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Il punto di vista di
Neil Dwane su...
“La questione petrolio”
Ottobre 2015
Se pensiamo ai numerosi movimenti di mercato degli ultimi
due anni, il crollo del prezzo del petrolio è stato senza dubbio
uno dei più rilevanti. Il prezzo del barile ha perso più del 50
per cento, nonostante i conflitti in Africa e Medio Oriente,
dalla Libia al “Syraq”, che in condizioni normali lo avrebbero
fatto salire per effetto di un aumento del premio al rischio. In
occasione del nostro recente Investment Forum, Allianz
Global Investors ha esaminato con attenzione le dinamiche e
le politiche del settore petrolifero, giungendo alla conclusione
che, nonostante la prognosi sul prezzo del petrolio sia incerta,
così come per qualsiasi valuta o materia prima, l’outlook per
le principali compagnie petrolifere appare decisamente
favorevole.
La domanda
Negli ultimi decenni la domanda mondiale di petrolio ha
evidenziato un trend di leggera crescita: a livello globale
infatti il calo dei consumi legato alle maggiori efficienze dei
trasporti su strada, via mare e via aerea, è stato infatti
compensato dall’esplosione dei consumi nei mercati
emergenti. L’attuale domanda mondiale è pari a circa 93
milioni di barili al giorno, mentre il settore petrolifero deve
aggiungere ogni anno l’equivalente di circa 6 milioni di barili
al giorno per compensare i cali di produzione dei giacimenti
esistenti.
La domanda a livello globale ha subito una contrazione nel
2014, soprattutto in Asia: l’inizio della correzione del prezzo
del greggio, erroneamente attribuito alla guerra dichiarata
dall’Arabia Saudita allo “shale oil” USA, in realtà è stato
provocato dal rallentamento della domanda. Gli economisti
si aspettavano quindi che con il raggiungimento di livelli di
prezzo più bassi, anche in Europa dove le accise incidono
maggiormente sui costi totali, la domanda sarebbe stata
elastica e quindi avrebbe registrato un incremento.
In effetti da allora la domanda è aumentata, superando
addirittura le previsioni degli economisti nonostante il
rallentamento della Cina. Ciò è riconducibile soprattutto al
forte aumento proveniente dagli Stati Uniti, ai primi segnali di
crescita in Europa e al continuo incremento dei consumi di
petrolio nei mercati emergenti.
Tuttavia, i proventi inattesi legati al basso prezzo del petrolio
sembrano essere stati accantonati piuttosto che spesi,
contenendo le prospettive dello scenario economico.
L’offerta
L’offerta mondiale di petrolio è da sempre il risultato di un
delicato equilibrio tra la produzione dei Paesi appartenenti
all’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), la
produzione russa e quella di altre nazioni minori, a cui va
Agnostici sul petrolio, positivi sulle azioni delle “Big Oil”
Documento illustrativo di approfondimento che non costituisce offerta al
pubblico di prodotti/servizi finanziari.
aggiunta la produzione delle grandi multinazionali
petrolifere (Royal Dutch Shell, per esempio, è al 27° posto tra
i “Paesi” produttori di petrolio al mondo, mentre Exxon al
29°). L’OPEC, cui storicamente appartiene anche l’Arabia
Saudita, in passato ha svolto il ruolo di “swing producer”,
tagliando o aumentando la produzione con l’obiettivo di
bilanciare domanda e offerta nel mercato e quindi di
stabilizzare i prezzi (fatta eccezione per i due shock
petroliferi negli anni 70-80).
Negli anni 2000 la crescita della domanda proveniente
dall’Asia ha fatto salire il prezzo del petrolio, stimolando gli
investimenti e l’attività di esplorazione in tutto il mondo,
anche nel comparto delle sabbie bituminose.
I bassi tassi di interesse a livello globale hanno inoltre
consentito alle compagnie petrolifere, di grandi e piccole
dimensioni, di disporre del capitale azionario e di debito per
finanziare questi investimenti. Poiché il petrolio più
facilmente accessibile (easy oil) è già stato trovato, sempre
più spesso queste società hanno dovuto esplorare acque più
profonde e aree più ostili come l’Artico. Il disastro della BP nel
Golfo del Messico ha evidenziato le difficoltà di questa
situazione, oltre ad aver generato costi enormi per gestire le
conseguenze e evitare nuovi incidenti.
