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Corso di Teoria e analisi del cinema 2010-2011
3. Cinema e videoarte
prof. Matteo Asti
La videoarte
La videoarte è una forma espressiva artistica basata
sul video (immagini e suoni).
La videoarte è quindi arte in formato audiovisivo le
cui origini si fanno coincidere con l'opera di Nam
June Paik (tra i pionieri, assieme ai Vasulka e a
Godfrey Reggio), che nel 1968 a NY intitola una
sua personale Electronic Art, dando una prima
definizione di utilizzo del mezzo video, in
particolare in questo caso corrispondente all'uso di
televisori.
La videoarte
La videoarte spesso si è basata su una modalità
performante e interattiva coinvolgendo elementi
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internazionale ricordiamo Nam June Paik, Wolf
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Dal cinema si differenzia per la diversità dei formati
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Per quasi gli stessi motivi si differenzia anche dalla
televisione con cui però condivide formato e
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La videoarte e il cinema delle avanguardie
In realtà sono molti I punti di contatto tra
videoartisti e registi sperimentali e questo ha reso
spesso frequente il passaggio dall'uno all'altro status
o perlomeno la reciproca influenza tra queste aree
artistiche.
Si può anzi vedere come per evidenti motivi
cronologici e teorici molta videoarte abbi attinto
dalla teoria e dalle sperimentazioni fatte nel cinema
ancora negli anni '20 e '30.
La videoarte e il cinema delle avanguardie
Come sottolinea Sandra Lischi nel suo saggio Il
calcolo imperfetto: percorsi di cinema nella videoarte
(2008) la videoarte “ha saputo concretizzare I sogni di
Vertov, Ejzenstein, le polivisioni di Gance, il cinema
totale di Barjavel, la mobilità della mdp e la sua relativa
autonomia, le previsioni di Astruc, il rifuto della
narratività ad ogni costo e la libertà di durate, I
vagabondaggi tematici e di linguaggi, le scorribande fra
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E il cinema è stato ripreso dalla videoarte sotto
forma di rivisitazione, citazione, reimpaginazione e
come elemento malleabile per ogni tipo di processo
di trasformazione.
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Dal cinema alla videoarte nell'era digitale
Il cinema è presente come riferimento teorico,
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lo più rifiutato).
L'avvento del digitale ha intensificato questo
scambio facendo più facilmente uscire il cinema dai
sui margini classici per diventare un prodotto più
facilmente assorbibile e ricodificabile.
Per Lev Manovich “la cultura visiva dell'era del
computer è cinematografica nell'aspetto, digitale
nella qualità del materiale e matematica nella logica
(dei software)” (Il linguaggio dei nuovi media
2002).
Es. Long live to the new flesh di Nicolas Provost (2009)
Il cinema e la videoarte
Il movimento però a partire dagli anni '70 si è anche
invertito e la videoarte ha sviluppato una sua
estetica che ha influenzato quello del cinema.
O meglio il cinema, attraverso l'opera di alcuni
registi per motivi artistici o estetici alla videoarte,
ha assimilato più o meno consapevolmente alcune
ricerche svolte per lo più nel'ambito della
videoarte.
Di questo aspetto si è interessato Alessandro
Amaducci nel saggio Infiltrazioni della sperimentazione
videoartistica (2008) che ha provato a fissare alcuni
ambiti di influenza.
Lo split screen
Da L'uomo con la macchina da presa di Dziga
Vertov (1929) passando per American Graffiti di
George Lucas (1973) sino ad arrivare a Timecode
di Mike Figgis (2000) la divisione dello schermo in
più finestre è una modalità di costruzione visiva e in
taluni casi di montaggio che ha interessanto il
cinema in varie epoche.
Anche la videoarte ha lavorato su questo aspetto ma
relazionandosi anche con il modello della regia
televisiva e della simultaneità della diretta (es. New
Book di Zbigniew Rybczynski del 1975).
Il modello invece del MULTISCHERMO è stato
utilizzato solo dalle videoinstallazioni ma non ha al
momento utilizzi del cinema (che l'ha anticipato
con Napoleon di Abel Gance del 1926)
Lo stile grafico
Un altro veicolo di rielaborazione grafica, oggi il
più importante in assoluto, è il chroma key.
