Questo report è stato prodotto da NUS Consulting Group e ha scopo solamente informativo. Le previsioni economiche e di mercato e dei prezzi contenute nel documento sono basate su nostre valutazioni alla data del presente documento e sono soggette a cambiamenti senza preavviso. Nessuna parte di questo documento può essere copiata, duplicata o distribuita senza un consenso scritto da parte di Nus Consulting Group.
Report sui mercati energetici europei - 25 Agosto 2014
Il cosidetto rimbalzo del gatto morto
1. Via Melchiorre Gioia n° 168
20125 Milano
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contenute nel documento sono basate su nostre valutazioni alla data del presente documento e sono soggette a cambiamenti senza preavviso.
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News Flash
Il cosidetto “Rimbalzo del gatto morto”
09 ottobre 2015
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Durante il periodo estivo i prezzi del petrolio sono diminuiti costantemente raggiungendo i loro minimi in
agosto: $38.50/barile per il WTI e $43.5/barile per il Brent. Il calo dei prezzi è stato causato innanzitutto
dalla presa di coscienza da parte del mercato dell’eccesso di offerta presente rispetto alla domanda (pari
a circa da 1.5 a 2.5 mbp/g) e dal fatto che nessuno dei principali fornitori internazionali (Stati Uniti, Russia,
o Arabia Saudita) aveva intenzione di tagliare la produzione. I prezzi si sono ripresi bruscamente all’inizio
di settembre e, fino ad ora, si sono mossi in un range abbastanza ristretto: il WTI fra i $44-$47 al barile e
il Brent fra i $47-$50 al barile. Il primo elemento catalizzatore di questa ripresa sono stati i dati del
Dipartimento Americano per l’Energia (EIA) che mostravano come la produzione petrolifera avesse toccato
il suo picco per poi iniziare a diminuire. Alcuni giorni fa i prezzi benchmark hanno superato i range sopra
menzionati a causa dell’intervento dell’esercito russo (sia per via aeree sia per via navale) nel conflitto
siriano. Ora con i prezzi del petrolio del 25% superiori rispetto ai minimi recenti, ci si chiede sempre più
spesso se questa recente ripresa sia sostenibile o sia una situazione temporanea causata dagli speculatori
che cercano di coprire le loro posizioni corte.
Più in generale ci si sta chiedendo se si tratta del cosiddetto “dead cat bounce” che tradotto in italiano
significherebbe “il rimbalzo del gatto morto” che è una frase che circola negli ambienti di trading da diversi
anni che indica un rimbalzo tecnico che non interrompe la tendenza ribassista primaria, è un rimbalzo che
va sempre contestualizzato e che potrebbe anche essere esteso e violento ma sempre frazionale rispetto
al movimento che l'ha generato.
Nell’ultima settimana non è cambiato molto sui mercati per quanto riguarda i fondamentali. È vero che la
produzione petrolifera USA ha subito un calo marginale, scendendo dal picco di 9.61 all’inizio di giugno
ad un minimo di 9.09 nell’ultima settimana di settembre. Tuttavia i dati sono risultati inaffidabili e, a nostro
avviso, inconcludenti. Infatti ieri la EIA ha pubblicato i dati produttivi relativi alla prima settimana di ottobre
e la produzione è aumentata di 76.000 bp/g fino a 9.17 mbp/g. Inoltre, nonostante il modesto recente
declino della produzione statunitense, le scorte USA continuano ad aumentare. Lungo la prima settimana
di ottobre le scorte petrolifere commerciali USA si sono attestate a 461 milioni di barili, circa 100 milioni di
barili al di sopra del livello dello scorso anno, quantità mai viste in 80 anni di registrazioni.
Osservando il mercato al di fuori degli Stati Uniti, i fondamentali sono altrettanto ribassisti. Secondo i report
recenti la produzione petrolifera russa a settembre ha toccato i 10.74 mbp/g (un nuovo record dell’era
post-sovietica) e l’Arabia Saudita ha continuato a pompare petrolio in eccesso per 10 mbp/g
(probabilmente mantenendosi stabile a 10.3 mbp/g) a settembre. Non solo, anche altri player importanti
hanno aumentato la loro produzione (per esempio la produzione irachena è aumentata di circa 3.0 mbp/g
nel 2014 a 4.0 mbp/g negli ultimi mesi) o intendono farlo (per esempio l’Iran ha in programma di
aumentare la produzione e vendere le scorte di petrolio grazie all’annullamento delle sanzioni a seguito
dell’accordo sul nucleare stretto con le P5+1). In base a quanto detto finora è chiaro che i mercati mondiali
(che affrontano in generale una crescita economica lenta o in rallentamento) restano fisicamente sovra
forniti e questa situazione continuerà nel futuro prossimo.
