1. News 20/A/2016
Lunedì,16 Maggio 2016
Rinnovabili non fotovoltaiche: preoccupazione per le modifiche al Decreto FER
Le Associazioni di categoria chiedono spiegazioni ai ministeri
E’ bastato che il governo apportasse la modifica «A decorrere dal 1° luglio 2016»
all’ultima versione del Decreto FER, presentata dal ministero dello sviluppo
economico e in fase di concertazione con il ministero dell’ambiente e il ministero
dell’agricoltura, per destare grande preoccupazione tra le imprese aderenti ad
Associazione EBS, assoRinnovabili, Assoelettrica, Anpeb, e Assodistil, che hanno
subito scritto ai ministri competenti per manifestare i forti debbi del mondo delle
energie rinnovabili per la «modifica apportata al testo del DM relativo agli incentivi
sulle rinnovabili elettriche diverse dal fotovoltaico» e chiedere «il ripristino
dell’efficacia dell’opzione a far data dal 1° gennaio 2016».
Secondo la associazioni di categoria «Il testo, prossimo alla pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale, posticiperebbe la possibilità per i produttori di energia elettrica
da biomasse solide e da bioliquidi sostenibili, di poter optare per il regime
incentivante valido per tutte le altre fonti rinnovabili (precedentemente incentivate
tramite Certificati Verdi), non più dal 1° gennaio 2016 bensì solo dal 1° luglio 2016».
Nella lettera congiunta ai ministri Associazione EBS, assoRinnovabili, Assoelettrica,
Anpeb, e Assodistil scrivono: «Non si comprende la ragione di tale modifica, peraltro,
inattesa e improvvisa rispetto al provvedimento licenziato in sede di conferenza
Stato Regioni il 5 novembre 2015 e ratificato dalla Commissione Europea il 29 aprile
di quest’anno. Una dilazione temporale che rappresenta l’ennesimo elemento di
incertezza per il settore e ne impedisce un razionale sviluppo».
Le associazioni delle imprese delle energie rinnovabili elettriche diverse dal
fotovoltaico, concludono preoccupate: «Tale decisione, qualora dovesse essere
confermata, provocherebbe ingenti ricadute economiche a carico dei produttori di
energia elettrica da biomasse e da bioliquidi sostenibili che avevano già negoziato i
contratti di approvvigionamento e pianificato la produzione di energia elettrica sulla
base della precedente versione, nonché pesanti ripercussioni a livello
occupazionale ed economico per tutta la filiera agricola e forestale e l’indotto nel
suo complesso». Fonte:greenreport.it
2. Biowaste, CIC: “La filiera del rifiuto organico porterà 2,5 miliardi di Euro di benefici
all’Italia.
Nel 2020 un aumento del giro d'affari di 300 milioni e altri 5.000 nuovi posti di lavoro
Secondo la ricerca “La filiera del rifiuto organico. Un patrimonio italiano da
valorizzare” presentata a Firenze nel corso dell’Assemblea dei Soci del Consorzio
Italiano Compostatori (CIC), «Nel 2014 il volume d’affari generato dal biowaste è
stato pari a 1,6 miliardi di euro con circa 12.000 addetti, ma nel 2020 si
stimano benefici netti per il sistema Paese di 2 miliardi e mezzo di euro solo con
compostaggio e digestione».
Il rapporto, realizzato da Althesys e presentato alla Tavola Rotonda “Dal biowaste
una filiera virtuosa made in Italy”, evidenzia che «Con quasi 6 milioni di tonnellate di
rifiuti organici intercettati e trattati nel 2014, rispetto alle 12,5 milioni di tonnellate
dell’intera filiera degli imballaggi, il settore del biowaste si afferma come punto di
riferimento centrale per tutta la filiera della raccolta differenziata. L’organico
rappresenta uno snodo chiave per una strategia nazionale per i rifiuti, sia in termini
economico-gestionali che ambientali: il volume d’affari generato dal biowaste nel
2014 (filiera raccolta-trattamento) è stato pari a 1,6 miliardi di euro, con circa 12.000
addetti. Una filiera che nel 2020 potrebbe portare ad un aumento del giro d’affari di
300 milioni, la creazione di altri 5.000 nuovi posti di lavoro considerando l’indotto
e benefici netti per il sistema Paese, solo con compostaggio e digestione, per 2
miliardi e mezzo di euro cui andrebbero, in prospettiva futura, aggiunti 1,3 miliardi di
euro di ricadute economiche ed occupazionali della innovativa filiera del
biometano».
l’assemblea annuale dei soci CIC e la tavola rotonda di Firenze, che hanno visto la
partecipazione dei rappresentanti delle filiere della raccolta differenziata e le
istituzioni, sono stati l’occasione per analizzare lo stato dell’arte del settore del
biowaste e presentarne le prospettive di sviluppo.
