria in
Vallicella a Roma, interpreta il sentimento di
pietà che caratterizza l’azione apostolica dei
Filippini.
La figura del Cristo sembra la trasposizione
pittorica del gruppo scultoreo della “Pietà”
di Michelangelo, cui l’artista deliberatamente
s’ispira.
Il particolare scorcio conferisce
monumentalità all’insieme che si staglia
contro un intenso fondo scuro.
Caravaggio (1571-1610)
Deposizione, 1602-04. Olio su tela.
Roma, Pinacoteca Vaticana
65. Concepito nel clima spirituale dell’Oratorio
di san Filippo Neri, questo grande quadro,
dipinto per la chiesa di Santa Maria in
Vallicella a Roma, interpreta il sentimento di
pietà che caratterizza l’azione apostolica dei
Filippini.
La figura del Cristo sembra la trasposizione
pittorica del gruppo scultoreo della “Pietà”
di Michelangelo, cui l’artista deliberatamente
s’ispira.
Il particolare scorcio conferisce
monumentalità all’insieme che si staglia
contro un intenso fondo scuro.
Caravaggio (1571-1610)
Deposizione, 1602-04. Olio su tela.
Roma, Pinacoteca Vaticana
66. Concepito nel clima spirituale dell’Oratorio
di san Filippo Neri, questo grande quadro,
dipinto per la chiesa di Santa Maria in
Vallicella a Roma, interpreta il sentimento di
pietà che caratterizza l’azione apostolica dei
Filippini.
La figura del Cristo sembra la trasposizione
pittorica del gruppo scultoreo della “Pietà”
di Michelangelo, cui l’artista deliberatamente
s’ispira.
Il particolare scorcio conferisce
monumentalità all’insieme che si staglia
contro un intenso fondo scuro.
Caravaggio (1571-1610)
Deposizione, 1602-04. Olio su tela.
Roma, Pinacoteca Vaticana
67. In quella appena ricor-
data il santo ricerca un
rapporto diretto con il
divino. Nella tela qui
illustrata, il rapporto
con Dio è cercato
soltanto all’interno della
condizione umana. È
questa un’introspezione.
Il santo riflette su se
stesso e verosimilmente
sulla parola divina delle
Sacre scritture. Anzi,
probabilmente
Caravaggio ha voluto
immaginare Girolamo
mentre scrive la versione
latina della Bibbia, nota
con il nome di Vulgata.
Caravaggio (1571-1610) San Girolamo scrivente, 1606. Tela.
Roma, Galleria Borghese.
L’artista ritorna qui sul tema dell’uomo seduto al tavolo intento a scrivere. Un precedente, in
questo senso, è costituito dalla seconda versione del “San Matteo e l’angelo” nella cappella
Contarelli in San Luigi de’Francesi a Roma. Esiste, però, una differenza fra le due opere.
70. Caravaggio (1571-1610)
The conversion of St Paul on the
way to Damascus, 1600.
Olio su tela. 2,30x1,75 m
Cerasi Chapel, Chiesa di Santa
Maria del Popolo, Rome.
79. Caravaggio (1571-1610)
La canestra e la luce
C'è ben più di quanto salta all'occhio, nel quadro di un genio.
Una canestra di frutta. Una magnifica canestra di frutta. Resa con maestria sopraffina.
Mele. Uva. Fichi. Com'è bella. Splendida. Ma...
80. Caravaggio (1571-1610)
Le foglie cominciano ad accartocciarsi, a
seccarsi. Sono smangiate. E sulla mela c'è
un punto nero.
Un buco scuro, di verme.
Anche la frutta più splendida del mondo
ha dentro un tocco di buio, un inizio cupo
di distruzione. Il guasto che può mandare a
male il cesto con tutta la frutta che
contiene.
E' il realismo di Caravaggio.
Un pittore che sapeva molto bene che l'uomo da solo non ce la fa, non può farcela.
Che dentro ha sempre un verme che corrompe, una tenebra che nessun frutto per
quanto splendido può sconfiggere, nella gran canestra del mondo.
Ma...
Sapete bene che Caravaggio è famoso per quei suoi sfondi scuri, quelle figure di santi
come illuminate da lampi di luce.
Qui è tutto rovesciato. Rappresenta la corruzione, ma lo sfondo che la accompagna è
luminoso, dorato, quasi come i cieli dei mosaici bizantini.
81. Caravaggio (1571-1610)
Come un Dio che sorride sulle sue creature,
per quanto marce siano,
e non le abbandona al loro buio.
C'è ben più di quanto salta all'occhio,
nel quadro di un genio.
83. L’architettura vede un grande fiorire di costruzioni religiose e civili
che celebrano la grandezza dei committenti e creano nelle città un
nuovo spazio scenografico.
Gli edifici dovevano sedurre, commuovere e stupire.
alla circonferenza fu prediletta l’ellissi,
alla linea retta quella incurvata, sinuosa, storta.
A forme planimetriche molto mosse
corrisposero superfici e cornici non più rettilinee,
ma frantumate e incurvate,
con sporgenti effetti chiaroscurali
ottenuti utilizzando sapientemente la luce e gli effetti prospettici.
