Catalogo Artista Outsider Salvatore Accolla

SALVATORE ACCOLLA
SALVATOREACCOLLA|COLLEZIONEORTIGIA2001-2004

SALVATORE ACCOLLA
COLLEZIONE ORTIGIA
2001 - 2004

Catalogo a cura di Benedetto Speranza
Introduzione
Daniela Rosi
Testo critico
Giuseppina Radice
Contributi
Paolo Boriani e Veronica Tomassini
Progetto grafico e impaginazione
Web Studio S.r.l. - web-studio.it
Foto
Fast Copy s.n.c. - Siracusa - 0931 723026
1° edizione Settembre 2017
Finito di stampare nel mese di Settembre 2017
da Nuova Grafica Invernale - Floridia (SR)
Tutti i diritti riservati. Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i paesi. Tutti i di-
ritti delle immagini sono riservati e di proprietà esclusiva di Fast Copy s.n.c., Via Catania,
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di questo libro è consentita la riproduzione, l’archiviazione in un sistema di recupero o la
trasmissione, anche parziale, in alcun modo e con qualsiasi mezzo (elettronico, meccanico,
microfilmatura, fotocopiatura).
Animali pag. 14 - 59
Barche pag. 60 - 99
Composizioni pag. 100 - 201
Cristo pag. 202 - 209
Figure pag. 210 - 222
Natura Morta pag. 224 - 325
Paesaggi pag. 326 - 446
Volti pag. 448 - 499
SALVATORE ACCOLLA
COLLEZIONE ORTIGIA 2001 - 2004

NOTA DI BENEDETTO SPERANZA
Questa è una storia vera. La mia. E incrocia la storia di
Salvatore Accolla. C’è la mia piccola storia nella gran-
de storia di Salvatore Accolla.
L’apertura di un centro stampa digitale a Siracusa è la
scelta che, a domino, mi proietterà nel mondo dell’arte
e nel mondo del cinema.
La mia idea è stata, attraverso un centro per la stam-
pa digitale, lavorare con degli artisti di Siracusa e pro-
porre delle t-shirt d’arte. Mia mamma era un’artista,
lavorare con degli artisti di Siracusa è stato per me un
déjà-vu. Ho attraversato punti della mia memoria che
non ricordavo neanche di ricordare.
Tra gli artisti che contatto a Siracusa c’è un uomo, Sal-
vatore Accolla, per me un maestro. Accolla è l’unico
artista che non convinco a realizzare delle t-shirt d’ar-
te e che non si fa affiancare. Ma la mia ammirazione
non si scalfisce e giorno dopo giorno inizio a conoscere
l’uomo, la sua storia surreale, e la sua arte che attra-
versa la storia di Siracusa, anche se ignorata…
Tutti i giorni sto del tempo assieme a Salvatore Accolla.
È la mia missione. Mi fa male. Mi fa bene. È ciò che ti fa
male che ti fa bene. Tutti i giorni sto del tempo assieme
a Salvatore Accolla ed è come se ritornassi sulla Terra
dopo un viaggio, è come se ritornassi a muovermi nella
mia memoria, e alla memoria di mia mamma, e alla me-
moria di me bambino accanto a mia mamma pittrice.
L’arte di Accolla la sento. L’arte di Accolla è vita, è la
sua vita, una vita che a Siracusa è una vita di serie “b”.
Per me è una vita di serie “a” o, forse, una vita “fuori
serie”.
Tutti i giorni sto del tempo assieme a Salvatore Accol-
la. Non mi fermo. Ascolto la sua lingua e la sua storia
surreale. Non mi fermo. Imparo la sua lingua. Non mi
fermo. Imparo i segni della sua arte. E giorno dopo
giorno capisco che anche Salvatore Accolla sta passan-
do del tempo assieme a me. Non mi fermo. Perché è qui
che la mia storia, piccola, incrocia la storia, grande, di
Salvatore Accolla. È qui che noi diventiamo NOI, che
diventiamo ciò che siamo, NOI.
Lascio una serie di artisti “copia e incolla”. O loro la-
sciano me. Non mi fermo. Mi concentro su Salvatore
Accolla, è un impegno professionale e umano, lui sente
se sei umano o se non sei umano, lui sente se affidarsi.
E si fida. Di me. Della mia piccola storia. E della cura
che io ho per la sua arte.
Ho la pazienza di studiare tutti i suoi materiali, tutti, i
quadri, i vecchi quadri nel suo studio, i diari, migliaia
di pagine, gli studi a matita, le poesie, armadi di poe-
sie. Tra tutti i materiali mi impressiona una serie “fuori
serie”, impolverata, una serie che è sempre stata lì, ac-
canto ai suoi quadri, una serie ignorata di 500 opere su
cartoncino realizzate tra il 2001 e il 2005.
È la serie che la curatrice Daniela Rosi porterà in mo-
stra a Torino. È la prima importante esposizione di Sal-
vatore Accolla.
Acquisto tutta la serie “fuori serie” con i miei soci. Per
la prima volta in vita sua le opere di Accolla sono certi-
ficate, fotografate, numerate, registrate. Per la prima
volta in vita sua le opere di Accolla sono stampate su
un catalogo. Per la prima volta in vita sua, l’arte di
Accolla è trattata per ciò che è, arte. Per la prima vol-
ta in vita sua, soprattutto, la vita di Accolla è trattata
per ciò che è, vita, vita vera, e memoria, memoria della
memoria.
Non mi fermo. E che cosa succede?, succede che quan-
do una storia è vera, e non falsa, questa storia non
muore mai. È in quel momento, non prima, non dopo,
esattamente in quel momento, che arriva a Siracusa un
regista, Paolo Boriani, che gira un film con e su Sal-
vatore Accolla, un film girato giorno e notte a giugno e
luglio 2017, un film a cui ho partecipato con tutto me
stesso. Non avrei mai immaginato di lavorare a un film.
Ma questa è una storia vera.
È sempre in quel momento, non prima, non dopo, esat-
tamente in quel momento, grazie a un articolo de “Il
Fatto quotidiano” su Salvatore Accolla, che arriva a
Siracusa una curatrice esperta di arte irregolare, Da-
niela Rosi. L’accompagno a studiare i lavori di Accolla,
a visitare la sua casa alla Van Gogh e il suo studio. Da-
niela Rosi intuisce come me, più di me, più profonda-
mente, l’arte di Accolla. Non ha un dubbio uno. Tra
tutte le sue opere, i capolavori sono tra le 500 opere su
cartoncino che io ho acquistato. È così che una selezio-
ne delle 500 opere, gli animali, sarà esposta a Torino
a cura di Daniela Rosi. Non avrei mai immaginato di
lavorare a una mostra d’arte. Ma questa è una storia
vera, una storia che viaggia nel futuro. L’astronave è
quella di Salvatore Accolla. Io sono qui accanto a lui,
tutti i giorni, a difendere la sua arte che è vita e la sua
vita che è arte. E viaggio nella memoria. La mia. La
sua. La nostra. La memoria che si vede. La memoria
che ancora non si vede. La memoria che si vedrà.
L’astronave siamo NOI. NOI è arte. NOI siamo arte.