Nel 2014, quando la domanda (e quindi il prezzo) del
petrolio sono rapidamente diminuiti, i mercati si aspettavano
dei tagli nella produzione, soprattutto da parte dell’OPEC, ma
ciò non si è verificato. Oggi risulta chiaro che l’Arabia Saudita
era a conoscenza di stare perdendo quote di mercato e che
Iraq e Iran avrebbero aumentato le quote prodotte,
soprattutto alla luce dei positivi negoziati tra Stati Uniti e Iran
sul programma nucleare iraniano. Nonostante molti altri
produttori – dall’Angola al Venezuela – stessero riducendo
l’offerta, l'Arabia Saudita decise invece di aumentare la
produzione in un mercato dove la domanda era già debole,
con l’effetto di spingere i prezzi ancora più in basso.
In questo scenario si inserisce la storia di un incredibile
successo americano. Negli Stati Uniti la produzione di shale
oil (olio di scisto) è aumentata moltissimo negli ultimi dieci
anni, grazie ai progressi tecnologici e alla disponibilità di
capitale a basso costo, che hanno favorito la rinascita
dell’industria petrolifera americana, riportando la produzione
statunitense ai livelli degli anni Settanta.
In una prospettiva globale, la crescita della produzione USA è
stata inoltre il vero e proprio “driver” dell’offerta di petrolio
negli ultimi cinque anni, quando il resto dell’industria
petrolifera faceva fatica a trovare o portare a termine nuovi
progetti, per esempio il gigantesco giacimento Kashagan in
Kazakstan. Grazie al facile accesso al credito gli Stati Uniti
hanno registrato un boom degli investimenti e si è diffusa
l'idea che il Paese potesse addirittura diventare un
esportatore di petrolio.
Negli ultimi anni quindi l’aumento della produzione negli
Stati Uniti e in Arabia Saudita ha quindi colmato il gap
produttivo legato all’esaurimento dei giacimenti esistenti.
Investimenti e spese in conto capitale (capex)
Negli ultimi dieci anni il capex dell’industria mineraria e
petrolifera ha registrato un boom a seguito della crescita
vertiginosa dell'economia cinese. Sono stati pianificati
progetti sempre più imponenti grazie alle condizioni di
credito favorevoli e alle aspettative elevate: gli investimenti
nel settore delle risorse naturali sono arrivati a rappresentare
il 60% del totale delle spese in conto capitale globali, con
effetti importanti per numerose economie, dal Brasile
all’Australia.
La battuta d’arresto subita dai prezzi di tutte le commodity
ha messo in discussione le decisioni di aumentare gli
investimenti e l’offerta, e la necessità di cambiamenti
strategici da parte delle aziende, dato che i cashflow non
saranno più elevati come previsto. Questi sviluppi hanno, e
continueranno ad avere, importanti implicazioni per le
economie emergenti legate alle materie prime, che hanno
fortemente beneficiato del boom cinese. Un esempio
eclatante è il Brasile, che attualmente sta affondando in una
grave recessione, colpito dagli scandali della corruzione e
penalizzato dalle deboli finanze pubbliche e dall’aumento
dell’inflazione provocato dalla debolezza della valuta.
È nostra convinzione che la situazione del petrolio sia
attualmente molto diversa rispetto a quella della maggior
parte delle altre materie prime industriali: a differenza ad
esempio di carbone e ferro, che saranno sempre
caratterizzate da forti eccessi di capacità produttiva, per il
petrolio potranno sempre verificarsi riduzioni dell’offerta.
La reazione delle aziende
Le società minerarie e petrolifere hanno reagito in modo
simile, tagliando gli investimenti fissi, riducendo
aggressivamente i costi operativi e bloccando quasi del tutto
le nuove attività di esplorazione – cosa che attualmente, a
causa del crollo delle entrate dello Stato, stanno facendo
persino le compagnie petrolifere nazionali dei Paesi
dell'OPEC, compresa l’Arabia Saudita.
Ovviamente i tagli aggressivi nelle spese per investimenti
hanno impattato negativamente sulle prospettive delle
società di servizi petroliferi (oil services), che in molti casi
hanno visto scendere le proprie quotazioni in Borsa. Si sono
verificati diversi casi di insolvenza e di consolidamento, con
una riduzione dei posti di lavoro e una recessione
dell'industria dell'indotto che si ripercuote a livello
economico più ampio.