La sensibilità celebrativo-scenografica
84. I due più importanti esponenti del Seicento sono
Gian Lorenzo Bernini (1598-1680)
e
Francesco Borromini (1599-1667)
Dalle loro soluzioni presero il via altri personaggi
che operarono in diversi centri dell’Italia:
Guarino Guarini (1598-1680)
che lasciò le sue opere più significative a Torino
Baldassarre Longhena (1599-1667)
che lavorò a Venezia.
La sensibilità celebrativo-scenografica
85. La sensibilità celebrativo-scenograficaIlSeicentoAll’interno dell’architettura barocca assumono una grande
importanza sia la pittura che la scultura.
La pittura tende a “rompere le pareti” ed a stupire per le
prospettive che sa costruire ed il movimento che crea.
Emblematico è
l’affresco di Andrea
Pozzo (1642-1709)
che raddoppia lo spazio
della chiesa di
Sant’Ignazio con un
secondo ordine di
colonne dipinte sulla
volta in prosecuzione
degli elementi
architettonici veri, gli
archi e le cornici.
86. Le figure, in arditi scorci, si muovono libere nello spazio verso il
punto di fuga della composizione che è la luce di Cristo sopra
Sant’Ignazio sulla nube.
IlSeicento
88. IlSeicento
Nella medesima chiesa, Andrea Pozzo offre un altro sbalorditivo
saggio della rigorosissima sapienza prospettica fingendo la
presenza di una cupola all’incontro della navata col transetto: altro
non è che una tela circolare piatta dipinta a trompe-l’oeil.
89. IlSeicento
È da notare che nella Chiesa di Sant’Ignazio,
Andrea Pozzo si è premurato di segnare sul
pavimento, mediante un disco di marmo, la
proiezione a terra del punto O.
Ponendosi in corrispondenza del disco si ha
pertanto la visione più esatta, senza alcuna
distorsione, della rappresentazione prospettica
affrescata della volta.
Andrea Pozzo,
esemplificazione del
procedimento pratico
per riportare le figure
in prospettiva sulle
superfici curve.
Dal primo volume del
trattato Perspectiva
pictorum et
architectorum,
edito a Roma nel
1693-1698.
100. IlSeicento
La pianta della Chiesa del Gesù a
Roma fu modello per l’architettura
sacra per i due secoli successivi: essa
segnò il passaggio dagli spazi
armoniosi, ma statici, del
Rinascimento, a quelli continui e
mobili tipicamente barocchi.
Il Rinascimento aveva adottato nelle
piante il quadrato, la croce greca o il
cerchio, che appariva la forma
geometrica più perfetta ed armoniosa.
Pianta della Chiesa del Gesù a
Roma. (1568-1575).
Costruita su progetto del
Vignola.
La chiesa mostra il ritorno alla
pianta basilicale. La Chiesa
riformata lo considerava più
adeguato alle esigenze
liturgiche e alla nuove istanze
teologiche.
Il rifiuto della pianta centrale
presupponeva l’abolizione delle
forme “pagane” del
Rinascimento.
Le pareti non hanno ancora
quelle ondulazioni concave e
convesse in grado di creare il
movimento caratteristico che
troveremo nella piena fioritura
del Barocco.
102. IlSeicento
Caratteristica fondamentale
dell’architettura barocca
sono le forme mosse e fluide,
le composizioni spaziali
complesse, gli inganni ottici.
Lo spazio viene concepito
come dinamico e continuo,
un insieme di tensioni
contrapposte, che lo forzano
a dilatarsi ed a contrarsi.
Il Barocco, soprattutto per gli edifici religiosi, preferì curvature
più complesse, come l’ellisse, l’ovale, o schemi molto articolati
derivati da complessi tracciati geometrici.
Le facciate entrano in rapporto con lo spazio e fondono l’edificio
di cui fanno parte con la strada o la piazza antistante.
103. IlSeicentoNumerose chiese barocche presentano in facciata una particolare
struttura definita dagli studiosi “trittico”.
Essa consiste sostanzialmente in un sporgenza, spesso un’edicola,
cui si oppone il movimento concavo di due bracci laterali, protesi
verso lo spazio antistante.
Si ha così un doppio movimento,
concavo e convesso, che, oltre a
denunciare la complessità della pianta
e dell’interno dell’edificio, sembra
richiamare i fedeli, raccogliendoli in
un grande abbraccio e invitandoli ad
entrare.
L’accentuazione degli assi spazi e
l’impiego esasperato di elementi come
lesene, colonne, aggetti e archi, mirano
a una differenziazione compositiva.
104. IlSeicentoLe decorazioni. Le pareti degli edifici barocchi sono
animate da decorazioni fastose sia all’interno che all’esterno. La
facciata, per esempio, diventa una sorta di sipario teatrale
appoggiato alla struttura dell’edificio.
La presenza di statue, fregi, cornici,
false finestre ed altri motivi decorativi
assume talvolta un ruolo preponderante
sulla stessa struttura architettonica.
Alla base di questa abbondanza di
motivi decorativi non c’è solo la
volontà di stupire e coinvolgere
l’osservatore, ma anche il desiderio di
rendere l’edificio parte dello spazio
urbano circostante. La parete, in altre
parole, non è più concepita come una
barriera ma come un diaframma, non
chiuse o isola, ma mette in
comunicazione.