Sembra che il recente aumento dei prezzi dell’energia sia stato guidato da un insieme di fattori. In primo
luogo la convinzione che la produzione di petrolio shale dovrà diminuire significativamente nei prossimi
mesi. Questa teoria si basa su questo ragionamento: i finanziamenti per le società produttrici di petrolio
shale stanno rapidamente azzerandosi portando un crollo significativo del numero dei pozzi operativi e,
di conseguenza, la diminuzione materiale della produzione è dietro l’angolo. Quanto detto finora è vero,
tuttavia il risultato previsto è tutt’altro che scontato. È evidente che gli elevati livelli produttivi dell’OPEC (e
della Russia) stiano saturando il mercato, portando un calo dei prezzi e sottoponendo le società
indipendenti USA produttrici di shale ad una fortissima pressione. Non è chiaro però che i produttori
indipendenti statunitensi di shale andranno semplicemente in bancarotta. È però altresì probabile che altri
operatori più grandi e meglio finanziati (come le major integrate) potrebbero sfruttare questa opportunità
per acquisire i produttori shale più piccoli (o meno capitalizzati) ad un prezzo decisamente basso.
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Inoltre diversi produttori USA di shale hanno profondamente ristrutturato i loro costi e continuato a
implementare nuove e migliori tecnologie per il fracking, abbassando i loro punti di pareggio e quindi
potenzialmente attrezzandosi per resistere alla tempesta in corso. Noi crediamo che i livelli produttivi di
shale USA scenderanno ma che questa diminuzione sarà probabilmente meno vistosa rispetto a quanto
previsto sui mercati.
Inoltre qualsiasi diminuzione della produzione USA nei prossimi mesi probabilmente sarebbe compensata
da altri produttori internazionali (come l’Iran) e avrebbe vita breve poiché i produttori shale USA possono
riattivare i pozzi in pochi mesi.
Il secondo tema importante è l’aumento del rischio geopolitico che si è inasprito nelle ultime settimane,
incrementando così il rischio di una potenziale interruzione produttiva. Questo cambiamento deve essere
rispecchiato dai prezzi del petrolio. Alcune volte abbiamo affermato che i mercati energetici globali
soffrono di una forma di deficit dell’attenzione. In breve, l’incapacità di concentrarsi su più di un tema alla
volta. Per anni abbiamo evidenziato la presenza di diverse e continue tensioni geopolitiche provenienti
soprattutto dal Medio Oriente: la guerra fra Libia e Siria, la crescita e l’espansione dell’ISIS, il conflitto in
Yemen, etc. Tutte queste problematiche sono esistite per un lungo tempo, tuttavia nessuna di queste ha
avuto un impatto concreto (per esempio un’interruzione) sulla fornitura di petrolio verso i mercati
internazionali. Quello che recentemente ha catturato l’attenzione dei mercati è stato però l’intervento
diretto della Russia nel conflitto siriano in corso. Il conflitto in Siria è una problematica immensamente
complicata che vede contrapposti il regime di Assad (Sciiti) contro i ribelli siriani (principalmente sunniti) e
l’ISIS (sunniti). In breve gli USA e l’Unione Europea hanno supportato i ribelli con l’obiettivo di rimuovere
Assad e umiliare l’ISIS; mentre l’Iran ha supportato Assad con l’obiettivo di mantenere il Governo e umiliare
l’ISIS. Questo era lo status quo prima che la Russia intervenisse con le sue forze aeree e navali iniziando a
bombardare e ad attaccare il Paese con i missili, presumibilmente colpendo sia i ribelli sia l’ISIS. L’obiettivo
russo sembrerebbe quello di supportare e mantenere la sua alleanza con Assad oltre a proteggere le sue
strutture militari in quell’area: il porto navale di Tartus (l’unico porto russo nel mediterraneo). Sebbene
l’intervento russo si sommi ad una situazione già complicata, non sembra (almeno finora) che la Russia
intenda fare un’incursione su vasta scala a supporto di Assad. Sembra più probabile che il ruolo russo si
limiterà ad interventi aerei e navali per far pendere la bilancia in favore di Assad e portare alla negoziazione
di una soluzione politica o ad uno stallo militare accettabile. Sebbene avere gli eserciti di Russia, USA e UE
in una zona così vicina sia motivo di preoccupazione, tuttavia sembra che le parti stiano cooperando a
livello militare per evitare un evento indesiderato a livello internazionale. La Siria non è un produttore di
petrolio, la sua rilevanza per i mercati energetici non è legata al conflitto interno quanto piuttosto al rischio
di “contagio” per le zone limitrofe.
In base a quanto detto sinora, a nostro avviso, la ripresa dei prezzi petroliferi non è una condizione
sostenibile rispetto al recente trend ribassista ma solo uno slancio temporaneo legato alla necessità degli
speculatori di coprire le loro posizioni corte seguendo le notizie considerate di supporto al mercato.
Concentrandosi esclusivamente sui fondamentali, il mercato continua ad avere offerta in eccesso e le
scorte petrolifere nel mondo hanno raggiunto picchi storici. Inoltre l’attività economica globale sia nei
mercati sviluppati sia in quelli emergenti è ancora al di sotto delle previsioni e questo implica che la
domanda continuerà ad essere sottotono e incapace di bilanciare gli attuali livelli dell’offerta.
Noi continuiamo a credere che le tensioni geopolitiche, soprattutto in Medio Oriente, siano un fattore di
rischio per i mercati. Tuttavia è importante sottolineare che la maggior parte di questi rischi sono presenti
sul mercato dall’inizio della primavera araba (2011). Il recente arrivo delle forze russe in Siria è motivo di
preoccupazione per i mercati energetici non perché abbia aggravato le tensioni del conflitto siriano ma
perché potrebbe contagiare un’area più ampia e quindi le zone limitrofe.