Ma mentre il cinema da quando l'ha introdotto ha
teso a minimizzare la sua percezione (es. L'uso di
trucchi per evitare la distorsione sui contorni delle
figure inserite) la videoarte ha giocato a
trasformarlo in un aspetto mostrato
dell'elaborazione dell'immagine esaltando
l'artificiosità del risultato raggiunto.
Es. Steps di Zbigniew Rybczynski
Lo stile grafico
Le ricerche nell'uso sperimentale del chroma key di
artisti come Eve Ramboz, Christian Boustani e
Alain Escalle sono state indirettamente riprese da
cineasti come Rohmer e Luhrmann.
Un esempio molto interessante è quella de La
nobildonna e il duca di Eric Rohmer (2001) che
mette in scena una storia della Rivoluzione francese
ambientandola in quadri dell'epoca debolmente
rianimati ma volutamente piatti e pittorici rispetto
ai personaggi.
Baz Luhrmann invece applica una forma
spettacolare di questo effetto che sembra ripresa dai
lavori di Christian Boustani.
Il caso: Cremaster
Uno degli esperimenti di contaminazione tra
cinema e videoart più interessanti è Cremaster, un
ciclo di cinque film prodotti tra il 1994 e il 2002.
Si tratta di una SAGA opera del videoartista
Matthew Barney messi in circolazione seguendo
una logica apparentemente disordinata e mai
distribuiti ne in sala ne in dvd (con l'eccezione di un
episodio di Creamster 3).
Il caso: Cremaster
La visione del Cremaster cycle non è per nulla
facile. Si tratta di racconti misteriosi ed ermetici le
cui chiavi interpretative sono difficili da reperire.
I riferimenti spaziano da alcune teorie biologiche,
alle icone cinematografiche degli anni '30, alla
simbologia massonica sino alla mitologia celtica.
Per Nancy Spector che ha curato il catalogo
dell'opera Cremaster è un sistema estetico chiuso in
se stessoche nasce da una pratica performativa sul
corpo umano.
Una rappresentazione secondo cui la forma
biologica si lega a quella psicologica, geologica e
mitica.
Il caso: Cremaster
L'opera non utilizza solo il linguaggio del cinema e
della videoart ma si rifà a fotografia, scultura e
pittura spingendo sul segno simbolico in una
direzione che secondo Nicola Dusi (che si rifà per
questo aspetto a Eco) porta verso un uso deviante
del codice.
Cremaster si presenta come un “macrotesto a
dominante simbolica che sfida e insieme provoca l'analisi”
(Dusi, Squarci del cinema nella videoarte, 2008).
In questo rimanda quindi al concetto di opera
aperta che genera il suo valore nella sua perpetua e
diversa interpretabilità.
Il caso: Cremaster
Cremaster è una saga divisa in cinque parti
presentate durante le mostre The Cremaster Cycle
(2002 e 2003) e alcuni festival.
1994 Cremaster 4
1995 Cremaster 1
1997 Cremaster 5
1999 Cremaster 2
2002 Cremaster 3
Tale ordine smonta o parodizza il modello seriale.
Si tratta comunque di un'opera di pura fiction che
rimanda ad una sorta di opera performativa e che
nell'ultimo film uscito da vita ad una vera e propria
performance filmata.
Il caso: Cremaster
Due principi biologici stanno alla base dell'opera:
- l'indifferenziazione sessuale dell'embrione sino
alle sei settimane di sviluppo
- il concetto di ascensione e discesa, contrazione e
distensione (il cremaster-cremastere è il muscolo
che contrae I testicoli)
Tali temi si manifestano nella lotta e non solo tra
maschile e femminile e nella loro veicolazione a
livello figurativo, recitativo, spaziale e temporale.
Il caso: Cremaster
L'unico elemento comune ravvisabile nelle cinque
puntate è la LENTEZZA che permette la
costruzione di una temporalotà dilatata, sospesa,
ripetuta.
Una temporalita che secondo Dusi è “durativa e
permette di indugiare sui particolari mentre porta
lo spettatore a vibrare all'immagine”.
Il caso: Cremaster
Il ciclo ha forti citazioni di genere prese dal cinema
classico e ogni episodio sembra avere dei rifermenti
dominanti:
- Cremaster 1: fantastico
- Cremaster 2: western
- Cremaster 3: gangster movie
- Cremaster 4: documentario
- Cremaster 5: film in costume
In tutti però si trovano riferimenti espliciti al
musical.