OGNI GIORNO E’ PASQUA
Il tramonto di Salvatore Accolla arriva quando il sole è
ancora alto. Lui si corica alle 5 della sera. L’alba di Sal-
vatore Accolla è quando ancora le stelle brillano nella
notte. Lui si leva alle 3 del mattino. Alle cinque della
sera tutto è ancora troppo. Alle tre del mattino tutto
è silenzio, vento e respiro pulito. Una prima colazio-
ne, una passeggiata con il cane, una seconda colazione.
Poi, sacra, viene la pittura. E arriva l’ora in cui gli
altri uomini cominciano la nuova giornata. Salvatore
Accolla è al suo posto, in Corso Matteotti, con i suoi
quadri.
A dipingere Salvatore Accolla inizia da autodidatta a
venti anni, appena rientrato dalla Germania dove era
emigrato due anni prima. Inizialmente usa i colori a
olio, che risultano però inadatti alle sue esigenze, in
quanto ha bisogno che le tele asciughino veloci: quello
che realizza di notte deve andare a venderlo al matti-
no sulla strada. Si converte così agli smalti da infissi,
più facili e rapidi nell’asciugare. Al disegno del caval-
lo, motivo cardine della sua poetica, lo inizia un amico
studente di belle arti disegnando per lui una testa equi-
na. Proprio il cavallo diventa uno dei suoi primi motivi
iconografici, un soggetto privilegiato, quasi una firma,
di tutta la sua produzione. Accanto a questo soggetto se
ne aggiungeranno altri, altrettanto ricorrenti, a costi-
tuire il suo vocabolario visivo. Una delusione affettiva
lo porta a vivere la difficile esperienza del ricovero in
ospedale psichiatrico, un’esperienza che lo segna ma
non lo piega. Una volta dimesso, Accolla viaggia per
tutta Europa, vive di espedienti e utilizza il poco de-
naro per visitare i musei. Il Van Gogh Museum ad Am-
sterdam rimane per lui uno fra i più amati. Tornato in
Italia realizza le sue opere a ritmi vertiginosi e le vende
per strada per poche lire. Sono opere di grande impat-
to visivo, fortemente marcate dal nero del disegno che
l’artista traccia rapido e sicuro su basi bianche e che in
seguito copre con smalti dai toni spesso “fumosi”, otte-
nendo così qualcosa di cromaticamente trasognato che
si palesa al nostro sguardo come se l’immagine riaffio-
rasse da un’altra dimensione. I motivi ricorrenti hanno
a che fare con forme ottenute da rette decise e da curve
dolcissime. I cavalli ci suggeriscono un’idea di circo-
larità, restituendoci la sensazione delle movenze reali
dell’animale. Gli uccelli, i gatti e tutte le altre creature
sono immobili, trattengono il respiro, colti in posizio-
ne ieratica, come se nulla dovesse mai più accadere.
Pur nella diversità, fanno pensare alle posture di certe
madonne trecentesche, sospese tra la terra e il cielo.
Accolla dipinge anche soggetti apparentemente troppo
facili. Sappiamo che se un turista vuole un souvenir da
portare dalla Sicilia, ecco che il quadro di barche ab-
bandonate sotto il sole è fra gli oggetti più convincenti.
Certo che queste barche, che tanto incontrano il gusto
popolare, non hanno nulla a che fare con le barche che
dipinge Salvatore. Le sue sono pezzi di autobiografia e
le dipinge come se al posto del pennello avesse il cuore,
perché le ha sempre viste e perché è figlio di pescatori.
In questo piccolo guscio galleggiante, l’artista vede e
sente la continuità con il suo sole, con il suo mare e con
la sua terra, oltre che con le sue origini. La sua poetica
contempla anche le nature morte, realistiche e surreali
a un tempo: bicchieri dritti e alti, caffettiere dalle linee
a volte rigide e a volte morbide, scodelle a mezzaluna
bellissime. Composizioni di frutta diversa, ma soprat-
tutto quella che si può rendere con sinuose curve, come
il melone, la pera, la mela. Cristi lineari, essi stessi di-
venuti chiodi sulla croce, e poi “ombre della sera” al-
lungate sulla rena infuocata. Uomini di atavica fame
davanti a tazze vuote. Uomini a nugoli che guardano
una barchetta su un tavolo. Figure umane sedute sulla
frutta, alte come una brocca fra cavallini più piccoli di
una tazza, o alte come un vassoio poggiato a un muro.
Paesaggi siciliani trattati con il garbo di un Gino Rossi.
Architetture della Magna Grecia, rovine che si trovano
a un passo dalla casa di Salvatore che, di certo, non in-
tende fare il verso a De Chirico, bensì omaggiare la sua
città, quello che vede e respira ogni giorno. Monoliti
dell’Isola di Pasqua, immobili, chiusi nei loro segreti:
sfingi di antico mistero. E ancora uccelli, cani, case,
scale, rocce, mare. In molti quadri si può scorgere una
piccolissima figura nera, quasi sempre fuori misura
rispetto al resto, si tratta della rappresentazione che
lo stesso Accolla fa di sé, quasi una “presenza” che
vigila su quanto è dipinto. Altre volte si ritrae con le
sue opere sotto il braccio. Si può dire che l’artista ami
principalmente il gesto del disegno. Sono molti anche
i taccuini, i fogli, le vecchie agende vergati da schizzi
che possono sembrare dei bozzetti preparatori ai qua-
dri che verranno. In realtà, Accolla ama tenere sem-
pre la mano in movimento. Riconosce che disegnare e
scrivere poesie lo fa stare bene. Così come lo quieta nel
profondo ascoltare musica. Potenza dell’arte come atto
di cura del sé, pratica coltivata e risaputa da sempre
anche fra gli antichi greci e in tutta la cultura occiden-
tale. Visto un quadro di Accolla non ci si sbaglia più:
la cifra è chiara, precisa, fortemente connotata. E’ un
pittore che ha un linguaggio e uno stile ben definiti, un
linguaggio e uno stile così suoi da costituire in se stessi
una firma. Tutta la vita di Accolla è scandita da questo
ritmo del fare: migliaia di disegni realizzati, migliaia
di tele dipinte. Migliaia di poesie scritte. Liriche rese
in lingua siciliana, con una grafia curvilinea, quasi un
alfabeto misterioso, un vero capolavoro per l’occhio
pure quella, qualcosa di molto vicino alla poesia visiva,
sia pure non cercata, che meriterebbe un approfondito
studio a parte. Salvatore Accolla è un artista di strada,
una persona gentile e generosa, un’iperbole di Ortigia:
un’”isola” dentro a un’isola nell’isola. Si può dire che
abbia raggiunto la saggezza di un eremita, è un profon-
do conoscitore della precarietà umana, un sostenitore
sincero della povertà materiale come viatico per la li-
bertà.
Grande nella sua semplicità e semplice nella sua gran-
dezza, Accolla è un artista “fuori serie”.
Daniela Rosi
curatrice d’arte
Responsabile LAO- ART e docente di “Progettazione per la
pittura” all’Accademia di belle arti di Verona