Le riduzioni nella spesa per investimenti incidono quindi
sulla quantità di petrolio che potrà essere immessa sul
mercato in futuro.
Il calo dei prezzi del greggio sta iniziando ad intaccare la
volontà dei mercati dei capitali di finanziare lo shale oil USA,
con notevoli conseguenze sui livelli di produzione. Questo
perché, molto semplicemente, i pozzi di shale oil hanno tassi
di declino particolarmente elevati nel primo anno di
produzione (dieci volte superiori alla media globale). Di
conseguenza se si smette di trivellare, dopo un certo period
di tempo la produzione inizierà a diminuire… e a quanto
pare siamo già arrivati a questo punto.
I titoli azionari delle “Big Oil”
Se la crescita globale è modesta e l’offerta è elevata, perché
la nostra opinione sui titoli del settore sta diventando
positiva? I titoli delle “Big Oil”, le maggiori compagnie
petrolifere, offrono già dividendi superiori al 6% e hanno
nettamente sottoperformato i mercati azionari durante la
fase di discesa del prezzo del petrolio, nonostante gli
investitori in obbligazioni ritengano che i loro titoli siano
“soldi sicuri”. Le principali società del settore hanno reagito
tagliando sia le spese in conto capitale che le spese
operative; è importante evidenziare che i loro dividendi
attualmente rappresentano solo il 20% dei rispettivi cashflow
(stimati sulla base dei prezzi del petrolio nel breve termine).
La riduzione dei costi interessa tutto il settore e siamo
convinti che queste società, se necessario, abbiano la
possibilità di effettuare ulteriori tagli: gli investitori
dovrebbero pertanto rimanere fiduciosi che il loro reddito da
dividendi potrà essere mantenuto, fattore sicuramente
positivo nel contesto attuale di rendimenti molto bassi.
Il ritorno per gli azionisti rappresenta un obiettivo
fondamentale per il management di queste società, che, al
contrario delle compagnie minerarie, hanno ancora molte
leve da utilizzare per tutelare gli azionisti.
Le azioni* delle “Big Oil” sono convenienti, hanno
sottoperformato, offrono rendimenti elevati e sono destinate
a beneficiare sia della riduzione delle spese per investimenti,
che nel 2016/2017 determinerà un gap dell’offerta e quindi
un aumento dei prezzi del petrolio, sia della continua crescita
della domanda globale di petrolio, che metterà sotto
pressione l’equilibrio tra domanda e offerta nel mercato.
Poiché il nostro obiettivo è cercare rendimento per i nostri
clienti, è opportuno anche notare che, dal punto di vista della
gestione del rischio, le azioni delle compagnie petrolifere
rappresentano anche una copertura a livello geopolitico
contro un possibile peggioramento della situazione in Medio
Oriente.
Neil Dwane
Global Strategist Allianz Global Investors
(*) Non si intende raccomandare o sollecitare l'acquisto o la vendita di alcun titolo specifico.
Understand. Act.
“Tutto parte dall’ascolto del cliente. Un ascolto molto
attento. Una profonda comprensione di ogni cliente è il
primo passo per sviluppare ed applicare una strategia
di investimento”.
Elizabeth Corley
Global CEO, Allianz Global Investors
“Understand. Act.” è il nostro motto e con questa
chiara filosofia i nostri team di gestione si distinguono
con spirito imprenditoriale e con conoscenza profonda
e capillare dei mercati nei quali investono. Gestiscono i
portafogli con l’obiettivo di produrre performance
solide e durature nel tempo, attraverso un processo
d’investimento disciplinato e strutturato e con un
solido approccio di gestione del rischio. I nostri gestori
attribuiscono un’importanza fondamentale al valore
della ricerca ed alla condivisione del capitale
intellettuale. Oltre alla ricerca fondamentale, ci
avvaliamo di GrassrootsSM
Research1
che con il lavoro
di oltre 60 giornalisti e 300 ricercatori sul campo, ogni
anno conduce più di 350 studi aziendali e di settore.
Grazie a più di 540 professionisti degli investimenti e
una piattaforma di investimento integrata, Allianz
Global Investors - divisione di asset management di
Allianz SE - copre tutti i principali centri finanziari e i
mercati in crescita e gestisce un patrimonio di oltre
4462
miliardi di Euro. I team AllianzGI operano su 18
mercati su scala mondiale e le competenze globali
vengono offerte attraverso i team locali per offrire
un’assistenza eccellente.
