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Pedagogia mussoliniana
UN “PINOCCHIO IN CAMICIA NERA” PER EDUCARE GLI SQUADRISTI
Luciano Curreri ha ritrovato e ripubblicato in un libro sottotitolato “Quattro
‘pinocchiate’ fasciste” alcune novelle e un romanzo breve compilati durante il
Ventennio in cui il celebre burattino veniva trasformato ora in un virile picchiatore di
comunisti, ora in un entusiasta balilla, ora in un istruttore razzista degli indigeni
etiopi, ora in un avventuroso missionario tra il Duce e il Papa. Insomma, come
prendere la ‘creatura’ di Collodi e sottometterla alla propaganda della dittatura rivolta
ai ‘giovani italiani’.
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di Daniele Comberiati
In tempi di riforme scolastiche e polemiche sulla sorte dell’istruzione italiana, dalle scuole
elementari in su, di notevole interesse risulta Pinocchio in camicia nera. Quattro “pinocchiate”
fasciste (Nerosubianco Edizioni, collana “Le drizze”, Cuneo 2008, pp. 143, € 12,00). Una raccolta
illustrata a cura di Luciano Curreri, che spiega nella postfazione come le “pinocchiate”
rappresentino le riprese o le versioni del burattino collodiano in contesti del tutto diversi
dall’originale e possono essere considerate, per certi versi, una sorta di genere a sé stante nella
letteratura di evasione e per ragazzi. Le “pinocchiate fasciste”, d’altra parte, rappresentano
l’impiego del burattino durante il ventennio e sono qui costituite da quattro novelle e un romanzo
breve (presentato in forma ridotta) che possono aiutarci a ricostruire una storia della dittatura.
D’altra parte l’attualità di Pinocchio è anche nell’epoca corrente fuori discussione: il curatore fa
riferimento al recente Pinocchio multiculturale di Marco Baliani, ma non sono da sottovalutare,
ovviamente, le riduzioni televisive e cinematografiche, nonché la versione animata della Disney,
che hanno consentito anche a generazioni meno avvezze alla lettura di conoscere la fiaba colta di
Collodi. E forse le ragioni di tanta fortuna e altrettanta longevità sono da ricercare proprio nella
capacità del personaggio di adattarsi ai contesti più disparati. Tale “azzeramento storico” (cito
ancora dalla postfazione) non è appannaggio di tanti altri protagonisti di racconti per ragazzi che
con il tempo sono scomparsi o sono sopravvissuti solo in situazioni di nicchia, proprio perché
impossibilitati a “trasferirsi” in altri tempi e in altri luoghi.
Prendiamo per esempio i cinque testi raccolti nel volume: tutti ambientati in epoca fascista,
d’accordo, ma talmente diversi tra loro da poter addirittura far pensare ad un’evoluzione del
burattino parallela ai cambiamenti interni al regime. Il primo racconto, Avventure e spedizioni
punitive di Pinocchio fascista, prende di mira uno dei primi obiettivi del regime, ovvero il
“comunista”, presentato nell’occasione come un personaggio ipocrita, pusillanime, disinteressato
alle sorti del popolo. Non vi è, nel brano, una vera e propria evoluzione del burattino, se non negli
scherzi sempre più crudeli con cui terrorizza il gruppo dei “rossi”. Completamente diverso è invece
Pinocchio fra i balilla, più vicino in un certo senso alla fiaba del Collodi perché presenta la stessa
struttura narrativa: da discolo ad educato, da burattino a bambino. Viene assolutamente meno, però,
la forza dirompente e rivoluzionaria dell’originale: il Pinocchio inquadrato dal fascismo catalizza la
propria energia verso i non allineati al regime; tutta l’inventiva e l’intelligenza dei suoi stratagemmi
sono così orientate a far ricredere i vecchi compagni di gioco, convincendoli che solo nei Balilla
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potranno trovare la propria realizzazione. La data di pubblicazione recita 1927, sono dunque gli
anni del consenso: anche il personaggio collodiano si allinea al volere del fascismo, contribuendo
all’educazione dei più giovani.