105. IlSeicento Le volute e gli
“orecchioni”.
Grande fortuna hanno in
epoca barocca le volute e gli
“orecchioni” (o “orecchie”),
elementi a forma di nastro
curvato e arrotolato alle
estremità che servono a
raccordare, a unire
armoniosamente, due punti
situati a diverse altezze.
La funzione degli orecchioni,
nonostante la forma bizzarra,
non è solo decorativa
ma anche statica e costruttiva.
106. IlSeicento La cupola
La tecnica costruttiva del Seicento
raggiunge, rispetto al secolo
precedente, vertici più elevati,
soprattutto nel caso delle coperture a
cupola.
Gli ambienti principali vengono
infatti coperti da fantasiose cupole
realizzate con soluzioni sempre più
ardite che, facendo entrare la luce,
esaltano le sculture, le pitture e gli
stucchi all’interno.
La cupola conserva il significato
originario di allusione alla volta
celeste, ma ora può essere alzata o
abbassata, allargata o ristretta in
rapporto ai volumi dell’edificio e allo
spazio circostante.
107. IlSeicento Oratorio dei Filippini a Roma
(1637-1640).
Borromini scrisse:
“nel dar forma a detta
facciata mi figurai
il corpo di un umano
con le braccia aperte,
come che abbracci
ognuno che entri,
qual corpo con le braccia
aperte si distingue
in cinque parti,
cioè il petto in mezzo
e le braccia ciascheduno in
due pezzi”.
Il palazzo barocco
108. IlSeicento Palazzo di Montecitorio a Roma
(1650-1655),
commissionato a Bernini dalla
famiglia Pamphili, ha una lunga
facciata articolata in cinque
settori, con la zona centrale
aggettante e le laterali inclinate.
È un modello destinato a
diffondersi nell’architettura
tardo-barocca dell’Europa
centrale.
Il palazzo barocco
109. IlSeicentoLa curvatura dei prospetti diviene uno dei motivi più felici
dell’architettura barocca e trova applicazioni notevoli per tutto il
Seicento e il Settecento anche negli edifici civili.
Il tema del “trittico”, per esempio, è applicato al primo progetto
realizzato da Bernini per il rifacimento del Palazzo del Louvre a
Parigi (1644-1665): un nucleo centrale costituito da un grande
corpo di forma ovale, posto trasversalmente, che sviluppa due
lunghi bracci ricurvi.
Il Palazzo del Louvre
110. IlSeicento
Un grande interesse nell’architettura barocca è assegnato anche alla
villa, la dimora di campagna signorile.
Nel XVII secolo, un ruolo significativo è assunto dai cosiddetti
“palazzi con giardino” come Palazzo Barberini a Roma o Palazzo
del Lussemburgo a Parigi, destinati a diventare modelli per le grandi
residenze europee successive, da Versailles al Castello di Schlaun a
Munster.
La villa
111. San Lorenzo,
1617, marmo bianco.
Firenze, Galleria degli Uffizi, collezione Contini Bonacossi.
La sensibilità celebrativo-scenograficaIlSeicentoLa scultura è l’arte
più diffusa e
completa spesso
l’architettura con
statue, cariatidi,
telamoni, fregi,
rilievi...
Le sculture barocche
non sono più
concepite secondo i
modelli classici di
misura e ordine ma
sono forme aperte
con andamenti a
“serpentina”.
112. Anima dannata
1619. Roma, Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede
La sensibilità celebrativo-scenograficaIlSeicentoLa scultura è l’arte
più diffusa e
completa spesso
l’architettura con
statue, cariatidi,
telamoni, fregi,
rilievi...
Le sculture barocche
non sono più
concepite secondo i
modelli classici di
misura e ordine ma
sono forme aperte
con andamenti a
“serpentina”.
113. Ratto di Proserpina,
1621-1622, Roma, Galleria Borghese
La sensibilità celebrativo-scenograficaIlSeicentoLa scultura è l’arte
più diffusa e
completa spesso
l’architettura con
statue, cariatidi,
telamoni, fregi,
rilievi...
Le sculture barocche
non sono più
concepite secondo i
modelli classici di
misura e ordine ma
sono forme aperte
con andamenti a
“serpentina”.
114. David,
1623. Altezza 1,90 m.
Roma, Galleria Borghese
La sensibilità celebrativo-scenograficaIlSeicentoLa scultura è l’arte
più diffusa e
completa spesso
l’architettura con
statue, cariatidi,
telamoni, fregi,
rilievi...
Le sculture barocche
non sono più
concepite secondo i
modelli classici di
misura e ordine ma
sono forme aperte
con andamenti a
“serpentina”.
115. Apollo e Dafne,
1622-1624, marmo, altezza 2,43 m.
Roma, Galleria Borghese
La sensibilità celebrativo-scenograficaIlSeicentoLa scultura è l’arte
più diffusa e
completa spesso
l’architettura con
statue, cariatidi,
telamoni, fregi,
rilievi...
Le sculture barocche
non sono più
concepite secondo i
modelli classici di
misura e ordine ma
sono forme aperte
con andamenti a
“serpentina”.
116. Apollo e Dafne,
1622-1624,
marmo,
altezza 2,43 m.