La filosofia di investimento di AllianzGI ha l’obiettivo di
aiutare i nostri clienti a raggiungere i propri obiettivi di
investimento. Usiamo la nostra capacità di
comprensione per collaborare, da partner di fiducia,
con i nostri clienti per fornire performance di successo.
“Understand. Act.”
1
Grassroots SM
Research è una divisione nell’ambito di Allianz global Investors.
2
Dati al 31 giugno 2015.
L’investimento implica dei rischi. Il valore di un investimento e il reddito che ne deriva possono aumentare così come diminuire e, al momento del rimborso, l’investitore po-
trebbe non ricevere l’importo originariamente investito.
I rendimenti passati non sono indicativi dei quelli futuri. Se la valuta in cui sono espressi i rendimenti passati differisce dalla valuta del paese di residenza dell'investitore, quest'ultimo
potrebbe essere penalizzato dalle fluttuazioni dei tassi di cambio fra la propria valuta e quella di denominazione dei rendimenti al momento di un'eventuale conversione.
Le informazioni e le opinioni espresse nel presente documento, soggette a variare senza preavviso nel tempo, sono quelle della società che lo ha redatto o delle società collegate, al momento
della redazione del documento medesimo. I dati contenuti nel presente documento derivano da fonti che si presumono corrette e attendibili ma non sono state verificate da terze parti
indipendenti. Per questo motivo l’accuratezza e la completezza di tali dati non sono garantite e nessuna responsabilità è assunta circa eventuali danni o perdite derivanti dall’uso delle in-
formazioni fornite. Si applicano con prevalenza le condizioni di un'eventuale offerta o contratto che sia stato o che sarà stipulato o sottoscritto.
Il presente documento è una comunicazione di marketing emessa da Allianz Global Investors GmbH, www.allianzgi.com, una società di gestione a responsabilità limitata di diritto tedesco,
con sede legale in Bockenheimer Landstrasse 42-44, 60323 Francoforte sul Meno, iscritta al Registro Commerciale presso la Corte di Francoforte sul Meno col numero HRB 9340, autorizzata
dalla Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht (www.bafin.de). Allianz Global Investors GmbH ha stabilito una succursale in Italia, Allianz Global Investors GmbH, Succursale in Italia,
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  • 1. Il punto di vista di Neil Dwane su... “La questione petrolio” Ottobre 2015 Se pensiamo ai numerosi movimenti di mercato degli ultimi due anni, il crollo del prezzo del petrolio è stato senza dubbio uno dei più rilevanti. Il prezzo del barile ha perso più del 50 per cento, nonostante i conflitti in Africa e Medio Oriente, dalla Libia al “Syraq”, che in condizioni normali lo avrebbero fatto salire per effetto di un aumento del premio al rischio. In occasione del nostro recente Investment Forum, Allianz Global Investors ha esaminato con attenzione le dinamiche e le politiche del settore petrolifero, giungendo alla conclusione che, nonostante la prognosi sul prezzo del petrolio sia incerta, così come per qualsiasi valuta o materia prima, l’outlook per le principali compagnie petrolifere appare decisamente favorevole. La domanda Negli ultimi decenni la domanda mondiale di petrolio ha evidenziato un trend di leggera crescita: a livello globale infatti il calo dei consumi legato alle maggiori efficienze dei trasporti su strada, via mare e via aerea, è stato infatti compensato dall’esplosione dei consumi nei mercati emergenti. L’attuale domanda mondiale è pari a circa 93 milioni di barili al giorno, mentre il settore petrolifero deve aggiungere ogni anno l’equivalente di circa 6 milioni di barili al giorno per compensare i cali di produzione dei giacimenti esistenti. La domanda a livello globale ha subito una contrazione nel 2014, soprattutto in Asia: l’inizio della correzione del prezzo del greggio, erroneamente attribuito alla guerra dichiarata dall’Arabia Saudita allo “shale oil” USA, in realtà è stato provocato dal rallentamento della domanda. Gli economisti si aspettavano quindi che con il raggiungimento di livelli di prezzo più bassi, anche in Europa dove le accise incidono maggiormente sui costi totali, la domanda sarebbe stata elastica e quindi avrebbe registrato un incremento. In effetti da allora la domanda è aumentata, superando addirittura le previsioni degli economisti nonostante il rallentamento della Cina. Ciò è riconducibile soprattutto al forte aumento proveniente dagli Stati Uniti, ai primi segnali di crescita in Europa e al continuo incremento dei consumi di petrolio nei mercati emergenti. Tuttavia, i proventi inattesi legati al basso prezzo del petrolio sembrano essere stati accantonati piuttosto che spesi, contenendo le prospettive dello scenario economico. L’offerta L’offerta mondiale di petrolio è da sempre il risultato di un delicato equilibrio tra la produzione dei Paesi appartenenti all’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), la produzione russa e quella di altre nazioni minori, a cui va Agnostici sul petrolio, positivi sulle azioni delle “Big Oil” Documento illustrativo di approfondimento che non costituisce offerta al pubblico di prodotti/servizi finanziari.