Di grande interesse risulta Pinocchio istruttore del Negus, e per diversi motivi: innanzitutto perché
trasporta le vicende nell’Africa Orientale Italiana, nello specifico in Etiopia, luogo simbolico dei
sogni imperiali ma anche della caduta del fascismo; inoltre mette in scena un’altra figura piuttosto
ricorrente nella letteratura di evasione del periodo: l’inglese serafico e stolto, talmente ingenuo da
scambiare un Pinocchio sporco di cioccolata per un abissino. Sono presenti nel testo alcune delle
caratteristiche tipiche del romanzo coloniale, ma più in generale di tutta la produzione coloniale,
anche quella per ragazzi: l’esotismo, il paternalismo, il razzismo, il particolare linguaggio
“scorretto” e quasi ridicolo degli indigeni. Il Negus, l’acerrimo nemico dell’esercito italiano in una
guerra di colonizzazione che non fu affatto facile (e non fu mai completa, tanto che gli etiopici
parlano non a torto di “invasione” italiana e non di colonizzazione), è descritto in maniera
caricaturale come un uomo non intelligente, preda di una cultura barbara e arretrata. Anche in
questo caso può essere d’aiuto la data: Pinocchio istruttore del Negus è infatti del 1939, lo stesso
anno in cui, come fa notare Curreri, venne attuato l’orribile massacro di Gaia Zeret-Lalomedir (la
cosiddetta “grotta dell‘iprite” dove furono uccisi circa 1500 fuggiaschi etiopi), finalmente portato
alla luce e sapientemente documentato da Andrea Dominioni nel recente saggio Lo sfascio
dell’Impero. Gli italiani in Etiopia 1936-1941 edito da Laterza.
In nuce, nel racconto vi sono alcuni elementi riscontrabili anche negli ultimi due testi, Il viaggio di
Pinocchio e la riduzione del romanzo Pinocchio… in un altro mondo!. Sono presenti infatti il tema
del viaggio (spesso per mezzo di un velivolo, altro retaggio delle suggestioni dell’epoca) e
soprattutto un particolare esotismo, precedente anche alla produzione letteraria di ambito coloniale,
nella quale però non tardò ad infiltrarsi fino ad egemonizzarla. Traspaiono dunque un gusto
dell’epoca, una particolare maniera di guardare alla culture “altre” che sono perfettamente
riconoscibili nei testi citati. Particolare curiosità, anche per ragioni prettamente attuali, desta il fatto
che l’ultimo brano sia ambientato per gran parte in Cina, una Cina ovviamente molto diversa da
quella odierna, lontana dalla rivoluzione maoista e dal capitalismo dirompente. Le avventure di
Pinocchio vengono qui legate alle vicissitudini di suore e padri missionari rapiti, in un’unione ideale
di fascismo e religione cattolica.
Si può notare da questi brevi cenni come il Pinocchio fascista mantenga una geografia e una storia
precisa e ben riconoscibile, perfettamente in linea con le evoluzioni del regime (l’anticomunismo,
l’inquadramento dei giovani, il colonialismo, il rapporto con la Chiesa). Il burattino si normalizza,
fino a perdere del tutto i suoi connotati originali, che tanto lo avevano fatto amare in passato e
altrettanto lo faranno apprezzare in futuro. Un perfetto esempio di “revisionismo”, se ci si passa il
termine. Ma anche un monito per l’oggi e per il domani: l’incidenza capillare sulle letture dei più
piccoli è uno dei mezzi più efficaci per mantenere il consenso. Un personaggio come Pinocchio,
inoltre, si prestava perfettamente a tale azione: il suo naturale anticonformismo (come si è visto
anche di facciata) e la sua capacità di mettersi nei guai rendono ogni lettura gradevole se non
avvincente.
Il merito dell’autore è di aver portato alla luce e analizzato tale segmento letterario, all’interno di
riferimenti ampi e sempre fecondi sulla cultura di massa durante i regimi totalitari. E un merito
ulteriore, da condividere con l’editore, è l’attenzione alla veste grafica, talvolta trascurata in
pubblicazioni del genere: una grafica essenziale ma estremamente efficace, dove il bianco e nero
della copertina riprendono il nome della casa editrice, ma costituiscono anche una valida
suggestione inerente all’argomento del libro. Assolutamente azzeccata risulta inoltre la scelta del
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font, vagamente antiquato, che contribuisce a trasportare il lettore nel periodo in cui sono state
pubblicate per la prima volta le “pinocchiate” proposte.