TESTO CRITICO
Mi piace registrare nel panorama artistico contempora-
neo la presenza di Salvatore Accolla inserendolo - tout
court - nella categoria degli uomini/artisti/pensatori/
alchimisti di oggi.
Egli ha scelto la pittura (forse la pittura ha scelto lui)
per dare un senso profondo alla sua complessa vita tra-
sferendo in essa non solo la sua dolorante umanità ma
anche il suo patrimonio d’inventiva, di sensibilità, di
rigore e di fantasia. È come se avesse assorbito - per
intuizione - la pittura di Henry Matisse, di Maurice
Vlaminck, di Carlo Carrà, di Paul Cèzanne, di August
Macke, di Giorgio De Chirico, di Giorgio Morandi e di
tutti quegli artisti che hanno fatto della pittura una ri-
cerca non solo estetica ma esistenziale.
Paul Klee scriveva nel suo diario: l’importante adesso
non è dar prova di precocità con la mia pittura ma è
di diventare un uomo. O almeno cercare di diventarlo.
L’arte di padroneggiare la vita è condizione prelimina-
re a ogni forma di espressione ulteriore, che si tratti di
pittura, di plastica, di tragedia, di musica.
Accolla ha imparato a padroneggiare la vita attraverso
la pittura alla quale ha affidato il suo senso di vita e di
morte, i suoi momenti di tristezza, di gioia, di speran-
za: coltivando un pensiero egli gioca col suo progetto,
e cerca una forma ad esprimere tutto ciò. Né più né
meno.
Ecco, in realtà, in che cosa consiste la complessa espe-
rienza dell’arte.
Rivendico il mio ruolo di Storico dell’Arte e mi collo-
co al di fuori di qualsiasi riferimento - pericolosamente
compassionevole (buoni, sfortunati … quindi bravi…)
- ad aspetti psicopedagogici, sociali o filantropici che,
per quanto ammirevoli, non solo non rientrano nel mio
ambito professionale ma non devono interferire in al-
cun senso con la validità di molte opere di Accolla che
si sviluppano al di fuori delle norme estetiche conven-
zionali.
Non sta a me definire chi è più bravo di chi o parlare
in termini di valore assoluto: non lo reputo produtti-
vo e sarebbe peraltro del tutto fuori luogo. Struttura,
tecnica e iconografia sono infatti elementi necessari per
qualsiasi forma di espressione ma non danno – come
per magia – l’opera d’arte. Il mio contributo alla no-
stra attualità è, invece, trovare validità estetica nelle
opere di un uomo indenne di cultura artistica ufficiale
ma ricco di grande sensibilità, analizzarle e renderle
note.
Accolla sceglie i suoi materiali e costruisce i suoi quadri
con una sapienza pittorica che mi piace definire origi-
naria. La sua è una pittura che gode di essere pittura.
Libera, naturalmente organizzata ma non per questo
casuale o improvvisata. Sembra voler esplodere, prima
dentro di lui poi sulla tela. E sulla tela sa dove andare.
C’è sempre un rapporto lontano, non nostalgico, con
la natura, con gli oggetti della realtà e con le persone
che fanno parte del suo mondo: tutto è presente anche
se trasmutato.
C’è cultura, capacità di pensare; c’è apertura al fanta-
stico, all’ironia (anche autoironia); c’è voglia di gioca-
re, c’è freschezza per alcuni versi infantile ma - mi sem-
bra meglio - una freschezza riconquistata attraverso il
gioco della pittura.
Accolla ha scelto da tempo il suo gioco e del suo gioco
conosce le regole, i comportamenti. Sa che non è disim-
pegno, anzi sa che si entra nel gioco con tutta la serietà,
ci si mette alla prova, ci si misura con gli altri e con se
stessi. Ma è proprio questo gioco che gli permette di
operare quella trasmutazione in forma che è l’arte.
Egli ha forse ha un vantaggio rispetto agli artisti che
hanno cercato di ridiventare bambini (… non ridere
lettore! I bambini hanno questo potere ed è una lezione
di saggezza che essi lo possano. Più sono ignoranti e
più ci forniscono esempi ricchi di lezioni, e si deve per
quanto possibile preservarli da ogni corruzione scrive-