  • 2. aggiunta la produzione delle grandi multinazionali petrolifere (Royal Dutch Shell, per esempio, è al 27° posto tra i “Paesi” produttori di petrolio al mondo, mentre Exxon al 29°). L’OPEC, cui storicamente appartiene anche l’Arabia Saudita, in passato ha svolto il ruolo di “swing producer”, tagliando o aumentando la produzione con l’obiettivo di bilanciare domanda e offerta nel mercato e quindi di stabilizzare i prezzi (fatta eccezione per i due shock petroliferi negli anni 70-80). Negli anni 2000 la crescita della domanda proveniente dall’Asia ha fatto salire il prezzo del petrolio, stimolando gli investimenti e l’attività di esplorazione in tutto il mondo, anche nel comparto delle sabbie bituminose. I bassi tassi di interesse a livello globale hanno inoltre consentito alle compagnie petrolifere, di grandi e piccole dimensioni, di disporre del capitale azionario e di debito per finanziare questi investimenti. Poiché il petrolio più facilmente accessibile (easy oil) è già stato trovato, sempre più spesso queste società hanno dovuto esplorare acque più profonde e aree più ostili come l’Artico. Il disastro della BP nel Golfo del Messico ha evidenziato le difficoltà di questa situazione, oltre ad aver generato costi enormi per gestire le conseguenze e evitare nuovi incidenti. Nel 2014, quando la domanda (e quindi il prezzo) del petrolio sono rapidamente diminuiti, i mercati si aspettavano dei tagli nella produzione, soprattutto da parte dell’OPEC, ma ciò non si è verificato. Oggi risulta chiaro che l’Arabia Saudita era a conoscenza di stare perdendo quote di mercato e che Iraq e Iran avrebbero aumentato le quote prodotte, soprattutto alla luce dei positivi negoziati tra Stati Uniti e Iran sul programma nucleare iraniano. Nonostante molti altri produttori – dall’Angola al Venezuela – stessero riducendo l’offerta, l'Arabia Saudita decise invece di aumentare la produzione in un mercato dove la domanda era già debole, con l’effetto di spingere i prezzi ancora più in basso. In questo scenario si inserisce la storia di un incredibile successo americano. Negli Stati Uniti la produzione di shale oil (olio di scisto) è aumentata moltissimo negli ultimi dieci anni, grazie ai progressi tecnologici e alla disponibilità di capitale a basso costo, che hanno favorito la rinascita dell’industria petrolifera americana, riportando la produzione statunitense ai livelli degli anni Settanta. In una prospettiva globale, la crescita della produzione USA è stata inoltre il vero e proprio “driver” dell’offerta di petrolio negli ultimi cinque anni, quando il resto dell’industria petrolifera faceva fatica a trovare o portare a termine nuovi progetti, per esempio il gigantesco giacimento Kashagan in Kazakstan. Grazie al facile accesso al credito gli Stati Uniti hanno registrato un boom degli investimenti e si è diffusa l'idea che il Paese potesse addirittura diventare un esportatore di petrolio. Negli ultimi anni quindi l’aumento della produzione negli Stati Uniti e in Arabia Saudita ha quindi colmato il gap produttivo legato all’esaurimento dei giacimenti esistenti. Investimenti e spese in conto capitale (capex) Negli ultimi dieci anni il capex dell’industria mineraria e petrolifera ha registrato un boom a seguito della crescita vertiginosa dell'economia cinese. Sono stati pianificati progetti sempre più imponenti grazie alle condizioni di credito favorevoli e alle aspettative elevate: gli investimenti nel settore delle risorse naturali sono arrivati a rappresentare il 60% del totale delle spese in conto capitale globali, con effetti importanti per numerose economie, dal Brasile all’Australia. La battuta d’arresto subita dai prezzi di tutte le commodity ha messo in discussione le decisioni di aumentare gli investimenti e l’offerta, e la necessità di cambiamenti strategici da parte delle aziende, dato che i cashflow non saranno più elevati come previsto. Questi sviluppi hanno, e continueranno ad avere, importanti implicazioni per le economie emergenti legate alle materie prime, che hanno fortemente beneficiato del boom cinese. Un esempio eclatante è il Brasile, che attualmente sta affondando in una grave recessione, colpito