Intervenendo alla tavola rotonda, Claudio Ciavatta, ordinario di chimica agraria
all’università di Bologna, ha ricordato che «Il suolo è una risorsa da cui dipendono
cibo, acqua e biodiversità, ma tutti se ne dimenticano. Se noi lo deprediamo e non
restituiamo in forma ordinata alla terra i suoi nutrimenti originari, viene a mancare un
elemento imprescindibile per la vita».
Alessandro Canovai, confermato presidente del CIC, ha detto che «Quella del rifiuto
organico è la filiera del riciclo a più alta crescita e a maggior potenziale futuro,
rappresentando un volano per occupazione e investimenti nonché un settore
3. cruciale per la politica dei rifiuti in Italia. La raccolta della frazione organica ha infatti
registrato tra il 2011 e il 2014 un incremento del 27%, passando da 4,5 a 5,7 milioni di
tonnellate. E’ il fulcro della raccolta differenziata in Italia costituendone il 43%.
Secondo le nostre stime entro il 2020 saranno raccolti e riciclati fino a 8 milioni di
tonnellate di rifiuti organici all’anno».
Ma secondo la ricerca presentata dal CIC, «Il compostaggio e la digestione hanno
ancora ampio potenziale di crescita e di sviluppo e risultano strategici per cogliere
gli obiettivi europei e portare in discarica solo il 5-10% dei rifiuti urbani, come avviene
nelle nazioni europee avanzate».
Per quanto riguarda compostaggio e digestione, lo scenario al 2020 della ricerca
mette in luce «un progressivo aumento dell’umido e del verde intercettato, che
arriverebbe al 72,5%, e dei benefici netti per il sistema Paese che sarebbero di circa
2 miliardi e mezzo di euro con una stabilizzazione dei costi incrementali di raccolta
differenziata ma con un lieve calo di quelli di trattamento e di trasporto; i principali
benefici deriverebbero quindi dai costi di smaltimento evitati».
Per la filiera del biometano sono previsti «1,3 miliardi di euro di ricadute economiche
ed occupazionali al 2020, considerando 400 milioni di euro di investimenti solo per il
biometano con effetti positivi soprattutto nelle aree oggi meno sviluppate (Centro-
Sud Italia) e la produzione di 205 ml mq di biometano, di cui oltre la metà al Sud».
Massimo Centemero, direttore del CIC, avverte che «E’necessario tuttavia investire
in nuovi impianti su tutto il territorio e lavorare su una strategia nazionale di waste
management per valorizzare e favorire la crescita della filiera, uscire da logiche
territoriali e locali per misurarsi su scenari europei e farsi promotori di politiche
europee. Ci stupisce la scarsa considerazione della politica al ruolo del settore del
biowaste. Le aziende CIC da più di vent’anni creano green jobs, sono coerenti con i
principi dell’economia circolare e di fatto sono state le prime biolaffinerie ante
litteram».
Canovai ha concluso con un commento a un emendamento inspiegabilmente
introdotto alla Camera: «Ci rammarichiamo anche dell’attuale formulazione
dell’articolo 41 del Disegno di Legge (Collegato Agricoltura, AS 1328-B) che
dispone l’esclusione degli sfalci e le potature di parchi e giardini dal campo di
applicazione dei rifiuti. Considerando che su 5,7 mln di tonnellate di rifiuti
organici, 1,9 milioni di tonnellate provengono dal verde, quindi più del 33%, questa
iniziativa che nasce per fini di lobby potrebbe avere un effetto nefasto su un settore
che è solido, strutturato e virtuoso. Se la norma passasse, si andrebbe a togliere
un importante ingrediente per trasformare i rifiuti organici, rendendo critico e
difficoltoso il processo di compostaggio e digestione anaerobica, e determinando
4. quindi un ostacolo invalicabile allo sviluppo della raccolta differenziata ed al
raggiungimento dei target di riciclo. Allo stesso tempo, non solo esporrebbe il nostro
paese ad un’altra procedura di infrazione europea, ma comporterebbe anche
un incremento dei costi di trattamento dei rifiuti urbani e delle tariffe per i cittadini,
oltre ad avere numerosi effetti negativi con ricadute sull’impresa, l’occupazione, e
non ultimo l’ambiente».