va Paul Klee nel suo diario) o che hanno voluto dimen-
ticare la tecnica per recuperare una spontaneità ormai
falsata da troppi intellettualismi.
Naturalmente e genuinamente emancipato da canoni e
parametri normativi relativi alla rappresentazione del-
la realtà o alle modalità espressive più o meno astratte,
Accolla trae tutto - tematiche, scelta dei materiali, tec-
nica, messa in opera, mezzi di trasposizione, ritmo - da
quella che di Kandinskj definiva necessità interiore e
approda a soluzioni formali originali e anche impre-
vedibili. Egli inoltre supera, a mio parere in maniera
tanto naturale quanto efficace, uno dei problemi più
complessi della ricerca artistica contemporanea che
in fondo ricalcano i due poli fondamentali del sistema
arte: mimesi/autoreferenzialità.
Egli non si pone il problema: guardando e ri-guardan-
do l’opera posta sul cavalletto intuisce con forte senso
critico ma con una capacità estetica originaria, il peso
specifico di ogni singola pennellata: pensa a lungo e poi
agisce in maniera rapida e definitiva. Quasi un percor-
so Zen.
Indubbiamente egli si serve della pittura, delle regole
conosciute e approfondite nel corso degli anni per rap-
presentare (forse comprendere, forse metabolizzare,
forse accettare) qualcosa. Ma è vero anche che qual-
siasi cosa diventa un pretesto per permettere alla sua
pittura di presentarsi. A me sembra che spesso egli non
usi la pittura per rappresentare un soggetto o un ogget-
to ma, al contrario l’oggetto e il soggetto diventano un
pretesto nelle mani della pittura.
È lui che gioca con la pittura o è la pittura che gioca
con lui?
La pittura è la sua naturale espressione, respira e vive
con lui, accoglie tutta la sua vita: è come se i suoi ricor-
di, la sua cultura, il suo amore per la poesia per essere
accettati debbano essere filtrati attraverso la pittura.
Per questo non ha bisogno di un riscontro con la realtà
esteriore, semmai di un riscontro con la stessa pittura.
Nella durezza dell’intaglio di alcune “Composizioni”
(opere n. 398, 406, 481, 478) è esemplificato, a mio
parere questo suo bisogno di rapidità nell’esprimere il
suo pensiero che spesso è anche giudizio sia nelle di-
mensioni di alcuni elementi metaforicamente riferibili
a episodi ben precisi, sia nella loro collocazione.
Tutte le sue opere (Cristo, Nature morte, Volti, Ani-
mali, Barche,Paesaggi) sono severe, essenziali e spesso
fortemente contrastate dal punto di vista cromatico e
lineare. Io penso che Accolla, come ogni vero artista,
sia sempre regista della sua opera e affidi le sue scelte
ad un pensiero lungamente meditato ma rapidamente
espresso. Ciò che a lui interessa non è infatti la descri-
zione analitica di un oggetto/volto o l’eleganza formale
(diventerebbe immediatamente lezioso e falso anche se
forse più facilmente comprensibile) ma la sintesi del
concetto che di volta in volta esprime.
L’estrema varietà delle tematiche che egli affronta con
la stessa serietà mi fa pensare che la pittura, nel suo
essere forma, colore, ritmo materia ma, soprattutto,
capacità comunicativa e capacità espressiva anche di
sé, sia il suo vero oggetto di seduzione.
Giuseppina Radice
Laureata in Lettere Moderne e già titolare della Cattedra di Storia
dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Cata-
nia, ama l’ascolto e considera l’insegnamento una responsabilità
morale. Ha curato molti eventi artistici ed ha pubblicato numerosi
saggi critici in cataloghi e Riviste. Ha pubblicato nel 2011, con
Prova d’Autore, i due saggi La Storia dell’arte e il tiro con l’arco
ed Erranti ai tempi dell’usabilità; nel 2016 con Fausto Lupetti Edi-
tore “Alchimisti di oggi per un futuro fatto a mano”.
Tecnicamente accademica si dichiara antiaccademica per scelta
perché ha compreso che lo studio dell’arte è, in fondo, una conqui-
sta di libertà nel confronto continuo con la diversità.