dagli scandali della corruzione e penalizzato dalle deboli finanze pubbliche e dall’aumento dell’inflazione provocato dalla debolezza della valuta. È nostra convinzione che la situazione del petrolio sia attualmente molto diversa rispetto a quella della maggior parte delle altre materie prime industriali: a differenza ad esempio di carbone e ferro, che saranno sempre caratterizzate da forti eccessi di capacità produttiva, per il petrolio potranno sempre verificarsi riduzioni dell’offerta. La reazione delle aziende Le società minerarie e petrolifere hanno reagito in modo simile, tagliando gli investimenti fissi, riducendo aggressivamente i costi operativi e bloccando quasi del tutto le nuove attività di esplorazione – cosa che attualmente, a causa del crollo delle entrate dello Stato, stanno facendo persino le compagnie petrolifere nazionali dei Paesi
  • 3. dell'OPEC, compresa l’Arabia Saudita. Ovviamente i tagli aggressivi nelle spese per investimenti hanno impattato negativamente sulle prospettive delle società di servizi petroliferi (oil services), che in molti casi hanno visto scendere le proprie quotazioni in Borsa. Si sono verificati diversi casi di insolvenza e di consolidamento, con una riduzione dei posti di lavoro e una recessione dell'industria dell'indotto che si ripercuote a livello economico più ampio. Le riduzioni nella spesa per investimenti incidono quindi sulla quantità di petrolio che potrà essere immessa sul mercato in futuro. Il calo dei prezzi del greggio sta iniziando ad intaccare la volontà dei mercati dei capitali di finanziare lo shale oil USA, con notevoli conseguenze sui livelli di produzione. Questo perché, molto semplicemente, i pozzi di shale oil hanno tassi di declino particolarmente elevati nel primo anno di produzione (dieci volte superiori alla media globale). Di conseguenza se si smette di trivellare, dopo un certo period di tempo la produzione inizierà a diminuire… e a quanto pare siamo già arrivati a questo punto. I titoli azionari delle “Big Oil” Se la crescita globale è modesta e l’offerta è elevata, perché la nostra opinione sui titoli del settore sta diventando positiva? I titoli delle “Big Oil”, le maggiori compagnie petrolifere, offrono già dividendi superiori al 6% e hanno nettamente sottoperformato i mercati azionari durante la fase di discesa del prezzo del petrolio, nonostante gli investitori in obbligazioni ritengano che i loro titoli siano “soldi sicuri”. Le principali società del settore hanno reagito tagliando sia le spese in conto capitale che le spese operative; è importante evidenziare che i loro dividendi attualmente rappresentano solo il 20% dei rispettivi cashflow (stimati sulla base dei prezzi del petrolio nel breve termine). La riduzione dei costi interessa tutto il settore e siamo convinti che queste società, se necessario, abbiano la possibilità di effettuare ulteriori tagli: gli investitori dovrebbero pertanto rimanere fiduciosi che il loro reddito da dividendi potrà essere mantenuto, fattore sicuramente positivo nel contesto attuale di rendimenti molto bassi. Il ritorno per gli azionisti rappresenta un obiettivo fondamentale per il management di queste società, che, al contrario delle compagnie minerarie, hanno ancora molte leve da utilizzare per tutelare gli azionisti. Le azioni* delle “Big Oil” sono convenienti, hanno sottoperformato, offrono rendimenti elevati e sono destinate a beneficiare sia della riduzione delle spese per investimenti, che nel 2016/2017 determinerà un gap dell’offerta e quindi un aumento dei prezzi del petrolio, sia della continua crescita della domanda globale di petrolio, che metterà sotto pressione l’equilibrio tra domanda e offerta nel mercato. Poiché il nostro obiettivo è cercare rendimento per i nostri clienti, è opportuno anche notare che, dal punto di vista della gestione del rischio, le azioni delle compagnie petrolifere rappresentano anche una copertura a livello geopolitico contro un possibile peggioramento della situazione in Medio Oriente. Neil Dwane Global Strategist Allianz Global Investors (*) Non si intende raccomandare o sollecitare l'acquisto o la vendita di alcun titolo specifico.