Fonte: greenreport.it
Beni pubblici, valori comuni: le cooperative di comunità per lo sviluppo locale.
Legacoop e Legambiente presentano il primo studio su beni comuni e cooperative
di comunità, nuove opportunità di sviluppo nei territori attraverso la valorizzazione
dei beni pubblici.
Con il progetto "Cooperative di comunità", Legacoop e Legambiente, intendono
presentare tutte le opportunità in tema di valorizzazione dei beni comuni e sviluppo
locale. Coinvolgere in una riflessione imprese, associazioni, singoli cittadini ed enti
locali circa l'opportunità di una gestione condivisa e partecipata, un percorso
imprenditoriale che favorisce lo sviluppo locale mantenendo nella comunità il
valore creato.
L'italia è tra i Paesi europei quello che vanta il patrimonio pubblico di maggior
pregio, troppo spesso non fruibile dai cittadini e non sufficientemente valorizzato. Le
scarse risorse degli enti locali e lo scoglio della burocrazia congelano le opportunità
che potrebbero dare nuova vita ai quei beni offrendo opportunità di sviluppo nei
territori.
Fonte: legambiente.it
Fonti rinnovabili, liberiamole. Le proposte di Legambiente per cancellare le barriere
che attualmente impediscono di utilizzare energia rinnovabile e autoprodotta.
L’autoproduzione da fonti rinnovabili rappresenta una grande potenzialità per il
nostro Paese per promuovere l’innovazione, creare lavoro, favorire gli
investimenti. Cancellando le barriere all’autoproduzione, che attualmente
impediscono al condominio e al distretto produttivo, alle famiglie e alle imprese di
utilizzare energia autoprodotta da fonti rinnovabili, possiamo ridurre anche i costi
della bolletta energetica. Facile a dirsi e, volendo, anche a farsi, perché oggi in
5. Italia una raffineria e un impianto solare pagano la stessa tassa sull’autoconsumo;
all’interno di un edificio è vietato distribuire energia elettrica autoprodotta da fonti
rinnovabili; è vietato persino distribuire energia elettrica pulita autoprodotta tra più
imprese di uno stesso distretto industriale.
Per questo Legambiente propone un’alleanza per l’autoproduzione da fonti
rinnovabili, per aprire a un cambiamento del modello energetico che deve avere al
centro le energie pulite e le opportunità per i territori e le comunità. E' arrivato il
momento di aprire un confronto pubblico e trasparente su queste sfide, sia a livello
italiano che europeo, per eliminare le barriere che oggi fermano una prospettiva
che è nell’interesse delle famiglie e delle imprese.
Fonte: legambiente.it
Rifiuti. Deposito incontrollato e soggetti responsabili.
Cass. Sez. III n. 15405 del 13 aprile 2016 (Ud 27 gen 2016)Pres. Fiale Est. Mocci Ric.
Oggiano
Il reato di deposito incontrollato di rifiuti, previsto dall'art. 256, comma secondo,
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile non soltanto in capo ai titolari di imprese
ed ai responsabili di enti che effettuano una delle attività indicate al comma primo
della richiamata disposizione (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento,
commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione,
iscrizione o comunicazione), ma anche nei confronti di qualsiasi impresa avente le
caratteristiche di cui all'art. 2082 cod. civ., o di ente, con personalità giuridica o
operante di fatto.
Fonte: lexambiente.it
Beni ambientali. Esercizio cava in zona vincolata.
Tribunale di Lanciano, sent. 4 aprile 2016 Pres., est. Belli.Non sussiste il reato di cui
all’art. 181 d.lgs. n. 42/2004, come sanzionato dall'art. 44 lett. c) D.P.R. n.380/2001,
per aver eseguito lavori di coltivazione in una cava alla scadenza del termine
quinquennale dell’autorizzazione paesaggistica qualora la legge regionale (nella
specie la Regione Abruzzo) consideri l’autorizzazione valida per tutto il periodo di
durata della concessione...