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Opera 1. A 2003 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm
Salvatore Accolla | Animali

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Opera 26. B 2002 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm
Salvatore Accolla | Barche

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Opera 8. I 2003 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm
Salvatore Accolla | Composizioni

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Opera 289. I | Smalto su cartoncino | 50x70 cm

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Opera 378. I | Smalto su cartoncino | 50x70 cm

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Opera 244. Cristo 2003 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm
Salvatore Accolla | Cristo

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Opera 223. C 2002 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm
Salvatore Accolla | Figure

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Opera 2. NM 2003 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm
Salvatore Accolla | Natura Morta

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Opera 226.NM 2002 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm

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Opera 66. P 2004 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm
Salvatore Accolla | Paesaggi

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Opera 102.P 2004 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm

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Opera 111. P | Smalto su cartoncino | 50x70 cm

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Opera 454.P 2003 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm

430 431

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442 443

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Opera 25. V 2003 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm
Salvatore Accolla | Volti

450 451

452 453

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456 457

458 459

460 461

462 463

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Opera 164. V | Smalto su cartoncino | 50x70 cm

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Opera 402.V 2002 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm

490 491

492 493

494 495
Opera 409.V 2002 | Smalto su cartoncino | 50x70 cm

496 497

498 499

Salvatore Accolla nasce nel 1946 a Floridia, paese natio della madre e dopo
quattordici giorni (come precisa lo stesso Accolla) viene portato a casa nell’an-
tica isola di Ortigia, a Siracusa dove ancora oggi vive. La sua è una famiglia di
pescatori. Il padre se ne va quando Salvatore è ancora un bambino lasciando
sola la madre a prendersi cura dei figli. Il piccolo Salvatore frequenta la scuola
solo fino alla quinta elementare, poi fa diversi mestieri, svolge umili mansioni nei
ristoranti, lavori di fatica al porto. Dai se-
dici ai diciotto anni lavora come manovale
nei cantieri edili, poi emigra in Germania e
qui rimane fino ai vent’anni. Una delusione
d’amore lo segna profondamente e determi-
nerà il suo rientro in patria. La profonda
malinconia che lo coglie porterà sua madre
ad avallare il suo ricovero nell’ospedale psi-
chiatrico di Siracusa, probabilmente nella
speranza di poterlo aiutare. L’esperienza
manicomiale per Salvatore, con diversi in-
tervalli di libertà, dura circa vent’anni. Per
fortuna Accolla dipinge. Un giovane psi-
chiatra gli concede di coltivare la sua passione e apre per lui una sala di pittura,
lasciando libero l’accesso a ogni ricoverato che dimostri lo stesso interesse. A
dipingere Accolla inizia, da autodidatta, appena tornato dalla Germania, e non
smetterà mai più. La sua scuola sono stati la vita vissuta, la strada e i musei visi-
tati nel suo peregrinare in tutta Europa. Ancora oggi, dopo più di cinquant’an-
ni, Salvatore Accola ogni giorno prende i pennelli in mano e realizza le opere che
andrà poi a vendere sul corso principale di Ortigia.
BIOGRAFIA
Smalto su tela | 150x100 cm
Salvatore Accolla realizza questa tela dopo aver acquista-
to i biglietti del volo Catania - Torino per partecipare alla
mostra “Fuoriserie” (settembre - dicembre 2017) presso
Polo delle Arti Relazionali e Irregolari Palazzo Barolo e
Housing Giulia. InGenio Arte Contemporanea della Città
di Torino.
Smalto su valigia vintage in cartone
Pitturata su entrambi i lati.
Foto sopra: “Addio sceccu, a Torino si parte...”
Foto sotto: “Vuliri e Vulari” (Volere è Volare)
Questa valigia è stata realizzata nel mese di giugno
2017 dopo l’incontro a Siracusa con la curatrice d’arte
Daniela Rosi.