Roma, Galleria
Borghese
La sensibilità celebrativo-scenograficaIlSeicentoLa scultura è l’arte
più diffusa e
completa spesso
l’architettura con
statue, cariatidi,
telamoni, fregi,
rilievi...
Le sculture barocche
non sono più
concepite secondo i
modelli classici di
misura e ordine ma
sono forme aperte
con andamenti a
“serpentina”.
117. IlSeicentoRoma nel Seicento
Sotto il pontificato di Sisto V (fine Cinquecento) inizia un
periodo di costruzione e riorganizzazione urbanistica della città
che si protrarrà per tutto il Seicento.
Tale intervento si propone di trasformare le arterie principali
della città da strette vie medioevali in ampie strade sulle quali
si affacciano i palazzi aristocratici.
Si crea una rete viaria che
permette una più agevole
visita ai principali luoghi di
culto e pellegrinaggio:
Roma diviene la città
modello della Cristianità.
Piazza del Popolo, veduta d’insieme. Roma
118. IlSeicentoRoma nel Seicento
Il nuovo piano urbanistico iniziato dall’architetto Fontana e
continuato poi da Maderno, Bernini, Borromini, prevede un
sistema di strade che collega fra di loro le principali basiliche
cristiane, avendo come fulcro la Basilica di Santa Maria
Maggiore.
Carlo Rainaldi,
tribuna della Chiesa di Santa
Maria Maggiore. Roma
119. IlSeicentoRoma nel Seicento
Queste lunghe strade creano visuali prospettiche aventi come
sfondo le basiliche davanti alle quali si aprono vaste piazze con al
centro un obelisco o una fontana che, ben visibili da ogni
angolazione, si prestano ad essere individuati come punto di
riferimento e come snodo della rete viaria.
Hanno inoltre un valore
simbolico:
l’obelisco porta il nostro
occhio verso 1’alto, verso il
cielo;
la fontana con lo
zampillare continuo della sua
acqua ci ricorda la
purificazione, il refrigerio del
corpo e dell’anima.
120. Gian Lorenzo Bernini, Fontana della Barcaccia, 1629.
Roma, Piazza di SpagnaIlSeicento
121. IlSeicentoRoma nel Seicento
Sulle piazze barocche si
affacciano non solo
palazzi e regge, chiese e
conventi, ma anche
ospedali, università,
caserme e edifici
pubblici.
La maggior parte di esse
sono anche concepite in
vista del traffico
veicolare.
Roma infatti vede in
questo secolo un
crescente aumento della
popolazione, dei traffici e
delle comunicazioni.
Francesco Borromini, Chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, facciata. 1664-1667, Roma
122. IlSeicentoRoma nel Seicento
Le piazze, perfette scenografie di feste religiose, spettacoli di gala
o giochi di ogni genere, diventano il prolungamento dei salotti, dei
giardini, dei cortili...
Consideriamone due particolarmente caratteristiche: piazza San
Pietro e piazza Navona.
Carlo Rainaldi,
Carlo Fontana e
G.Lorenzo Bernini,
Chiesa di Santa Maria di Montesanto e Santa Maria dei Miracoli. 1662. Roma
123. L’ampio spazio di piazza San Pietro, il più significativo della Roma
barocca, serve ancora oggi a raccogliere i numerosissimi fedeli
convenuti per le varie cerimonie religiose presiedute dal papa.
IlSeicentoPiazza San Pietro
124. GianLorenzoBernini(1598-1680) Piazza San Pietro, progettata dal
Bernini a partire dal 1656, è
formata da due ali rettilinee che
partono dalla facciata della basilica
e si prolungano in due portici curvi
che racchiudono uno spazio a
forma di ellisse.
Esse non sono parallele ma
divergenti verso la facciata in
modo da aumentarne
prospetticamente l’imponenza.
Il colonnato ovale, formato da 4
giri di colonne, costituisce di fatto
una piazza coperta da utilizzare in
caso di maltempo: la corsia
centrale è più larga proprio per
permettere il passaggio delle
carrozze e delle processioni.
125. GianLorenzoBernini(1598-1680) L’originale forma della piazza,
oltre a stupire lo spettatore per la
sua maestosità e grandiosità, pare
voglia racchiudere in un abbraccio
il fedele che in essa entra: è questo
l’abbraccio materno della Chiesa
che accoglie chiunque. Al centro
della piazza si trova l’obelisco,
punto di riferimento immediato per
i pellegrini; ai lati due grandi
fontane per il loro refrigerio. Sul
selciato della piazza, vicino alle
fontane, due pietre grigie indicano
i fuochi dell’ellisse; fermandosi su
una di esse, l’osservatore ha
l’impressione che la piazza sia
circondata da una singola, anziché
da una quadrupla fila di colonne.
126. GianLorenzoBernini(1598-1680)
“Essendo San Pietro quasi
matrice di tutte le chiese
doveva haber un portico che
dimostrasse di ricevere a
braccia aperte
maternamente i Cattolici per
confermarli nella Credenza,
gli Heretici per riunirli alla
Chiesa,
e gli infedeli per illuminarli
alla vera fede.”
127. GianLorenzoBernini(1598-1680)
Commissionato nel 1657 da Papa Alessandro
VII Chigi, tale colonnato consta di 284 colonne
e di 88 pilastri disposti su quattro file.