Cremaster 3
Cremaster 3 è l'episodio più complesso. Si svolge
nel Chrysler Building a NY nel 1929-30. I temi
sono l'ambizione e il potere e si rifà a un episodio di
conflitto tra due categorie di lavoratori che mise in
mezzo una lega massonica.
Prima del finale di trova l'episodio The Order che si
svolge nella sede di NY del Guggenheim. Al
termine dell'episodio l'azione torna sul tetto del
Chrysler Building dove l'apprendista uccide
l'architetto Abiff.
Cremaster 3: The Order
In The Order il Guggenheim si presenta come una
struttura capace di sintetizzare tutti e cinque gli
episodi (nei 5 piani che diventano altrettanti livelli
di azione).
L'apprendista che è un personaggio scozzese
(Barney stesso) resta identificabile per il vestito e la
bocca distrutta con dentro un canovaccio di seta.
Cremaster 3: The Order
Livello 1: fila di ballerine da tip tap (danza)
Livello 2: riordinare degli strumenti massonici tra
due band hardocore che si stanno sfidando (musica)
Livello 3: affrontare una donna vestita con abito
postoperatorio e gambe di cristallo (Aimee Mullins
atleta e modella)che si trasforma in donna ghepardo
(uomo-donna)
Livello 4: ricostruire Five Point of Fellowship, una
scultura di caprone composta di parti in gesso o
plastica (arte concettuale)
Livello 5: vedere l'opera performativa di Richard
Serra in vaselina e grazie a quanto capito poi
tornare ad agire ai livelli precedenti (arte
performativa)
Cremaster 3: lo spettatore
- Assenza percorsi interpretativi
- Assenza marche enunciative
- Competenza narrativa con superamento delle
prove
- Uso del montaggio alternato su performer di 5
piano
- Concetto dominate di trasformazione e mutazione
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  • 1. Corso di Teoria e analisi del cinema 2010-2011 3. Cinema e videoarte prof. Matteo Asti
  • 2. La videoarte La videoarte è una forma espressiva artistica basata sul video (immagini e suoni). La videoarte è quindi arte in formato audiovisivo le cui origini si fanno coincidere con l'opera di Nam June Paik (tra i pionieri, assieme ai Vasulka e a Godfrey Reggio), che nel 1968 a NY intitola una sua personale Electronic Art, dando una prima definizione di utilizzo del mezzo video, in particolare in questo caso corrispondente all'uso di televisori.
  • 3. La videoarte La videoarte spesso si è basata su una modalità performante e interattiva coinvolgendo elementi esterni alle immagini video o utilizzando la presenza dello stesso pubblico. Tra i maggiori pionieri ed esponenti della videoarte internazionale ricordiamo Nam June Paik, Wolf Vostell, Bill Viola, Gary Hill, Bruce Nauman, Shigeko Kubota, Marie Jo-Lafontaine, Laurie Anderson, Dara Birnbaum, Marina Abramovic - Ulay, Woody Wasulka, Fabrizio Plessi, Vito Acconci.
  • 4. La videoarte e gli altri audiovisivi Lo status di autonomia della videoart è basato su più aspetti che vanno considerati contemporaneamente. Dal cinema si differenzia per la diversità dei formati (video e non pellicola) e di distribuzione (mostre e non sale cinematografiche, supporti per la visione domestica) e caratteri (scarsità o assenza di narratività, durata molto variabile, carattere astratto, mostrazione del mezzo, coinvolgimento del pubblico). Per quasi gli stessi motivi si differenzia anche dalla televisione con cui però condivide formato e strumenti di riproduzione.
  • 5. La videoarte e il cinema delle avanguardie In realtà sono molti I punti di contatto tra videoartisti e registi sperimentali e questo ha reso spesso frequente il passaggio dall'uno all'altro status o perlomeno la reciproca influenza tra queste aree artistiche. Si può anzi vedere come per evidenti motivi cronologici e teorici molta videoarte abbi attinto dalla teoria e dalle sperimentazioni fatte nel cinema ancora negli anni '20 e '30.