Un film di Paolo Boriani con Salvatore Accolla
ACCOLLA (e il cavallino rosso a siracusa) è un film di Paolo Boriani con protagonista
il poeta e pittore siciliano Salvatore Accolla.
ACCOLLA è ambientato in un’isola su un’isola, Ortigia, dove c’è la casa di Salvatore
Accolla, che sembra la casa di Van Gogh.
ACCOLLA è la storia straordinaria di Salvatore Accolla. Raccontata da Salvatore Accol-
la. Raccontata attraverso i quadri di Salvatore Accolla.
ACCOLLA è la storia del manicomio di Siracusa. Raccontata attraverso le poesie di Sal-
vatore Accolla, che sa esattamente che cosa è il manicomio: è lì che si è salvato da adole-
scente, è lì che ha imparato a dipingere.
ACCOLLA è anche la storia della Formula Uno a Siracusa. Perciò il sottotitolo del film:
il cavallino rosso a Siracusa.
ACCOLLA (e il cavallino rosso a siracusa) racconta di quando ancora “il cavallino ros-
so” vinceva a Siracusa, davanti agli occhi di un Salvatore Accolla bambino.
ACCOLLA (e il cavallino rosso a siracusa) racconta follia. Che cosa è follia. Che cosa
non è follia.
(e il cavallino rosso a siracusa)
ACCOLLA
un film di Paolo Boriani con Salvatore Accolla
Il primo giorno che ho incontrato Salvatore Accolla a
Siracusa ho comprato una sua scultura, un cavallino
rosso. E la verità di Salvatore mi ha così colpito che
gli ho promesso che avremmo girato un film, insieme,
perché un film è per me un oggetto che si costruisce in-
sieme.
Sono ritornato a Siracusa più e più volte, per tre anni,
estate e inverno, per settimane, e sempre ho trascor-
so le mie mattine ad ascoltare Salvatore, tutta la sua
storia, avanti e indietro nel tempo, avanti e indietro.
Mi permetto di dire che conosco la storia di Salvatore
come Salvatore, forse un po’ meno, o forse un po’ di
più. Ma la sua memoria è entrata nella mia memoria,
la sua memoria è la mia memoria. E dopo tre anni di
studio ho chiesto a Salvatore di girare un film, di girare
insieme ACCOLLA (e il cavallino rosso a siracusa).
Salvatore Accolla è un astronauta. Sa viaggiare nel
passato del passato. Sa viaggiare nel futuro del futuro.
Ma non tornerà più sulla terra.
ACCOLLA è film di fantascienza. O, se si vuole, un film
storico.
Come insegna Stanley Kubrick non c’è alcunché di di-
verso fra fantascienza e storia. Perché è un film che
comunque racconta una cosa che non c’è.
Un manicomio? Fantascienza.
Una Formula Uno per le strade di Siracusa? Fanta-
scienza.
Un cavallino rosso dipinto da Salvatore Accolla? Fan-
tascienza.
O storia.
Come insegna Stanley Kubrick.
ACCOLLA
Non c’è una frenata all’arrivo della verità di Salvatore
Accolla. La verità che arriva, come una Formula Uno,
arriva folle, a velocità folle. E adesso sta arrivando
sotto forma di oggetto-film.
Mi piace parlare non di film, ma di oggetto-film. Per-
ché un film, se è un film, si scolpisce in una materia
che è il tempo. Chi girerà un film su Salvatore Accolla
dopo di me, non troverà più quella materia.
Il mio film è la mia maniera di dire grazie a Salvatore
Accolla. Adesso. E nel futuro. E nel futuro del futuro.

Un film di Paolo Boriani con Salvatore Accolla
ACCOLLA

Paolo Boriani
Ha girato per le realtà più importanti dell’arte e dell’architettura
di Milano. Ha scritto e diretto cortometraggi in Italia, in America,
in Brasile. Ha scritto e diretto film-documentari prodotti da RAI
CINEMA e da SKY ARTE HD.
Il suo film Saga, sul teatro equestre di Giovanni Lindo Ferretti, ha
vinto nel 2015 il primo premio “Art Category” al “New York Equus
Film Festival”.
Nel 2016 ha girato Faccia Gialla, il primo film con e su Roberto
Saviano, prodotto da RAI CINEMA.
Nel 2016 ha girato un film-esperimento #35. Il film è di 365 inqua-
drature. Tutti i giorni, 365 giorni, ha girato un’unica inquadratura
della durata di 35 secondi. È un film sulla fatica di girare un film.
Nell’estate del 2017 ha girato un film di “fantascienza” con Salvato-
re Accolla: ACCOLLA (e il cavallino rosso a siracusa).
Attualmente sta preparando un nuovo film, Tromsø, che girerà nel-
la città più a nord del mondo, Tromsø, con l’artista di New York
Arianna Carossa.
Facebook: #35themovie
Vimeo: https://vimeo.com/user11456465
Web: www.antlervideo.com
• 2011 - Untitled, cortometraggio
• 2011 - Pitts, film-documentario, RAI CINEMA
• 2012 - 103, cortometraggio
• 2013 - ‘A Sciaveca, film-documentario con Mimmo Borrelli, SKY ARTE HD
• 2013 - Saga, film-documentario con Giovanni Lindo Ferretti, SKY ARTE HD
• 2014 - Black Dog, cortometraggio
• 2014 - Lightning Field Still Lightning, cortometraggio
• 2014 - No Pass, film-documentario
• 2015 - Che cosa è il nero, film-documentario (work in progress)
• 2015-2016 - #35, film
• 2015-2016 - Faccia Gialla, film-documentario con Roberto Saviano, RAI CINEMA
• 2017 - ACCOLLA (e il cavallino rosso a siracusa), film-documentario con Salvatore Accolla
• 2018 - Trømso, film con l’artista di New York Arianna Carossa
Paolo Boriani - FILMOGRAFIA