Il colonnato, la cui forma è geometricamente
assimilabile a quella di una enorme ellisse, si
congiunge alla facciata della basilica vaticana
grazie a due ali laterali vistosamente
divergenti.
Se tali ali fossero state parallele, infatti, esse
sarebbero apparse (a causa della deformazione
prospettica) convergenti al centro, come avviene
nel caso delle rotaie ferroviarie, e la facciata
sarebbe sembrata più lontana.
128. GianLorenzoBernini(1598-1680)
Grazie a questa soluzione, Bernini capovolge l’effetto prospettico:
la percezione delle distanze si attenua e la facciata sembra più
vicina, quasi direttamente affacciata sulla piazza.
130. L’incisione seicentesca di Giovan Battista Falda (1648-1678)
mostra anche un’ulteriore porzione di colonnato, mai realizzata,
posta a fronteggiare la facciata di San Pietro.
Negli intenti di Bernini tale elemento concludeva geometricamente
il disegno dell’ellisse della piazza e consentiva l’accesso tramite
due varchi non in asse con la facciata stessa.
GianLorenzoBernini(1598-1680)
In tal modo il
visitatore era
portato a scoprire
per gradi la
vastità della
piazza e ad
accorgersi con
progressivo
stupore
dell’immensità
della basilica.
132. (1927)
Durante gli anni Trenta venne realizzata la grande via della Conciliazione,
demolendo le vecchie case e togliendo così l’effetto scenografico pensato
dal Bernini.
133. Piazza Navona
La piazza si apre sullo spazio occupato nell’antica Roma dallo
stadio Domiziano (del quale conserva il perimetro) ed era destinata
in particolare al mercato e alle feste: veniva periodicamente
allagata e vi si svolgevano sfarzosi giochi navali.
IlSeicento
134. Piazza Navona
La sua trasformazione in senso monumentale venne realizzata
intorno alla metà del Seicento.
IlSeicento
135. Piazza Navona
Gli interventi principali furono:
la costruzione del nuovo palazzo della famiglia Pamphili,
IlSeicento
136. Piazza Navona
la Chiesa di Sant’Agnese
in Agone,
1653-1657
(opera del Borromini)
IlSeicento
143. Piazza Navona
La fontana del Bernini è costituita al centro da una specie di monte
roccioso, cavo nel mezzo, su cui appoggia un obelisco egiziano
che a quei tempi giaceva in frantumi nel circo di via Appia.
IlSeicento
Gli elementi portanti
della fontana sono
costituiti da quattro
statue raffiguranti i
fiumi più lunghi delle
quattro parti della terra
allora conosciute: il
Nilo, il Gange, il Rio de
la Plata e il Danubio.
La fontana risulta un
insieme veramente
armonico di scultura e
architettura.
144. Piazza NavonaIlSeicentoI quattro fiumi sono
rappresentati in
movimento rotatorio e in
atteggiamento di
meraviglia rivolti al
dominio spirituale della
Chiesa, simboleggiato
dalla colomba dei
Pamphili che è posta alla
sommità dell’obelisco:
questo dominio si
esercita sui continenti e
sulla natura.
145. Piazza NavonaIlSeicentoMolti sono i simboli e
le allegorie presenti
nella fontana:
l’idea più suggestiva è
quella che vede nella
sua forma un’allusione
all’arca di Noè e
quindi alla Chiesa
come nave di
salvezza.
146. Piazza NavonaIlSeicentoQualunque romano
amante dei monumenti
del centro storico vi
ripeterà, per esempio,
che la statua del Rio
della Plata alza un
braccio per il timore di
un crollo dell’edificio
che ha di fronte, oppure
che la statua del Nilo si
copre il volto in
direzione della chiesa
borrominiana per non
guardare S. Agnese.
147. Piazza NavonaIlSeicentoIn realtà quest’ultimo
gesto ha un preciso
significato: nascondersi o
meglio coprirsi con un
velo equivale a “non
svelare”, tutto in
relazione al fiume
africano la cui sorgente
rimase ignota fino alla
fine del XIX secolo
148. Piazza Navona
La chiesa di Sant’Agnese è
stata eretta sul luogo dove
secondo la tradizione la santa
venne esposta nuda alla gogna
e per miracolo i suoi lunghi
capelli si sciolsero coprendole
il corpo.
La pianta della chiesa è a
croce greca, ma un particolare
arrotondamento degli angoli
alle estremità dei cortissimi
bracci e le cappelle inserite
all’incontro degli stessi le
fanno assumere una forma
quasi ad ellisse.
IlSeicento
149. Piazza Navona
L’ampia cupola, che irradia
all’interno una luce diffusa,
domina la costruzione.
All’esterno la facciata della
chiesa è nella sua parte
centrale concava e alla sua
estensione in larghezza è
contrapposto lo slancio
verticale dei due campanili
laterali che incorniciano la
cupola.
Questo motivo ondulato della
facciata viene spesso usato dal
Borromini per dare maggior
dinamicità ad una superficie e
lo possiamo trovare in molte
sue opere
IlSeicento
150. Questo motivo ondulato
della facciata viene
spesso usato dal
Borromini per dare
maggior dinamicità ad
una superficie e lo
possiamo trovare in
molte sue opere
(Oratorio dei Filippini,
San Carlino alla Quattro
Fontane,
Sant’Ivo alla Sapienza).