  • 6. La videoarte e il cinema delle avanguardie Come sottolinea Sandra Lischi nel suo saggio Il calcolo imperfetto: percorsi di cinema nella videoarte (2008) la videoarte “ha saputo concretizzare I sogni di Vertov, Ejzenstein, le polivisioni di Gance, il cinema totale di Barjavel, la mobilità della mdp e la sua relativa autonomia, le previsioni di Astruc, il rifuto della narratività ad ogni costo e la libertà di durate, I vagabondaggi tematici e di linguaggi, le scorribande fra (e oltre) I generi”. E il cinema è stato ripreso dalla videoarte sotto forma di rivisitazione, citazione, reimpaginazione e come elemento malleabile per ogni tipo di processo di trasformazione. Es. 24 Hours Psyco di Douglas Gordon
  • 7. Dal cinema alla videoarte nell'era digitale Il cinema è presente come riferimento teorico, modello, come formazione critica, dispositivo (per lo più rifiutato). L'avvento del digitale ha intensificato questo scambio facendo più facilmente uscire il cinema dai sui margini classici per diventare un prodotto più facilmente assorbibile e ricodificabile. Per Lev Manovich “la cultura visiva dell'era del computer è cinematografica nell'aspetto, digitale nella qualità del materiale e matematica nella logica (dei software)” (Il linguaggio dei nuovi media 2002). Es. Long live to the new flesh di Nicolas Provost (2009)
  • 8. Il cinema e la videoarte Il movimento però a partire dagli anni '70 si è anche invertito e la videoarte ha sviluppato una sua estetica che ha influenzato quello del cinema. O meglio il cinema, attraverso l'opera di alcuni registi per motivi artistici o estetici alla videoarte, ha assimilato più o meno consapevolmente alcune ricerche svolte per lo più nel'ambito della videoarte. Di questo aspetto si è interessato Alessandro Amaducci nel saggio Infiltrazioni della sperimentazione videoartistica (2008) che ha provato a fissare alcuni ambiti di influenza.
  • 9. Lo split screen Da L'uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov (1929) passando per American Graffiti di George Lucas (1973) sino ad arrivare a Timecode di Mike Figgis (2000) la divisione dello schermo in più finestre è una modalità di costruzione visiva e in taluni casi di montaggio che ha interessanto il cinema in varie epoche. Anche la videoarte ha lavorato su questo aspetto ma relazionandosi anche con il modello della regia televisiva e della simultaneità della diretta (es. New Book di Zbigniew Rybczynski del 1975). Il modello invece del MULTISCHERMO è stato utilizzato solo dalle videoinstallazioni ma non ha al momento utilizzi del cinema (che l'ha anticipato con Napoleon di Abel Gance del 1926)
  • 10. Lo stile grafico Un altro veicolo di rielaborazione grafica, oggi il più importante in assoluto, è il chroma key. Ma mentre il cinema da quando l'ha introdotto ha teso a minimizzare la sua percezione (es. L'uso di trucchi per evitare la distorsione sui contorni delle figure inserite) la videoarte ha giocato a trasformarlo in un aspetto mostrato dell'elaborazione dell'immagine esaltando l'artificiosità del risultato raggiunto. Es. Steps di Zbigniew Rybczynski
  • 11. Lo stile grafico Le ricerche nell'uso sperimentale del chroma key di artisti come Eve Ramboz, Christian Boustani e Alain Escalle sono state indirettamente riprese da cineasti come Rohmer e Luhrmann. Un esempio molto interessante è quella de La nobildonna e il duca di Eric Rohmer (2001) che mette in scena una storia della Rivoluzione francese ambientandola in quadri dell'epoca debolmente rianimati ma volutamente piatti e pittorici rispetto ai personaggi. Baz Luhrmann invece applica una forma spettacolare di questo effetto che sembra ripresa dai lavori di Christian Boustani.
  • 12. Il caso: Cremaster Uno degli esperimenti di contaminazione tra cinema e videoart più interessanti è Cremaster, un ciclo di cinque film prodotti tra il 1994 e il 2002. Si tratta di una SAGA opera del videoartista Matthew Barney messi in circolazione seguendo una logica apparentemente disordinata e mai distribuiti ne in sala ne in dvd (con l'eccezione di un episodio di Creamster 3).
  • 13. Il caso: Cremaster La visione del Cremaster cycle non è per nulla facile. Si tratta di racconti misteriosi ed ermetici le cui chiavi interpretative sono difficili da reperire. I riferimenti spaziano da alcune teorie biologiche, alle icone cinematografiche degli anni '30, alla simbologia massonica sino alla mitologia celtica. Per Nancy Spector che ha curato il catalogo dell'opera Cremaster è un sistema estetico chiuso in se stessoche nasce da una pratica performativa sul corpo umano. Una rappresentazione secondo cui la forma biologica si lega a quella psicologica, geologica e mitica.