Entriamo in un basso di Ortigia, dietro il tempio di
Apollo. Ci aspetta Salvatore Accolla, classe 1946. Reci-
ta un paio di versi delle sue poesie in dialetto, legge da
un libriccino appena pubblicato. Non è mai andato a
scuola. In quel fondaco annerito dalla muffa riparano
le sue tele enormi, smalti che riproducono inseguendosi
febbrilmente barche e marine. Quest’uomo che esibi-
sce, senza saperlo, il talento e il destino del pittore naif
Antonio Ligabue, affetto dalla medesima genialità, en-
trambi erano per tutti Al matt (il matto, chiamavano
Ligabue) e per castigo entrambi internati in manico-
mio, dimora seppellito nelle sue ossessioni che credia-
mo immoralmente ignorate.
Le sue enormi tele naif si reggono l’una sull’altra, Sal-
vatore Accolla le vende per strada. Talvolta si ferma
un turista competente e sgrana gli occhi. Un critico, un
gallerista, e per un secondo la vita di Salvatore rischia
di risarcirlo, elevarlo al rango che gli compete. E inve-
ce, promesse che si sconfessano subito. Salvatore tor-
na nel suo basso, alle quattro del pomeriggio si chiude
dentro. Ne uscirà la notte, per le strade con il suo cane
fedele, percorrere le vie strette e cupe, su e giù, come
quando in manicomio raggiungeva un canto e l’altro,
in un ordine fisso. “E’ stata mia madre a mandarmi in
manicomio – dice – Ero un po’ nervoso, ero triste per
una delusione d’amore”. Lo racconta con stanchezza
quel tempo, era il 1967. Era tornato dalla Germania.
La sua è una famiglia di pescatori. Il padre sparisce
quando Salvatore è un bambino. Resta con la madre e i
fratelli. Torna dalla Germania che ha appena vent’an-
ni. La sua tristezza o la sua genialità (senz’altro oggi
possiamo rileggerla così) fu la ragione del suo interna-
mento. Vent’anni. Su e giù da un canto all’altro nel cor-
tile delle casette amene del manicomio di Siracusa. A
Raccogliere mozziconi o a pulire le tracce degli altri, gli
incontinenti, che deambulavano con i loro deliri o ta-
cevano come Salvatore. Salvatore esce dal manicomio,
dimentica la madre. “Sono l’unico che va a trovarla al
cimitero, l’ho perdonata” dice. Quando esce, trova un
amico, a lui chiede: “Senti, disegnami un cavallo”. L’a-
mico lo disegna. Salvatore ci riprova, ancora e ancora
e lo dipinge, la pittura lo investe, è il genio che si svela,
gli mostra la sua pietà stavolta. Comincia con gli oli, gli
acrilici, fino agli smalti. Produzione debordante. Ec-
cessiva, magmatica. Dipinge come se respirasse.
In Ortigia lo conoscono tutti. Più che altro le sue stra-
nezze. La sua genialità continua a restituire lo sgomen-
to degli altri. Uscito dal manicomio, aveva scoperto
la pittura, veramente era solo affiorata, poi scoprii la
libertà, i musei d’Europa, Picasso, Van Gogh. Salva-
tore dormiva per strada, non era un mendicante, gira-
va l’Europa e chiedeva soltanto per entrare nei musei
o per fumare. “Pittura naif – riflette con difficoltà –
Non lo cosa vuol dire. Io non ho studiato. Mi dispiace.
Spiegatemi questa pittura naif”. E’ esattamente quel
che lui produce. La sua poetica. A lui non frega nulla
di conversare intorno alla sua poetica. Piuttosto tiene
a precisare: “Mia madre firmava le carte e io dovevo
entrare in manicomio. Era lei che firmava. Ma io l’ho
perdonata”. Esiste un artista a Siracusa, rischia di mo-
rire seppellito in un fondaco, dentro un un vicolo anti-
co trapassato, con le sue tele, le sue ossessioni. Sarebbe
uno spreco perderlo, questo talento spaventosamente
affine alle vette e ai tormenti di Antonio Ligabue, detto
Al Matt, il matto”.
Veronica Tomassini Il Fatto Quotidiano,
2 aprile 2015