IlSeicento
151. Piazza Navona
Bernini e Borromini (il cui vero nome è Francesco
Castelli) furono antagonisti per tutta la vita.
Le loro architetture sono molto diverse:
Bernini rappresenta un Barocco maestoso che vuole
stupire lo spettatore per la sua grandiosità scenografica (vedi
piazza San Pietro),
Borromini invece rappresenta un Barocco fantasioso,
dinamico, con un gusto dei particolari e dei dettagli
perfettamente studiati.
IlSeicento
152. Inserisce in forme e spazi grandiosi elementi classici
(colonne, capitelli, lesene timpani ecc.).
Egli è scultore, architetto, scenografo.
Il Papa affida a lui i lavori più importanti della
Roma del Seicento, come la sistemazione di tutto il
complesso San Pietro.
GianLorenzoBernini(1598-1680)
153. GianLorenzoBernini(1598-1680)
Commissionato nel 1657 da Papa Alessandro
VII Chigi, tale colonnato consta di 284 colonne
e di 88 pilastri disposti su quattro file.
Il colonnato, la cui forma è geometricamente
assimilabile a quella di una enorme ellisse, si
congiunge alla facciata della basilica vaticana
grazie a due ali laterali vistosamente
divergenti.
Se tali ali fossero state parallele, infatti, esse
sarebbero apparse (a causa della deformazione
prospettica) convergenti al centro, come avviene
nel caso delle rotaie ferroviarie, e la facciata
sarebbe sembrata più lontana.
155. Una sua grande invenzione scenografica è il
colossale baldacchino in bronzo (1624) sopra la
tomba dell’apostolo che collega, nel grande spazio
della basilica, la cupola di Michelangelo e la grande
navata centrale.
E’ un artista infaticabile e innamorato del proprio
lavoro.
La vastità dei suoi interessi gli permette di concepire
ciò che progetta non isolatamente, ma in una
collocazione urbana globale: le sculture sono
pensate in un contesto architettonico e le architetture
entro la città, sempre con un impianto scenografico
che evidenzia la sua pratica teatrale.
Bernini (1598-1680)GianLorenzoBernini(1598-1680)
156. Baldacchino di San Pietro,
1624-1633.
Bronzo con dorature, legno e
marmo. Altezza 28,5 m.
Vaticano, Basilica di San Pietro
Il baldacchino doveva
avere proporzioni e
caratteristiche tali da
potersi inserire in modo
armonico sopra l’altare
maggiore, nell’immenso
spazio vuoto sotto la
cupola di Michelangelo.
Inventa una tipologia nuova
che riunisce in sé anche
l’idea di un baldacchino
in legno e tessuto.
GianLorenzoBernini(1598-1680)
158. Estasi di Santa Teresa,
1644-1651.
Marmo e bronzo.
Roma, Chiesa di Santa Maria
della Vittoria, Cappella Cornaro
Con l’Estasi di Santa
Teresa, l’artista esprime la
propria volontà di
strabiliare il pubblico.
Il confine tra realtà e
finzione si fa sempre più
incerto;
e come nel teatro la vita
diventa un sogno, nell’arte
barocca il marmo può
addirittura farsi carne.
GianLorenzoBernini(1598-1680)
159. Estasi di Santa Teresa,
1644-1651.
Marmo e bronzo.
Roma, Chiesa di Santa Maria della
Vittoria, Cappella Cornaro
È al corpo che l’artista
dedica la massima
attenzione, indagandone le
emozioni e
sottolineandone la
sensualità;
si dedicherà al libero gioco
delle forme,
al fine di strabiliare e di
coinvolgere
emotivamente gli
spettatori nel teatro della
scultura barocca.
GianLorenzoBernini(1598-1680)
160. L’Estasi di Santa
Teresa, opera del Bernini,
unisce scenografia,
architettura e scultura in una
stupefacente unità
espressiva.
La scena coinvolge
l’osservatore con la
composizione dinamica e
attraverso la cura con cui è
studiato il gioco delle luci:
sembra di vivere
un’atmosfera irreale.
L’estasi di Santa Teresa,
1644-1651, marmo e bronzo.
Roma, Chiesa di Santa Maria della
Vittoria, Cappella Cornaro
GianLorenzoBernini(1598-1680)
161. La stupefacente abilità
dell’artista nello scolpire i
panneggi di marmo non è
esibizione di una
bravura fine a se
stessa, ma ulteriore modo
per creare meraviglia e
stupore e quindi rendere
partecipi dell’evento.
L’estasi di Santa Teresa,
1644-1651, marmo e bronzo.
Roma, Chiesa di Santa Maria della
Vittoria, Cappella Cornaro
GianLorenzoBernini(1598-1680)
162. Il Salvator mundi, l'ultima opera di Gian
Lorenzo Bernini, il «gran regista del barocco»,
l'artista “globale” capace di ammonire chiunque con
un perentorio:
«Non parlatemi di niente di piccolo».
Che però «alla fine della sua straordinaria
esistenza», scrive Claudio Strinati, specialista del
Seicento romano, nonché soprintendente ai Beni
artistici e storici di Roma, «chiude la sua parabola in
una muta meditazione».