6. MASSIME
1. Non sussiste il reato di cui all’art. 181 d.lgs. n. 42/2004, come sanzionato dall'art. 44
lett. c) D.P.R. n.380/2001, per aver eseguito lavori di coltivazione in una cava alla
scadenza del termine quinquennale dell’autorizzazione paesaggistica qualora la
legge regionale (nella specie la Regione Abruzzo) consideri l’autorizzazione valida
per tutto il periodo di durata della concessione.
2. Sussiste il reato previsto di cui all'art. 181 d.lgs. n. 4212004, come sanzionato dall'art.
44, lett. c), D.P.R. n.380/2001, per aver eseguito, in zona sottoposta a vincolo
paesaggistico, in difformità dalla prescritta autorizzazione paesaggistica, qualora
non siano rispettate le prescrizioni contenute nella concessione ovvero
nell’autorizzazione paesaggistica (nella specie, in presenza di concessione
all’attività estrattiva rilasciata per “recupero ambientale”: a) non venivano forniti
periodicamente al servizio di sviluppo attività estrattive e minerari i dati statistici
relativi all'attività estrattiva; b) non venivano rispettate le modalità della sistemazione
ambientale durante l'escavazione, eseguendo scavi di lotti successivi senza prima
procedere alla sistemazione prevista per il lotto precedente di cui era stato
completato lo scavo)
3. Sussiste il reato di cui all’art. 734 c.p. nel caso concessione all’attività estrattiva in
zona vincolata rilasciata col fine primario del ripristino ambientale qualora sia stata
realizzata una mera attività di estrazione del materiale lapideo, senza procedere in
alcun modo ad eseguire il benché minimo intervento di ripristino ambientale, pur
espressamente previsto nel progetto approvato. La realizzazione di un’attività di
cava, consistente in lavori di preparazione del terreno mediante estirpazione di
alberi e piante, di scavo del materiale roccioso anche mediante il ricorso
all’esplosivo, di sbancamento e di successivo riempimento, con formazione di
cumuli in continua espansione volumetrica, pur formalmente autorizzata ma
compiuta in difformità con quanto assentito, lede in concreto il bene ambientale
tutelato dall’art. 734 c.p.
4. Sussiste il reato di cui di truffa aggravata ai danni di Ente pubblico qualora sia
stata estratta una quantità di materiale lapideo superiore a quello dichiarato (pari al
minimo stabilito dalla concessione con corrispettivo pagato annualmente, senza
verifica da parte del Comune), potendo desumersi la prova dell’effettiva quantità
7. scavata da consulenza tecnica fondata sulla realizzazione di modelli tridimensionali
dello stato dei luoghi elaborati con riferimento a punti fissi non modificati negli anni. Il
profitto del reato va sequestrato e confiscato ai sensi degli artt. 240, 322-ter e 640
quater c.p.
5. Va dichiarata la responsabilità amministrativa degli enti, prevista dal d.lgs. n.
231/2001, nel caso di condanna del legale rappresentante della società titolare
della concessione all’attività estrattiva di cava per il reato di truffa aggravata in
danno dello Stato o di altro ente pubblico (art. 24 d.lgs. cit.), sempre che sia provata
l’esistenza di un rapporto di carattere organico con la persona fisica autore
dell’illecito penale e che questo sia stato commesso al fine di garantire un interesse
illecito o un vantaggio a favore dell’ente (Il Tribunale ha ritenuto che il legale
rappresentante della Società avesse perseguito ed ottenuto, a seguito del
compimento delle condotte fraudolente contestate nella qualità di legale
rappresentante p. t. della società, un interesse proprio della società e non personale
dell’agente, conseguendo il vantaggio economico costituito dalle rilevanti somme
di denaro dovute e non versate al Comune; risultava provata la completa
immedesimazione organica fra il soggetto agente e l’illecito penale commesso,
costituente non un fatto isolato o fortuito del quale la società avesse tratto
incidentalmente un vantaggio, bensì un fatto proprio di quest’ultima, attribuibile e
riconducibile direttamente alla volontà della persona giuridica, che dev’essere
quindi chiamata a risponderne in via amministrativa).
6. Vanno dichiarati prescritti gli illeciti amministrativi previsti dal d.lgs. n.
231/2001commessi oltre il termine di cinque anni dalla data di consumazione del
reato, sempre che non sia intervenuta interruzione con la richiesta di rinvio a giudizio
della persona giuridica.
Fonte: lexambiente.it