Avevamo raccontato la storia di Salvatore Accolla,
qualche mese fa, su queste colonne. Il pittore naif, au-
todidatta, classe 1946. Nato in una famiglia di pesca-
tori a Siracusa. Il pittore delle marine, dove riparano
carcasse di lampare, dei cavalli tratteggiati con mano
sicura, dalle forme stilizzate, dai colori esosi.
Avevamo raccontato della sua vita che non gli aveva
risparmiato la povertà, l’abbandono e vent’anni di in-
ternamento nell’ospedale psichiatrico di una modesta
città del sud. Era stata la madre a volerlo. Salvatore
- erano gli anni ’60 – era appena tornato dalla Germa-
nia, dopo una delusione amorosa. La tristezza fu la ra-
gione della sua coercizione in manicomio. Una tristezza
innocua lo tolse dal mondo e lo riconsegnò allo stesso,
cambiato spaventosamente, soltanto due decenni dopo.
Dopo l’articolo pubblicato dal Fatto, la vita di Salvato-
re è cambiata. Già qualche settimana prima che il Fatto
raccontasse la storia di Salvatore, un giovane impren-
ditore siracusano, Benedetto Speranza,
colpito dalla figura di quest’uomo che vendeva le sue
tele all’angolo di una via di Ortigia, si era preso la briga
di occuparsene, una specie di mecenate, per evitare che
l’importante produzione artistica di Salvatore venisse
perduta.
Esce l’articolo. Lo legge Daniela Rosi, un critico d’arte
di Verona, considerata tra i più attenti talent scout del
momento. La vita di Salvatore – realizza la Rosi – è
così simile al destino di Ligabue, lo stigma del sacrifi-
cio conficcato come una lama nella loro povera vita.
Daniela Rosi legge l’articolo e decide di recarsi a Sira-
cusa per conoscere Salvatore. L’imprenditore Benedet-
to Speranza fa da tramite. Daniela Rosi studia le tele.
Riconosce il talento. Salvatore entrerà a far parte della
sua scuderia, con lui, nel medesimo catalogo, ci sono
grandi nomi internazionali.
A settembre Salvatore – che non si è mai allontanato Veronica Tomassini Il Fatto Quotidiano,
20 luglio 2017
dalla sua città – esporrà con tutti gli onori nella rega-
le Torino. Daniela Rosi prepara l’evento nel dettaglio,
stringe la collaborazione con Benedetto Speranza. Non
è finita. Di Salvatore si interessa anche un giovane regi-
sta romano che decide di dedicargli un film. Comincia-
no le riprese. Quel film sarà proposto con tutta proba-
bilità a Sky Arte.
Eppure: non è finita. Dopo quell’articolo, a Siracusa si
concentra un nuova forma di turismo, un turismo nato
intorno alla figura di questo artista. I turisti vengono in
città e chiedono, negli alberghi, con l’articolo in mano,
di poter “visitare” Salvatore Accolla. Cioè Salvatore è
diventato un monumento oramai. Salvatore non si ren-
de conto di nulla, non perde l’innocenza.
Continua a regalare le sue tele, a venderle a due soldi,
a scrivere poesie in uno strano alfabeto, lui che ha ap-
pena la quinta elementare. Il suo genio ingovernabile e
il suo animo immacolato hanno fatto esultare una città
intera. Siracusa eleva la figura di quest’uomo, il suo
nome, come l’esempio della vita buona che sa anche re-
stituire, quando i tempi sono fissati.
Una favola con un lieto fine, se non fosse che è tutto
vero e che tutti ne abbiamo bisogno.

Ricordo che era una domenica pomeriggio quando mio
marito mi allungò “Il Fatto quotidiano” per mostrarmi
un articolo che, secondo lui, avrebbe dovuto interes-
sarmi. E infatti lo trovai davvero interessante, tanto
interessante da decidere per un viaggio a Siracusa. Si
trattava di un pezzo scritto da Veronica Tomassini su
Salvatore Accolla, un artista che rispondeva in tutto al
tipo di artisti che da sempre attirano la mia attenzione.
E così, domenica sera 11 giugno, mio marito e io atter-
rammo all’aeroporto di Catania. Il martedì avevamo
un appuntamento con Salvatore Accolla e Benedetto
Speranza, la persona che nel frattempo avevo intercet-
tato come persona vicina all’artista e che mi ha media-
to per poter prendere contatto con lui. Fu un incontro
intenso, emozionante e produttivo. Visitammo la casa
di Salvatore e il suo piccolo magazzino-deposito di ope-
re. Visitammo il negozio di Speranza, che collabora con
diversi artisti della zona realizzando mobili, oggetti
d’arredo e abbigliamento d’autore, dove potemmo ap-
prezzare altre opere e oggetti dipinti da Accolla. All’in-
contro erano presenti anche il regista Paolo Boriani e
L’incontro
la sua assistente, Francesca Abbadessa, che iniziavano
proprio allora a girare un film su Accolla. Si può dire
che è stato un amore a prima vista collettivo, tanto che
è partita una collaborazione incrociata fra tutti. Così
ora, Benedetto sta preparando il primo catalogo delle
opere di Salvatore, Paolo sta facendo le riprese su di
lui e io ho selezionato le sue opere per la mostra “Fuori
Serie”, di cui sono curatrice con con Tea Taramino, a
Palazzo Barolo a Torino.
Voglio quindi ringraziare di cuore Benedetto Speranza
per avermi messo in contatto con Accolla e per la gran-
de disponibilità che ha dimostrato fin da subito. Un
grazie riconoscente va a Veronica Tomassini e a Il Fat-
to Quotidiano, senza il loro articolo non sarei arrivata
ad Accolla. Un grazie speciale, assieme a un “in bocca
al lupo” per il film, va al giovane regista Paolo Boriani,
che si è messo subito a disposizione per collaborare e
fare rete attorno al nostro artista.
Stanno accadendo delle belle cose e di certo siamo solo
all’inizio.
Daniela Rosi

Il tramonto di Salvatore Accolla arriva quando il sole è ancora alto.
Lui si corica alle 5 della sera.
L’alba di Salvatore Accolla è quando ancora le stelle brillano nella notte.
Lui si leva alle 3 del mattino.
Alle cinque della sera tutto è ancora troppo.
Alle tre del mattino tutto è silenzio, vento e respiro pulito.
Una prima colazione, una passeggiata con il cane, una seconda colazione.
Poi, sacra, viene la pittura.
E arriva l’ora in cui gli altri uomini cominciano la nuova giornata.
Salvatore Accolla è al suo posto, in Corso Matteotti, con i suoi quadri.
Daniela Rosi
Euro 80,00

Catalogo Artista Outsider Salvatore Accolla

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