Tanto da realizzare «per sua devotione» un bellissimo
busto di Cristo considerato affettuosamente dal
vecchio artista il suo “Beniamino”.
Ritratto di Gian Lorenzo Bernini,
Giovan Battista Gaulli, detto Baciccia,
olio su tela, 1680 circa,
Galleria Nazionale d’arte antica di Palazzo
Barberini, Roma
GianLorenzoBernini(1598-1680)
163. Bernini muore a ottantadue anni,
il 28 novembre del 1680,
e scolpisce la statua un anno prima.
In un'altra biografia, quella redatta da Filippo
Baldinucci nel 1682, si sostiene che la statua fosse
stata realizzata per la regina Cristina di Svezia ma
che questa, pur apprezzandola, la rifiutò per il fatto di
non poter donare al Bernini un oggetto di egual
valore.
Alla morte dell'artista, Cristina ricevette comunque in
eredità il Salvator mundi.
GianLorenzoBernini(1598-1680)
164. E ancora da un'altra biografia di suo figlio Domenico,
edita nel 1713, sappiamo che
«ormai prossimo il Cavaliere alla morte [...]
volle illustrar sua vita [...]
con rappresentare un'opera [...]
che termina con essa i suoi giorni.
Questa fu l'Immagine del nostro Salvatore in mezza
figura, ma più grande del naturale, colla mano destra
alquanto sollevata, come in atto di benedire.
In essa compendiò e restrinse tutta la sua Arte».
La scultura fu dunque lasciata in eredità alla regina
Cristina di Svezia, grande amica del Bernini.
La regina, che morì nel 1689, la lasciò a sua volta in
eredità a papa Innocenze XI Odescalchi.
GianLorenzoBernini(1598-1680)
165. Scrive il Baldinucci che l'artista in quell'ultimo
periodo della sua vita, dedito
«più al conseguimento degli eterni riposi, che
all'accrescimento di nuova gloria mondana [...]
si pose con grande studio a effigiare [...]
il nostro Salvator Gesù Cristo, opera che siccome fu
detta da lui il suo Beniamino, così anche fu l'ultima
che desse al mondo la sua mano [...]
in questo Divino Simulacro pose egli tutti gli sforzi
della sua cristiana pietà».
GianLorenzoBernini(1598-1680)
169. GianLorenzoBernini(1598-1680)
Sopra,
busto del Salvatore
erroneamente attribuito al
Bernini da Irvin Lavin nel 1972,
Chrysler Museum, Norfolk
(USA)
A sinistra,
un particolare del Salvator
mundi
Sotto,
la copia del Salvator mundi
conservata nella Cattedrale di
Sées, Normandia
171. Francesco Castelli, detto Borromini,
nacque a Bissone, nel Canton Ticino, nel 1599.
Inizia la sua attività a Milano dove, come semplice scalpellino, fu
impegnato nella Fabbrica del Duomo di Milano.
Trasferitosi a Roma lavora alle dipendenze di Carlo Maderno e di
Gian Lorenzo Bernini.
Sereno, amabile, brillante ed estroverso Bernini, introverso,
nevrotico, intransigente Borromini; fra i due ci fu sempre ostilità e
diffidenza, anche per il diverso modo di concepire l’architettura.
In ogni caso fu proprio Bernini a proporlo come architetto per la
sede della Sapienza a Roma.
FrancescoBorromini(1599-1667)
172. Borromini si occupò esclusivamente di
architettura, e lì concentrò tutte le sue
energie.
Fu autore di chiese e palazzi, oratori e
basiliche, e la sua attività si svolse
esclusivamente a Roma, al servizio di
importanti committenti, in particolare
ordini religiosi, come i Filippini.
Con l’avvento al soglio pontificio di
Innocenzo X Pamphili cominciò il
periodo fortunato della carriera
dell’architetto.
FrancescoBorromini(1599-1667)
173. Tra i molti lavori di questo periodo, le
realizzazioni più importanti furono il
restauro della basilica di San Giovanni in
Laterano, il Convento e la Chiesa di di
Santa Maria dei Sette Dolori, la
ristrutturazione di Palazzo Falconieri.
Altre opere: la Chiesa di San Carlo alle
Quattro Fontane, Sant’Ivo alla Sapienza,
e la Chiesa di Sant’Agnese in Agone.
FrancescoBorromini(1599-1667)
Borromini,
Campanile della Chiesa di Sant'Andrea delle Fratte,
Roma
174. Altre opere:
la Chiesa di San Carlo
alle Quattro Fontane,
Sant’Ivo alla Sapienza,
e la Chiesa di
Sant’Agnese in Agone.
FrancescoBorromini(1599-1667)
Borromini,
Chiesa di San Carlino alle Quattro
Fontane, Roma
175. Altre opere:
la Chiesa di San Carlo
alle Quattro Fontane,
Sant’Ivo alla Sapienza,
e la Chiesa di
Sant’Agnese in Agone.
FrancescoBorromini(1599-1667)
Borromini,
Chiesa di Sant’Agnese in Agone,
Roma
176. Altre opere:
la Chiesa di San Carlo
alle Quattro Fontane,
Sant’Ivo alla Sapienza,
e la Chiesa di
Sant’Agnese in Agone.