  • 14. Il caso: Cremaster L'opera non utilizza solo il linguaggio del cinema e della videoart ma si rifà a fotografia, scultura e pittura spingendo sul segno simbolico in una direzione che secondo Nicola Dusi (che si rifà per questo aspetto a Eco) porta verso un uso deviante del codice. Cremaster si presenta come un “macrotesto a dominante simbolica che sfida e insieme provoca l'analisi” (Dusi, Squarci del cinema nella videoarte, 2008). In questo rimanda quindi al concetto di opera aperta che genera il suo valore nella sua perpetua e diversa interpretabilità.
  • 15. Il caso: Cremaster Cremaster è una saga divisa in cinque parti presentate durante le mostre The Cremaster Cycle (2002 e 2003) e alcuni festival. 1994 Cremaster 4 1995 Cremaster 1 1997 Cremaster 5 1999 Cremaster 2 2002 Cremaster 3 Tale ordine smonta o parodizza il modello seriale. Si tratta comunque di un'opera di pura fiction che rimanda ad una sorta di opera performativa e che nell'ultimo film uscito da vita ad una vera e propria performance filmata.
  • 16. Il caso: Cremaster Due principi biologici stanno alla base dell'opera: - l'indifferenziazione sessuale dell'embrione sino alle sei settimane di sviluppo - il concetto di ascensione e discesa, contrazione e distensione (il cremaster-cremastere è il muscolo che contrae I testicoli) Tali temi si manifestano nella lotta e non solo tra maschile e femminile e nella loro veicolazione a livello figurativo, recitativo, spaziale e temporale.
  • 17. Il caso: Cremaster L'unico elemento comune ravvisabile nelle cinque puntate è la LENTEZZA che permette la costruzione di una temporalotà dilatata, sospesa, ripetuta. Una temporalita che secondo Dusi è “durativa e permette di indugiare sui particolari mentre porta lo spettatore a vibrare all'immagine”.
  • 18. Il caso: Cremaster Il ciclo ha forti citazioni di genere prese dal cinema classico e ogni episodio sembra avere dei rifermenti dominanti: - Cremaster 1: fantastico - Cremaster 2: western - Cremaster 3: gangster movie - Cremaster 4: documentario - Cremaster 5: film in costume In tutti però si trovano riferimenti espliciti al musical.
  • 19. Cremaster 3 Cremaster 3 è l'episodio più complesso. Si svolge nel Chrysler Building a NY nel 1929-30. I temi sono l'ambizione e il potere e si rifà a un episodio di conflitto tra due categorie di lavoratori che mise in mezzo una lega massonica. Prima del finale di trova l'episodio The Order che si svolge nella sede di NY del Guggenheim. Al termine dell'episodio l'azione torna sul tetto del Chrysler Building dove l'apprendista uccide l'architetto Abiff.
  • 20. Cremaster 3: The Order In The Order il Guggenheim si presenta come una struttura capace di sintetizzare tutti e cinque gli episodi (nei 5 piani che diventano altrettanti livelli di azione). L'apprendista che è un personaggio scozzese (Barney stesso) resta identificabile per il vestito e la bocca distrutta con dentro un canovaccio di seta.
  • 21. Cremaster 3: The Order Livello 1: fila di ballerine da tip tap (danza) Livello 2: riordinare degli strumenti massonici tra due band hardocore che si stanno sfidando (musica) Livello 3: affrontare una donna vestita con abito postoperatorio e gambe di cristallo (Aimee Mullins atleta e modella)che si trasforma in donna ghepardo (uomo-donna) Livello 4: ricostruire Five Point of Fellowship, una scultura di caprone composta di parti in gesso o plastica (arte concettuale) Livello 5: vedere l'opera performativa di Richard Serra in vaselina e grazie a quanto capito poi tornare ad agire ai livelli precedenti (arte performativa)
  • 22. Cremaster 3: lo spettatore - Assenza percorsi interpretativi - Assenza marche enunciative - Competenza narrativa con superamento delle prove - Uso del montaggio alternato su performer di 5 piano - Concetto dominate di trasformazione e mutazione (vaselina, metamorfosi), saliscendi (arrampicata), fluido tra secco e liquido.