  • 4. Understand. Act. “Tutto parte dall’ascolto del cliente. Un ascolto molto attento. Una profonda comprensione di ogni cliente è il primo passo per sviluppare ed applicare una strategia di investimento”. Elizabeth Corley Global CEO, Allianz Global Investors “Understand. Act.” è il nostro motto e con questa chiara filosofia i nostri team di gestione si distinguono con spirito imprenditoriale e con conoscenza profonda e capillare dei mercati nei quali investono. Gestiscono i portafogli con l’obiettivo di produrre performance solide e durature nel tempo, attraverso un processo d’investimento disciplinato e strutturato e con un solido approccio di gestione del rischio. I nostri gestori attribuiscono un’importanza fondamentale al valore della ricerca ed alla condivisione del capitale intellettuale. Oltre alla ricerca fondamentale, ci avvaliamo di GrassrootsSM Research1 che con il lavoro di oltre 60 giornalisti e 300 ricercatori sul campo, ogni anno conduce più di 350 studi aziendali e di settore. Grazie a più di 540 professionisti degli investimenti e una piattaforma di investimento integrata, Allianz Global Investors - divisione di asset management di Allianz SE - copre tutti i principali centri finanziari e i mercati in crescita e gestisce un patrimonio di oltre 4462 miliardi di Euro. I team AllianzGI operano su 18 mercati su scala mondiale e le competenze globali vengono offerte attraverso i team locali per offrire un’assistenza eccellente. La filosofia di investimento di AllianzGI ha l’obiettivo di aiutare i nostri clienti a raggiungere i propri obiettivi di investimento. Usiamo la nostra capacità di comprensione per collaborare, da partner di fiducia, con i nostri clienti per fornire performance di successo. “Understand. Act.” 1 Grassroots SM Research è una divisione nell’ambito di Allianz global Investors. 2 Dati al 31 giugno 2015. L’investimento implica dei rischi. Il valore di un investimento e il reddito che ne deriva possono aumentare così come diminuire e, al momento del rimborso, l’investitore po- trebbe non ricevere l’importo originariamente investito. I rendimenti passati non sono indicativi dei quelli futuri. Se la valuta in cui sono espressi i rendimenti passati differisce dalla valuta del paese di residenza dell'investitore, quest'ultimo potrebbe essere penalizzato dalle fluttuazioni dei tassi di cambio fra la propria valuta e quella di denominazione dei rendimenti al momento di un'eventuale conversione. Le informazioni e le opinioni espresse nel presente documento, soggette a variare senza preavviso nel tempo, sono quelle della società che lo ha redatto o delle società collegate, al momento della redazione del documento medesimo. I dati contenuti nel presente documento derivano da fonti che si presumono corrette e attendibili ma non sono state verificate da terze parti indipendenti. Per questo motivo l’accuratezza e la completezza di tali dati non sono garantite e nessuna responsabilità è assunta circa eventuali danni o perdite derivanti dall’uso delle in- formazioni fornite. Si applicano con prevalenza le condizioni di un'eventuale offerta o contratto che sia stato o che sarà stipulato o sottoscritto. Il presente documento è una comunicazione di marketing emessa da Allianz Global Investors GmbH, www.allianzgi.com, una società di gestione a responsabilità limitata di diritto tedesco, con sede legale in Bockenheimer Landstrasse 42-44, 60323 Francoforte sul Meno, iscritta al Registro Commerciale presso la Corte di Francoforte sul Meno col numero HRB 9340, autorizzata dalla Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht (www.bafin.de). Allianz Global Investors GmbH ha stabilito una succursale in Italia, Allianz Global Investors GmbH, Succursale in Italia, via Durini 1, 20122 Milano, www.allianzglobalinvestors.it, soggetta alla vigilanza delle competenti Autorità italiane e tedesche in conformità alla normativa comunitaria. Le informazioni contenute nel presente documento hanno natura confidenziale. È vietata la duplicazione, pubblicazione o trasmissione dei contenuti del presente documento in qualsiasi forma. Documento illustrativo di approfondimento che non costituisce offerta al pubblico di prodotti/servizi finanziari.