FrancescoBorromini(1599-1667)
Borromini,
Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, Roma. Vista del cortile della Sapienza.
177. Altre opere:
la Chiesa di San Carlo
alle Quattro Fontane,
Sant’Ivo alla Sapienza,
e la Chiesa di
Sant’Agnese in Agone.
FrancescoBorromini(1599-1667)
Borromini,
Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, Roma.
Vista interna della cupola.
178. A confronto:
Gian Lorenzo Bernini,
Sant’Andrea al Quirinale (1658-70)
Francesco Borromini,
San Carlo alle Quattro Fontane (1638-67)
179. A confronto:
Gian Lorenzo Bernini,
Sant’Andrea al Quirinale (1658-70)
Francesco Borromini,
San Carlo alle Quattro Fontane (1638-67)
180. Arcimboldi reagisce a ogni tradizione
figurativa rifugiandosi nella fantasia.
Forse siamo in presenza della più forte
rappresentazione della crisi
dell’umanesimo: l’uomo non più
centro razionale dell’universo e
ridotto a cosa; o viceversa,
siamo di fronte all’ultima esaltazione
dell’uomo, sintesi di tutti gli oggetti
creati dalla natura.
Si tratta della testimoninza di un’epoca
tormentata da conflitti e
sconvolgimenti, due tra tutti:
l’improvvisa espansione del mondo
conosciuto e la fine dell’unità religiosa
in Europa.
Giuseppe Arcimboldi,
L’ortolano, circa 1590. Olio su tavola, 35x24 cm.
Cremona, Palazzo Civico
Giuseppe Arcimboldi e l’arte di stupire
181. Giuseppe Arcimboldi e l’arte di stupire
Arcimboldi reagisce a ogni tradizione
figurativa rifugiandosi nella fantasia.
Forse siamo in presenza della più forte
rappresentazione della crisi
dell’umanesimo: l’uomo non più
centro razionale dell’universo e
ridotto a cosa; o viceversa,
siamo di fronte all’ultima esaltazione
dell’uomo, sintesi di tutti gli oggetti
creati dalla natura.
Si tratta della testimoninza di un’epoca
tormentata da conflitti e
sconvolgimenti, due tra tutti:
l’improvvisa espansione del mondo
conosciuto e la fine dell’unità religiosa
in Europa.
Giuseppe Arcimboldi,
L’ortolano, circa 1590. Olio su tavola, 35x24 cm.
Cremona, Palazzo Civico
186. Giuseppe Arcimboldi,
Ritratto di Rodolfo II
in veste di Vertumno
(divinità preposta al mutare delle
stagioni)
1591.
Olio su tavola, 70,5x57,5 cm.
Stoccolma,
Stoklosters Slott, Styrelsen
187. Il Rococò
La grande ricerca naturalistica e fantasiosa del Barocco sfocia
agli inizi del Settecento nel Rococò,
il periodo della “raffinatezza come dimensione della vita”.
È lo stile delle corti europee, dei palazzi e dei salotti
dell’aristocrazia.
In spazi ampi ed eleganti arredati con gusto particolare, assume
grande importanza la decorazione a stucco e pittorica.
In Italia operano grandi artisti
come gli architetti Guarini Guarini (1624-1683),
Filippo Juvara (1678-1736)
ed il pittore Giambattista Tiepolo (1696-1770).
IlSeicento
188. Il Rococò
Giambattista Tiepolo (1696-1770).
E’ il grande continuatore della scuola coloristica veneta del
Cinquecento iniziata da Tiziano. Egli crea con i suoi affreschi
grandi scenografie per palazzi, chiese, ville. Rompe lo spazio dei
soffitti ed il perimetro delle sale con ardite prospettive aeree che
portano alle estreme conseguenze le esperienze di Tintoretto.
Il suo segno agile e leggero e la fresca luminosità del colore si
possono apprezzare soprattutto nei bozzetti preparati per gli
affreschi o per le enormi tele da parete, detti “teleri”.
IlSeicento
189. Il Rococò
Filippo Juvara (1678-1736)
A Torino lavora l’architetto messinese Filippo Juvara che si forma a
Roma studiando sia l’arte classica sia le opere barocche, in
particolare quelle del Borromini.
Dalla sintesi di queste due esperienze così diverse egli sa elaborare
uno stile originale in cui trovano equilibrio la dinamicità delle
strutture, la grandiosità scenografica e la raffinatezza delle
decorazioni.
IlSeicento
190. Il Rococò
Sempre in ambito Rococò si sviluppa la scuola veneta dei vedutisti
con Antonio Canal detto il Canaletto (1697-1768) e Francesco
Guardi (1699-1760).
Entrambi dipingono, anche con intenti documentaristici, la loro
amata città, Venezia.
Rigorose, limpide, precise nei particolari, le composizioni del primo
pittore, più sciolte e poetiche quelle del secondo.
Il Rococò trova moltissime applicazioni nelle arti decorative ed in
particolare nei mobili e nelle suppellettili in ceramica
particolarmente resistente, inizialmente importata dalla Cina, ma poi
realizzata in Europa dal 1710. L’affermazione della porcellana è tale
da diventare una vera e propria moda presso le corti dei principi ed I
salotti degli aristocratici.
IlSeicento